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LUISS Guido Carli Centro di studi sul Parlamento Materiali di base per il seminario su Il “dialogo” tra i Parlamenti: obiettivi e risultati predisposti nell’ambito della ricerca (PRIN 2006) su “Le Assemblee parlamentari come vie di comunicazione del costituzionalismo contemporaneo: sedi ed istituzioni del dialogo tra Parlamenti”

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LUISS Guido CarliCentro di studi sul Parlamento

Materiali di base per il seminario su

Il “dialogo” tra i Parlamenti: obiettivi e risultati

predisposti nell’ambito della ricerca (PRIN 2006) su“Le Assemblee parlamentari come vie

di comunicazione del costituzionalismo contemporaneo:

sedi ed istituzioni del dialogo tra Parlamenti”

Camera dei deputatiPalazzo Marini, Roma

Giovedì 25 giugno 2009

Indice

LO SVILUPPO DELLA COOPERAZIONE INTERPARLAMENTARE A LIVELLO GLOBALEdi GIANLUCA AMICO 7

1. PREMESSA 7

2. GLI ORGANI PARLAMENTARI TITOLARI DEL “POTERE ESTERO” 92.1 Il Presidente di Assemblea 92.2 Le Commissioni permanenti 122.3 Le delegazioni presso le Assemblee parlamentari internazionali 14

3. LA COOPERAZIONE PARLAMENTARE BILATERALE 183.1 I Protocolli di collaborazione 22

3.1.1 Il Protocollo con l’Assemblea consultiva islamica dell’Iran 223.1.2 Il Protocollo con la Duma di Stato della Federazione russa 233.1.3 Il Protocollo con l’Assemblea nazionale turca 25

3.2 I Programmi di assistenza amministrativa 273.2.1 La cooperazione amministrativa con i Paesi dell’Africa 273.2.2 La cooperazione amministrativa con Afghanistan e Iraq 28

4. LA COOPERAZIONE PARLAMENTARE MULTILATERALE SUL PIANO GLOBALE29

4.1 La dimensione parlamentare della NATO 324.2 L’Assemblea parlamentare dell’OSCE 364.3 Il Partenariato euro-mediterraneo 40

4.3.1 La Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euro-mediterranei 454.4 La cooperazione parlamentare in ambito ONU 48

4.4.1 La cooperazione nell’ambito dell’Assemblea generale dell’ONU 484.4.2 La partecipazione parlamentare alle attività dell’ONU 50

4.5 L’Unione interparlamentare 514.5.1 Il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo 524.5.2 L’Assemblea dell’Unione interparlamentare 53

5. LA “PROIEZIONE ESTERA”DEL PARLAMENTO EUROPEO 555.1 Disciplina e prassi delle relazioni con i Parlamenti nazionali 555.2 Le delegazioni del Parlamento europeo presso i Parlamenti di Stati terzi. Il leading case del Transatlantic Legislators’ Dialogue 595.3 L’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE 615.4 L’Assemblea parlamentare euro-latino americana 635.5 Le missioni di osservazione elettorale 65

6. CONCLUSIONI 66

2

LA COOPERAZIONE INTERPARLAMENTARENEL CONTINENTE EUROPEODI CRISTINA FASONE 77

1. PREMESSA 77

2. LA DIMENSIONE PARLAMENTARE DI FORME DI COOPERAZIONE REGIONALE IN EUROPA 79

2.1 La cooperazione interparlamentare tra gli Stati del Mar Baltico 792.1.1 Una ricostruzione storica della Conferenza parlamentaredegli Stati del Mar Baltico 792.1.2 I membri della Conferenza parlamentare degli Stati del Mar Baltico 81

2.2 La cooperazione interparlamentare nell’ambito dell’Iniziativa Centro europea 84

2.2.1 La dimensione parlamentare: dalla provvisorietà alla stabilizzazione842.2.2 L’Assemblea parlamentare e i suoi organi interni 85

2.3 Il dialogo tra Parlamenti nel quadro del Consiglio della cooperazione regionale 882.4 Le altre sedi di cooperazione interparlamentare 92

3. LA COOPERAZIONE INTERPARLAMENTARE NELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI EUROPEE 94

3.1 L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa 943.1.1 Un’introduzione sul Consiglio d’Europa e sulla sua Assemblea 943.1.2 Gli organi dell’Assemblea 97

3.2 L’Assemblea parlamentare dell’Unione dell’Europaoccidentale 100

3.2.1 L’inesorabile declino dell’Unione dell’Europa occidentalee la strenua resistenza della sua Assemblea 1003.2.2 La composizione dell’Assemblea e le modifiche al regolamentonel 2008: i membri a pieno titolo e “gli altri” 1043.2.3 Un futuro incerto per l’Assemblea della UEO 106

4. LA PARTECIPAZIONE DEL PARLAMENTO ITALIANO ALLA COOPERAZIONE INTERPARLAMENTARE NEL CONTINENTE EUROPEO 109

4.1 La fase costitutiva delle delegazioni parlamentari permanenti 1094.2 Il trattamento economico dei membri delle delegazioni 1144.3 Le missioni all’estero dei delegati e le implicazioni sul funzionamento delle Camere 1164.4 L’esame delle attività svolte dalle Assemblee parlamentaridi organizzazioni internazionali 118

5. L’EVOLUZIONE, LA NATURA E IL RUOLO DELLA DIPLOMAZIAPARLAMENTARE 119

5.1 Le “tre ondate” della diplomazia parlamentare 119

3

5.2 La “diplomazia parlamentare”: una locuzione dibattuta 1225.3 La diplomazia parlamentare bilaterale e quella multilaterale, contingente e permanente 1255.4 A che cosa serve la diplomazia parlamentare? 129

IL RUOLO DEI PARLAMENTI DEGLI STATI MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA E IL LORO INSERIMENTO NEL DECISION-MAKING COMUNITARIODI CRISTINA FASONE 132

1. PREMESSA 132

2. LE FORME DI COOPERAZIONE PARLAMENTARE PERMANENTE 1342.1 Il Parlamento europeo: da collegio di delegazioni parlamentari nazionali ad assemblea elettiva 134

2.1.1 La fase istitutiva dell’Assemblea parlamentare delle Comunità 1342.1.2 Le elezioni dirette del Parlamento europeo e la questionedel doppio mandato 1352.1.3 Il Parlamento europeo e la cooperazione con i Parlamentinazionali 136

2.2 La “Piccola Conferenza” 1402.2.1 La nascita e il ruolo assunto dalla Conferenza 1402.2.2 L’organizzazione delle riunioni della Conferenza 1412.2.3 I lavori della Conferenza 1422.2.4 La posizione degli Speaker 144

2.3 La Conferenza degli organismi specializzati negli affaricomunitari e il principio di sussidiarietà 146

2.3.1 Un excursus storico sulla Conferenza 1462.3.2 L’applicazione del principio di sussidiarietà 1502.3.3 Uno sguardo al futuro: la COSAC e il Trattato di Lisbona 1522.3.4 Un bilancio sull’attività della COSAC 157

2.4 Cenni sulla cooperazione tra amministrazioni parlamentari 158

3. LE SEDI DI COOPERAZIONE PARLAMENTARE CONTINGENTE 1603.1 La Convenzione sull’avvenire dell’Europa 160

3.1.1 La riforma dei Trattati e la scelta per la Convenzione 1603.1.2 La composizione della Convenzione 1633.1.3 L’organizzazione interna della Convenzione 1653.1.4 Verso l’istituzionalizzazione della funzione delle Convenzioni 167

3.2 I Joint Parliamentary meeting, i Joint Committee meeting e le Conferenze delle commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali 169

3.2.1 L’organizzazione dei Joint Parliamentary meeting (JPM)e dei Joint Committee meeting (JCM): le origini di una prassi 1693.2.2 JPM e JCM: una disciplina in fieri 171

4

3.2.3 Luci e ombre dei Joint Parliamentary Meeting e dei Joint Committee Meeting 173

3.3 La cooperazione interparlamentare nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia 174

4. LA COOPERAZIONE TRA IL PARLAMENTO ITALIANO E I PARLAMENTI DELL’UNIONE EUROPEA 176

4.1 La delegazione italiana presso il Parlamento europeo 1764.2 Le commissioni “Politiche dell’Unione europea” di Camera e Senato 1794.3 La partecipazione del Parlamento italiano alla “fase ascendente”di formazione del diritto comunitario: un’introduzione 1814.4 L’esame dei progetti di atti normativi comunitari e gli esperimenti condotti per verificare il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità 1834.5 Il Trattato di Lisbona e le ipotesi di adeguamento del Parlamento italiano alla nuova disciplina 186

5. CONCLUSIONI. I PARLAMENTI NAZIONALI NEL “NUOVO” ORDINAMENTO COMUNITARIO 188

SINTESI

LE ASSEMBLEE PARLAMENTARI COME VIE DI COMUNICAZIONE DEL COSTITUZIONALISMO CONTEMPORANEO: SEDI ED ISTITUZIONIDEL DIALOGO TRA PARLAMENTIDI NICOLA LUPO 191

1. INTRODUZIONE: SCOPI E OGGETTI DELLA RICERCA 1912. LE TESI PRINCIPALI 1923. LE ULTERIORI PROSPETTIVE DI RICERCA 196

ABSTRACT

PARLIAMENTARY ASSEMBLIES AS "ROUTES OF COMMUNICATION" FOR CONTEMPORARY CONSTITUTIONALISM: PLACES AND INSTITUTIONSOF INTER-PARLIAMENTARY DIALOGUEDI NICOLA LUPO 199

1. INTRODUCTION: AIMS AND SUBJECT OF THE RESEARCH 1992. THE MAIN THESIS 200

5

3. FURTHER PROSPECTS OF RESEARCH 204

APPENDICE

TRA LA “DIPLOMAZIA PARLAMENTARE” E LA POLITICA ESTERA: IL NUOVO RUOLO DELLE ASSEMBLEE ELETTIVE. INTERVISTA ALL’ON. LUCIANO VIOLANTEINTERVISTA DI GIANLUCA AMICO 206

6

LO SVILUPPO DELLA COOPERAZIONE INTERPARLAMENTARE A LIVELLO GLOBALE

GIANLUCA AMICO

Sommario: 1. Premessa – 2. Gli organi parlamentari titolari del “potere estero” – 2.1 Il Presidente d’Assemblea – 2.2 Le Commissioni permanenti – 2.3 Le delegazioni presso le Assemblee parlamentari internazionali – 3. La cooperazione parlamentare bilaterale – 3.1 I Protocolli di collaborazione – 3.1.1 Il Protocollo con l’Assemblea consultiva islamica dell’Iran – 3.1.2 Il Protocollo con la Duma di Stato della Federazione russa – 3.1.3 Il Protocollo con l’Assemblea nazionale turca – 3.2 I Programmi di assistenza amministrativa – 3.2.1 La cooperazione amministrativa con i Paesi dell’Africa – 3.2.2 La cooperazione amministrativa con Afghanistan e Iraq – 4. La cooperazione parlamentare multilaterale sul piano globale – 4.1 La dimensione parlamentare della NATO – 4.2 L’Assemblea parlamentare dell’OSCE – 4.3 Il Partenariato euro-mediterraneo – 4.3.1 La Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euro-mediterranei – 4.4 La cooperazione parlamentare in ambito ONU – 4.4.1 La cooperazione nell’ambito dell’Assemblea generale dell’ONU – 4.4.2 La partecipazione parlamentare alle attività dell’ONU – 4.5 L’Unione interparlamentare – 4.5.1 Il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo – 4.5.2 L’Assemblea dell’Unione interparlamentare – 5. La “proiezione estera”del Parlamento europeo – 5.1 Disciplina e prassi delle relazioni con i Parlamenti nazionali – 5.2 Le delegazioni del Parlamento europeo presso i Parlamenti di Stati terzi. Il leading case del Transatlantic Legislators’ Dialogue – 5.3 L’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE – 5.4 L’Assemblea parlamentare euro-latino americana – 5.5 Le missioni di osservazione elettorale – 6. Conclusioni

1. Premessa

L’oggetto del presente lavoro è la cooperazione interparlamentare a livello globale: ovvero lo studio delle numerose forme di collaborazione tra le Assemblee di Stati o organizzazioni internazionali, finalizzate alla realizzazione di obiettivi politici o amministrativi. In particolare, si prendono in esame le iniziative di rilievo internazionale, a livello extracontinentale, del Parlamento italiano e del Parlamento europeo1.

L’analisi prende spunto da un dato empirico: negli ultimi venti anni si è registrata “un’irruzione istituzionale dei Parlamenti sulla

1 Per un’analisi approfondita delle numerose forme di cooperazione interparlamentare all’interno del continente europeo si rinvia al contributo di C. FASONE, La cooperazione interparlamentare nel continente europeo, in questa ricerca.

7

scena internazionale”2, i quali hanno riservato un’attenzione sempre crescente alle relazioni tra le Assemblee, in ambito sia bilaterale sia multilaterale3.

Sul piano bilaterale, lo studio si concentra sulle due principali forme di cooperazione: i Protocolli di collaborazione e i Programmi di assistenza amministrativa. Per quanto riguarda i primi, di particolare rilevanza sono gli Accordi stipulati dal Parlamento italiano con le Assemblee iraniana, russa e turca; tra i secondi, vanno ricordati i Programmi conclusi con Iraq, Afghanistan e con le Assemblee di alcuni Stati del continente africano.

In relazione alla dimensione multilaterale, si analizzano le iniziative “permanenti” che si svolgono nell’ambito delle Assemblee delle organizzazioni internazionali o interparlamentari più autorevoli (ossia, NATO, OSCE, ONU e Unione interparlamentare)4. Un ulteriore esempio di cooperazione multilaterale, a cui l’Italia ha dato un contributo fondamentale, concerne il Partenariato euro-mediterraneo, istituito con la finalità di rafforzare le relazioni multilaterali tra i Paesi dell’Europa e della riva sud del Mediterraneo, precedentemente basate soltanto su accordi bilaterali.

Per quanto concerne, invece, le attività internazionali del Parlamento europeo, in questa sede si esaminano: l’iniziativa del Transatlantic Legislators’ Dialogue, ossia gli incontri tra le

2 Cfr. M.A. MARTINEZ, Le relazioni internazionali tra i Parlamenti e la politica estera dei Governi, in Storia d’Italia, Annali, n.17, Torino, 2001, p. 1379.

3 Per comprendere l’importanza e l’ampiezza di tali attività, basta citare un dato. Nelle ultime tre Legislature la sola Camera dei deputati ha organizzato un numero estremamente rilevante di eventi di carattere internazionale: circa 600 durante la XIII Legislatura (1996-2001); 1233 durante la XIV legislatura (2001-2006); 1100 nella XV Legislatura, durata appena due anni (2006-2008). Solo nel 2007 vi sono stati 343 incontri e conferenze internazionali, con un incremento del 108% rispetto al volume di attività del 2006. I dati sono consultabili sul sito http://www.camera.it/europ_rap_int/892/14761/documentotesto.asp. Per l’elenco delle iniziative si rinvia a CAMERA DEI DEPUTATI, Servizio Rapporti Internazionali, L’attività internazionale della Camera dei deputati in ambito europeo e internazionale nella XIV Legislatura, Documentazione di inizio Legislatura, XV Legislatura; CAMERA DEI DEPUTATI, Servizio Rapporti Internazionali, L’attività internazionale della Camera dei deputati nella XV Legislatura, Documentazione per l’attività internazionale, n. 14, Documentazione di inizio Legislatura, XV Legislatura.

4 Rientrano tra le forme di cooperazione “permanenti” le attività di cooperazione strutturate e organiche che si svolgono con una certa sistematicità (ad esempio le sessioni dell’Assemblea parlamentare dell’Unione interparlamentare). Di contro, la cooperazione interparlamentare “contingente” concerne le attività di cooperazione tra Parlamenti convocate per determinati motivi che si esauriscono con la riunione stessa (ad esempio le Conferenze tematiche). Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione della diplomazia parlamentare, in Rivista di studi politici internazionali, n. 288, 2005, p. 675.

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delegazioni del Parlamento europeo e del Congresso americano; l’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE, che concerne la cooperazione tra i Paesi UE e gli Stati di Africa, Caraibi e Pacifico (ACP); l’Assemblea parlamentare euro-latina americana (EUROLAT); e, infine, le missioni di osservazione elettorale condotte dalle delegazioni del Parlamento europeo.

In queste pagine si cerca, inoltre, preliminarmente, di fornire un quadro generale degli organi parlamentari titolari di quello che potremmo chiamare “potere estero”. In particolare, ci si sofferma sul ruolo del Presidente d’Assemblea, delle Commissioni permanenti e delle delegazioni presso le Assemblee parlamentari internazionali.

2. Gli organi parlamentari titolari del “potere estero”

2.1 Il Presidente di AssembleaIl Presidente ha un ruolo di assoluta preminenza nel determinare il

funzionamento del ramo del Parlamento che presiede. Egli rappresenta l’intera Assemblea nelle relazioni con gli altri Paesi ed esercita la funzione di orientamento delle scelte di “politica estera” della Camera e del Senato. La fonte che giustifica questa predominanza non è giuridica (se si esclude l’art. 8 reg. Cam. sulla funzione di rappresentanza del Presidente) ma principalmente politica, in quanto è centrata, in primo luogo, sull’autorevolezza del Presidente e, in secondo luogo, sulla compattezza dell’Assemblea che lo ha votato. In questo senso, un Presidente autorevole eletto dai partiti sia di maggioranza sia d’opposizione è politicamente forte e, quindi, in condizione di incidere sulle scelte di politica estera dell’Assemblea che presiede5.

Detto ciò, le relazioni interparlamentari assumono particolare rilevanza quando le Assemblee che vi partecipano sono rappresentate dai rispettivi Presidenti, la cui presenza, infatti, imprime alla cooperazione tra le due Istituzioni “un tenore politico di natura strategica, che impegna ciascuna Assemblea, nel suo complesso e nella sua interezza”6.

Il Presidente partecipa sia agli incontri internazionali bilaterali, in sede o all’estero, con omologhi o esponenti governativi, sia ai summit

5 Cfr. Tra la diplomazia parlamentare e la politica estera: il nuovo ruolo delle Assemblee elettive. Intervista a Luciano Violante, a cura di G. Amico, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2008, p. 11 (riportata infra, p. 206 s.).

6 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione, cit., p. 679.

9

multilaterali che si svolgono nell’ambito delle organizzazioni internazionali o interparlamentari7. Proprio sul piano internazionale, le frequenti convocazioni delle Conferenze dei Presidenti dei Parlamenti, in ambito sia europeo sia internazionale, confermano l’importanza che ha assunto ormai il ruolo del Presidente dell’Assemblea8. Alcune conferenze vengono istituite negli anni Settanta e Ottanta, ma sono soltanto limitate allo sviluppo delle relazioni personali tra i Presidenti. Solo a partire dagli anni Novanta questi processi si istituzionalizzano, diventando punti di riferimento e, in alcuni casi, apripista per lo sviluppo di altre forme di cooperazione tra Parlamenti9.

La Presidenza della Camera dei deputati partecipa ad un numero consistente di iniziative, sia permanenti che contingenti, che si svolgono con cadenza periodica e costituiscono momenti di interscambio tra omologhi per la ricerca di soluzioni condivise rispetto a problematiche comuni. In particolare, ricordiamo le Conferenze dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione Europea; delle Assemblee parlamentari europee (Consiglio d’Europa); delle Camere basse dei Paesi del G8; dei Paesi euro-mediterranei; dei Paesi aderenti al Dialogo 5+5 del Mediterraneo occidentale; dei Paesi aderenti all’Iniziativa adriatico-ionica; il “Dialogo parlamentare fra le antiche civiltà mediterranee”; e, infine, la Conferenza mondiale dei Presidenti dei Parlamenti UIP in ambito ONU, del 2000 e del 200510.

Un numero così elevato di iniziative evidenzia “l’autentica febbre che spinge i Presidenti a conoscersi meglio, a scambiarsi informazioni e impressioni, a coordinare attività e, in definitiva, ad affermare che nell’attuale congiuntura i Parlamenti devono svolgere un ruolo significativo nello scenario della politica internazionale”11.

Nelle ultime legislature (dalla XIII alla XVI) questa nuova funzione del Presidente si è evidenziata prepotentemente, anche se con accenti diversi in relazione al background culturale e politico di ognuno di essi.

Durante la XIII Legislatura (1996-2001) la Presidenza Violante si è mossa in un quadro geografico ormai globalizzato e nella consapevolezza dell’interdipendenza che lega tutte le aree

7 Per maggiori dettagli si rinvia al par. 5.8 Cfr. C. DECARO, I rapporti internazionali e con le istituzioni europee, in La

formazione della classe dirigente per l’Europa: spunti di riflessione sull’alta burocrazia pubblica. Atti del forum, Roma, 14 gennaio 1999, Associazione dei consiglieri parlamentari della Camera dei Deputati, 1999, p. 109.

9 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione, cit., p. 680.10 Si rinvia al sito http://www.camera.it/europ_rap_int/892/14776/lista.asp.11 Cfr. M.A. MARTINEZ, Le relazioni internazionali tra i Parlamenti, cit., p. 1400.

10

geopolitiche del pianeta. Pertanto, le iniziative internazionali sono state concentrate, su indicazione del Presidente, verso l’Europa, il Sud America, il Medio Oriente e l’area del Mediterraneo12.

La Presidenza Casini (XIV Legislatura, 2001-2006) ha rivolto una particolare attenzione alle sedi di cooperazione multilaterale. Ma ha anche rafforzato i rapporti bilaterali con i Paesi delle Americhe (Stati Uniti, Brasile, Cile, Messico, Uruguay) e con il Portogallo, attraverso la conclusione di un Accordo di cooperazione. Inoltre, ha indirizzato la sua azione verso un rafforzamento dei rapporti con i Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania e si è distinta per le missioni all’estero (anche per ottenere il sostegno dei Paesi membri dell’Unione Interparlamentare alla candidatura, coronata da successo, per la carica di Presidente della stessa organizzazione interparlamentare) e i Programmi di assistenza amministrativa, consolidando la fitta rete di relazioni che era stata avviata durante la Legislatura precedente.

Nella XV Legislatura (2006-2008), seppur in un lasso di tempo inferiore, la preferenza della Presidenza Bertinotti è stata evidente per i Paesi dell’America Latina (a riprova basti ricordare il fatto che l’unico Protocollo di collaborazione della Legislatura sia stato stipulato con l’Assemblea venezuelana) e per quelli del Medio Oriente: è stato, infatti, il primo Presidente a parlare di fronte al Parlamento palestinese (maggio, 2007).

Infine, nell’attuale Legislatura (apertasi il 29 aprile 2008) il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, sta ripercorrendo le orme dei predecessori, considerando che già nel discorso d’insediamento ha esplicitamene richiamato la “diplomazia parlamentare”13, affermando: “Ritengo che la Camera dei deputati debba continuare ad avvalersene per rafforzare il dialogo con altre Assemblee legislative e in particolare con quelle dei Paesi del Mediterraneo”14.

12 Cfr. Tra la diplomazia parlamentare e la politica estera: il nuovo ruolo delle Assemblee elettive. Intervista a Luciano Violante, cit., p. 5.

13 Per una definizione di “diplomazia parlamentare” si rinvia alle conclusioni. 14 Il Presidente della Camera Fini ha fatto esplicito riferimento anche al

Partenariato euro-mediterraneo, sottolineando che “oggi è specie nel Mediterraneo che il rapporto tra la cultura ebraico-cristiana dell’Occidente e l’Islam può svilupparsi positivamente, nel segno del reciproco rispetto tra identità diverse, o può precipitare nel baratro di quello scontro tra civiltà, non a caso evocato e invocato dagli integralismi. Ed è altresì di tutta evidenza che è indispensabile saper guardare a ciò che accade nel Mediterraneo anche per affrontare le pressanti questioni poste dai massicci fenomeni migratori in atto e per dar vita ad effettive politiche di integrazione. Sono certo che il nostro Parlamento, che nel 2010 assumerà la presidenza di turno dell’Assemblea euro-mediterranea, saprà farlo e che di grande rilievo sarà il contributo fornito dalla Camera dei deputati”.

11

2.2 Le Commissioni permanentiLe Commissioni permanenti che si caratterizzano per un’attività

internazionale particolarmente intensa sono la Commissione Affari Esteri, la Commissione Difesa e la Commissione Politiche dell’Unione Europea15; ma anche le altre sono comunque coinvolte, a vario titolo, in attività di carattere internazionale16.

La Commissione Affari Esteri si muove su un filone che concerne le funzioni di controllo e di indirizzo della politica estera del Governo che appare “lo strumento principale a disposizione del Parlamento nell’esercizio della funzione di indirizzo in materia di politica estera”17. Queste si sostanziano nelle autorizzazioni alla ratifica (per via legislativa) di atti internazionali; nella discussione e approvazione di atti di indirizzo sulla partecipazione italiana ad iniziative internazionali, come le operazioni di pace; nella discussione o nello svolgimento di atti di indirizzo o di sindacato ispettivo, su temi di politica estera, affari europei e sicurezza internazionale; nelle audizioni dei rappresentanti del Governo, competenti in tali materie; nel controllo degli atti dell’esecutivo; nelle audizioni dei rappresentanti diplomatici ed istituzionali stranieri.

Si tratta di attività tipiche delle Commissioni, previste dalla Costituzione o dai regolamenti delle Camere, che rilevano solo indirettamente ai fini della politica estera del Governo18, che

Il testo del discorso è consultabile sul sito www.camera.it/resoconti/dettaglio_resoconto.asp?idSeduta=1&resoconto=stenografico&indice=alfabetico&tit=00090&fase=#sed0001.stenografico.tit00090.

15 Cfr. V. GUIZZI, La diplomazia parlamentare e la cooperazione tra parlamenti: la nuova dimensione internazionale del Parlamento italiano, in Divenire sociale e adeguamento del diritto. Studi in onore di Francesco Capotorti, Milano, 1999, p. 244. Inoltre, si veda il contributo di R. DICKMANN, Parlamento e Governo nella diplomazia parlamentare in Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo: l'esperienza dell'Italia, a cura di R. Dickmann e S. Staiano, Milano, 2008, p. 612.

16 Per approfondimenti si rinvia a F. ATTINÀ, Le Commissioni parlamentari affari esteri: una unità decisionale in politica estera, in Rivista italiana di scienza politica, n. 3, 1972, pp. 616-628; e al volume di A. CASSESE, Risultati del dibattito e proposte per un potenziamento del ruolo del Parlamento in politica estera, in Parlamento e politica estera, a cura di A. CASSESE, Padova, 1982. In particolare, i saggi di G. BERTOLINI, La Commissione Affari esteri del Senato, p. 3-43 e G. ABAGNALE, La Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati, p. 45-87. Si veda anche M.R. DE LEO, Rapporti tra Parlamento e Governo in politica estera, Bari, 1998, spec. 137-155.

17 Cfr. M.R. DE LEO, Impegni internazionali e rapporti tra Parlamento e Governo, in Amministrazione e politica, 1986, p. 63; si veda anche M.R. DE LEO, Rapporti tra Parlamento e Governo, cit., spec. 227-246.

12

comunque deve tenerne conto in applicazione del principio dì responsabilità politica che lo lega al Parlamento.

Quindi, tali attività internazionali delle commissioni rientrano nel rapporto fiduciario e non riguardano le iniziative di cooperazione interparlamentare in senso stretto, ma forniscono la base sulla quale gli stessi organi potranno esercitare tali attività19.

Una significativa differenza, rispetto agli incontri diplomatici in senso stretto, è evidente soprattutto nel caso in cui l’iniziativa viene svolta da una delegazione che include rappresentanti di più gruppi parlamentari. Infatti, pur concorrendo a rappresentare in modo formalmente unitario l’organo parlamentare, i singoli deputati possono esprimere, in occasione di tali eventi, le proprie posizioni politiche. Nell’ambito, invece, della diplomazia governativa la linea politica corrisponde necessariamente a quella della maggioranza di governo e ciascuna delegazione parla, in genere, “con una voce sole”.

In questo quadro, tutte le attività orientate a stabilire un contatto tra i Parlamenti (le missioni delle Commissioni o l’accoglienza dei parlamentari stranieri in visita) sia nel caso di incontri di cortesia che di studio, offrono la possibilità di scambi di idee su terreni di interesse comune, e di raccogliere una vasta gamma di informazioni utili.

Inoltre, le visite mettono i componenti delle delegazioni a diretto contatto con la realtà dei Paesi esteri e favoriscono la conoscenza di procedure di lavoro diverse e, sopratutto, di diversi modi di esercizio dei poteri parlamentari. Infatti, i membri delle delegazioni partecipanti agli incontri di studio danno in genere conto alla Commissione di appartenenza del lavoro svolto, con una relazione del capo delegazione, sulla base della quale la Commissione potrà svolgere un dibattito oppure approvare atti di indirizzo al Governo, su specifici aspetti rilevati nel corso degli incontri.

Quindi, il ruolo delle Commissioni parlamentari oggi è fondamentale, ma lo è stato ancora di più negli anni passati in quanto,

18 Cfr. R. DICKMANN, La “diplomazia parlamentare": esperienze, limiti, prospettive, in Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione, n. 1, 2005, p. 8.

19 Cfr R. DICKMANN, Parlamento e Governo, cit., p. 612. L’autore “esclude dalla

diplomazia parlamentare la attività previste dalla Costituzione e dai regolamenti delle Camere nell’espressione di funzioni parlamentari tipiche, quali l’esame dei progetti di legge di autorizzazione alla ratifica di atti internazionali; la discussione e l’eventuale approvazione di atti di indirizzo o di sindacato ispettivo su temi di politica estera, affari europei e sicurezza internazionale; le audizioni e le comunicazioni dei competenti rappresentanti del Governo in tali materie; il compimento di funzioni di controllo su atti del Governo concernenti tali competenze; la audizioni e gli incontri delle Commissioni con rappresentanti diplomatici ed istituzionali stranieri in Commissione”.

13

grazie alle missioni svolte, è stato possibile sviluppare contatti e iniziative utili al lavoro dei vari organi nei quali si articola il Parlamento. In altri casi, le Commissioni hanno anche compiuto attività di monitoraggio delle elezioni al fine di garantirne la regolarità20. Tali missioni rientrano nell’ambito dell’OSCE, che ha una sua struttura proposta a questo compito: l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR)21.

Questa funzione delle Commissioni si è sviluppata a partire dal 197222 quando, anche grazie ai vari strumenti di indirizzo e controllo previsti dai regolamenti del 1971, si è verificato un graduale recupero da parte delle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato dell’esercizio concreto delle loro competenze istituzionali. Nel 1972, con l’inizio della sesta legislatura, la Commissione esteri ha lavorato su tre direttrici: rivendicare la propria autonomia dalla Farnesina; assicurarsi fonti di conoscenza non mediate dal governo; esercitare un controllo sulla politica estera del governo. Queste direttrici sono state avviate, in quegli anni, dall’allora Presidente della Commissione esteri, Aldo Moro, e continuate dai successori Giulio Andreotti (luglio 1973-marzo 1974) e Carlo Russo (marzo 1974-giugno 1979)23.

2.3 Le delegazioni presso le Assemblee parlamentari internazionaliLe delegazioni parlamentari24 si caratterizzano per essere

“composte da membri del Senato e della Camera, eletti o nominati per adempiere, in via permanente, un autonomo mandato presso Assemblee di organizzazioni internazionali”25.

In realtà, in tale definizione rientrano, in primo luogo, le delegazioni parlamentari permanenti presso le Assemblee delle

20 L’ultima delle quali si è svolta il 4 novembre 2008 in occasione delle elezioni parlamentari e presidenziali in USA. I deputati partecipanti sono stati: Emerenzio Barbieri (PdL), Claudio D’Amico (LNP), Pierluigi Mantini (PD). Per gli altri monitoraggi si rinvia a www.camera.it/europ_rap_int/892/14789/documentotesto.asp.

21 Per maggiori informazioni si rinvia al sito www.osce.org/odihr.22 Cfr. E. ROGATI, I nuovi indirizzi della Commissione Affari esteri della Camera

dei Deputati, in Parlamento e politica estera, a cura di A. Cassese, Padova, 1982, p. 90.

23 Ibidem, p. 91. L’autore svolge una dettagliata analisi della svolta istituzionale registrata nel 1972.

24 Per un quadro più ampio sulle Delegazioni parlamentari, si rinvia a SENATO DELLA REPUBBLICA, Servizio Affari Internazionali, a cura di G. Baiocchi, Manuale delle delegazioni parlamentari internazionali, in Quaderni europei e internazionali, Senato della Repubblica, n. 1, 2005; T. MARTINES, G. SILVESTRI, C. DE CARO, V. LIPPOLIS, R. MORETTI, Diritto parlamentare, Milano, 2005, p. 136; V. DI CIOLO, L. CIAURRO, Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, Milano, 2003, p. 365.

25 Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, Manuale delle delegazioni, cit.., p. 1.

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organizzazioni internazionali: intese come organi collegiali bicamerali a carattere “duale”, la cui attività non si concreta nell’Assemblea di nascita ma nell’organizzazione internazionale nella quale la delegazione si innesta per andare a costituire, insieme alle altre delegazioni nazionali, il plenum dell’Assemblea26.

Tuttavia, le delegazioni parlamentari non sono solo quelle permanenti, ma anche quelle che nascono nell’ambito delle attività di cooperazione bilaterale, ad esempio i membri di una Commissione che si recano in missione in un Paese estero. Rientrano in questa accezione anche i gruppi di parlamentari, nominati entro una determinata Commissione permanente, che partecipano, con lo status di osservatori, a riunioni di Commissioni analoghe del Parlamento europeo o di altre Commissioni nazionali; infine, si parla di delegazioni anche nel caso delle Sezioni bilaterali di amicizia, costituite nell’ambito dell’Unione interparlamentare o al di fuori di essa, le quali prevedono le visite dei parlamentari membri dell’iniziativa.

Proprio in funzione di questa ampiezza concettuale, le delegazioni hanno assunto un ruolo importante nel processo che ha portato allo sviluppo delle attività internazionali delle Camere27. “Esse costituiscono una delle più tradizionali e consolidate articolazioni dell’attività del Parlamento italiano sul piano della diplomazia parlamentare, con funzione di rappresentanza e raccordo tra l’attività legislativa, di informazione e di monitoraggio svolta in sede internazionale e quella sviluppata in sede nazionale”28. La dimensione parlamentare delle istituzioni internazionali si compone, infatti, della somma delle delegazioni inviate dai Parlamenti nazionali dei relativi Stati membri29.

A fronte di ciò, i regolamenti di Senato e Camera non contengono una disciplina specifica su questi organi e sulle procedure di collegamento con il Parlamento30. Infatti, il lavoro delle delegazioni “spesso rimane estraneo anche a coloro che gravitano giornalmente nel mondo delle istituzioni”31. L’unico riconoscimento, seppur per via indiretta, si desume dagli artt. 143 reg. Sen. e 125 reg. Cam., nei quali

26 Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, Manuale delle delegazioni, cit.., p. 10.27 Cfr. C. DECARO, Appunti su alcune forme di coordinamento parlamentare a

proposito del ripensare lo Stato, in Ripensare lo Stato: atti del convegno di studi, Napoli, 22-23 marzo 2002, a cura di Silvano Labriola, Milano, 2003, p. 299.

28 Ibidem.29 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione, cit.., p. 685.30 Cfr. C. DECARO, Appunti su alcune forme, cit.., p. 301.31 Introduzione dell’ex Presidente del Senato, Marcello Pera, al volume edito dal

Senato della Repubblica, Manuale delle delegazioni, cit..

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viene sancita la possibilità che gli atti di indirizzo adottati dalle Assemblee internazionali, alle quali partecipano delegazioni parlamentari italiane, siano annunciati in aula e deferiti alle commissioni competenti.

Tale regolamentazione è, in gran parte, ricavata dalla disciplina predisposta per le Commissioni bicamerali32, in base alla quale ogni delegazione presenta una composizione paritetica di senatori e deputati, secondo una rappresentanza dei gruppi parlamentari strettamente proporzionale alla loro consistenza all’interno del Parlamento.

In realtà, il riconoscimento normativo non si basa soltanto sulle fonti interne (i regolamenti appunto) ma anche sugli atti internazionali, ossia i regolamenti delle Assemblee internazionali, che contengono tutte le norme disciplinanti l’azione dei membri della delegazione in quel dato consesso internazionale. Comunque, sul piano interno la disciplina è stata abbondantemente superata dal comportamento e dalla prassi delle delegazioni stesse, che non si limitano più a partecipare alle riunioni multilaterali, ma si considerano piuttosto organi permanenti alla stregua delle Commissioni parlamentari33. In ragione del “quid proprium” della diplomazia parlamentare attuata attraverso le delegazioni parlamentari internazionali, consistente nel carattere permanente e stabile della rappresentanza34.

In questa prospettiva, i nuovi compiti delle delegazioni riguardano: l’organizzazione di seminari, su tematiche di particolare interesse; gli incontri bilaterali con delegazioni di altri Paesi, per discutere su questioni di estrema attualità e concordare posizioni comuni; l’effettuazione di missioni specifiche presso le sedi delle organizzazioni internazionali.

Un punto cruciale dell’analisi delle delegazioni è rappresentato, come già accennato, dal carattere “duale” di questi organismi, ossia dal fatto che si tratti di “articolazioni interne a proiezione internazionale”35. Essi mettono in relazione, quindi, due profili: il primo, concerne nel fatto di porsi come emanazione del Parlamento nazionale; il secondo, invece, si concreta nella proiezione in un forum parlamentare internazionale, diverso da quello di nascita.

32 Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, Manuale delle delegazioni…, cit.., p. 1.33 Cfr. C. DECARO, Appunti su alcune forme, cit.., p. 301; G. BAIOCCHI, Profili e

missione…, cit.., p. 685.34 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione, cit.., p. 685.35 Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, Manuale delle delegazioni, cit., p. 7.

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Attualmente, la rappresentanza del Parlamento italiano, attraverso le delegazioni parlamentari presso le organizzazioni internazionali, è assicurata in cinque Assemblee: il Consiglio d’Europa, l’Unione dell’Europa Occidentale, la NATO, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e, infine, l’Iniziativa Centro Europea. In ognuna di queste Assemblee, il gruppo dei delegati italiani si innesta per contribuire a formarne il plenum, coerentemente con la doppia natura dell’organo nazionale. Altre due Assemblee internazionali, nelle quali le delegazioni italiane esercitano il loro mandato, sono l’Assemblea euro-mediterranea e l’Assemblea dell’Unione interparlamentare.

La nomina dei membri delle delegazioni prevede la ripartizione dei seggi tra senatori e deputati, seguendo il “metodo del quoziente”, applicato anche per la formazione delle Commissioni bicamerali. Sulla base di questa distribuzione, i Presidenti delle due Camere richiedono ai Presidenti dei gruppi parlamentari di designare i componenti. A questo punto l’iter segue percorsi differenti, a causa della natura delle delegazioni che prevede, per alcune, l’elezione dei membri in Assemblea e, per altre, la nomina presidenziale.

Le delegazioni presso il Consiglio d’Europa o l’Unione dell’Europa Occidentale devono ricevere l’investitura dell’Assemblea, e quindi il voto dell’Aula, in applicazione dei trattati istitutivi. Invece, le delegazioni presso le Assemblee della NATO, dell’OSCE e dell’INCE si costituiscono a seguito della sola nomina da parte dei Presidenti delle Camere.

Una procedura particolare è prevista per la nomina dei membri del Gruppo nazionale presso l’Unione interparlamentare. Infatti, in quest’ultima il Gruppo italiano è costituito da tutti i deputati e senatori eletti alle elezioni politiche nazionali (con la sola eccezione di coloro che dichiarino espressamente di non volerne far parte). Tra questi, l’Assemblea del Gruppo elegge, all’inizio della legislatura, il Comitato di presidenza, composto dal Presidente, da cinque Vicepresidenti e da un numero variabile di parlamentari in rappresentanza di tutti i Gruppi parlamentari di Camera e Senato.

Un elemento positivo, rispetto al funzionamento delle altre delegazioni, concerne il fatto che la delegazione del gruppo italiano ha anticipato la tendenza affermatasi in questa Legislatura per le delegazioni permanenti di creare una Segreteria unica per deputati e senatori36.

36 Per maggiori dettagli si rinvia alle conclusioni.

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3. La cooperazione parlamentare bilaterale

Fino a questo punto si è provato ad elaborare un quadro generale degli organi parlamentari coinvolti nelle attività di cooperazione interparlamentare a livello sia bilaterale che multilaterale.

Si proverà adesso ad inquadrare meglio le relazioni bilaterali del Parlamento italiano, ricorrendo ad un chiarimento preliminare37. Tali attività (come evidenziato nel par. 2.1) sono caratterizzati, in ogni fase, da una forte dose di politicità, anche nel caso in cui coinvolgano anche le amministrazioni parlamentari.

Infatti, la collaborazione tra i Parlamenti spesso nasce in occasione di visite bilaterali dei Presidenti di Assemblea, attraverso la firma di Protocolli di reciproca collaborazione, nei quali vengono predisposti azioni e progetti comuni che coinvolgono sia rappresentanti politici (scambio di visite, organizzazione di seminari, consultazione su temi da discutere in sedi internazionali), sia funzionari parlamentari (scambio di esperienze, institutions building)38.

A fronte di un numero consistente di incontri bilaterali occasionali, a diversi livelli, tra i rappresentanti della Camera italiana e quelli di altre Assemblee, nel corso delle ultime tre Legislature si è andata consolidando l’esigenza di definire e strutturare in maniera più compiuta le diverse tipologie di collaborazione parlamentare bilaterale, in modo da poter programmare lo svolgimento di lavori congiunti ed individuare le forme più idonee per realizzare gli obiettivi della collaborazione tra il Parlamento italiano, in particolare la Camera dei Deputati, e le Assemblee parlamentari dei Paesi esteri.

37 Per un quadro complessivo di tali attività si rinvia a: CAMERA DEI DEPUTATI, Servizio Rapporti Internazionali, L’attività internazionale della Camera dei deputati in ambito europeo e internazionale nella XIV Legislatura: i rapporti bilaterali, Documentazione di inizio Legislatura, XV Legislatura; CAMERA DEI DEPUTATI, Servizio Rapporti Internazionali, L’attività internazionale della Camera dei deputati in ambito europeo e internazionale nella XIV Legislatura, Documentazione di inizio Legislatura, XV Legislatura, spec. 17-80; CAMERA DEI DEPUTATI, Servizio Rapporti Internazionali, L’attività internazionale della Camera dei deputati nella XV Legislatura, Documentazione per l’attività internazionale, n. 14, aggiornato al 31 dicembre 2006, spec. 5-145. F. CINOGLOSSI, Lo sviluppo dei programmi di assistenza della Camera dei deputati agli altri Parlamenti, in Amministrazioneincammino, http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/site/_contentfiles/00016100/16114_Cinoglossi.pdf, p. 2 s.

38 Si vedano, a titolo d’esempio, gli Accordi di collaborazione con Iran (6 ottobre 1998), Russia (15 giugno 1999) e Romania (3 novembre 1998) nei quali sono previste attività “più” politiche: incontri regolari tra delegazioni e scambi di visite tra Commissioni; ma anche corsi di formazione per funzionari parlamentari e varie forme di cooperazione fra le amministrazioni delle due Assemblee.

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In questo quadro si inseriscono i Protocolli di collaborazione e i Programmi di assistenza ai Parlamenti. I primi, oltre a segnare un momento di alta intesa politica tra le due Assemblee (per questo motivo riflettono le direttrici impartite dal Presidente), pongono le basi per garantire stabilità ai rapporti bilaterali, trattandosi di forme di cooperazione permanenti39, finalizzate alla realizzazione di obiettivi predeterminati.

Nel corso delle ultime Legislature (XIII-XVI) la Camera italiana ha siglato 23 Protocolli (tab. 1)40 con Assemblee legislative diverse scelte sulla base, come detto, anche di motivazioni politiche (mi riferisco, ad esempio, agli Accordi con Iran, Russia e Turchia).

Il Protocollo prevede, di norma, la costituzione di apposite Commissioni o Gruppi di collaborazione parlamentare, composti da deputati e senatori designati dai rispettivi Presidenti di Assemblea. La presidenza di tali organi è affidata ai membri dell’Ufficio di presidenza, ai Presidenti di Commissione o ad altri parlamentari, cosi come viene stabilito nell’Accordo.

Ad oggi, i 23 Protocolli stipulati dalla Camera dei deputati hanno istituito 13 Commissioni di collaborazione bilaterale, le quali si riuniscono periodicamente e alternativamente presso una delle due Assemblee, per discutere di temi di comune interesse legati all’attualità politica e legislativa, sia interna che internazionale.

Il secondo strumento di cooperazione bilaterale tra Parlamenti riguarda i Programmi di assistenza amministrativa. Tali attività, da un lato, mirano a favorire il confronto con le Amministrazioni parlamentari omologhe (ad esempio con l’Assemblée nationale française o il Bundestag tedesco), dall’altro coinvolgono i Parlamenti in processi di institutions building, realizzati per favorire il consolidamento delle istituzioni dei nuovi Stati democratici, nati dopo la fine della Guerra Fredda o l’avvio dei processi di decolonizzazione.

Durante la XIII legislatura, la Camera dei deputati ha stipulato 13 Protocolli di cooperazione con Assemblee europee (Spagna; Lituania, membro UE dal 2004; e Romania, nell’UE dal 2007; dell’area del Mediterraneo (Tunisia, Algeria, Egitto e Marocco) del Medio Oriente e dell’area Russo-Caucasica (Iran, Georgia, Russia e Yemen) dell’Estremo-Oriente (Cina) e dell’Africa (Angola). Un numero estremamente consistente se si tiene conto dei Protocolli conclusi

39 Ibidem.40 Si tratta di Algeria, Angola, Brasile, Cile, Cina, Egitto, Filippine, Georgia,

Grecia, Iran, Lituania, Marocco, Messico, Portogallo, Romania, Russia, Spagna, Stati Uniti, Tunisia, Turchia, Uruguay, Venezuela e Yemen. Si veda la tab. 1. Maggiori dettagli su http://www.camera.it/europ_rap_int/892/14762/21008/documentotesto.asp.

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nella XIV legislatura (nove) e, soprattutto, nella XV (uno, con il Venezuela).

Protocolli di collaborazione

Leg. Stato Data

XIII

Spagna

Tunisia

Angola

Iran

Romania

Algeria

Egitto

Russia

Georgia

Marocco

Lituania

Yemen

Cina

2 ottobre 1997

7 ottobre 1997

2 luglio 1998

6 ottobre 1998

3 novembre 1998

18 febbraio 1999

10 marzo 1999

15 giugno 1999

6 luglio 1999

9 settembre 1999

3 novembre 1999

18 luglio 2000

28 gennaio 2001

XIV

Messico

Brasile

Filippine

Grecia

Portogallo

USA

Uruguay

Cile

Turchia

22 novembre 2001

18 febbraio 2002

25 marzo 2002

25 marzo 2002

5 dicembre 2002

9 dicembre 2002

28 gennaio 2004

1 giugno 2004

26 gennaio 2005

XV Venezuela 9 ottobre 2006

Tab.: 1. Fonte: Camera dei deputati

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Per quanto riguarda i Programmi di assistenza ai Parlamenti41, tra il 2001 e il 2008 la Camera ne ha avviati 34. Per lo più con i Paesi della regione asiatica (10), africana (8), latino americana (3), dell’Europa (10) e del Caucaso (3). Si tratta, come abbiamo già accennato, di attività di cooperazione amministrativa tra due Assemblee, che si concretizza attraverso scambi di esperienze, stage di funzionari e visite di studio42.

Programmi di cooperazione amministrativaStato Data Stato Data

Afghanistan 18-29/7/2005 Iraq 16/10/2006

Albania 10-12/10/2002 Lituania 3-4/07/2006

Angola 3/7/2006 Macedonia 19-23/05/2008

Armenia 2-4/6/2004 Mongolia 3/5-27/6/2004

Azerbaijan 27-28/2/2006 Montenegro 31/3-4/4/2008

Bolivia 14-15/3/2005 Mozambico 3/7/2006

Bosnia-Erzegovina 19-24/6/2005 Rep. Ceca 22/11/2007

Capo Verde 3/7/2006 Russia 31/10/2007

Cile 23/4-30/5/2006 São Tomé 3/7/2006

Cina 27/6/2006 Serbia 19-21/7/2004

Corea del sud 19/11/2003 Somalia 14-18/2/2005

Danimarca 23-25/9/2007 Sri Lanka 24/9/2007

Francia 4-7/6/2007 Thailandia 26/9/2006

Finlandia 12/1-8/5/2006 Timor est 3/7/2006

Germania 13/4/2005 Turchia 11/2007-11/2008

Giappone 15/1/2004 Uruguay 27-29/9/2004

Kenia 15-19/9/2003 Vietnam 7/12/2007

41 La tab. 2 riassume gli Accordi di cooperazione amministrativa tra l’Italia e i Paesi elencati. Sotto la voce “Data”, si indica la prima forma di cooperazione tra le due Assemblee.

42 Per la realizzazione di alcune iniziative di studio e di formazione, sono stati utilizzati moduli di collaborazione con altre Amministrazioni e Parlamenti di Paesi europei nel quadro di programmi comunitari, ma anche Agenzie delle Nazioni Unite, in relazione a programmi co-finanziati dal Governo italiano. In questo ambito si è sviluppata una crescente collaborazione con le Università e gli istituti di ricerca nonché con enti internazionalistici come la Società italiana per l’organizzazione internazionale (SIOI) e con organizzazioni internazionali come l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), l’Organizzazione internazionale di diritto dello sviluppo (IDLO), il Dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite (UNDESA).

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Tab.: 2. Fonte: Camera dei deputati

3.1 I Protocolli di collaborazione

3.1.1 Il Protocollo con l’Assemblea consultiva islamica dell’IranIl 6 ottobre 1998, il Presidente della Camera dei deputati, Luciano

Violante, e l’omologo iraniano, Ali Akbar Nateq Nouri, hanno firmato un Protocollo di cooperazione43 che prevede la formazione di un Gruppo interparlamentare e la collaborazione tra le Commissioni parlamentari e fra le amministrazioni delle due Assemblee. Inoltre, il 25 novembre 2000 in occasione di una visita del Presidente Violante a Teheran, il Protocollo è stato integrato da un Memorandum44 che auspicava un rafforzamento dei rapporti tra la Camera dei deputati e l’Assemblea consultiva islamica dell’Iran (Majlis)45.

Nonostante il protocollo prevedesse “almeno un incontro l’anno” la prima e unica riunione del Gruppo interparlamentare di collaborazione46 s’è svolta a Roma nel 2007. Al centro dei lavori di questo primo incontro: il traffico di droga nelle aree di confine con l’Afghanistan; la situazione nell’area Medio-orientale ed il ruolo dell’Unione Europea; la tutela dei diritti umani ed il rispetto delle diversità culturali.

Nel Protocollo, i due Presidenti ribadiscono l’importanza del Parlamento al fine di rafforzare la cooperazione e le relazioni tra i due Stati, ma anche la conoscenza tra i rispettivi popoli. In questo quadro rientra l’impegno (punto 1, lett. a del Protocollo) di organizzare seminari specifici su argomenti di comune interesse e di rafforzare la cooperazione tra gli organi parlamentari, soprattutto tra le Commissioni, le quali hanno effettuato numerose missioni in Iran, l’ultima dal 12 al 15 gennaio 200847 di una delegazione della Commissione esteri guidata dall’On. Umberto Ranieri.

43 Il testo del Protocollo è consultabile su http://www.camera.it/cartellecomuni/files/pdf/rin/protocolli/Iran_1998_it.pdf.

44 Il testo del Memorandum è consultabile su http://www.camera.it/cartellecomuni/files/pdf/rin/protocolli/Iran_2000_it.pdf.

45 Per un quadro istituzionale complessivo del Paese si rinvia a P. PETRILLO, Iran, Bologna, 2008.

46 La delegazione italiana era presieduta dall’On. Violante. Gli altri membri erano Emerenzio Barbieri (UDC), Nicola Bono (AN), Enrico Buemi (RnP), Fabio Evangelisti (IdV), Antonello Falomi (RC-SE), Osvaldo Napoli (FI), Gianluca Pini (LNP) e Jacopo Venier (Com. it.).

47 Cfr. CAMERA DEI DEPUTATI, Dossier di documentazione del Servizio Studi-Dipartimento affari esteri, Missione in Iran 12-15 gennaio 2008, n. 118, 2008.

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Ultimo elemento rilevante è l’accordo per lo scambio periodico di funzionari o di parlamentari per accrescere la conoscenza reciproca e, infine, lo scambio di giovani per la partecipazione a giornate di formazione sulle modalità di funzionamento delle due Assemblee e sul rapporto tra queste e la società civile.

Una maggiore cooperazione è stata sancita attraverso il Memorandum del 2000, nel quale i due Presidenti hanno ribadito l’impegno ad organizzare le riunioni del Gruppo interparlamentare, e soprattutto di facilitare gli incontri tra le delegazioni delle Commissioni, in particolare degli Affari esteri.

3.1.2 Il Protocollo con la Duma di Stato della Federazione russaIl 15 giugno 1999, a Mosca, il Presidente della Camera, Violante, e

l’omologo russo, Gennadij N. Zeleznev, hanno siglato un Protocollo48

che istituisce una Commissione parlamentare di collaborazione tra le due Camere (detta Grande Commissione) composta da un Presidente e dieci membri di entrambe le Assemblee, appartenenti alle Commissioni competenti ai temi preventivamente concordati (Punto 1, lett. A del Protocollo).

La Commissione, che si riunisce una volta l’anno, ha il compito di facilitare lo scambio di esperienze e il rafforzamento del dialogo attraverso lo sviluppo della cooperazione tra le due Assemblee e, segnatamente, tra le Commissioni italiane e i Comitati parlamentari russi; lo scambio periodico di funzionari parlamentari in settori di particolare interesse, al fine di migliorare la conoscenza delle attività parlamentari e del funzionamento delle amministrazioni parlamentari; e, infine, lo scambio di studenti italiani e russi per stimolare la conoscenza delle istituzioni e delle tradizioni dei due Stati.

Al Protocollo ha fatto seguito un Memorandum, sulla cooperazione tra l’Amministrazione della Camera dei deputati e quella della Duma di Stato russa, firmato a Mosca il 9 settembre 1999 dai Segretari generali Zampini e Troshkin. Il Memorandum definisce i compiti e le finalità del Protocollo, in relazione ai rapporti tra le due amministrazioni. Prevede che gli uffici delle due Assemblee preparino indagini e ricerche su determinati argomenti, dietro richiesta di uno dei due Paesi; viene garantito il libero accesso ai fondi documentali da parte dei funzionari parlamentari italiani e russi; si impegnano ad effettuare scambi di informazioni sul funzionamento delle strutture

48 Il testo del Protocollo è consultabile su http://www.camera.it/cartellecomuni/files/pdf/rin/protocolli/Federazione%20Russa_it.pdf.

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amministrative interne. Quelle elencate sono attività tipiche della cooperazione interparlamentare bilaterale, giustificate da una linea politica definita e caratterizzate da precisi impegni di carattere amministrativo.

Le attività della Grande Commissione, a differenza del Gruppo interparlamentare iraniano, proseguono con costanza. Infatti, dal 24 al 27 Novembre 2008 si è svolta a Roma e Milano la IX riunione49, incentrata sui temi del “Dialogo interculturale e interreligioso: principi etici e valori comuni nelle legislazioni”, “Il rapporto tra la Russia e l’Unione europea: prospettive di partenariato strategico e cooperazione nell’ambito degli organismi internazionali, sullo sfondo dei problemi congiunturali attuali, “Lotta al terrorismo internazionale, creazione di uno spazio unico europeo, politiche di contrasto all’immigrazione illecita”, “Nuove sfide per uno sviluppo sostenibile: politica energetica, qualità e sicurezza alimentare”.

Tra le altre attività, che potremmo definire di diplomazia parlamentare50: gli incontri bilaterali apicali a cui hanno partecipato i Presidenti della Camera. Da ultimo il Presidente Fini, che l’1 settembre 2008 ha incontrato a Tokyo il Presidente della Duma, Boris Gryslov, a margine della riunione dei Presidenti delle Camere dei Paesi del G8.

3.1.3 Il Protocollo con l’Assemblea nazionale turcaUn ultimo esempio concerne il Protocollo51, siglato il 26 gennaio

2005, tra la Camera dei deputati italiana e l’Assemblea nazionale turca. Anche in questo caso, i Presidenti delle due Assemblee, Pier Ferdinando Casini e Bǖlent Arinç, hanno stabilito una forma di cooperazione52 che spazia dalla discussione di temi di politica

49 Per la XVI legislatura la Grande Commissione è presieduta dall’on. Maurizio Lupi (PdL) ed è composta da Lorenzo Cesa (UDC), Claudio D’Amico (Lega Nord Padania), Ugo Lisi (PdL), Riccardo Migliori (PdL), Andrea Rigoni (PD), Marina Sereni (PD).

50 G. BAIOCCHI, Profili e missione…, cit.., p. 677. L’autore definisce le attività bilaterali a cui partecipano i Presidenti come “diplomazia parlamentare apicale”, mentre le attività multilaterali rientrano nella “diplomazia parlamentare multilaterale contingente o permanente”, in relazione alla stabilità o contingenza dei summit.

51 Il testo del Protocollo è consultabile su http://www.camera.it/cartellecomuni/files/pdf/rin/protocolli/Turchia_it.pdf.

52 Anche il Senato della Repubblica partecipa alle attività di cooperazione con le Assemblee russe, attraverso un Protocollo siglato a Mosca nel 1996. Nell’ambito di tale accordo, si è svolta a Roma, dal 28 ottobre al 1 novembre 2007, una visita di studio di una delegazione del Consiglio della Federazione dell’Assemblea russa. I funzionari della Camera alta del Parlamento russo hanno svolto incontri conoscitivi sulle procedure parlamentari e sulla struttura amministrativa del Senato della

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internazionale tra le delegazioni parlamentari, alla collaborazione tra gli organi delle due Assemblee.

Si prevede, infatti, che allo scopo di rafforzare il dialogo, la cooperazione e la conoscenza reciproca, i Presidenti debbano nominare un Alto rappresentate con il compito di coordinare le attività, tra le quali: l’organizzazione di una giornata parlamentare e lo scambio periodico di funzionari e studenti, al fine di diffondere la conoscenza delle istituzioni nazionali. Il Protocollo introduce anche un coordinamento in sede multilaterale tra le due delegazioni e, in particolare, nel quadro delle attività dell’Assemblea Parlamentare euro-mediterranea53.

Uno degli aspetti più interessanti della cooperazione tra le due Assemblee è, sicuramente, la cooperazione amministrativa. Infatti, nell’ambito del programma “Twinning”54, bandito dalla Commissione europea, la Camera dei deputati e l’Assemblea nazionale ungherese hanno ottenuto la titolarità del progetto, rivolto a parlamentari e funzionari dell’Assemblea Nazionale turca, che ha preso avvio a novembre 2007 e si è concluso a novembre dello scorso anno.

Il Progetto mirava ad offrire a funzionari e parlamentari turchi una maggiore conoscenza della struttura istituzionale europea e delle sue basi giuridiche ed economiche. Tale programma, completamente finanziato dalla Commissione europea, si componeva di diversi parti inerenti: l’organizzazione dell’ufficio rapporti comunitari; il procedimento legislativo; i contenuti della legislazione europea nei settori interessanti per la Turchia; l’organizzazione amministrativa delle strutture parlamentari. Su ciascuno di queste componenti si svolgono tre settimane di seminari: la prima di assessment, cioè di valutazione delle esigenze di formazione dei funzionari turchi; la seconda di seminari e discussioni sui temi stabiliti; quella finale,

Repubblica. In questa occasione, c’è anche stato un incontro tra la delegazione russa e la Commissione parlamentare antimafia durante il quale i funzionari russi sono stati informati circa le procedure di acquisizione documentaria, di audizione, di verifica delle norme di settore, seguite durante le loro attività dalle Commissioni parlamentari di inchiesta.

53Il Parlamento turco partecipa alla cooperazione nell’ambito del Partenariato euro-mediterraneo, della NATO, dell’OSCE, del Consiglio d’Europa ed è membro associato dell’UEO.

54 I progetti Twinning sono uno strumento dell’Unione Europea (creato nel 1998) per assistere i Paesi in via di adesione, i Paesi candidati e i Paesi potenziali candidati nel processo di Institution Building, ovvero nell’adeguamento amministrativo e normativo delle Amministrazioni nazionali all’acquis comunitario. La Commissione europea ha esteso il Programma anche a Stati diversi da quelli candidati all’adesione.

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invece, in cui vengono tirate le fila e si concordano le indicazioni che emergono dalle attività svolte.

In pratica, si trattava di organizzare un periodo di affiancamento, articolato in corsi, seminari e visite di studio, della durata di 12 mesi e diviso in venti moduli formativi di una settimana, spesso tenuti da funzionari della Camera italiana e dell’Assemblea ungherese, rivolti ad un uditorio di esperti e parlamentari.

Tra le altre attività, la delegazione turca, composta da circa venti parlamentari e funzionari, svolgeva visite di studio della durata di una settimana presso il Parlamento italiano e quello ungherese, oltre che dei Paesi membri dell’Unione Europea (il Parlamento danese, il Bundestag tedesco e l’Assemblea nazionale francese. Una di queste missioni si è svolta a Roma, presso la Camera, dal 21 al 24 luglio 2008: la delegazione era formata da 9 parlamentari e 12 funzionari ed è stata impegnata in una serie e di seminari incentrati sul sistema istituzionale turco ed italiano, sull’autonomia organizzativa del Parlamento, sui rapporti tra istituzioni parlamentari ed Unione europea e su economia e finanza pubblica.

Tutte queste iniziative sono avallate dal Presidente dell’Assemblea55 e coinvolgono anche i parlamentari. Si tratta, quindi, di progetti non rilevanti solamente sotto l’aspetto amministrativo, ma anche politico. Basti pensare al fatto che la stessa Unione Europea utilizza questo strumento amministrativo per avvicinare le legislazioni europee e, quindi, rendere più agevole l’ingresso dei Paesi candidati all’interno dell’UE.

A tal proposito, una Convenzione di gemellaggio è stata siglata nel 2006 anche dal Senato italiano e quello romeno. L’iniziativa, durata due anni (2005-2007), era finanziata dal programma comunitario PHARE con il proposito di migliorare la capacità amministrativa del Senato romeno per rendere più agevole l’ingresso della Romania nell’UE. La Convenzione prevedeva cinque attività a sostegno dell’amministrazione romena: le procedure e le strutture parlamentari; l’assistenza ai senatori; la gestione delle risorse umane e della documentazione del Senato, secondo le nuove tecnologie; l’assistenza alla Direzione delle relazioni internazionali e, in particolare, alla Divisione Affari europei. Il Senato italiano è stato coinvolto

55 A riprova di quanto affermato, il 31 ottobre 2008 il Presidente della Camera Fini ha svolto una visita ufficiale in Turchia (nel corso della quale ha incontrato il Presidente della Repubblica, Abdullah Gül, il Presidente della Grande Assemblea nazionale, Köksal Toptan, ed il Primo Ministro, Recep Tayyip Erdoðan) in concomitanza con il quarto seminario parlamentare italo-turco. Il Presidente Fini è anche intervenuto nel corso della cerimonia di chiusura del progetto.

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prevalentemente nelle attività relative all’informatizzazione56 delle procedure amministrative.

3.2 I Programmi di assistenza amministrativaIl secondo strumento di cooperazione tra i Parlamenti riguarda

l’attività di assistenza amministrativa alle istituzioni legislative dei Paesi coinvolti in processi di riforma costituzionale e di riassetto degli organi assembleari57.

Il Parlamento italiano, e segnatamente la Camera dei deputati, è impegnato in progetti di ricostruzione e assistenza in numerosi Stati dell’area africana, dell’America latina, dell’Asia e del Caucaso. Nelle pagine seguenti si farà un particolare riferimento ai Programmi in atto in Africa, Afghanistan e Iraq.

3.2.1 La cooperazione amministrativa con i Paesi dell’AfricaPer quanto riguarda i Paesi del continente africano, la Camera dei

deputati ha aderito ad una richiesta, avanzata nel settembre 2002 dalla Direzione generale della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari esteri, per la partecipazione al progetto “Strenghtening Parliaments Information Systems in Africa: a Regional Capacity-Building Iniziative”, promosso dal Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite (UNDESA58), per il rafforzamento dei sistemi informativi parlamentari, al quale partecipano le Assemblee di otto Paesi africani: Angola, Camerun, Ghana, Kenia, Mozambico, Uganda, Ruanda e Tanzania.

L’iniziativa, nata dopo la Giornata parlamentare Italia-Africa ospitata a Roma il 23 maggio 2002, è articolata in diverse fasi che riguardano: lo scambio di funzionari parlamentari e lo svolgimento di seminari e stage incentrati sul funzionamento e l’organizzazione delle attività amministrative delle Assemblee.

Tra i Paesi più impegnati ad utilizzare i fondi del programma (circa 4 milioni di Euro) vi sono Ghana e Kenya. Nel 2006, proprio in Ghana è stato inaugurato il centro internet del Parlamento, dotato di 19 postazioni informatiche. In Kenya, invece, la ristrutturazione delle

56 Per maggiori informazioni si rinvia a SENATO DELLA REPUBBLICA, Servizio Affari Internazionali, Il gemellaggio con il Senato romeno, 2007.

57 Cfr. R. DICKMANN, La "diplomazia parlamentare"…, cit.., p. 39.58 Tutte le informazioni sul progetto sono presenti sul sito www.undesa.it/. Il

“Centro globale per le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni nei Parlamenti”, è stata lanciata durante il Vertice mondiale sulla società dell’informazione (Tunisi, 16-18 novembre 2005).

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unità informatiche sta per essere completata. Intanto, una delegazione parlamentare è stata ospite della Camera per uno study tour.

Altre attività di cooperazione riguardano il Togo, i cui funzionari parlamentari sono stati protagonisti di stage di formazione incentrati sullo scambio di esperienze organizzative e sull’aggiornamento professionale; l’Algeria, per cui è previsto l’avvio di un programma di sostegno per l’Istituto di formazione e di studi legislativi dell’Assemblea e la creazione di una biblioteca parlamentare; e la Somalia, il cui Parlamento federale transitorio, istituito nel 2004, è oggetto di un Accordo che prevede l’assistenza tecnica ai funzionari parlamentari somali, attraverso la realizzazione in Italia di stage di formazione anche per i parlamentari, e la consulenza tecnica per la redazione del regolamento dell’Assemblea e per la creazione di un sito Internet.

3.2.2 La cooperazione amministrativa con Afghanistan e IraqUn altro fronte di collaborazione amministrativa interessa in modo

particolare Afghanistan e Iraq. Verso il Parlamento afgano, la Camera è intervenuta nel quadro dei

progetti sostenuti dalla Comunità internazionale per la ricostruzione post bellica del Paese59. Infatti, dal 2005 al 2007, ha partecipato al programma “Support to establishment of afghan legislature” (SEAL)60, promosso dal Governo di Kabul, dall’Unione interparlamentare, dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUD) e dal Fondo delle Nazioni Unite per le donne (UNIFEM), con il supporto di alcuni Paesi donatori (l’Italia ha contribuito con un milione di euro). Tra gli obiettivi del Programma SEAL, vi era l’assistenza alle donne elette nella nuova Assemblea afgana. Questa collaborazione si è delineata a seguito della missione di un gruppo di deputate italiane (maggio 2005) 61 e ha già portato ad un finanziamento per l’approvvigionamento idrico di due scuole femminili in un distretto della capitale afgana. In questo quadro, il ruolo dell’amministrazione della Camera è stato di fornire i mezzi per l’informatizzazione dei procedimenti amministrativi; effettuare il

59 Cfr. CAMERA DEI DEPUTATI, Dossier di documentazione del Servizio Studi-Dipartimento affari esteri, La situazione in Afghanistan, n. 93, 2007.

60 Tutte le informazioni sul progetto sono disponibili sul sito www.undp.org.af/WhoWeAre/UNDPinAfghanistan/Projects/dcse/prj_seal.htm.

61 La delegazione era guidata da Paola Manzini e composta dalle deputate: Monica Baldi, Giovanna Bianchi Clerici, Dorina Bianchi, Carla Castellani, Elettra Deiana, Anna Maria Leone, Elena Montecchi e Luana Zanella.

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training dei funzionari e predisporre un nuovo regolamento parlamentare.

L’ultimo Paese oggetto di questa breve disamina è l’Iraq. La Camera dei deputati è impegnata nel fornire assistenza al nuovo Parlamento iracheno e alle “istituzioni rappresentative” a livello locale e regionale. Nonostante la situazione delicatissima e notevolmente instabile, il percorso di formazione e radicamento delle istituzioni è andato avanti anche se con risultati discutibili.

L’impegno del Parlamento italiano ha comunque portato dei risultati. Infatti, il 16 ottobre 2006 è stato organizzato uno stage di formazione per una delegazione formata da amministratori locali, dirigenti pubblici, giuristi e da un parlamentare iracheno, nel quadro di un progetto di formazione della durata di due settimane e articolato in una serie di incontri con rappresentanti delle Istituzione europee ed italiane. L’iniziativa, giunta ormai alla terza edizione, è finalizzata a diffondere tra gli operatori nazionali iracheni la conoscenza delle istituzioni democratiche italiane ed europee.

4. La cooperazione parlamentare multilaterale sul piano globale

La cooperazione parlamentare multilaterale è basata, soprattutto, sulle attività delle delegazioni nazionali nell’ambito di Assemblee o organizzazioni internazionali. Si tratta della “più innovativa”62 forma di diplomazia parlamentare, attraverso la quale i parlamentari, riuniti in Gruppi o delegazioni, conducono le loro attività in modo indipendente dai Parlamenti nazionali, integrandosi nel contesto delle organizzazioni internazionali.

Tali attività trovano espressione in forme di cooperazione “contingenti” o “permanenti”63: le prime sono convocate per determinati motivi che si esauriscono con la riunione stessa. Si tratta degli incontri delle Commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali, delle Conferenze interparlamentari convocate, a titolo d’esempio, dall’Unione interparlamentare oppure dall’Assemblea euro-mediterranea, dei convegni organizzati su iniziativa di un’Assemblea nazionale64; rientrano poi nella locuzione “diplomazia parlamentare

62 G. BAIOCCHI, Working paper “Training on Parliamentary activity in a multilateral dimension”, in Senato della Repubblica, Servizio Affari Internazionali, Il gemellaggio con il Senato romeno, 2007, p. 129-134.

63 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione…, cit., p. 675.64 Due esempi di Conferenze tematiche organizzate dal Parlamento italiano sono:

la I Conferenza dei parlamentari di origine italiana nel mondo (Roma, 2000), alla

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multilaterale contingente”65 anche le Conferenze intergovernative tenute nell’ambito delle Nazioni Unite66 o dell’Organizzazione mondiale del Commercio, oppure le riunioni ministeriali dei Paesi del G8 o le sedute dell’Assemblea generale dell’ONU67.

In questi casi è consuetudine che il Presidente dell’Assemblea, su invito del Ministro degli Affari esteri e su indicazione del Presidente della relativa Commissione esteri, designi i componenti del “Gruppo” o “delegazione”, solitamente formato da tre senatori e tre deputati68.

I parlamentari vi partecipano in qualità di “osservatori”, con il compito di riferire alla Commissione in seduta plenaria sull’esito dei lavori, non essendo autorizzati a partecipare alla definizione della posizione governativa nell’ambito dell’iniziativa in questione. I delegati, infatti, prima della Conferenza e nell’ambito della Commissione di appartenenza, possono soltanto avviare un confronto con il Governo oppure approvare atti di indirizzo, comunque non vincolanti per l’esecutivo, se non in termini politici69. Inoltre, alla fine della Conferenza gli osservatori potranno richiedere tutte le informazioni sui lavori e, sulla base dei dati raccolti, riferire in Commissione, provocando in quella sede una verifica del rispetto degli indirizzi approvati e una valutazione sui risultati e sugli impegni assunti dal Governo70.

L’immissione di parlamentari in delegazioni governative, che partecipano ad incontri multilaterali organizzati dalle Nazioni Unite o da altre organizzazioni internazionali, si è verificato anche in occasione di Conferenze indette per la trattazione di tematiche specifiche e particolarmente rilevanti. È il caso della prima Conferenza ONU sull’ambiente, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, o

quale hanno partecipato 167 parlamentari di origine italiana e la Conferenza contro la pena di morte (Assisi, 2000).

65 Cfr. R. DICKMANN, La "diplomazia parlamentare"…, cit., p. 10. La definizione “diplomazia parlamentare multilaterale contingente” è di G. BAIOCCHI, Profili e missione…, cit., p. 682.

66 Mi riferisco, ad esempio, alle sessioni della Commissione ONU sui diritti umani.

67Alle Riunioni ministeriali dell’OMC si registra la partecipazione di osservatori parlamentari; mentre per quanto riguarda la dimensione parlamentare del G8, si registrano le riunioni dei Presidenti delle Camere basse degli otto Paesi membri, avviate su iniziativa della Presidenza della Camera dei deputati nel 2001, in occasione della presidenza italiana dello stesso G8; e alcune riunioni specializzate quali la Conferenza parlamentare internazionale sullo sviluppo dell’Africa (Edimburgo, giugno 2005).

68 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione…, cit., p. 675.69 Cfr. R. DICKMANN, La "diplomazia parlamentare"…, cit., p. 12.70 Cfr. R. DICKMANN, Parlamento e Governo, cit., p. 618.

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delle Conferenze ministeriali dell’OMC (svolte a Doha nel 2001 e a Cancun nel 2003); oppure delle Conferenze parlamentari del WTO e delle giornate parlamentari sull’alimentazione, organizzate contestualmente ai vertici della FAO.

Alcune Conferenze interparlamentari hanno riscosso notevole successo determinandone una strutturazione stabile71. Il motivo concerne la scarsa trasparenza dei vertici intergovernativi e il gap di democraticità nei processi di governo della globalizzazione.

Questa sostanziale mancanza di trasparenza è stata compensata, in parte, moltiplicando le sedi interparlamentari in cui dibattere i temi dei vertici e, appunto, nella relativa stabilizzazione di alcuni di essi.

Quindi le attività che si svolgono in seno al versante parlamentare degli organismi internazionali, ovvero la cosiddetta “diplomazia parlamentare multilaterale permanente”72, vengono poste in essere dalle delegazioni di ciascuno dei Parlamenti membri, designate per un arco di tempo coincidente con la durata della legislatura e secondo le modalità stabilite da ogni Assemblea.

Le delegazioni parlamentari permanenti, caratterizzate per la loro natura “duale”73 sono quelle che compongono le Assemblee di organizzazioni internazionali quali il Consiglio d’Europa, l’UEO, l’OSCE, l’INCE, la NATO; a queste si aggiungono le delegazioni presso l’Unione interparlamentare e l’Assemblea parlamentare euro-mediterranea74, le quali presentano un denominatore comune: l’assenza di un contraltare istituzionale intergovernativo; invece, la delegazione della COSAC75 si contraddistingue sia per il fatto che abbia un solido interfaccia governativo, sia perché è composta dai parlamentari (per prassi tre deputati e tre senatori) membri delle Commissioni Politiche dell’Unione europea76 di Camera e Senato e non della Commissione Affari esteri.

4.1 La dimensione parlamentare della NATO Tra le organizzazioni interparlamentari più importanti, a cui il

Parlamento italiano invia una delegazione, vi è l’Assemblea 71 Cfr. R. DICKMANN, La "diplomazia parlamentare"…, cit., p.13.72 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione…, cit., p. 685.73 Si rinvia al par. 2.3.74 Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, Manuale delle delegazioni parlamentari…,

cit., p. 11.75 Per maggiori informazioni si rinvia a D. A. CAPUANO e C. FASONE, La

Conferenza degli organismi europei specializzati negli affari comunitari (COSAC): evoluzioni e prospettive, in Quaderni europei e internazionali, Senato della Repubblica, Servizio Affari Internazionali, in corso di pubblicazione.

76 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione…, cit., p. 690.

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parlamentare della NATO77. Si tratta di un consesso non esplicitamente previsto dal Trattato di Washington del 1949, che ha istituito l’Organizzazione78. Il Trattato, infatti, istituisce un’Alleanza di difesa, nei termini previsti dall’art. 51 dello Statuto dell’ONU, basata soltanto su una dimensione governativa79.

L’idea di un’Assemblea indipendente dalla dimensione intergovernativa, in seno alla quale i parlamentari dei Paesi NATO potessero discutere sulle questioni di particolare delicatezza, ha visto la luce all’inizio degli anni ’50 con l’obiettivo di realizzare “un’Alleanza di natura fondamentalmente politica”, come è scritto nel Preambolo della Carta di Washington. La prima Conferenza interparlamentare si è svolta il 18 luglio 1955, a Parigi. Nel 1968 ha assunto la denominazione di “Assemblea parlamentare dell’Atlantico del Nord” e, con la dichiarazione sulle relazioni atlantiche, sottoscritta a Bruxelles il 26 giugno 1974 dai Capi di Stato e di Governo, le è stato riconosciuto uno speciale status giuridico80. Infine, nel giugno 1999, ha nuovamente modificato la sua denominazione, assumendo quella attuale di “Assemblea parlamentare della NATO”.

Attualmente, essa “costituisce il punto di raccordo tra le istanze governative che operano in seno all’Alleanza atlantica ed i Parlamenti nazionali, favorendo, attraverso il confronto interparlamentare, lo sviluppo della solidarietà atlantica”81.

Le basi della cooperazione tra la dimensione intergovernativa e quella parlamentare della NATO, rappresentata dall’Assemblea, sono state gettate nel novembre 1967, quando, in una risoluzione del Consiglio dell’Atlantico del Nord, è stato deciso che si stabilissero

77 Per un’analisi dettagliata si rinvia a SENATO DELLA REPUBBLICA, Servizio Affari Internazionali, L’Assemblea parlamentare della Nato, in Quaderni europei e internazionali, Senato della Repubblica, n. 6, 2006.

78 Il Trattato del Nord Atlantico, firmato a Washington il 4 aprile 1949, rappresenta la base giuridica della NATO. I Paesi fondatori sono: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Stati Uniti. L’Italia ha ratificato il Trattato con la legge 10 agosto 1949, n. 465.

79 Per approfondimenti relativi alla dimensione governativa, si rinvia a SENATO DELLA REPUBBLICA, Servizio Affari Internazionali, Dal dialogo alla partnership: la sicurezza nel Mediterraneo e la Nato, in Quaderni europei e internazionali, Senato della Repubblica, n. 2, 2005, spec. 3-28; SENATO DELLA REPUBBLICA, L’Assemblea parlamentare. cit., spec. 1-38; J. RUPÉREZ, Asamblas parlamentarias y diplomacia: la OSCE y la OTAN, in Politica exterior, n. 13, Verano/Otoño, 1999, spec. 37-45; J. LINDLEY-FRENCH, The North Atlantic Treaty Organization: the enduring alliance, London, 2007, spec. 56-85.

80 Cfr. M. DE DOMINICIS, Le delegazioni parlamentari elettive presso le Assemblee internazionali, in Il Parlamento italiano, vol. 23, Milano, 1993, p. 172.

81 Cfr. R. DICKMANN, La "diplomazia parlamentare"…, cit., p. 30.

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relazioni di tipo informale tra i due organi. A partire da questa decisione “politica”, il Segretario generale della NATO, previa consultazione con il Consiglio Atlantico, dà seguito a tutte le risoluzioni che l’Assemblea adotta ed invia alla NATO.

Il compito principale dell’Assemblea, sancito nel preambolo al Regolamento adottato a Copenaghen nel novembre 2005, riguarda il dialogo parlamentare tra la NATO e le Assemblee dei Paesi membri. Una funzione di ponte che permette alla NATO di prendere conoscenza delle opinioni dei parlamentari e dell’opinione pubblica sulle questioni fondamentali dell’Alleanza e fornisce, anche attraverso le proprie deliberazioni, indicazioni precise degli orientamenti politici espressi dai Parlamenti di tutti i Paesi dell’Alleanza82. In questo quadro l’Assemblea interviene indirettamente, ma in modo comunque rilevante, nell’elaborazione della linea politica dell’Alleanza.

Una modifica delle finalità è avvenuta alla fine della Guerra Fredda, quando la NATO ha aperto i suoi confini ai Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, appartenenti al Patto di Varsavia. Infatti, l’Assemblea da allora ha cercato di facilitare lo sviluppo della democrazia parlamentare nell’area euro-atlantica, attraverso: l’integrazione dei parlamentari dei Paesi non-NATO nei lavori dell’Assemblea e forme particolari di assistenza ai Parlamenti che desiderano aderire all’Alleanza.

In questo quadro, la condizione di autonomia giuridica e politica dell’Assemblea rispetto all’Alleanza è stata una chiave importante, insieme all’adattabilità e alla flessibilità, in quanto ha facilitato i contatti tra i leader parlamentari dei Paesi di nuova democrazia, legami che hanno poi reso più agevole il dialogo che la NATO ha avviato con i vari Governi. Tale condizione di separatezza e di indipendenza giuridica dell’Assemblea rimane un punto fermo, anche se sono aumentati i momenti di contatto tra la dimensione parlamentare e quella governativa, ad esempio in occasione delle riunioni annuali. Infatti, alle due sessioni annuali, in primavera (durante la quale le Commissioni esaminano i primi progetti di rapporto e, in genere, non adottano documenti) e in autunno (al termine della quale l’Assemblea adotta, a maggioranza semplice, raccomandazioni, risoluzioni, pareri e direttive che sono trasmesse ai Governi, ai Parlamenti nazionali e al Segretario Generale della NATO), si aggiunge la riunione annuale di febbraio. In questa occasione la Commissione permanente (l’organo più importante dell’Assemblea) si confronta con il Consiglio Atlantico. Una riunione

82 Cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, L’Assemblea parlamentare…, cit., p. 48.

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che consente ai parlamentari di approfondire le principali questioni all’ordine del giorno del Consiglio Atlantico, in presenza degli ambasciatori dei Paesi membri.

Alle sessioni dell’Assemblea partecipano delegazioni dei Parlamenti nazionali che possono comprendere da un minimo di tre ad un massimo di 36 parlamentari, in proporzione alla popolazione dei Paesi membri, per un totale di 248 delegati83.

Dal 1989 ai lavori partecipano anche rappresentanti dei Parlamenti dei Paesi dell’Unione Europea e dell’Europa centro-orientale, cui è attribuito lo status di membri associati. I Paesi associati attualmente sono 16 e, nel 2004, è stata istituita una nuova categoria di membri: “i membri associati del Mediterraneo”, ad oggi composta da Algeria, Giordania, Israele, Marocco e Mauritania.

La delegazione italiana è composta da 18 parlamentari (divisi a metà tra deputati e senatori), nominati dai Presidenti di Camera e Senato previa designazione dei Presidenti dei gruppi parlamentari, con un mandato che ha durata pari alla legislatura84.

Il Regolamento dell’Assemblea prevede che i componenti della delegazione siano membri dei rispettivi Parlamenti nazionali e, inoltre, introduce un caso si incompatibilità riservato ai parlamentari con incarichi di Governo.

Gli organi dell’Assemblea, previsti dal regolamento (artt. 5-14) sono il Presidente, l’Ufficio di Presidenza e le Commissioni. Il Presidente è eletto al termine della sessione annuale, per la durata di un anno, rinnovabile una sola volta. La prassi prevede una rotazione biennale della Presidenza fra i diversi Gruppi politici, quindi ogni due anni un Gruppo esprime il candidato da sottoporre al voto dell’Assemblea, la quale procede al voto per acclamazione se vi è un solo candidato, altrimenti con scrutinio segreto. Il regolamento assegna al Presidente il compito di garantire il corretto andamento dei lavori dell’Assemblea e delle Commissioni. Il Presidente dell’Assemblea presiede l’Ufficio di Presidenza, composto da cinque

83 L’attuale numero di componenti è stato elevato nel 2004 in seguito all’ingresso nella NATO di sette nuovi Paesi.

84 Nel caso della delegazione presso l’Assemblea parlamentare della NATO, l’art. 11 del reg. dell’Assemblea richiede a ogni delegazione nazionale di nominare un proprio membro e un suo sostituto in seno alla Commissione permanente. La prassi che si è affermata prevede la nomina del Capo-delegazione come membro della Commissione e, di contro, la designazione del suo sostituto in Commissione, quale vice-presidente della delegazione stessa. In questo quadro, ci si trova di fronte alla prefigurazione di un Ufficio di presidenza predisposto indirettamente dall’organismo internazionale.

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vice presidenti e un tesoriere. Esso si riunisce tre volte l’anno, prima delle riunioni della Commissione permanente.

L’organo direttivo dell’Assemblea è, come si è accennato, la Commissione permanente, costituita dai Presidenti delle delegazioni nazionali, dal Presidente e dai cinque Vice Presidenti dell’Assemblea, dal tesoriere e dai Presidenti delle cinque Commissioni. I compiti della Commissione permanente sono: di predisporre il lavoro dell’Assise; esaminare ed approvare il bilancio annuale e le questioni finanziarie, prima che siano presentate all’Assemblea per l’adozione finale; coordinare l’attività delle Commissioni, suggerendo temi di studio e approfondimento; nominare il Segretario generale dell’Assemblea; istituire sottocommissioni su temi specifici; assicurare le relazioni con le delegazioni associate; adoperarsi per l’applicazione delle risoluzioni e raccomandazioni dell’Assemblea. La Commissione, quindi, svolge un ruolo fondamentale, anche se negli ultimi anni vi sono state delle difficoltà derivanti dall’allargamento della NATO del 2004 e dal conseguente ampliamento della sua composizione. Ogni delegazione ha diritto ad un voto, tranne nei casi in cui la decisione comporta nuove spese, allora si adotta un sistema di voto ponderato sul contributo nazionale al bilancio dell’Assemblea.

Oltre al Presidente, all’Ufficio di Presidenza e alla Commissione permanente, vi sono le Commissioni. Esse rappresentano l’ossatura centrale dell’Assemblea NATO. L’art. 31 del reg. Ass. NATO istituisce cinque Commissioni permanenti85 e prevede la possibilità di crearne di nuove, mentre l’art. 30 del reg. stabilisce la quota di posti assegnata alle singole delegazioni in ogni Commissione86.

Nell’ambito dell’Assemblea NATO operano anche altri organi. Tra questi vi è il Gruppo speciale sul Mediterraneo, istituito nel 1996, con il compito di seguire le problematiche relative alla sicurezza del Mediterraneo e di proporre, creare e approfondire il dialogo parlamentare con i Paesi della sponda sud; la Commissione parlamentare permanente NATO - Assemblea federale russa, che si riunisce nel formato “26 + 1”, in occasione delle varie Sessioni; il Consiglio interparlamentare NATO-Ucraina, che si riunisce due volte l’anno; e, infine, i Seminari Rose-Roth, istituiti nel 1990 allo scopo di

85 Le cinque Commissioni sono: I) la Commissione sulla dimensione civile della sicurezza, II) la Commissione difesa e sicurezza, III) la Commissione economica e sicurezza, IV) la Commissione politica, e V) la Commissione scientifica e tecnica.

86 La delegazione italiana (come quella francese, inglese e tedesca) dispone di 4 seggi nella II Commissione (difesa e sicurezza), nella III (economia e sicurezza) e nella IV (politica), mentre ha 3 delegati nella I (dimensione civile della sicurezza) e nella V Commissione (scientifica e tecnologica).

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rafforzare lo sviluppo delle democrazie parlamentari in Europa centrale e orientale, utilizzando l’Assemblea come veicolo per l’assistenza e la cooperazione interparlamentare.

4.2 L’Assemblea parlamentare dell’OSCENei primi anni Settanta le conferenze della Unione

interparlamentare sulla cooperazione e la sicurezza in Europa avevano anticipato sul versante parlamentare la dinamica del processo di Helsinki87 e tra il 1973 e il 1990, una volta decollata la cooperazione in ambito intergovernativo, “le riunioni dei rappresentanti parlamentari dei Paesi europei sono state una costante”88.

La creazione dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE è stata promossa dai Governi degli Stati firmatari della Carta di Parigi del 1990. Tale incoraggiamento portò all’organizzazione della riunione preliminare di Madrid, il 2 e 3 aprile 1991, quando i rappresentanti dei Parlamenti dei Paesi OSCE adottarono la risoluzione istitutiva dell’Assemblea89. Tentando di osservare anche per la dimensione parlamentare dell’organizzazione un criterio di semplicità strutturale che informa gli altri organi politici dell’OSCE90, sono state stabilite in quella sede le regole sulla composizione e il funzionamento.

Esso, infatti, prevede che l’Assemblea (composta da 320 delegati, nominati dai Parlamenti dei 56 Stati membri, ripartiti tenendo conto della popolazione residente nello Stato e del suo contributo al bilancio dell’OSCE)91 è costituita di diversi organi: l’Ufficio di presidenza, la Commissione permanente e le tre Commissioni generali.

L’Ufficio di presidenza (composto dal Presidente d’Assemblea, dal Presidente onorario, dai nove Vicepresidenti, dal Tesoriere e dai membri degli Uffici di presidenza delle tre Commissioni generali, per

87 La nascita dell’OSCE (prima CSCE) risale alla firma dell’Atto di Helsinki nel 1975 da parte dei Capi di Stato e di Governo di 33 Paesi. L’Atto includeva al suo interno gli accordi raggiunti rispetto a tre settori (o cesti): disarmo e sicurezza; cooperazione economica, scientifica e ambientale; cooperazione culturale e umanitaria. Il momento di svolta nella storia della CSCE si può identificare nel Vertice di Parigi (20-21 novembre 1990) e il Vertice di Budapest del 1994 quando si è deciso di cambiarne il nome dell’organizzazione, da CSCE a OSCE.

88 Cfr. M. A. MARTÍNEZ, cit., p. 1387.89 La prima sessione ufficiale dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE ha avuto

luogo a Budapest nel luglio del 1992.90 Il requisito della semplicità strutturale non si è inverato poi nell’organizzazione

interna dell’Assemblea, che oggi, a confronto con quella dell’UEO o del Consiglio d’Europa, consta di molti più organi, anche individuali.

91 Nel consesso siedono anche gli osservatori, i quali partecipano ai lavori dell’Assemblea senza di diritto di intervento, a meno che non siano espressamente invitati a prendere la parola dal Presidente.

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un totale di 21 membri, 20 dei quali votanti) sovraintende alla programmazione dei lavori per la riunione invernale, per la sessione plenaria e per la riunione autunnale, garantisce l’implementazione delle decisioni assunte dalla Commissione permanente e dall’Assemblea e, dal 2006, approva il rendiconto finanziario annuale92. Il Presidente dell’Assemblea, eletto nell’ultima seduta della sessione annuale, per prassi non vota e se intende partecipare a una discussione abbandona il suo scranno, facendosi sostituire da uno dei Vicepresidenti, fino al termine del dibattito, quando può tornare a ricoprire la sua posizione93. Egli, inoltre, convoca le sedute del Bureau di sua iniziativa o su richiesta di due terzi dei membri dell’organo.

La Commissione permanente è composta dal Presidente, i Vicepresidenti, il Tesoriere, i Capi delegazione e i Presidenti delle Commissioni generali. Essa è il vero organo decisionale del consesso: può deliberare sia per conto dell’Assemblea che di propria iniziativa; può indirizzare risoluzioni al Consiglio dei ministri OSCE e per prassi approva, in luogo della plenaria, il bilancio e le modifiche al regolamento che il Comitato speciale appositamente nominato le sottopone; può istituire Comitati ad hoc, dei quali determina la composizione e il mandato; assicura la continuità dei lavori del collegio durante l’intervallo tra una sessione e l’altra. Una particolarità concerne il diritto di voto94, che non è attribuito a tutti i suoi componenti Infatti, i membri del Bureau presenti nell’organo possono prendere parte alle votazioni solo se siedono in qualità di rappresentanti della delegazione di appartenenza.

Un ultimo accenno alle tre Commissioni generali95, le quali agiscono in sede referente su tutte le questioni all’esame dell’Assemblea. Ogni parlamentare prende parte ai lavori di una

92 Il bilancio, al contrario del rendiconto, non è approvato dall’Ufficio di Presidenza ma dalla Commissione permanente, ritenendo che la decisione sulle spese da autorizzare debba essere legittimata dall’organo nel quale sono rappresentate tutte le delegazioni nazionali e, quindi, tutti Parlamenti finanziatori.

93 Un’eccezione è costituita dalla votazione del Presidente nell’Ufficio di Presidenza. Le decisioni in quest’organo devono essere prese a maggioranza e in caso di parità, il Presidente dispone di un voto determinante.

94 Nella Commissione permanente il sistema di voto è il “consenso meno uno”, sulla scorta del meccanismo in vigore all’interno del Consiglio dei ministri OSCE. In questo, regola del consensus è stata temperata dalla previsione secondo cui l’opposizione di uno Stato membro alla deliberazione non impedisce la formazione della volontà dell’organo.

95 Si tratta della Commissione generale per gli affari politici e la sicurezza, la Commissione per gli affari economici, la scienza, la tecnologia e l’ambiente, la Commissione per la democrazia, i diritti dell’uomo e le questioni umanitarie.

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Commissione, su indicazione della stessa delegazione e previa ratifica delle proposte da parte della Commissione permanente o del Bureau in modo da garantire una suddivisione equilibrata dei propri rappresentanti secondo le inclinazioni politiche. In Commissione, ogni delegazione dispone di tanti voti quanti sono i suoi membri di diritto nell’organo, il voto è espresso su base nazionale e le deputazioni numericamente più consistenti, se coalizzate, hanno da sole il potere di determinare l’adozione dell’atto.

Per quanto riguarda le attività, vi sono tre momenti principali: la riunione invernale, la sessione annuale ordinaria, e la riunione autunnale (ufficializzata dall’ultima riforma del regolamento nel novembre 2006).

Durante la riunione invernale sono convocate la Commissione permanente e le Commissioni generali (art. 12 reg.). In questa circostanza i Relatori generali elaborano le proprie relazioni e i progetti di risoluzione, il cui testo viene distribuito alle delegazioni nazionali in modo che i parlamentari abbiano la possibilità di presentare eventuali emendamenti prima che su di esso deliberi la Commissione competente96.

La sessione annuale ordinaria dell’Assemblea ha luogo una volta all’anno nei primi giorni di luglio ed è organizzata dal Parlamento dello Stato membro che ospita l’evento (art. 12 reg.). Durante la sessione si svolgono le sedute delle Commissioni generali e la riunione del plenum che approva la dichiarazione finale97. L’ordine del giorno della sessione plenaria annuale può essere integrato mediante l’iscrizione, accanto ai progetti di risoluzione, di argomenti supplementari. Gli emendamenti ai progetti di risoluzione (o ad argomenti supplementari) vengono dichiarati ammissibili dal Presidente di Commissione. Dopo l’adozione da parte delle Commissioni a maggioranza dei voti espressi, i progetti di risoluzione sono deferiti all’Assemblea. La votazione in Assemblea è individuale ed è espresso per alzata di mano. I progetti di risoluzione e gli argomenti supplementari sono adottati a maggioranza dei voti espressi. Il procedimento deliberativo, tuttavia, non si conclude qui: il

96 Le Commissioni generali, infatti, deliberano sui progetti di risoluzione soltanto nella sessione di luglio.

97 Dal 1991 ad oggi hanno avuto luogo 17 sessioni annuali ordinarie, rispettivamente, a Madrid (1991), a Budapest (1992), a Helsinki (1993), a Vienna (1994), a Ottawa (1995), a Stoccolma (1996), a Varsavia (1997), a Copenaghen (1998) a San Pietroburgo (1999), a Bucarest (2000), a Parigi (2001), a Berlino (2002), a Rotterdam (2003), a Edimburgo (2004), a Washington (2005), a Bruxelles (2006), a Kiev (2007) e ad Astana (2008). La prossima sessione si svolgerà a Vilnius dal 29 giugno al 3 luglio 2009.

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Presidente d’Assemblea convoca un Comitato di drafting, formato da un membro di sua nomina e dai rappresentati delle tre Commissioni designati dai rispettivi Uffici di presidenza, per coordinare tra loro i testi delle risoluzioni approvate e per elaborare la Dichiarazione finale della sessione, che, infine, è sottoposta al voto del plenum.

Infine, vi è la riunione autunnale nel corso della quale sono convocate la Commissione permanente, le conferenze interparlamentari tematiche, a cui partecipano membri dell’Assemblea OSCE, esperti internazionali in materia e autorità nazionali, e il Forum mediterraneo98.

Un ultimo cenno riguarda le relazioni dell’Assemblea con il Consiglio dei ministri OSCE (art. 41 del regolamento). I membri del Consiglio possono assistere e prendere la parola alle sedute dell’Assemblea e dei suoi organi. Reciprocamente, il Presidente d’Assemblea è invitato alle riunioni del Consiglio, in occasione delle quali può intervenire rappresentando la posizione del collegio che sovraintende. Infine, ogni delegato può rivolgere per iscritto delle domande al Presidente di turno del Consiglio, ad altri membri dell’organo o ai vertici delle istituzioni OSCE. Tuttavia, non è precisato se sussista un obbligo di risposta in capo al ricevente e se vi sia un termine anche solo ordinatorio per la replica.

4.3 Il Partenariato euro-mediterraneoIl “dialogo parlamentare”, come elemento fondante del

Partenariato euro-mediterraneo, nasce a Palermo nel novembre 1996, in occasione di un incontro tra il Presidente dell’Assemblea francese, Seguin, greca, Kaklamanis, spagnola, Trillo Figueroa, e italiana, Violante. Successivamente, i Presidenti dei Parlamenti del Mediterraneo si sono incontrati ad Atene (luglio 1997), e nuovamente a Palermo (giugno 1998) per definire il ruolo dei Parlamenti nello sviluppo dell’area99.

Da allora, le iniziative che nel corso degli anni sono state finalizzate, con risultati differenti, allo sviluppo della dimensione parlamentare del Mediterraneo sono numerose. Su tutte, il Forum

98 A quest’ultimo consesso, riunitosi per la prima volta nel 2001, prendono parte rappresentanti dell’Assemblea OSCE, potenzialmente anche tutti i suoi componenti, e delegati dei Parlamenti nazionali degli Stati mediterranei partner dell’organizzazione. Il Forum, che dura una sola giornata, va ad aggiungersi quale istanza di cooperazione interparlamentare a quelle già esistenti e numerose, impegnate nel dialogo tra le sponde del Mediterraneo.

99 Punto 5 del Programma d’azione approvato dai Paesi firmatari della Dichiarazione di Barcellona. Consultabile su www.ec.europa.eu/external_relations/euromed/bd.htm#5.

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parlamentare euro-mediterraneo, poi trasformatosi nell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea (APEM) e la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euro-mediterranei; ma vi sono anche il Dialogo parlamentare del Mediterraneo occidentale (Dialogo 5+5); il Forum euro-mediterraneo delle donne parlamentari; e il Dialogo parlamentare fra le antiche civiltà mediterranee.

La Conferenza euro-mediterranea di Barcellona del 1995 sottolinea la necessità di consolidare i rapporti tra le istituzioni dei Paesi coinvolti nel Processo, in primo luogo a livello parlamentare. Il compito di avviare, agevolare e sviluppare questa cooperazione tra le Assemblee viene affidato al Parlamento europeo100, il quale, nel 1997, riunisce a Strasburgo le delegazioni dei Parlamenti euro-mediterranei. In quell’occasione, i delegati accolgono la volontà manifestatasi a Barcellona, ponendo le basi della dimensione parlamentare del Partenariato, attraverso la creazione del Forum parlamentare euro-mediterraneo, che si riunisce per la prima volta a Bruxelles nel 1998101

e a cui partecipano i rappresentati del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali dei Paesi europei e non europei, membri del Partenariato. Al centro delle riflessioni sancite dalle Dichiarazioni approvate alla fine dei Forum, vi sono alcune tematiche ricorrenti, quali il problema delle migrazioni, il dialogo interculturale tra le due rive del Mediterraneo e la pacificazione della regione102. Questioni affrontate, soprattutto, durante la terza riunione (Bruxelles novembre 2001) convocata dopo gli attentati terroristici di New York e Washington D.C. 103. L’11 settembre 2001 costringe i Paesi europei a prendere coscienza del fatto che bisogna rafforzare la cooperazione tra i Parlamenti mediterranei rendendola più efficace. In questo senso, provano a superare la diversità di vedute sulla struttura dell’Assemblea, che in quegli anni ha impedito di raggiungere

100 L’iniziativa trova un precedente importante nella “risoluzione sulla costituzione di un’Assemblea mediterranea”, approvata dal Parlamento europeo il 6 maggio 1994 e pubblicata sulla G.U. n. C 205 del 25/07/1994 p. 0525.

101 Il testo della Dichiarazione è consultabile su www.europarl.europa.eu.102 In particolare la Dichiarazione finale del Forum della III riunione straordinaria

del Forum parlamentare euro-mediterraneo che ha avuto luogo a Bruxelles l’8 novembre 2001. Nel testo l’attenzione viene centrata su due questioni fondamentali: la pacificazione del Medio Oriente e quindi del Conflitto Arabo-Israeliano, con indicazioni precise per la ripresa dei negoziati; in secondo luogo il “rafforzamento del dialogo interculturale e del Partenariato socioeconomico tra i partner euro-mediterranei per respingere il tentativo di identificare l’Islam con il terrorismo”. Il testo della Dichiarazione finale è consultabile sul sito www.europarl.europa.eu.

103 Il testo della Dichiarazione finale è consultabile sul sito www.europarl.europa.eu.

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un’intesa sul regolamento. Durante il IV Forum (Bari 2002) 104, i parlamentari, sulla base di una risoluzione del Parlamento europeo105, danno mandato a un gruppo di lavoro ad hoc di stabilire le tappe per la costituzione dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea. La conversione del Forum in Assemblea viene approvata durante la V Conferenza ministeriale euro-mediterranea (Valencia 2002) e riconosciuta, come istituzione del Partenariato stesso, dalla Conferenza dei Ministri degli esteri dei Paesi euro-mediterranei di Napoli (dicembre 2003).

L’accordo istitutivo dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea106, riunitasi per la prima volta in Grecia nel 2004107, attribuisce soltanto una competenza consultiva108 (anche se estesa a tutti gli atti relativi al Partenariato, compresi gli accordi di associazione) e la possibilità di approvare risoluzioni o raccomandazioni (naturalmente non vincolanti per gli Stati membri). La composizione dell’Assemblea si caratterizza per la presenza di delegazioni parlamentari dei 27 Paesi europei, dei 10 Paesi mediterranei partner109 e da una rappresentanza del Parlamento europeo. Il recente ingresso (gennaio 2007) nell’Unione Europea di Romania e Bulgaria ha reso necessario aumentare il numero complessivo dei parlamentari da 240 a 260110. Di questi, 130 appartengono ai Parlamenti dei 10 Paesi partner mediterranei (Algeria, Autorità Palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia) e 130 ai Parlamenti europei (di cui 81 membri dei Parlamenti nazionali e 49 membri del Parlamento europeo).

104 Il testo della Dichiarazione finale è consultabile sul sito www.europarl.europa.eu.

105 Al punto 66 della risoluzione del Parlamento europeo n. 2002/178 si legge “propone la creazione di un’Assemblea parlamentare euro-mediterranea che disponga di una Plenaria e di Commissioni parlamentari miste, di cui una potrebbe occuparsi dell’emigrazione e un’altra delle questioni attinenti alla democrazia e ai diritti umani; ritiene che la Plenaria e le Commissioni dovrebbero riunirsi con frequenza almeno annuale e seguire attentamente l’applicazione degli accordi di associazione”. Il testo è consultabile su www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P5-TA-2002-0178+0+DOC+XML+V0//IT&language=IT.

106 Per maggiori dettagli si rinvia a www.europarl.europa.eu//intcoop/empa/euromedkeydocuments/default_en.htm.

107 Gli atti sono consultabili su www.europarl.europa.eu//intcoop/empa/assembly_documents/declaration_en.pdf.

108 Art. 1, c. 1, Reg. Assemblea parlamentare euro-mediterranea.109 Si tratta delle delegazioni di Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano,

Marocco, Palestina, Siria, Tunisia e Turchia.110 Il testo della decisione assunta nella Sessione di marzo 2008 è consultabili su:

www.europarl.europa.eu//intcoop/empa/assembly_documents/declaration_en.pdf.

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Tra i principali organi dell’Assemblea vi è un Ufficio di presidenza111, composto da quattro membri (due nominati dei Parlamenti nazionali del Mediterraneo, uno dai Parlamenti nazionali europei e uno dal Parlamento europeo), con un mandato di quattro anni, del quale ciascun membro assume la Presidenza con una rotazione annuale112.

111 Art. 4 del reg. dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea adottato il 22 marzo 2004. Consultabile sul sito www.europarl.europa.eu.

112 Il Parlamento italiano, a conclusione della Sessione dell’Assemblea parlamentare svoltasi ad Atene nel marzo 2008, è entrato a fare parte dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea per il quadriennio 2008-2012, nel cui ambito avrà la Presidenza dal marzo 2010 al marzo 2011.

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Nella sessione del Cairo del 2005, l’Ufficio di presidenza ha deciso113 l’istituzione di sei Gruppi di lavoro114 e della Commissione ad hoc sui diritti delle donne. Ogni Gruppo esercita le proprie attività (analisi di questioni specifiche assegnate dalle Commissioni competenti, e presentazione di proposte di risoluzione alla sessione plenaria dell’Assemblea) nell’ambito delle Commissioni competenti: il I e il II Gruppo rientrano nella competenza della Commissione politica; il III dipende dalla Commissione economica; il V e VI dalla Commissione cultura. Il IV Gruppo115, invece, rende conto direttamente alla Presidenza dell’Assemblea e si compone dei membri degli Uffici di Presidenza delle altre Commissioni.

Per quanto concerne le Commissioni dell’Assemblea, l’art. 5 del reg. dell’Assemblea euro-mediterranea116 ne istituisce quattro: la Commissione politica, di sicurezza e dei diritti umani; la Commissione economica, finanziaria, per gli affari sociali e l’istruzione; la Commissione per la promozione della qualità della vita, degli scambi umani e della cultura117; e, infine, la Commissione per i diritti delle donne nel Mediterraneo. La Commissione politica, la Commissione economica e la Commissione cultura, si compongono, ciascuna, di 70 membri, di cui 35 provenienti dai Paesi partner mediterranei e 35 dai Paesi europei, di questi 22 rappresentano i

113 Si rinvia a www.europarl.europa.eu//intcoop/empa/plenary_sessions.htm.114 I Gruppi di lavoro sono suddivisi secondo competenze specifiche: Gruppo di

Lavoro I – Pace e sicurezza in Medio Oriente; Gruppo di Lavoro II – Sul problema delle mine terrestri; Gruppo di Lavoro III – Trasformazione del FEMIP in Banca euro-mediterranea per lo sviluppo; Gruppo di Lavoro IV – Finanziamento dell’Assemblea e revisione del reg. dell’APEM; Gruppo di Lavoro V – Protezione civile e prevenzione delle catastrofi naturali ed ecologiche nella Regione euro mediterranea; Gruppo di Lavoro VI – Modalità di partecipazione dell’Assemblea alle attività della Fondazione Anna Lindh per il dialogo tra le culture.

115 Tra le proposte che il IV Gruppo ha esaminato, anche nella seduta del 29 gennaio 2008, ve ne sono due particolarmente rilevanti: la prima concerne la possibilità di creare un sistema di finanziamento stabile per l’APEM, assegnando una quota percentuale a carico di ciascun Parlamento; la seconda, riguarda l’istituzione di un Segretariato permanente dell’Assemblea.

116 Cosi com’è stato stabilito nella modifica al Regolamento del marzo 2008, in occasione della IV sessione plenaria che si è svolta ad Atene. I parlamentari hanno trasformato la Commissione ad hoc per i diritti delle donne nel Mediterraneo in Commissione permanente. Nel precedente Regolamento le Commissioni previste dall’art. 5 erano 3: Commissione politica, di sicurezza e dei diritti umani; Commissione economica, finanziaria, per gli affari sociali e l’istruzione; Commissione per la promozione della qualità della vita, degli scambi umani e della cultura.

117 Il Parlamento italiano ha assunto la Presidenza della Commissione cultura, ricoperta nella XIV legislatura dal Sen. Mario Greco e, nella XV, dall’On. Tana de Zulueta.

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Parlamenti nazionali europei e 13 il Parlamento europeo. La Commissione per i diritti delle donne nei Paesi euro-mediterranei si compone, invece, di un totale di 50 membri, di cui 25 della sponda sud e 25 della sponda nord (16 provenienti dai Parlamenti nazionali europei e 9 dal Parlamento europeo). Infine, la Commissione ad hoc sull’energia e l’ambiente, istituita durante la sessione di Atene (2008), è composta da 50 membri (25 della sponda sud e 25 della sponda nord del Mediterraneo), con l’obiettivo di approfondire le tematiche legate all’inquinamento del Mediterraneo e alla possibilità di sviluppare energie alternative.

Le sessioni dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea118

hanno sempre posto all’ordine del giorno problematiche di estrema importanza, non riuscendo, talvolta, ad approvare risoluzioni di una forte rilevanza politica a causa dei veti posti da alcuni Stati 119. La I sessione che si è riunita al Cairo nel marzo 2005, ha affrontato diversi temi (economici, politici e culturali) e ha concluso i lavori con l’adozione di risoluzioni inerenti gli obiettivi del decennale della Dichiarazione di Barcellona e la necessità della loro attuazione. Nel 2005 si è svolta una sessione straordinaria per celebrare il decennale del Partenariato (Rabat, 2005). In quest’occasione sono state approvate delle risoluzioni che, da un lato, ribadiscono la necessità di rendere il Processo euro-mediterraneo più efficace e auspicano l’istituzione di un Segretariato generale permanente, che possa seguire lo sviluppo e la realizzazione degli obiettivi del Partenariato; dall’altro, invece, su iniziativa della Commissione cultura, hanno sottolineato alcune questioni specifiche: intanto che alcune proposte sull’ambiente, rientranti nel programma di rilancio del Partenariato, necessitano di un maggiore approfondimento (punto 3 della risoluzione) e, inoltre, invitano la Commissione europea ad agire con più rapidità, in favore del programma di disinquinamento del mar

118 Le Dichiarazioni finali e i documenti più importanti sono consultabili su http://www.europarl.europa.eu//intcoop/empa/plenary_sessions/default_en.htm.

119 A questo proposito possono essere citati alcuni esempi: la presa di posizione all’indomani degli attentati terroristici di New York e Washington. In quell’occasione il Forum ha adottato una risoluzione netta e precisa nei contenuti e nella quale, oltre a condannare gli attentati, si proponevano soluzioni circostanziate della crisi israelo-palestinese. Inoltre, mi riferisco al dibattito che ha seguito la presentazione della raccomandazione della Commissione politica e di sicurezza e della Dichiarazione finale, durante l’ultima Sessione dell’Assemblea (Atene, 2008). Il confronto è stato particolarmente aspro su alcuni paragrafi, duramente contestati dalla delegazione israeliana e da quelle dei Paesi bassi, del Belgio e della Danimarca, che hanno chiesto, insistentemente, di sottoporre il documento al voto dell’Assemblea. Il Presidente di turno ha deciso di mettere a verbale le riserve espresse e di non procedere alla votazione, dichiarando, infine, la Raccomandazione adottata per consenso.

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Mediterraneo, denominato Horizon 2020120. La II sessione (Bruxelles 2006) è stata incentrata sui temi del processo di pace israelo-palestinese e della libertà d’espressione, oltre che del rispetto della diversità religiosa.

Un altro elemento da sottolineare è l’appello lanciato alla Conferenza dei ministri europei, affinché vengano avviate le politiche necessarie a “promuovere la democrazia parlamentare” e a fronteggiare il problema delle migrazioni attraverso politiche di integrazione. I temi del terrorismo e del Medio Oriente, il dialogo tra le civiltà e le religioni, l’immigrazione e lo sviluppo economico e sociale del Mediterraneo, ma ha anche dei progetti concreti volti a facilitare l’integrazione culturale tra i Paesi delle due rive del Mediterraneo, sono stati approfonditi nella III sessione (Tunisi, 2007). In quest’ottica è stata ipotizzata l’istituzione di una Banca euro-mediterranea di sviluppo e, soprattutto, la creazione dell’Università euro-mediterranea, volta a mettere in contatto studenti, professori e ricercatori della Regione.

Nelle sessioni del 2008 (Atene e Valencia), sono stati discussi i programmi ambientali (Horizon 2020) e l’approvazione di alcune raccomandazioni, proposte dalle quattro Commissioni, oltre alle modifiche al regolamento che hanno aumentato, come già visto, il numero dei delegati.

4.3.1 La Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euro-mediterranei

La Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euro-mediterranei è la prima iniziativa relativa alla dimensione parlamentare del “Processo di Barcellona”. Avviata nel 1996, su iniziativa del Presidente della Camera dei Deputati121 Luciano Violante, riunisce i Presidenti dei Parlamenti dei 27 Paesi dell’Unione Europea e dei 10 Paesi del bacino del Mediterraneo.

L’allora Presidente della Camera ha sviluppato l’indicazione contenuta nel già citato Documento finale della Conferenza di Barcellona del 1995, nel quale si invitano i Parlamenti degli Stati

120 Si tratta di un’iniziativa avviata nel 2005 in occasione delle celebrazioni del decennale del Partenariato. L’obiettivo è di ridurre l’inquinamento del Mediterraneo entro il 2020. In relazione a questa iniziativa il 5 settembre 2006 la Commissione europea ha emesso una Comunicazione volta all’adozione di una strategia ambientale per il Mediterraneo, recependo l’invito formulato dalla risoluzione, adottata dall’APEM nel corso della sessione di Rabat.

121 Cfr. C. DECARO, I rapporti internazionali e con le istituzioni…, cit., p. 109.

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partecipanti al Partenariato ad assumere iniziative di dialogo tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

In quest’ottica, il Presidente Violante ha indetto una Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti mediterranei dell’Unione Europea, che si è svolta a Palermo nel novembre 1996, a cui hanno partecipato i Presidenti delle Assemblee di Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. A questa Conferenza ha fatto seguito l’incontro di Atene (aprile 1997), che ha visto la partecipazione delle delegazioni di cinque Parlamenti euro-mediterranei, del Parlamento europeo e dei dodici Paesi dell’altra sponda del mediterraneo (Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Autorità palestinese, Siria, Tunisia e Turchia). Oggetto di questa Conferenza è stata la costituzione del Forum parlamentare euro-mediterraneo e l’istituzionalizzazione di una riunione annuale dei Presidenti dei Parlamenti, la cui prima riunione si è tenuta a Palma di Maiorca (marzo 1999) con la partecipazione di tutti i Paesi partner del Processo di Barcellona.

Dopo gli incontri preparatori di Palermo (1996) e Atene (1997) e prima di Palma di Maiorca, vi è stata un’altra riunione preparatoria, organizzata a Palermo (1998) dai Presidenti delle Camere italiane (per la Camera, Luciano Violante, e per il Senato, Nicola Mancino) a cui hanno partecipato i Presidenti dei Parlamenti dei Paesi euro-mediterranei122 e del Parlamento europeo. Nel corso di questa riunione, Violante e Mancino hanno presentato una Dichiarazione sulla cooperazione parlamentare euro-mediterranea. Tale documento è stato rivisto dai Presidenti delle Camere basse di Egitto, Spagna, Italia e Tunisia, riuniti a Tunisi nel settembre del 1998, e successivamente inviato a tutti i Presidenti dei Parlamenti dei Paesi europei e mediterranei partner del Processo di Barcellona, per essere approvato definitivamente nella riunione dei Presidenti dei Parlamenti dei Paesi euro-mediterranei di Palma di Maiorca (1998). Il documento prevede l’istituzione di un Segretariato permanente o Gruppo di collegamento, con l’obiettivo di contribuire a rilanciare gli obiettivi previsti a Barcellona nel 1995.

In particolare, il Segretariato, attraverso rapporti istituzionali e di cooperazione tra i Parlamenti nazionali, si prefigge il compito di contribuire alla promozione e al consolidamento dei diritti umani e di

122 Alla Conferenza hanno partecipato i rappresentati di Algeria, Cipro Egitto, Francia, Giordania, Grecia, Israele, Italia, Libano, Malta, Marocco, Portogallo, Parlamento Europeo, Siria, Spagna, Autorità Palestinese, Tunisia, Turchia; in qualità d’osservatori vi hanno preso parte anche la Commissione Europea e l’Unione interparlamentare araba.

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favorire la lotta contro la droga, il terrorismo e la criminalità organizzata. Mentre al Gruppo di collegamento (composto dai Presidenti dell’Assemblea del Popolo dell’Egitto, del Congresso dei deputati di Spagna, dall’Assemblea nazionale della Tunisia e della Camera dei deputati italiana, in modo tale che vi sia una rappresentanza paritaria tra i Parlamenti degli Stati membri dell’Unione e quelli dei Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo123) è stato affidato il compito di coordinare le iniziative comuni e di preparare le sessioni plenarie annuali.

Il documento di Palma di Maiorca non si è limitato ad enunciare degli obiettivi ma ha anche individuato due punti concreti, che potremmo ricondurre alle attività tipiche della cooperazione interparlamentare: gli scambi di esperienza tra i parlamentari e le Commissioni competenti, in particolare, nel settore dell’ambiente, del commercio, dell’occupazione, dell’istruzione e della sanità e, in secondo luogo, la rapida ratifica degli Accordi euro-mediterranei di associazione.

Le successive Conferenze si sono tenute, con cadenza biennale, ad Atene (2002), Malta (2004) e Barcellona (2005).

Tra i temi al centro dei lavori: la crisi internazionale, in particolare il conflitto in Medio Oriente124 aggravato dagli attentati terroristici del 2001 e del 2002; il futuro del Mediterraneo, dopo il grande allargamento verso Est dei confini dell’UE125 e, quindi, del Partenariato euro-mediterraneo alla vigilia del Summit di Barcellona del 2005.

Come si è potuto notare, il ruolo della Conferenza dei Presidenti euro-mediterranei è di dare un forte impulso verso la realizzazione degli obiettivi del Processo di Barcellona. Il compito dei Presidenti, infatti, non è riconducibile alle attività tipiche dei Governi, ma a quelle della sfera legislativa. Quindi, possono agevolare la ratifica dei trattati; stimolare i Parlamenti ad agire per concretizzare gli impegni assunti sul piano internazionale; determinare l’agenda delle riunioni delle delegazioni parlamentari; e poi contribuire alla lotta contro il

123 Nella Dichiarazione finale della II Conferenza (Alessandria d’Egitto, 2000) è stata modificata la composizione del Gruppo, a cui sono stati aggiunti il Presidente del Parlamento europeo e il Presidente del Parlamento che ospita la Conferenza.

124 Ad esempio, la III Conferenza dei Presidenti (Atene, febbraio 2002) si è conclusa con l’adozione di una Dichiarazione, in cui si appoggia l’iniziativa dei Presidenti dei Parlamenti europei di recarsi a Ramallah, in occasione della visita al Consiglio legislativo palestinese del Presidente della Knesset israeliana.

125 Ai lavori della IV Conferenza (Malta, febbraio 2004) sono stati invitati, come membri a pieno diritto, anche i nuovi Presidenti dei Parlamenti nazionali europei che, dal primo maggio 2004, sono stati ammessi nell’UE.

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terrorismo, la criminalità organizzata e la corruzione, proponendo modelli legislativi sulla base delle diverse esperienze126.

4.4 La cooperazione parlamentare in ambito ONULa cooperazione parlamentare nell’ambito delle Nazioni Unite, a

cui partecipa una delegazione parlamentare italiana, si concentra su tre livelli: le sessioni dell’Assemblea generale, la partecipazione alle Conferenze dell’ONU e gli incontri bilaterali tra i Presidenti d’Assemblea e il Segretario generale oppure tra esponenti delle Commissioni Affari esteri.

4.4.1 La cooperazione nell’ambito dell’Assemblea generale dell’ONU

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite è l’organo più rappresentativo dell’Organizzazione e la principale sede di decisione, nonostante sia composto da delegazioni di tutti gli Stati membri rappresentanti soltanto il côté governativo127.

Le Sessioni annuali ordinarie dell’Assemblea (artt. 1-11 del reg. Ass. gen.) iniziano ogni anno, il martedì della terza settimana di settembre e proseguono, di regola, fino alla terza settimana di dicembre. All’inizio di ogni sessione vengono eletti un Presidente, 21 Vicepresidenti e i Presidenti delle sei Commissioni principali. L’elezione del Presidente segue una rigida rotazione su base geografica, che vede alternarsi un rappresentante delle cinque aree nelle quali si suddividono i membri dell’Organizzazione (Africa, Asia, Europa orientale, America latina, Europa occidentale e altri). Le sedute straordinarie dell’Assemblea possono essere convocate dal Segretario generale su proposta del Consiglio di sicurezza, della maggioranza degli Stati membri o anche di un solo Stato, purché riceva l’appoggio della maggioranza degli altri Paesi. A causa del gran numero di temi in agenda, l’Assemblea assegna la maggior parte delle

126 Cfr. L. VIOLANTE, discorso pronunciato in occasione della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euro-mediterranei di Palma di Maiorca, 8 marzo 1999, su http://leg15.camera.it/organiparlamentari/ufficiopresidenza/leg13/index_violante.asp.

127 Per maggiori informazioni sulla struttura e le attività dell’Assemblea generale si rinvia a www.un.org.

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questioni da discutere in sessione ordinaria a sei Commissioni128 (art. 98 reg. Ass. gen.).

Il regolamento dell’Assemblea, modificato nel settembre 2006 e costituito da 163 articoli, prevede che le decisioni sulle questioni inerenti la pace e la sicurezza, l’ammissione di nuovi membri o le decisioni di bilancio, necessitano della maggioranza dei due terzi (art. 83 reg. Ass. gen.); le altre questioni, tra le quali l’approvazione delle Risoluzioni, sono invece adottate a maggioranza semplice (art. 85 reg. Ass. gen).

L’Assemblea elegge i 10 membri non permanenti del Consiglio di sicurezza129 (art. 23 Carta ONU e art. 142 reg Ass. gen.) e i 54 componenti del Consiglio economico e sociale (art. 146 reg Ass. gen.). Inoltre, insieme al Consiglio di sicurezza, elegge i giudici della Corte internazionale di giustizia e, sempre su raccomandazione del Consiglio, nomina il Segretario generale.

Alle sessioni dell’Assemblea Generale partecipano, solo su invito e in qualità di osservatori, alcuni parlamentari delle Commissioni affari esteri di Camera e Senato. Tali delegazioni, nel corso delle ultime legislature, hanno preso parte a ciascuna delle sessioni annuali tenutesi a New York. In tali occasioni, oltre ad assistere alla discussione dell’Assemblea generale, presso la quale intervengono i Capi di Stato e di Governo o i Ministri degli esteri dei diversi Paesi, i parlamentari hanno avuto la possibilità di incontrare i responsabili dei vari settori di attività dell’Organizzazione e di discutere le principali problematiche internazionali. A titolo d’esempio, durante le ultime Sessioni (61a

Sessione dell’Assemblea generale, 18-22 settembre 2006, e 62a

Sessione, 24-29 settembre 2007) le delegazioni parlamentari hanno partecipato alla discussione su alcuni tra i temi principali: la situazione in Medio Oriente, la questione nucleare iraniana, la riforma del

128 Si tratta della: I. Commissione Disarmo e sicurezza internazionale; II. Commissione Questioni economiche e finanziarie; III. Commissione Questioni sociali, umanitarie e culturali; IV. Commissione Politica speciale e decolonizzazione; V. Commissione Questioni amministrative e di bilancio; VI. Commissione Questioni giuridiche. Maggiori informazioni sulla composizione e i documenti relativi alle singole Commissioni su www.un.org/french/ga/generic/commissions.shtml. Oltre alle Commissioni, vi sono: un Comitato generale composto dal Presidente dell’Assemblea, dai 21 Vicepresidenti e dai Presidenti delle sei Commissioni, eletti dall’Assemblea (art. 30 Reg. Ass. gen.); e un Comitato per la verifica dei poteri, composto di nove membri designati dall’Assemblea, con il compito di riferire sulle credenziali dei rappresentanti.

129 Dal primo gennaio 2007, e per tutto il biennio 2007-2008, l’Italia è membro non permanente del Consiglio di Sicurezza, di cui ha assunto la presidenza di turno (carica che ruota di mese in mese secondo l’ordine alfabetico) per il mese di dicembre 2007.

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Consiglio di sicurezza, cambiamenti climatici e gli equilibri internazionali, lo sviluppo dei Paesi poveri e sulla guerra contro il terrorismo.

Tali tematiche sono state successivamente approfondite anche in Parlamento, attraverso dibattiti in Aula e nelle Commissioni competenti, di norma la Commissione affari esteri. Inoltre, sempre in Commissione esteri è stato affrontato più volte il tema della riforma delle Nazioni Unite e dell’elezione dell’Italia al Consiglio di sicurezza. Nella seduta del 28 luglio 2006130 della III Commissione della Camera si è svolta un’audizione del Sottosegretario agli Affari esteri, Craxi, sulla riforma del Consiglio di sicurezza durante la quale il Governo ha assunto l’impegno a favore dell’istituzione di un seggio unico per l’Europa presso il Consiglio di sicurezza. Anche in un’altra seduta (28 novembre 2006131) della Commissione esteri della Camera è stato trattato il biennio di permanenza dell’Italia nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In questa occasione è stata approvata la risoluzione 7-00073 nella quale si impegna il Governo a rafforzare il coordinamento e la concertazione comunitaria sui dossier all’esame del Consiglio di Sicurezza e a proseguire sulla strada dell’istituzione del seggio unico europeo. La risoluzione ha anche impegnato il Governo a contribuire al miglioramento dei meccanismi consultivi europei al fine di coinvolgere nei processi decisionali del Consiglio di Sicurezza anche i Paesi comunitari che non ne sono membri e a favorire la concertazione tra i membri europei che siedono in Consiglio.

4.4.2 La partecipazione parlamentare alle attività dell’ONUL’attività delle Nazioni Unite non si limita a quelle dei suoi organi

ma concerne anche i Summit, le Conferenze e le altre iniziative finalizzate al miglioramento delle legislazioni dei Paesi esteri, tramite l’adozione di Convenzioni, e alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle questioni oggetto dei lavori in ambito ONU.

Tra queste, il Parlamento italiano ha attribuito particolare rilevanza alle questioni ambientali, a cui fanno riferimento diverse Conferenze relative all’applicazione delle cosiddette “Convenzioni Quadro delle Nazioni Unite”. Nel corso della XIV e della XV legislatura, le delegazioni parlamentari italiane hanno partecipato alle Sessioni

130 Il resoconto della seduta è consultabile su: ww.leg15.camera.it/dati/lavori/bollet/200607/0728/pdf/03.pdf.

131 La risoluzione 7-00073 è consultabile su: http://leg15.camera.it/_dati/lavori/bollet/200611/1128/pdf/03.pdf.

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annuali della Conferenza delle Parti (COP)132 relativa alla “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici” (UNFCCC), che ha il compito di promuovere e controllare periodicamente l’applicazione della stessa Convenzione.

Il Parlamento italiano partecipa anche alle riunioni della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW) e alle giornate parlamentari organizzati dall’ONU e dall’Unione interparlamentare.

La cooperazione parlamentare in ambito ONU concerne, come detto, anche gli incontri tra i delegati parlamentari e i rappresentanti dell’Organizzazione mondiale. In questa Legislatura (il 2 luglio 2008) il Presidente dell’Assemblea generale dell’ONU, Srgjan Kerim, in visita ufficiale in Italia, ha incontrato il Presidente Fini e ha tenuto un’audizione informale dinanzi alle Commissioni riunite affari esteri di Camera e Senato. Anche nel corso della XV Legislatura vi sono stati numerosi incontri, in Italia e all’estero, tra i vertici parlamentari e internazionali. Tra i più rilevanti quello avvenuto il 18 aprile 2007 tra l’allora Presidente della Camera, Bertinotti, e il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, il quale ha condiviso la proposta italiana per la moratoria sulla pena di morte133.

132 Si tratta della VI Conferenza di Bonn (18-21 luglio 2001) VII Marrakech, (7-9 novembre 2001) VIII Nuova Delhi, (30 ottobre- I novembre 2002) IX Milano, (10 -12 dicembre 2003) X Buenos Aires (13-18 dicembre 2004) XI Montreal, (7-9 dicembre 2005) XII Nairobi (14 – 17 novembre 2006).

133 Il 18 dicembre 2007 la 62ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato (104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti) la risoluzione per la moratoria sulla pena di morte. Il documento accoglie favorevolmente “le decisioni, adottate da un numero crescente di membri dell’ONU, di applicare una moratoria sulle esecuzioni, in molti casi seguita dall’abolizione della pena di morte”, e manifesta preoccupazione per il fatto che la pena capitale continua ad essere applicata in alcuni Paesi. La moratoria invita i Paesi che prevedono la pena di morte ad assicurare gli standard minimi concordati a livello internazionale “sulle garanzie per i rischi di esecuzione” e a fornire al Segretario Generale delle Nazioni Unite le informazioni relative al ricorso alla pena capitale e al rispetto delle regole. La risoluzione, infine, chiede ai Paesi di limitare progressivamente l’uso della pena di morte, anche riducendo il numero di reati per i quali può essere comminata e invita gli Stati che hanno abolito tale pratica “a non reintrodurla”.

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4.5 L’Unione interparlamentareL’Unione interparlamentare è la più antica organizzazione

interparlamentare esistente ed è stata la prima organizzazione politica mondiale ad occuparsi attivamente del tema dell’arbitrato internazionale134. Inoltre, ha perseguito la sua opera in favore della pace e del rafforzamento delle istituzioni democratiche parlamentari nonostante le Guerre Mondiali, la crisi del parlamentarismo, il prevalere dei totalitarismi e le altre innumerevoli tensioni che hanno animato la storia del ‘900. Con le sue iniziative ha gettato le basi di quella che oggi è la cooperazione multilaterale e ha anche operato per la creazione di istituzioni intergovernative, come le Nazioni Unite. È, insomma, il punto di riferimento per gli eletti di tutti i Paesi membri (ben 154 ad ottobre 2008) “il luogo propizio all’azione della diplomazia parlamentare”135.

Gli organi dell’Unione interparlamentare sono: il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo, entrambi presieduti dal Presidente dell’Unione interparlamentare, e l’Assemblea, il foro principe del dialogo e della cooperazione tra le delegazioni di parlamentari.

4.5.1 Il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivoIl Consiglio direttivo determina e orienta le attività dell’Unione

interparlamentare e controlla che questa operi in conformità con gli obiettivi definiti dallo Statuto (art. 20, c. 1). L’attività è disciplinata dagli articoli 17-22 dello Statuto e dal Regolamento, adottato nel 1971 ed emendato più volte fino al 2004. Il Consiglio, quindi, delibera in merito alle questioni più rilevanti: l’ammissione dei Paesi candidati alla membership; le riunioni dell’Assemblea e degli altri organi; l’ordine del giorno e il programma dei lavori; l’adozione delle decisioni e delle risoluzioni; il bilancio annuale; e, infine, provvede all’elezione (a maggioranza assoluta) del Presidente e del Segretario generale dell’Unione interparlamentare.

Esso è composto dai parlamentari designati dai Paesi membri in conformità con l’art. 18 dello Statuto, il quale sancisce che i componenti del Consiglio siano tre per ogni Stato membro. Le riunioni, convocate due volte l’anno, sono presiedute dal Presidente dell’Unione interparlamentare (art. 6, reg. Cons.), si svolgono in conformità con la parte quarta, quinta e sesta del Regolamento del

134 Cfr. R. SORBELLO, Le funzioni dell’Unione interparlamentare e il suo ruolo nelle relazioni bilaterali tra Parlamenti, in Il Parlamento della Repubblica: organi, procedure, apparati, Roma, 1996, p. 389.

135 Cfr. G. DE CESARE, L’Unione interparlamentare e le relazioni fra i Parlamenti, in Il Parlamento italiano, vol. 20, 1992, p. 215.

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Consiglio e si concludono con l’approvazione, per alzata di mano e a maggioranza, di risoluzioni o decisioni.

L’altro organo guidato dal Presidente dell’Unione interparlamentare è il Comitato esecutivo, che principalmente ha il compito di sovrintendere all’amministrazione dell’organizzazione (art. 24 Statuto). Esso è composto da 17 membri, eletti con un mandato di quattro anni: il Presidente dell’Unione interparlamentare, che presiede di diritto ai lavori (art. 5, c.1, reg. Com. esecutivo); il Presidente del Comitato di coordinamento della Riunione delle donne parlamentari (art. 23, c. 1, Statuto) membro di diritto del Comitato con un mandato, rinnovabile una volta, di due anni; gli altri 15 componenti sono eletti dal Consiglio direttivo, per la maggior parte (12) scelti tra i Paesi membri dello stesso Consiglio (art. 23, c. 3, Statuto).

Il Comitato secondo l’art. 24 dello Statuto ha il compito di: informare il Consiglio direttivo sull’attuazione da parte degli Stati candidati all’ammissione delle condizioni previste dall’art. 3 dello Statuto; convocare il Consiglio in caso di urgenza e stabilirne il luogo, la data e l’ordine del giorno; proporre al Consiglio direttivo il bilancio annuale e informarlo delle attività svolte e della gestione del Segretariato.

4.5.2 L’Assemblea dell’Unione interparlamentareL’Assemblea è il principale organo statutario dell’organizzazione,

le cui fonti sono gli artt. 9-16 dello Statuto e le norme previste dal regolamento adottato nel 1971 e interamente rivisto nel 1983136. Essa riunisce i parlamentari membri delle delegazioni nazionali137 e rappresentanti di tutti i partiti di maggioranza e di opposizione, i quali si pronunciano sulle grandi questioni politiche internazionali e

136 Ulteriori modifiche al Regolamento dell’Assemblea sono state approvate nel marzo 1985, ottobre 1987, settembre 1988, marzo 1989, aprile 1990, aprile 1995, aprile 1996 e 2001. Nel 2003 è stato interamente rivisto e nell’ottobre 2004 e 2007 nuovamente modificato.

137 Il Gruppo nazionale italiano presso l’Unione interparlamentare, diversamente da quanto avviene per le altre delegazioni internazionali, è costituito da tutti i deputati e senatori eletti alle elezioni politiche nazionali (con la sola eccezione di coloro che dichiarino espressamente di non volerne far parte). Tra questi l’Assemblea del Gruppo elegge il Comitato di presidenza composto dal Presidente, da cinque Vicepresidenti e da un numero variabile di parlamentari, in modo da garantire la rappresentanza dei partiti politici di maggioranza e di opposizione. Nella XVI Legislatura il Comitato è presieduto dall’on. Antonio Martino, Presidente dell’Interparlamentare italiana dal 1995, e composto dai vice Presidenti: Giulio Andreotti, Francesco Amoroso, Enzo Bianco, Roberto Cota, Riccardo Merlo, Antonio Razzi e Luca Volonté. Il Comitato ha attribuito la Presidenza onoraria del Gruppo italiano dell’Unione interparlamentare all’on. Pier Ferdinando Casini.

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formulano raccomandazioni che, in seguito, le Assemblee nazionali recepiscono. “In un certo senso, i lavori delle Conferenze servono come laboratorio e come banco di prova per idee e per possibilità di accordi che non siano ancora maturi a livello governativo ma il cui sviluppo sia possibile fra i parlamentari non strettamente impegnati a seguire le linee politiche dei propri Governi; le Conferenze divengono, quindi, uno straordinario osservatorio sulla scena politica mondiale”138.

Alle Assemblee o Conferenze interparlamentari139 partecipano le delegazioni nazionali composte da parlamentari designati dalle Camere di provenienza, nel pieno rispetto del principio, sancito in modo inequivocabile, della parità dei sessi.

Il numero dei delegati cambia in ragione della sessione (primaverile o autunnale) e del numero di abitanti dello Stato (maggiore o minore di 100 mln.). Alla prima sessione annuale dell’Assemblea, nei Paesi in cui la popolazione è inferiore a 100 milioni di abitanti, il numero dei delegati non deve essere superiore a otto parlamentari; nei Paesi in cui la popolazione è uguale o superiore alla stessa cifra, il numero è invece pari a 10. Per quanto riguarda la seconda sessione, i Paesi con una popolazione inferiore a 100 milioni di abitanti devono essere rappresentati da un numero massimo di cinque parlamentari, i Paesi invece con una popolazione maggiore ai 100 milioni da sette parlamentari. I membri dell’Unione interparlamentare dispongono di un numero minimo di 10 voti che viene incrementato in base al criterio della popolazione residente.

Per l’espletamento dei suoi compiti140, l’Assemblea è assistita da tre Commissioni (art. 14 dello Statuto): pace e sicurezza internazionale; sviluppo sostenibile e commercio; democrazia e diritti dell’uomo. Queste hanno il compito di esaminare i progetti di risoluzione proposti dai Gruppi sugli argomenti all’ordine del giorno dell’Assemblea (art. 13, c. 2, Stat.; art. 15, c. 3, reg. Ass.; art. 6, c. 1, reg. Comm. perm.). I dibattiti sono disciplinati dalla parte IV e VI del reg. dell’Assemblea e prevedono un meccanismo di voto basato sugli artt. 15 e 16 dello Statuto; l’art. 15 assegna alle delegazioni il numero

138 Cfr. G. DE CESARE, L’Unione interparlamentare…, cit., p. 215.139 Per l’elenco completo delle 120 Assemblee svoltesi dal 1889 ad oggi si rinvia a

http://www.ipu.org/strct-f/lstconf.htm.140 In questo senso giocano un ruolo importante anche i “Gruppi geopolitici”, a cui

appartengono le delegazioni. Attualmente ne esistono sei: il Gruppo africano, costituito da 42 membri; il Gruppo arabo, 17 membri; il Gruppo dell’Asia e del Pacifico, 26 membri; il Gruppo Euroasiatico, 7 membri; il Gruppo dell’America Latina e dei Caraibi, 19 membri; il Gruppo dei “12 +”, che conta 45 componenti, tra i quali l’Italia; e, infine, 4 Stati non affiliati.

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di voti di cui dispongono. Ogni delegato presente in Assemblea partecipa alla votazione che avviene per appello nominale (art. 16 Statuto); inoltre, per l’approvazione degli atti è richiesta la maggioranza semplice (art. 34, c. 1, reg. Ass.).

Alla fine della sessione invernale che si è svolta dal 13 al 15 ottobre 2008 a Ginevra, è stata approvata una risoluzione141

riguardante la crisi economia e finanziaria in atto. I parlamentari partecipanti (532, tra i quali 37 Presidenti di Assemblea) hanno ribadito la necessità di adottare misure economiche urgenti e mirate al controllo delle conseguenze che la crisi finanziaria internazionale potrebbe avere sull’occupazione, l’inflazione e la povertà.

Durante quest’ultima sessione, è stato anche eletto il nuovo Presidente dell’Unione interparlamentare in sostituzione dell’on. Pier Ferdinando Casini142, in scadenza di mandato. Si tratta di M. Theo-Ben Gurirab, Presidente dell’Assemblea nazionale della Namibia, già Primo Ministro (dal 2002 al 2005) e Ministro degli Affari esteri (dal 1990 al 2000).

141 Il testo della risoluzione è consultabile su http://www.ipu.org/conf-f/118/118smry.htm.

142 L’on. Pier Ferdinando Casini è stato eletto Presidente dell’Unione interparlamentare nell’ottobre 2005, con 230 voti su 337. Cfr. Corriere della Sera, articolo di Maurizio Caprarica, 20 ottobre 2005, p. 14; 30giorni, intervista di Roberto Rotondo, dicembre 2005; Le Monde des Parlements, ottobre 2006, p. 1.

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In conclusione, un cenno alla cooperazione tra UIP e ONU143. L’Assemblea interparlamentare gode dello status di osservatore presso le Nazioni Unite, può far circolare le proprie risoluzioni e decisioni, permettendo all’Organizzazione mondiale dei Parlamenti di contribuire direttamente ai lavori dell’Assemblea, ed è stato investito dell’onere di consolidare la collaborazione tra i Parlamenti nazionali, le Assemblee regionali e la stessa Organizzazione intergovernativa, allo scopo di “rafforzare la coerenza e l’efficacia della cooperazione interparlamentare globale e interregionale”144

5. La “proiezione estera”del Parlamento europeo

5.1 Disciplina e prassi delle relazioni con i Parlamenti nazionali Per quanto concerne la regolazione dei rapporti tra il Parlamento

europeo e i Parlamenti nazionali, occorre distinguere piuttosto nettamente le relazioni che intercorrono con i Parlamenti degli Stati membri dell’Unione da quelle intrattenute con i Parlamenti degli Stati terzi.

143 Il tema verrà ripreso anche nel paragrafo conclusivo. Un’altra collaborazione avviata dall’UIP rileva in ambito euro-mediterraneo con l’Assemblea parlamentare del Mediterraneo (PAM), riunitasi nel 2006. Questa iniziativa, a differenza dell’APEM, coinvolge i Parlamenti dei Paesi rivieraschi ma non il Parlamento europeo.

144 Cfr. R. DICKMANN, Parlamento e Governo, cit., p. 636.

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Nell’ambito dell’Unione europea il Parlamento di Strasburgo si è ormai accreditato come il baricentro della cooperazione interparlamentare in quanto principale promotore del rafforzamento della rete di contatti e scambi tra le Assemblee legislative, essenzialmente attraverso l’organizzazione di meeting delle commissioni parlamentari omologhe e la possibilità garantita alle delegazioni dei Parlamenti dell’Unione di partecipare alle sedute delle sue commissioni con voto consultivo145.

I rapporti tra l’“Assemblea comunitaria” e i Parlamenti di Stati terzi si basano pressoché esclusivamente sull’attività svolta da rappresentanze parlamentari permanenti. Anche le disposizioni del regolamento rilevanti si differenziano da quelle che riguardano i Parlamenti dell’Unione. Così come previsto per le Commissioni permanenti, anche le delegazioni parlamentari devono essere costituite tra la seconda e la terza tornata del Parlamento neoeletto e restano in carica per l’intera legislatura (art. 188, comma 1, reg.). I gruppi politici e i deputati non iscritti propongono i rispettivi candidati alla Conferenza dei Presidenti. La lista degli europarlamentari così designati, tenendo conto per quanto possibile di “un’equa rappresentanza degli Stati membri e degli orientamenti politici (art. 188, comma 2, reg.)”, deve essere approvata dal plenum. Quindi, si eleggono gli uffici di presidenza distribuendo le cariche di presidente e quelle dei vicepresidenti tra i gruppi in proporzione della loro consistenza numerica (si usa il metodo d’Hondt)146. In alcune circostanze, come verificatosi tra il 1995 e il 1997, l’attribuzione della presidenza di una delegazione, nel caso di specie quella per i rapporti con il Parlamento canadese, ad un piccolo gruppo (quello dell’Unione per l’Europa delle nazioni) e in particolare ad un europarlamentare francese, Georges Berthu, che si dichiarava favorevole alla secessione del Quebec, ha determinato la sospensione per tre anni della cooperazione tra il Parlamento europeo e il Parlamento canadese. La ripresa delle attività è avvenuta dopo la nomina di un nuovo presidente di delegazione147.

145 Si rinvia al contributo di C. FASONE, La cooperazione interparlamentare nel continente europeo, in questo volume.

146 Il regolamento (art. 188, ultimo comma) fissa soltanto uno dei compiti che il presidente della delegazione è chiamato a svolgere, quello di presentare una relazione sull’attività svolta dalla delegazione alla commissione competente per gli affari esteri e la sicurezza.

147 Sul punto si veda R. CORBETT, F. JACOBS, M. SHACKLETON, The European Parliament, VII ediz., London, 2007, p. 160.

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La Conferenza dei presidenti definisce le competenze delle delegazioni e le norme che devono applicarsi alle loro attività. A tal proposito, nei Principi relativi alle attività delle delegazioni adottati il 21 settembre 2006, da un alto, si indicano le finalità che devono orientare la condotta dei delegati, ossia la promozione dei valori della libertà, della democrazia del rispetto dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto148; dall’altro, si fissano alcune regole di base per la loro gestione: “i contatti internazionali del Parlamento sono disciplinati dai principi del diritto internazionale pubblico” e “sono intesi a promuovere, laddove possibile e opportuno, la dimensione parlamentare delle relazioni internazionali”.

Una species del genus delle delegazioni interparlamentari è rappresentato dalle Commissioni parlamentari miste: si tratta di deputazioni composte per metà da europarlamentari e per metà da parlamentari di Stati associati alla Comunità o con i quali sono stati avviati i negoziati per l’adesione al fine di monitorare le fasi che dovrebbero condurre all’integrazione nell’Unione (art. 190, comma 1, reg.)149. Le Commissioni parlamentari miste adottano il proprio regolamento che sottopongono all’approvazione dell’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo e del Parlamento omologo. Esse possono rivolgere raccomandazioni ai Parlamenti partecipanti le quali, per il Parlamento europeo, vengono esaminate dalla commissione parlamentare competente.

Le delegazioni interparlamentari (comprese, quindi, anche le Commissioni parlamentari miste) variano significativamente tra loro anche per le dimensioni, per l’area geografica di riferimento e per le ragioni che ne hanno determinato la costituzione. Delle 38 delegazioni attualmente costituite, la consistenza numerica oscilla tra i 10 delegati presso l’Assemblea della NATO, a seguito dell’invito a partecipare alle sue sedute rivolto nel 2002 al Parlamento europeo150, e i 60

148 In base a quanto previsto dall’art. 115, comma 1, reg., una delegazione interparlamentare (così come una commissione, un gruppo politico o almeno 40 deputati) possono chiedere per iscritto al Presidente che sia tenuta una discussione su un caso urgente di violazione di diritto umani, della democrazia e dello stato di diritto.

149 Si segnala che tutti gli accordi di associazione conclusi con i Paesi dell’Europa centrale e orientale contengono una clausola che prevede la promozione anche di una dimensione interparlamentare nella cooperazione.

150 Relativamente alla partecipazione del Parlamento europeo alle Assemblee interparlamentari, si è già accennato alla delegazione permanente presso l’Assemblea parlamentare euro-mediterranea, composta da 49 membri più il Presidente del Parlamento europeo. Per quanto concerne, invece, i rapporti con l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, sebbene l’art. 189 del regolamento del Parlamento europeo sottolinei l’importanza del raccordo tra le sue commissioni e quelle del consesso di Strasburgo, non è stata istituita una delegazione permanente.

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delegati presso l’Assemblea parlamentare euro-latino americana. Con i Parlamenti di Stati europei non membri dell’Unione risultano istituite al momento quattro Commissioni parlamentari miste (UE-Croazia, UE-Macedonia, UE-Turchia e UE-Svizzera, Irlanda, Norvegia e Spazio economico europeo), quattro Commissioni di cooperazione parlamentare (con la Russia, l’Ucraina, la Moldavia e l’Azerbaijan, l’Armenia e la Georgia)151 e due delegazioni interparlamentari (con i Paesi dell’Europa sudorientale e con la Bielorussia, con la quale però i rapporti sono stati temporaneamente sospesi a causa delle gravi violazioni dei diritti umani). Con i Paesi extra europei, invece, si contano 18 delegazioni interparlamentari (con Israele, con gli Stati del Maghreb, con i Paesi del Golfo, con gli Stati Uniti, con i Paesi dell’America centrale, con gli Stati che aderiscono al Mercosur, con la Repubblica popolare cinese, con l’India, con i Paesi del sud est asiatico, con l’Australia e la Nuova Zelanda, con la Palestina, con i Paesi del Mashreq, con l’Iran, con il Canada, con gli Stati della Comunità andina, con il Giappone, con gli Stati dell’Asia meridionale, con la Corea del Nord e del Sud152, con il Sud Africa), 2 Commissioni parlamentari miste (con il Cile e con il Messico che partecipano anche all’Assemblea euro-latino americana), quattro Commissioni per la cooperazione parlamentare (UE-Kazakistan, UE-Kyrgyzistan, UE-Uzbekistan, e con Tajikistan, Turkmenistan e Mongolia). Tanto le delegazioni europee quanto quelle con i Parlamenti di Stati terzi si sono riunite almeno tre volte all’anno durante la VI legislatura del Parlamento europeo (2004-2009).

Vi sono, poi, altri due tipi di delegazioni del Parlamento europeo che si differenziano dalle altre per l’obiettivo perseguito attraverso la loro costituzione: nel 2001 la Conferenza dei Presidenti ha deliberato l’istituzione di un gruppo di coordinamento permanente (attualmente composto da 10 membri) per le missioni di osservazione elettorale al fine di vigilare sul corretto svolgimento delle elezioni e di prevenire brogli153; nel 2008 è stata istituita la delegazione ad hoc per l’Iraq. Qualora si verifichi un avvenimento imprevisto della massima rilevanza politica, la Conferenza dei Presidenti, su proposta di un

151 Il ricorso alla denominazione di commissioni di cooperazione parlamentare, sebbene tali organi non differiscano sostanzialmente dalle delegazioni interparlamentari, è da ricondurre al contenuto degli accordi di associazione con le ex Repubbliche sovietiche, i quali disciplinavano la costituzione di commissioni parlamentari congiunte.

152 I delegati del Parlamento europeo si incontrano separatamente con i parlamentari della Corea del Nord e con quelli della Corea del Sud.

153 Su tale argomento si rinvia più dettagliatamente al par. 5.5.

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gruppo politico, della Commissione per gli affari esteri, di quella per lo sviluppo o di quella per il commercio internazionale, può decidere di costituire una delegazione formata, salvo circostanze eccezionali, da sette membri designati dai gruppi politici secondo il sistema d’Hondt. Tale organo di natura temporanea è creato per assolvere una “specifica missione” terminata la quale viene sciolto. Ad esempio, l’attuale delegazione per l’Iraq è stata investita del compito di supportare il processo di institution building avviato con le elezioni del Consiglio dei Rappresentanti nel 2005 e con la scelta di istituire uno Stato federale.

Infine, in base a quanto previsto dall’art. 27 del regolamento, esiste un organo di coordinamento tra le molteplici istanze di cui i parlamentari europei si fanno portavoce nell’ambito della loro attività di diplomazia parlamentare. La Conferenza dei Presidenti di delegazione, composta da tutti i capidelegazione può presentare proposte alla Conferenza dei capigruppo in ordine alle attività di cooperazione interparlamentare e può vedersi attribuire ulteriori competenze da parte dell’Ufficio di presidenza. Appare alquanto anomala la mancata attribuzione al Presidente del Parlamento europeo della presidenza di quest’organo. L’art. 19, comma 4, reg., infatti, assegna proprio al Presidente il compito di rappresentare l’Istituzione nelle relazioni internazionali. Tale funzione, peraltro, è svolta regolarmente: egli partecipa in ambito europeo alla Conferenza degli Speaker dei Parlamenti europei, sotto l’egida del Consiglio d’Europa, e di quelli dell’Unione e si reca in missione presso organizzazioni internazionali, come l’OSCE e la NATO, e in visita presso le più alte cariche degli Stati membri e dei Paesi terzi154.

5.2 Le delegazioni del Parlamento europeo presso i Parlamenti di Stati terzi. Il leading case del Transatlantic Legislators’ Dialogue

La condotta delle delegazioni parlamentari si è rivelata spesso un utile strumento per reindirizzare l’attività svolta dalle Istituzioni dell’Unione quando questa ha deviato dai propositi originari e per rinsaldare delle relazioni determinanti da un punto di vista geopolitico.

Infatti, per quanto concerne l’obiettivo di rinsaldare l’asse Stati Uniti-Unione europea, l’avvio delle relazioni interparlamentari tra i due ordinamenti è databile addirittura al 1972, prima che il Parlamento europeo si trasformasse in Assemblea elettiva. In

154 Il Presidente del Parlamento europeo riceve spesso visite di capi di Stato e di governo a Bruxelles, come è accaduto recentemente, ad esempio, il 19 gennaio, quando ha incontrato il Primo Ministro turco Erdoğan.

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quell’anno è stata costituita la prima delegazione interparlamentare del Parlamento europeo di cui fanno parte tendenzialmente vicepresidenti, Presidenti di Commissione e di gruppi politici. Anche da parte degli Stati Uniti, comunque, i rapporti con il Parlamento europeo sono tenuti nella massima considerazione, tanto è vero che quella presso l’Unione europea è una delle tre delegazioni ufficiali del Congresso (assieme a quella per i rapporti con il Parlamento canadese e con quello messicano).

Fino al cinquantesimo meeting interparlamentare del 15-16 gennaio 1999, le delegazioni del Congresso e del Parlamento europeo si riunivano sistematicamente due volte all’anno, una volta negli Stati Uniti e una volta nel territorio dello Stato membro che esercitava la presidenza dell’Unione. In quell’occasione, però, si è deciso di intensificare i contatti reciproci e di lanciare l’iniziativa del Transatlantic Legislators’ Dialogue. Come previsto nello Joint Statement155, le delegazioni si riuniscono anche in videoconferenza e, in ogni caso, i costi per l’organizzazione dei loro meeting sono equamente suddivisi. In ogni Commissione del Congresso e del Parlamento europeo è designato un membro incaricato di assicurare un contatto permanente con il suo omologo e inoltre si garantisce un continuo scambio della documentazione attraverso la condivisione dei progetti di legge di comune interesse. Anche oggi le delegazioni al completo si riuniscono due volte all’anno, ma la loro cooperazione è diventata notevolmente più strutturata rispetto al passato. Entrambe le delegazioni nominano i loro membri per il Senior Level Group (SLG) che si riunisce due volte all’anno per definire l’agenda dei meeting, sulla scorta delle proposte avanzate da ciascun delegato e in relazione al calendario dei lavori del versante intergovernativo della “cooperazione transatlantica”156.

5.3 L’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UENell’ambito della proiezione estera del Parlamento europeo, di

particolare rilievo è la cooperazione tra i Paesi UE e gli Stati di Africa, Caraibi e Pacifico (ACP). Tale cooperazione di natura politica, economica e sociale è stata avviata nel 1964 con la firma della prima Convenzione di Yaoundé, per essere successivamente rinnovata dalle successive Convenzioni di Lomé, fino all’Accordo di Cotonou,

155 Cfr. il testo del documento disponibile sul sito internet del Parlamento europeo all’indirizzo www.europarl.europa.eu/intcoop/tld/what_is/joint_statement_en.htm

156 Inoltre, la delegazione del Parlamento europeo per i rapporti con gli Stati Uniti, a testimonianza del valore attribuito alla cooperazione con il Congresso, ha costituito un comitato direttivo e un segretariato permanente.

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firmato nel 2000 e rivisto nel 2005157. Quest’ultimo offre un quadro generale delle relazioni tra l’Unione europea e gli attuali 79 Paesi ACP finalizzate, soprattutto, allo sviluppo economico e commerciale e alla stabilizzazione politica degli Stati membri.

La Parte II della Convenzione istituisce gli organi congiunti coinvolti a vario titolo nella realizzazione degli obiettivi sanciti dall’art. 1 della stessa Convenzione: si tratta del Consiglio dei ministri (art. 15 Conv. di Cotonou)158, del Comitato degli Ambasciatori159 (art. 16 Conv. di Cotonou) e dell’Assemblea parlamentare paritaria (art. 17 Conv. di Cotonou), il cui compito principale è favorire lo sviluppo della dimensione politica del partenariato attraverso il dialogo tra gli eletti.

L’Assemblea, che si riunisce due volte l’anno160 alternativamente in un Paese ACP e in uno Stato membro dell’UE (art. 17, c. 3, Conv. di Cotonou), è composta dallo stesso numero di rappresentanti dei Paesi ACP e del Parlamento europeo161, non di delegati dei Parlamenti nazionali (art. 17, c. 1, Conv. di Cotonou). La Convenzione assegna all’Assemblea soltanto poteri consultivi (art. 17, c. 2, Conv. di Cotonou) finalizzati a promuovere il dialogo e la concertazione e, quindi, a favorire il processo di consolidamento democratico, ad esaminare le questioni relative allo sviluppo e al partenariato e, infine, ad adottare delle risoluzioni e indirizzare delle raccomandazioni al Consiglio dei ministri in merito all’attuazione degli obiettivi sanciti dalla stessa Convenzione.

L’Assemblea si è anche dotata di un regolamento interno (art. 17, c. 4, Conv. di Cotonou), il quale istituisce un Ufficio di presidenza (art. 2, c. 3, reg. Ass.) e tre Commissioni permanenti (art. 24 reg. Ass.). L’Ufficio è composto da due co-presidenti e 24 vicepresidenti (12 europei e 12 ACP), eletti con un mandato di un anno. Esso ha il compito di garantire la continuità dei lavori dell’Assemblea; di

157 Il testo completo degli Accordi e delle Convenzioni è consultabile sul sito del Segretariato ACP: www.acpsec.org.

158 Il Consiglio è composto da rappresentanti del Consiglio dell’Unione europea e della Commissione e da un membro del Governo di ogni Paese ACP. Esso si riunisce una volta l’anno su iniziativa della presidenza, assunta a rotazione dai membri.

159 Il Comitato degli Ambasciatori assiste il Consiglio dei ministri. Esso è composto dai rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l’UE, da un membro della Commissione europea e da un rappresentante per ogni Stato ACP presso l’UE.

160 Nel 2008 si sono svolte la XV Sessione dell’Assemblea parlamentare (in Slovenia, dal 15 al 20 marzo) e la XVI (in Nuova Guinea, dal 24 al 28 novembre.

161 L’elenco dei deputati membri dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE è consultabile su www.europarl.europa.eu.

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controllare il seguito dato alle attività e alle risoluzioni approvate e di mantenere i contatti con il Consiglio dei ministri e il Comitato degli Ambasciatori. Inoltre, esso sottopone all’approvazione dell’Aula l’ordine del giorno delle discussioni (art. 7, c.1, reg. Ass.), nel quale la metà dei punti iscritti devono riguardare temi di interesse comune.

Le commissioni parlamentari permanenti sono regolamentate dall’Allegato I al Regolamento dell’Assemblea inerente le competenze, le attribuzioni, la composizione e le procedure delle commissioni permanenti. In particolare, sono istituite: la Commissione politica; la Commissione per lo sviluppo economico, le finanze e il commercio; la Commissione per gli affari sociali e l’ambiente. Esse sono composte da 52 membri (metà del Parlamento europeo e metà in rappresentanza dei Paesi ACP) e sono dotate di un regolamento approvato dall’Assemblea su proposta dell’Ufficio di presidenza. Ciascun parlamentare membro dell’Assemblea ACP-UE ha il diritto di partecipare ai lavori di una delle Commissioni permanenti e qualora il numero dei Paesi ACP aumenti, il numero dei componenti aumenta in proporzione.

Una particolarità concerne la possibilità che i parlamentari partecipino alle riunioni delle Commissioni di cui non fanno parte, in veste consultiva o qualora l’argomento in discussione riguardi il loro Paese o la loro regione, purché invitati dall’Ufficio di presidenza della Commissione interessata. Inoltre, è prevista anche la possibilità che ai lavori delle Commissioni partecipino rappresentanti che non siano membri di un Parlamento, ma soltanto nel caso in cui l’argomento in discussione riguarda il loro Paese; essi non hanno tuttavia diritto di voto.

La composizione delle Commissioni riflette, per quanto possibile, quella dell’Assemblea: vi è un Ufficio di presidenza di Commissione, eletto per la durata di un anno e composto da due co-presidenti (un rappresentante del Parlamento europeo e un rappresentante degli Stati ACP) e da quattro vicepresidenti (due rappresentanti dei paesi ACP e due rappresentanti del Parlamento europeo). Le Commissioni si riuniscono previa convocazione dei loro co-presidenti e per un massimo di quattro sessioni all’anno, due delle quali durante la sessione dell’Assemblea.

Tra i compiti dell’Assemblea quello di costituire delle missioni di studio o d’inchiesta (art. 27 reg. Ass.) e di contribuire alla realizzazione degli obiettivi sanciti dalle Convenzioni internazionali UE-ACP.

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Un ambito nel quale l’Assemblea ha agito con particolare attenzione concerne la cooperazione regionale e la creazione di politiche di sviluppo decentralizzate. In questo senso, infatti, l’art. 17, c. 3, della Convenzione di Cotonou sancisce la possibilità di convocare riunioni tra parlamentari UE e ACP interessati allo sviluppo di determinate regioni.

Questa forma di cooperazione integra il partenariato euro-mediterraneo, coinvolgendo un numero di Stati maggiore in rappresentanza di regioni più ampie. Lo strumento principale di finanziamento delle attività sopra descritte è il Fondo europeo per lo sviluppo (FES), introdotto dal trattato di Roma del 1957, e basato su una pluralità di strumenti finalizzati al sostegno economico di progetti legati, ad esempio, al settore agricolo.

5.4 L’Assemblea parlamentare euro-latino americanaIn ordine di tempo l’ultima Assemblea interparlamentare istituita

tra il Parlamento europeo e i Parlamenti di Stati terzi è stata l’Assemblea parlamentare euro-latino americana (EUROLAT).

Dal 1974 al 2006 hanno avuto luogo ben 17 meeting tra il Parlamento europeo, il Parlamento latinoamericano, il Parlamento andino, il Parlamento dell’America centrale e la Commissione parlamentare del Mercosur. Quindi, la costituzione, nel 2006 a Bruxelles, di tale organismo interparlamentare ha rappresentato il coronamento di un’aspirazione condivisa tra il Parlamento europeo e molti Parlamenti dell’America latina di rafforzare la cooperazione tra le due regioni162.

Ad eccezione dell’Assemblea di Strasburgo e, parzialmente, del Parlamento andino, che sono eletti direttamente dai cittadini, i delegati del Parlamento centroamericano e latinoamericano e quelli dell’attuale Parlamento del Mercosur sono oggetto di un’investitura di terzo grado: dal rispettivo Parlamento nazionale presso la sede di cooperazione interparlamentare regionale e da quest’ultima presso l’Assemblea euro-latino americana163. Tra i poteri che le sono

162 A tal proposito, si vedano le risoluzioni del Parlamento europeo del 15 novembre 2001 ( A5-0336/2001) e del 27 aprile 2006 (A6-0047/2006), disponibili su sito web del Parlamento europeo, rispettivamente, agli indirizzi: www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P5-TA-2001-0613+0+DOC+XML+V0//ES&language=EN; www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-2006-0155+0+DOC+XML+V0//EN.

163 Dell’Assemblea interparlamentare fanno parte anche dei rappresentanti delle Commissioni miste UE - Messico e UE-Cile. Il Parlamento messicano e quello cileno, comunque, sono rappresentati anche in quanto componenti dei “Parlamenti

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riconosciuti si evidenzia quello di adottare a maggioranza risoluzioni e raccomandazioni non vincolanti, indirizzate agli organismi intergovernativi. Inoltre, i componenti dell’Assemblea possono rivolgere interrogazioni a risposta scritta ed orale alle istituzioni ministeriali dei processi di integrazione regionale in America Latina, al Consiglio dei Ministri dell’Unione e alla Commissione europea, i cui rappresentanti di norma assistono alle sedute dell’Assemblea.

Per quanto riguarda l’attribuzione dei seggi, l’Assemblea ha una composizione paritetica: dei 120 membri, metà sono deputati del Parlamento europeo e metà sono deputati della componente latinoamericana, “in modo che sia rispecchiata la distribuzione dei diversi gruppi politici e dei Paesi rappresentati nei Parlamenti” (art. 2, comma 2 reg.)164.

L’Assemblea, convocata in via ordinaria una volta all’anno alternativamente in un Paese dell’America latina o dei Caraibi e presso il Parlamento europeo o uno degli Stati membri dell’Unione (di preferenza si sceglie il Paese che organizza il vertice UE-ALC), è co-presieduta dal Presidente della delegazione del Parlamento europeo e dal Presidente della delegazione di una delle Assemblee interparlamentari dell’America Latina165. Essi fanno parte dell’Ufficio di presidenza assieme a quattordici vicepresidenti, sette dei quali sono scelti dalla componente latinoamericana e altrettanti dalla componente europea166. I delegati, che siedono in ordine alfabetico nel consesso, possono iscriversi ad uno dei gruppi politici (coincidenti con quelli costituiti presso il Parlamento europeo) oppure confluiscono nel gruppo dei non iscritti.

I componenti dell’Assemblea hanno diritto a far parte almeno di una delle tre Commissioni parlamentari permanenti: per gli affari politici, la sicurezza e i diritti umani; per gli affari economici finanziari e commerciali; per gli affari sociali, gli scambi umani, l’ambiente, l’istruzione e la cultura. Questi organi sono formati in modo paritetico dalle due componenti principali dell’Assemblea, quella latinoamericana e quella europea (art. 21 reg.), in modo da rispecchiarne il più possibile la composizione e sono convocate dai latinoamericani di integrazione (art. 2 reg.)”.

164 Cfr. il testo del regolamento dell’Assemblea all’indirizzo www.europarl.europa.eu/intcoop/eurolat/documents/rules_of_procedure/version_december2007_en.pdf

165 Si segnala che in occasione della convocazione dell’Assemblea plenaria si riuniscono anche le due commissioni parlamentari miste UE-Messico e UE-Cile costituite nell’ambito dei rispettivi accordi di associazione.

166 E’ stato costituito un ufficio di presidenza “allargato” a cui partecipano anche i presidenti delle commissioni e i coordinatori dei gruppi politici.

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rispettivi presidenti almeno due volte all’anno (una delle quali in occasione della sessione plenaria).

5.5 Le missioni di osservazione elettoralePrima di concludere questo paragrafo, è necessario soffermarsi

sulle missioni di osservazione elettorale condotte dal Parlamento europeo. Tali attività di osservazione e controllo delle elezioni o dei referendum riguardano i Paesi terzi che abbiano espressamente richiesto la presenza dell’Unione europea o di una delegazione parlamentare. L’art. 1 della Decisione della Conferenza dei Presidenti del 12 maggio 2005, dal titolo “Implementing Provisions Governing Election Observation Missions” 167, stabilisce che tali attività sono condotte allo scopo di rafforzare la legittimità del processo elettorale, far aumentare la fiducia dell’opinione pubblica, prevenire i brogli elettorali, rafforzare la tutela dei diritti dell’uomo e contribuire alla risoluzione dei conflitti.

In questo senso, il compito di curare tutti gli aspetti relativi alla pianificazione delle missioni spetta all’Election Coordination Group, costituito dalla Conferenza dei Presidenti con una Decisione dell’8 novembre 2001. Il Gruppo stabilisce un programma semestrale di missioni elettorali (art. 3 della Decisione del 2005) da sottoporre all’approvazione della Conferenza, la quale autorizza la messa in atto di tali attività sulla base di una serie di “criteri” elencati dall’art. 4 della medesima Decisione.

A regolamentare le missioni elettorali sono intervenute anche la Guidelines for EP Election Observation Delegations168, approvate dalla Conferenza dei Presidenti il 6 giugno 2006. Nel documento sono previste una serie di linee guida e di adempimenti relativi alla pre-mission phase, alla fase operativa e a quella conclusiva. In particolare, le linee guida riguardano la formazione della delegazione e la convocazione di un breafing di preparazione (punti 4-12); l’arrivo nel Paese oggetto della missione e la partecipazione all’organizzazione dell’election day (punti 13-18); infine, l’audizione del capo-delegazione da parte di alcuni organismi tra i quali il Foreign Affairs Committee.

6. Conclusioni

167 Il testo della Decisione è consultabile su www.europarl.europa.eu.168 Il testo completo è consultabile su www.europarl.europa.eu.

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In questa breve disamina delle attività internazionali delle Assemblee elettive, viste attraverso l’esame di quelle condotte dal Parlamento italiano e dal Parlamento europeo si è cercato di dare conto degli aspetti essenziali, ponendo l’accento sulle problematiche più evidenti e sulle questioni ancora in sospeso. Al termine di questa analisi è necessario tirare le somme, accennando ai nodi ancora irrisolti della cooperazione tra i Parlamenti, considerate nella loro dimensione globale.

a) le cause dello sviluppo delle relazioni tra i Parlamenti e il dibattito attorno alla definizione di diplomazia parlamentare

I nodi principali concernono due questioni: i motivi che hanno portato allo sviluppo delle relazioni interparlamentari e il dibattito attorno alle nozioni di diplomazia parlamentare e cooperazione interparlamentare.

Lo sviluppo della dimensione parlamentare delle organizzazioni internazionali, basata sul sistema di relazioni multilaterali che prevedeva l’istituzione di Assemblee composte dalle delegazioni dei Paesi membri, è stato reso possibile dai processi di sovrastatualità e interparlamentarietà169, affermatisi nella seconda metà del ‘900 come risposta politica e istituzionale ai problemi posti dalla globalizzazione.

In realtà, dalla fine della “guerra fredda”, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, i Parlamenti hanno assunto un ruolo importante nel panorama delle relazioni internazionale, anche grazie alla fine della logica della contrapposizione, che limitava l’azione delle organizzazioni internazionali e interparlamentari, sottomettendole alla logica dei blocchi contrapposti.

La dissoluzione dell’Unione Sovietica e, in parte, anche la conclusione del processo di decolonizzazione hanno portato al consolidamento dei regimi parlamentari e all’affermazione della democrazia negli Stati di recente formazione170. Dall’altro canto, il

169 Cfr. A. MANZELLA, Il Parlamento federatore, in Quaderni Costituzionali, 2002, p. 47.

170 Cfr. R. DICKMANN, La “diplomazia parlamentare", cit., p. 5. Si veda anche L. VIOLANTE, Il Parlamento nell’età della globalizzazione, in Rassegna. parlamentare, 2003, vol. 45, fasc. 1, p. 42; si rinvia inoltre a S. HUNTINGTON, La terza ondata. I processi di democratizzazione alla fine del XX secolo, Bologna, 1995, spec. p. 46 s. Secondo l’autore il progresso di democratizzazione si è propagato per ondate. La prima (1828-1926) è stata circoscritta in Europa e negli Stati Uniti d’America; la seconda ondata sarebbe iniziata nel 1922, gli Stati europei non-democratizzati hanno seguito l’esperienza di quelli democratizzati per effetto del “contagio democratico”. Gli altri Stati, Asia Africa e America latina in seguito al colonialismo europeo, durante la seconda fase, hanno importato il modello democratico dagli stati europei

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processo di globalizzazione ha imposto ai Parlamenti un adeguamento delle proprie modalità di funzionamento alla velocità del mondo contemporaneo, in continua evoluzione a livello politico, economico, sociale e culturale171. Da qui la necessità per i Parlamenti di incrementare la propria capacità decisionale realizzando la cosiddetta “democrazia decidente”, in modo da governare la globalizzazione ed affrontare i problemi che investono direttamente la vita dei cittadini172. Si è trattato, quindi, di trovare “soluzioni globali a problemi globali”173, in un contesto nel quale “i processi di internazionalizzazione della decisione politica e i molteplici vincoli di origine sovranazionale hanno determinato significative ‘ricadute’ sul ruolo della legge e sui procedimenti legislativi”174 e dove la proliferazione delle organizzazioni internazionali, in particolare a carattere regionale (Unione Europea, ma non solo) rendeva sempre più stringenti i vincoli per gli Stati175. In tale contesto, si assiste alla “progressiva erosione delle attribuzioni dello Stato (e dei Parlamenti nazionali) dall’alto e dal basso sino a giungere ad una sorta di sistema integrato di multilevel government”176.

colonizzatori; infine, la terza ondata si avvia da un lato con la fine del regime franchista in Spagna e la trasformazione democratica del Portogallo, dall’altro con il crollo del blocco che faceva capo all’URSS sia da un punto di vista militare sia ideologico.

171 Cfr. R. DICKMANN, La “diplomazia parlamentare",…, cit., p. 6. Su questo si veda anche L. VIOLANTE, Il Parlamento nell’età…, cit., pag 42. Il presidente Violante afferma che “per effetto della globalizzazione, sono mutati tutti i caratteri tradizionali del sistema politico: la forma di Stato, la forma di Governo e la forma di Parlamento”.

172 Cfr. Tra la diplomazia parlamentare e la politica estera: il nuovo ruolo delle Assemblee elettive. Intervista a Luciano Violante, p. 9. Si veda anche L. VIOLANTE, Il futuro dei Parlamenti, in Storia d’Italia, Annali, n.17, Il Parlamento (a cura di) L. Violante, Torino, Einaudi, 2001, pagg. XXI- LXVII.

173 Cfr. E. MENEM, La acción exterior del Senado argentino, in Politica exterior, n. 13, Verano/Otoño, 1999, p. 30.

174 Cfr. G. RIVOSECCHI, Il ruolo delle Assemblee rappresentative di fronte ai processi di globalizzazione: spunti ricostruttivi, in Rassegna Parlamentare, 2003, vol. 45, fasc. 2, p. 502.

175 Cfr. M. TELÒ, L’Europa potenza civile, Roma-Bari, 2004, spec. 89-120; M. TELÒ, Dallo Stato all’Europa: idee politiche e istituzioni, Roma, 2004, spec. 211-236.

176 Cfr. G. RIVOSECCHI, Il ruolo delle Assemblee, cit., p. 505. Si veda anche M. R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione, Bologna, 2000, spec. 101-117; M. R. FERRARESE, Il diritto al presente: globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, 2002, spec. 65-90; M. R. FERRARESE, Diritto sconfinato: inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma, 2006, spec. 28-37; S. CASSESE, L’erosione dello Stato: una vicenda irreversibile?, in S. Cassese - G. Guarino, Dallo stato monoclasse alla globalizzazione, Roma, 2000, spec. 19 s.; G. GUARINO, Il governo del mondo globale, Firenze, 2000, spec. 250-270; M. TELÒ, L’Europa potenza…, cit., p. 90.

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Questi due elementi, al centro di dibattiti e riflessioni elaborate soprattutto negli ultimi anni177, hanno portato le Assemblee elettive degli Stati nazionali a sviluppare in modo sempre più organico forme di cooperazione tra le diverse strutture parlamentari.

L’analisi di queste forme di cooperazione tra Parlamenti178 non può prescindere da una precisazione terminologica relativa al significato della locuzione “diplomazia parlamentare” e alla differenza, se esiste, con le attività di cooperazione interparlamentare, cercando, in sostanza, di orientarsi in “quel magnum ignotum in cui non è facile districarsi, neanche per gli addetti ai lavori”179.

Per diplomazia parlamentare180 si intende in genere “il complesso delle iniziative di rilievo internazionale che gli organi parlamentari pongono in essere o nelle quali sono coinvolte”181. Secondo altra dottrina, essa “rappresenta l’esecuzione, lo strumento e la metodologia approntati e messi al servizio di quella politica e quelle direttive definite dal Parlamento in relazione alla sua politica internazionale”182.

Comunque la si intenda, la locuzione ha sicuramente il vantaggio di evidenziare la politicità dell’attività, che è tipica del Parlamento. Essa unisce due concetti tra loro diversi: il sostantivo “diplomazia”183, che indica la componente del potere esecutivo; e l’aggettivo “parlamentare”, che richiama, invece, il Parlamento. Ma la diplomazia

177 Cfr. G. RIVOSECCHI, Il ruolo delle Assemblee…, cit., spec. 499-524; M. A. MARTINEZ, La diplomacia parlamentaria y la construcción de la paz, in Politica exterior, n. 13, Verano/Otoño, 1999, p. 47-57.

178 Occorre puntualizzare che “si tratta di un settore dove non esiste una ripartizione netta delle competenze tra i vari organi della Camera né una base normativa di riferimento per l’esercizio di tali attività: è solo sulla base dell’esperienza che si consolidano e si mutano prassi e consuetudini”. Cfr. R. Dickmann, Parlamento e Governo, cit., p. 615.

179 Cfr., a questo proposito, G. Baiocchi, Profili e missione…, p. 675.180 Cfr. F. TRILLO-FIGUEROA, Parlamento y política exterior, in Politica exterior,

n. 13, Verano/Otoño, 1999, p. 25. L’autore indica le caratteristiche fondamentali della diplomazia parlamentare: l’informalità, la pluralità nella rappresentazione politica, la stabilità, il coordinamento con la politica estera governativa e, infine, la maggiore libertà d’azione.

181 Cfr. R. DICKMANN, La "diplomazia parlamentare"…, cit., p. 5. R. DICKMANN, Parlamento e Governo, cit., p. 611.

182 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione…, cit., p. 677.183 Cfr. R. DICKMANN, La "diplomazia parlamentare"…, cit., p. 7. Secondo tale

autore, “la locuzione “Diplomazia parlamentare” può rivelarsi inadatta a tradurre l’effettività e le potenzialità del dialogo e dei contatti tra i Parlamenti. Le attività classificate con tale termine non sono attività diplomatiche: anzi hanno valore in tale dimensione se costituiscono un oggetto dell’azione diplomatica del Governo (…) Non ha quindi rilievo spendere la parola diplomazia a scopo puramente descrittivo dell’impegno internazionale delle Camere e dei loro rispettivi organi”.

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nasce sul coté governativo184 e si basa sul dialogo tra gli Stati; quindi in origine, la diplomazia riprende l’essenza del Parlamento, ossia il confronto e il dialogo tra le parti. Il cambiamento degli ultimi anni consiste, invece, in un Parlamento che si atteggia a corpo diplomatico, nel momento in cui agisce intensificando le relazioni internazionali, cooperando con le altre Assemblee in fori bilaterali o, più spesso, multilaterali.

Il quadro che si è tracciato fino a questo punto descrive la diplomazia parlamentare come un metodo che consiste in incontri e colloqui tra le autorità di ciascun Parlamento. La cooperazione tra i Parlamenti sarebbe invece la concretizzazione di quelle attività e si sostanzia anche nella sottoscrizione di Accordi o Protocolli d’intesa tra due Assemblee nazionali o tra un’Assemblea nazionale e una internazionale allo scopo di sviluppare rapporti che portino anche ad uno scambio di informazioni ed esperienze tra le amministrazioni parlamentari coinvolte. In questo rientrano i due livelli della cooperazione interparlamentare: bilaterale e multilaterale. Dove il primo niveau comprende la firma di Accordi tra i Presidenti delle Assemblee; le visite in sede o all’estero delle Commissioni permanenti per lo svolgimento di indagini conoscitive; oppure la partecipazione di gruppi di parlamentari, membri di una determinata Commissione, ai lavori di una omologa Commissione di un altro Paese. Mentre il secondo, concerne gli incontri in sedi plurilaterali, che possono avere un carattere stabile o occasionale.

Detto questo, si potrebbe giungere alla conclusione che per diplomazia parlamentare s’intenda l’attività internazionale del Parlamento; mentre tutte le altre iniziative, che non hanno un immediato riflesso politico, anche se, com’è ovvio, funzionali ad altre attività di natura politica, rientrano nel concetto di “cooperazione”, ossia: l’assistenza ai Parlamenti di nuova democrazia; la cooperazione amministrativa; lo scambio di esperienze funzionali, come i meccanismi di voto e le tecniche di resocontazione, e di procedure regolamentari; la cooperazione finalizzata allo scambio dei modelli legislativi o amministrativi.

Un altro nodo cruciale, più volte accennato, consiste nell’intendere la scelta di cooperare con un’altra Assemblea come intrisa di politicità, che si estrinseca anche attraverso attività non strettamente

184 Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione…, cit., p. 677; E. SERRA, Manuale di storia delle relazioni internazionali e diplomazia, Milano, 1991, p. 99-100; V. LIPPOLIS, Parlamento e potere estero, in Il Parlamento repubblicano (1948-1998), a cura di Silvano Labriola, Roma, 1999, spec. 538-543.

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politiche. Se non tutte, sicuramente le principali iniziative di cui si è discusso fin qui sono frutto di scelte riconducibili ai poteri del Presidente d’Assemblea, che in Italia sono notevolmente accentuati. Infatti, a partire dalla XIII Legislatura, la Presidenza della Camera ha favorito la proiezione estera del Palamento coerentemente al background politico e culturale del Presidente eletto (come rilevato nel par. 2.1).

b) il nodo italiano: il rapporto tra Parlamento e Governo Una caratteristica del sistema istituzionale italiano consiste nella

forte differenziazione tra le attività estere condotte nei due rami del Parlamento: la Camera è molto più attiva, mentre il Senato è tradizionalmente più ancorato alle attività multilaterali che si svolgono nell’ambito delle Assemblee internazionali, alle quali partecipa attraverso le delegazioni bicamerali permanenti. La causa principale della minore proiezione internazionale della seconda Camera italiana risiede in primis nella stessa forma di governo, ossia in quel bicameralismo paritario185 che non consente al Senato di rapportarsi al pari con le altre Assemblee legislative nazionali.

Il nodo chiave è il rapporto col Governo. La diplomazia parlamentare deve muoversi all’interno delle direttive dell’esecutivo, oppure può anche scavalcarle o anticiparle?

La diplomazia parlamentare, quindi l’attività estera dei membri dell’Assemblea, è più libera di quella governativa, perché meno vincolata alla politica di alleanze del Governo (è il caso del discorso pronunciato dal leader palestinese, Yasser Arafat, alla Camera dei deputati, che ha anticipato l’apertura governativa nei confronti dell’Autorità palestinese; oppure delle attività della Camera nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran) e più stabile perché unisce maggioranza e opposizione, al contrario di quella governativa, che invece è espressione della sola maggioranza.

Si può parlare dunque di un “potere estero del Parlamento”? In realtà la risposta non può che essere negativa186. La politica estera di uno Stato è “quasi” esclusivamente di competenza governativa (già Locke nel 1690 attribuiva l’esercizio del “potere estero” al potere esecutivo). Infatti, un Parlamento (e il suo Presidente) non potrebbe impostare una politica estera discordante o concorrente con quella

185 Cfr. Tra la diplomazia parlamentare e la politica estera: il nuovo ruolo delle Assemblee elettive. Intervista a Luciano Violante, cit., p. 12.

186 Su questo si vedano, tra gli altri, R. DICKMANN, Parlamento e Governo, cit., p. 612; Tra la diplomazia parlamentare e la politica estera: il nuovo ruolo delle Assemblee elettive. Intervista a Luciano Violante, cit., p. 9.

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portata avanti dal Governo e annunciata nel programma su cui il Parlamento stesso si è pronunciato positivamente, con il voto di fiducia.

Detto ciò, non si può non rilevare l’irruzione del Parlamento sulla scena delle relazioni internazionali e quindi il maggiore peso politico e, forse, anche una relativa autonomia nel gestire una propria rete di rapporti. In questo senso, possiamo ammettere un’evoluzione in senso parlamentare del potere estero, che ha certamente anche un valore democratico in quanto amplia la sfera operativa del massimo organo rappresentativo della volontà popolare, anche se ciò potrebbe rendere più difficoltoso lo sviluppo di una coerente azione internazionale dello Stato.

Tuttavia, le attività di cooperazione interparlamentare che prevedono, ad esempio, il sostegno alla sviluppo dei Paesi di nuova democrazia non possono prescindere dalla necessità di mantenere un raccordo con la linea di politica estera governativa. Anche quando le iniziative parlamentari siano destinate ad assicurare un supporto tecnico ai progetti governativi di cooperazione allo sviluppo, questo non può svolgersi senza un coordinamento con le strutture governative e soprattutto senza un adeguato sostegno finanziario, che solo l’esecutivo può assicurare in quanto responsabile della gestione delle risorse nazionali destinate appunto alla cooperazione allo sviluppo.

In questo quadro, un esempio significativo per comprendere il rapporto tra legislativo ed esecutivo concerne la presenza e il ruolo del consigliere diplomatico in Parlamento. L’art. 15 del Decr. Leg. 24 marzo 2000, n. 85 sul “riordino della carriera diplomatica, a norma dell’art. 1 della legge 28 luglio 1999, n. 266” consente il collocamento fuori ruolo dei funzionari della carriera diplomatica, presso il Senato e la Camera, oltre che presso la Presidenza del Consiglio, i ministeri, le regioni e le città metropolitane. Nell’ambito del sistema parlamentare sorge un problema: tale funzionario è un membro dello staff presidenziale quale fiduciario del Presidente o è inserito nella struttura parlamentare quale relais tra la Presidenza stessa e il Governo? Resta comunque il fatto che il consigliere di un Presidente d’Assemblea opera in un contesto molto diverso da quello di un ministero. In ambito ministeriale, tutta l’attività è logicamente riconducibile al Ministro; mentre in ambito parlamentare, l’attività della Camera o del Senato non è tutta riferibile al Presidente, perché ci sono numerosi altri soggetti istituzionali (come abbiamo visto nel par. 2) che svolgono attività di rilevanza internazionale. In conclusione, potremmo dire che il consigliere diplomatico, in quanto “funzionario

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di collegamento” tra il legislativo e l’esecutivo, si occupa essenzialmente dell’attività internazionale del Presidente della Camera o del Senato, non di quella degli altri organi (in primis, la Commissione affari esteri), con il compito di garantire appunto una forma di coordinamento con la politica estera dell’esecutivo.

c) il gap democratico e la rilevanza in ambito nazionale delle decisioni assunte in sede internazionale

Le questioni viste fin qui rinviano ad altri due punti: la legittimazione democratica e il ritorno delle decisioni assunte in ambito internazionale.

Il primo punto è la raison d’être della diplomazia parlamentare. La nuova fase delle relazioni internazionali, aperta dall’avvio dei processi di globalizzazione, rende indispensabile coniugare l’esigenza della rappresentanza e la capacità di decidere velocemente. In questo quadro, a fronte di un rafforzamento del ruolo dei Governi, le Assemblee dovrebbero velocizzare la capacità di individuare, approfondire e discutere i problemi e i bisogni della società, per poi assumere scelte legislative che consentano al Governo di operare efficacemente.

L’esigenza della rappresentanza rileva anche sul piano multilaterale. Aprire i negoziati internazionali (che sono soltanto governativi) anche ai membri dei Parlamenti significherebbe rendere i parlamentari protagonisti della formazione degli agreements, piuttosto che coinvolgerli solo in sede di ratifica. In questo senso, sarebbe necessaria una riforma dei regolamenti parlamentari che porti ad un maggiore coinvolgimento delle Commissioni permanenti nella fase ascendente, cioè prima che le Assemblee internazionali si pronuncino, in modo che le delegazioni diventino portatrici delle competenze delle Commissioni parlamentari e alimentino, a loro volta, la qualità del lavoro delle Commissioni stesse, collegandolo a quello delle Assemblee internazionali. Inoltre, di particolare efficacia era la prassi, avviata durante la XIII Legislatura, di riunioni periodiche tra gli Uffici di presidenza delle delegazioni e quelle delle Commissioni permanenti di riferimento, alla presenza anche dei rappresentanti del Governo, al fine di esaminare l’attività delle singole organizzazioni internazionali e di elaborare elementi di indirizzo e controllo. Infine, si potrebbe predisporre una maggiore connessione tra l’esame degli atti approvati dalle Assemblee internazionali e l’istruttoria relativa ai provvedimenti su materie analoghe, non solo nell’agenda delle singole Commissioni ma tra le stesse Commissioni di Camera e Senato.

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Un tentativo di razionalizzazione dell’attività internazionale e di contenimento della spesa si è avviato in questa Legislatura attraverso la creazione di Segreterie unitarie delle delegazioni permanenti187. Il modello che è stato applicato è quello per cui le funzioni di segreteria vengono attribuite all’amministrazione del ramo del Parlamento a cui appartiene il Presidente della delegazione eletto.

Il problema della legittimazione democratica ci porta anche alle Nazioni Unite. L’ONU, infatti, ritiene di risolvere il proprio deficit democratico attraverso l’Assemblea generale, anche se formata da delegazioni costituite solo da rappresentati governativi. Da qui l’esigenza di una Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite, formata da delegazioni di parlamentari di maggioranza e opposizione, sul modello dell’Assemblea dell’Unione interparlamentare.

Il ruolo dell’Unione Interparlamentare nella promozione di una dimensione rappresentativa delle Nazioni Unite, in cui i Parlamenti nazionali trovino un canale diretto di coinvolgimento sia all’interno dei meccanismi decisionali dell’ONU sia nella condivisione degli obiettivi perseguiti con le operazioni di peace-keeping e peace-enforcement, o volti al consolidamento delle istituzioni democratiche, si è formalizzato attraverso la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti nazionali nel mondo, svoltasi a New York nel 2000 e ospitata presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

In questo senso, l’organizzazione interparlamentare con un cursus honorum di tutto rispetto ha acquisito una specificità particolare: rappresenta, infatti, il foro principe per l’approfondimento e la discussione tra i parlamentari delle questioni in agenda presso l’Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza dell’ONU. Data la sempre più stretta collaborazione tra le due organizzazioni, l’Unione interparlamentare potrebbe accreditarsi di fatto come il braccio parlamentare dell’ONU.

Una soluzione che riprenderebbe quella adottata in ambito europeo, nei confronti della questione del gap di rappresentanza delle istituzioni comunitarie. In Europa, infatti, il problema è stato affrontato prevedendo un’Assemblea eletta a suffragio universale diretto dai cittadini dell’Unione, che dovrebbe controbilanciare la sovra-rappresentata dimensione governativa.

187 La proposta di creare segreterie unitarie per le delegazioni permanenti è stata avanzata da L. GIANNITI, Per un ragionevole bicameralismo amministrativo, nel volume Per fare funzionare il Parlamento, quarantaquattro modeste proposte, a cura di A. Manzella e F. Bassanini, Bologna, 2007, p. 80.

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In questo quadro, quindi, il Parlamento europeo compone la dimensione parlamentare europea, insieme alle Assemblee nazionali dei Paesi membri e ad altre iniziative: la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti e le Conferenze dei Presidenti delle Commissioni esteri, difesa, cooperazione allo sviluppo, diritti umani; oltre alla Conferenza degli organismi parlamentari specializzati negli affari comunitari (COSAC), l’Assemblea parlamentare dell’OSCE e quella dell’INCE. Un altro esempio è sicuramente rappresentato dal “modello Convenzione” che, dopo essere stato utilizzato per la redazione della Carta europea dei diritti fondamentali, è stato ripreso per l’elaborazione del Trattato costituzionale. Il nome dell’Assemblea indica un organo collegiale in cui vi erano, a pari titolo, rappresentanti dei Governi e dei Parlamenti sia dell’Unione che dei Paesi membri188.

In realtà, il vero nodo da sciogliere concerne il ritorno, nell’ambito delle politiche nazionali, delle decisioni assunte a livello internazionale. Questo punto è fondamentale per capire, al di la dei risultati in termini di risoluzioni o atti recepiti, cosa rimane delle attività svolte in ambito internazionale. La questione di fondo è quindi provare a dimostrare che non si tratta soltanto di “turismo parlamentare” o di “sterili manifestazioni di platonismo politico del tutto improduttive di utili e immediate conseguenze concrete” 189, ma quantomeno di “occasioni di formazione per i parlamentari”190, in un contesto meno formale e più libero.

Tutte le attività delle Commissioni permanenti sono finalizzate all’esercizio dei compiti previsti dalle norme di riferimento. Le missioni all’estero o gli incontri di studio consentono ai parlamentari di assumere elementi di valutazione indispensabili per potere poi effettuare un’analisi approfondita delle stesse questioni in Commissione. Quindi, qualsiasi attività delle Commissioni o dei membri delle delegazioni consente di trarre elementi funzionali all’attività interna del Parlamento che poi spesso si traduce in risoluzioni al Governo. In questi termini, possiamo dire che il ritorno all’interno degli Stati delle attività internazionali delle Camere è già assicurato e non solo per la formazione e le esperienze che i parlamentari maturano.

188 Si rinvia a C. FASONE, La cooperazione interparlamentare nel continente europeo, in questo volume.

189 Cfr. F. COSENTINO, L’Unione interparlamentare, in La politica parlamentare, n. 3-4, 1955, p. 36.

190 Cfr. Tra la diplomazia parlamentare e la politica estera: il nuovo ruolo delle Assemblee elettive. Intervista a Luciano Violante, cit., p. 11.

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Il problema è più complesso in riferimento alla cooperazione multilaterale, quindi nell’ambito dell’attività svolta dalle delegazioni presso il Consiglio d’Europa, l’UEO, la NATO, l’OSCE, l’InCE, l’UIP e, infine, l’APEM.

Le Conferenze o le sessioni delle Assemblee internazionali infatti, si concludono con l’approvazione di risoluzioni o Dichiarazioni finali, non vincolanti ma politicamente impegnative per gli Stati membri. Questo problema trascende dalla cooperazione o dalla diplomazia parlamentare, perché riguarda il raccordo del Parlamento con l’esterno.

Le questioni sollevate dagli Organismi internazionali e sancite in Dichiarazioni o risoluzioni ancora non hanno un posto di rilievo nell’organizzazione dei lavori parlamentari. Questo finché i parlamentari stessi percepiranno la dimensione internazionale come un elemento esterno all’Assemblea. Utile ai fini della crescita e del prestigio personale, ma meno produttivo in termini di consenso politico ed elettorale191.

A questo proposito i problemi principali sono due: il primo, la mancanza di norme regolamentari che assicurino procedimenti certi e sicuri; il secondo, la scarsa sensibilità politica degli stessi eletti. Infatti, i regolamenti parlamentari prevedono l’esame delle risoluzioni approvate a livello internazionale, ma queste norme sono inattuate perché prevedono dei tempi lunghissimi e procedure complesse, a dispetto di decisioni che rispondono a problemi urgenti e conseguenti ai fenomeni di global governance. Ne derivano una serie di effetti negativi, tra i quali la poca considerazione nelle scelte politiche nazionali dell’attività svolta a livello internazionale e delle decisioni assunte nei settori più vari. In questo modo le Camere rischiano di approvare disposizioni non coordinate o in contrasto con quelle elaborate dalle organizzazioni internazionali.

La risoluzione di tale questione non riguarda solo il Parlamento italiano, ma in generale tutte la Assemblee legislative nazionali, e non va considerata solo in termini procedurali ma, soprattutto, di responsabilità politica.

191 Invero, durante la scorsa Legislatura, su proposta del Sen. Sinisi, Presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Unione dell’Europa occidentale, la delegazione UEO, mostrandosi particolarmente attiva, deliberò di indirizzarsi ai Presidenti delle camere e al Governo sul tema dell’assoluta inadeguatezza del controllo parlamentare sulla PESD come esercitato in ambito Assemblea UEO. Si rinvia al resoconto sommario della seduta n.3 del 25 settembre 2007 su http://notes9.senato.it/W3/Lavori.nsf/RsUEOCommWeb?OpenForm&Start=1&Count=30&Expand=1.1&Seq=2.

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In conclusione, in un momento in cui il ruolo stesso del Parlamento è in crisi e avanza la richiesta di maggiore velocità ed efficienza legislativa nella soluzione dei problemi determinati da dinamiche globali e non più nazionali, le Assemblee hanno una grande chance: favorire la formazione di piattaforme politiche comuni, in modo da recuperare il gap decisionale con gli esecutivi e realizzare l’obiettivo stesso della diplomazia parlamentare: sprovincializzare la politica (soprattutto italiana) contribuendo alla nascita di una classe dirigente globale.

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LA COOPERAZIONE INTERPARLAMENTARENEL CONTINENTE EUROPEO

CRISTINA FASONE

1. Premessa - 2. La dimensione parlamentare di forme di cooperazione regionale in Europa – 2.1 La cooperazione interparlamentare tra gli Stati del Mar Baltico; 2.2 La cooperazione interparlamentare nell’ambito dell’Iniziativa Centro europea; 2.3 Il dialogo tra Parlamenti nel quadro del Consiglio della cooperazione regionale; 2.4 Le altre sedi di cooperazione interparlamentare. 3. La cooperazione interparlamentare nelle organizzazioni internazionali europee – 3.1 L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa; 3.2 L’Assemblea dell’Unione dell’Europa Occidentale - 4. La partecipazione del Parlamento italiano alla cooperazione interparlamentare nel continente europeo - 4.1 La fase costitutiva delle delegazioni parlamentari permanenti; 4.2 Il trattamento economico dei membri delle delegazioni; 4.3 Le missioni all’estero dei delegati e le implicazioni sul funzionamento delle Camere; 4.4 L’esame delle attività svolte dalle Assemblee parlamentari di organizzazioni internazionali - 5. L’evoluzione, la natura e il ruolo della diplomazia parlamentare – 5.1 Le “tre ondate” della diplomazia parlamentare; 5.2 La “diplomazia parlamentare”: una locuzione dibattuta; 5.3 La diplomazia parlamentare bilaterale e quella multilaterale, contingente e permanente; 5.4 A che cosa serve la diplomazia parlamentare?

1. Premessa

Nel presente contributo si esaminano innanzitutto le caratteristiche e le specificità delle istanze di cooperazione interparlamentare sorte a seguito dell’avvio di iniziative intergovernative in ambito regionale (in qualche caso, invece, il raccordo tra Parlamenti ha preceduto quello tra Esecutivi, come per la Conferenza parlamentare degli Stati del Mar Baltico e per il Consiglio Nordico)192: si tratta della dimensione parlamentare di sedi cooperazione tra Paesi che si affacciano sul Mar Baltico e sul Mar del Nord; tra gli Stati partecipanti all’Iniziativa Centro europea; tra i Paesi aderenti al

192 Sarà deliberatamente esclusa, invece, la trattazione delle forme e delle modalità di raccordo tra i Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’Unione e tra essi e il Parlamento europeo, avendo assunto queste, specie nell’ultimo ventennio, una fisionomia e caratteri loro propri, non assimilabili a quelli di altri “luoghi” di dialogo interparlamentare. Su tale tema sia consentito rinviare, pertanto, al contributo di C. FASONE sulla cooperazione tra i Parlamenti degli Stati membri dell’Unione, in questo volume.

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Consiglio della cooperazione regionale e all’Iniziativa Adriatico-Ionica. Tali sedi di raccordo tra Parlamenti, tutte istituite negli anni Novanta salvo qualche eccezione di cui si dirà successivamente, si contraddistinguono per il limitato livello di stabilizzazione raggiunto – pressoché nessuna di esse dispone di un segretariato permanente e anche nel quadro dell’Iniziativa centro europea, le commissioni interparlamentari permanenti non si riuniscono regolarmente, anzi a volte sono convocate anche a distanza di più di un anno tra una seduta e l’altra – e per la comune esigenza di ridefinire oggi il proprio ruolo. Al termine del secondo paragrafo si analizzano, poi, in modo piuttosto sintetico altre sedi di cooperazione interparlamentare riconducibili a tale categoria, poiché, a parere di chi scrive, la loro attività coinvolge soltanto limitatamente il Parlamento italiano.

Nel terzo paragrafo, invece, si esaminano la struttura e le modalità di funzionamento di due Assemblee interparlamentari nell’ambito di organizzazioni internazionali europee: il Consiglio d’Europa e l’Unione dell’Europa Occidentale. Tali consessi presentano un’organizzazione interna e procedimenti di notevole complessità, laddove si cerca di bilanciare la presenza di gruppi politici con quella di rappresentanti delle diverse commissioni e delle delegazioni nazionali. Il “livello di performance” raggiunto dalle sedi di cooperazione interparlamentare prese in esame nel contributo non è omogeneo: alcune di esse, come l’Iniziativa Centro europea, esaurita la loro funzione di sostegno all’adesione all’Unione, dopo che tutti gli Stati partecipanti ne sono diventati membri, intendono ridefinire le proprie funzioni; altre, come la Conferenza parlamentare degli Stati del Mar Baltico, nonostante le proposte di riforma e di ampliamento degli obiettivi perseguiti, rimangono ancora decisamente ancorate al tema della cooperazione economica; altre ancora, infine, come l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, sembrano aver definitivamente individuato un proprio ruolo. Peraltro, le risoluzioni e le raccomandazioni di tale organismo hanno un peso giuridico sconosciuto agli atti degli altri consessi interparlamentari. Difatti, esse sono quasi sempre richiamate nelle sentenze pronunciate dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Nel quarto capitolo si passano in rassegna gli strumenti utilizzati dal Parlamento italiano nella gestione dei rapporti con le altre Assemblee nazionali, soffermandosi su ciascuno degli organi che partecipano alle relazioni interparlamentari e sulle conseguenze derivanti dallo sviluppo della dimensione internazionale dell’attività parlamentare rispetto al funzionamento delle Camere.

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Infine, si concluderà con alcune riflessioni sulla nozione, invero piuttosto contestata, di “diplomazia parlamentare”. Ammettendo che sia corretto usare tale locuzione con riferimento al metodo seguito dai Parlamenti per dialogare con i propri omologhi o con le altre Istituzioni di Paesi terzi, si analizzeranno quindi le diverse configurazioni assunte dal fenomeno della “diplomazia parlamentare”: la cooperazione bilaterale tra i Parlamenti e i loro rispettivi organi; la cooperazione multilaterale a carattere episodico e non strutturato; la cooperazione multilaterale con carattere di stabilità.

2. La dimensione parlamentare di forme di cooperazione regionale in Europa

2.1 La cooperazione interparlamentare tra gli Stati del Mar Baltico

2.1.1 Una ricostruzione storica della Conferenza parlamentare degli Stati del Mar Baltico

La Conferenza parlamentare degli Stati del Mar Baltico (BSPC) vanta ormai diciassette anni di storia da quando, nel 1991, il Presidente del Parlamento finlandese, Kalevi Sorsa, ebbe l’iniziativa di convocarne la prima riunione193. Nel corso di quell’incontro fu avanzata la proposta di promuovere l’istituzione di una sede di raccordo intergovernativo, il Consiglio degli Stati del Mar Baltico (CBSS), che, secondo le delegazioni parlamentari intervenute, avrebbe dovuto definire un piano per la cooperazione regionale, identificando i settori nei quali essa sarebbe stata espletata e, per il Parlamento norvegese, in particolare, questo sarebbe diventato l’organo governativo di riferimento per la Conferenza194. La proposta ebbe successo, sebbene sia tuttora difficile da determinare il tipo di relazione che lega le due sedi di cooperazione.

193 Una disamina accurata dei primi anni di cooperazione tra Parlamenti e Assemblee del Mar Baltico è contenuto in Segretariato del Consiglio Nordico, Baltic Sea Parliamentary Conference. 10 years of work, Copenaghen, 2001.

194 Il Consiglio degli Stati del Mar Baltico fu istituito l’anno successivo, nel 1992, su iniziativa danese e tedesca per contribuire alla stabilizzazione politica ed economica dell’area. Sulla cooperazione nella regione del Mar Baltico, si vedano A. M. WESTIN, The Baltic countries and accession to the European Union, in The Baltic countries. From economic stabilization to EU accession, a cura di J. Berengault, Washington, IMF, 1998, p. 64 s. e M. CHATTERJI-B. LORENDAHL, Regional cooperation of the Baltic States, in Regional development reconsidered, a cura di G. Atalik e M. Fisher, Berlino, 2002, pp. 114-136.

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Sin dal secondo meeting di Oslo, nel 1992, la cooperazione tra le Assemblee partecipanti iniziò ad assumere dei tratti di maggior stabilità195. La quarta Conferenza, che fu organizzata dal Parlamento danese e dal Consiglio Nordico nel 1995, segnò una svolta nella vita della stessa. Infatti, con l’ingresso della Finlandia e della Svezia nell’Unione europea il primo gennaio di quell’anno la regione del Mar Baltico diventava un nuovo polo gravitazionale dell’UE196. Il Presidente del Parlamento europeo, on. Klaus Hänsch, partecipò per la prima volta alla riunione annuale del consesso e l’Unione europea lanciò la “politica della Dimensione Nordica”, ufficializzata sono nel 1998197, tramite la quale ci si proponeva di contribuire al rafforzamento della stabilità e del benessere nell’area, a intensificare la cooperazione economica e ad accrescerne la competitività assicurando, al tempo stesso, uno sviluppo sostenibile198.

La collaborazione tra i Parlamenti all’interno della Conferenza, intrapresa anche per accompagnare la transizione di alcuni dei Paesi aderenti verso regimi democratici e sistemi di mercato, si è rivelata un successo. L’organizzazione tra il 28 febbraio e il 1 marzo 2007 della prima e sinora unica Conferenza parlamentare della Dimensione nordica, a Bruxelles, rappresenta con ogni probabilità il tentativo del Parlamento europeo (che ne è stato il promotore) di controllare la

195 Ad esempio, si avviò la prassi, in seguito codificata nel regolamento, di adottare al termine di ogni Conferenza una risoluzione; e, soprattutto, fu definito il “Mandato della Conferenza parlamentare per la cooperazione nell’area del Mar Baltico (denominazione della Conferenza sino al 1999)”, che costituiva una sorta di Rules of procedure ante litteram. Tale documento si limitava a definire alcuni punti fermi circa la convocazione delle Conferenze e gli obiettivi della cooperazione. Il regolamento vero e proprio, dotato di un preambolo e articolato in disposizioni puntuali, fu adottato solo nel corso dell’ottava riunione plenaria nel 1999.

196 La Commissione europea adottò il 10 aprile 1996 una Comunicazione dal titolo Baltic Sea Region Initiative (SEC(96) 608 final). Si trattava inizialmente di un atto a rilevanza interna, successivamente presentato ai Capi di Stato e di Governo dei Paesi baltici a Visby, il 3-4 maggio 1996.

1977 Cfr. Comunicazione della Commissione europea, A Northern Dimension for the policies of the Union, COM(1998) 589 final /Bruxelles, 25 novembre 1998; da ultimo, si veda la Political declaration on the Northern Dimension Policy, sottoscritta dall’Unione europea, dal’Islanda, dalla Norvegia e dalla Federazione russa e COSAC Secretariat, VI Biannual Report on EU Procedures and Practices relevant to Parliamentary Scrutiny, november 2006, pp. 36-37.

198 Partners dell’UE nell’ambito della «politica della Dimensione nordica» sono l’Islanda, la Norvegia, la Federazione russa, le sedi di cooperazione regionale, quali il Consiglio euro-artico del Mar di Barents (BEAC), il Consiglio degli Stati del Mar baltico (CBSS), il Consiglio Nordico dei Ministri (NCM) e il Consiglio Artico (AC), e, infine, le Istituzioni finanziarie internazionali che operano nell’area (la Banca europea per la ricostruzione lo sviluppo, la Banca europea degli investimenti, la Banca nordica degli investimenti e la Banca mondiale).

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cooperazione interparlamentare nella regione in maniera più appropriata di quanto ad oggi sia riuscito a fare tramite la BSPC, laddove è solo uno tra tanti Parlamenti199.

Gli ambiti di cooperazione sono diventati sempre più estesi e, ad eccezione della Norvegia, dell’Islanda e della Federazione russa, tutti gli Stati partecipanti ad essa sono diventati membri dell’UE. Il preambolo del Regolamento della BSPC, modificato da ultimo nell’agosto 2007, chiarisce quali sono le finalità della Conferenza. Tra queste si evidenzia l’esigenza di sostenere e rafforzare le istituzioni democratiche nella regione e la necessità di migliorare il dialogo tra Parlamenti, Governi e società civile. Una particolare attenzione è riservata alla preservazione dell’identità comune dei popoli della regione e al dialogo su basi di eguaglianza fra Parlamenti nazionali e regionali. Infine, anche se non espressamente menzionato, la cooperazione in materia ambientale costituisce uno dei fiori all’occhiello dell’attività della BSPC, giacché non vi è stata Conferenza in cui le delegazioni parlamentari non abbiano discusso della tutela della flora e della fauna marina, così come del rapporto tra produzione energetica, in particolare nucleare, ed ecosistema.

2.1.2 I membri della Conferenza parlamentare degli Stati del Mar Baltico

Alla Conferenza prendono parte i Parlamenti nazionali, regionali e locali degli undici Stati membri del Consiglio degli Stati del Mar Baltico (CBSS)200, l’Assemblea baltica201, il Parlamento europeo,

199 In quell’occasione, infatti, a fronte di sedici europarlamentari presenti, i Parlamenti nazionali e regionali dell’area parteciparono in via indiretta ai lavori in quanto membri della BSPC, della Conferenza dei parlamentari della regione artica, del Presidium del Consiglio Nordico, dell’Assemblea Baltica e della Conferenza parlamentare di Barents. Vi è da sperare che non si tratti dell’ennesima sovrapposizione per membership e ruolo delle sedi di cooperazione tra i Parlamenti dell’area?. Al momento, infatti, la Conferenza parlamentare dei Paesi del Mar Baltico, considerate la sua composizione e le funzioni ricoperte, sembra essere la candidata alla leadership della “diplomazia parlamentare” nella regione. Le informazioni sulla Conferenza parlamentare sulla dimensione nordica sono reperibili all’indirizzo internet http://ec.europa.eu/external_relations/north_dim/doc/index.htm.

200 Più precisamente, partecipano alla Conferenza solo le Assemblee delle Regioni e delle Autonomie locali che si affacciano sul Mar Baltico e che insistono sul territorio di uno degli Stati membri del Consiglio degli Stati del Mar Baltico.

201 L’Assemblea baltica, costituita nel 1991, si compone di 60 parlamentari provenienti dalle Assemblee nazionali delle tre Repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania. La sua missione originaria era quella di mettere in collegamento tra loro le istituzioni democratiche dei tre Paesi per agevolare la transizione verso il nuovo regime dopo l’affrancamento dall’influenza sovietica e favorire il loro progressivo avvicinamento all’area dell’Unione. Perseguiti entrambi i risultati, è stata

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l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, quella dell’OSCE e il Consiglio Nordico.

È possibile trarre alcuni spunti di riflessione dall’analisi dei soggetti partecipanti alla Conferenza. Un elemento caratterizzante la BSPC è l’osmosi tra esperienze parlamentari locali, regionali, e nazionali nel consesso. Questo incontro rappresenta un unicum a livello europeo, giacché, anche se le Assemblee regionali non sono immuni dal fenomeno di internazionalizzazione delle attività parlamentari202, la Conferenza del Mar Baltico è l’unica sede nella quale esse dialogano e si rapportano su di un piano di parità con i Parlamenti nazionali. Infatti, secondo quanto stabilito dall’Allegato 1 al regolamento a proposito della “taglia” delle delegazioni, le Assemblee delle Regioni autonome sono rappresentate dallo stesso numero di delegati (4-5) attribuiti ai Parlamenti nazionali e alle Assemblee di organizzazioni internazionali, eccetto le Assemblee dell’Aland, delle isole Faroe, e della Groenlandia (che hanno diritto a 2-3 membri ciascuno), trattandosi di territori pressoché disabitati203.

avviata una profonda riflessione circa la persistenza di tale sede di cooperazione, considerata anche l’autorevolezza di cui gode la BSPC, consesso di dimensioni maggiori, che è impegnato nei medesimi settori di attività della Baltic Assembly. Tuttavia, la decisione di ridurre a dodici i componenti di ciascuna delegazione nazionale è rimasta sostanzialmente inevasa, se si eccettua il Parlamento estone. Tale determinazione era stata assunta a seguito della valutazione degli elevati costi sostenuti per l’organizzazione delle sessioni, nonché a causa delle difficoltà incontrate nelle procedure decisionali per le quali è prescritta la regola del consensus. Si sostiene che la prosecuzione delle attività di tale consesso sia da imputare in via principale alle resistenze del suo apparato amministrativo che non intende dismettere le proprie funzioni. Per tali ragioni non ci si sofferma puntualmente su tale consesso. Cfr. sul punto, A. RIBULIS, Baltic parliamentary cooperation beetwen the past and the future, in The 2006 Yaerbook, a cura dell’ Estonian Foreign Policy Institute, Tallinn, spec. p. 150.

202 Anche nell’Unione europea si ritrova un esempio di cooperazione interparlamentare a livello sub-statuale. Si tratta del CALRE (acronimo di Conferenza delle Assemblee legislative regionali europee) che riunisce i Presidenti dei “Parlamenti” di 74 regioni (appartenenti a 8 Paesi diversi) dotati di poteri legislativi: tra questi vi sono i Parlamenti delle 17 Comunità autonome spagnole, i 20 Consigli regionali italiani, i Parlamenti dei 16 Länder tedeschi, le Assemblee delle regioni e delle comunità belghe, i Parlamenti dei Länder austriaci, il Parlamento autonomo di Aland (Finlandia), le Assemblee regionali di Azzorre e Madeira (Portogallo) e quelle della Scozia, del Galles e dell’Irlanda del nord. Oltre all’Assemblea plenaria che si riunisce annualmente è stato istituito anche un Comitato permanente composto da 8 membri, uno per ciascuno degli Stati le cui Assemblee regionali (o solo alcune tra queste) aderiscono al CALRE. Cfr. il sito internet della Conferenza http://www.calre.eu/it/about_it.html.

203 Si tratta di delegazioni a composizione flessibile, 4-5 o 2-3 parlamentari per i territori meno popolati. Sul numero esatto decidono in via definitiva lo Standing Committee della Conferenza e il Parlamento ospite. E’ largamente ammessa la prassi secondo la quale al Parlamento ospite è consentito derogare dal consueto numero di

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Seguendo la dicotomia proposta in dottrina tra il «modello nordico» o «modello dell’Assemblea parlamentare», espressione di una cooperazione istituzionalizzata, e quello «artico»204, per il quale si assume come referente il forum di cooperazione tra i Parlamenti della regione artica205, la BSPC non può essere ricondotta semplicisticamente a nessuna delle due categorie. A tal proposito, la Presidenza della Conferenza non è esercitata secondo un sistema di avvicendamento predefinito o a seguito di elezione, come è previsto nelle Assemblee parlamentari internazionali, ma tanto i Parlamenti nazionali quanto quelli regionali (tale facoltà non è attribuita, invece, al Parlamento europeo né alle due Assemblee internazionali) possono proporsi su base volontaria di presiedere la Conferenza successiva206. L’Assemblea non è suddivisa in gruppi politici e non vi sono commissioni permanenti competenti per materia, come nel Consiglio delegati ed essere rappresentato per l’occasione da un numero maggiore di parlamentari. Anche nel procedimento decisionale, dove si segue la regola del consensus, le delegazioni parlamentari degli enti infra-statuali che si affacciano sul Mar Baltico (Isole Faroe e Groenlandia, province autonome danesi; Aland, provincia autonoma finlandese; le regioni del Kaliningrad e di Leningrad, la Repubblica della Karelia e St. Pietroburgo, città di rilievo federale, ai sensi dell’art. 65 Cost. russa, appartenenti alla Federazione russa; i Länder di Mekleburg-Vorpommern e Schleswig-Holstein e le città autonome di Brema e di Amburgo nella Repubblica federale tedesca) hanno lo stesso peso di quelle nazionali, dato che è indispensabile il raggiungimento dell’accordo tra tutte le deputazioni, indipendentemente dalla loro consistenza numerica.

204 Cfr. C. KASACK, Interaction of inter-parliamentary with inter-governmental bodies: the example of the Baltic Sea Region, in The 2005 Yaerbook, a cura dell’Estonian Foreign Policy Institute, , Tallinn, spec. pp. 146-147.

205 Sulla Conferenza dei parlamentari della regione artica non ci si sofferma in maniera puntuale in ragione del carattere contingente di tale forma di cooperazione e per il fatto che le sue attività sono condizionate in modo considerevole dell’influenza di due grandi Paesi extraeuropei, gli Stati Uniti e il Canada, che ne sono membri.

206 L’art. 1, comma 12, reg., prescrive che nella risoluzione adottata dalla Conferenza sia indicato il Parlamento che ospiterà la riunione successiva e che ne sia fissata nel documento anche la data. Ad oggi, l’iniziativa per l’esercizio della presidenza annuale della BSPC non è mai stata assunta dal Parlamento federale russo, da quello estone, da quello della Karelia, di Kaliningrad, di Leningrad e dalle Assemblee locali di Brema e di Amburgo: 1st Conference -Parlamento finlandese, 1991, 2nd Conference –Parlamento norvegese e Consiglio Nordico, 1992, 3rd Conference- Parlamento polacco, 1994, 4th Conference- Parlamento danese e Consiglio Nordico, 1995, 5th Conference- Parlamento lettone, 1996, 6th Conference- Parlamento polacco, 1997, 7th Conference- Parlamento dello Schleswig-Holstein, 1998, 8th Conference- Parlamento di Aland, 1999, 9th Conference- Parlamento svedese, 2000, 10th Conference- Parlamento del Mecklenburg-Vorpommern, 2001, 11th Conference- Assemblea di San Pietroburgo, 2002, 12th Conference- Parlamento finlandese, 2003, 13th Conference- Parlamento norvegese, 2004, 14th Conference- Parlamento lituano, 2005, 15th Conference- Parlamento inslandese, 2006, 16th Conference- Parlamento federale tedesco, 2007, 17th Conference- Parlamento svedese, 2008.

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Nordico. Si è fatto ricorso molto raramente alla possibilità di costituire gruppi di lavoro ad hoc per lo studio di specifici argomenti

Dalla sua istituzione ad oggi l’Assemblea plenaria ha adottato (per consensus) ben venticinque raccomandazioni indirizzate al CBSS, alla Commissione di Helsinki e ai rispettivi Governi, ma queste sono rimaste sostanzialmente prive di seguito. Nonostante queste premesse, non si può facilmente concludere nel senso che la cooperazione all’interno della BSPC assuma un carattere contingente, e ciò in ragione dell’esistenza di due organi permanenti: lo Standing Committee e il Segretariato207.

2.2 La cooperazione interparlamentare nell’ambito dell’Iniziativa Centro europea

2.2.1 La dimensione parlamentare: dalla provvisorietà alla stabilizzazione

Nel Policy Document on Pentagonal Initiative del 1990, considerato ad oggi uno degli atti istituivi dell’Iniziativa Centro europea (INCE), si sanciva l’impegno dei Governi degli Stati membri nel favorire la cooperazione tra i parlamentari all’interno dell’Iniziativa, in particolare, agevolando i contatti tra i Presidenti dei Parlamenti nazionali affinché potessero partecipare alla definizione degli obiettivi dell’organizzazione e alla loro realizzazione (art. 5)208.

207 Dal 1995 l’apparato amministrativo della Conferenza ha coinciso col Segretariato del Consiglio Nordico, che ha sede a Copenaghen, con la collaborazione di quello del Parlamento ospite. Dal 2006 tale struttura, limitatamente alle attività svolte per conto della BSPC, è cofinanziata dalle Assemblee partecipanti per un totale di 112˙000 euro annui, secondo un criterio di ripartizione dei costi che distingue gli “Stati grandi”, gli “Stati piccoli” e i “Parlamenti regionali”.

208 La “Pentagonale” era costituita da Italia, Austria, Yugoslavia, Ungheria e Cecoslovacchia, alle quali si aggiunse nel 1991 la Polonia. Tale sede di cooperazione si proponeva di riunire in un unico contesto organizzativo un Paese NATO, tre Paesi del Patto di Varsavia e due Paesi neutrali che avevano condiviso per un lungo periodo una storia e delle tradizioni comuni con lo scopo di collaborare nel settore economico, in quello dei trasporti, dell’energia, dell’industria, del turismo e della cultura. Negli ultimi anni l’INCE ha svolto il ruolo di “camera di compensazione” per l’accesso di nuovi Stati membri nell’Unione ha portato i suoi migliori frutti: dal 2007, 9 dei 18 Paesi membri hanno acquisito “cittadinanza” nell’Unione e altri due, Croazia e Repubblica di Macedonia, hanno ottenuto il riconoscimento di Paesi candidati all’adesione. Gli Stati membri dell’INCE attualmente sono: Albania, Austria, Bielorussia, Bosnia e Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Italia, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ucraina. I Ministri degli esteri nella loro riunione di Vienna del 1996 dichiararono che l’ultima adesione di nuovi Stati (Albania, Bielorussia, Bulgaria, Romania, Ucraina e Moldavia: l’attuale numero di 18 membri è il frutto della disgregazione della ex Yugoslavia, della separazione della Cecoslovacchia e della

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Per la prima volta, in occasione del vertice dei Ministri degli esteri di Roma del 30 novembre 1990 i cinque Parlamenti nazionali inviarono una propria delegazione presso la riunione. Fino al 1993, tuttavia, tali contatti tra le Assemblee degli Stati membri e fra esse e “i loro referenti ministeriali” furono alquanto sporadici. Allora, gli organi parlamentari ritenuti competenti a partecipare a questi meeting erano le Commissioni affari esteri, attraverso uno o più delegati “cooptati” al loro interno, più raramente nella persona del loro Presidente209. Sino alla metà degli anni Novanta i Parlamenti nazionali non avvertirono l’esigenza di costituire al loro interno delle delegazioni appositamente dedicate alla cooperazione nell’INCE210. Durante l’Assemblea parlamentare di Tirana del 2-3 novembre 2006 sono state adottate col consenso espresso dalle 13 delegazioni nazionali presenti (su 18) le Rules of Procedure della cooperazione interparlamentare nell’organizzazione211. La novazione è intervenuta a seguito delle innumerevoli modifiche apportate al Document on Working Procedures del 1993: il testo risultante è un articolato molto diverso dal precedente sia per disposizione delle norme, ora collocate in articoli e commi, che per la disciplina più circostanziata e puntuale.

2.2.2 L’Assemblea parlamentare e i suoi organi interni Durante la riunione della Commissione parlamentare del 7 giugno

1999 a Praga, le delegazioni decisero di rinominare la sessione plenaria annuale “Assemblea parlamentare”. Il termine “Conferenze”, usato fino a quel momento, connotava “un tipo di incontri caratterizzati, per lo più, dai profili della ristrettezza temporale e, soprattutto, dalla contingenza e provvisorietà dell’evento”212. Tale modifica non fu solo formale, dato che negli anni a venire, specialmente nel 1999, nel 2002 e nel 2006 le sue prerogative sono

secessione del Montenegro dall’Unione serbo-montenegrina) costituiva il raggiungimento del limite massimo delle capacità di ampliamento dell’organizzazione. Cessò di esistere il Consiglio di Associazione, organo nato nel 1994 con lo scopo di associare Stati terzi (appartenenti alla sub-regione dell’Europa centro-orientale) ai lavori dell’INCE in vista di una loro adesione.

209 G. BAIOCCHI, L’Iniziativa Centro europea, Roma, Senato della Repubblica, Segretariato generale, 2001, p.72-73.

210 Il Parlamento italiano, ad esempio ha iniziato a nominare una delegazione permanente presso l’INCE dal 1995. Alcuni Parlamenti, come quelli austriaco, moldavo, ucraino e serbo non hanno ancora ritenuto di dotarsi di un organo ad hoc.

211 Cfr. Camera dei deputati, XV legislatura, Resoconto della seduta della delegazione presso l’Assemblea parlamentare dell’INCE, mercoledì 17 gennaio 2007, p. 1, disponibile su http://www.camera.it/_dati/lavori/bollet/200701/0117/pdf/95.pdf.

212 Cfr. G. BAIOCCHI, Ultima op. cit., pp. 75-76.

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state significativamente accresciute e anche la sua struttura interna ha assunto una invariabilità prima sconosciuta.

L’Assemblea si riunisce in via ordinaria una volta all’anno, in autunno, in una data fissata dal Presidente di turno213. A partire dal novembre 1994, su proposta formulata dalla delegazione italiana, si è preferito non convocarla contestualmente alla riunione dei Capi di Governo ma in un giorno precedente (secondo il Working Document, ora sostituito dal Regolamento, l’Assemblea doveva essere convocata almeno 15 giorni prima) per mettere in evidenza il contributo parlamentare rispetto al meeting degli Esecutivi e indirizzare ad esso delle proposte o esprimere dei pareri.

Attualmente l’Assemblea si compone di 84 membri, appartenenti a 18 differenti delegazioni, la cui dimensione varia in funzione della popolazione dello Stato membro di provenienza214. Il voto unitario della delegazione, da un lato, comprime le espressioni di dissenso in seno ad essa, dall’altro inibisce la cooperazione tra membri di deputazioni diverse e l’interesse a creare delle coalizioni trasversali. Nell’aula dove si svolge la riunione i parlamentari sono riuniti per delegazioni e l’assenza di gruppi politici penalizza le opportunità di potenziare l’influenza della dimensione parlamentare dell’INCE rispetto alle altre istanze.

213 Il Presidente della dimensione parlamentare dell’INCE è il capo della delegazione parlamentare dello Stato membro che esercita la presidenza di turno degli organi intergovernativi. Egli è coadiuvato nell’assolvimento dei propri compiti da due Vicepresidenti, che sono, rispettivamente, l’ex Presidente di turno e colui che eserciterà la presidenza nell’anno successivo. I tre deputati costituiscono la Troika.

214 Il numero minimo di seggi è pari a tre, per i Paesi che contano massimo cinque milioni di abitanti; di cinque, per gli Stati con una popolazione tra cinque e dodici milioni e sette membri per quelli con più di dodici milioni di abitanti ?. Negli organismi interparlamentari di organizzazioni internazionali come l’Assemblea del Consiglio d’Europa (per cui si veda infra paragrafo 3.1) e quella della UEO (paragrafo 3.2), le differenti dimensioni delle delegazioni contano ai fini delle deliberazioni. Tendenzialmente, comunque, il sistema di ponderazione del voto è diffuso soprattutto nelle organizzazioni con finalità finanziarie, in ragione della diversa contribuzione dei loro membri. Sul punto, cfr. N. D. WHITE, The law of International organizations, Manchester, 1996, p. 72 s.; U. DRAETTA, Principi di diritto delle organizzazioni internazionali, II ediz., Milano, p. 70 s.

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Per quanto concerne le funzioni dell’Assemblea215, esse sono essenzialmente di carattere consultivo e di controllo. L’Assemblea adotta le Final Declarations, che rappresentano una sorta di atti di indirizzo delle delegazioni nei confronti dei rispettivi Esecutivi in quanto membri degli organi intergovernativi dell’Iniziativa, i quali, comunque, non sono vincolati in alcun modo ad esse.

Il diritto di voto è esercitato dalle delegazioni, benché il raggiungimento del quorum strutturale sia computato, in questo caso, rispetto ai “membri” dell’Assemblea parlamentare Ogni deputazione dispone di un voto e la maggioranza richiesta per l’adozione della dichiarazione è dei due terzi dei voti assegnati (cioè di 12 su 18 voti, attualmente)216. Eventuali dissenting opinions delle delegazioni rispetto al contenuto dell’atto sono trasmesse per conoscenza agli organi della dimensione governativa da parte del Presidente di turno della dimensione parlamentare. La Final Declaration “è annessa «d’ufficio» al documento politico che viene approvato dai rappresentati governativi”217 poiché essa esprime la posizione ufficiale degli organi interparlamentari dell’INCE218.

Con la riforma regolamentare del 2006 è stato promosso un radicale cambiamento nell’articolazione interna dell’Assemblea, da numerose Commissioni temporanee a tre Commissioni permanenti. Le

215 Uno degli organi dell’Assemblea è la Commissione parlamentare, che segue le stesse procedure ed esercita i medesimi poteri della prima. E’ formata, infatti, da 36 delegati, due per ogni Parlamento nazionale, normalmente il Presidente della deputazione parlamentare presso l’Iniziativa Centro Europea e un altro membro. Un elemento di differenziazione rispetto alla sessione plenaria è rappresentato dal periodo di convocazione. Anche la Commissione si riunisce in via ordinaria una volta l’anno, ma in primavera. Si istituisce, così, un rapporto di corrispondenza biunivoca tra le riunioni dei Ministri degli esteri e quelle della Commissione parlamentare, da una parte, e i meeting dei Capi di Governo e le sessioni dell’Assemblea, dall’altra. La diversità più rilevante tra i due organi concerne, comunque, la partecipazione ratione personae e, quindi, si risolve in una questione di «economia partecipativa».

216 La norma in questione, l’art. 14, invero, omette di precisare se la maggioranza di due terzi sia da riferire ai voti assegnati alle delegazioni presenti o, invece, alle delegazioni componenti. E’ prevalsa l’opzione più garantista, nel senso che si considerano tutte le delegazioni parlamentari presso l’INCE, come già ritenuto opportuno da G. BAIOCCHI, ultima op. cit., p. 88. Si può notare come negli organi della dimensione parlamentare dell’Iniziativa prevalga quale regola deliberativa quella della maggioranza, da declinare secondo il tipo di atto che si adotta, mentre nella dimensione governativa si impone il metodo del consenso. Dal 2006, infatti, è scomparso dal regolamento il riferimento alla regola del consensus.

217 Cfr. G. BAIOCCHI, cit., p. 87.218 Infine, la maggioranza richiesta per la revisione del regolamento è

ulteriormente aggravata (art. 19 reg.): la proposta di modifica può essere avanzata da ogni delegazione e si intende approvata se ottiene “i favori” di tutte le delegazioni meno una

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Commissioni temporanee o ad hoc, che nel momento della loro destituzione nel corso della sessione plenaria a novembre del 2006 erano sette, potevano essere create su proposta di ognuna delle delegazioni ed erano composte da nove membri e da nove supplenti. La loro funzione essenzialmente referente nei confronti dell’Assemblea consisteva nel monitorare i progetti in corso di realizzazione da parte dei Gruppi di lavoro intergovernativi e nel relazionare (compito assolto dal Presidente della Commissione) durante la sessione plenaria sull’esito dell’esame svolto. Era proprio lo stretto collegamento con i Gruppi che assicurava un flusso continuo di informazioni tra la dimensione governativa e quella parlamentare dell’Iniziativa.

L’art. 10 del Regolamento, che disciplina la costituzione delle tre Commissioni generali è stato applicato per la prima volta nel corso dell’Assemblea svoltasi nel 2006. La prima Commissione si occupa di politica e affari interni, quindi della tutela dei diritti umani, del fenomeno migratorio, della lotta al terrorismo, dello status delle minoranze e della protezione civile; la seconda, per gli affari economici è competente in materia di agricoltura, di piccole e medie imprese, di telecomunicazioni e trasporto, di energia e di ambiente; la terza Commissione, per la cultura, si occupa di educazione, ricerca, risorse umane e training. Ogni Commissione è composta da un terzo dei membri dell’Assemblea e sono le stesse delegazioni nazionali a nominare i propri rappresentanti presso ciascun collegio, rispettando, come unica condizione, di avere almeno un referente per Commissione. Queste Commissioni permanenti (la cui composizione può variare solo per decisione delle delegazioni) sono convocate a discrezione del loro Presidente, fatto salvo il caso della sessione autunnale, quando si riuniscono in via ordinaria.

2.3 Il dialogo tra Parlamenti nel quadro del Consiglio della cooperazione regionale

Il Patto di stabilità per l’Europa sud-orientale rappresenta il principale strumento strategico per la prevenzione della regione contro il rischio di conflitti219. Esso trae origine da una Dichiarazione politica, promossa dall’Unione europea, adottata il 10 giugno 1999 a Colonia e ribadita nei suoi contenuti nella Dichiarazione del summit di Sarajevo

219 Cfr. sul punto, E. BUSEK, The Stability Pact: adapting to a changing environment on South Eastern Europe, p. 9 s. e J. SOLANA, The Stability Pact and long term conflict prevention in Europe, in South Eastern Europe on the road towards European integration, a cura di E. Busek, Vienna, 2004, p. 93 s.

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del 30 luglio dello stesso anno220. Aderiscono all’accordo più di 40 partner fra organizzazioni internazionali, iniziative intergovernative regionali e Stati: tra questi ultimi figurano non solo i Paesi membri dell’Unione europea (rappresentati in quei vertici dai rispettivi Ministri degli esteri) e quelli direttamente riguardati dall’esigenza di pervenire ad una stabilizzazione dell’area (Albania, Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Moldavia, Montenegro, Romania, Serbia e la Repubblica di Macedonia), ma anche il Canada, il Giappone, la Russia, gli Stati Uniti (tutti membri del G8) e la Norvegia, la Svizzera e la Turchia221.

Il Patto esplica i suoi effetti rispetto a tre settori chiave per la normalizzazione della regione: la creazione di un contesto di sicurezza, lo sviluppo di sistemi democratici sostenibili e la promozione del benessere economico e sociale222. Di recente nel 2007, sono state create due strutture permanenti, segni di un processo di istituzionalizzazione in atto: una per quanto concerne la cooperazione intergovernativa223, ossia il Segretariato generale del Consiglio della cooperazione regionale con sede a Bruxelles; l’altra è il Segretariato regionale per la cooperazione parlamentare tra i Paesi dell’Europa sud-orientale (SEE) istituito presso il Parlamento bulgaro. La creazione di tale Segretariato e l’accoglimento della candidatura bulgara ad ospitarlo sono da ascrivere alla volontà di responsabilizzare

220 Il testo di queste Dichiarazioni è disponibile sul sito internet dedicato all’attività di cooperazione avviata in seguito al Patto, all’indirizzo http://www.stabilitypact.org/about/constituent.asp.

221 Gli altri partner del Patto sono l’UE, le Nazioni Unite, l’OSCE, il Consiglio d’Europa, l’UNHCR, la NATO, l’OCSE, la Banca Mondiale, il FMI, la BERS, la Banca europea per gli investimenti, la Banca per lo sviluppo del Consiglio d’Europa, la Cooperazione economica nel Mar Nero, l’Iniziativa cooperativa nel Sud-est europeo e il Processo di cooperazione nell’Europa sud-orientale.

222 Cfr. R. DICKMANN, La “diplomazia parlamentare”: esperienze, limiti e prospettive, in Rivista trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, 2005, p. 18.

223 Gli organi della dimensione governativa del Patto sono il Coordinatore speciale, Erhard Busek (ex ministro austriaco), nominato dall’UE nel 2001, il quale sovra ordina ai lavori degli altri organi affinchè non vi siano sovrapposizioni e duplicazioni di compiti. Egli presiede i rami operativi dell’Accordo, cioè i tre Tavoli di lavoro (ai quali siedono rappresentati dei Governi nazionali, normalmente diplomatici e delle organizzazioni e istituzioni economiche internazionali), sulla democratizzazione e i diritti umani, sulla ricostruzione economica, la cooperazione e lo sviluppo e sulla sicurezza. Tali organi operano sulla scorta delle decisioni assunte dal Tavolo regionale, il massimo organo del Patto che ha tenuto la sua ultima riunione il 27 febbraio 2008, occasione nella quale è stato sostituito dal Consiglio della cooperazione regionale. Tale evento ha segnato anche l’avvicendamento di tale Consiglio (che ha un proprio Segretariato ed un Segretario generale) al Patto in vista di un rafforzamento della cooperazione regionale e che probabilmente prelude alla nascita di una nuova organizzazione.

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maggiormente gli Stati diretti interessati dal processo di stabilizzazione.

Per quanto concerne la “struttura di coordinamento” della dimensione parlamentare del Consiglio della cooperazione regionale, la Troika ha una composizione anomala rispetto agli organi omologhi istituiti presso altre sedi di cooperazione interparlamentare. Nel 2001 il Parlamento europeo224, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e quella dell’OSCE accolsero l’invito dell’allora Coordinatore speciale del Patto, Bobo Hombach, a partecipare attivamente alla dimensione parlamentare del Patto. Queste tre Assemblee internazionali, sebbene il Parlamento europeo ormai ha quasi assunto, piuttosto, la fisionomia di un Parlamento nazionale, si sono così insediate quali “membri permanenti” della Troika. La Presidenza di questo organo muta con cadenza annuale (fino al 2003, semestrale), senza aver riguardo per l’avvicendamento degli Stati alla guida degli organi governativi del Patto che avviene, pure, di anno in anno. In stretto raccordo con il Coordinatore speciale e la Stability Pact Parliamentary Task Force, la Troika si occupa di definire il calendario degli incontri interparlamentari e di orientare lo svolgimento delle iniziative.

La guida super partes dei Presidenti delle tre Assemblee si è rivelata molto incisiva ai fini del consolidamento del versante parlamentare del Patto, dato che coloro che hanno ricoperto e ricoprono tali funzioni apicali sono avvezzi a gestire le relazioni tra le delegazioni parlamentari nazionali, abilità che, al contrario, non sempre è presente tra i Presidenti dei Parlamenti nazionali, soprattutto in quegli Stati che ancora vivono la “terza ondata di democratizzazione”225.

Per quanto riguarda, invece, più specificamente, la cooperazione interparlamentare tra gli Stati che partecipano al Processo di

224 La Direzione per i rapporti con i Parlamenti nazionali del Parlamento europeo nel 2000 ha avviato la prassi di organizzare quattro incontri annuali con delegazioni dei Parlamenti dei Paesi candidati o potenziali candidati all’adesione (Croazia, Bosnia-Herzegovina, Montenegro, Serbia, Turchia, Macedonia e Albania) su una pluralità di argomenti tutti inerenti al rispetto dei criteri di Copenaghen ai fini dell’integrazione comunitaria. Cfr. http://www.stabilitypact.org/wt1/interparliamentarycolloquium.asp.

225 Cfr. S. HUNTINGTON, La terza ondata. I processi di democratizzazione alla fine del XX secolo, Bologna, 1995, p. 46. Si vedano anche P. NIKOLIC, La transizione costituzionale nell’ex-Jugoslavia, p. 161 s., I. Pejic, Il sistema di separazione dei poteri e la nuova Costituzione serba del 1990, p. 169 s., R. KUZMANOVIC, Il costituzionalismo della Bosnia-Herzegovina fra nuovo sistema mondiale e transizione, p. 211 s., in Costituzionalismo europeo e transizioni democratiche, a cura di S. Gambino, Milano, 2003.

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Stabilizzazione e di Associazione (SAP) – Croazia, Bosnia-Herzegovina, Macedonia, Albania, Serbia e Montenegro – dopo il Consiglio europeo di Tessalonica del 2003, in cui fu prospettata ai Paesi dei Balcani occidentali la possibilità di una loro adesione all’Unione europea, essa è stata interessata da un repentino rafforzamento226. Così i Parlamenti dei Paesi aderenti al Processo hanno deciso di istituire una sede di cooperazione tra le rispettive Commissioni per l’integrazione europea tramite la quale intendevano dialogare e scambiarsi informazioni sugli affari comunitari: la Conferenza delle commissioni parlamentari per l’integrazione europea degli Stati SAP (COSAP)227.

Nella seduta istitutiva della COSAP a Sarajevo, il 16-18 giugno 2005, quando è stato adottato il regolamento interno, si è stabilito quale modello di riferimento quello della Conferenza degli organismi parlamentari specializzati negli affari comunitari dei Paesi dell’Unione (COSAC), con la quale sarebbe stata avviata una duratura collaborazione. Dopo la richiesta inoltrata da parte della Presidenza di turno bosniaca della COSAP di concedere alla nuova sede di raccordo interparlamentare lo status di osservatore presso la COSAC, quest’ultima, però, le ha accordato solo quello di invitato speciale (nella persona del Presidente in carica) presso le proprie riunioni (art. 4, comma 3, reg. COSAC)228. Gli invitati speciali alla COSAC sono designati sessione per sessione dalla presidenza in esercizio previa consultazione della Troika presidenziale. Accanto a questa concessione si ricorda che gli Stati candidati all’adesione, in questo caso Croazia e Macedonia (e Turchia), inviano di diritto tre osservatori dei rispettivi Parlamenti ai meeting ordinari e straordinari della COSAC (art. 4, comma 2, reg. COSAC). Di converso, però, una

226 Con la Comunicazione della Commissione europea sul processo di stabilizzazione e di associazione dei Paesi dell’Europa sud-orientale, COM(1999)235 final, l’UE ha segnalato la sua disponibilità ad agevolare (anche economicamente, con i fondi di assistenza nella fase di pre-adesione IPA) gli Stati dell’area nel loro cammino verso l’integrazione comunitaria. Tale intento iniziale ha trovato conferma negli accordi bilaterali conclusi tra il 2001 e il 2008 tra CEE e i Paesi della regione (l’intesa ancora non è stata raggiunta con la Serbia e la Bosnia-Herzegovina). Cfr. sul punto, http://europa.eu/scadplus/leg/en/lvb/r18003.htm. Non bisogna dimenticare poi i joint parliamentary committee, cioè incontri bilaterali tra Parlamento europeo e Parlamento di uno Stato terzo a livello di commissioni parlamentari competenti: cfr. European Parliament, Decision on delegations to joint parliamentary committees, interparliamentary delegations, and delegations to parliamentary cooperation committees, March 2004, P5_TA(2004)0166.

227 L’acronimo SAP sta per Stabilisation and Association Process.228 Cfr. XXXV COSAC di Vienna, Contribution, 22-23 maggio 2006, 2006/C

238/02.

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rappresentanza della COSAC non è stata mai invitata a partecipare agli incontri della sua omologa nei Balcani occidentali.

2.4 Le altre sedi di cooperazione interparlamentare Oltre a quella esaminate in questo contributo, vi sono altre

numerose sedi di cooperazione interparlamentare sorte nel continente europeo tendenzialmente dall’inizio degli anni Novanta. La selezione delle istanze di cooperazione da analizzare in questo e nel successivo capitolo è stata orientata dalla rilevanza di esse rispetto all’attività internazionale svolta dal Parlamento italiano.

E’ possibile suddividere le “altre” sedi di cooperazione interparlamentare in categorie, a seconda delle materie trattate nei loro meeting, degli Stati o delle Camere partecipanti. Ad esempio, relativamente alla prima categoria, si svolgono con una certa sistematicità le riunioni della Conferenza interparlamentare sui diritti umani e la libertà religiosa, della Conferenza interparlamentare sul controllo delle droghe, dell’Associazione dei parlamentari per l’Agricoltura, la selvicoltura e la pesca. Si tratta generalmente di sedi di cooperazione poco strutturate e che presentano un tasso di variabilità molto elevato quanto alla composizione, dato che la maggior parte dei parlamentari presenti alle loro riunioni risultano essere partecipanti occasionali.

Con riferimento alla seconda categoria, invece, le istanze di cooperazione interparlamentare rappresentano prevalentemente la dimensione parlamentare di sedi di cooperazione intergovernativa sviluppatesi a livello sub-regionale. Si tratta di Assemblee composte da delegazioni parlamentari nazionali, dotate di un proprio regolamento e spesso anche di una complessa organizzazione interna per gruppi politici e Commissioni. Ne costituiscono un esempio l’Assemblea dell’Iniziativa Adriatico-Ionica; il Parlamento del Benelux, creato nel 1955 e composto da parlamentari olandesi, belgi e lussemburghesi secondo la proporzione 43%-43%-14%229; l’Assemblea interparlamentare degli Stati appartenenti alla Comunità degli Stati indipendenti, istituita nel 1992, conta dieci membri (le Assemblee nazionali dell’Azerbaijan, dell’Armenia, della Bielorussia, il Parlamento della Georgia, quello del Kazakistan, quello del Kirghizistan, quello della Moldavia, della Federazione russa, del Tajikistan e dell’Ucraina) ed è dotata anche di un Segretariato

229 Informazioni più dettagliate sono disponibili all’indirizzo http://www.benelux-parl.org/html/FR/accueil.htm.

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permanente230; l’Assemblea parlamentare per la cooperazione economica nel Mar Nero (PABSEC), istituita nel 1993, si compone di 76 parlamentari, in rappresentanza di dodici Parlamenti (russo, romeno, turco, albanese, armeno, azero, bulgaro, georgiano, greco, moldavo, serbo, ucraino)231; la dimensione parlamentare del c.d. “Visegrad Group”, tra alcuni degli Stati dell’Europa orientale che hanno recentemente aderito all’Unione europea (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria), si sviluppa attraverso la frequente organizzazione dei meeting della Commissioni parlamentari di tali Paesi. Occorre precisare, comunque, che tutte le sedi di cooperazione interparlamentare in Europa devono essere considerate come in costante collegamento tra loro e, pertanto, come una rete di Parlamenti. Si tratta di un contesto molto dinamico, caratterizzato dal fatto che spesso uno stesso parlamentare partecipa ad una pluralità di meeting diversi. Tali strette interrelazioni sono testimoniate dal fatto che negli atti adottati dalle Assemblee interparlamentari si fa frequentemente riferimento all’attività svolta da omologhi consessi, come è il caso, da ultimo, dell’ordine del giorno approvato dall’Assemblea della UEO il 5 dicembre 2008, sulla cooperazione parlamentare sul tema della sicurezza nella Regione del Mar Nero232.

Infine, con riferimento all’ultima categoria, ad essa è riconducibile l’Associazione dei Senati d’Europa, costituita nel 2000, su iniziativa del Presidente del Senato francese Poncelet. Da allora riunisce con cadenza annuale i rappresentanti di quattordici Camere Alte europee233.

230 Cfr. il sito internet dell’Assemblea, http://www.iacis.ru/html/index-eng.php?id=93. L’attività di tale consesso, tuttavia, è rimasta ferma al 2007, dato lo scoppio della guerra tra due suoi membri, la Georgia e la Russia, nel 2008.

231 Contrariamente al precedente, tale Assemblea si è riunita regolarmente durante il 2008. Cfr. il sito web del consesso al’indirizzo http://www.pabsec.org/.

232 Si tratta dell’ordine del giorno n. 128 del 2008, consultabile all’indirizzo www.assemblyweu.org/en/documents/sessions_ordinaires/txt/2008/128.php#P18.

233 Maggiori informazione su tale Associazione, di cui fanno parte i Bundesrat tedesco e austriaco,il Senato belga, la Camera dei Popoli del Parlamento bosniaco, il Senato spagnolo, quello francese e quello italiano, la Prima Camera degli Stati generali dei Paesi Bassi, il Senato polacco e quello romeno, il Consiglio federale russo, il Consiglio Nazionale sloveno, il Consiglio degli Stati svizzero, il Senato ceco, la Camera dei lord del Regno Unito sono reperibili all’indirizzo http://www.senateurope.org/eng/presentation.html.

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3. La cooperazione interparlamentare nelle organizzazioni internazionali europee

3.1 L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa

3.1.1 Un’introduzione sul Consiglio d’Europa e sulla sua AssembleaIl Consiglio d’Europa, istituito a seguito della firma del c.d.

Trattato di Londra, che ne costituisce lo Statuto, nel 1949, “ha lo scopo di attuare un’unione più stretta tra i Membri per tutelare e promuovere gli ideali e i principi che sono loro comune patrimonio e per favorire il progresso economico e sociale (art. 1 Statuto)”. Per realizzare questo obiettivo il Consiglio si è dotato di una struttura sempre più complessa e sofisticata. Gli organi statutari sono il Comitato dei Ministri, l’Assemblea consultiva (parlamentare) e il Segretariato generale234.

L’Assemblea, che si compone di delegazioni parlamentari nazionali, è l’organo “deliberativo” del Consiglio d’Europa (art. 22 Statuto). Questa sua connotazione rinvia quasi certamente alla funzione consultiva che essa svolge rispetto al Comitato dei Ministri, potendo discutere e adottare raccomandazioni rivolte al consesso intergovernativo su ogni materia che rientra negli scopi del Consiglio ed essendo tenuta a trasmettere pareri su richiesta del Comitato235. Come è evidente, l’Assemblea non dispone di poteri a rilevanza esterna, cioè le sue deliberazioni non hanno come destinatari diretti gli Stati, ma, salvo alcune eccezioni, vi è sempre la mediazione del Comitato. La decisione della Commissione permanente in seno a quest’organo di modificare unilateralmente, nel luglio del 1974, la denominazione da “Assemblea consultiva” a “parlamentare” - intervenuta senza modifica statutaria e accettata solo nel 1994 dal Comitato che ne ha autorizzato l’utilizzo in tutti i documenti del Consiglio - non si è limitata a rivestire una funzione simbolica, ma ha interpretato la volontà del collegio di Parlamenti nazionali di espandere il proprio ruolo. Così silenziosamente l’Assemblea ha iniziato a prescindere da alcune decisioni del Comitato e ad

234 Gli organi non statutari del Consiglio d’Europa sono il Congresso dei poteri locali e regionali, il Commissario per i diritti dell’Uomo e la Corte europea dei diritti dell’uomo.

235 M. A. MARTÍNEZ, Le relazioni internazionali tra i parlamenti e la politica estera, in Il Parlamento, a cura di L. Violante, Storia d’Italia, Annali, n. XVII, Torino, Einaudi, 2001, p. 1382, rileva che l’Assemblea del Consiglio d’Europa esercita una sorta di ”funzione di controllo parlamentare” nei confronti dell’OCSE e della BERS.

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intervenire laddove per Statuto non era autorizzata a fare236. A titolo di esempio, nel 1989 l’Assemblea parlamentare ha istituito, con una decisione la cui correttezza procedurale è discutibile non essendo stato consultato neppure il Comitato, la posizione di “invitato speciale” presso di essa, consentendo agli Stati dell’Europa dell’Est di inviare proprie delegazioni parlamentari presso il consesso, in modo che potessero essere “socializzate” agli istituti e ai “costumi” democratici.

Al momento il Consiglio d’Europa ha quarantasette membri e ha raggiunto un’espansione geografica tale da mettere in discussione perfino la natura europea dell’organizzazione “in quanto la sua dimensione territoriale si è estesa ben oltre il limite del trentesimo meridiano”237, convenzionalmente ritenuto il confine dell’Europa238. Si può considerare comunque, anche sulla scorta della raccomandazione dell’Assemblea 1247 (1994) del 4 ottobre 1994 sull’allargamento del Consiglio, che la sua membership in via di principio è aperta solo a quegli Stati il cui territorio si trova interamente o parzialmente in Europa e la cui cultura è strettamente collegata con quella europea.

Articolate trattative hanno interessato la configurazione dell’attuale Assemblea parlamentare nella fase di genesi del Consiglio d’Europa, scontrandosi tra loro due differenti visioni, quella britannica, partigiana della creazione di un forum interparlamentare consultivo, e quella francese, sostenitrice dell’istituzione di un’Assemblea costituente europea239. La soluzione di compromesso raggiunta nel gennaio del 1949 per volontà dei Ministri degli esteri britannico e francese, rispettivamente, Bevin e Schumann, identificava nell’Assemblea un organo consultivo, composto di delegazioni parlamentari nazionali, che si sarebbe caratterizzato per la stabilità e la regolarità dei suoi lavori.

La designazione delle deputazioni nazionali presso di essa, tuttavia, dietro insistenza del Regno Unito, era originariamente consegnata

236 Il tema dell’espansione dei poteri dell’Assemblea sarà approfondito nei sottoparagrafi successivi.

237 Cfr. M. R. ALLEGRI, Le organizzazioni internazionali, Padova, 2002, p. 156.238 Con l’adesione della Georgia e dell’Azerbaijan si è sfiorato il limite del

cinquantesimo meridiano. Oltre ai due Stati appena citati e a quelli fondatori, gli altri membri del Consiglio d’Europa sono Albania, Andorra, Armenia, Austria, Bosnia-Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Ungheria, Islanda, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Malta, Moldavia, Monaco, Montenegro, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, San Marino, Serbia, Repubblica slovacca, Slovenia, Spagna, Svizzera, Macedonia, Turchia e Ucraina.

239 Cfr. F. BENOIT-ROHMER e H. KLEBES, Council of Europe law, Strasburgo, 2005, p. 57.

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dallo Statuto nelle mani dei Governi nazionali, i quali potevano determinare in piena autonomia le procedure e i soggetti abilitati alla nomina. In alcuni Paesi i delegati erano scelti dagli Esecutivi (Belgio, Grecia e Turchia), in altri erano nominati su proposta o previa consultazione del Parlamento (Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito), in altri ancora, infine, essi venivano eletti dalle Camere (Francia, Italia, Norvegia e Svezia) ed erano quindi più democraticamente legittimati. Nel corso della seconda sessione dell’Assemblea, nel 1950, sono stati presentati un gran numero di emendamenti all’articolo dello Statuto che disciplinava le modalità di nomina dei rappresentati nazionali presso il collegio. Nel maggio del 1951 il Comitato dei Ministri, competente per la revisione dell’Atto istitutivo, ha modificato l’art. 25 (consegnandoci la versione vigente ancora oggi) in modo che i delegati siano eletti o designati dal proprio Parlamento tra i suoi membri, secondo le procedure da esso stabilite e riservando in ogni caso ai Governi la facoltà di procedere alle nomine qualora il Parlamento non sia in sessione o non abbia definito un procedimento ad hoc per le designazioni.

L’art. 6 dello Statuto attribuisce al Comitato dei Ministri il compito di stabilire il numero di componenti per ciascuna delegazione in funzione della popolazione dello Stato membro e del suo contributo al bilancio del Consiglio d’Europa. A seguito della decisione dell’Assemblea, per la quale una delegazione deve essere costituita da non meno di due membri, si è verificata una sovra-rappresentazione dei Paesi “piccoli” rispetto ai “Grandi”. Il plenum è formato da 318 rappresentanti e da altrettanti membri supplenti(art. 26 Statuto) 240.

L’art. 25, comma 1, Stat. prevede che “ogni delegato sia cittadino dello Stato che rappresenta” e che non possa essere membro allo stesso tempo anche del Comitato dei Ministri. Per quanto riguarda la composizione interna, le delegazioni, laddove la loro dimensione lo consenta, devono assicurare un’equa rappresentanza dei gruppi parlamentari nazionali e una partecipazione del genere meno rappresentato almeno nella stessa proporzione in cui è presente in Parlamento e, comunque, devono essere nominati delegati di ambo i

240 Francia, Germania, Russia, Italia e Regno Unito dispongono di 18 delegati; Spagna, Turchia, Ucraina e Polonia ne hanno 12 ciascuno; la Romania ne ha 10; Belgio, Repubblica Ceca, Serbia, Portogallo, Paesi Bassi, Grecia e Ungheria sono rappresentati da 7 delegati; Azerbaijan, Austria, Bulgaria, Svezia e Svizzera dispongono di 6 rappresentanti; Bosnia e Herzegovina, Croazia, Danimarca, Finlandia, Georgia, Moldavia, Norvegia e Repubblica slovacca ne hanno 5; Albania, Armenia, Lituania e Irlanda ne hanno 4; Cipro, Estonia, Lussemburgo, Malta, Montenegro, Slovenia, Islanda, Lettonia e Macedonia ne hanno 3; Liechtenstein, Andorra, Monaco e San Marino ne hanno 2.

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sessi. Si sono riscontrati anche casi di sospensione di alcune delegazioni dal diritto di essere rappresentate in Assemblea, a causa dell’assenza di donne nella deputazione, misura adottata nei confronti di Malta.

Come si può rilevare dal caso appena menzionato, l’Assemblea si è auto-investita del potere di sanzionare i propri membri241. Tale facoltà è stata esercitata anche quando si è evidenziato il ricorrere di una violazione dell’art. 3 Stat.: così è stato per la Russia nel 2000242. Recentemente si è tornati a discutere della possibilità di non ratificare le credenziali dei delegati del Parlamento russo presso l’Assemblea sulla scorta di una proposta di risoluzione sottoscritta da 24 membri del consesso interparlamentare e presentata il 12 settembre 2008. Secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 1, del regolamento dell’Assemblea, si intendeva sanzionare la violazione dei principi fondamentali sanciti nel Preambolo dello Statuto del Consiglio d’Europa da parte della Russia, colpevole, questa volta, di aver attaccato militarmente un altro Stato membro dell’Organizzazione, la Georgia. Tuttavia, con la risoluzione n. 1631 (2008), adottata il 1 ottobre 2008, l’Assemblea si è espressa a favore del mantenimento dello status quo, ritenendo che fosse preferibile favorire un dialogo costruttivo tra i contendenti sotto l’egida del Consiglio d’Europa e temendo che un irrigidimento delle reciproche posizioni avrebbe ostacolato il rispetto dell’accordo sul cessate il fuoco raggiunto con l’intermediazione dell’Unione europea243.

3.1.2 Gli organi dell’Assemblea

241 Cfr. la risoluzione dell’Assemblea n. 1115 (1997). 242 Nel 2000, infatti, le è stato sospeso il diritto di partecipare alle sedute

dell’Assemblea, rifiutando di accreditarne i rappresentanti, in ragione della condotta tenuta nel corso del conflitto ceceno, giudicata lesiva dei diritti umani. La sua delegazione successivamente è stata reintegrata a pieno titolo il 25 gennaio 2001 dalla risoluzione 1241 (2001).

243 Il testo della risoluzione è consultabile sul sito internet del Consiglio d’Europa http://assembly.coe.int/Mainf.asp?link=/Documents/AdoptedText/ta08/ERES1631.htm.

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In apertura della prima parte della sessione ordinaria244, terminata la procedura di verifica dei poteri, si passa immediatamente all’elezione del Presidente dell’Assemblea, che resta in carica fino all’inizio della sessione successiva245. Il Presidente, la cui posizione è incompatibile con quella di membro del Governo nazionale, svolge il ruolo di arbitro imparziale nei lavori, tanto è vero che non prende parte ai dibattiti e non vota mai, neppure nelle elezioni.

I venti Vice-Presidenti, i quali sostituiscono il Presidente nei suoi compiti, anche di rappresentanza, sono eletti con riferimento alle delegazioni nazionali sempre per il termine ordinario della sessione (art. 15 reg. e Risoluzione n. 1379 del 2004)246. Il Bureau, l’organo di coordinamento delle attività dell’Assemblea e delle Commissioni, è formato dal Presidente, dai Vice-presidenti, dai Capigruppo e dai Presidenti delle Commissioni generali (art. 13, comma 3, reg.)247; esso assume le determinazioni relative al calendario dei lavori dell’Assemblea e della Commissione permanente248, all’ordine del giorno di ogni parte di sessione e decide sull’assegnazione dei documenti ufficiali (le comunicazioni, l’agenda dei lavori, le relazioni,

244 L’Assemblea del Consiglio d’Europa si riunisce ogni anno in sessione ordinaria presso la sede di Strasburgo, salvo che sia stato convenuto diversamente dal suo Presidente e dal Comitato dei Ministri. Ogni sessione è suddivisa in quattro parti: le date delle sessioni e delle singole parti sono fissate dall’Assemblea, dalla Commissione permanente o dal Bureau e vengono notificate ai singoli delegati almeno con tre settimane di anticipo. Le date delle singole parti di sessione cadono normalmente a gennaio, ad aprile, a giugno e ad ottobre. Quando è convocata l’Assemblea (le cui sedute, di norma, sono pubbliche), nelle ore in cui sono sospesi i lavori dell’Aula, si riuniscono i gruppi politici e le Commissioni. Su intesa del Presidente d’Assemblea e del Comitato dei Ministri può essere indetta anche una sessione straordinaria per esaurire gli argomenti iscritti nel calendario dei lavori.

245 Il mandato del Presidente può essere rinnovato fino a due volte, come si verifica per prassi.

246 Le deputazioni sono suddivise in classi, secondo il numero dei loro componenti: le cinque delegazioni formate da 18 rappresentanti eleggono un Vicepresidente ognuna; quelle che hanno un numero di seggi compreso tra 12 e 17 sono rappresentate complessivamente da 3 Vicepresidenti; quelle composte da un numero di membri tra 5 e 11 “dispongono” in totale di 8 Vicepresidenti; infine, il nutrito gruppo di deputazioni con 4 o meno componenti elegge 4 Vicepresidenti.

247 Vi è anche un altro organo, il Comitato di presidenza, sul quale però non ci si sofferma. Esso è composto dal Presidente, dai Capigruppo e dal Segretario generale dell’Assemblea e svolge una funzione consultiva nei confronti del Bureau (art.13, comma 4, reg.).

248 La Commissione permanente, composta dal Presidente dell’Assemblea, dai Vice-presidenti, dai Capigruppo, dai Capidelegazione e dai Presidenti delle Commissioni generali, è dotata degli stessi poteri decisionali del plenum, anche riguardo alla verifica delle credenziali. In particolare, questa Commissione ha competenza nel fissare la data di apertura e di aggiornamento delle sessioni ordinarie, nel preparare il lavoro dell’Assemblea, di cui assicura la continuità di azione.

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le dichiarazioni scritte, le mozioni, le raccomandazioni e le risoluzioni ecc., ai sensi dell’art. 23, comma 2, reg.) alle Commissioni competenti per l’esame (art. 25 reg.).

In virtù dell’autonomia organizzativa di cui dispone (art. 24 Statuto), l’Assemblea del Consiglio d’Europa può stabilire Commissioni permanenti (c.d. generali) per esaminare documenti, per produrre relazioni, per esprimere pareri nelle materie che rientrano nella sua competenza e la cui trattazione è stata calendarizzata dal Bureau e per valutare il seguito che è stato dato agli Atti adottati dal plenum. Per l’esame di alcune questioni le Commissioni possono anche audire soggetti esterni all’Assemblea, come organizzazioni non governative.

Infine, accanto alle delegazioni nazionali, che sono le articolazioni di base dell’Assemblea, formate dai rappresentanti e dai sostituti nominati dal medesimo Parlamento nazionale, possono essere costituiti gruppi politici. Essi devono impegnarsi per regolamento a promuovere i valori propri del Consiglio d’Europa, in particolare, il pluralismo politico, i diritti umani e lo Stato di diritto. La condizione perché un gruppo possa essere creato è che aderiscano ad esso non meno di venti delegati (indifferentemente effettivi e sostituti) appartenenti ad almeno sei delegazioni. La consistenza numerica dei gruppi è determinante per l’allocazione delle cariche di Presidente delle Commissioni, per l’attribuzione dei seggi nelle Commissioni per il monitoraggio e per il regolamento, oltre che per stabilire l’ordine di intervento nei dibattiti (art.18, comma 6 reg.). L’iscrizione ad un gruppo non è un obbligo, bensì una facoltà: accanto alle cinque compagini politiche, quella del Partito popolare europeo (EPP/CD, 202 membri), quella socialista (SOC, 181 membri), quella dei democratici europei (EDG, 91 membri), quella dell’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (ALDE, 89 membri) e quella della Sinistra europea unita (UEL, 30 membri), vi sono anche rappresentanti non iscritti (al momento 25 delegati)249. Nonostante i gruppi siano delle strutture riconosciute in seno all’Assemblea e dotate anche di una gerarchia interna, i parlamentari sono disposti nell’emiciclo per ordine alfabetico250.

249 Si può notare che i gruppi PPE, SOC e ALDE hanno la stessa denominazione delle tre omonime compagini presso il Parlamento europeo.

250 Sulla gerarchia interna ai gruppi, si veda la sezione del sito internet dell’Assemblea del Consiglio d’Europa http://assembly.coe.int/ASP/AssemblyList/AL_GroupsList_E.asp. Ai fini dell’integrazione tra delegati di nazionalità diversa è pur sempre preferibile la disposizione per ordine alfabetico che quella per delegazioni.

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3.2 L’Assemblea parlamentare dell’Unione dell’Europa occidentale

3.2.1 L’inesorabile declino dell’Unione dell’Europa occidentale e la strenua resistenza della sua Assemblea

Il Trattato di Bruxelles, modificato dagli Atti internazionali sottoscritti a Parigi il 23 ottobre 1954, ha istituito l’Unione dell’Europa occidentale (UEO), un’organizzazione internazionale nata con l’obiettivo di tutelare la sicurezza e la difesa in Europa251. Di particolare rilievo a tal proposito è il contenuto dell’art. V dell’Accordo, tuttora in vigore, secondo il quale se una delle Alte Parti contraenti è oggetto di aggressione armata, gli altri membri le offriranno aiuto e assistenza con tutti i propri mezzi anche militari.

Gli organi principali dell’UEO sono il Consiglio dei Ministri e l’Assemblea consultiva. L’art. IX dell’Accordo stabilisce che il Consiglio dei Ministri UEO “presenti ad un’Assemblea composta dai rappresentanti delle potenze del Trattato di Bruxelles presso l’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa un rapporto annuale sulla sua attività”. Tale consesso interparlamentare è diventato prima sommessamente poi, negli anni Ottanta, con un ruolo da protagonista la sede nella quale i Parlamenti nazionali valutano congiuntamente, aldilà del controllo esercitato singolarmente sui rispettivi Esecutivi, l’azione concertata dei Paesi dell’Europa occidentale in materia di difesa collettiva e di armamenti252. Essa ha svolto un ruolo pionieristico ben prima del crollo del muro di Berlino nel favorire il riavvicinamento tra i due blocchi nel continente: nell’aprile del 1987 l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea UEO è stata la prima delegazione di parlamentari “occidentali” dall’inizio della guerra fredda a recarsi ufficialmente in missione a Mosca e ad incontrare rappresentanti dei Soviet russi per discutere della questione della

251 Assieme ai sette Paesi fondatori sono Parti del Patto, a seguito di adesioni successive, anche la Spagna, il Portogallo e la Grecia. Per un’analisi dell’ordinamento della UEO e della sua storia sino al 1989, si veda E. ROGATI, Manuale dell’Unione dell’Europa occidentale, Roma, Camera dei deputati, Servizio relaz. comunitarie e internaz., 1989, pp. 1-17. Si sottolinea il fatto che l’adesione della Repubblica federale tedesca al Trattato di Bruxelles modificato è stata perseguita soprattutto dalla Francia e dal Regno Unito come deterrente nei confronti di temute velleità tedesche di riarmo. Con la discesa della “cortina di ferro” sull’Europa il Patto, ricondotto sotto “l’ombrello della NATO”, ha assunto una valenza difensiva nei confronti della minaccia sovietica.

252 Durante la sessione straordinaria di Roma, del 26-27 ottobre 1984 per commemorare il trentesimo anniversario della firma degli Accordi di Parigi è stata adottata dall’Assemblea la c.d. “Dichiarazione di Roma”, nella quale si sottolineava la sua posizione di unico organismo parlamentare in Europa ad avere ricevuto da un Trattato un mandato a discutere in materia di difesa.

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sicurezza europea253. Sempre l’Assemblea, inoltre, dai primi anni Novanta ha favorito la partecipazione ai suoi lavori e, più in generale, all’attività dell’organizzazione, degli Stati dell’Europa dell’Est e ha invocato, sinora senza successo, la revisione dei criteri per l’adesione all’Accordo istitutivo.

Dopo che per lungo tempo aveva assunto una posizione defilata vivendo all’ombra della NATO254, il rilancio della UEO è stato promosso a livello comunitario dalla Dichiarazione annessa al Trattato di Maastricht del 1991. Secondo questo documento si doveva rendere l’Unione dell’Europa occidentale il braccio operativo dell’UE in materia di sicurezza. L’anno successivo il 19 giugno, infatti, i Governi degli Stati membri UEO si sono riuniti a Petersberg per definire la nuova missione dell’organizzazione: le forze armate dei Paesi firmatari del Trattato di Bruxelles modificato sarebbero state impiegate sotto l’autorità della UEO in compiti umanitari, in operazioni di peace keeping, di peace making e nella gestione delle crisi anche aldilà dei confini europei.

Questo rinvigorimento delle attività dell’Unione occidentale, tuttavia, è durato soltanto per una breve parentesi, poiché l’art. 17 TUE, come modificato dal Trattato di Amsterdam, ha negato alla UEO quanto era stato concesso solo pochi anni prima dal punto di vista dell’autonomia operativa. L’istituzione di una politica di difesa comune (PESD) in seno all’UE e la previsione, su decisione del Consiglio europeo, di una futura integrazione della UEO all’interno dell’Unione europea hanno fatto sì che l’organizzazione intraprendesse il cammino della ricerca di una nuova identità, anche se appare difficile possa riuscirvi255. Dal 1 luglio del 2001 i c.d. “compiti di Petersberg” sopra menzionati sono stati trasferiti quasi integralmente in capo all’UE. L’UEO in questi ultimi anni, quindi, sta stazionando in una sorta di limbo, da una parte, depauperata delle sue funzioni operative, dall’altra, però, mantenuta in vita dal fatto che,

253 Cfr. WEU Assembly, The European defence debate 1955-2005, Paris, WEU Publishing, 2005, p. 19.

254 Cfr. ECPRD, Supranational parliamentary and interparliamentary assemblies in 21st Century Europe, Varsavia, 2006, p. 109.

255 Il Consiglio europeo di Colonia nel giugno del 1999 ha confermato una volta per tutte che i Governi europei preferiscono gestire la politica di sicurezza e difesa nel quadro dell’Unione europea. Che l’attrazione della UEO in seno all’Unione europea fino alla sua probabile scomparsa sia in atto è dimostrato dalla decisione del 1997 di far coincidere, quando possibile (dato che i membri a pieno titolo della UEO sono in numero inferiore rispetto ai membri dell’UE), la presidenza semestrale delle due organizzazioni. Inoltre a partire dal 1999 l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune è il Segretario generale della UEO.

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come in più occasioni affermato dalle Parti contraenti, il Trattato del 1954 con il suo art. V è ancora in vigore.

L’Assemblea UEO ha reagito con determinazione a questo stato di cose256: l’associazione ai lavori del collegio di altre diciotto delegazioni parlamentari con poteri originariamente più limitati rispetto alle dieci deputazioni degli Stati contraenti non poteva essere trascurata. Alcune di queste “ultime acquisizioni” erano Paesi membri dell’Unione europea come l’Austria, la Svezia e la Finlandia, sostenitori di una politica di neutralità in campo internazionale e, pertanto, non aderenti alla NATO, al contrario di altri Stati che, viceversa, membri dell’Alleanza Atlantica ma non dell’Unione europea, avrebbero desiderato essere coinvolti nella Politica di sicurezza e difesa dell’UE, confidando in una futura adesione ad essa257.

In più occasioni il Parlamento europeo ha cercato di sferrare degli attacchi contro la precaria esistenza dell’Assemblea UEO258, suggerendo apertamente di abolire tale consesso “nella misura in cui il controllo parlamentare della PESD rientra nelle competenze del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, sulla base dei diritti e doveri che rispettivamente conferiscono loro i Trattati e le Costituzioni nazionali”259. In questo braccio di ferro tra Parlamento

256 Non a caso A. M. MARTÍNEZ, cit., p. 1384 pur riferendosi alla UEO come “bella addormentata”, giacché specialmente dopo il 2001 è venuta a trovarsi “in uno stato di catalessi”, afferma che la sua Assemblea consultiva ha continuato ad operare con dignità e dinamismo.

257 Le delegazioni parlamentari di questi ultimi Stati inizialmente avevano dato la priorità nelle scelte compiute all’interno dell’Assemblea a considerazioni nazionali piuttosto che di tipo politico e cooperativo nei confronti degli altri Parlamenti, quasi che le loro opinioni fossero lo specchio nel consesso del pensiero delle diplomazie governative. Successivamente il confronto sistematico con i loro colleghi di altri Paesi li ha resi molto più liberi e indipendenti dall’influenza degli Esecutivi nazionali. Cfr. Assemblea UEO, Relazione a cura del sen. Andrea Manzella, The way ahead for European Security and Defence Policy and its democratic scrutiny, Parigi, 51a sessione, 5 dicembre 2005, spec. p. 20, dove si rileva l’opportunità di invitare gli otto Stati membri dell’UE e della NATO ad aderire al Trattato di Bruxelles modificato; si veda anche WEU Assembly, cit., p. 52.

258 A titolo esemplificativo nel 2001 l’on. Armin Laschet, membro della Commissione bilancio del PE, nella seduta dell’8 marzo ha affermato che “al giorno d’oggi le istituzioni comunitarie sono le sole ad avere la competenza e la legittimità per esercitare il controllo parlamentare sulla PESC”, liquidando forse un po’ frettolosamente il ruolo dei Parlamenti nazionali in materia, a meno non abbia dato per scontata la loro collocazione all’interno dell’ “ordinamento costituzionale comunitario”.

259 Cfr. Giorgio Napolitano, Le relazioni tra il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali nella costruzione europea, doc. A5-0023/2002, Bruxelles, Parlamento europeo, 6 febbraio 2002.

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europeo e Assemblea della UEO si è inserito il pensiero di chi, come la Francia e il Regno Unito, vedeva di buon grado la nascita di una sorta di bicameralismo all’interno del Parlamento europeo: una Camera di rappresentanti direttamente eletti e un “Senato europeo” che si sarebbe occupato esclusivamente della PESD260. Questa “Camera alta” sarebbe sorta a seguito del transfert dell’Assemblea della UEO all’interno del secondo ramo del Parlamento europeo con il vantaggio, secondo i sostenitori della proposta, di poter contare su un consesso di delegati esperti nella materia e sulla partecipazione anche di parlamentari di Stati non membri UE, ma che in futuro avrebbero potuto aderire261.

260 Cfr. WEU Assembly, cit., p. 102 ss.261 Cfr. l’intervento del sen. Andrea Manzella, in Resoconto della Delegazione

presso l’Assemblea parlamentare della UEO, Camera dei deputati, XV legislatura, seduta del 25 settembre 2007, il quale rileva, al contrario di quanto sostenuto dalla Francia e dal Regno Unito, che al momento “sussiste un’esigenza di maggiore specializzazione dei membri dell’Assemblea della UEO, i quali dovrebbero appartenere alle Commissioni esteri, difesa o affari europei dei Parlamenti nazionali; invece, le molteplici competenze di cui essi sono titolari, incluso il «doppio cappello» di membri dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, limitano nei fatti la possibilità di svolgere efficacemente il loro mandato”.

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Il 2004, poi, ha rappresentato per molti versi un punto di svolta e ha segnato l’abbandono della proposta appena esposta: 1) 10 degli Stati associati ai lavori dell’Assemblea UEO sono diventati membri UE, risolvendo così il problema della loro partecipazione al controllo parlamentare sull’applicazione della PESD; 2)L’art. I-41 del Trattato costituzionale ha conferito nuove competenze al Parlamento europeo, stabilendo che esso sarebbe stato “consultato regolarmente sui principali aspetti e le scelte fondamentali della politica di sicurezza e di difesa comune” e che “è tenuto informato della sua evoluzione”, nonostante la materia restasse confinata nella sfera della cooperazione intergovernativa; 3) Il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali, annesso al Trattato costituzionale, ha conferito alla Conferenza per gli organismi specializzati negli affari comunitari (COSAC) la facoltà di organizzare conferenze interparlamentari sui temi rientranti nella PESC e nella PESD262.

A dispetto della fase di stallo che l’Organizzazione sta attraversando, la sua Assemblea ha dimostrato un elevato grado di dinamismo modificando durante la cinquantaquattresima sessione plenaria del 2008 la sua Carta e il suo regolamento in modo da favorire il coordinamento tra le sedi interparlamentari europee che operano un controllo sulla politica di sicurezza e difesa. Oltre alle significative modifiche apportate con riferimento alla membership, le disposizioni più rilevanti riguardano la funzione che l’Assemblea è chiamata a svolgere: l’art. I della Carta, come modificato, si riferisce espressamente all’attività di controllo non solo sull’applicazione del Trattato di Bruxelles, ma anche sulla politica estera di sicurezza e difesa dell’Unione e sui suoi sviluppi. Inoltre, all’interno del Comitato dei Presidenti è stata costituita un’apposita sottocommissione, composta di sei membri compreso il Presidente dell’Assemblea, che la presiede, per il collegamento con il Parlamento europeo e le Assemblee e gli organismi interparlamentari europei (tra cui la COSAC, appunto)263.

262 Dal 2005 ad oggi, invero, la COSAC ha dedicato molte sue sedute alla trattazione dell’argomento, il Parlamento europeo è stato costantemente informato sulla conduzione della PESD e, assieme al Parlamento dello Stato membro che esercita la presidenza di turno dell’UE, ha organizzato numerosi incontri interparlamentari dedicati alla materia. Il problema non consiste nella bassa frequenza con cui le conferenze sono convocate quanto, piuttosto, nella necessità che esista un coordinamento delle iniziative.

263 Il Comitato dei Presidenti, l’organo direttivo dell’Assemblea, a partire dalla prima sessione ordinaria del 2005, siede in composizione allargata: l’organo, in precedenza formato dal Presidente d’Assemblea, che ne dirige i lavori, dai suoi predecessori, depositari della memoria dei “precedenti” del consesso, purché siano

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3.2.2 La composizione dell’Assemblea e le modifiche al regolamento nel 2008: i membri a pieno titolo e “gli altri”

ancora rappresentanti o supplenti nel collegio, dai Vicepresidenti, dai Presidenti delle Commissioni permanenti, da un membro designato da ciascun gruppo politico, annovera ora tra i suoi componenti anche un membro di ognuna delle delegazioni degli Stati associati e dei due Stati candidato all’adesione all’UE, Croazia e Macedonia.

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Dopo le citate modifiche regolamentari adottate dalla Commissione permanente per conto dell’Assemblea, quest’ultima si compone di 205 membri a pieno titolo (e altrettanti supplenti)264, ossia dei delegati parlamentari degli Stati aderenti al Trattato di Bruxelles, come modificato dall’Accordo di Parigi del 1954 e di tutti gli Stati membri dell’Unione europea265. Le delegazioni sono le medesime di quelle che siedono presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, anche se può mutare, come è nel caso della deputazione italiana, la distribuzione delle cariche al loro interno266.

Venendo, quindi, all’annosa questione dell’eterogenea composizione del consesso, essa è da ricondurre alla rigida posizione dei Governi, ostinatamente contrari fino al 2008, da una parte, a nuove sottoscrizioni del Trattato, dall’altra, a parificare lo status di tutti i membri dell’Unione europea in seno al consesso. Sino alle modifiche regolamentari del 2008, all’interno dell’Assemblea si potevano identificare cinque differenti categorie di membri accanto a quelli a pieno titolo, a seconda dello Stato di provenienza267: 1) assimilati, ossia parlamentari di Paesi membri dell’UE e della NATO che soddisfacevano i criteri per essere invitati ad aderire alla UEO; 2) associati, ossia deputati negli Stati che sono membri della NATO, ma non dell’UE; 3) associati assimilati, cioè parlamentari eletti nei Paesi aderenti alla NATO e che soddisfacevano le condizioni per essere invitati a diventare membri associati. Al momento si tratta di due Stati candidati all’adesione all’Unione europea; 4) osservatori permanenti, delegati per conto di Parlamenti di Paesi membri dell’UE, ma non della NATO268; 5) osservatori permanenti assimilati, vale a dire parlamentari di Paesi che avrebbero avuto i requisiti per vedersi

264 I membri sono, invece, 258 se si considerano anche gli associati e i partner.265 D’ora in avanti si parlerà di “Trattato di Bruxelles modificato”. Le Alte Parti

contraenti del Trattato sono Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo Paesi Bassi e Regno Unito, Paesi fondatori della UEO, Portogallo e Spagna (dal 1990) e Grecia (1995).

266 Ad esempio, nella delegazione parlamentare italiana presso il Consiglio d’Europa il Presidente è l’on. Vitali (PdL), i Vicepresidenti sono i senatori Bricolo (LNP) e Rigoni (PD) e i segretari sono l’on. Giaretta (PD) e l’on. Bergamini (PdL); per la delegazione presso la UEO, invece, il Presidente è l’on. Dozzo (LNP), i Vicepresidenti sono i senatori Marcenaro (PD) e Nessa (PdL) e i segretari sono il senatore Russo (IdV) e l’onorevole Antonione (PdL).

267 Ai quali sono da aggiungere i delegati invitati. Quelli inviati dai Parlamenti russo e ucraino sono invitati permanenti, mentre i deputati albanesi, bosniaci, serbi e montenegrini sono invitati speciali e come tali possono assistere ai lavori solo a seguito della decisione assunta all’inizio di ogni sessione ordinaria.

268 La presenza in questo gruppo della Danimarca, che ha aderito all’Alleanza atlantica, si spiegava con la decisione del suo Esecutivo di non partecipare alla PESD.

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riconoscere lo status di osservatori permanenti, dato che erano diventati membri dell’Unione europea269.

Dopo gli emendamenti al regolamento del 2008 i delegati dei Parlamenti degli Stati membri dell’Unione europea siedono nell’Assemblea come membri a pieno titolo, con le stesse prerogative dei parlamentari dei Paesi che aderiscono sia all’UE che al Trattato di Bruxelles modificato. Ciò anche in ragione del fatto che il nuovo art. 42, comma 7, TUE, come modificato dal Trattato di Lisbona, si avvicina molto al contenuto dell’art. V del Trattato del 1954, stabilendo che “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”270.

269 Con due fondamentali Decisioni adottate all’unanimità dall’Assemblea UEO, la n. 28 del 21 ottobre 2004 e la n. 29 del 13 giugno 2005, veniva temporaneamente sospesa l’applicazione di alcuni articoli del regolamento nei confronti dei delegati che non erano membri a pieno titolo del consesso?. Rispetto ad essi, veniva adottato un regolamento provvisorio che ampliava le loro prerogative per due ragioni, in realtà, contrastanti: 1) dal 2001 la maggior parte delle funzioni, anche operative, che l’Organizzazione esercitava erano state trasferite all’UE e quindi la UEO formalmente ha competenze molto circoscritte. Pertanto, la ferrea distinzione tra gli status avrebbe perso valore per esaurimento dei poteri del consesso; 2) sarebbe stato profondamente iniquo se, delle funzioni di controllo sulla PESD che l’Assemblea UEO si è arrogata e che tuttora esercita, non avessero potuto usufruire pienamente, ovvero con la stesse prerogative dei membri di diritto, i Paesi beneficiari delle più recenti ondate di adesione alle Comunità.

270 Sul punto si veda European Parliament, Policy Department External Relations, The Lisbon Treaty and its implications for CFSP/ESDP, February 2008, http://www.statewatch.org/news/2008/feb/ep-esdp-lisbon-study.pdf.

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3.2.3 Un futuro incerto per l’Assemblea della UEO Se la spada di Damocle del Trattato costituzionale è stata riposta a

causa dell’esito negativo dei referendum francese e olandese, una nuova e ben più affilata, il Trattato di Lisbona del 2007, si profila all’orizzonte dell’Assemblea UEO271. L’art. 11 TUE, come modificato da questo Trattato, stabilisce che le competenze dell’Unione nell’ambito della PESC includono la materia della politica estera e le questioni collegate alla sicurezza dell’UE potendo giungere a comprendere anche un sistema di difesa comune272. L’attività delle istituzioni comunitarie nella conduzione di tale politica è soggetta a specifiche procedure che richiedono deliberazioni all’unanimità per il Consiglio europeo e per quello dei ministri e inibiscono l’adozione di atti legislativi. Nella sostanza la materia resta saldamente ancorata al perno della cooperazione intergovernativa eppure, anche a dispetto del contenuto della Dichiarazione n. 14 annessa al Trattato di Lisbona, secondo la quale le previsioni sulla PESC non accrescono il ruolo della Commissione e del Parlamento europeo, qualcosa nella disciplina è mutato a loro favore. L’Alto Rappresentante dell’Unione per la politica estera e la sicurezza è il Vicepresidente della Commissione europea (oltre che Segretario generale UEO) il quale, ai sensi del nuovo art. 21 TUE, è tenuto a consultare regolarmente il Parlamento europeo sui principali aspetti e le scelte di base della PESC e della PESD e a informarlo sull’evoluzione delle politiche. Egli, poi, deve assicurarsi che la posizione del Parlamento europeo in materia sia tenuta debitamente in considerazione. “L’Assemblea comunitaria” può rivolgere domande al Consiglio dei ministri UE o indirizzare ad esso e all’Alto rappresentate PESC delle raccomandazioni; due volte all’anno il Parlamento europeo tiene un dibattito generale sui progressi nell’attuazione della PESC e della PESD273.

271 Cfr. C. ZANGHÌ, Diritto delle organizzazioni internazionali, Torino, 2001, p. 381, il quale rileva da tempo l’esistenza di sovrapposizioni nelle funzioni dell’Unione europea, della UEO e della NATO.

272 Nelle versione inglese si dice “that might lead to a common defence”. Si rimette questa possibilità di conseguire un livello di integrazione ulteriore alla determinazione futura degli Stati membri. Occorre sottolineare, comunque, che non tutti gli Stati membri dell’Unione partecipano alla PESD: la Danimarca, ad esempio, continua a chiamarsi fuori; cfr., sul punto, il Protocollo n. 13 sulla posizione della Danimarca, annesso al Trattato di Lisbona.

273 La maggiore novità dell’art. 21 TUE rispetto alla precedente versione è rappresentata probabilmente dal dialogo diretto e regolare che viene instaurato tra il Parlamento europeo e colui che gestisce la PESC e la PESD, ossia l’Alto

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Le modalità attraverso cui i Parlamenti nazionali dovrebbero monitorare l’esecuzione di tali politiche è questione controversa. Ferma restando l’attività di verifica nei confronti del proprio Esecutivo che ciascuna Assemblea svolge al momento del voto per il finanziamento delle missioni di contingenti militari o civili all’estero, è la loro azione concertata che lascia spazio a qualche perplessità. Vi è stato chi, come il Presidente dell’Assemblea UEO, l’on. Jean-Pierre Masseret, ammettendo implicitamente che i Parlamenti nazionali facessero parte dell’ordinamento costituzionale europeo, proponeva la strada dell’accordo interistituzionale tra questi, il Parlamento europeo e le altre istituzioni dell’Unione. Tale soluzione sarebbe stata necessaria per consentire ai primi di prendere parte almeno ai due dibattiti annuali in tema di PESC e PESD, in quanto attualmente il regolamento del Parlamento europeo non ammette la partecipazione di deputati nazionali alle sedute plenarie dell’Assemblea dell’Unione274.

Questi interventi, tuttavia, non appaiono realmente risolutivi e non sembrano in grado di modificare il destino ormai segnato dell’Assemblea parlamentare della UEO275. L’inevitabile trapasso delle funzioni dell’organizzazione nelle mani dell’Unione europea è diventato un processo ineluttabile anche per via della sua membership: su 39 delegazioni parlamentari che partecipano ai suoi lavori (esclusi gli attuali osservatori), 27 provengono da Stati membri dell’UE e 2 da Paesi candidati all’adesione.

Il Trattato di Lisbona, pur avendo notevolmente rafforzato il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’UE, anche a rischio in qualche caso di comprometterne l’equilibrio istituzionale276, non ha assegnato alle Assemblee una funzione potenzialmente rivoluzionaria, invece, nell’ambito del controllo democratico dell’applicazione della PESC e della PESD. Esso, tuttavia, ha compiuto un’operazione importante recuperando nell’omonimo Protocollo il contenuto di quello sul ruolo dei Parlamenti nazionali annesso al Trattato costituzionale, all’art. 10, dove attribuisce alla COSAC il potere di organizzare conferenze

rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza.274 Cfr. relazione a cura dell’on. Masseret, dal titolo “Reform Treaty and Europe’s

security and defence”: reply ot annual report of the Council , Parigi, Assemblea UEO, seconda parte della 53a sessione plenaria, 4 dicembre 2007, p. 11.

275 Vi è da dire, invero, che la posizione della maggior parte dei Governi nazionali rispetto all’esistenza dell’Assemblea UEO è di supporto e incoraggiamento alle sue attività, confermando sempre il suo valore di forum di riflessione sulle questioni di sicurezza e difesa: si veda sul punto, ECPRD, cit., p. 256.

276 Cfr. A. MANZELLA, Il ruolo dei parlamenti nazionali nella vita dell’Unione, in L’Unione europea nel XXI secolo. “Nel dubbio, per l’Europa”, a cura di S. Micossi e G. L. Tosato, Bologna, 2008,p. 338.

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interparlamentari, “in particolare per discutere su argomenti che rientrano nella PESC e nella PESD”. Se tali incontri, come sembra stia già avvenendo (sebbene non direttamente per iniziativa della COSAC quanto piuttosto del Parlamento nazionale dello Stato che esercita la presidenza UE e del Parlamento europeo)277, “dovessero assumere il carattere di «regolarità» auspicato, in via generale, dal Protocollo, sarebbe assai difficile (…) la giustificazione della già affievolita sopravvivenza dell’Assemblea parlamentare della UEO”278.

Lo scambio di vedute tra deputati nazionali e parlamentari europei è tanto più proficuo in quanto gli uni hanno il potere di incidere con le loro deliberazioni sugli strumenti finanziari della PESC e della PESD, ma difficilmente hanno la percezione dell’andamento di tali politiche, mentre gli altri, pur essendo consultati e aggiornati, dato che non controllano le risorse in questione non dispongono del potere di condizionare la realizzazione dei progetti in materia279.

4. La partecipazione del Parlamento italiano alla cooperazione interparlamentare nel continente europeo

4.1 La fase costitutiva delle delegazioni parlamentari permanenti Le delegazioni parlamentari permanenti sono organi collegiali

bicamerali a carattere “duale”280, poiché, sebbene si configurino come 277 Cfr. ECPRD, cit., p. 255, dove si rileva che la Commissione affari esteri del

Parlamento europeo segue con sistematicità ormai la prassi di convocare due volte all’anno presso la sua sede di Bruxelles meeting interparlamentari a cui partecipano rappresentanti delle Commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali per discutere della sicurezza e della difesa in Europa. Si tratta dei Joint Committee meeting, collegi interparlamentari di consistenti dimensioni (anche oltre settanta partecipanti), composti per un terzo da europarlamentari e per due terzi dai parlamentari dei 27 Stati membri (non più di sei membri per ogni Parlamento), che si svolgono sotto la direzione congiunta della Presidenza del Parlamento europeo e di quella del Parlamento del Paese che esercita la Presidenza di turno dell’Unione. Numerose sono state le critiche avanzate rispetto allo svolgimento di queste riunioni che vedono una netta preminenza del Parlamento europeo. Esso definisce pressoché unilateralmente l’ordine del giorno e domina nettamente nei dibattiti, dato che gli interventi si svolgono secondo la seguente regola: ogni due parlamentari nazionali prende la parola un europarlamentare. Si veda, a tal proposito, il contributo sulla cooperazione interparlamentare nell’Unione europea in questo stesso volume.

278 Cfr. A. MANZELLA, Il ruolo dei parlamenti nazionali nella vita dell’Unione, p. 337.

279 Sul ruolo dei Parlamenti rispetto alla PESC e alla PESD si veda D. THYM, Parliamentary Involvement in European International Relations, in EU Foreign Relations Law, a cura di M. Cremona-B. De Witte, Oxford, 2008, p. 201 s.

280 Così G. BAIOCCHI, Manuale delle delegazioni parlamentari internazionali, Roma, 2006, p. 11 e anche T. MARTINES-G. SILVESTRI-C. DECARO-V. LIPPOLIS, R.

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articolazioni interne del Parlamento, svolgono una parte preminente delle loro attività all’esterno, presso il consesso interparlamentare che contribuiscono a formare. La loro natura “bifronte” risulta dall’appartenenza allo stesso tempo all’ordinamento parlamentare nazionale e a quello internazionale, che si evince anche dal “doppio binario normativo” a cui sono sottoposte281.

Pertanto, anche la loro fase costitutiva è disciplinata tanto da norme di diritto internazionale quanto da prassi parlamentari, da

MORETTI, Diritto parlamentare, Milano, Giuffrè, 2005, p. 136, per i quali le delegazioni parlamentari “costituiscono una delle più tradizionali e consolidate articolazioni dell’attività del Parlamento italiano sul piano della diplomazia parlamentare, con funzione di rappresentanza e raccordo tra l’attività soprattutto legislativa, di informazione, di monitoraggio svolta in queste sedi (Assemblee internazionali) e quella sviluppata in sede nazionale”. Al contrario, C. CHIMENTI, Gli organi bicamerali nel Parlamento italiano, Milano, 1979, pp. 79-80, ritiene che le delegazioni parlamentari italiane presso organizzazioni internazionali non siano organi delle Camere, nonostante perseguano fini comuni ad essi. Si adducono le seguenti argomentazioni: 1) manca un collegamento operativo tra le delegazioni e il Parlamento, poiché le prime “sono del tutto insuscettibili di azione istituzionalmente concertata con le Camere”; 2) sono organi delle Assemblee interparlamentari e la loro attività non è giuridicamente e politicamente imputabile al Parlamento; 3) la delegazione presso l’Assemblea CEE è stata composta per lungo tempo anche da ex parlamentari. A parere di chi scrive, è sicuramente vero che le delegazioni parlamentari permanenti sono molto più organi delle Assemblee internazionali che del Parlamento italiano, poiché trovano un riconoscimento e una disciplina puntuale nei regolamenti delle prime, ma non in quelli delle Camere. L’azione delle delegazioni non è giuridicamente imputabile al Parlamento italiano in quei collegi interparlamentari dove il voto è individuale, ma laddove il voto è espresso dalla delegazione come nell’INCE o nelle Commissioni dell’Assemblea OSCE, c’è indubbiamente una responsabilità politica del Parlamento nazionale di provenienza. La concertazione, poi, si è riscontrata all’interno del Comitato per la diplomazia parlamentare della Camera nella XIII e nella XIV legislatura e mediante il tentativo di presentare risoluzioni da far approvare in Assemblea relativamente all’attività svolta. Può accadere, inoltre, che una delegazione parlamentare sia formata anche da ex parlamentari, ma mai per un periodo che supera quello previsto per la prorogatio dei poteri (ovvero massimo sei mesi dalla elezione/proclamazione del nuovo Parlamento eletto): non si verifica più la situazione patologica della delegazione presso il Parlamento europeo nelle prime legislature repubblicane. Infine, dagli anni Novanta ad oggi molto è cambiato: le missioni dei delegati all’estero sono a carico del bilancio del Parlamento, la “regolamentazione amministrativa” delle delegazioni è riconducibile in larga parte alle lettere dei Presidenti delle Camere e i resoconti delle loro sedute sono pubblicati sul Bollettino delle Giunte e delle Commissioni.

281 Al fine di operare una reductio and unitatem delle molteplici attività di cooperazione interparlamentare poste in essere dalla Camera dei deputati, sia nella XIII che nella XIV legislatura, l’Ufficio di Presidenza ha deliberato la costituzione del Comitato per la diplomazia parlamentare (art. 6 reg. dei Servizi e del Personale). L’esigenza di coordinamento avvertita dal Parlamento italiano nella regia delle sue relazioni internazionali si è riverberata nell’assunzione della direzione del Comitato da parte del Presidente della Camera: al nuovo organo è stato attribuito “un generale ruolo di individuazione delle linee direttive e programmatiche dell’attività

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determinazioni dei Presidenti d’Assemblea e, solo in via indiretta, da disposizioni dei regolamenti di Camera e Senato. Come sostenuto in dottrina, infatti, per la loro formazione le delegazioni possono essere assoggettate alla disciplina che si applica alle Commissioni bicamerali (artt. 25 e 26 reg. Sen.; artt. 56 e 102, comma 1, reg. Cam.; quest’ultimo articolo, però, si riferisce espressamente alla Commissione parlamentare per le questioni regionali). Esse, quindi, sono composte da un numero eguale di deputati e di senatori, ed eccezione delle delegazioni presso l’OSCE e l’INCE, rispetto alle quali, invece, dovendo essere formate secondo il regolamento di quelle Assemblee da un numero dispari di parlamentari, 13 e 7, si è scelto di assegnare il seggio supplementare alternativamente alle due Camere ogni volta che la delegazione è ricostituita (salvo poi assicurare la presidenza della delegazione al membro della Camera che detiene un seggio in meno per quella legislatura). Previa intesa tra i Presidenti delle due Camere, le delegazioni, così come le Commissioni bicamerali, sono costituite nel rispetto del criterio di proporzionalità e in modo da garantire la rappresentanza del maggior numero possibile di gruppi parlamentari presenti nei due rami del Parlamento (art. 26 reg. Sen.)282. In particolare, la suddivisione dei seggi delle delegazioni tra i gruppi parlamentari segue un metodo matematico, c.d. “del quoziente”283.

internazionale della Camera”, ma senza che ciò comportasse un vincolo per i delegati in missione. Sia il primo che il secondo Comitato costituito è stato formato, seppur con qualche differenza tra le due esperienze, dai Presidenti e dai Vicepresidenti delle Commissioni Affari esteri e comunitari, Difesa e Politiche dell’Unione europea, dai deputati Presidenti o da un membro delle delegazioni parlamentari presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa, della UEO, della NATO, dell’OSCE e dell’INCE. Tale organo, tuttavia, non è stato ricostituito nella XV e nella XVI legislatura, nonostante in quest’ultima, dal discorso di insediamento del Presidente Fini del 30 aprile 2008 e dal suo riferimento “alla cosiddetta «diplomazia parlamentare»”, ci si sarebbe potuti attendere un revirement verso la formazione di tale organo.

282 Sulla costituzione delle Commissioni bicamerali si vedano C. DI CIOLO, G. CIAURRO, Il diritto parlamentare nella teoria nella pratica, IV ediz., Milano, 2003, pp. 323-327, L. CALIFANO PLACCI, Le Commissioni parlamentari bicamerali nella crisi del bicameralismo italiano, Milano, 1993, pp. 45-49 e C. CHIMENTI, cit., pp. 89-109, il quale sottolinea due elementi caratteristici del procedimento costituivo che differenzierebbero gli organi bicamerali da tutte le altre strutture delle Camere, oltre al fatto di essere formate da un egual numero di deputati e senatori: 1) l’intesa che interviene tra i due Presidenti per assicurare la presenza del maggior numero di gruppi e 2) la composizione «integrata», vale a dire che i gruppi parlamentari sono rappresentati in proporzione del numero dei seggi che occupano nei due rami del Parlamento: si calcola il quoziente medio del gruppo tra le due Camere.

283 Tale metodo consiste: 1) nel calcolare il quoziente di ciascun gruppo all’interno di ogni Camera, ossia dividere il totale dei suoi iscritti per il totale dei

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Si segnala che, nonostante le delegazioni parlamentari debbano essere rinnovate per lo meno all’inizio di ogni legislatura per previsione contenuta in Accordi internazionali e/o nei regolamenti delle Assemblee interparlamentari284, raramente si è proceduto alla loro designazione prima della pausa estiva dei lavori. Un’eccezione importante si è registrata nella XVI legislatura, considerato che le delegazioni permanenti presso le Assemblee interparlamentari esaminate sono state nominate in tempi record: la nomina dei parlamentari delegati presso l’INCE è avvenuta il 24 giugno 2008, mentre quella delle delegazioni presso il Consiglio d’Europa e la UEO è stata formalizzata il 24 settembre 2008, dopo “l’approvazione” delle designazioni da parte dell’Aula, ulteriore aggravio procedurale previsto per questi ultimi due consessi. Il meccanismo delle elezioni o delle nomine dei delegati è attivato tenendo conto delle date di convocazione di tali collegi e dei loro organi; qualora non sia possibile insediare la nuova delegazione all’apertura della sessione annuale, quando di norma avviene la verifica delle credenziali dei componenti delle Assemblee, la continuità della rappresentanza del Parlamento italiano presso di esse è comunque garantita dal regime di prorogatio dei poteri della delegazione in carica, che si protrae per sei mesi dal momento delle elezioni285.

membri di quel ramo del Parlamento; 2) nel computare il quoziente medio tra Camera e Senato di tutti i gruppi, ovvero nel dividere per due la somma dei loro quozienti; 3) nel moltiplicare il quoziente medio per il numero dei seggi da assegnare e procedere così al conferimento dei seggi secondo le cifre intere; 4) nell’attribuire i seggi rimanenti ai gruppi con i maggiori resti. Qualora il numero di seggi spettanti a un gruppo sia dispari, per la ripartizione di questi tra i deputati e senatori si fa riferimento al quoziente ottenuto in ogni Camera: quello più elevato assicura l’assegnazione del seggio supplementare a un membro di quel ramo del Parlamento. Determinata la suddivisione dei seggi tra i gruppi, i Presidenti delle Camere inviano ai Capigruppo (presso il rispettivo ramo del Parlamento) una lettera nella quale richiedono di designare i propri rappresentanti all’interno della delegazione nel numero spettante loro secondo il c.d. “metodo del quoziente”. Quando i Presidenti dei gruppi comunicano i nominativi, i Vertici delle due Camere redigono una lista completa dei delegati proposti.

284 I regolamenti delle Assemblee interparlamentari prevedono un termine ad quem per la durata dei poteri delle delegazioni (le quali, fatto salvo il regime di prorogatio, devono essere ricostituite all’inizio di ogni legislatura) ma lasciano liberi i Parlamenti di rinnovare anche più frequentemente la propria delegazione. Infatti, vi sono delegazioni nazionali la cui composizione muta con cadenza annuale: il termine a quo è rappresentato dal momento di apertura della sessione annuale quando le credenziali sono verificate. Pertanto il termine minimo di durata in carica di una delegazione è di un anno.

285 Solo per le delegazioni presso l’Assemblea OSCE e dell’INCE si dispone che il regime di prorogatio dei poteri si estenda per sei mesi a partire dalla proclamazione del nuovo Parlamento eletto.

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Giunti a questo punto, le modalità di investitura si differenziano a seconda che ci si riferisca alle delegazioni presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa e della UEO o quelle presso l’INCE e l’OSCE286. Le leggi di autorizzazione alla ratifica del Trattato istitutivo del Consiglio (art. 3, legge 23 luglio 1949, n. 433) e della UEO (paragr. 2, legge 16 marzo 1955, n. 239), la cui Assemblea è composta dai delegati degli Stati membri al contempo del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea (art. II della Carta della UEO), prevedono che i membri del Parlamento italiano presso i consessi interparlamentari di queste Organizzazioni internazionali siano eletti dalle Assemblee delle due Camere287. Si applicano allora gli articoli dei regolamenti parlamentari relativi alla nomina di organi collegiali, vale a dire delle Commissioni (artt. 56, comma 3 reg. Cam. e 25, comma 3, reg. Sen.). Le Assemblee di Camera e Senato sono chiamate a votare sulla lista di nominativi formulata dai Presidenti dei due rami del Parlamento. La legge di ratifica e di esecuzione dell’Accordo istitutivo del Consiglio d’Europa si spinge addirittura a puntualizzare che “i diciotto membri italiani presso l’Assemblea consultiva sono eletti dalle Camere, fra i propri componenti, a maggioranza assoluta, nella misura di nove per ciascuna”288. Ormai, per prassi, al fine di rendere più rapida la procedura, la nomina è deferita dalla rispettiva Assemblea al suo Per le delegazioni presso l’INCE e l’OSCE, anche in ragione dell’assenza di Trattati internazionali ratificati che dispongano qualcosa in proposito (le due organizzazioni, infatti, si fondano su accordi politici), i Presidenti si attengono alle designazioni dei gruppi ed inviano una lettera formale di nomina ai membri designati (ogni Presidente, per i componenti della propria Camera). Sono sempre loro, ugualmente a quanto accade per le Commissioni permanenti, che convocano la seduta costitutiva delle delegazioni in modo che esse definiscano come ritengono opportuno la propria struttura interna, eleggendo il Presidente e eventualmente l’Ufficio di presidenza. Soltanto le delegazioni presso l’Assemblee di Parigi e di Strasburgo, composte ciascuna da 36 membri tra effettivi e supplenti, eleggono un Ufficio di presidenza formato oltre che dal Capodelegazione, da due

286 Sulle delegazioni italiane presso l’Assemblea parlamentare euro mediterranea, presso quella della NATO e presso l’Unione interparlamentare sia consentito rinviare al contributo di G. AMICO in questo stesso volume.

287 Lo Statuto del Consiglio d’Europa e il regolamento della sua Assemblea, come si è detto in precedenza, rimettono a ciascun Parlamento nazionale la possibilità di eleggere o nominare i propri delegati. L’ordinamento italiano ha preferito la prima soluzione.

288 La deliberazione, ovviamente, avviene a scrutinio segreto, trattandosi di votazione riguardante le persone.

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Vicepresidenti e da due Segretari, poiché sono organi collegiali dalle dimensioni cospicue che necessitano di un’organizzazione più strutturata.

Venendo all’insediamento delle delegazioni nelle Assemblee delle organizzazioni internazionali, questo si perfeziona in due passaggi: il primo è quello della comunicazione dei nominativi dei componenti della delegazione appena costituita al Presidente del consesso in questione, che dal 2004 è compiuta per tutte le delegazioni contestualmente dai Vertici delle Camere; il secondo è quello della verifica delle credenziali dei delegati, che segue le procedure vigenti in ogni Assemblea. E’ la prima fase che in questo caso viene in rilievo, quella della notifica, perché disciplinata da ciascun ordinamento interno. Nonostante i ripetuti tentativi dei Presidenti delle Camere di appropriarsi di una competenza che sarebbe loro spettata, fino al 2004 era il Ministro degli esteri che provvedeva a comunicare ai Presidenti delle Assemblee del Consiglio d’Europa e della UEO le generalità dei delegati. A sostegno di tale consuetudine, che determinava un’interferenza del potere esecutivo nelle prerogative spettanti al Parlamento, si è addotta la tesi per cui le delegazioni parlamentari nazionali “si configurano come organi istituzionali propri dell’architettura di tali organizzazioni e agiscono pertanto in un contesto giuridicamente autonomo da quello nazionale”289. Si sosteneva poi che l’attività di tali organi del Parlamento italiano lungi dall’afferire alla sfera delle relazioni interparlamentari era da ricondurre, invece, all’ambito dei rapporti intergovernativi, sposando così una “visione olistica” della politica estera nazionale: in realtà essa, sebbene diretta dall’Esecutivo, si attua grazie al contributo anche di soggetti diversi dal Governo. Infine, il vertice della diplomazia italiana, evidentemente ravveduto, il 12 novembre 2004 in risposta ad una lettera a firma congiunta dei Presidenti di Camera e Senato li ha autorizzati a provvedere direttamente alla notifica dei componenti delle delegazioni290.

289 Lettera di risposta del 20 gennaio del 1997 del Ministro degli esteri alla richiesta di consentire ai Presidenti delle Camere di procedere alla notifica dei componenti della delegazione presso le Assemblee del Consiglio d’Europa e della UEO.

290 La sostituzione del singolo componente della delegazione può verificarsi per tre ragioni; decesso, dimissioni dalla carica di parlamentare, dimissioni dall’incarico di membro della delegazione. Per assicurare il mantenimento dell’equilibrio interno alla delegazione, secondo la formula matematica del quoziente, il sostituto, nominato o eletto, deve appartenere alla stessa Camera e al medesimo gruppo o coalizione di quello uscente (si procede a elezione o nomina suppletiva). Per quanto riguarda il rinnovo della delegazione, oltre a quanto si è già detto, questo interviene tacitamente

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4.2 Il trattamento economico dei membri delle delegazioniLa disciplina delle attività delle delegazioni, quali “articolazioni

parlamentari a proiezione esterna”291, è rimessa dalle Assemblee internazionali a cui prendono parte alla c.d. domestic jurisdiction del Parlamento di appartenenza, per le modalità di funzionamento, per i rapporti tra i componenti dell’organo e il regime economico. Le delegazioni italiane, al contrario di quelle britanniche e francesi presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa e della UEO, che si sono dotate di un proprio regolamento, sono oggetto di una disciplina “amministrativa”, peraltro pragmatica, che muta sovente all’inizio di ogni legislatura ed è limitata al profilo economico dell’attività internazionale.

Sino all’accordo interistituzionale concluso il 1 marzo 1990 tra i Presidenti delle Camere e il Ministro degli Esteri, il finanziamento delle missioni all’estero dei parlamentari italiani era di competenza del Governo. Con quella intesa, invece, i costi sostenuti per l’attività delle delegazioni parlamentari internazionali sono stati imputati all’autonomia contabile del Parlamento, ponendoli a carico del bilancio di ciascuna Camera292. Peraltro, nei bilanci delle Camere non vi è un unico capitolo che comprenda tutte le spese dedicate all’attività internazionale dei due rami del Parlamento, ma vi sono diverse voci riconducibili ad essa. Ad esempio, nel bilancio della Camera per l’anno finanziario 2008, sono presenti due capitoli n. 190 “Spese per attività interparlamentari e internazionali” e n. 191 “Spese per iniziative di cooperazione interparlamentare” (entrambi nella Categoria VII, Spese non attribuibili), a cui bisogna aggiungere il cap.

all’inizio di ogni sessione annuale dell’Assemblea, quando si procede all’accreditamento. La consuetudine del rinnovo tacito annuale delle delegazioni ha conosciuto due brevi parentesi, nel 1996 e nel 1998, nelle quali è stata messa decisamente in discussione. Tale dibattito è riprodotto nel carteggio fra i due Presidenti delle Camere, i quali in entrambe le occasioni hanno valutato la possibilità di ridefinire il criterio matematico-ponderale alla base della composizione delle rappresentanze in senso più rappresentativo e meno proporzionale alla forza dei gruppi. I gruppi minori infatti non erano presenti. Altra questione tuttora irrisolta è quella delle conseguenze sulle delegazioni della mutata composizione numerica dei gruppi nel corso della legislatura. Nonostante anche questa sia una questione rilevante, non si è fornita una soluzione per mancanza di un accordo tra i gruppi: quelli di loro che avrebbero dovuto cedere dei seggi si rifiutavano di farlo.

291 Cfr. G. BAIOCCHI, Manuale delle delegazioni parlamentari internazionali, cit., p. 99.

292 Ciò significa che l’attività della delegazione parlamentare, che è organo bicamerale, è finanziata per i deputati che ne sono membri dalla Camera e per i senatori dal Senato.

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n. 140 dedicato ai “Contributi ad organismi internazionali” (in particolare all’Assemblea OSCE e all’UIP)293 e le indennità di missione, comprese, però, nella voce “altre indennità dei deputati”. Dati questi presupposti, non è possibile quantificare con immediatezza gli stanziamenti previsti a copertura delle spese per la partecipazione ad ogni consesso interparlamentare294.

Analogamente a quanto accade per l’indennità parlamentare “ordinaria”, il trattamento economico del delegato, che costituisce un’integrazione della prima, presenta un impianto dualistico: da una parte, vi è un’indennità di missione giornaliera, un importo fisso, periodicamente aggiornato, che non è corrisposto nel caso in cui la missione si svolga nel Comune di Roma o nella circoscrizione di residenza del delegato295; dall’altra, vige un sistema di rimborso spese che si differenzia, però, tra i due rami del Parlamento.

Se il Senato ha tenuto fede al sistema di rimborso a forfait adottato il 30 luglio 1996, con il quale si correla l’entità del rimborso, a copertura del vitto, dell’alloggio e dei trasporti in loco, al costo della vita nel Paese dove il delegato è inviato in missione, la Camera ha modificato ripetutamente la sua posizione in proposito. Tra il 1990 e il 2001, si è fatto riferimento (come il Senato inizialmente) al metodo del c.d. “rimborso a piè di lista”, che consiste nell’anticipazione da parte della Camera, prima della partenza del delegato, di una somma di denaro ritenuta congrua per lo svolgimento della missione. Al termine di questa, il parlamentare presenta una sorta di rendiconto delle spese effettuate e restituisce all’amministrazione la somma di denaro eventualmente eccedente. Preso atto delle necessità di semplificazione delle procedure per il rimborso, per ridurne i tempi (dato che la procedura si estendeva anche dopo la fine della missione) e per alleggerire i deputati dall’“onere” di conservare le quietanze di pagamento, la Camera è passata a un sistema forfettario, parificando le erogazioni a quelle previste per i senatori. Dopo poco più di un anno, tuttavia, l’Ufficio di presidenza ha decretato il ritorno al sistema precedente. Ciò comporta che i parlamentari partecipanti a una stessa

293 A cui si può aggiungere verosimilmente il contributo per il pagamento dei costi del Segretariato COSAC. Queste spese rientrano nella Categoria VI, Trasferimenti.

294 Cfr. G. BAIOCCHI, ultima op. cit., p. 117.295 Con deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato del 5 ottobre 2000, è

stata garantita ai membri dell’Ufficio di Presidenza delle delegazioni un’ulteriore indennità corrispondente ad una quota parte (il 60%) di quella percepita dai membri dell’Ufficio di presidenza delle Commissioni permanenti, in ragione dell’incremento dei compiti svolti.

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missione percepiscano compensi diversi a seconda che siano deputati o senatori.

4.3 Le missioni all’estero dei delegati e le implicazioni sul funzionamento delle Camere

Il parlamentare nominato o eletto membro di una delegazione, anche di quelle contingenti, ha diritto a partecipare alle riunioni del consesso interparlamentare di cui fa parte. Per quanto riguarda i componenti delle delegazioni presso le Assemblee di organizzazioni internazionali (Consiglio d’Europa, UEO, INCE, NATO, OSCE), se intendono recarsi in missione in occasione delle sessioni plenarie o delle sedute delle Commissioni, provvedono a comunicarlo all’Ufficio di segreteria della propria delegazione.

I Presidenti di Camera e Senato, i quali, verificati i presupposti, conferiscono un’autorizzazione formale a espletare la missione, possono invitarli “a dare la priorità al loro mandato interno rispetto a quello internazionale”296 ove ricorrano particolari questioni di politica nazionale, ma in ogni caso non hanno la facoltà impedire ai delegati di recarsi in missione. Il mandato dei deputati e dei senatori che sono membri delle delegazioni è, in un certo senso, “più ampio” di quello dei colleghi che ricoprono la loro funzione esclusivamente presso il Parlamento nazionale. I delegati, infatti, sono soggetti anche al regolamento dell’Assemblea internazionale a cui partecipano e la loro assenza da tale ultimo consesso potrebbe pregiudicarne l’integrità. Inoltre, poiché il Parlamento italiano presenta anche una dimensione internazionale delle sue attività, che si è impegnato a rispettare a seguito di Accordi conclusi dal Governo italiano, i componenti delle delegazioni quando sono in missione all’estero assolvono il dovere di partecipare ai lavori del Parlamento (art. 48-bis reg. Cam. e 1, comma 2, reg. Sen.)297, così come i colleghi che assistono alle sedute a Montecitorio o a Palazzo Madama. Tuttavia, nel momento in cui essi siedono all’interno delle Assemblee interparlamentari, prendono parte a un ordinamento diverso, quello di un’organizzazione internazionale, e non rappresentano l’istituzione nazionale Parlamento né tantomeno “la Nazione” ai sensi dell’art. 67 Cost., non essendo gli elettori a sceglierli: la loro designazione avviene in via indiretta e, semmai, si potrebbe pensare a una funzione di rappresentanza materiale degli

296 Cfr. G. BAIOCCHI, ultima op. cit., p. 120.297 Ecco perché nei confronti dei parlamentari in missione all’estero per incarico

della Camera e del Senato non si effettua la ritenuta sulla diaria a titolo di sanzione per la loro mancata partecipazione alle sedute.

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interessi dei cittadini (o meglio dei residenti) di tutti gli Stati membri dell’organizzazione internazionale in questione298.

La loro presenza presso tali consessi, tuttavia, ha delle implicazioni non indifferenti sul funzionamento del Parlamento italiano. Ai sensi dell’art. 64, terzo comma, Cost., infatti “le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti”. Ai fini della verifica del numero legale i regolamenti della Camera (art. 46, comma 2) e del Senato (art. 108, comma 2) fissano dei criteri diversi per il computo, rispettivamente, dei deputati e dei senatori presenti. Alla Camera sono considerati presenti i deputati impegnati per incarico ricevuto (dalla Camera stessa) fuori dalla sede, mentre i senatori in missione all’estero non rientrano nel quorum strutturale. Nonostante la disciplina più permissiva nella Camera alta, dove il numero legale è calcolato sul totale dei componenti del ramo del Parlamento meno i senatori impegnati all’estero e quelli assenti per incarico ministeriale, l’attività dei senatori componenti di delegazioni parlamentari permanenti e contingenti è stata fortemente limitata, principalmente nella XV legislatura, dalle vicende di politica interna a causa dell’esigua maggioranza di cui disponeva il Governo in Senato. Di fronte al rischio che l’Esecutivo fosse messo in minoranza, i senatori della maggioranza parlamentare spesso sono stati costretti a disertare gli impegni internazionali299.

298 Sebbene la maggior parte dei cittadini ignori l’esistenza di una dimensione internazionale dei Parlamenti, l’operato dei delegati nei collegi interparlamentari è svolto prioritariamente nell’interesse dei soggetti residenti negli Stati membri dell’organizzazione, senza particolari condizionamenti legati alle appartenenze politiche. Basti considerare l’intensa attività delle Assemblee dell’OSCE e del Consiglio d’Europa nel monitoraggio costante del rispetto dei diritti umani, o l’attento lavoro di controllo svolto dall’Assemblea UEO sulla PESD. Cfr., a tal riguardo, V. DI CIOLO, G. CIAURRO, cit., p. 367: “secondo il Presidente dell’Unione (interparlamentare), Martinez, (Palermo, giugno 1998) sarebbe necessario impegnarsi ai fini di una riforma dell’ONU, che recuperi il ruolo dei Parlamenti in tale ambito, nella consapevolezza che i deputati vengono eletti anche per rappresentare il popolo a livello internazionale, tanto più nell’attuale fase di globalizzazione”. E’ da escludere, invece, che le delegazioni parlamentari permanenti si atteggino a rappresentanti dei Parlamenti che le hanno elette o nominate e di cui non sono, pertanto, emanazione formale. Il Parlamento, difatti, salvo alcune eccezioni, non istruisce l’azione dei parlamentari delegati i quali, quando siedono nell’Assemblea internazionale o nei suoi organi, non agiscono per nome o per conto di esso.

299 I senatori componenti di delegazioni hanno lamentato in più di una seduta della delegazione di appartenenza la difficoltà di assicurare la loro assidua presenza ai lavori delle Assemblee di cui sono membri e delle loro articolazioni interne, specie se convocate nelle giornate di martedì e di mercoledì, quando normalmente hanno luogo le votazioni in seno all’Assemblea del Senato. Cfr. CAMERA DEI DEPUTATI, Resoconto della delegazione parlamentare presso l’INCE, Roma, XV legislatura, 10 ottobre

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4.4 L’esame delle attività svolte dalle Assemblee parlamentari di organizzazioni internazionali

L’esame delle decisioni adottate dalle Assemblee internazionali a cui partecipano le delegazioni parlamentari italiane segue la stessa procedura prevista per le risoluzioni del Parlamento europeo (artt. 125 reg. Cam. e 143 reg. Sen.), con la differenza che la Commissione normalmente coinvolta per il parere, non è quella per le «Politiche dell’Unione europea», bensì la III Commissione, «Affari esteri». Il Presidente dell’Assemblea parlamentare interessata trasmette ai Presidenti delle Camere italiane l’atto approvato, i quali dopo l’annuncio in Aula lo assegnano per l’esame alle Commissioni competenti per materia.

E’ singolare che il Parlamento italiano fino alla XV legislatura compresa abbia ricevuto solo le risoluzioni e le raccomandazioni adottate dalle Assemblee del Consiglio d’Europa, della UEO e della NATO, mentre non risultavano atti provenienti da quelle dell’OSCE e dell’INCE. Tuttavia, la situazione si è parzialmente evoluta dall’inizio della XVI legislatura dato che anche la documentazione dell’Assemblea dell’OSCE ha iniziato ad essere trasmessa300. Tali rilievi, tuttavia, diventano poco significativi se si pensa che sono rarissimi i casi in cui una decisione di questi collegi interparlamentari è effettivamente sottoposta all’esame, come hanno lamentato in più occasioni i delegati. Nessuno dei 63 documenti trasmessi nella XV legislatura (Doc. XII-bis) ha mai terminato l’esame da parte delle Commissioni assegnatarie.

Le notizie sui lavori delle delegazioni ci giungono, invece, dai resoconti delle loro sedute, che sono riprodotti dal 2007 anche nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni del Senato. Le delegazioni sono convocate su iniziativa del loro Presidente301, normalmente prima della sessione o della riunione dell’Assemblea di cui fanno parte per discutere della posizione da tenere nel consesso,

2007.300 A partire dalla XVI legislatura, anziché raggruppare in un’unica categoria

(Doc. XII-bis), come è stato finora, tutti gli atti delle Assemblee interparlamentari a cui partecipa il Parlamento italiano, sono state identificate ben sei categorie diverse: Doc. XII-bis, per l’Assemblea del Consiglio d’Europa; Doc. XII-ter, per l’Assemblea della UEO; Doc. XII-quater, per l’Assemblea della NATO; Doc. XII-quinquies, per l’Assemblea dell’OSCE; Doc. XII-sexies, per l’Assemblea dell’INCE; Doc. XII-septies, per l’Assemblea euro-mediterranea.

301 Oltre alle sedute ufficiali della delegazione, che il Presidente convoca per prassi presso la sede della Camera dei deputati, egli può decidere di organizzare riunioni informali anche durante lo svolgimento della sessione dell’Assemblea.

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conoscendone con largo anticipo l’ordine del giorno, e successivamente per tirare le fila del meeting302.

5. L’evoluzione, la natura e il ruolo della diplomazia parlamentare

5.1 Le “tre ondate” della diplomazia parlamentareContrariamente a quanto si è portati a credere, l’interesse e

l’attenzione del Parlamento per gli affari internazionali si sono manifestati durante il XX secolo non soltanto attraverso l’attività legislativa, in sede di autorizzazione alla ratifica degli accordi internazionali, tramite la funzione ispettiva e quella di indirizzo sul Governo, ma anche sul versante esterno.

La prima sede di dialogo stabile tra i Parlamenti, l’Unione interparlamentare, invero, è ancora più antica, essendo stata istituita nel 1889 a Parigi dai membri delle Assemblee nazionali di Belgio, Danimarca, Spagna, Stati Uniti, Francia, Ungheria, Italia, Liberia e Regno Unito303. Si trattava di una straordinaria novità: un’organizzazione internazionale nata su iniziativa di parlamentari e tuttora priva di una dimensione governativa. Sempre nel medesimo periodo si è registrata un’intensa attività di cooperazione tra i Parlamenti, anche se in forma non strutturata, nell’orbita delle attività della Croce Rossa. Le due Guerre mondiali e i regimi autoritari e totalitari in Europa hanno bruscamente interrotto questa fase germinale della “diplomazia parlamentare”, sebbene durante questo periodo l’Unione interparlamentare, ad esempio, non abbia mai smesso di funzionare formalmente.

Una seconda ondata di sviluppo delle relazioni interparlamentari si può collocare a ridosso della fine della seconda guerra mondiale,

302 Molto spesso alle sedute delle delegazioni sono auditi o semplicemente invitati a partecipare rappresentati del Governo, ritenendosi determinante il coordinamento Parlamento-Governo rispetto alle attività delle organizzazioni internazionali, dove entrambe le istituzioni sono rappresentate, sebbene in organi differenti. Si segnala per la sua rilevanza la data del 15 luglio 1997, quando si è tenuta presso il Senato l’unica riunione congiunta, sinora, delle delegazioni parlamentari presso il Consiglio d’Europa, la UEO, la NATO e l’OSCE con il Ministro degli Esteri con lo scopo di invitare l’Esecutivo a tenere in maggior considerazione l’attività internazionale del Parlamento.

303 L’Unione interparlamentare (UIP) ha un’organizzazione interna molto strutturata, su cui si veda il contributo di G. AMICO, in questo stesso volume, e R. SORBELLO, Ruolo e funzioni dell’Unione Interparlamentare, in Nuovi studi politici, 1994, pp. 113 s. Le informazioni più aggiornate sull’UIP sono reperibili sul suo sito internet www.ipu.org

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questa volta all’interno di Assemblee consultive di organizzazioni internazionali a carattere regionale: “l’irruzione istituzionale dei Parlamenti sulla scena internazionale”304 si è verificata nel Consiglio d’Europa (1949), nella CECA (1951), nel Consiglio Nordico (1952), nella UEO (1954), nel Parlamento del Benelux (1955), nella NATO (1967).

Infine, la terza fase evolutiva ha preso le mosse dal 1989. Il crollo del muro di Berlino ha determinato l’infrangersi del dogma basato “sull’identificazione tra «interstatale» e «intergovernativo»”305; nel momento in cui le relazioni internazionali tra Est e Ovest si sono normalizzate, i Governi hanno potuto amministrare con minor rigore il loro monopolio in materia di politica estera e si è garantito ai Parlamenti un modesto margine di manovra in tale ambito, a condizione che il loro intervento avvenisse in coerenza con la linea seguita dagli Esecutivi. Passata definitivamente la preoccupazione per un imminente conflitto europeo, si è creata la possibilità di affiancare alla “diplomazia energica” dei Governi quella “tenue” dei Parlamenti306. Questo terzo periodo, che giunge fino ad oggi, è caratterizzato dal polimorfismo delle sedi di dialogo tra Parlamenti, tale per cui non è possibile isolare un modello univoco di riferimento come nella seconda fase307.

304 Così, M. A. MARTÍNEZ, cit., p. 1379.305 Cfr. Ivi, p. 1380.306 Si è preferito utilizzare il termine di “diplomazia tenue” in riferimento

all’azione internazionale dei Parlamenti rispetto a quella di “diplomazia parallela”, usata da V. GUIZZI, La diplomazia parlamentare e la cooperazione tra i Parlamenti: la nuova dimensione internazionale del Parlamento italiano, in Divenire sociale e adeguamento del diritto: studi in onore di Francesco Capotorti, a cura di V. Storace e F. Capotorti, Milano, 1999, p. 246, poiché nel lessico diplomatico tale ultima locuzione designa “la situazione giuridico-diplomatica per la quale nel territorio dello stesso Stato vengono a istituirsi fasci paralleli di relazioni indipendenti dalle normali relazioni che i singoli Stati, od altri soggetti accreditanti, mantengono, nello stesso momento storico, con lo Stato territoriale, in quanto Stato accreditatario, ovvero con altre istituzioni site in detto medesimo Stato”; è questo il caso di uno Stato A che accredita il suo ambasciatore presso lo Stato B e al contempo invia i suoi Agenti diplomatici presso gli enti internazionali C e D, la cui sede è nel territorio dello Stato B. Cfr. A. MARESCA, Dizionario giuridico-diplomatico, voce diplomazie parallele, Milano, 1991, pp. 154-155.

307 A titolo di esempio, sono fioriti tra il finire degli anni Ottanta e l’inizio del nuovo millennio l’Assemblea parlamentare dell’OSCE; nell’ambito dell’Unione europea, la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti UE, la Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari (COSAC) e le frequentissime riunioni delle Commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo; le numerose sedi di cooperazione interparlamentare sorte nell’area Centro-europea, nell’area Adriatico-ionica, nell’Europa sud-orientale; il coacervo di forum dell’Area mediterranea (l’Assemblea mediterranea in seno all’Unione interparlamentare, il

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Accanto alla spiegazione fornita dalla fine della guerra fredda308, vi sono anche altre ragioni che danno conto di questa propensione alla moltiplicazione delle sedi di raccordo. In primo luogo, i processi di globalizzazione, non consentendo più la risoluzione dei problemi e delle crisi (economiche, politiche, ecc.) a livello esclusivamente nazionale, inducono un aumento del numero delle sedi di cooperazione intergovernativa e delle organizzazioni internazionali, parallelamente alle quali si instaura anche una dimensione parlamentare con una funzione di controllo sull’operato delle prime più o meno efficacemente svolta. In secondo luogo, soprattutto con riferimento alla dimensione comunitaria, quando la limitazione della sovranità statale si spinge sino al punto di accettare uno “spostamento” della sede principale di assunzione delle decisioni al di fuori dei confini degli ordinamenti nazionali, i Parlamenti reagiscono di conseguenza adeguando l’esercizio delle loro funzioni alla nuova realtà: dalla prevalente connotazione di organi legislativi a quella di istituzioni con un ruolo di indirizzo e controllo, da una parte, e di informazione e di rappresentanza delle istanze provenienti dalla società civile, dall’altra. Infine, non è da escludere categoricamente, che in qualche caso le missioni dei parlamentari nazionali all’estero costituiscano una forma di “turismo parlamentare”, ma prevalentemente esse servono a stimolare il confronto e il dialogo tra ordinamenti309, favorendo la comprensione reciproca, la conoscenza delle best practices a livello internazionale e a rendere meno provinciali le classi politiche nazionali.

5.2 La “diplomazia parlamentare”: una locuzione dibattutaPer riferirsi con un concetto onnicomprensivo al “complesso delle

iniziative di rilievo internazionale che gli organi parlamentari pongono in essere o nelle quali sono coinvolti”310, la dottrina ha iniziato a far

Gruppo speciale mediterraneo della NATO, il Forum mediterraneo presso l’OSCE, l’Assemblea euromediterranea).

308 Sulla quale sia consentito rinviare più approfonditamente al contributo di G. AMICO.

309 Sul punto, si veda D. BARAK-HEREZ, An International Community of Legislatures?, in The Least Examined Branch: The Role of Legislatures in Constitutional States, a cura di R. Bauman-T. Kahana, Cambridge, 2006, p. 532 s. La stessa Autrice, tuttavia, ritiene che sia limitata l’influenza del dialogo tra legislatori su fenomeni quali il trapianto di istituti giuridici, rispetto all’azione degli esecutivi e delle corti: così, ID., The Institutional Aspects of Comparative Law, in Columbia Journal of European Law, vol. 15, 2009, p. 477 s.

310 Così, R. DICKMANN, Parlamento e Governo nella diplomazia parlamentare, in Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo,a cura di R. Dickmann-S. Staiano, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 611-612.

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ricorso, a partire dagli anni Novanta e sempre con molto prudenza, alla locuzione “diplomazia parlamentare”. Essa sembra accreditata presso una parte dei costituzionalisti311, mentre gli studiosi del diritto internazionale non la ritengono propriamente corretta312. La ragione che ha spinto questi ultimi a rifiutare sinora il citato neologismo è che esso appare ai loro occhi come un ossimoro: la diplomazia sarebbe per natura governativa.

Come è stato rilevato,“nel metodo diplomatico esistono tre elementi preponderanti: uno di «rappresentatività» (del Sovrano, dello Stato, del regime); un elemento di «esecuzione», che si realizza appunto nel negoziare secondo direttive che vengono impartite al diplomatico dal Sovrano, dal Governo o dal responsabile della politica estera”313; un elemento relativo alla «rendicontazione» da parte dell’agente sul modo in cui ha assolto il mandato. Riguardo al primo degli elementi, quello della «rappresentatività», da un punto di vista giuridico i delegati parlamentari, quando si recano in missione all’estero, non agiscono in nome dell’Assemblea di cui sono membri e

311 Anche tra i costituzionalisti, tuttavia, è usata con numerose cautele. Ad esempio R. DICKMANN, ultima op. cit., p. 12, precisa che “Si può correttamente parlare di «diplomazia parlamentare» solo in una accezione descrittiva, non anche in senso tecnico. E’ appena il caso di ricordare che gli organi parlamentari non possono esercitare attività diplomatiche in senso stretto, ostando sia il diritto internazionale sia l’ordinamento costituzionale nazionale”. Luciano Violante, già Presidente della Camera dei deputati, nella citata intervista a cura di G. AMICO, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 10 ottobre 2008, p. 1, (riportata infra, p. 205 s.) ha affermato che “la diplomazia parlamentare è un metodo e consiste in incontri e colloqui tra le autorità di ciascun Parlamento”. Da ultimo, però, la locuzione “diplomazia parlamentare” sembra aver ricevuto una legittimazione nell’ordinamento parlamentare italiano dopo il rinvio ad essa operato nel discorso di insediamento del Presidente della Camera dei deputati Fini il 30 aprile 2008.

312 Ricorrono alla locuzione “diplomazia parlamentare” G. BAIOCCHI, Profili e missione della diplomazia parlamentare, in Rivista di studi politici internazionali, 2005, p. 675 s.; M. A. MARTÍNEZ, cit., p. 1394; C. DE CARO, I rapporti internazionali e con le istituzioni europee, in La formazione della classe dirigente per l’Europa: spunti di riflessione sull’alta burocrazia pubblica, atti del forum, Roma, 14 gennaio 1999: Associazione dei consiglieri parlamentari della Camera dei deputati, 1999, p. 98; V. GUIZZI, cit., p. 231 s. e L. VIOLANTE, Il ruolo della “diplomazia” parlamentare, in Politica Internazionale, 1998, pp. 11-12. Tra gli internazionalisti il riferimento alla “diplomazia parlamentare” è pressoché assente, se si eccettua A. MARESCA, cit., p. 104, il quale alla voce Consiglio nordico osserva che “Per le sue peculiarità istituzionali, il C. N. costituisce esempio tipico di «diplomazia parlamentare». Ciò in quanto dà luogo ad una struttura nettamente distinta dalle molteplici altre che la diplomazia stessa può assumere”; con tale affermazione egli nega che la diplomazia possa essere ascritta alla sola dimensione governativa delle relazioni internazionali.

313 Cfr. E. SERRA, Manuale di storia delle relazioni internazionali e diplomazia, Milano, 1991, pp. 99-100.

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non hanno titolo ad adottare determinazioni vincolanti per essa, tantomeno per il Governo314. Ciò risulta particolarmente evidente nell’attività svolta dai delegati presso le Assemblee di organizzazioni internazionali nelle quali il diritto di voto è individuale e non appartiene alla delegazione. Ad ogni modo, anche laddove le decisioni sono assunte dalla delegazione, come nella COSAC, esse non impegnano il Parlamento di provenienza.

Per quanto concerne il secondo elemento, quello dell’«esecuzione», i delegati parlamentari, salvo rari casi, non agiscono mai sulla scorta di istruzioni che l’Assemblea di provenienza impartisce loro; non adempiono un mandato, insomma315. Nonostante le procedure di verifica delle credenziali e il regime delle immunità li accomunino agli agenti diplomatici, come accade nelle Assemblee del Consiglio d’Europa e della UEO, la loro posizione si differenzia diametralmente da quella degli emissari dei Governi. Questi “sono organi individuali delle relazioni internazionali, legittimati ad agire, in nome e per conto dello Stato di appartenenza, nei confronti di uno Stato estero, o di un altro soggetto di diritto internazionale, o presso un’istituzione internazionale”316.

Rispetto alla «funzione informativa», la delegazione parlamentare, compiuta la missione all’estero, riferisce al proprio Parlamento sull’attività svolta, oralmente o elaborando una relazione, su cui raramente si apre un dibattito o è coinvolta l’Assemblea.

Sebbene sussistano numerosi indizi circa la differenza ontologica tra il fenomeno delle relazioni tra i Parlamenti e l’accezione tradizionale di “diplomazia”, resta il fatto che la cooperazione interparlamentare è un dato di cui tener conto ed è forse la strada

314 L’art. 7 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, ratificata con legge 12 febbraio 1974, n. 112, individua i rappresentanti dello Stato autorizzati a predisporre, autenticare o sottoscrivere un Trattato: essi sono i Capi di Stato e di Governo, i Ministri degli esteri e i plenipotenziari. Possono essere autorizzati all’adozione di un testo di un Trattato nel corso di una conferenza internazionale i rappresentanti accreditati degli Stati a tale conferenza.

315 Si riscontrano delle circostanze nelle quali il beneplacito di altri organi parlamentari o dell’Aula è necessario affinché le delegazioni possano assumere una posizione nei consessi interparlamentari. Ci si riferisce, in particolare, alla dichiarazione dei Parlamenti nazionali di adesione al sistema di cofinanziamento del Segretariato permanente della COSAC. In questo caso, infatti, l’agire delle delegazioni è stato determinato dalla decisione presa all’interno della rispettiva Assemblea dall’organo competente ad assumere gli impegni di spesa: i delegati, pertanto, hanno operato nella Conferenza in qualità di rappresentanti del Parlamento di cui erano membri.

316 Cfr. A. MARESCA, voce Diplomazia e agenti diplomatici, in Novissimo digesto italiano, a cura di A. AZARA e E. EULA, 1982, p. 1095.

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principale alla quale le Assemblee nazionali si rivolgono per reagire ai processi di globalizzazione, per affrontare problemi che non sono gestibili a livello statale, quali lo sviluppo sostenibile e il terrorismo internazionale, e per promuovere processi di democratizzazione e di institution building317.

Potrebbe forse essere conveniente aggiornare la nozione di “diplomazia” per includere nel complesso delle relazioni interstatali, accanto alle attività dei Governi anche quelle dei Parlamenti e delle organizzazioni non governative. In particolare, le strategie di coordinamento messe in pratica dai Parlamenti possono convergere, per quanto riguarda i criteri informatori del loro agire, verso uno dei significati del termine “diplomazia”: essa “è un metodo attraverso il quale le decisioni della politica estera possono essere attuate, (…) e che richiede la non facile virtù di saper trasferire sul piano dei rapporti personali, possibilmente amichevoli e cordiali tra i negoziatori, le distinte e a volte contrapposte posizioni ufficiali dei Governi; è un metodo di pazienza e di cortesia, di misura e di correttezza che non esclude, peraltro, quando ciò fosse necessario ai fini dell’accordo stesso, fermezza ed energia di atteggiamenti”318. I Parlamenti in questo caso non rappresentano un intralcio all’azione dei Governi; anzi possono aprire nuovi canali di comunicazione tra gli Stati, contribuire a recuperare delle relazioni che si sono deteriorate e, grazie alla loro funzione di “diplomazia tenue”, non impegnativa per gli interlocutori, possono spingersi dove gli Esecutivi non osano. Nell’Assemblea dell’Unione interparlamentare, ad esempio, dialogano fra loro rappresentanti del Parlamento iraniano e dell’Assemblea dell’Autorità nazionale palestinese (che, però, gode dello status di osservatore), da una parte, con quelli del Parlamento israeliano dall’altra, esponenti del Parlamento degli Stati Uniti con quelli dell’Assemblea cubana.

5.3 La diplomazia parlamentare bilaterale e quella multilaterale, contingente e permanente

317 Cfr. C. DE CARO, Appunti su alcune forme di coordinamento parlamentare, a proposito di ripensare lo Stato, in Ripensare lo Stato: atti del convegno di studi, Napoli, 22-23 marzo 2002/ a cura di S. Labriola, Milano, 2003, p. 298.

318 Cfr. A. MARESCA, ultima op. cit., p. 1093, secondo il quale accanto a questo primo significato della Diplomazia come metodo di azione internazionale,ve ne sono altri due: la Diplomazia come un apparato complesso costituito di organi e come un procedimento internazionale (contraddistinto dalle relazioni diplomatiche e consolari, dalle conferenze internazionali, dai consessi di enti internazionali, dalla ricezione e dall’invio da parte di uno Stato di missioni speciali nonché dal procedimento protocollare).

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“Se si esamina il processo evolutivo della diplomazia parlamentare, si rileva come il suo stadio «originario» o «primitivo» sia stato rappresentato dalla forma della cooperazione interparlamentare che intercorre tra due Assemblee”319. Ancora oggi l’espressione più frequente del coordinamento tra i Parlamenti è costituita dalla diplomazia parlamentare bilaterale, ovvero dal raccordo tra le Assemblee, tra organi collegiali e individuali e, più in generale tra delegazioni parlamentari provenienti da due ordinamenti differenti.

Quasi la totalità dei Parlamenti nei meeting bilaterali (spesso anche in quelli multilaterali) “applicano il principio di reciprocità in ordine alle spese di soggiorno delle delegazioni parlamentari straniere”320, mentre per quanto concerne lo status giuridico dei delegati si riscontra un’ampia varietà di situazioni. In alcuni Paesi i delegati sono soggetti alle norme del diritto interno, in altri sono considerati al pari degli stranieri in visita sul loro territorio, in altri Stati ancora, che hanno sottoscritto l’Accordo, si applica la Convenzione dell’ONU sulle missioni speciali e le loro prerogative e immunità.

Spesso la visita dei parlamentari in un altro Paese non si esaurisce nelle riunioni con i membri del Parlamento nazionale, ma si estende anche ad incontri con Capi di Stato e di Governo, specie se è il Presidente del Parlamento a recarsi in missione. Ciò testimonia come nel complesso intreccio del rapporto tra Stati possa essere ricompresa anche l’azione dei Parlamenti nazionali.

Venendo alle modalità tramite cui la cooperazione bilaterale si esplica, questa può essere suggellata dalla firma di un Protocollo d’intesa o di un Accordo di collaborazione. Tale forma di raccordo coinvolge principalmente le amministrazioni parlamentari in attività di stage, di scambi e di formazione dei funzionari, propedeutiche ai processi di creazione o consolidamento delle istituzioni democratiche321. Fino a qualche anno fa i Parlamenti inviavano delegazioni parlamentari nazionali in qualità di osservatori elettorali

319 Cfr. G. BAIOCCHI, ultima op. cit., p. 677.320 M. JONOVSKI, Relazione all’Assemblea dell’Unione interparlamentare sui

“Rapporti bilaterali tra i Parlamenti nazionali, in Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari, Roma, Camera dei deputati, n. 3, 1987, p. 136. Egli rileva anche che nella maggioranza dei Parlamenti l’ammontare dei mezzi finanziari destinati alla collaborazione con i Parlamenti degli altri Stati è programmato dall’Ufficio di presidenza o dal Presidente d’Assemblea.

321 Cfr. F. CINOGLOSSI, Lo sviluppo dei programmi di assistenza della Camera dei deputati agli altri Parlamenti, in Amministrazioneincammino, http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/site/_contentfiles/00016100/16114_Cinoglossi.pdf, 3 dicembre 2008 p. 6 s.

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nei Paesi di “nuova democrazia” per monitorare il regolare svolgimento delle consultazioni; oggi sono le Assemblee del Consiglio d’Europa e dell’OSCE ad organizzare tali missioni, designando propri rappresentanti, i quali lavorano al fianco di quelli governativi. Un altro strumento molto usato nel raccordo tra Parlamenti è quello del gruppo o sezione bilaterale di amicizia (nell’ambito o al di fuori della UIP), un’associazione temporanea e spesso non ufficializzata tra Parlamenti per creare nuovi canali di dialogo. Più raramente sulla scorta di tali iniziative spontanee si “progredisce” nella cooperazione fino ad istituire una Commissione bilaterale permanente, formata da un egual numero di parlamentari delle due Assemblee partecipanti, convocata una o più volte all’anno. Infine, prassi ormai consolidate nei rapporti tra i Parlamenti dell’UE consistono nell’organizzare meeting bilaterali tra Commissioni parlamentari omologhe, nell’audire parlamentari di un altro Stato membro o ancora nell’ammettere i deputati nazionali a partecipare alle sedute delle Commissioni del Parlamento europeo, senza diritto di voto322.

La “diplomazia parlamentare multilaterale contingente”323 interessa le delegazioni delle Assemblee nazionali designate ad hoc per prendere parte ad una Conferenza324, la cui durata può variare da un solo giorno a diversi mesi, ma della quale si prevede in ogni caso una conclusione, sia che venga fissata preventivamente una data, sia nel caso in cui la fine dei lavori è subordinata al verificarsi di un evento. Le Conferenze che rientrano nel primo modello sono convocate in date prestabilite e durano non più di tre giorni. Ne sono un esempio le riunioni delle Commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo e quelle organizzate nell’ambito della dimensione parlamentare dell’Iniziativa adriatico-ionica e del Patto di stabilità per l’Europa sud-orientale. Anche le Conferenze interparlamentari tematiche e i seminari, organizzati dall’OSCE e dall’OCSE (il quale è privo di una dimensione parlamentare stabile), dal Consiglio d’Europa, dall’IPU e dall’Assemblea euromediterranea appartengono alla prima categoria. In questi casi i delegati si incontrano, dibattono sull’oggetto prescelto, a volte lavorano anche in gruppi di studio, che poi riferiscono al plenum. In chiusura del meeting non sono adottate né conclusioni né dichiarazioni finali, giacché lo scopo dell’incontro

322 A tal proposito, sia consentito rinviare al contributo sui Parlamenti nazionali nell’Unione europea.

323 Le espressioni “diplomazia parlamentare multilaterale permanente e contingente” sono di G. BAIOCCHI, ultima op. cit., p. 675 s.

324 La delegazione può essere formata anche da un solo membro.

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non è il raggiungimento di un compromesso quanto lo scambio di idee e di opinioni e il confronto fra culture diverse. A certe condizioni, alcuni parlamentari possono prendere parte anche a Conferenze intergovernative, come quelle delle Nazioni Unite, alle riunioni ministeriali dell’Organizzazione mondiale per il commercio e alle sedute dell’Assemblea generale dell’ONU. L’invito è rivolto dal Governo e ha di norma come destinatari membri della Commissione parlamentare per gli affari esteri. Questi partecipano come componenti della delegazione governativa, ma con la qualifica di osservatori parlamentari, in quanto non possono assumere una posizione ufficiale per conto del loro Stato.

Del secondo tipo di delegazione parlamentare contingente (quella la cui attività termina al verificarsi di un evento certo) si sono avuti sinora solo due esempi, presso le Convenzione che hanno contribuito alla stesura, rispettivamente, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e del Trattato costituzionale325.

La “diplomazia parlamentare multilaterale permanente” concerne il sistema di relazioni che si instaurano tra più di due delegazioni designate dal rispettivo Parlamento per un arco di tempo coincidente normalmente con la legislatura326. Tali delegazioni permanenti possono rimanere in carica anche per un periodo inferiore, secondo le scelte dell’Assemblea di provenienza, ma in ogni caso sono rinnovate dopo le elezioni politiche, quando il nuovo Parlamento si è insediato.

La peculiarità delle delegazioni permanenti rispetto agli altri organi dei Parlamenti risiede nel loro carattere “duale”. Le funzioni che esse svolgono trovano il principale referente in un soggetto esterno al Parlamento nazionale ed è proprio al di fuori di questo che rivelano la loro ragion d’essere327. Le delegazioni connotate da questa natura

325 A tal riguardo, sia consentito rinviare al contributo di C. FASONE, sul ruolo dei Parlamenti degli Stati membri dell’Unione europea.

326 La delegazione parlamentare permanente può essere anche formata da un solo parlamentare. E’ quanto accade quando il Presidente del Parlamento svolge una missione all’estero, magari per partecipare ai meeting multilaterali a cui prendono parte gli Speaker nell’ambito UE o nella cornice del Consiglio d’Europa. Per la cooperazione parlamentare apicale, ovviamente non è necessaria alcuna designazione ad hoc: tra le funzioni del Presidente d’Assemblea, una volta eletto, rientra anche quella di rappresentare il Parlamento nelle riunioni interparlamentari “di vertice”.

327 Tale natura “duale”, invece, si presenta in forma più discreta per le delegazioni parlamentari presso la COSAC. In questo caso non si procede ufficialmente all’inizio della legislatura alla designazione di delegati presso tale consesso, ma per convenzione le Assemblee partecipanti inviano alle sue riunioni membri dell’Ufficio di presidenza della Commissione per gli affari europei (la delegazione deve essere formata da sei membri, tre per ciascuna Camera se il Parlamento è bicamerale). L’attività dei delegati presso la COSAC, aldilà di tali riunioni è svolta all’interno del

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“bifronte” sono quelle che compongono le Assemblee di organizzazioni internazionali (è il caso del Consiglio d’Europa, della UEO, dell’OSCE, dell’INCE e della NATO, del Consiglio Nordico, nonché della UIP, per la quale le delegazioni prendono il nome di “gruppi nazionali”). 5.4 A che cosa serve la diplomazia parlamentare?

Il problema con il quale i Parlamenti nazionali sono costretti a confrontarsi oggi è quello della loro posizione marginale nei circuiti decisionali a livello internazionale, che investe la questione del deficit democratico. La gran parte delle scelte che i Governi nazionali compiono, non sono mai frutto di una determinazione unilaterale, bensì l’esito di un confronto con gli altri Esecutivi e con poteri pubblici forti, sia all’interno che al di fuori delle organizzazioni internazionali. I Parlamenti rischiano di rimanere esclusi da tale decision making globale, in quanto non esiste un contraltare parlamentare in grado di interdire o condizionare “il fronte degli Esecutivi”328. Un controllo effettivo dei Parlamenti sui Governi si realizza solo negli ordinamenti nazionali.

Per contro, vi è anche chi tende a minimizzare l’esistenza del deficit di democrazia dei poteri pubblici globali329, sostenendo 1) che non esiste un unico governo mondiale, ma tanti poteri diffusi; 2) che essi tendenzialmente non ricorrono né dispongono di poteri autoritativi, ma si accontentano di fissare degli standard di comportamento; 3) che i cittadini e le imprese hanno la facoltà di rivolgersi direttamente a “organi giudiziari o quasi giudiziari non

Parlamento: essi prima di tutto sono componenti della Commissione affari europei e solo di riflesso partecipano alla Conferenza.

328 Cfr. G. RIVOSECCHI, Il ruolo delle Assemblee rappresentative di fronte ai processi di globalizzazione: spunti ricostruttivi, in Rass. Parl., 2003 p. 489 s.; più in generale sulle dinamiche innescate dai processi di globalizzazione, si vedano R. O. KEOHANE, Global Governance and Democratic Accountability, in Taming Globalization. Frontiers of Governance, a cura di D. Held-M. Koenig-Archibugi, Cambridge, 2003, p. 130 s.; P. HAYDEN-C. EL-OJEILI, Confronting Globalization in the Twenty-first Century: An Introduction, in Confronting Globalization: Humanity, Justice and the Renewal of Politics, a cura di P. Hayden-C. El-Ojeili, New York, 2005, pp. 1-23; M. GOODHART, Democracy as Human Rights. Freedom and Equality in the Age of Globalization, New York, 2005, p. 217 s.; D. HELD, Models of Democracy, III ediz., Cambridge, 2006, p. 290 s.; M. R. FERRARESE, Diritto sconfinato, Bari, 2006, spec. p. 3-41 e S. CASSESE, Oltre lo Stato, Bari, 2006, spec. pp. 3-37.

329 Cfr. S. CASSESE, cit., spec. pp. 26-31.

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nazionali”330. Pertanto nell’ordinamento internazionale vi sarebbe un minor bisogno di democrazia rispetto a uno Stato.

Ad ogni modo, però, i poteri pubblici globali non rendono conto ai cittadini della loro attività. L’ipotesi che sussista persino una Costituzione globale, dato che nella comunità internazionale sarebbe possibile accertare la presenza dei due requisiti indispensabili per l’esistenza di un ordinamento costituzionale, la garanzia dei diritti e la separazione dei poteri331, non giova alla causa democratica, in quanto, sempre ammesso che vi sia, ci si confronterebbe con una “Carta ottriata”. I cittadini subiscono le decisioni assunte in ambito internazionale, in un contesto molto distante dalla loro realtà e in cui non hanno facoltà di intervenire.

330 Cfr. Ivi, p. 30.331 L’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 ha

affermato che “tutte le società nelle quali la garanzia dei diritti non è assicurata e la separazione dei poteri non è determinata non hanno una Costituzione”. Sul rischio che la globalizzazione possa determinare una vanificazione del diritto costituzionale, strettamente legato alla dimensione della sovranità statale, cfr. G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, p. 393, il quale afferma che “Il compito attuale di chi opera per il diritto costituzionale è tentare di riavvicinare gli ambiti e ricostruire un ambiente di principi fondamentali in cui gli effetti e le loro causa siano ugualmente sottoposti al diritto. In mancanza di ciò, sia ha un bel regolare diritti e situazioni nel proprio ambito costituzionale, se le condizioni di efficacia di tale regolazione si determinano altrove”.

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Seppur non risolutiva del problema democratico, la creazione di una rete globale di Parlamenti o di tante reti quanti sono questi poteri pubblici diffusi può contribuire a sorvegliarli e a responsabilizzarli. Per questa ragione le Assemblee nazionali si sono “attrezzate” mettendo in moto un processo di internazionalizzazione delle loro attività, come si riscontra dalle sempre più frequenti riunioni dei loro organi apicali, i Presidenti. Le Assemblee interparlamentari, poi, si sono battute per un ampliamento dei loro poteri, in molti casi riuscendovi, come nell’ambito del Consiglio d’Europa e della UEO; ma tali conquiste sembrano insufficienti a colmare l’abisso tra le prerogative degli organi intergovernativi e quelli di Parlamenti.

Rispetto all’Unione dell’Europa occidentale, in particolare, si pone il delicato problema del controllo democratico su questioni inerenti la sicurezza e la difesa: in questi settori negli ultimi anni, in nome della lotta al terrorismo internazionale, i cittadini hanno conosciuto numerose restrizioni alle loro libertà e i Parlamenti hanno voce in capitolo solo a livello nazionale. Nel quadro dell’Unione europea queste materie sono soggette prevalentemente alla competenza statale e il Parlamento europeo ha limitati poteri di consultazione e di ricezione delle informazioni. I Parlamenti degli Stati membri, accanto al controllo svolto sul rispettivo Esecutivo, hanno trovato nell’Assemblea UEO una sede di confronto e di scambio di informazioni, ma la sua sopravvivenza è incerta, considerato che l’organo intergovernativo corrispondente ha praticamente cessato di esercitare le proprie funzioni e che vi è una sovrapposizione di competenze tra Unione europea e UEO.

Eppure, è possibile cogliere dei segnali incoraggianti: da quando il problema del deficit democratico è stato sollevato si è registrata da più parti la determinazione a contrastarlo. Le organizzazioni internazionali, ad esempio hanno acquisito consapevolezza di tale “disagio democratico”, coscienti che la partecipazione diretta o indiretta dei cittadini alle loro attività può recare un beneficio in termini di legittimazione. Si possono portare due esempi di questa volontà di accreditamento delle organizzazioni internazionali e sovranazionali nei riguardi dell’opinione pubblica: il primo è quello noto dell’Unione europea; il secondo, è quello delle Nazioni Unite che, in quanto organizzazione globale priva di una dimensione parlamentare, si sta proponendo ormai da tempo come referente governativo dell’Unione interparlamentare. In collaborazione con questa l’ONU ha organizzato numerose Conferenze e ogni anno la sua

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Assemblea generale convoca un’hearing dei rappresentanti dei Parlamenti membri della UIP332.

332 Cfr., a titolo di esempio, UIP, Conference des Presidents des Parlaments nationaux, Siège de l’ONU, New York, 30 août-1 sept. 2000 e L. VIOLANTE, cit.

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IL RUOLO DEI PARLAMENTI DEGLI STATI MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA E IL LORO INSERIMENTO NEL

DECISION-MAKING COMUNITARIO

CRISTINA FASONE

1. Premessa – 2. Le forme di cooperazione parlamentare permanente – 2.1 Il Parlamento europeo: da collegio di delegazioni parlamentari nazionali ad assemblea elettiva; 2.2 La “Piccola Conferenza”; 2.3 La Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari e il principio di sussidiarietà; 2.4 Cenni sulla cooperazione tra amministrazioni parlamentari – 3. Le sedi di cooperazione parlamentare contingente – 3.1 La Convenzione sull’avvenire dell’Europa; 3.2 I Joint Parliamentary meeting, i Joint Committee meeting e le Conferenze delle commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali; 3.3 La cooperazione interparlamentare nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – 4. La cooperazione tra il Parlamento italiano e i Parlamenti dell’Unione europea - 4.1 La delegazione italiana presso il Parlamento europeo; 4.2 Le commissioni “Politiche dell’Unione europea di Camera e Senato; 4.3 La partecipazione del Parlamento italiano alla “fase ascendente” di formazione del diritto comunitario: un’introduzione; 4.4 L’esame dei progetti di atti normativi comunitari e gli esperimenti condotti per verificare il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità; 4.5 Il Trattato di Lisbona e le ipotesi di adeguamento del Parlamento italiano alla nuova disciplina – 5. Conclusioni. I Parlamenti nazionali nel “nuovo” ordinamento comunitario

1. Premessa

La trasformazione del Parlamento europeo da assemblea di delegati nazionali a organo elettivo, il livello di istituzionalizzazione conseguito da alcune sedi di cooperazione tra Parlamenti degli Stati membri dell’Unione e il riconoscimento offerto dai Trattati comunitari a questi ultimi rendono necessaria una trattazione a sé stante della fenomenologia della cooperazione interparlamentare nell’Unione rispetto a quella sviluppatasi più in generale nel continente europeo. Il caso dell’Unione europea risulta essere oggi particolarmente rilevante nell’ambito dello studio della cooperazione interparlamentare proprio in quanto la dimensione parlamentare nelle Comunità era originariamente legata all’attività delle delegazioni di tali Parlamenti. Da ultimo, attraverso le disposizioni del Trattato di Lisbona e del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità ad esso annesso i Parlamenti nazionali vengono valorizzati nell’ambito dell’ordinamento comunitario, senza però cedere alla tentazione di costituire un nuovo organo dell’Unione che li riunisca stabilmente.

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L’evoluzione istituzionale nelle Comunità europee sino al Trattato di Lisbona, invero, non ha giocato a favore dei Parlamenti nazionali: quando erano rappresentati nell’Assemblea parlamentare, questa era di gran lunga l’istituzione meno influente nell’ordinamento comunitario (nonostante l’acquisizione di poteri nel procedimento di bilancio e il ricorso alla procedura di parere conforme); successivamente, quando essa si è qualificata come un attore politico rilevante, i Parlamenti nazionali sono stati “tenuti a distanza”, venendo chiamati in causa solo per la ratifica dei Trattati e per l’adeguamento dell’ordinamento interno al diritto comunitario. Nessun coinvolgimento, fino a poco più di un decennio fa, era assicurato loro nella fase “ascendente” di formazione delle norme, se non da disposizioni di diritto interno333. Infatti, “i Trattati europei semplicemente non si occuparono del problema, lasciando alla sensibilità di ciascun ordinamento nazionale la libertà di istituire procedure capaci di coinvolgere i Parlamenti nazionali nella fase di elaborazione delle politiche europee”334.

Ad ogni modo, ben prima di ottenere una qualche “menzione” nei Trattati, i Parlamenti nazionali hanno promosso una serie di iniziative di dialogo, più o meno strutturato tra loro, che saranno prese in esame nei paragrafi due e tre del contributo. Innanzitutto, si analizzerà la composizione e il funzionamento delle sedi stabili di cooperazione, vale a dire, di quei consessi (la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione e la Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari) che, seppur privi di organi permanenti, si riuniscono periodicamente, con cadenza regolare, secondo quanto previsto dai rispettivi regolamenti. Nel terzo paragrafo si affronterà il tema dei raccordi tra Parlamenti aventi carattere “contingente”, ossia di iniziative promosse una tantum e che hanno dato luogo a consessi interparlamentari aventi un mandato di durata predefinita. Infine, nel quarto paragrafo si ricostruirà l’evoluzione del ruolo del Parlamento italiano nel quadro delle relazioni con i Parlamenti dell’Unione europea (Parlamento europeo compreso), prendendo in considerazione anche gli sviluppi indotti dalla firma del Trattato costituzionale, prima, e di quello di Lisbona, poi.

333 Cfr. G. CONTE, Parlamento e Unione europea, in Per far funzionare il Parlamento. Quarantaquattro modeste proposte, a cura di A. Manzella e F. Bassanini, Bologna, 2007, p. 117, dove in chiave problematica si evidenzia la debolezza del rapporto sviluppato tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali finora.

334 Cfr. M. CARTABIA, I Parlamenti nazionali nell’architettura costituzionale dell’Unione europea, Relazione tenuta al XX Convegno annuale dell’AIC, L’integrazione dei sistemi costituzionali europeo e nazionali, Catania, 14-15 ottobre 2005, Padova, 2007, p. 104.

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2. Le forme di cooperazione parlamentare permanente

2.1 Il Parlamento europeo: da collegio di delegazioni parlamentari nazionali ad assemblea elettiva

2.1.1 La fase istitutiva dell’Assemblea parlamentare delle ComunitàNel 1957 l’Assemblea parlamentare della Comunità Economica

Europea, allo stesso modo di altre Assemblee (operanti nell’ambito di organizzazioni internazionali) composte da delegazioni dei Parlamenti nazionali, sembrava destinata a una grama esistenza. Essa era sprovvista di poteri legislativi in senso proprio e non aveva poteri di controllo sul bilancio delle Comunità. Il legame fisico esistente con le Assemblee legislative nazionali si dimostrava strumentale a mantenere il consesso in uno stato di “sudditanza” nei confronti del Consiglio dei Ministri e dei Parlamenti degli Stati membri. Il suo affrancamento da questa condizione alienante sarebbe dipeso, in un primo momento, dall’organizzazione delle sue attività non secondo il clivage prevalente dell’appartenenza nazionale, come accadeva nelle altre arene, ma secondo quello, pressoché esclusivo, dei gruppi politici. Del resto, l’affievolimento delle tensioni nazionalistiche era esattamente ciò che i movimenti “federalisti” e il processo di integrazione comunitaria si proponevano di perseguire.

Dei 53 articoli di cui constava il regolamento del Parlamento europeo nel 1962 solo uno, l’art. 4 sulla verifica dei poteri, chiamava direttamente in causa i Parlamenti nazionali. Si riferiva, infatti, alla durata del mandato, tema molto rilevante, poiché non si poteva prendere come riferimento il termine ordinario della legislatura. Il Parlamento europeo, peraltro, era costituito da delegazioni che differivano notevolmente tra loro per durata del mandato, dato che alcuni Parlamenti nazionali designavano i loro delegati per un periodo di due anni, addirittura inferiore alla legislatura. Questo tipo di scelta era volta ad assicurare la possibilità a un numero ampio di parlamentari nazionali di partecipare agli affari comunitari335.

L’art. 4 reg. è stato oggetto di numerose contestazioni, perché così come era formulato poteva avallare facilmente una considerevole longevità delle delegazioni336. Oltre alle ipotesi di cessazione dal

335 Per un approfondimento, si veda V. GUIZZI, Manuale di diritto e politica dell’Unione europea, III ediz. Napoli, 2003, pp. 118 e 569.

336 Cfr. D. PASQUINUCCI-L. VERZICHELLI, Elezioni europee e classe politica sovranazionale 1979-2004, Bologna, 2004, p. 207. I due autori hanno verificato che l’eccessiva longevità delle delegazioni si è rivelata solo un rischio potenziale. Infatti,

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mandato che erano comuni alla maggior parte dei Parlamenti nazionali, tra cui il decesso, le dimissioni e l’invalidamento, qui acquisiva un certo rilievo l’ipotesi della perdita del mandato parlamentare nazionale. In questo caso, il rappresentante poteva “restare in funzione fino alla notifica al Parlamento europeo della designazione del suo sostituto”337. Tale disposizione, invero, da una parte, non prescriveva un rinnovo automatico delle delegazioni all’inizio di ogni legislatura (con il rischio che, in caso di ritardata notifica da parte del Parlamento nazionale della mancata rielezione di un suo delegato, potesse continuare a far parte della delegazione un ex parlamentare), dall’altro, non stabiliva che si dovesse procedere ad un’integrazione immediata della stessa a causa della perdita del mandato da parte di uno dei suoi membri (con la conseguenza di non prevenire il rischio che alcuni Parlamenti fossero sottorappresentati). I problemi sorsero sin dal 1963, dato che la delegazione italiana non era stata rinnovata dopo le elezioni e si era “assottigliata” a causa della scomparsa di alcuni membri. La commissione per la verifica dei poteri si allineò all’interpretazione fornita dal Parlamento italiano, secondo cui non erano previsti limiti di durata del mandato conferito ai membri della delegazione. Tuttavia, il Parlamento europeo si affrettò a emendare questa norma dopo il rinnovo della delegazione italiana: l’11 marzo 1969 l’art. 4, par. 2, fu modificato, fissando in sei mesi il tempo massimo per continuare ad esercitare le funzioni di membro dell’Assemblea parlamentare europea in caso di perdita del mandato nazionale.

2.1.2 Le elezioni dirette del Parlamento europeo e la questione del doppio mandato

Sebbene sin dalla nascita dell’Assemblea la condotta dei parlamentari fosse garantita dal divieto di mandato imperativo338, quindi lo Stato membro di provenienza non avrebbe potuto irreggimentare e istruire la loro azione, era innegabile l’esistenza di un saldo legame tra la delegazione e il Parlamento che la aveva designata. Dopo le prime elezioni, i Parlamenti nazionali avrebbero potuto

la seniority parlamentare presso l’Assemblea europea è stata mediamente più ridotta di quella presso il Parlamento nazionale, soprattutto in Francia e in Italia.

337 Si può notare come, rispetto alle delegazioni parlamentari presso le Assemblee di organizzazioni internazionali, quelle al Parlamento europeo non erano costituite anche da membri supplenti.

338 Inizialmente, il principio del divieto di mandato imperativo si è affermato in via di prassi, non avendo ricevuto sanzione in una disposizione regolamentare. Il regolamento del Parlamento europeo attesta il suddetto principio all’art. 2.

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recuperare sul versante della cooperazione interparlamentare europea l’arretramento della propria posizione nel quadro comunitario. Questo tipo di iniziativa, tuttavia, ha stentato a decollare proprio perché, da un lato, l’interesse dei Parlamenti nazionali per gli affari comunitari si è dimostrato piuttosto carente e, dall’altro, grazie all’espediente del doppio mandato il coinvolgimento dei parlamentari nazionali, in via di principio, è stato mantenuto339.

La Decisione n. 2002/772 del Consiglio di modifica dell’Atto di Bruxelles, adottata previo parere conforme del Parlamento europeo, oltre a stabilire l’adozione generalizzata di un sistema elettorale proporzionale, per ciò che qui rileva, ha sancito l’incompatibilità tra mandato europeo e mandato nazionale (art. 5) - ad eccezione dei deputati eletti in Irlanda e Regno Unito, ma solo in via transitoria fino al 2009340. Al 1 aprile 2004, data dell’entrata in vigore di tale Decisione, solo quattro Stati membri, Belgio, Grecia, Spagna e Austria vietavano totalmente il doppio mandato. Il Portogallo e la Finlandia ne praticavano la sospensione. Dalla VI legislatura del Parlamento europeo (2004-2009), invece, nessun europarlamentare è più titolare di doppio mandato341.

2.1.3 Il Parlamento europeo e la cooperazione con i Parlamenti nazionali

Il Parlamento europeo, specialmente dagli anni Novanta, ha avviato una riflessione sulle ipotesi di razionalizzazione dei rapporti tra l’Assemblea di Strasburgo e quelle nazionali. La relazione

339 L’unico esempio di cooperazione interparlamentare dotata di una certa stabilità nelle Comunità europee era quella della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti delle Comunità i cui meeting, dal 1975 in poi, si sono tenuti con cadenza annuale. L’istituzione della COSAC, invece, risale solo al 1989.

340 La differente posizione del Regno Unito e dell’Irlanda è da ricondurre ad una concessione che i due Stati sono riusciti ad ottenere in sede negoziale.

341 L’Italia ha adeguato la legge n. 18 del 24 gennaio 1979 alla Decisione del Consiglio, con la legge 27 marzo 2004, n. 78. È significativa la modifica della denominazione degli europarlamentari tanto nel testo dell’Atto allegato alla decisione n. 76/787 quanto nella legislazione italiana. Nel testo originario dell’Atto di Bruxelles (art. 1) si parlava di rappresentante del Parlamento europeo mentre dal 2002 vi è scritto “membri del Parlamento europeo”; specularmente, il titolo e l’art. 4 della legge n. 18 del 1979, come modificata nel 2004, recitano così: “membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia” e non più “rappresentanti dell’Italia presso il Parlamento europeo”. Sia che si consideri l’atto comunitario sia che ci si riferisca alla legge nazionale, è evidente l’intenzione di posporre per ordine di importanza la cittadinanza dell’europarlamentare o, meglio, il suo Stato di elezione, all’appartenenza all’istituzione comunitaria. La terminologia adottata è più consona di quella abrogata a sottolineare che il deputato europeo persegue l’interesse dei cittadini dell’Unione e non quelli del popolo dello Stato membro in cui è stato eletto o dei suoi concittadini.

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Cravinho del 1991, allora Vice-Presidente del Parlamento europeo, sullo sviluppo della cooperazione interparlamentare nelle Comunità ha fornito numerosi spunti, ad esempio a proposito della collaborazione tra le commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali e tra esse e quelle del Parlamento europeo, che hanno ricevuto attuazione solo recentemente342.

Successivamente, la risoluzione approvata dal Parlamento europeo nel 2002 sul testo della relazione Napolitano, Presidente della commissione Affari costituzionali, ha avuto ad oggetto il medesimo tema343. Al punto 3 della risoluzione si specifica che la parlamentarizzazione dell’Unione deve poggiare su due elementi: 1) il più frequente ricorso alla co-decisione; 2) l’esplicazione del potere di controllo dei Parlamenti degli Stati membri almeno nei casi in cui non è applicata la citata procedura. Soprattutto nell’ambito della PESC, della PESD e dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia il ruolo dei Parlamenti nazionali dovrebbe essere complementare a quello dell’Assemblea comunitaria. Altre aree da monitorare, perché suscettibili di provocare un new democratic deficit344, sono quelle soggette alla “co-regolamentazione” e quelle in cui si realizza il “coordinamento aperto” tra Governi (open method of co-ordination)345. In questi ambiti, rispetto ai quali l’Unione europea è priva di competenze attribuite dai Trattati e che sono sottratti altresì all’intervento dei Parlamenti nazionali, “si impiegano nuovi diritti e strumenti intergovernativi (punto 7 della risoluzione)”346. Nella categoria della “co-regolamentazione” sono da ricomprendere “quelle forme di interazione tra gli attori comunitari e gli attori privati, la cui peculiarità consiste nel trovarsi a metà strada tra legislazione vincolante e accordo volontario”347 e che presuppongono un qualche

342 Parlamento europeo, Relazione redatta a cura dell’on. Cravinho sulle relazioni tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali, Bruxelles, 1991, PE 150.961/BUR/fin.

343 Risoluzione approvata dal Parlamento europeo sulla base della Relazione del Presidente della commissione affari costituzionali, Giorgio Napolitano, P5_TA(2002)058.

344 CERDP, Supranational Parliamentary and Interparliamentary Assemblies in 21st Century Europe, Chancellery of Polish Senate, Warsaw, 8-9 May 2006, p. 101

345 Cfr. T. RAUNIO, National Parliaments and OMC: destined to remain apart?, in Fifty years of inter-parliamentary cooperation: progressing towards effective cross-level Parliamentarism?, Bundesrat, Berlin, 13 June 2007, http://www.swp-berlin.org/de/common/get_document.php?asset_id=4124

346 Risoluzione approvata dal Parlamento europeo sulla base della Relazione del Presidente della commissione affari costituzionali, Giorgio Napolitano, P5_TA(2002)058, punto 7.

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meccanismo d'implementazione in virtù di una norma comunitaria348. Le materie soggette al c.d. “coordinamento aperto tra Governi” sono, invece, quelle iscritte nell’Agenda di Lisbona, rispetto alle quali, poiché l’Unione europea è sprovvista di competenze, i Governi nazionali hanno deciso di coordinare spontaneamente le rispettive politiche.

Infine la risoluzione adotta, in maniera del tutto condivisibile, una posizione contraria all’istituzione di una Camera composta dai rappresentanti dei Parlamenti nazionali in seno all’Unione, giacché risulterebbe problematico definirne l’istanza di rappresentanza e determinarne le funzioni nel consolidato quadro istituzionale delle Comunità. Tra le giustificazioni addotte nell’atto a sostegno di questa posizione, spiccano l’opportunità di non appesantire ulteriormente il processo decisionale, la necessità di evitare una sovrapposizione confusa nei ruoli rispettivi delle istituzioni nazionali e comunitarie e l’esistenza di una doppia legittimità in capo all’UE, Unione di Stati e di popoli. Ed è paradossale che oggi, dopo quasi cinque lustri dalla tanto anelata trasformazione del Parlamento europeo da collegio di delegazioni parlamentari nazionali ad assemblea elettiva, di tanto in tanto si torni a caldeggiare l’ipotesi di costituire una nuova istituzione comunitaria rappresentativa dei Parlamenti nazionali.

Attualmente l’Assemblea comunitaria definisce in maniera puntuale nel proprio regolamento la posizione assunta rispetto alle Assemblee nazionali. La Conferenza dei Presidenti è l’autorità del Parlamento europeo incaricata dei rapporti con i Parlamenti nazionali (art. 24, comma 3) e all’interno di essa due dei Vice-presidenti hanno la responsabilità per i rapporti con i Parlamenti degli Stati membri. Il Titolo V del suo regolamento è specificamente dedicato a questo: l’art. 123 enfatizza la funzione “pedagogica” e “informativa”349, che il Parlamento europeo dovrebbe assolvere nei confronti delle Assemblee degli Stati membri350.

347 L. SENDEN, Soft Law, Self Regulation and Co-regulation in European Law: where do they meet?, in Electronic Journal of Comparative Law, vol. 9.1, January 2005, http://www.ejcl.org/

348 Un esempio di co-regolamentazione è costituito dal “cross industry agreement on work- related stress”, siglato dalle parti sociali a livello europeo nell’ottobre 2004. Ai sensi dell’art.139 TCE e della Direttiva sulla salute e la sicurezza 89/391/EEC, esiste un obbligo giuridico per gli Stati membri di attuare l’accordo.

349 Si tratta di due delle funzioni che Bagheot riconosce in capo alla Camera dei Comuni. In W. BAGEHOT, La Costituzione inglese, Bologna, 1995, p. 143.

350 L’art. 123, co. 2, del regolamento del Parlamento europeo recita: “La Conferenza dei Presidenti può dare mandato al Presidente di negoziare agevolazioni a favore di Parlamenti nazionali degli Stati membri su base reciproca e di proporre

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Bisogna considerare, infatti, che sono piuttosto rari i meeting e gli incontri che prescindono dalla presenza di una rappresentanza del Parlamento europeo. Sembra quasi che la cooperazione tra Assemblee nazionali non possa aver luogo se non sotto l’egida di questo consesso, come se solo le istituzioni parlamentari, tutte insieme unite nei loro intenti, potessero contenere il lack di democraticità. In realtà, la presenza del Parlamento europeo, come si dirà di seguito (paragrafo 3.2), è spesso anche molto ingombrante e appesantisce la cooperazione351: esso tenta di imporre unilateralmente nei meeting un’agenda preconfezionata, di inviare più deputati europei di quanto consentito dalla prassi nonché di ottenere il monopolio nell’organizzazione di questi eventi. Il suo attivismo, in realtà, nasconde una certa gelosia delle prerogative tanto duramente conquistate e la consapevolezza che i Parlamenti nazionali siano, allo stesso tempo, una spalla su cui appoggiarsi nella “battaglia” contro il deficit democratico, ma anche dei temibili concorrenti. Tutto ciò considerando che è pressoché impossibile che si assista a un processo devolutivo di competenze nell’Unione Europea che segua una direzione top-down352, in opposizione con quanto sinora accaduto.

qualsiasi altra misura volta a facilitare i contatti con i Parlamenti nazionali”.351 Cfr. A. MAURER, Parlamentarismes et construction européenne, in Politique

européenne, 2003, pp. 77-97. Una posizione più ottimista, invece, è espressa da J. O’BRENNAN-T. RAUNIO, National Parliaments within the enlarged EU: from victims of integration to competitive actors?, London, 2007, p. 30 s.

352 L’art. 308 del TCE (nuovo art. 352 TFUE), contenente la cosiddetta “clausola di flessibilità”, anzi, consente al Consiglio dei Ministri dell’Unione di poter adottare all’unanimità, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, un’azione considerata necessaria per il conseguimento degli obiettivi dell’Unione, anche se questa non è competente in materia. Il Trattato di Lisbona ha previsto un temperamento a questa possibilità dell’Unione di arrogarsi nuove competenze, sebbene in vista dell’adozione di una singola azione e non ratione materiae. La Commissione deve coinvolgere i Parlamenti nazionali nell’ambito della procedura del controllo di sussidiarietà.

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Sotto questo profilo è stata molto significativa la sentenza Maastricht-Urteil del Tribunale Costituzionale tedesco del 1993 con la quale si è stabilito un diretto collegamento tra le competenze dei Parlamenti nell’Unione. Ogni riduzione dei poteri dei Parlamenti nazionali dovrà essere bilanciata, a livello comunitario, da una crescita proporzionale di quelli del Parlamento europeo353.

2.2 La “Piccola Conferenza”

2.2.1 La nascita e il ruolo assunto dalla ConferenzaLa Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea è

la sede strutturata di cooperazione interparlamentare di più antica costituzione in ambito comunitario354. La prima riunione ebbe luogo nel 1963 a Roma, su iniziativa del Presidente del Parlamento europeo, Gaetano Martino, mentre la seconda, a distanza di ben dieci anni, si tenne a Strasburgo. A partire dalla Conferenza di Parigi del 1975 questi meeting sono stati organizzati regolarmente ogni due anni. Quindi, con la Conferenza di Lisbona del 1999, preso atto della rilevanza di questo consesso quale strumento di confronto tra i Parlamenti in una fase tanto delicata di riforma istituzionale dell’ordinamento comunitario, le riunioni (ordinarie) hanno avuto luogo con cadenza annuale355. Prima di questa data, invece, era invalsa la prassi di alternare annualmente la seduta della “Piccola Conferenza” con quella della “Grande Conferenza356”. Mentre al primo collegio prendono parte soltanto i Presidenti dei Parlamenti dell’Unione, al secondo, di dimensioni decisamente maggiori, partecipano i Presidenti dei Parlamenti degli Stati membri del

353 Cfr. A. MANZELLA, Il parlamento federatore, in Quaderni costituzionali, 2002, p. 35 s.

354 Alla Conferenza partecipano anche i Presidenti dei Parlamenti degli Stati membri candidati all’adesione, con lo status di osservatori. Cfr. G. BAIOCCHI, Profili e missione della diplomazia parlamentare, in Rivista di studi politici internazionali, 2005, p. 679 s., il quale colloca questa sede di cooperazione nella categoria della “diplomazia parlamentare apicale multilaterale”.

355 Oltre ai meeting ordinari, le riunioni della Conferenza possono essere: straordinarie o informali, che sono indette quando è necessaria una presa di posizione congiunta dei Parlamenti nazionali, come in occasione di Conferenze intergovernative per la riforma dei Trattati; e, infine, celebrative, per commemorare eventi di alto valore simbolico, quali anniversari della firma di Trattati.

356Cfr. V. GUIZZI, cit,. p. 606 e ID., La diplomazia parlamentare e la cooperazione tra Parlamenti: la nuova dimensione internazionale del parlamento italiano, in Divenire sociale e adeguamento del diritto: studi in onore di Francesco Capotorti, a cura di V. Storace-F. Capotorti, Milano,1999, pp. 229-249.

143

Consiglio d’Europa, il Presidente del Parlamento europeo e quello dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

Il 3 luglio 2004, in occasione della sua riunione annuale all’Aia, la “Piccola Conferenza” ha adottato le Linee guida, che rappresentano forse il massimo sforzo compiuto sinora per fornire la cooperazione interparlamentare nell’Unione di una “Carta costituzionale”. Un forte impulso all’adozione delle Linee guida è derivato dal Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali, annesso al Trattato costituzionale357, che all’art. 9 garantiva al Parlamento europeo e a quelli nazionali la facoltà di determinare l’organizzazione e la promozione di un’effettiva e regolare cooperazione interparlamentare all’interno dell’Unione Europea.

Come per quasi tutti i documenti adottati nell’ambito di iniziative di cooperazione interparlamentare, anche le Linee guida sono prive di valore giuridico in senso proprio: non vincolano, cioè, i Parlamenti nazionali, che restano liberi di determinare il loro grado di coinvolgimento nella cooperazione interparlamentare. Esse, ad ogni modo, contribuiscono alla definizione di un quadro sistematico dei forum di collaborazione sia politici che amministrativi. Pur non configurando formalmente un assetto gerarchico, è evidente che la significatività dell’organo “Presidente d’Assemblea” assicura alla Conferenza degli Speaker attribuzioni della massima rilevanza: quella di “supervisionare il coordinamento dell’attività interparlamentare nell’Unione europea” e, con il supporto dei rispettivi Segretari generali, quello di eleggere i temi di maggiore interesse politico, da iscrivere nell’agenda della successiva Conferenza e delle altre sedi di cooperazione.

2.2.2 L’organizzazione delle riunioni della ConferenzaUna delle peculiarità di questa forma di cooperazione

interparlamentare, che ne costituisce anche una ragione di debolezza, riguarda la titolarità del potere di convocazione. La Conferenza degli Speaker, infatti, è organizzata sulla base di un invito spontaneo del Presidente dell’Assemblea nazionale o dei Presidenti, nel caso di Parlamenti bicamerali, che decidono di ospitare e finanziare l’evento, di durata variabile fra i due e i quattro giorni358. Esiste, comunque, un

357 Ad esso rinvia espressamente il “Preambolo” alle Linee Guida.358 Dei 27 Parlamenti nazionali dell’Unione Europea, 13 sono bicamerali

(austriaco, belga, ceco, francese, tedesco, italiano, olandese, spagnolo, britannico, sloveno, rumeno, polacco, irlandese) e 14 sono unicamerali (cipriota, danese, estone, finlandese, greco, ungherese, lituano, lettone, lussemburghese, maltese, portoghese, slovacco, svedese, bulgaro). Nelle Linee guida della Conferenza non è previsto che

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sistema di programmazione dei lavori, seppur rudimentale. Ai sensi dell’art. 3, secondo comma, delle Linee guida per la Conferenza degli Uffici di Presidenza si prevede che alla fine di ogni meeting si stabiliscano le sedi delle due riunioni annuali successive.

A tal riguardo, come numerose altre istanze di cooperazione tra Parlamenti, anche la Conferenza può fare affidamento, per assicurare un minimo di continuità ai suoi lavori, su di un organo a composizione mutevole, la Troika359: di essa fanno parte il Presidente del Parlamento che ha ospitato il meeting precedente, quello che ospita la Conferenza in corso e quello che si è offerto di ospitare la futura riunione, i quali sono chiamati a coordinarsi tra loro in merito agli argomenti oggetto di dibattito in seno al consesso.

Non esistendo un Segretariato permanente, un ruolo fondamentale è assegnato dall’art. 9, primo comma, delle Linee guida della Conferenza alla cooperazione interparlamentare amministrativa, in particolare ai Segretari generali. Questi ultimi, sulla scorta di reciproche consultazioni e, segnatamente, delle decisioni assunte nel corso della loro riunione (sempre convocata quindici giorni - un mese prima che abbia luogo la Conferenza dei Presidenti) provvedono a definirne l’agenda, che in ogni caso dovrà ricevere l’assenso all’inizio della Conferenza successiva.

2.2.3 I lavori della Conferenza

essa possa essere organizzata dalla Presidenza del Parlamento europeo. Nel 1973 (quando ancora questa forma di cooperazione era in via di stabilizzazione) la Conferenza ha avuto luogo a Strasburgo.

359 I membri della Troika cambiano ogni semestre.

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Nel dibattito all’interno della Conferenza si sono riproposte le tradizionali spaccature che percorrono anche gli altri forum di cooperazione interparlamentare nell’Unione europea, quando si discute del potenziamento delle loro prerogative: da un lato, vi è l’asse Francia-Belgio-Lussemburgo che promuove un ampliamento dei poteri di questi consessi, se non la costituzione di nuovi; dall’altro, l’alleanza dei Paesi nordici, Danimarca, Svezia e Finlandia, i quali, forti del livello di controllo che l’ordinamento interno riconosce loro sull’azione governativa in ambito comunitario, si oppongono a ogni ulteriore ingerenza negli affari nazionali.

I Presidenti normalmente si sono confrontati su argomenti di vasto respiro politico, quali il futuro dell’Unione europea, o il ruolo dei Parlamenti nell’era della globalizzazione o, ancora, il controllo dell’attività degli Esecutivi in ambito comunitario360. Da questa prospettiva, non è mancato chi ha provato a istituire un parallelo tra l’attività del Consiglio europeo, che “dibatte delle conclusioni in merito agli indirizzi di massima delle politiche economiche degli Stati membri e della Comunità (art. 99, co. 2, TCE)”, e la Conferenza. Il Presidente della Camera dei Rappresentanti belga, on. Langendries, nel corso della Conferenza informale del 1998, ha proposto di convocare una riunione dei Presidenti prima di ogni Consiglio europeo, “per mettere in evidenza la dimensione parlamentare dell’Unione” 361.

L’anomalia del meccanismo di rotazione della Presidenza, recentemente modificato, ha creato considerevoli problemi di coordinamento tra questo consesso e le altre sedi di cooperazione interparlamentare sorte nell’Unione: mentre nel caso in esame, sinora, la Presidenza è stata annuale e volontaria, quella dell’Unione muta, come noto, con cadenza semestrale.

360 Secondo l’art. 2 dei Principi direttivi, “La Conferenza è un forum per lo scambio di opinioni, informazioni ed esperienze, così come per la promozione di attività di ricerca e di azioni comuni, tra i Presidenti, su materie correlate al ruolo dei Parlamenti e all’organizzazione delle funzioni parlamentari, avuto riguardo anche per le forme e i metodi della cooperazione interparlamentare. Tra i risultati dell’attività della Conferenza si può annoverare il Memorandum sulla qualità della legislazione nell’Unione europea, adottato su proposta del gruppo di lavoro istituito dalla Conferenza di Lisbona del 1999 e guidato dall’allora Presidente della Camera dei deputati italiana, Luciano Violante.

361 Conférence informelle des Présidents des Parlements de État members de l’UE et du PE, 1 décembre 1998, La situation actuelle de l’Union européenne et le tâches des parlements nationaux qui en découlent concernant la démocratisation et le riforme institutionelles. Rapport de R. LANGENDRIES, p. 11.

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Anno Presidenza della Conferenza degli Speaker

Presidenza dell’Unione europea

2005- primi sei mesi

Ungheria Lussemburgo

2005- secondi sei mesi

Danimarca Regno Unito

2006- primi sei mesi

Danimarca Austria

2006- secondi sei messi

Repubblica Slovacca Finlandia

2007- primi sei mesi

Repubblica Slovacca Germania

2007- secondi sei mesi

Portogallo Portogallo

2008- primi sei mesi

Portogallo Slovenia

2008- secondi sei mesi

Francia Francia

2009- primi sei mesi

Francia Repubblica Ceca

Ad ogni modo, sulla base di quanto deciso nel corso della Conferenza degli Speaker del 2008 in Portogallo, si è stabilito che dal 2010 il consesso si riunirà due volte all’anno, una per semestre, sotto la guida del Parlamento dello Stato che detiene la Presidenza di turno dell’Unione. Infine, durante la medesima Conferenza sono state adottate le nuove Linee guida sulla cooperazione interparlamentare: rispetto alle Guidelines dell’Aia, rileva il riconoscimento della funzione svolta dai meeting delle commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali e di quello europeo, in particolare i Joint Committee Meeting e i Joint Parliamentary Meeting nonché il riferimento al Trattato di Lisbona e al controllo del rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, quale ambito preferenziale di cooperazione. Tale riforma si configura essenzialmente come un aggiornamento delle Linee guida alla luce di quanto previsto dai Trattati comunitari.

147

2.2.4 La posizione degli SpeakerUna delle ragioni per le quali la cooperazione interparlamentare

appare come un interessante oggetto di studio, ma improduttivo di effetti sul piano giuridico, è che essa non conosce procedure decisionali vere e proprie. Le deliberazioni assunte dalle delegazioni parlamentari non sono atte a vincolare la posizione dei Parlamenti di provenienza, da esse rappresentati nei numerosi collegi.

La questione si ripresenta in maniera anche più spinosa quando è inviato in missione all’estero il Presidente di Assemblea. L’art. 1 delle Linee guida della Conferenza, dopo aver specificato che il Presidente del Parlamento europeo e quelli dei Parlamenti nazionali dell’Unione partecipano alle riunioni in condizione di uguaglianza, avverte che l’attività del collegio “rispetta l’autonomia e la posizione costituzionale di ciascuno Speaker”. Il collegio ha funzionato finora per consensus362 - metodo decisionale utilizzato specialmente negli organi di alcune organizzazioni internazionali363 - ad eccezione delle ipotesi in cui si intende convocare una Conferenza straordinaria, per indire la quale è sufficiente la maggioranza dei due terzi del consesso (art. 3, co. 3). In coerenza con quanto affermato, gli unici atti adottati dalla Conferenza sono Memorandum, quindi dichiarazioni di intenti, e le Conclusioni della presidenza, le quali, si precisa all’art. 6, co. 2, rendono note opinioni e orientamenti emersi durante il meeting, ma senza vincolare il consesso nella sua interezza.

Per quanto concerne l’organo “Presidente d’Assemblea” nell’ordinamento parlamentare italiano, sebbene si sia assistito a una sua politicizzazione nel corso delle “legislature maggioritarie”, rimane pur sempre espressione di una “politicità di tipo costituzionale”364. In altri sistemi, invece, Il Presidente o è “un uomo

362 Per un’opinione diversa rispetto al fatto che la Conferenza possa anche deliberare, cfr. Senato della Repubblica, Servizio per gli Affari internazionali, Ufficio Rapporti con le istituzioni dell’UE, XV legislatura, Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE, l’Aia, 2-3 luglio 2004, Dossier n. 40, p. 1

363 Cfr. L. S. ROSSI, Le organizzazioni internazionali come strumenti di governo multilaterale, Milano, 2006; U. DRAETTA-M. FUMAGALLI MERAVIGLIA, Il diritto delle organizzazioni internazionali, parte speciale, II ediz., Milano, 2005, i quali evidenziano come negli organi principali dell’OMC, nel Comitato Esecutivo del FMI e negli organi politici dell’OSCE la maggior parte delle decisioni siano assunte per consensus; B. CONFORTI, Le Nazioni Unite, Padova, 2005, sul Consiglio di Sicurezza (p. 85) e l’Assemblea generale (p. 102); E. B. HAAS, Consensus formation in the Council of Europe, Los Angeles, University of California Press, 1960, sull’impiego di questo metodo decisionale nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa alle sue origini.

364 Cfr. A. MANZELLA, Il parlamento, III ediz., Bologna, 2003, p. 141

148

della maggioranza”365 oppure, come nel Regno Unito, esso assolve ad una funzione super partes, che non gli consente di schierarsi per una parte politica né di prendere una posizione366.

2.3 La Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari e il principio di sussidiarietà

2.3.1 Un excursus storico sulla Conferenza La paternità della COSAC è stata correntemente attribuita a

Laurent Fabius, Presidente dell’Assemblea nazionale francese, il quale nel 1989 prese l’iniziativa per la costituzione di un organo interparlamentare composto dai membri delle commissioni dei Parlamenti nazionali competenti per gli affari comunitari e da una delegazione del Parlamento europeo. Alla prima Conferenza, che si celebrò a Parigi il 17 novembre 1989, parteciparono le delegazioni di 10 Stati membri, su dodici componenti delle Comunità367, le quali dibatterono sul rafforzamento del controllo parlamentare riguardo agli

365 Ivi, p. 140. Il Presidente di Assemblea è uomo della maggioranza nell’ordinamento parlamentare statunitense, dove, ad esempio, la Presidenza del Senato “viene affidata al numero due dell’Esecutivo, cioè al Vicepresidente federale che tra l’altro conserva il diritto di voto” cfr. A. MANZELLA, Il Parlamento, in Manuale di diritto pubblico, a cura di G. Amato-A. Barbera, Vol. II, Bologna, 1997, p. 110.

366 Sul ruolo del Presidente di Assemblea la dottrina è vastissima. Si vedano, ad esempio, A. SCIORTINO, Il Presidente di Assemblea parlamentare, Torino, 2002, p. 10, la quale rispetto al caso francese parla di “modello di presidenza condivisa, a causa della stretta collaborazione con la Conferenza dei Presidenti ed il Bureau; M. IACOMETTI, I Presidenti di Assemblea parlamentare, Milano, 2001, che si sofferma sull’ordinamento parlamentare inglese, francese e italiano; A. TORRE, Il magistrato dell’Assemblea. Saggio sui Presidenti parlamentari, Torino, 2001, il quale cita, tra gli altri, G. F. CIAURRO, voce Presidenti delle Assemblee parlamentari, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, Istituto Treccani, 1991, p. 1, “La configurazione istituzionale del Presidente di assemblea parlamentare costituisce allora un elemento non secondario per definire le caratteristiche e le tendenze evolutive di un determinato sistema politico-costituzionale”; E. CUCCODORO, La Presidenza d’assemblea politica, Firenze, 1998, sul caso italiano; infine, sull’ordinamento francese, cfr. A. MARTIN, Les Présidents des Assemblées parlementaires sous la V Republique, Parigi, 1996.

367 L’assenza delle due delegazioni, spagnola e greca, era da imputare alle recenti elezioni parlamentari in quei due Paesi. Si segnala, inoltre, che alcuni Parlamenti, come la Camera dei deputati del Lussemburgo, il Senato belga e la Camera dei deputati italiana, non avendo ancora costituito al loro interno una commissione specializzata per gli affari comunitari, all’epoca, furono rappresentate, la prima, dal Presidente della Camera e le seconde due da membri per le commissioni affari esteri. Successivamente, nel 1990, la Camera dei deputati italiana ha istituito una commissione speciale per le politiche comunitarie, poi trasformata, nel 1996, in commissione permanente (il Senato, invece, nel 2003 ha trasformato la giunta per gli affari delle Comunità europee, formata per la prima volta nel 1968, in XIV commissione permanente).

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affari europei. Già prima di questa occasione, tuttavia, ebbero modo di manifestarsi divergenze di opinioni sul ruolo che il nuovo consesso avrebbe dovuto ricoprire.

Il Presidente del Senato francese, Alain Poher, in un’intervista del 15 novembre 1989 a Le Figaro368, aveva sottolineato la necessità che i Parlamenti nazionali si esprimessero con un’unica voce davanti alle istituzioni comunitarie e che, a tal fine, al Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri avrebbe dovuto essere affiancata una “terza Camera”, un Senato europeo, in cui essi sarebbero stati rappresentati. La proposta fu duramente osteggiata sia dalla delegazione del Parlamento europeo che da alcuni Parlamenti nazionali, tra i quali quello italiano.

Come emerso nel corso della lunga trattativa che ha preceduto l’adozione del primo regolamento della COSAC369, avvenuta solo nel 1991 all’Aia, il Parlamento europeo pretendeva alcune assicurazioni sul funzionamento del nuovo organo tali da scongiurare una marginalizzazione dell’istituzione comunitaria in seno ad esso. L’esperienza della Conferenza dei Parlamenti della Comunità, organizzata a Roma l’anno precedente, aveva rappresentato un punto di svolta per la cooperazione interparlamentare. Essa, infatti, avrebbe dovuto costituire la prima materializzazione dell’idea francese di una nuova istituzione parlamentare nelle Comunità, mentre al contrario diventò, almeno per un periodo, la testimonianza del suo fallimento. Timoroso di essere soppiantato dalla Conferenza dei Parlamenti, il Parlamento europeo ne “sabotò” i lavori, monopolizzandone l’organizzazione e contravvenendo, addirittura, alla decisione presa dalla Conferenza degli Speaker sull’agenda del meeting.

Accantonata temporaneamente l’idea delle Assisi (o delle Conferenze dei Parlamenti), i Parlamenti nazionali si mostrarono decisi nel rafforzare il ruolo della COSAC e nel sottrarla all’egemonia del Parlamento europeo. In seno alla COSAC, infatti, esso sarebbe stato collocato su di un piano di parità rispetto alle Assemblee nazionali e ogni delegazione (anche per i Parlamenti bicamerali) non

368 Cfr. M. LATEK, L’Impact de l’integration européenne sur l’évolution du parlementarisme en Europe: le cas de la coopération interparlementaire, Dissertation présentée sous la direction du M. Telò, Bruxelles, ULB, Année académique 2002-2003, pp. 237-238.

369 Sull’evoluzione della COSAC dalle origini al 1996, cfr. G. NERI, Il ruolo dei Parlamenti nazionali nel processo normativo dell’Unione europea, 1998, in Il Parlamento della Repubblica: organi, procedure, apparati, Roma, Camera dei Deputati, 1998, p. 145 s.

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avrebbe potuto essere costituita da più di sei componenti (art. 4, comma 1, reg.)370.

Non potendo contare sulla superiorità numerica né sulla possibilità di ospitarne i meeting - che è riservata al Parlamento dello Stato membro che detiene la presidenza di turno delle Comunità (artt. 3 e 8 reg.) -, il Parlamento europeo ha reclamato il diritto a sedere stabilmente nell’organo più influente della COSAC: la Troika presidenziale, che mette a punto un programma di lavoro valido nell'arco di 18 mesi. Essa è composta “dalla presidenza, dalla presidenza precedente, da quella successiva e da quella del Parlamento europeo (art. 2, comma 5)”371: il Presidente della commissione per gli affari europei del Parlamento ospite, su proposta delle altre delegazioni e tenendo conto dei programmi di lavoro delle istituzioni comunitarie, definisce l’ordine del giorno delle riunioni ordinarie, che è comunque sottoposto all’approvazione della Conferenza (art. 7).

In aggiunta a ciò, il Parlamento europeo ha ottenuto, inizialmente, che ogni decisione fosse presa per consensus e che il regolamento potesse essere modificato solo all’unanimità, acquisendo così un diritto di veto permanente372. I limiti di questo metodo di assunzione delle decisioni si resero evidenti ben presto quando i Parlamenti, non soddisfatti dai risultati della Conferenza intergovernativa del 1991373, tentarono di accordarsi in seno alla COSAC su un comunicato rivolto ai Governi per richiedere la convocazione di una nuova CIG. Non si riuscì ad approvare il documento e si dovette attendere la Conferenza di Helsinki, del 10 -12 ottobre 1999, perché si ammorbidisse questa rigidità procedurale e si introducesse l’istituto dell’astensione costruttiva, consentendo l’adozione dei contributi e delle decisioni anche con l’astensione di alcune delegazioni.

370 Questa regola sulla formazione delle delegazioni è rimasta inalterata sino ad oggi, anche se vi sono stati dei tentativi di “aggirarla”, non solo da parte dei Parlamenti degli Stati membri di nuova adesione. Per non creare un precedente, i parlamentari in esubero sono stati inseriti nello staff della delegazione, potendo così partecipare alla COSAC, ma senza diritto di voto. Probabilmente tale volontà di espandere le dimensioni delle delegazioni trova un suo fondamento nell’esigenza di garantire una rappresentanza paritetica della maggioranza e dell’opposizione presso la COSAC per i Parlamenti bicamerali.

371 Di essa fanno parte due membri per delegazione.372 Cfr. European Parliament, Directorate-General for Committees and

Delegations, European Parliament and the Parliaments of the Member States: parliamentary scrutiny and arrangements for cooperation, luglio 1994, p. 107: su 15 delegazioni ben 7 sarebbero state favorevoli a che le conclusioni di ogni Conferenza fossero approvate a maggioranza semplice delle delegazioni presenti.

373 La quale aveva menzionato i Parlamenti nazionali solo in due Dichiarazioni (n. 13 e n. 14, annesse al Trattato di Maastricht).

151

Nel corso della XXVIII COSAC straordinaria di Bruxelles (26-27 gennaio 2003) fu assunta la decisione - poi ratificata dalla XXIX COSAC del 5-6 maggio 2003 ad Atene - di stabilire nuove modalità di votazione: l’art. 10, c. 5, del regolamento (C 270/01 del 4/11/2001)374, come modificato, prevede che, qualora non vi sia un consenso unanime, i contributi siano adottati con la maggioranza qualificata di almeno tre quarti dei voti espressi che, al contempo, costituiscano la metà di tutti i voti375.

Oltre ad essere l’unica sede di cooperazione interparlamentare dell’Unione europea in cui, dal 2003, si può prescindere dalla regola del consensus, la COSAC detiene un altro primato, quello relativo al suo riconoscimento nei Trattati comunitari, a partire dal Trattato di Amsterdam. Nel Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali, annesso al Trattato di Lisbona del 2007, si assegna alla competenza della COSAC la promozione dello scambio di informazioni e buone prassi tra i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo, e tra le loro commissioni specializzate; l’organizzazione di conferenze interparlamentari su temi specifici, in particolare su argomenti che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune, compresa la politica di difesa - settori ancora non comunitarizzati (art. 10)376. Si ribadisce, infine, che i suoi contributi non vincolano in alcun modo i Parlamenti nazionali e non pregiudicano la loro posizione.

374 A partire da questa revisione del regolamento della COSAC tutti i suoi contributi sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee. La pubblicazione di tali documenti sulla “fonte di cognizione dell’Unione”, ancorché essi siano privi di valore giuridico, manifesta la volontà di renderli conoscibili nell’ordinamento comunitario in ragione della funzione di “vigilanza” sull’attività delle istituzioni UE che la COSAC assolve. Il fatto che la Conferenza, così come le istituzioni e gli organi dell’Unione, pubblichi i suoi contributi in GUCE sembrerebbe avallare l’ipotesi sempre più consistente di una sua riconduzione all’interno dell’ordinamento comunitario. Inoltre, una parte della dottrina (segnatamente, A. PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto, Bologna, Zanichelli, 1977) facendo discendere la natura degli atti-fonte (del diritto) dalla loro efficacia erga omnes, ha identificato nell’obbligatoria pubblicazione di questi sulle fonti di cognizione l’elemento dirimente ai fini del loro riconoscimento. Così interpretata, la pubblicazione dei contributi sembrerebbe porsi in contraddizione con l’art. 1, comma 3, del regolamento COSAC, laddove implicitamente esclude che essi siano considerati fonti del diritto, ovvero quegli atti o fatti in grado di produrre norme giuridiche. Se, al contrario, si intendesse fare riferimento ai caratteri di novità, astrattezza e generalità per accertare l’esistenza di un atto-fonte, allora i contributi della COSAC dovrebbero essere irrimediabilmente lasciati fuori da tale categoria.

375 Ogni delegazione dispone di due voti. Il Parlamento europeo, di regola, si astiene nelle votazioni riguardanti i contributi che lo includono tra i destinatari.

376 La formulazione dell’articolo è rimasta identica a quella del Protocollo allegato al Trattato costituzionale (C310/206 del 16/12/2004).

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Quest’ultima disposizione, da un lato, garantisce il rispetto del principio democratico, impedendo che una delegazione di sei parlamentari (o anche meno) impegni con le sue determinazioni un’intera Assemblea; dall’altro, però, pone degli interrogativi circa l’efficacia dell’attività di diplomazia parlamentare nell’UE. I parlamentari nazionali partecipano alla COSAC come rappresentanti, delegati o siedono a titolo personale?377 L’on. Hood, all’atto dell’adozione della dichiarazione di condanna da parte della COSAC sui brogli elettorali riscontrati al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2004 in Ucraina, notava che non poteva agire per conto della Camera dei Comuni, dato che questa non gli aveva conferito un mandato al riguardo, e riteneva che neppure la COSAC fosse nella posizione di esprimere una condanna378. È questa del ruolo svolto dai delegati una delle questioni più dibattute rispetto alla natura e alle funzioni della cooperazione interparlamentare.

2.3.2 L’applicazione del principio di sussidiarietàLa procedura per il controllo del rispetto del principio di

sussidiarietà è disciplinata in parte nel Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali e in parte in quello che si riferisce direttamente alla applicazione del citato principio, fra loro strettamente connessi379. Il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione europea,

377 P. KIIVER, National Parliaments in the European Union: a critical view on EU Constitutional-building, The Hague, 2006, p. 30 s.

378 Idem. Un caso analogo si è riscontrato nel corso della XIX COSAC di Vienna (23-24 novembre 1998) quando i partecipanti alla Conferenza hanno adottato una dichiarazione nella quale esprimevano piena solidarietà all’Italia, rendendole merito per il suo rifiuto alla richiesta della Turchia di estradare il leader curdo, Ocalan. Allo stesso modo, con la differenza che la questione in rilievo era puramente comunitaria, durante la XX COSAC di Berlino (30 maggio-1 giugno 1999), da parte di tutte le delegazioni è stato rivolto un appello ai votanti nelle successive elezioni per il Parlamento europeo, che si sarebbero tenute tra il 10 e il 13 giugno 1999, spronandoli all’esercizio di un fondamentale diritto politico in quanto cittadini comunitari. In queste occasioni, si può ritenere che i delegati dei Parlamenti presso la COSAC abbiano svolto una funzione di rappresentanza dei diritti di cittadini comunitari e extra-comunitari e di garanzia del rispetto dei principi democratici dell’Unione anche al di fuori dei suoi confini. Non a caso l’art. 12 TUE, introdotto dal Trattato di Lisbona del 2007 e concernente il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione, è collocato proprio nel Titolo II, rubricato “Disposizioni relative ai principi democratici”.

379 L’art. 5 TCE, attualmente vigente, definisce il contenuto del principio di sussidiarietà, stabilendo che “nei settori che non sono di sua competenza esclusiva la Comunità interviene, (…), soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque a motivo delle dimensioni o degli effetti in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario”.

153

annesso al Trattato di Amsterdam del 1997 e attualmente in vigore, ha previsto che la Commissione europea trasmetta in tempo utile ai Governi degli Stati membri le sue proposte legislative e ha stabilito che intercorra un periodo di sei settimane tra la data in cui l’istituzione “guardiana dei Trattati” mette a disposizione dei legislatori comunitari (Consiglio e Parlamento europeo) la proposta rientrante nel I o nel III pilastro e la data in cui questa è iscritta all’ordine del giorno del Consiglio ai fini di una decisione. Così facendo, si è garantito ai Parlamenti nazionali di poter intervenire, sia pure a titolo consultivo, nella “fase ascendente” di formazione del diritto comunitario, giacché si dispone di un lasso temporale sufficiente per esaminare le proposte e fornire ai rispettivi Esecutivi indirizzi da seguire in sede di Consiglio380. Il carattere vincolante o facoltativo delle indicazioni, invero, differisce notevolmente tra gli ordinamenti parlamentari degli Stati membri.

Il Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali381, annesso al Trattato costituzionale, attribuiva alle Assemblee degli Stati membri l’opportunità di inviare al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione un parere motivato in merito al rispetto del solo principio di sussidiarietà da parte di un progetto di atto legislativo europeo (art.3)382. Nonostante lo stallo nel processo di ratifica del Trattato costituzionale, la Commissione europea, da settembre 2006, forte del sostegno ottenuto dal Consiglio europeo del 15-16 giugno dello stesso anno e in reazione ai preoccupanti segnali di insofferenza mostrati dai cittadini dell’Unione attraverso i referendum francese e olandese sul Trattato costituzionale383, ha iniziato a trasmettere le sue

380 L’art. 11 del citato Protocollo stabilisce, infatti, che l’esame generale delle proposte della Commissione sia svolto da parte del Consiglio e del Parlamento anche avuto riguardo alla conformità con il principio di sussidiarietà.

381 Cfr. M. V. AGOSTINI, I Parlamenti nel futuro dell’Europa: protagonisti nazionali o comprimari europei?, in Nuovi studi politici, 2002, la quale a p. 97 sottolinea la proposta, avanzata sia in sede COSAC che di Convenzione europea, ma sempre respinta, di coinvolgere i Parlamenti nazionali direttamente nell’attività del Consiglio, nel senso di modificare “la formula relativa alla composizione del Consiglio dei ministri e lasciare ciascun Paese libero di inviare delegazioni parlamentari, delegazioni miste o delegazioni governative.

382 Per “progetto di atto legislativo europeo” si intende la proposta della Commissione, l’iniziativa del Parlamento europeo, la richiesta della Corte di giustizia, la raccomandazione della Banca centrale europea e la richiesta della Banca europea degli investimenti, intese all’adozione di un atto legislativo europeo (art. 2 del Protocollo).

383 Probabilmente, infatti, l’iniziativa della Commissione europea rappresenta la presa d’atto dell’Istituzione circa l’opportunità di avviare un dialogo con le Assemblee degli Stati membri che sono in grado, al contrario del Parlamento europeo (almeno per ora) di condizionare gli umori dei cittadini sugli affari comunitari e sulla

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proposte direttamente ai Parlamenti così come fa con il Parlamento europeo e con il Consiglio, senza attendere l’intermediazione dei Governi (art. 1 del citato Protocollo).

Venendo, quindi, al Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità annesso al Trattato costituzionale, l’art. 7 di questo, che disciplina la procedura di “allerta precoce” (early warning), costituisce il vero baluardo per la partecipazione dei Parlamenti nazionali alla c.d. “fase ascendente”. Questi ultimi sono stati collocati su di un piano di parità, disponendo ciascuno di due voti (per i sistemi parlamentari bicamerali, ogni Camera dispone di un voto) in merito alla formulazione del parere motivato da trasmettere alle istituzioni proponenti il progetto. Qualora un numero di Parlamenti nazionali tale da rappresentare un terzo dei voti complessivamente loro attribuiti rilevasse il mancato rispetto del principio di sussidiarietà, il progetto dovrebbe essere riesaminato384. Sarebbe sufficiente, invece, solo una quarto dei voti per i progetti di atti legislativi europei presentati per la disciplina dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (ex III pilastro). In queste materie il ruolo della COSAC e dei Parlamenti nazionali è stato valorizzato negli ultimi anni, contenendo il deficit democratico. La Commissione, il gruppo di Stati membri, il Parlamento europeo, la Corte di giustizia, la BCE o la BEI, a seconda del soggetto proponente, possono decidere, motivando, di mantenere il progetto, di ritirarlo o di modificarlo.

A tal riguardo, sebbene l’impasse nel processo di ratifica e l’assenza di disposizioni che la chiamino in causa, la COSAC di sua iniziativa ha stimolato l’anticipata applicazione delle disposizioni concernenti il “meccanismo di allerta precoce”385, convinta del fatto che solo un coordinamento delle posizioni assunte dalle varie Camere, possa accrescere la loro incidenza nel processo decisionale comunitario386.

convenienza del processo di integrazione europea.384 Con 25 Stati membri e un totale di 50 voti tra tutte le Camere, sarebbero stati

necessari 16 voti (esattamente 16,2) per determinare un riesame della proposta. Tale cifra è considerata come estremamente difficile da raggiungere dai rappresentanti dei Parlamenti nazionali presso l’Unione europea, data la distanza di vedute non solo tra Parlamenti ma anche tra le Camere del medesimo Parlamento.

385 Meccanismo che, curiosamente, porta lo stesso nome di quello utilizzato per segnalare ad uno Stato membro il mancato rispetto di uno dei parametri del Patto di stabilità e crescita.

386 Sull’anticipata applicazione di disposizioni di un Trattato internazionale in generale e, in particolare, di quelle del Trattato costituzionale concernenti i Parlamenti nazionali, cfr. G. TOSATO-E. GRECO, Riflessioni in tema di ratifica del Trattato costituzionale per l’Europa, Documento presentato nell’ambito del seminario “Riflessioni in tema di ratifica e anticipazione del Trattato Costituzionale per

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2.3.3 Uno sguardo al futuro: la COSAC e il Trattato di Lisbona Il Trattato di riforma, firmato il 13 dicembre 2007 e in attesa di

ratifica, rafforza ulteriormente le prerogative dei Parlamenti nazionali nel decision making dell’Unione, giungendo perfino ad inibire, col coinvolgimento di altri attori istituzionali, l’adozione del progetto su cui siano state espresse le riserve387. Per la prima volta si riconosce direttamente nei Trattati, attraverso l’art. 12 TUE, “il contributo dei Parlamenti nazionali al buon funzionamento dell’Unione”388 e si attribuiscono loro specifiche prerogative: sono informati delle domande di adesione all’Unione presentate (art. 49 TUE) e partecipano ai meccanismi di valutazione delle politiche nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. In particolare, sono associati al controllo politico di Europol e alla valutazione delle attività di Eurojust (art. 12, lett. c), TUE). Inoltre, con riferimento alle misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transazionali, per le quali l’art. 81 TFUE disciplina una procedura legislativa speciale, ciascun Parlamento nazionale gode di un potere di veto. Per inibire l’adozione di una decisione in materia è sufficiente che un Parlamento, entro sei mesi dalla data in cui è stato informato della proposta, comunichi la sua opposizione. Invero, anche rispetto all’applicazione della clausola di flessibilità i Parlamenti ottengono un riconoscimento (art. 352 TFUE). Il Consiglio delibera all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo; la Commissione, però, è tenuta a richiamare l’attenzione dei Parlamenti nei confronti del ricorso a tale clausola nell’ambito della procedura di controllo del principio di sussidiarietà. Infine, secondo l’art. 8 del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e

l’Europa, Roma, Palazzo Rondinini, 15 novembre 2004.387 Per una disamina delle novità apportate dal Trattato di Lisbona al ruolo dei

Parlamenti nazionali nell’UE, cfr. Camera dei deputati, Segreteria generale-Ufficio rapporti con l’UE, XV legislatura, Conferenza intergovernativa 2007, Bollettino n.7, 9 novembre 2007 e Sénat français, Rapport di’information fait au nom de la délégation pour l’UE par M. H. HAENEL, n. 76, 8 novembre 2007 (annexe au procés-verbal de la séance); Sénat français, Rapport d’information fait au nom de la délégation pour l’Union européenne sur les Parlements nationaux et l’Union européenne après le trite de Lisbonne, par M. H. Hanel, n. 393, Parigi, 12 giugno 2008, spec. pp. 7-17 e la risoluzione con cui si è approvato il “rapporto Brok” on the development of the relations between the European Parliament and national parliaments under the Lisbon Treaty, 2008/2120(INI).

388 Sulla stesura dell’art. 12 TUE e la scelta dell’espressioni usate nelle differenti versioni linguistiche, cfr. House of Lords, European Union Committee, The Treaty of Lisbon: an impact assessment, 10th Report of Session 2007-2008, Volume I, 13 march 2008, appendix 4, p. 293.

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di proporzionalità ciascuna Camera potrà richiedere al Governo di ricorrere alla Corte di giustizia per ottenere l’annullamento di un atto che si ritiene adottato in violazione del principio di sussidiarietà.

Per quanto concerne la procedura di early warning, così come disciplinata dal Trattato di Lisbona, il periodo da dedicare allo scrutiny parlamentare è ampliato a otto settimane e, fermo restando quanto già previsto dall’art. 7 del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità annesso al Trattato costituzionale389, è aggiunto il paragrafo 3 che innova in maniera significativa la procedura di co-decisione390. I progetti di atti sottoposti alla procedura ordinaria, quella di co-decisione, sono riesaminati, qualora i pareri motivati su di essi circa il mancato rispetto del principio di sussidiarietà rappresentino almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali (28 su 54 voti). Al termine di questo nuovo esame, la Commissione europea può decidere di mantenere la proposta, di modificarla o di ritirarla. Qualora scelga di mantenerla, l’istituzione deve spiegare, in un parere motivato, perché ha ritenuto la proposta conforme al suddetto principio. Tale parere e quelli dei Parlamenti nazionali sono sottoposti al legislatore dell’Unione affinché ne tenga conto nella procedura, prima della conclusione della prima lettura. Se la maggioranza del 55% dei membri del Consiglio o il Parlamento europeo a maggioranza dei voti espressi (quindi con lo stesso quorum richiesto alle due istituzioni per l’approvazione di un atto secondo la procedura legislativa ordinaria) ritiene la proposta non compatibile con il principio di sussidiarietà, essa non forma oggetto di ulteriore esame391.

389 Cfr. P. KIIVER, Implementing the Early warning Mechanism for subsidiarity: national parliaments beyond the Constitutional Treaty, Conference papers, “Fifty years of interparliamentary cooperation”, Berlin, 13 June 2007 http://www.swp-berlin.org/de/common/get_document.php?asset_id=4123

390 Nel corso dei lavori del Gruppo I della Convenzione europea - riunione del 22 luglio 2002 (CONV 219/02) - era stata avanzata una proposta che, seppur con notevoli differenze, era volta a modificare l’iter della procedura di co-decisione in modo da consentire, a specifiche condizioni, l’associazione dei Parlamenti nazionali al procedimento. In particolare, questi avrebbero potuto partecipare al Comitato di conciliazione (art. 251 TCE) per dare il loro parere sull’atto in questione, una volta presentata la posizione comune del Consiglio e gli emendamenti del Parlamento ad essa. Le obiezioni, poi prevalse, avevano ad oggetto sia il limitato numero dei casi in cui il Comitato di conciliazione si riuniva (25%), sia le scarse probabilità che nella fase conclusiva del procedimento le obiezioni dei Parlamenti sul rispetto del principio di sussidiarietà sarebbero state prese in considerazione.

391Cfr. S. ROTHENBERGHER-O. VOGHT, The Orange card: a fitting response to national Parliaments’Marginalisation in EU decision-making?, Conference paper, Berlin, 13 June 2007, Fifty years of interparliamentary cooperation, http://www.swp-berlin.org/de/common/get_document.php?asset_id=4215. Secondo M. CARTABIA, cit.,

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Il meccanismo è stato definito dalla letteratura straniera “Orange card mechanism”, dato il carattere più stringente degli effetti che è suscettibile di produrre sulle procedure comunitarie e per differenziarlo dallo “Yellow card mechanism”, già previsto dal Trattato costituzionale e mantenuto dall’art. 7, comma 2, del citato Protocollo annesso al Trattato di Lisbona392. Secondo il meccanismo del c.d. “cartellino giallo”, “qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di un progetto di atto legislativo rappresentino almeno un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali, il progetto deve essere riesaminato”393.

Nelle more dell’entrata in vigore dei Trattati394, però, si pongono degli interrogativi in merito all’applicazione della nuova procedura. A

p. 145, “probabilmente gli unici casi in cui la procedura di allarme preventivo può davvero condurre all’espressione di un punto di vista diverso da quello mantenuto dai Governi nel Consiglio dei ministri è quello in cui la seconda Camera è realmente espressione di una rappresentanza diversa rispetto a quella della maggioranza che sostiene il Governo, come ad esempio, nel caso del Bundesrat e negli altri casi dove esiste un «Senato delle Regioni»”.

392 Cfr. C. SAMPOL, Half a victory for national parliaments, in Europolitics, n. 3407, 7 novembre 2007, che si sofferma anche sulla posizione olandese - rimasta isolata - favorevole alla red card, ossia al conferimento ai Parlamenti nazionali del potere di veto sul processo decisionale comunitario.

393 Sulla nuova procedura prevista per il controllo del rispetto del principio di sussidiarietà si vedano COSAC Secretariat, X Biannual Report on EU Procedures and Practices, November 2008, http://www.cosac.eu/en/documents/biannual/; G. BARRETT, “The king is dead, long live the king”: the recasting by the Treaty of Lisbon of the provisions of the Constitutional Treaty concerning national parliaments, in European Law Review, February 2008, p. 66 s.; L. GIANNITI-N. LUPO, Corso di diritto parlamentare, Bologna, 2008, p. 235 s.; L. GIANNITI-R. MASTROIANNI, Il ruolo dei Parlamenti nazionali, in Le nuove Istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, a cura di F. Bassanini-G. Tiberi, Quaderni di Astrid, Bologna, 2008, p. 161 s.; P. KIIVER, The Treaty of Lisbon, the National Parliaments and the principle of subsidiarity, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2008, p.77 s.; A. MANZELLA, Il ruolo dei Parlamenti nazionali nella vita dell’Unione, in L’Unione europea nel XXI secolo. “Nel dubbio, per l’Europa”, a cura di S. Micossi-G. L. Tosato, Bologna, 2008, p. 333 s.; A. MAURER, The Lisbon Treaty: new option for and recent trends of interparliamentary cooperation, Paper, ECPRD, Annual Conference of Correspondents, Bruxelles, Parlamento europeo, 9-11 ottobre 2008; C. MORVIDUCCI, Il ruolo dei parlamenti nazionali, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2008, p. 83 s. e C. TUCCIARELLI, Parlamento italiano, forma di Governo e Unione europea al termine della XV legislatura, in Quaderni costituzionali, 2008, p. 627 s.; A. VUOLO, Il Parlamento nella fase ascendente della formazione del diritto comunitario, in Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo, a cura di R. Dickmann-S. Staiano, Milano, 2008, p. 529 s.

394 Sulla riforma dei Trattati cfr. M. PALLARES, Les changements par rapport au Traité Constitutionnel, in Notre Europe web site http://www.notre-europe.eu/uploads/tx_publication/M_Pallares_-_Traite_Reformateur.pdf, novembre 2007.

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titolo di esempio, alcuni Parlamenti nazionali, quale quello tedesco, lamentano una contraddizione nel fatto che il controllo delle Camere degli Stati membri si risolva in un “giudizio” sulle modalità di esercizio delle competenze concorrenti da parte dell’Unione e non possa estendersi invece ad una valutazione preliminare circa l’esistenza di una competenza ad agire da parte dell’Unione e, pertanto, sulla natura della competenza (se esclusiva, concorrente o di sostegno). E’ stato obiettato, poi, che il controllo di sussidiarietà è rivolto al target sbagliato, dato che gli “attentati” al rispetto del principio sono compiuti più frequentemente nella fase di implementazione della normativa, sia ad opera delle procedure di “comitologia” che dell’esercizio dei poteri esecutivi da parte della Commissione395. Infine, sarà necessario specificare quando il quorum stabilito dal Protocollo si considererà raggiunto: “non è chiaro se il riesame debba scattare allorché ci sia una contestazione relativa al principio di sussidiarietà su punti diversi del progetto di atto legislativo della Commissione europea” o se le obiezioni debbano essere sollevate sullo stesso punto396.

Durante la XXXVIII COSAC di Lisbona, del 14-16 ottobre 2007397, è maturata la decisione di procedere ad un primo controllo coordinato della sussidiarietà per testare l’applicazione della nuova procedura stabilita dal Trattato di Lisbona398. Anche in questo caso, si è trattato dell’anticipata applicazione di disposizioni di un Trattato. I delegati dei Parlamenti nazionali si sono trovati concordi nel ritenere che questa procedura di controllo non deve essere considerata come un meccanismo volto ad arrestare l’iter legislativo nell’Unione, ma che, al contrario, debba essere usata secondo una logica cooperativa

395 Ibidem, nel quale si precisa che ogni anno a fronte di 60-70 progetti di atti legislativi presentati si contano circa due - tre mila decisioni di “comitologia”. Anche per la mole di queste ultime oltre che per l’atteggiamento alquanto indifferente dei Parlamenti, sarebbe pressoché impossibile coinvolgerli nel loro scrutinio. Sul tema della “comitologia” si vedano M. SAVINO, I Comitati dell’Unione europea, Milano, 2005, p. 103 s. e A. ESPOSITO, La delega di poteri dal Consiglio alla Commissione, Roma, 2004, spec. 81 s.

396 Cfr. il sito internet del Senato italiano all’indirizzo http://www.senato.it/notizie/136525/141920/genpagina.htm.

397 In realtà, la decisione era stata già presa il 12 luglio 2007 dai Presidenti delle delegazioni presso la COSAC, nel corso del loro meeting a Lisbona.

398 Invero, dal 2005 la COSAC ha promosso lo svolgimento, in via sperimentale di test sulla sussidiarietà aventi come parametro, inizialmente il Trattato costituzionale e, successivamente, dopo l’abbandono di quest’ultimo, il Trattato di Amsterdam. Sul punto si veda D. A. CAPUANO-C. FASONE, La Conferenza degli organismi europei specializzati negli affari comunitari (COSAC): evoluzioni e prospettive, in Quaderni europei e internazionali, Senato della Repubblica, Servizio Affari Internazionali, in corso di pubblicazione.

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con le istituzioni comunitarie, in ossequio al principio di leale collaborazione399. Nei tre test svolti sinora in attuazione del Trattato di Lisbona il tasso di partecipazione dei Parlamenti è stato decisamente contenuto e in ogni caso il numero di pareri che hanno rilevato una violazione del principio di sussidiarietà è rimasto ben lontano dal raggiungimento del quorum previsto400. Si prevede che, come accaduto a partire dal 2006, la COSAC continuerà a promuovere in media due “progetti pilota” all’anno.

2.3.4 Un bilancio sull’attività della COSACLa COSAC non è diventata una sede decisionale nell’Unione,

come si augurava la Francia401, ma in venti anni di attività ha svolto una funzione essenziale: quella di far dialogare i Parlamenti tra loro sulla gestione degli affari comunitari da parte dei rispettivi Governi, sul futuro dell’Europa, sul deficit democratico, favorendo la conoscenza reciproca e la creazione di una rete di “solidarietà parlamentare”.

Ad esempio, la Conferenza ha accolto l’invito del gruppo di lavoro IV sui Parlamenti nazionali all’interno della Convenzione europea e ha adottato nel corso della riunione straordinaria del 27 gennaio 2003 gli “Orientamenti parlamentari di Copenaghen” (2003/C 154/01)402, con i quali sono stati forniti degli standard minimi indicativi per i rapporti tra Esecutivi e Parlamenti sugli affari europei, in particolare sulla tempestiva trasmissione a questi ultimi dei documenti delle istituzioni comunitarie403. Così facendo, la COSAC ha incoraggiato il

399 Cfr. Minutes of the COSAC Chairpersons Meeting, Lubiana, 18 febbraio 2008, p. 2.

400 Le tre proposte esaminate sono state, rispettivamente: la decisione quadro del Consiglio sulla lotta al terrorismo (COM(2007) 650 final) presentata dalla Commissione il 6 novembre 2008, la proposta di direttiva del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento in base alla religione o alle credenze, alla condizione di disabilità, all’età e all’orientamento sessuale (COM(2008)426 final) e, infine, la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle norme di qualità e di sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti (COM (2008) 819 def.) approvata dalla Commissione europea l’8 dicembre 2008..

401 Secondo M. CARTABIA, ultima op. cit., p. 118, gli ostacoli di ordine interno “all’irrobustimento delle funzioni parlamentari nei confronti del Governo” possono spiegare perché il Parlamento francese sia da sempre “il principale promotore di forme di cooperazione diretta tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo” che gli consentano di svolgere un ruolo autonomo sulla scena europea, svincolato da quello del Governo nazionale.

402 Dal nome della riunione - 16 e 17 ottobre 2002 - in cui il documento è stato definito.

403 Cfr. http://www.cosac.eu/en/documents/basic/rules/italian/.

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rafforzamento delle commissioni parlamentari e delle procedure di controllo sull’attività normativa dell’Unione e sui Governi nazionali, come testimoniato anche dal suo ruolo di forum di dibattito sui risultati dello scrutiny parlamentare rispetto all’attività normativa comunitaria nella c.d. “fase ascendente”.2.4 Cenni sulla cooperazione tra amministrazioni parlamentari

La cooperazione tra amministrazioni parlamentari dell’Unione europea ha svolto un ruolo di impulso ai fini dello sviluppo della “cooperazione politica” tra Parlamenti. Ne costituiscono un esempio il CERDP, European Centre for Parliamentary Research & Documentation, co-gestito dal Consiglio d’Europa e dal Parlamento europeo, e l’IPEX, l’Interparliamentary EU Information Exchange, nato sulla scorta di una raccomandazione adottata dalla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione, nel 2000 a Roma, anche se il sito web è stato lanciato ufficialmente solo nel 2006404. L’IPEX è una piattaforma multimediale che associa i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo in una rete di scambio delle informazioni sull’attività delle istituzioni comunitarie405.

Ogni Parlamento nazionale dispone di una sezione nell’architettura del sito per ciascun dossier, e in questa inserisce, tramite il proprio funzionario corrispondente per l’IPEX, tutte le informazioni rilevanti sullo stato di avanzamento della procedura di scrutiny del progetto legislativo comunitario, gli atti inerenti ad esso, nonché le osservazioni circa il rispetto della sussidiarietà. I dossier raccolgono i documenti forniti dalle istituzioni europee rispetto ad un determinato procedimento, configurando una banca dati accessibile da internet a chiunque abbia interesse a consultarla. Si possono creare, inoltre, forum di dibattito tra le amministrazioni dei Parlamenti e sull’homepage del sito è disponibile un calendario degli enti riguardanti la cooperazione interparlamentare nell‘Unione.

La cooperazione tra le amministrazioni parlamentari, poi, è “ravvivata” quotidianamente dall’attività dei rappresentanti permanenti dei Parlamenti nazionali presso l’Unione e, in particolare presso la sede di Bruxelles del Parlamento europeo, che mette a loro

404 Cfr. Il sito web della Conferenza degli Speaker dell’Unione all’indirizzo http://www.eu-speakers.org/en/conferences/copenhagen/conclusions/ The Presidency conclusions of the Conference of EU Speakers, Copenaghen 2006.

405 Cfr. Il sito internet dell’IPEX: www.ipex.eu. L’atteggiamento attuale della Commissione europea verso l’IPEX è esemplificativo dell’avvio di un cambiamento nell’atteggiamento di questa nei confronti dei Parlamenti nazionali, inizialmente restia a garantire ai Parlamenti degli Stati membri l’accesso ai circuiti informativi dell’Unione e ora molto più collaborativi e favorevole al sorgere di iniziative di questo tipo.

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disposizione gli uffici. Grazie a questi funzionari le rispettive Camere di appartenenza godono di osservatori privilegiati sugli affari comunitari e in misura variabile, secondo l’interpretazione del proprio ruolo da parte del/dei rappresentante/i, essi possono assicurare un avamposto diplomatico presso le istituzioni, in collaborazione con la rappresentanza permanente presso il Consiglio dei ministri.

I rappresentanti dei Parlamenti seguono l’attività delle commissioni del Parlamento europeo e i meeting interparlamentari che hanno luogo a Bruxelles, fornendo un feedback delle iniziative al Parlamento di provenienza. Predispongono tutto quanto è necessario per le missioni delle delegazioni di parlamentari nazionali presso il Parlamento europeo e, senza dubbio, la loro presenza ha incrementato gli incontri di questi tipo. Coordinano costantemente l’attività tra loro, in maniera informale o nel meeting che ha luogo ogni lunedì mattina e che diventa l’occasione per conoscere le iniziative promosse dal Parlamento dello Stato membro che esercita la Presidenza di turno dell’Unione. Lavorano a stretto contatto con il Segretariato della COSAC, data la contiguità degli uffici, i quali, come si è anticipato, sono collocati nel Parlamento europeo, all’interno della Direzione generale politiche interne - Ufficio per le relazioni con i Parlamenti nazionali.

La cooperazione con l’amministrazione del Parlamento europeo si sta rivelando preziosa dato il suo sostegno alla formazione dei funzionari nazionali. A titolo di esempio, il Parlamento europeo ha messo a disposizione dei Parlamenti nazionali dei fondi per l’organizzazione di programmi di stage (definiti in sinergia tra le parti) dei funzionari – e dei parlamentari- delle Assemblee dei Paesi membri presso il Parlamento europeo, a totale copertura economica.

Da ultimo si segnala, la recente istituzione nel 2008 del Segretariato permanente della COSAC, suggellata da una modifica al regolamento della Conferenza, mediante l’introduzione dell’art. 11 bis. Un tale risultato è stato preceduto da un lungo dibattito, avviato nel 2006, e che ha visto contrapposti i sostenitori dell’istituzionalizzazione della COSAC, in primo luogo il Parlamento francese, ai promotori del mantenimento di un’amministrazione snella e ancora poco strutturata, tra i quali le Camere italiane. La modifica regolamentare è stata perseguita con l’obiettivo di “mettere in sicurezza” la disciplina del Segretariato, evitando che esso sia sottoposto alle mutevoli determinazioni della presidenza.

Da un punto di vista strutturale, si è preferito sostanzialmente mantenere l’assetto già scelto nel 2004, quando il Segretariato è stato

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istituito in via sperimentale. L’ufficio è costituito da un funzionario per ognuna della Camere facenti parte della Troika più un funzionario, il membro permanente, nominato dalla Conferenza dei Presidenti delle delegazioni su proposta della Troika presidenziale tra i funzionari candidati dai Parlamenti nazionali. Il Segretario permanente riceve un incarico di due anni rinnovabile una sola volta.

La vera novità è rappresentata dalla scelta di un sistema di cofinanziamento, naturalmente su base volontaria, delle attività del Segretariato. Sino ad oggi, infatti, solo i Parlamenti rappresentati all’interno del Segretariato ne hanno sopportato i costi; con il cofinanziamento, invece, le Camere che hanno espresso l’intenzione di contribuire sono invitate a versare la loro quota parte, ovviamente secondo la determinazione dell’organo preposto in ciascuna Assemblea a decidere sulle spese di quest’ultima406.

3. Le sedi di cooperazione parlamentare contingente

3.1 La Convenzione sull’avvenire dell’Europa

3.1.1 La riforma dei Trattati e la scelta per la ConvenzioneLa Presidenza belga dell’Unione, nel secondo semestre del 2001, si

è adoperata per redigere una Dichiarazione che segnalasse quattro questioni fondamentali da affrontare nel corso della futura CIG del 2004: la specificazione del riparto delle competenze tra Unione e Stati membri; il destino della Carta dei diritti fondamentali; la semplificazione dei Trattati; il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’ordinamento comunitario407. Il Primo Ministro belga, Guy Verhafstadt, si diceva convinto della necessità di innovare la procedura di revisione dei Trattati, poiché “il metodo dei negoziati diplomatici (…) appariva del tutto inadatto ad attuare una riforma

406 Contrariamente a quanto accade nell’ordinamento di alcune organizzazioni internazionali, come il Consiglio d’Europa e l’Unione dell’Europa occidentale, ove l’attività delle rispettive Assemblee e, segnatamente, del loro Segretariato è finanziata mediante il contributo dei Governi degli Stati membri, il contributo al Segretariato della COSAC è determinato, invece, dalle Assemblee nazionali (circostanza, questa, che si verifica anche per l’Assemblea parlamentare dell’OSCE). Così facendo, si rafforza l’autonomia dei Parlamenti nel determinare l’area di estensione della loro cooperazione poiché essa non è vincolata alle decisioni unilaterali degli Esecutivi rispetto alle risorse da “investire” in questo tipo di attività.

407 Sulla necessità di ampliare il dibattito sul futuro dell’Unione, si veda Parlamento europeo, relazione sul Trattato di Nizza e il futuro dell’Unione, A5-0168/2001, Strasburgo, 4 maggio 2001.

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avente quale obiettivo quello di rendere l’Unione più democratica, più trasparente e più efficiente”408, anche se il dato testuale, l’art. 48 TUE, non poteva rimanere del tutto ignorato409.

La proficua esperienza della “Convenzione Herzog”410 ha rappresentato un possibile modello da emulare, con gli opportuni adattamenti che la redazione di un nuovo Trattato avrebbe richiesto411. In quest’ultimo caso, difatti, sarebbe stata ancora più manifesta la natura di “pre-assemblea costituente” che la Convenzione avrebbe assunto.

Gli Stati membri erano divisi sulla possibilità di una sua convocazione: l’Italia, il Belgio, i Paesi Bassi, la Finlandia e il Portogallo, accanto alla Commissione e al Parlamento europeo, erano

408 Cfr. S. TULLO, La riforma istituzionale tra Convenzione e Conferenza intergovernativa, in Il Trattato costituzionale nel processo di integrazione europea, a cura di M. Scudiero, vol. I, Napoli, 2005, p. 20.

409 L’art. 48 TUE, almeno fino a quando il Trattato di Lisbona non sarà ratificato da tutti gli Stati membri, è la base giuridica per il procedimento di riforma dei Trattati. Esso stabilisce che “Qualora il Consiglio, dopo aver consultato il Parlamento europeo e, se del caso, la Commissione, esprima parere favorevole alla convocazione di una conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri, questa è convocata dal presidente del Consiglio allo scopo di stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai suddetti Trattati (…). Gli emendamenti entreranno in vigore dopo essere stati ratificati da tutti gli Stati membri conformemente alle loro rispettive norme costituzionali”.

410 Sebbene rappresenti il primo caso di Convenzione nell’ambito dell’Unione europea, per ragioni di economia del discorso, in questa sede, non si esaminerà la Convenzione che ha elaborato il progetto di Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

411 Cfr. A. MANZELLA, Cinque sfide per l’Unione, in la Repubblica, 27 febbraio 2002, il quale individua cinque insegnamenti, tratti dall’esperienza della “Convenzione Uno”, dei quali si sarebbe potuto far tesoro in vista della Convenzione sull’avvenire dell’Europa. 1) Il metodo del “come se”, vale a dire lavorare come se si dovesse elaborare un testo giuridico: “con metodo, appunto parlamentare, è bene che la Convenzione concentri subito i suoi lavori sulla costruzione di un testo”; 2) “per raggiungere i risultati più alti, si deve partire dal basso”, ossia, tenendo debitamente in conto la pregiudiziale di alcuni Stati membri rispetto alla costruzione europea, è opportuno non configurare, almeno sul principio, l’attività della Convenzione come creativa, bensì di “codificazione costituzionale”. 3) bisogna “ordinare istituti e norme secondo principi di ordine costituzionale; 4) occorre prendere le mosse dalla centralità della posizione del cittadino europeo, sancita dalla CDFUE, per definire l’assetto costituzionale dell’UE; 5) è bene fare riferimento al modello economico e sociale determinato dalla Carta. Anche G. FLORIDIA, Il cantiere della nuova Europa: tecnica e politica dei lavori della Convenzione europea, Bologna, 2003, p. 63, sembra condividere l’assunto secondo il quale la Convenzione Herzog ha costituto un modello per la Convenzione europea: “Ma, dopo alcune incertezze iniziali, nel giro di pochi mesi apparve chiaro che il sistema della Convenzione, una volta attivato e coi caratteri assunti in relazione alla Carta dei diritti fondamentali, si imponeva ormai come un precedente trascinante, del quale si doveva semmai moderare il potenziale «sovversivo», ma dal quale non si poteva prescindere”.

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favorevoli all’idea di una “Convenzione Due”, al contrario del Regno Unito, della Danimarca, della Svezia, della Spagna e dell’Austria. Gli ultimi tre Paesi, in particolare, non intendevano proprio riaprire il dibattito sulla riforma dei Trattati. Per fronteggiare queste resistenze Verhofstadt ha dato rilievo al fatto che l’attività della Convenzione sarebbe stata solo propedeutica all’adozione del nuovo Trattato, sul quale i Governi sarebbero rimasti arbitri412.

L’accordo sul mandato da conferire alla “Convenzione sull’avvenire dell’Europa”, poi rinominata “Convenzione europea” dall’assemblea stessa, è stato raggiunto dal Vertice di Laeken (da cui la denominazione della Dichiarazione), tenutosi il 14 e il 15 dicembre 2001413: “per assicurare una preparazione quanto più ampia e trasparente possibile della prossima Conferenza intergovernativa, il Consiglio europeo ha deciso di convocare una Convenzione composta dai principali partecipanti al dibattito sul futuro dell’Unione414”.

La formulazione del mandato è stata lasciata volutamente ambigua. Secondo la Dichiarazione, infatti, la Convenzione avrebbe dovuto “esaminare le questioni essenziali per il futuro dell’Unione” e “ricercare le diverse soluzioni possibili”415. La forma che i risultati di tale sforzo conoscitivo avrebbero dovuto assumere restava indeterminata; sarebbe stato redatto “un documento finale contenente opzioni diverse (…) o raccomandazioni, in caso di consenso”416, il quale avrebbe costituito il punto di partenza per i lavori della CIG.

E’ stato chiaro sin da subito, però, che come era avvenuto per la Convenzione sulla Carta dei diritti fondamentali, sarebbe stato pressoché impossibile per la Conferenza intergovernativa trascurare il

412 Circa l’adozione di questa strategia, si veda F. DEHOUSSE, La Déclaration di Laeken: mode d’emploi, in Revue du Marché commun et de l’Union européenne, n. 455, febbraio 2002, p. 79.

413 Si può notare come in questa circostanza la denominazione di “Convenzione” è stata adottata dai Capi di Stato e di Governo. G. FLORIDIA, cit., Bologna, 2003, p. 55, segnala come una sanzione dell’indipendenza del nuovo organismo istituito si potesse rintracciare anche nella decisione di auto-denominarsi “Convenzione europea” e che questo termine chiarisse meglio la valenza del progetto che ci si accingeva a compiere.

414 Tutte le informazione relative alla composizione, all’organizzazione interna, al metodo di lavoro, ai dibattiti e ai contributi della Convenzione sono reperibili sul sito internet http://european-convention.eu.int/bienvenue.asp?lang=IT; per una cronaca giornalistica meticolosa dei lavori della Convenzione, si veda A. DAUVERGNE, L’Europe en otage? Histoire secrète de la Convention, Parigi, 2004, specialmente da p. 103 a p. 293.

415 Cfr. Consiglio europeo, Dichiarazione di Laeken, 14-15 dicembre 2001, p. 6.416 Ibidem

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risultato dell’attività di un organismo che vantava una così ampia legittimazione.

3.1.2 La composizione della ConvenzioneLa composizione della Convenzione, come prefigurata dalla

Dichiarazione di Laeken, non è differita in maniera significativa dalla “Convenzione Herzog”. Le istituzioni rappresentate e la consistenza numerica delle delegazioni sono rimaste invariate, ad eccezione della Commissione europea che ha inviato due delegati417.

I componenti della Convenzione europea sono diventati 105 (effettivi), quasi il doppio di quelli della “Convenzione Uno”. In ragione delle diverse materie trattate, anche gli osservatori presso il consesso sono mutati: tale posizione è stata garantita al Mediatore europeo, a tre rappresentanti del Comitato economico e sociale, a tre rappresentanti delle parti sociali europee e sei rappresentanti del Comitato delle regioni (designati da tale organo tra le regioni o le città aventi competenza legislativa), i quali hanno potuto valutare da vicino come è stata affrontata la cruciale questione dell’applicazione del principio di sussidiarietà. Il Presidente della Corte di giustizia e quello della Corte dei conti hanno potuto partecipare solo su invito del Presidium.

Rispetto alle Conferenze intergovernative, la Convenzione si è contraddistinta in primo luogo per la presenza di delegazioni di due istituzioni europee, Parlamento e Commissione, e in secondo luogo per la predominanza numerica della componente parlamentare nel plenum, alla quale però non ha corrisposto un’equivalente capacità di condizionamento nelle decisioni418. Specie nella fase conclusiva dei lavori, infatti, la Convenzione europea si è trasformata in una sorta di “pre-conferenza intergovernativa” e l’accordo sulla parte istituzionale è stato conseguito grazie alle concessioni reciproche alle quali i

417 Del collegio hanno fatto parte, oltre al Presidente, ai due Vice-presidenti e salvo quanto si dirà di seguito, quindici rappresentanti dei Governi, trenta membri dei Parlamenti nazionali (due per Stato membro), 16 membri del Parlamento europeo e due rappresentanti della Commissione europea. Oltre alla previsione della facoltà di designare membri supplenti, secondo le stesse modalità previste per quelli effettivi, le dimensioni del consesso sono lievitate per effetto della partecipazione ai lavori anche delle delegazioni dei Governi (uno per Paese) e dei Parlamenti nazionali (due per Paese) degli Stati candidati all’adesione alle stesse condizioni dei rappresentanti degli Stati membri e delle istituzioni comunitarie, ma sprovvisti del potere di impedire la formazione del consensus quando questo si fosse considerato raggiunto nel collegio. Ovviamente tali delegazioni avevano il potere di nominare, anch’esse, membri supplenti.

418 Si veda, sul punto, Parlamento europeo, Risoluzione sul processo costituzionale e il futuro dell’Unione, Bruxelles, 29 novembre 2001.

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Governi hanno acconsentito419. I parlamentari nazionali, però, hanno contribuito largamente a stimolare il dibattito nazionale e l’attenzione dell’opinione pubblica nei confronti dei lavori della Convenzione, in raccordo con i rispettivi Governi.

Tutti i membri della Convenzione, di ognuna delle componenti, erano personalità scelte per la loro autorevolezza e competenza; la maggior parte di essi, anche i parlamentari, avevano ricoperto altissime cariche istituzionali ed alcuni avevano preso parte alla Convenzione per la redazione della Carta dei diritti fondamentali420.

Il Presidente del consesso, Giscard D’Estaing, ha sempre sostenuto il carattere unitario dell’organismo e ha insistito sul fatto che “i membri della Convenzione non dovessero parlare in qualità di rappresentanti dell’istituzione che li aveva designati, ma solo a titolo personale e, pertanto, riteneva che l’espressione «rappresentanti» costituisse un errore di redazione”421. La composizione eterogenea ha consentito al nuovo organismo istituito di legittimarsi nei confronti delle sue diverse anime come titolare di un potere quasi costituente e di diventare un modello da emulare persino a livello nazionale422. Come sostenuto da D’Estaing, “quel che fa la debolezza della Convenzione - non siamo negoziatori in nome dei Governi, non siamo un corpo eletto dai cittadini - è anche quel che può fare la sua forza: non siamo «mandatari vincolati»”423.

3.1.3 L’organizzazione interna della Convenzione

419 Cfr. S. TULLO, cit., p. 27.420 Molti dei parlamentari nazionali, membri effettivi della Convenzione, erano

Presidenti delle commissioni per gli affari europei dei rispettivi Parlamenti nazionali.421 Cfr. S. TULLO, cit., p. 27; tale posizione, si ritrova in Convenzione europea,

Discorso introduttivo del Presidente della Convenzione, Bruxelles, 28 febbraio 2002, CONV 4/02, p. 12 s. E su di essa si è allineato anche il Presidente della Commissione europea, Romani Prodi, il cui discorso pronunciato nella sessione inaugurale è contenuto sempre in CONV 4/02, p. 8 ss.

422 Cfr. M. OLIVETTI, Una “Convenzione costituzionale” per l’Austria, in Quaderni costituzionali, 2004, p. 152 s., il quale rileva che nel 2003 in Austria, su iniziativa parlamentare, è stato costituito un organismo composito, un Verfassungskovent, al quale hanno preso parte membri del Governo federale e del Governo degli Stati, delle Corti supreme dei Länder, esponenti dei partiti politici e delle parti sociali, con il compito di mettere a punto un’ampia revisione della Costituzione. Anche il metodo di lavoro e gli organi creati in seno ad esso hanno presentato delle analogie rispetto alla Convenzione europea, con la differenza di una maggiore concentrazione di poteri nel Presidium.

423 Giscard D’Estaing nel suo Intervento durante la sessione inaugurale della Convenzione, il 28 febbraio 2002, (CONV 4/02) ha precisato che “una Convenzione è un gruppo composto di uomini e donne riuniti all’unico fine di elaborare un progetto comune”.

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La Convenzione si è caratterizzata per un’organizzazione interna piuttosto articolata. Accanto al Presidente, Giscard D’Estaing, nominato dal Consiglio europeo a Laeken nel 2001 (al contrario di quanto era accaduto per la Convenzione Herzog), vi era un Presidium, che ha coadiuvato il Presidente e ha vigilato sul corretto svolgimento dei lavori. Tale organo era composto dal Presidente, dai due Vice-Presidenti e da altri nove membri, due per ciascuna delle componenti della Convenzione scelti al proprio interno e un rappresentante per ciascuno dei Governi degli Stati che avrebbero esercitato la presidenza di turno dell’Unione durante l’attività del consesso (la Spagna, la Danimarca e la Grecia e, infine, l’Italia).

Inoltre, visto l’ambizioso disegno che la Convenzione si prefiggeva, si è deciso di creare ulteriori articolazioni interne per lo studio di temi specifici. Tali argomenti, infatti, non avrebbero potuto essere approfonditi adeguatamente durante le sessioni plenarie e così si sono costituiti undici gruppi di lavoro, strutture ad adesione volontaria che avrebbero dovuto esaminare e presentare proposte su determinate questioni sotto la direzione di un membro del Presidium424. L’art. 15 della Nota sui metodi di lavoro ha previsto che l’articolazione della Convenzione, secondo “il modello parlamentare per commissioni”, sarebbe potuta avvenire su iniziativa del Presidente o di un numero significativo di convenzionali da parte del Presidium e che tale organo collegiale ne avrebbe definito il mandato, le modalità di lavoro e la composizione, tenendo conto delle competenze dei membri425. La trasparenza dei lavori sarebbe stata garantita sia dalla facoltà per ogni componente della Convenzione di partecipare alle riunioni di tutti i gruppi sia dall’incarico conferito al Segretariato di redigere un resoconto sommario di ogni loro seduta.

Si è stabilita, infine, anche la creazione di tre “Circoli di discussione” tra i quali sono stati suddivisi tutti i membri della Convenzione e che hanno contribuito a stimolare il confronto su

424 Cfr. Convenzione europea, Gruppi di lavoro, Bruxelles, 17 maggio 2002, CONV 52/02; Convenzione europea, Gruppi di lavoro: seconda serie, Bruxelles, 19 luglio 2002, CONV 206/02. Nonostante le richieste di procedere all’istituzione di un gruppo di lavoro “sulla dimensione regionale europea”, il Presidium ha deciso che la questione sarebbe stata affrontata nella sessione plenaria del 7 febbraio 2003. Per un esame delle attività e delle relazioni finali dei gruppi di lavoro, si veda A. TIZZANO, Una Costituzione per l’Europa, testi e documenti relativi alla Convenzione europea , in Quaderni della Rivista di diritto dell’UE, Milano, Giuffrè, n. 3, 2004, p. 60 s.

425 Secondo G. FLORIDIA, cit., p. 83, “il criterio del «numero significativo» ha lo stesso senso e la stessa duplicità di quello che nella tradizione parlamentare fa riferimento al puro numero dei firmatari, prescindendo dal loro colore politico o da altri caratteri”.

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materie oggetto di un futuro intervento riformatore, l’ordinamento della Corte di giustizia delle Comunità, la procedura di bilancio dell’Unione e il sistema di risorse proprie. Questi organi sono stati attivi solo durante l’ultimo semestre di attività della Convenzione e, al contrario dei gruppi di lavoro, la loro membership è stata stabilita dal Presidium secondo il criterio della competenza426.

Al fianco degli organi “ufficiali” della Convenzione hanno iniziato ad operare ben presto anche strutture di tipo informale (almeno in quella sede), come i gruppi e i partiti politici a livello europeo e l’assemblea dei parlamentari nazionali. Anche i Parlamenti nazionali, così, in particolare durante la Presidenza greca dell’Unione, sono riusciti ad esprimere una posizione unitaria sul progetto di Trattato427. Il 4 giugno 2003, dopo la decisione del Presidente della Convenzione di audire separatamente le componenti del consesso a causa della crescente difficoltà di raggiungere il consenso, D’Estaing ha registrato l’esistenza di un fronte coeso di parlamentari nazionali decisi ad andare avanti nella costruzione di un’Unione europea più federalista.

Successivamente, durante la breve ma intensa presidenza italiana dell’assemblea dei deputati nazionali presso la Convenzione, i parlamentari degli Stati membri, forti del sostegno dei loro colleghi europei, sono riusciti a ottenere delle modifiche al testo del Trattato predisposto dal Presidium428. Occorre notare, infine, che il 10 luglio 2003 le dichiarazioni di voto preliminari all’approvazione definitiva del progetto di Trattato sono state espresse per componenti, evidenza,

426 Cfr. sul punto N. VEROLA, Osservazioni preliminari sul metodo della Convenzione, in Studi sulla Costituzione europea: percorsi e ipotesi, a cura di A. Lucarelli-A. Patroni Griffi, Napoli, 2003, p. 23. In particolare, sull’attività svolta dai gruppi di lavoro si veda R. DICKMANN, La Convenzione europea per l’avvenire dell’Europa. Le conclusioni dei gruppi di lavoro (appunti), in Osservatorio sul federalismo, 17 gennaio 2003, http://assemblealegislativa.regione.emiliaromagna.it/biblioteca/pubblicazioni/MonitorEuropa/2003/Monitor3/dibattito/Osservatorio_federalismo.pdf

427 Cfr. V. SPINI (membro supplente di M. Follini per la Camera dei deputati italiana), Alla Convenzione europea: diario e documenti da Bruxelles, Firenze, 2003, p. 15.

428 L’Italia si è insediata alla presidenza dell’Unione il 1 luglio 2003, quando ormai mancavano dieci giorni alla conclusione dei lavori della Convenzione. Tra le modifiche al progetto di Trattato, proposte e ottenute dai parlamentari nazionali, si possono ricordare la precisazione del ricorso al «metodo del coordinamento aperto» tra i Governi nazionali solo nelle materie specificate e con l’obbligo di informare in ogni caso il Parlamento europeo; la facoltà del Consiglio europeo di convocare o meno una nuova Convenzione in caso di modifiche al Trattato costituzionale, ma sempre previo parere conforme del Parlamento europeo, quale contrappeso democratico.

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questa, che conferma come si fosse creata in realtà una disciplina “per categorie di rappresentanza”429.

3.1.4 Verso l’istituzionalizzazione della funzione delle ConvenzioniL’esperienza della Convenzione europea ha segnato certamente un

importante passo avanti nel processo di integrazione dell’Unione, contraddistinguendo l’ordinamento comunitario per un’ulteriore specificità rispetto a quello internazionale in senso lato, ossia nella fase di revisione della sua “Costituzione”430.

Una parte autorevole della dottrina ha rilevato nella convocazione e nell’attività della Convenzione un’inversione del metodo tradizionalmente seguito per la riforma dei Trattati, in ragione del prevalente coinvolgimento dello “Stato-ordinamento, con forte protagonismo parlamentare”, piuttosto che della dominanza dello Stato-Governo431. Accanto a queste osservazioni, però, ve ne sono state altre più critiche che si sono appuntate specialmente sulla fase conclusiva dei lavori. Se si è elogiata l’attività collegiale svolta dalla Convenzione sulle Parti I e II del Trattato costituzionale, presentate con successo al Consiglio europeo di Salonicco a giugno del 2003, è stato disapprovato invece il metodo seguito per la redazione e poi l’approvazione delle Parti III e IV, avvenute in gran fretta, senza un ampio dibattito in plenaria432. Decisamente più riduttiva si è mostrata,

429 Per i rappresentanti dei Parlamenti nazionali hanno espresso il loro consenso rispetto al progetto gli onorevoli Dini, Bruton e Stuart.

430 Secondo A. MANZELLA, Dalla Convenzione alla Costituzione, in Studi in onore di Fausto Cuocolo, Milano, 2005, p. 872, “il «metodo convenzionale» è solo una variante nel lungo solco scavato dai «trattati istituzionalizzanti» all’origine della Comunità europea. Trattati, cioè, che creavano istituzioni che poi camminavano con le loro gambe, «staccate» dai governi e dai Parlamenti che le avevano volute”. Sulla natura giuridica del trattato costituzionale, tra trattato internazionale o Costituzione in divenire si vedano, tra gli altri, G. FLORIDIA, cit., pp. 1-35; M. FIORAVANTI, Un ibrido fra Trattato e Costituzione, in La Costituzione europea, luci e ombre, a cura di E. Paciotti, Roma, 2003, pp. 17-27; A. MANZELLA, Agnizione e innovazione: nascita di una Costituzione, in La Costituzione europea, luci e ombre, pp. 32-40 e A. PIZZORUSSO, Una Costituzione «ottriata», in La Costituzione europea, luci e ombre, pp. 41-49.

431 Cfr. A. MANZELLA, Dalla Convenzione alla Costituzione, p. 871, il quale, a p. 869, sottolinea che in tale collegio a larga predominanza parlamentare è emersa “un’inedita comunanza interparlamentare di intenti: di eletti «europei» e di «eletti» nazionali”. Cfr. anche E. PACIOTTI, Introduzione a La Costituzione europea, luci e ombre, p. 9, la quale definisce come “storico” il passo compiuto con il Trattato costituzionale, non solo sul piano procedurale ma anche su quello sostanziale.

432 Cfr. E. PACIOTTI, cit., pp. 7 e 11. E’ da rilevare, poi, come secondo G. FLORIDIA, cit., p. 123-124 si siano riscontrati diversi tentativi da parte di soggetti esterni alla Convenzione di “scavalcarne” le prerogative. A titolo di esempio, si può citare il progetto di Trattato (di 178 pagine), noto col nome in codice di “Penelope”,

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poi, la visione fornita da una parte minoritaria della dottrina, della Convenzione quale “autorevole comitato chiamato a dare un preliminare contributo importante nella prospettiva di stipulare un nuovo Trattato che sostituisse quelli che oggi disciplinano l’integrazione europea”433. La CIG, che ha lavorato quasi un anno prima di licenziare il testo definitivo del Trattato, ha apportato delle modifiche non irrilevanti rispetto all’articolato consegnato dalla Convenzione europea434.

Venendo ai nostri giorni, dopo l’impasse creatasi nel processo di ratifica del Trattato costituzionale e la firma del Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007, l’art. 48 TUE, nella nuova versione consolidata, prevede che la procedura ordinaria di revisione dei Trattati consista nella convocazione da parte del Presidente del Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, di una Convenzione composta da rappresentanti dei Parlamenti nazionali, dei Capi di Stato e di Governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione435. Come si può notare, è stata confermata la presenza delle diverse anime della Convenzione europea, anche se non si specifica se i rapporti di forza saranno i medesimi e soprattutto se la componente parlamentare sarà quella più rappresentata.

Inoltre, si cristallizza in una norma di diritto primario (l’art. 48 TUE appunto) una sorta di mandato per le future Convenzioni il quale riecheggia la formula della Dichiarazione di Laeken: “la Convenzione presentato alla Convenzione il 4 dicembre 2002 dal Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, e che fu accolto con una certa diffidenza. “«Penelope» resta lì , ma si finge che sia qualcos’altro: non un attentato al metodo della Convenzione costituente, ma un utile contributo di cui parlare col dovuto e freddo interesse tecnico”.

433 Cfr. F. CARUSO, Dalla Convenzione alla Conferenza intergovernativa: aspetti giuridici, in Cantiere Europa: le riforme istituzionali dell’Unione, a cura di M. L. Tufano, Napoli, Atti del convegno, 6-7 giugno 2003, pp. 115-116, il quale associa l’esperienza della Convenzione europea a quella del Comitato di studio istituito nel 1955 e presieduto da Spaak, le cui proposte “furono tenute in gran conto dalla Conferenza diplomatica che, poi, negoziò e procedette alla stesura dei Trattati di Roma del 1957, istitutivi della CEE e dell’Euratom”.

434 Sul punto, si veda F. CLEMENTI-F. BASSANINI-G. TIBERI, La Costituzione europea: un primo commento, in Quaderni di Astrid, Bologna, 2004, pp. 25-33.

435 Ai sensi dell’art. 48, comma 4, per modifiche di modesta entità “il Consiglio europeo può decidere a maggioranza semplice, previa approvazione del Parlamento europeo, di non convocare la Convenzione”. Cfr. più approfonditamente, N. VEROLA, Convenzione, Conferenze intergovernative tradizionali e Conferenze intergovernative “asimmetriche”: i tre volti del processo di riforma 2002-2007, in ASTRID Rassegna, n. 93, 28 maggio 2009, http://www.astrid-online.it/rassegna/28-05-2009/Verola_Articolo-su-metodo-della-Convenzione-e-Metodo-della-CIG--2-.pdf.

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esamina i progetti di modifica e adotta per consenso una raccomandazione a una conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri”436. La disposizione sembrerebbe prestarsi ad un’interpretazione piuttosto elastica della missione, suscettibile anche di una attuazione in senso espansivo delle prerogative della Convenzione, come accaduto nelle due precedenti esperienze. Risulta difficile configurare, tuttavia, un modello ben preciso di Convenzione, valido in ogni circostanza e a prescindere dall’entità delle modifiche da esaminare, anche per l’autonomia organizzativa di cui tali collegi hanno sempre saputo approfittare una volta istituiti.

Vi sono poi due tipi di procedure di revisione semplificate: l’art. 48 TUE, comma 6, prevede che, qualora “il Consiglio europeo adotti (all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo) una decisione che modifichi in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del TFUE (…) o in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario e della Banca centrale europea”, la decisione entri in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme nazionali, quindi presumibilmente mediante ratifica437; l’art. 48, comma 7, TUE contiene la disciplina delle c.d. “norme passerella”, le quali consentono di “transitare”, mediante decisione del Consiglio europeo all’unanimità, dalla prescritta procedura legislativa speciale a quella ordinaria o dalla regola dell’unanimità in Consiglio a quella della maggioranza qualificata. Quindi, entrano in gioco i Parlamenti nazionali con una sorta di “ratifica preventiva”: ad essi è trasmessa la decisione del Consiglio europeo e hanno sei mesi di tempo per opporvisi. E’ sufficiente il veto di un solo Parlamento nazionale perché la decisione sia resa priva dei suoi effetti.

3.2 I Joint Parliamentary meeting, i Joint Committee meeting e le Conferenze delle commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali

3.2.1 L’organizzazione dei Joint Parliamentary meeting (JPM) e dei Joint Committee meeting (JCM): le origini di una prassi

Con le espressioni “Joint Parliamentary meeting” e “Joint Committee meeting” si è soliti riferirsi (con le differenze che si specificheranno in seguito) alle Conferenze delle commissioni

436 Sulla necessità di preservare il metodo della Convenzione riformandone al tempo stesso le criticità, si veda G. RICARD-NIHOUL, Réviser le traités européennes: le moment Convention, in Notre Europe, Policy paper n. 31, dicembre 2007, pp. 5-40.

437 La parte terza del TFUE disciplina le politiche dell’Unione le azioni interne.

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omologhe del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali co-organizzate e co-presiedute dall’Assemblea parlamentare dell’Unione e dall’Assemblea nazionale dello Stato membro che esercita la presidenza di turno438. Tali incontri, della durata di un giorno e mezzo, hanno sempre avuto luogo a Bruxelles presso la sede del Parlamento europeo, che finanzia integralmente l’iniziativa.

Si ritiene quasi unanimemente che conferenze di questo tipo costituiscano una novità nel panorama della cooperazione interparlamentare comunitaria, da quando la presidenza lussemburghese nel 2005 se ne è fatta promotrice439. Durante ogni presidenza dell’Unione hanno avuto luogo, mediamente, due JPM e due JCM, nonostante si riscontri una tendenza ad accrescerne il numero. La sistematicità con cui questi meeting sono organizzati è supportata dal loro riconoscimento nelle Linee guida sulla cooperazione interparlamentare, dopo gli emendamenti apportati nel 2007 durante la Conferenza di Bratislava. In quest’ultima occasione il Parlamento europeo aveva assunto l’impegno (non ancora onorato) di redigere un vademecum che, specificando gli aspetti pratici ed organizzativi degli incontri, assicurasse il “legittimo affidamento” dei Parlamenti nazionali rispetto a tali conferenze. Le Assemblee degli Stati membri, infatti, hanno assistito con frequenza crescente alla violazione ad opera del Parlamento europeo di prassi consolidate sulla convocazione e sulle modalità di svolgimento delle riunioni.

Del resto, nel regolamento del Parlamento europeo non è dato rinvenire una disposizione ad hoc che disciplini la partecipazione dei parlamentari nazionali alle sedute delle sue commissioni. La possibilità di un loro coinvolgimento si può desumere in via implicita dal citato art. 123 e dall’art. 183, co. 2, secondo il quale “la Commissione europea e il Consiglio possono partecipare alle riunioni di commissione, su invito del Presidente fatto a nome della

438 La dottrina sul punto è pressoché inesistente, potendosi rintracciare solo brevi cenni al fenomeno in R. CORBETT, F. JACOBS, M. SHACKLETON, The European Parliament, Londra, VII ediz., 2007, p. 328. Per la redazione del paragrafo 3.2 ci si è avvalsi in larga parte delle informazioni acquisite tramite i colloqui svolti presso la sede del Parlamento europeo a Bruxelles con Sarita Kaukaoja, Segretario permanente della COSAC sino a febbraio 2008 (in data 20 settembre 2007), e con Bruno Pinheiro, rappresentante permanente del Parlamento portoghese presso il PE e attuale membro del Segretariato COSAC (in data 13 settembre 2007).

439 A. MAURER ritiene che la prassi di convocare Joint Committee meeting (JCM) risalga addirittura al 1987. Sul punto, cfr. A. MAURER, Interparliamentary supranational assemblies in the European Union tasked with scrutinising EU policies in the community dimension, in Supranational parliamentary and interparliamentary assemblies in the 21st Century Europe, a cura di ECPRD, p. 100.

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commissione stessa. Altre persone possono essere invitate, con decisione speciale della commissione, ad assistere ad una riunione e a prendervi la parola”440. Quale precedente si può citare l’invito (formalizzato con lettera), nel 2002, dell’on. Giorgio Napolitano, Presidente della commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, rivolto alle commissioni omologhe dei Parlamenti nazionali a prendere parte in maniera continuativa alle riunioni delle suddetta commissione durante i lavori della Convenzione europea441.

3.2.2 JPM e JCM: una disciplina in fieriI JPM, presieduti dai Presidenti dei Parlamenti organizzatori e

convocati di norma su temi di ampio respiro politico, come il futuro dell’Unione e la strategia di Lisbona, sono grandi Conferenze che riuniscono circa duecento parlamentari. Il Presidente del Parlamento europeo provvede a formalizzare l’invito ai Parlamenti nazionali tramite lettera indirizzata ai loro Presidenti affinché essi decidano sulla/sulle commissione/i competenti a prendere parte alla conferenza. Solitamente una volta compiuta tale scelta, questa è confermata per ogni ciclo di incontri analoghi. Per convenzione ogni Parlamento nazionale delega al massimo sei membri (i Parlamenti bicamerali provvedono a distribuire tale cifra tra le due Camere), mentre il Parlamento europeo non dovrebbe superare i trentatre parlamentari. Le Assemblee nazionali designano la propria delegazione in modo da ricomprendervi il Presidente e i Vicepresidenti della commissione competente o delle commissioni competenti per materia (a seconda della ripartizione delle competenze tra di esse); il Parlamento europeo nomina i suoi rappresentanti tra i componenti della commissione interessata a cui affianca, come accaduto in più di un’occasione, europarlamentari di particolare esperienza e autorevolezza.

I JCM, invece, sono co-presieduti dai Presidenti delle commissioni competenti del Parlamento europeo e del Parlamento dello Stato che detiene la presidenza dell’UE, i quali provvedono anche all’organizzazione. In modo piuttosto irrituale rispetto al cerimoniale che di norma viene seguito nei rapporti interparlamentari, l’invito per la maggior parte degli incontri è stato fatto pervenire direttamente al

440 A questo articolo si fa riferimento con certezza per organizzare audizioni o meeting bilaterali a cui possono partecipare occasionalmente parlamentari nazionali.

441 E’ invalsa la prassi di invitare delegazioni dei Parlamenti nazionali alle sedute della commissione affari costituzionali del Parlamento europeo quando si discute della riforma dei Trattati e, segnatamente, durante le Conferenze intergovernative. A tal riguardo, si vedano i resoconti delle sedute dell’ 11 settembre e del 1 ottobre 2007 della commissione affari costituzionali del Parlamento europeo.

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Presidente della commissione ritenuta competente all’interno del Parlamento nazionale o di una sua Camera. Il numero di delegati per ogni Parlamento nazionale è determinato di volta in volta, mentre il Parlamento europeo può contare tradizionalmente sui suoi trentatre rappresentanti, membri della commissione specializzata in materia, la quale può essere sia permanente che temporanea. Si ritiene, nondimeno, che il consesso debba avere dimensioni più ridotte rispetto ai JPM.

I temi in agenda hanno un focus più limitato se paragonati ai JPM, essendo prediletti in questo caso un esame e un dibattito approfondito tra deputati esperti dell’argomento. La maggior parte degli incontri sono stati dedicati alla valutazione e allo scambio di idee sugli strumenti finanziari nell’Unione, in particolare i bilanci nazionali e quello comunitario.

Per entrambi i tipi di meeting si sono affermate, inoltre, una serie di regole organizzative comuni: l’ordine del giorno è definito d’accordo tra i Parlamenti organizzatori; sono invitati e, normalmente tengono un intervento introduttivo esperti nel settore, commissari e, più raramente, membri del Consiglio dei ministri; i parlamentari intervengono secondo l’ordine con il quale si sono iscritti al dibattito in apertura della conferenza garantendo che il tempo sia equamente distribuito tra tutte le Assemblee rappresentate442; la precedente previsione è temperata dalla “regola aurea” per cui ogni due interventi di deputati nazionali prende la parola un europarlamentare; i Presidenti provvedono al riparto dei tempi di parola tra gli iscritti (ordinariamente tre minuti ciascuno); dal 2006 è stata sperimentata, anche se in maniera incostante, l’articolazione del consesso per gruppi di lavoro, assicurando ad ogni Parlamento, compatibilmente con il numero dei propri delegati, la copertura su ciascuno di essi443; ogni gruppo di lavoro si concentra su di un profilo specifico della materia e al termine della sua attività presenta un resoconto e le proprie conclusioni al plenum nel corso della seduta pomeridiana conclusiva della conferenza; la pubblicità dei lavori, a cura del Parlamento europeo, è circoscritta a comunicati stampa e a registrazioni audio dell’incontro, fatte pervenire solo ai Parlamenti nazionali.

442 In rare occasioni, invece, è stato seguito l’ordine alfabetico.443 La composizione dei gruppi di lavoro, teoricamente definita a seguito della

consultazione delle Assemblee nazionali, nei fatti stabilita dal Parlamento europeo, ed è resa nota normalmente nello stesso giorno in cui si tiene il meeting.

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3.2.3 Luci e ombre dei Joint Parliamentary Meeting e dei Joint Committee Meeting

La prassi di convocare questo tipo di conferenze costituisce senz’altro uno strumento di apprendimento per i Parlamenti partecipanti. I dossier che il Parlamento europeo provvede a distribuire con adeguato anticipo alle altre Assemblee è una miniera di informazioni sulla materia che sarà dibattuta. Inoltre, è frequente che alcune commissioni dei Parlamenti degli Stati membri mettano a disposizione dei propri colleghi ricerche, relazioni su indagini conoscitive svolte all’interno della Camera di appartenenza e la documentazione contenente le disposizioni legislative nazionali in merito. Tali meeting rappresentano un’occasione per conoscere dai “portavoce” delle istituzioni comunitarie le strategie che si prevede di adottare, specie se a esse farà seguito l’approvazione di un atto normativo. E’ piuttosto raro, difatti, che i Parlamenti nazionali possano entrare in contatto con rappresentanti della Commissione europea o con la Presidenza di turno del Consiglio dei ministri, essendo il rapporto con essi mediato dagli Esecutivi.

Vi è, poi, dalla prospettiva dei Parlamenti degli Stati membri, un altro elemento che può attribuire un valore aggiunto all’iniziativa. L’attività comunitaria durante ogni semestre è sensibilmente condizionata, per un verso, dal programma della presidenza di turno e, per l’altro, dai relatori del Parlamento europeo sui progetti di atti normativi. E’ evidente che le chance delle Assemblee nazionali di “pesare” sulle decisioni della presidenza sono molto scarse. Al contrario, la possibilità di influire sul relatore del Parlamento europeo, qualora nel meeting sia oggetto di discussione un determinato progetto è decisamente maggiore. In questo caso la dimensione internazionale dell’attività parlamentare raggiunge la sua massima espressione, sebbene spesso non si orienti in una direzione cooperativa tra i Parlamenti, ognuno dei quali è “ambasciatore” degli interessi nazionali.

Sono state numerose, comunque, le rimostranze espresse dalle Assemblee nazionali rispetto alle modalità organizzative dei meeting (pur apprezzando una tendenza al miglioramento), in primo luogo da parte dei Parlamenti che si sono avvicendati nel ruolo di co-organizzatori delle Conferenze. Questi ultimi hanno lamentato il declassamento dallo status originario a quello di ratificatori delle decisioni assunte dal Parlamento europeo. Il “confinamento coatto” ad una posizione marginale è riconducibile innanzitutto alla

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rivendicazione da parte dell’Assemblea comunitaria di un ruolo privilegiato in quanto finanziatrice.

All’inizio di ogni semestre, dopo aver negoziato un’agenda degli incontri col Parlamento competente, a livello di uffici di presidenza, le relazioni parlamentari bicamerali (Parlamento europeo - Parlamento nazionale co-organizzatore) seguono l’andamento di un fiume carsico. La commissione del Parlamento europeo interessata alla conferenza interagisce direttamente con la Direzione politiche interne intrattenendo con il Parlamento nazionale organizzatore rapporti sporadici e limitati ad attribuire un titolo all’evento, a stabilire una lista di ospiti e di partecipanti e a provvedere ad un’eventuale articolazione di questi ultimi in gruppi di lavoro. La Direzione politiche interne del Parlamento europeo gestisce in un regime di monopolio i JCM e i JPM senza preoccuparsi di informare i Parlamenti nazionali. Eccetto i punti fermi indicati (partecipanti, argomenti di dibattito in conferenza e nei gruppi di lavoro), non sono fornite indicazioni più puntuali sul tema oggetto di discussione e ciò crea qualche perplessità soprattutto per i JPM che diventano contenitori onnicomprensivi degli argomenti più disparati.

3.3 La cooperazione interparlamentare nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia

Le misure riguardanti lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia sono state tradizionalmente considerate dai Trattati e, più specificamente, dal Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali, secondo le versioni che si sono susseguite dal 1997 ad oggi, un ambito di elezione della cooperazione interparlamentare, in ragione delle speciali procedure che ne disciplinano l’adozione giacché esse erano inquadrate sinora nell’ambito del III pilastro dell’Unione e, quindi, soggette ad un minore controllo democratico.

Con il Trattato di Lisbona le politiche adottate in questo settore vengono “comunitarizzate”, ad eccezione della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, e diventano oggetto di valutazione anche da parte dei Parlamenti nazionali (art. 12, lett. c), TUE). In particolare le loro competenze risultano accresciute nei confronti dell’attività di Europol e di Eurojust, sottoposte, rispettivamente, al controllo e alla valutazione dei Parlamenti degli Stati membri. Il Parlamento europeo e il Consiglio adotteranno dei regolamenti che definiranno le condizioni e le modalità di partecipazione dei Parlamenti all’esame delle attività di tali sedi di cooperazione tra Stati membri. Poiché la procedura di adozione sarà

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quella di co-decisione, i Parlamenti nazionali, mediante il meccanismo di early warning, potranno eventualmente incidere sul contenuto di tali regolamenti (artt. 85 e 88 TFUE).

Quanto al contenuto del regolamento, si potrebbe procede a una codificazione della prassi consolidata finora444. Negli ultimi anni, infatti, i meeting di alcune commissioni permanenti dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo sono stati convocati con cadenza semestrale. Così è per le commissioni affari esteri e le commissioni difesa e per l’esempio più celebre di conferenze interparlamentari di questo tipo, ossia PARLAPOL445. Si tratta di un’assemblea che riunisce tendenzialmente i membri delle commissioni affari giuridici dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo coordinandoli nella valutazione dell’attività di EUROPOL446.

La creazione di questo nuovo forum, tuttavia, presenta almeno un profilo controverso, vale a dire un’interpretazione un po’ forzata delle disposizioni del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali annesso al Trattato di Amsterdam che attribuiscono alla COSAC una posizione privilegiata nell’ambito dello Spazio di libertà, di sicurezza e giustizia. A questo riguardo, infatti, la stessa COSAC ha rilevato il difetto di poteri da cui sarebbero affetti questi consessi, tale da non consentire loro di indirizzare contributi alle istituzioni comunitarie. In ogni caso, dovrebbe essere la COSAC ad intercedere presso l’Unione adottando i contributi per loro conto447. In aggiunta ciò, si rileva che all’interno di PARLAPOL la posizione del Parlamento europeo è relativamente più forte rispetto a quella dei Parlamenti degli Stati membri, partecipandovi un egual numero di europarlamentari e di parlamentari nazionali. Nella COSAC, invece, la delegazione del Parlamento europeo è posta “su un piano sostanziale di parità politica e anche numerica rispetto alle altre delegazioni dei Parlamenti nazionali, che rappresentano quindi la componente largamente maggioritaria della

444 Cfr. L. GIANNITI-R. MASTROIANNI, cit., p. 174.445 Sull’attività di controllo parlamentare nei confronti della politica estera di

sicurezza e di difesa sia consentito rinviare al contributo sulla cooperazione interparlamentare nel continente europeo in questo stesso volume.

446 EUROPOL è l’Ufficio europeo di polizia, istituito nel 1992, con sede a l’Aia, che svolge un’attività di intelligence a livello europeo in ambito criminale: cfr. http://www.europa.eu/agencies/pol_agencies/europol/index_it.htm. Il Parlamento italiano partecipa a PARLAPOL tramite delegati della Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.

447 Cfr. COSAC working group, Note on the organization of COSAC’s future meetings, Copenaghen, 17 e 18 novembre 2002 http://www.cosac.eu/en/meetings/27/wg1/ , p. 3.

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Conferenza”448. Nel corso della XLI COSAC di Praga dell’11 e 12 maggio 2009, peraltro, è stata nuovamente espressa da parte di alcune delegazioni nazionali l’intenzione di conferire alla stessa Conferenza il compito di vigilare sulle attività dell’Unione nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia449.

4. La cooperazione tra il Parlamento italiano e i Parlamenti dell’Unione europea

4.1 La delegazione italiana presso il Parlamento europeoQuando, il 17 luglio 1952, De Gasperi comunicò alla Camera dei

deputati che, ai sensi dell’art. 21 del Trattato CECA, l’elezione dei nove rappresentanti presso l’Assemblea consultiva (gli altri nove li avrebbe eletti il Senato) sarebbe avvenuta a maggioranza assoluta, si scatenò un accesissimo dibattito450. Il Presidente del Consiglio e Ministro degli esteri, sostenuto dalla maggioranza, in primo luogo dagli onorevoli Domenidò e Tesauro, esortava a scegliere i delegati fra quelli già facenti parte dell’Assemblea del Consiglio d’Europa, ritenendo che ai fini della “realizzazione dell’Unità politica dell’Europa (…) fosse auspicabile concentrare in una sola istituzione gli organi di tale unità”451. Il riferimento alla delegazione presso il Consiglio d’Europa, invero, era funzionale a far accettare la raccomandazione secondo cui i rappresentanti del Parlamento italiano presso l’Assemblea CECA dovevano essere scelti a maggioranza

448 Cfr. L. GIANNITI-R. MASTROIANNI, cit., p. 174. 449 Cfr. XLI COSAC, Minutes, Prague, 11-12 maggio, 2009, consultabili

all’indirizzo http://www.cosac.eu/en/meetings/Prague2009/XLI.pdf/, nonché COSAC Secretariat, Eleventh Bi-annual Report: Developments in European UnionProcedures and Practices Relevant to Parliamentary Scrutiny, May 2009, spec. p. 14 s.

450 Cfr. V. GUIZZI, L’Europa in Parlamento 1948-1979, Collana Fondazione Camera dei deputati, Bari, Laterza, 2006, pp. 655 s.; F. BONINI, Il Parlamento italiano e l’integrazione europea e M. S. CORCIUOLO-S. GUERRIERI, I primi rappresentanti italiani all’Assemblea parlamentare della CECA (1952-1954), in La prima legislatura repubblicana, a cura di U. De Siervo e altri, vol. I, Roma, Carocci, 2004, rispettivamente, pp. 186-197 e 232-244; V. GUIZZI, Manuale di diritto e politica dell’Unione europea, p. 117 s. e 569 s.

451 Se inizialmente l’Assemblea del Consiglio d’Europa e quella della CECA mantenevano un rapporto molto stretto, tanto è vero che tenevano ogni anno una riunione congiunta, successivamente il loro percorso istituzionale le ha divise. Il collegio del Consiglio d’Europa, nonostante abbia conosciuto un vistoso aumento dei poteri, è rimasta pur sempre un’Assemblea consultiva, mentre il Parlamento europeo anche prima del 1979 mostrava già i segni di un mutamento genetico rispetto alle altre Assemblee internazionali ed era più orientato a cooperare all’interno delle Comunità che all’esterno di esse.

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assoluta, poiché la legge di autorizzazione alla ratifica dello Statuto del Consiglio (legge 23 luglio 1949, n. 433) prescriveva tale quorum, escludendo così le opposizioni dall’organo di derivazione parlamentare452. Al Senato, addirittura vi è stato chi, come il senatore Bosco, sosteneva che con la votazione per la designazione dei delegati all’Assemblea CECA si compiva un atto di politica estera e che, per necessità costituzionale, questa dovesse essere condotta dalla maggioranza governativa: la questione della rappresentanza delle minoranze, pertanto non si destava particolari preoccupazioni.

In entrambe le Camere le argomentazioni più fondate da un punto di vista giuridico contestavano la posizione del Governo e dei Presidenti di Camera e Senato, per violazione dell’art. 9 reg. Cam. che, secondo i parlamentari del PCI e del PSI, avrebbe dovuto essere applicato in quella circostanza, e per inosservanza degli artt. 20 e 21 del Trattato CECA. L’art. 9 reg. Cam. contemplava il caso dell’elezione dei commissari previsti dalla Costituzione o da leggi speciali, per le quali ciascun deputato doveva scrivere i nomi di due terzi dei parlamentari chiamati a comporre la commissione, ogni volta che si doveva votare per un numero superiore a due. Erano nominati coloro i quali ottenevano il maggior numero di voti, purché avessero superato la soglia dell’ottavo dei votanti; pertanto anche le minoranze potevano aspirare a far parte dell’organo eletto. Gli artt. 20 e 21 del Trattato CECA, invece, sono stati fatti valere dal sen. Terracini perché, specificando che l’Assemblea doveva essere composta dai rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità, si contrapponevano alla designazione di delegati rappresentativi solo della maggioranza, quindi di una parte del popolo.

Nonostante queste obiezioni e con molte difficoltà (al Senato per due volte è mancato il numero legale), la delegazione italiana presso l’Assemblea CECA è stata eletta453, anche se non si è riscontrata una

452 Peraltro, nel disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Trattato istitutivo del Consiglio d’Europa, nella versione originaria, si stabiliva che dei diciotto membri italiani dell’Assemblea consultiva quattordici erano eletti a maggioranza assoluta delle due Camere tra i propri componenti, nel numero di sette per ciascuna, e quattro erano nominati dal Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio e del Ministro degli esteri. Con il passaggio in commissione la proposta è stata modificata rendendo la delegazione un organo a composizione omogenea.

453 Tale delegazione era molto coesa al suo interno potendo contare sulla presenza dei più importanti esponenti del movimento federalista in Italia. In Assemblea costituente, su iniziativa dell’on. Enzo Giacchero, si era formato un Comitato parlamentare per l’Unione europea a cui avevano aderito circa 250 deputati. Nella prima legislatura repubblicana era stato costituito il Gruppo parlamentare per l’Unione europea che riuniva 167 deputati e 106 senatori, presieduto alla Camera dall’on. Giacchero e al Senato dal sen. Parri. Questo gruppo trasversale ha influenzato

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perfetta identità dei componenti con quella dell’Assemblea del Consiglio d’Europa. Dopo il primo rinnovo della stessa nel 1954 e sino al 1969 - mentre il Senato non ha mai incontrato particolari problemi a eleggere i delegati - la Camera è stata sistematicamente in difetto: se si eccettua il 1957, essa è riuscita a designare un numero di rappresentanti sempre inferiori a quelli richiesti da una rielezione completa. Se il 27 febbraio del 1958 sono entrati a far parte della delegazione anche esponenti del MSI e monarchici, sono stati attesi più di dieci anni perché la rappresentanza di tutti i gruppi parlamentari fosse assicurata. Anche durante la fase del “centro-sinistra”, quando si é manifestata un’apertura nei loro confronti, i socialisti si sono rifiutati, nel 1963 e nel 1968, di fare il loro ingresso nell’Assemblea delle Comunità, mostrandosi solidali in questo al PCI.

Soffermandosi quindi sul contributo fornito dalla delegazione italiana alle attività dell’Assemblea CECA, questo è stato inizialmente molto fattivo. In particolare, quando il neo nominato collegio interparlamentare nel 1952 è stato investito del compito di elaborare il progetto di Comunità politica europea, i delegati italiani, alcuni dei quali sedevano nel comitato di redazione del progetto, hanno dato prova del loro filo europeismo, battendosi affinchè le competenze della nuova Comunità non fossero interpretate in senso restrittivo. Tuttavia, per una serie di concause - tra le quali le elezioni politiche, gli incarichi governativi di alcuni delegati e la decisione, presa dietro insistenza dell’Alta autorità, di far riunire le sette commissioni parlamentari a Lussemburgo - la partecipazione della delegazione italiana ha subìto una brusca battuta d’arresto. Infatti, il Bureau ristretto dell’Assemblea CECA il 18 maggio 1954 ha presentato una nota nella quale rilevava che, a fronte di un egual numero di delegati, si assisteva a una partecipazione quattro volte superiore dei rappresentanti tedeschi in alcune commissioni rispetto a quelli italiani454.

Come anticipato, la situazione si è aggravata in seguito per la difficoltà di pervenire a un rinnovo della delegazione. Ciò ha

mediante la presentazione di ordini del giorno e mozioni il dibattito parlamentare in materia di politica estera. Cfr. M. S. CORCIUOLO-S. GUERRIERI, cit., p. 233.

454 La differenza era da imputare, tra le altre cose, alla scomodità dei collegamenti tra Roma e Lussemburgo, solo ferroviari, e all’esigua maggioranza parlamentare su cui potevano contare i partiti di governo e che talvolta costringeva i delegati a rinunciare alla partenza per la missione. Si può considerare che nei primi cinque anni e mezzo di vita dell’Assemblea CECA gli incarichi di relatore attribuiti a delegati italiani sono stati solo il 4,4 % sul totale, pari a quelli della delegazione del Lussemburgo che era formata da 4 membri. Cfr. M. S. CORCIUOLO-S. GUERRIERI, cit., p. 244.

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comportato almeno due effetti degeneri: da una parte, continuavano a partecipare ai lavori dell’Assemblea delle Comunità anche ex parlamentari, quindi soggetti sprovvisti del mandato; dall’altra, la delegazione si stava assottigliando a causa della scomparsa di alcuni delegati, in assenza di una loro sostituzione. Nonostante la situazione presentasse questi risvolti patologici, “il caso italiano” fu trattato presso l’Assemblea comunitaria come se nulla fosse, avallando l’idea di un mandato di delegato conferito senza limiti di tempo per evitare che il Parlamento italiano nell’impasse in cui si trovava fosse escluso dalla partecipazione al consesso. Poi il nodo si è sciolto e dal gennaio 1969 e, anche nelle legislature successive sino alle elezioni dirette del Parlamento europeo, la delegazione è stata regolarmente rinnovata; sono state incluse in essa tutte le forze politiche, secondo un criterio proporzionale, tranne che nella VII legislatura quando i radicali e i demo-proletari sono stati lasciati fuori455. La vicenda italiana ha lasciato un segno comunque a livello comunitario, tanto è vero che l’11 marzo 1969 il Parlamento europeo ha modificato il proprio regolamento contenendo la durata del regime di prorogatio dei poteri dei delegati a sei mesi dopo le elezioni.

4.2 Le commissioni “Politiche dell’Unione europea” di Camera e Senato

I regolamenti parlamentari sin dal 1971 contenevano disposizioni (att.125-127 reg. Cam.; 142-144 reg. Sen.) che, qualora avessero ricevuto piena applicazione, avrebbero garantito al Parlamento italiano di raccordarsi con l’attività delle istituzioni comunitarie sia nella c.d. “fase ascendente” che in quella “discendente”. La situazione, tuttavia, era ben diversa tra le due Camere: mentre il Senato aveva istituito il 17 luglio del 1968 la giunta per gli Affari delle Comunità europee, invero, uno dei primi organi nel panorama dei Parlamenti nazionali degli Stati membri con specifiche competenze in queste materie, la Camera dei deputati era sprovvista di una struttura ad hoc e il suo coinvolgimento nelle questioni comunitarie seguiva altre vie rispetto a quelle prescritte456. Infatti, nonostante l’art. 126 reg. Cam. vietasse alle commissioni di approvare risoluzioni nei confronti del Governo

455 Cfr. V. GUIZZI, ultima op. cit., p. 570.456 Alla Camera, infatti, la III commissione era competente per gli affari esteri e

comunitari: questi ultimi, in realtà sono stati sempre sovrastati dalla trattazione dei temi di politica estera generale. Proprio quando era stato costituito in seno ad essa il Comitato per affari europei, che aveva assunto importanti iniziative, si è deciso nel 1990 di trasferire tali competenze in materia alla “commissione speciale per le politiche comunitarie”.

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riguardo ai procedimenti decisionali comunitari, questi atti di indirizzo, assieme a quelli di sindacato ispettivo, erano costantemente usati per ritagliarsi un ruolo in un settore di interesse crescente.

Prescindendo da queste differenze e dalla timida applicazione delle disposizioni da parte dei due rami del Parlamento, si è avvertita comunque l’esigenza di rafforzarne la partecipazione negli affari europei, dal momento che il Parlamento europeo, abbandonata la sua configurazione di consesso di delegazioni, non era più “personalmente” legato alla vita delle Assemblee nazionali457.

Così, si è proceduto parallelamente tramite legge ordinaria (dalla legge n. 183/1987 sino ad oggi con la legge n.11/2005) e con riforme regolamentari ad aggiornare le procedure di collegamento tra il Parlamento e l’ordinamento comunitario. Il Senato, scontando inizialmente il mancato coordinamento con le disposizioni della legge n. 86/1989 approvata poco dopo (circostanza, questa, che ha provocato l’attribuzione di un ruolo limitato alla Giunta nell’esame del progetto di legge comunitaria), e la Camera, gradualmente tra il 1990 e il 1999, hanno visto consolidare i loro poteri in materia e, quel che è più significativo, hanno iniziato ad esercitarli. In particolare l’art. 126 reg. Cam. novellato ha istituito la commissione speciale per le politiche comunitarie458, competente “sugli aspetti ordinamentali dell’attività e dei provvedimenti delle Comunità europee e della attuazione degli accordi comunitari”. Ad essa è stata conferita la facoltà di esercitare poteri di indirizzo e di controllo nei confronti dell’Esecutivo, di esprimere pareri sui progetti di legge e sugli schemi di atti delegati concernenti l’applicazione dei Trattati istitutivi e le norme di diritto derivato459, di svolgere una serie di attività conoscitive

457 In aggiunta a ciò, si può affermare che gli anni Ottanta hanno rappresentato un periodo di “sovrapproduzione” delle norme comunitarie, in special modo delle direttive per completare la realizzazione del mercato unico, di fronte al quale il Parlamento italiano rischiava di restare al margine.

458 La specialità di tale organo era riconducibile a quattro elementi: 1) esercitava le sue funzioni solo in sede referente e non anche in sede redigente e deliberante come le commissioni permanenti; 2) non era una giunta di nomina presidenziale; 3) di essa potevano far parte anche parlamentari membri di altre commissioni; 4) non sottraeva competenze alle commissioni permanenti. Cfr. sul punto, V. GUIZZI, Parlamento italiano e Comunità europea nei meccanismi introdotti dalle nuove norme dei regolamenti parlamentari, in Rivista di diritto europeo, 1991, p. 290-291, il quale a p. 293 rileva come l’art. 126, comma 2, reg. Cam., nella versione vigente allora e rimasta priva di attuazione, prevedeva “la possibilità di formare una Commissione speciale composta dai deputati di varie commissioni e dai 18 delegati al Parlamento europeo”.

459 La commissione politiche dell’Unione europea (XIV commissione permanente della Camera dal 1 agosto 1996) e la giunta per gli affari delle Comunità europee del Senato (dal 7 ottobre 2003, XIV commissione permanente) hanno acquisito uno status

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mediante audizioni di Ministri e di dirigenti delle pubbliche amministrazioni e tramite incontri a cadenze regolari con delegazioni del Parlamento europeo, principalmente con i deputati eletti nelle circoscrizioni italiane460.

A dispetto degli esordi più promettenti, la giunta per gli Affari delle Comunità europee del Senato, ha beneficiato di un ampliamento più contenuto delle sue competenze, ed è stata interessata solo nel 2003, nel quadro di una revisione organica dei rapporti tra Senato e Unione europea, a un’estensione delle stesse. Anche con questa riforma tuttavia, tale organo non ha conseguito poteri analoghi a quelli della sua omologa presso l’altro ramo del Parlamento: quest’ultima dal 1999 lavora anche in sede redigente e legislativa, mentre la prima ha funzioni referenti solo sul disegno di legge comunitaria461.

4.3 La partecipazione del Parlamento italiano alla “fase ascendente” di formazione del diritto comunitario: un’introduzione

In virtù delle nuove disposizioni contenute nel Protocollo sul ruolo del Parlamenti nazionali e in quello sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, annessi al Trattato di Lisbona ciascun Parlamento nazionale può esprimere un parere motivato sul rispetto del principio di sussidiarietà da parte di un progetto normativo comunitario, che vale come “voto” ai fini del prosieguo della procedura nell’Unione. Di fronte ad un’innovazione di tale portata e a quelle che prevedono il coinvolgimento dei Parlamenti nelle procedure di revisione dei Trattati, in quelle di adesione, nell’applicazione della clausola di flessibilità e nella richiesta al Governo di presentare un ricorso per annullamento alla Corte di giustizia, presumibilmente i regolamenti parlamentari e, soprattutto, la legislazione ordinaria saranno modificati462.

“prestigioso” nei procedimenti legislativi. Infatti, svolgono un ruolo di “filtro” di tutti i progetti di legge limitatamente ai profili di compatibilità comunitaria.

460 Queste sono solo alcune delle competenze attribuite alla commissione speciale. Altre, potenzialmente molto rilevanti (attribuite alla XIV commissione del Senato solo dalla riforma regolamentare del 2003), attengono sia all’esercizio dell’attività conoscitiva sia a quella di indirizzo e concernono più specificamente l’esame, assieme alla commissione competente per materia, delle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee. In un documento finale possono essere espressi eventuali intendimenti sulla necessità di dare seguito alla sentenza da parte delle autorità nazionali (art. 127 bis reg. Cam.).

461 Cfr. a tal riguardo, F. BIENTINESI, L’evoluzione della legge comunitaria nella prassi applicativa e nelle riforme istituzionali, in Rassegna parlamentare, 2005, p. 858.

462 Per una ricognizione delle attività svolte dal Parlamento italiano con riferimento alla partecipazione agli affari comunitari, si veda G. RIZZONI, Parlamento

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In particolare, rispetto alla “fase ascendente” di formazione del diritto comunitario, sarà necessario intervenire innanzitutto razionalizzando il flusso informativo proveniente dall’Unione europea. L’art. 4 del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, annesso al Trattato di Lisbona, dispone che la Commissione europea trasmetta i progetti di atti legislativi comunitari ai Parlamenti nazionali nello stesso momento in cui li trasmette al legislatore dell’Unione. La Commissione europea, invero, da settembre 2006, ha iniziato ad inviare ai Parlamenti, con l’avallo del Consiglio europeo, sia i progetti di atti normativi (e le loro eventuali modifiche nel corso del procedimento di approvazione) sia tutti i suoi documenti di consultazione, anticipando l’attuazione di una previsione non ancora in vigore. Normalmente la Commissione europea ogni due settimane investe il Parlamento italiano di questo consistente flusso di informazioni aggiornate463.

A questi cambiamenti se ne aggiunge un altro: la lungimirante iniziativa del Senato, che il 20 febbraio 2008 ha presentato ufficialmente la “banca dati dei progetti comunitari”464, contenente tutti i documenti connessi alle iniziative legislative presentate dalla Commissione europea e i dati su ciascuno di essi relativi allo stato dell’iter presso le istituzioni europee, presso il Parlamento italiano e presso gli altri Parlamenti nazionali465.

La Commissione europea, tuttavia, non è sola in questa attività di trasmissione dei progetti normativi comunitari e degli atti preordinati alla loro formulazione, come stabilito dall’art. 3 della legge n. 11 del 2005. Il Presidente del Consiglio dei ministri italiano per il tramite del Dipartimento delle Politiche comunitarie trasmette tutti questi atti alle Camere (e ai Consigli regionali) nel momento della loro ricezione e molto spesso provvede anche a tradurli in italiano. L’attività del Governo non è solo foriera di una sovrapposizione delle informazioni rispetto a quelle fornite dalla Commissione europea, ma consente di mettere un pò d’ordine in una situazione caotica. La Presidenza del

e Unione europea:1998-2008 e oltre, in Il Parlamento del bipolarismo : un decennio di riforme dei regolamenti delle Camere, Napoli, 2008, p. 369 s.

463 Cfr. R. DI CESARE, Prime applicazioni delle nuove regole sulla partecipazione del Parlamento alla formazione degli atti comunitari, in Quaderni costituzionali, n. 4, 2006, p. 802.

464 La banca dati è consultabile da parte di tutti i cittadini all’indirizzo internet http://www.senato.it/attieuropei

465 Perché la banca dati inizi a funzionare a pieno regime, in verità, è necessario che siano integrata con le informazioni che la Camera dei deputati a breve inizierà a fornire sullo stato dell’esame dei progetti di atti legislativi presso le proprie commissioni.

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Consiglio e, segnatamente, il citato Dipartimento, infatti, catalogano gli atti per soggetto proponente e a tal riguardo hanno proposto la conclusione di un accordo interistituzionale, firmato poi il 28 gennaio 2007 dai Presidenti delle due Camere e dal Presidente del Consiglio, per migliorare il coordinamento Parlamento - Governo nella c.d. “fase ascendente”. In questa intesa sono state definite, in particolare, le modalità di trasmissione telematica dei documenti, la loro selezione e suddivisione in 13 aree tematiche, una delle quali concerne la co-decisione. Tramite il sistema informatico “Europ@” messo a punto dal Dipartimento sono stati trasmessi nel 2007 alla Camera e al Senato 6279 documenti466. Quindi, rispetto ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni sarebbe opportuno un aggiornamento della disciplina. Gli artt. 127 reg. Cam. e 142 reg. Sen., difatti, con una disposizione “preistorica” fanno discendere l’esame dei progetti normativi comunitari da parte dei due rami del Parlamento dalla loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione. Anche in virtù dell’avvio, tramite la banca dati, di “un’attività in proprio” di catalogazione da parte del Parlamento, sarebbe necessario giungere ad una codificazione aggiornata del sistema di relazioni triangolari Commissione europea - Governo - Parlamento.

4.4 L’esame dei progetti di atti normativi comunitari e gli esperimenti condotti per verificare il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità

L’esame dei progetti di atti normativi comunitari avviene secondo modalità simili nei due rami del Parlamento italiano. Una volta trasmesse, le proposte sono deferite dal Presidente alle commissioni competenti per materia, che alla Camera devono concludere l’esame inderogabilmente entro trenta giorni dall’assegnazione (art. 127, comma 2, reg. Cam), e per il parere alla commissione “Politiche dell’Unione europea” (anche alla III commissione secondo l’art. 144 bis, comma 1, reg. Sen.)467.

466 Tali informazioni sono contenute nella Relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea 2007, p. 96 s.

467 Una procedura a parte, come stabilito nel 2000 dalla Giunta per il regolamento della Camera, è seguita da questo ramo del Parlamento per l’esame dei documenti di programmazione legislativa dell’Unione europea che sono ormai per prassi oggetto di un esame in contemporanea da parte di tutti i Parlamenti nazionali degli Stati membri: il programma legislativo e di lavoro della Commissione e i programmi annuale e pluriennale del Consiglio sono assegnati per l’esame delle parti di rispettiva competenza da tutte le commissioni permanenti, ciascuna delle quali nomina un relatore incaricato di riferire alla XIV commissione e da quest’ultima per l’esame generale. La commissione “politiche dell’Unione europea” anche avvalendosi

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Al Senato, però, è possibile evidenziare alcune specificità: si prevede, infatti, che quando gli atti esaminati riguardano le istituzioni o la politica generale dell’Unione è sempre competente per l’esame la 14ª commissione, mentre la 1ª e la 3ª commissione, Affari costituzionali e Affari esteri, possono farle pervenire osservazioni e proposte che sono allegate al parere della prima468. Sempre in Senato, alla commissione per le politiche dell’Unione è attribuita la facoltà di inviare al Governo, per il tramite del Presidente del Senato, il parere formulato sul progetto di atto normativo comunitario, qualora la commissione permanente competente per l’esame, dopo quindici giorni dalla trasmissione del parere, non si sia ancora pronunciata. Questa disposizione (art. 144 bis, comma 5, reg. Sen.), che consente di abbreviare i tempi della procedura, è stata applicata per la prima volta nella seduta del 31 luglio 2007 dalla 14ª commissione permanente.

Nella XV legislatura è stato istituito in seno alla 14ª commissione del Senato un “comitato per la fase ascendente”, il quale ha ricoperto il delicato compito di selezionare i documenti comunitari da sottoporre all’esame, in modo da consentire alla commissione di concentrarsi esclusivamente sui progetti ritenuti più rilevanti. Durante la XVI legislatura tale scelta è stata confermata al Senato ed è stata seguita anche alla Camera. Peraltro, tali comitati (proprio come accade per la presidenza delle commissioni affari europei nei Parlamenti del Nord Europa), composti, alla Camera da 19 deputati, al Senato da 12 senatori, sono presieduti da un esponente dell’opposizione, rimarcando così il carattere necessariamente consensuale della fase di screening degli atti preparatori della normativa comunitaria e evitando che di essa si impadronisca la sola maggioranza.

L’attenzione per la c.d. “fase ascendente” di formazione del diritto comunitario è piuttosto recente, poiché solo a partire dalla XV legislatura le Camere hanno iniziato a svolgere in maniera sistematica l’esame dei progetti di atti comunitari e dei documenti della Commissione europea, del Consiglio e del Parlamento europeo, in particolare, sia sotto il profilo della sussidiarietà che del merito469. dell’audizione di europarlamentari, presenta una relazione all’Assemblea che normalmente dopo il dibattito su di essa adotta un atto di indirizzo al Governo. Cfr. Camera dei deputati, Bollettino informazioni generali, Roma, XV legislatura, n. 2, 1 giugno 2006.

468 Questo è il procedimento a cui il Senato ricorre per l’esame del Programma legislativo e di lavoro annuale della Commissione europea.

469 Cfr. R. DI CESARE, p. 799 s.; M. CARTABIA-L. VIOLINI, Le norme generali sulla partecipazione al processo normativo dell’Unione europea e sulla procedura di esecuzione degli obblighi comunitari: Commento alla legge 4 febbraio 2005, n. 11, in

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Sino ad allora infatti tutto l’interesse del legislatore era concentrato sulla fase successiva all’approvazione degli atti comunitari, in particolare sulla c.d. “sessione comunitaria”470.

Infine, dal 2005, dietro l’incalzare dei Trattati, le descritte procedure per la c.d. “fase ascendente”sono state estese anche all’adozione dei pareri sulla conformità dei progetti di atti comunitari ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità da parte delle commissioni politiche dell’Unione europea. Sebbene i test sulla sussidiarietà promossi dalla COSAC abbiano incontrato l’iniziale avversione del Parlamento italiano, essi hanno stimolato l’applicazione delle citate disposizioni regolamentari (artt. 127 reg. Cam. e 144 bis reg. Sen.), sino a quel momento rimaste essenzialmente lettera morta. Accanto all’esame sul merito delle proposte di atti legislativi svolta dalla/e commissione/i competente/i per materia, le commissioni per le politiche dell’Unione, senza un forte coordinamento fra loro, invero, hanno “vagliato” i progetti comunitari rispetto ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Tuttavia, al primo “test pilota” condotto tra il 1 marzo e il 12 aprile 2005 sul c.d. “terzo pacchetto ferroviario” la Camera dei deputati non ha partecipato, ritenendo ultra vires l’anticipata applicazione del Trattato costituzionale non ancora entrato in vigore471.

Le Regioni, 2005, p. 475 s.; M. COLUCCI, L. 4 febbraio 2005, n. 11, “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”: la nuova disciplina della fase ascendente e discendente nazionale e regionale del diritto comunitario, in Il diritto della regione, 2005, p. 39 s.

470 Non ci si soffermerà in questa sede, invece, sulla riserva di esame parlamentare disciplinata dall’ art. 4 della legge n. 11 del 2005, su cui si veda, tra gli altri, A. VUOLO, cit., p. 546 s.

471 Cfr. A. ESPOSITO, La COSAC e il controllo di sussidiarietà: un caso di (parziale e problematica) anticipazione degli effetti del Trattato costituzionale , in Forum di Quaderni costituzionali, http://www.forumcostituzionale.it/site/index.php?option=com_content&task=view&id=3&Itemid=3#e , 2005. La 14ª commissione del Senato, invece, ha rilevato che una delle proposte di regolamento rientranti nel c.d. “pacchetto ferroviario” esaminato, quella sulla qualità dei servizi (COM (2004) 144 def.) “non appare coerente con il principio di sussidiarietà, in quanto non si limita ai trasporti internazionali di merci, ma si applica anche ai trasporti nazionali, materia questa che dovrebbe essere lasciata alla disciplina degli Stati, trattandosi di materia di competenza concorrente”. Resoconto sommario n. 100 della seduta dell’11 maggio 2005 della commissione per le politiche dell’Unione del Senato. Cfr. C. FILIPPINI, Le relazioni tra Parlamenti nazionali e istituzioni europee, in Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa: quali limitazioni all’esercizio dei poteri sovrani degli Stati, a cura di G. Adinolfi-A. Lang, Milano, 2006, p. 95 s., la quale rileva che al termine del primo “progetto pilota”, “altri tredici organismi parlamentari dei Paesi membri dell’Unione avevano parimenti individuato la mancanza di adeguate motivazioni o la presenza di violazioni nell’applicazione del principio di sussidiarietà;

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4.5 Il Trattato di Lisbona e le ipotesi di adeguamento del Parlamento italiano alla nuova disciplina

Tra il 2008 e i primi mesi del 2009 hanno avuto luogo quattro “test sulla sussidiarietà” coordinati dalla COSAC, secondo quanto previsto dal Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità annesso al Trattato di Lisbona. Sono stati esperimenti volti a collaudare i meccanismi di allerta precoce, che inizieranno a produrre i loro effetti dopo la ratifica. Ad esempio, è emerso che le commissioni “Politiche dell’Unione europea” del Parlamento italiano si sono pronunciate quasi sempre entro il termine prescritto e si è ormai consolidata la prassi di riservare una parte del parere espresso ai rilievi concernenti l’applicazione del principio di sussidiarietà.

Come tutti i Parlamenti degli Stati membri si stanno attrezzando a fare, anche quello italiano modificherà probabilmente le sue procedure d’esame dei progetti di atti comunitari472. La commissione competente

la XXXIII COSAC nel suo importante contributo di Lussemburgo ha dunque tenuto a sottolineare che la Commissione europea aveva avanzato giustificazioni insufficienti in merito all’applicazione di tale principio così come contemplato dalle disposizioni vigenti. Di conseguenza la COSAC invitava la Commissione a produrre in futuro delle motivazioni maggiormente approfondite”. La Commissione europea prima dell’avvio del test di sussidiarietà aveva avvertito i Parlamenti che sino all’entrata in vigore del Trattato costituzionale non avrebbe riesaminato la proposta, anche in caso di raggiungimento del quorum di un terzo dei voti. Al termine del primo “progetto pilota”, comunque, la Commissione non sarebbe stata oberata da alcun onere procedurale aggiuntivo, ovvero non avrebbe subito la c.d. “procedura di allerta precoce”, poiché i voti contrari pervenuti erano inferiori al quorum richiesto.

472 Anche le nostre Camere hanno interpretato estensivamente il testo del Protocollo n. 2 (sulla sussidiarietà e proporzionalità) annesso al Trattato, estendendo la loro attività di “vigilanza” al controllo del rispetto del principio di proporzionalità, così come si è potuto riscontrare in seno alla COSAC. Entrambi i principi considerati hanno una forte connotazione politica: quello di sussidiarietà, che viene in rilievo per le materie nelle quali le competenze dell’Unione non sono esclusive, è il riferimento per misurare la “sufficienza” dell’azione degli Stati membri e per valutare quale livello di governo, se quello dell'Unione, quello nazionale o, ancora, quelli regionali e locali, è in grado “di realizzare meglio gli obiettivi dell’azione prevista (art. 5 TUE, come modificato dal Trattato di Lisbona)”; quello di proporzionalità, invece, attiene alle “necessarietà” dell’azione, ovvero alla correlazione tra la condotta posta in essere e i fini da perseguire. Tuttavia, a prescindere dall’ampliamento fattuale dell’oggetto del controllo parlamentare rispetto al testo del Protocollo, i meccanismi di “allerta precoce” si attiveranno nella dialettica istituzioni comunitarie-Parlamenti nazionali solo riguardo al principio di sussidiarietà (come già stabilito in sede di Convenzione europea). Tale principio, pur mostrando una natura politica, può essere sottoposto con maggior facilità rispetto a quello di proporzionalità ad un controllo di carattere giuridico: con lo scrutinio sulla sussidiarietà si valuta, infatti, la legittimità del progetto esaminato, dato il rapporto tra la motivazione dell’atto e la sua base legale. Semmai, il principio di proporzionalità, visto come “limite interno al principio di

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a pronunciarsi sul rispetto del principio di sussidiarietà dovrebbe continuare ad essere quella per le politiche dell’Unione europea, per diversi motivi: 1) perché essa, sia alla Camera che al Senato “ha competenza generale sugli aspetti ordinamentali dell’attività e dei provvedimenti delle Comunità europee - ormai Unione europea - e dell’attuazione degli accordi comunitari”: i progetti di atti legislativi comunitari da sottoporre alla valutazione rispetto alla sussidiarietà riguardano le materie oggetto di competenza concorrente tra Stati membri e Unione. Le XIV commissioni eserciteranno in questo caso una funzione di controllo in senso speculare a quanto sono già abituate a fare quando vigilano sul rispetto da parte dei progetti di legge italiani dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost.; 2) i membri delle XIV commissioni sono quelli che hanno più contatti con la vita comunitaria, sia per i progetti di legge (nazionali) esaminati, primo tra tutti il disegno di legge comunitaria, che per le loro missioni presso le istituzioni a Bruxelles; 3) nel Senato, poi, la 14ª commissione vanta una composizione cangiante nelle competenze dei suoi membri, in virtù della loro “doppia appartenenza”, che torna utile nel momento dell’esame dei progetti di atti normativi e dei documenti di consultazione dell’Unione, presentati nelle materie più disparate (dal diritto di famiglia al libro bianco sullo sport, dal terrorismo ai servizi postali); 4) infine, perché le suddette commissioni si stanno già “allenando” dal 2005 con buoni risultati473, tanto è vero che il numero

sussidiarietà” (Cfr. A. MANZELLA, Il ruolo dei parlamenti nazionali nella vita dell’Unione, p. 340) potrà essere di supporto nell’esame.

473 Il coinvolgimento dell’Aula, dati i tempi ristretti per l’espressione del parere, è da escludere come criterio generale. Durante la XV legislatura è stata coinvolta e si è espressa sul VII Programma Quadro di attività comunitarie di ricerca, di sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013), su cui si veda R. DI CESARE, cit., p. 802 s. Si tratta, pertanto, di valutare pro e contro della partecipazione dell’Assemblea. Il suo coinvolgimento conferirebbe sicuramente una più forte legittimazione ai rilievi proposti dal Parlamento dinanzi alla Commissione europea rispetto all’intervento delle sole commissioni “Politiche dell’Unione europea”, ma allungherebbe senz’altro i tempi della procedura. A parere di chi scrive, inoltre, i test sulla sussidiarietà più che avere il fine di interdire l’adozione del progetto in funzione antagonistica rispetto alla Commissione europea, servono a far comunicare quest’ultima con i Parlamenti nazionali, a rendere più esaustive le motivazioni degli atti e, in un’ottica di better regulation, a fare in modo che l’Unione legiferi solo quando è necessario e in modo legittimo, rispetto alle competenze che le sono state attribuite. A tal proposito il meccanismo di early warning già contenuto nel Trattato costituzionale a cui, con ogni probabilità, si farà ricorso abbastanza spesso è più importante del nuovo, il c.d. “cartellino arancione”, che sarà usato solo in extrema ratio. L’obbligo per la Commissione europea di riesaminare la proposta, a seguito del raggiungimento del quorum, potrebbe agevolare la pratica di una produzione normativa comunitaria che

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dei progetti comunitari esaminati dall’inizio della XVI legislatura (ma essenzialmente da luglio del 2008) è di gran lunga superiore al numero delle proposte su cui si è svolto lo scrutiny durante la XV legislatura474.

5. Conclusioni. I Parlamenti nazionali nel “nuovo” ordinamento comunitario

Nonostante le incertezze relative alla entrata in vigore del Trattato di Lisbona, aldilà del dato contingente, si può ritenere che il coinvolgimento dei Parlamenti degli Stati membri dell’Unione nella “fase ascendente” di formazione del diritto comunitario in coordinamento con la Commissione europea è una questione che non sarà rimessa in discussione. L’orientamento assunto tanto dalla Commissione europea quanto dai Parlamenti nazionali lascerebbe intendere che, anche se si abbandonassero formalmente lo Yellow card mechanism e l’Orange card mechanism, il dialogo tra la principale titolare della potere di iniziativa legislativa comunitaria e le Camere degli Stati membri non sarebbe interrotto. Il repentino adeguamento di alcune Costituzioni nazionali, come quelle francese e tedesca, alle nuove disposizioni dei Trattati concernenti i Parlamenti nazionali, inoltre, lascia intendere che esiste anche la volontà degli Stati fondatori di dare seguito ai meccanismi messi a punto in sede di Conferenza intergovernativa.

È sempre più evidente, insomma, che la cooperazione interparlamentare nell’Unione si contraddistingue per alcuni elementi caratterizzanti rispetto alla complessa fenomenologia delle relazioni interparlamentari. Innanzitutto, vi è il dato non trascurabile secondo cui la cooperazione tra Parlamenti nell’ambito di processi di integrazione regionale, specie quando sono di lungo corso, assume dei tratti peculiari se paragonata a quella sviluppatasi in alcune organizzazioni internazionali con una diversa vocazione principale, come la tutela dei diritti umani475. All’interno di organizzazioni regionali, infatti, il rafforzamento della dimensione parlamentare spesso segnala un approfondimento del processo di integrazione. È quanto sta avvenendo, ad esempio, nell’ambito del Mercosur sul

sia oggetto di maggior ponderazione.474 La XV legislatura ha avuto inizio il 28 aprile del 2006 e si è conclusa

esattamente due anni dopo.475 A tal proposito, un esempio è rappresentato dall’Assemblea parlamentare del

Consiglio d’Europa.

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modello del Parlamento europeo: nel 2011 dovrebbero svolgersi le prime elezioni a suffragio universale e diretto del suo Parlamento, attualmente composto da delegati dei Parlamenti degli Stati membri, ad eccezione della rappresentanza del Paraguay che è già stata eletta dai cittadini. Analoghe considerazioni possono svolgersi per l’Unione europea dove l’ingresso dei Parlamenti nazionali nei procedimenti decisionali comunitari non è da considerarsi come un freno all’integrazione, ma piuttosto, da un parte, la reazione alle incessanti critiche sul deficit democratico e, dall’altra, il segnale che ormai sta prendendo forma un sistema parlamentare europeo476. Da questo punto di vista, è da escludere l’uso della locuzione “diplomazia parlamentare” per far riferimento all’azione dei Parlamenti degli Stati membri nell’Unione, giacché essi si muovono in un contesto che presenta maggiori affinità con quello di un ordinamento nazionale anziché quello proprio della comunità internazionale.

In conclusione, è possibile identificare alcune caratteristiche proprie della cooperazione interparlamentare nell’Unione europea477: 1) il ruolo preminente e spesso “ingombrante” giocato dal Parlamento europeo rispetto ai Parlamenti degli Stati membri; 2) l’effetto di rafforzamento della funzione di controllo parlamentare, sia nei confronti dei rispettivi Governi che nei riguardi delle Istituzioni comunitarie; 3) la partecipazione trasversale delle componenti politiche nazionali alla cooperazione; 4) la sottorappresentazione delle Seconde Camere nelle delegazioni; 5) l’influenza delle relazioni interpersonali e della personalità dei delegati; 6) l’importanza della cooperazione tra le amministrazioni parlamentari, in primo luogo attraverso il CERDP e l’IPEX; 7) la perdurante marginalità, nonostante le notevoli potenzialità, del ruolo dei gruppi e dei partiti politici a livello europeo sulla cooperazione tra Parlamenti nazionali e tra questi e il Parlamento europeo478.L’assenza di una classe politica negli Stati membri sensibile all’attività dell’Unione europea rappresenta un problema cruciale. La causa di questa grave mancanza è in primo luogo la non avvenuta

476 In qualche misura, il Tribunale costituzionale federale tedesco nella sentenza Maastricth-Urteil dell’ottobre 1993 aveva contribuito a prefigurare una simile impostazione della questione con riferimento all’ampliamento delle competenze delle Comunità europee e al rapporto tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo.

477 L’elencazione non segue un ordine di importanza delle caratteristiche evidenziate.

478 Vi sono stati, infatti, alcuni casi nei quali i gruppi hanno dimostrato di poter svolgere il ruolo di collettori delle istanze parlamentari europee, ad esempio all’interno delle Convenzioni che hanno redatto i progetti, rispettivamente, di Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e di Trattato costituzionale.

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trasformazione, a dispetto della rubrica del regolamento CE n. 2004 del 2003 sui partiti politici a livello europeo, delle federazioni di partiti nazionali in formazioni politiche propriamente europee. Anche considerando le proposte esaminate finora nel quadro della COSAC non si è manifestato un “comune sentire europeo” da parte dei parlamentari nazionali. Con ogni probabilità, una delle cause più accreditate di tale carenza è imputabile alla disciplina che regola lo svolgimento delle elezioni per il Parlamento europeo che, non istituendo circoscrizioni elettorali transnazionali, rende la competizione politica essenzialmente nazionale. Come ha dimostrato in particolare l’attività della Convenzione europea, infatti, la principale leva per il progresso dell’integrazione tra Stati membri è determinata dall’azione delle famiglie politiche europee che agevola la collaborazione tra Istituzioni nazionali e comunitarie. Sarebbe indispensabile, intanto, che i parlamentari nazionali, italiani compresi, “frequentino” più assiduamente e in modo più propositivo le sedute delle commissioni del Parlamento europeo e i meeting interparlamentari. Pur volendo assegnare a un ristretto numero di deputati e senatori nazionali con un solido background comunitario il compito di rappresentare il Parlamento italiano presso le Istituzioni dell’Unione, è essenziale che la consapevolezza dell’importanza del dialogo con le altre Camere nazionali e con l’Unione diventi un’acquisizione di tutti i parlamentari.

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LE ASSEMBLEE PARLAMENTARI COME VIE DI COMUNICAZIONE

DEL COSTITUZIONALISMO CONTEMPORANEO:SEDI ED ISTITUZIONI DEL DIALOGO TRA PARLAMENTI

Paper di sintesi degli esiti della ricerca PRIN 2006Coordinatore dell’unità di Roma-Luiss: prof. Nicola Lupo

1. Introduzione: scopi e oggetti della ricerca

La ricerca condotta dall’unità costituita presso il Centro studi sul Parlamento della Luiss Guido Carli si è proposta di fornire, per la prima volta in sede scientifica, un quadro sintetico ma completo delle principali forme di dialogo interparlamentare che interessano le Camere italiane.

Si muoveva da un’osservazione di carattere generale, secondo cui negli ultimi due decenni si è sviluppata un’ampia attività di tipo internazionale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, che ha coinvolto i Presidenti delle Assemblee (i quali hanno intensificato le sedi di cooperazione interparlamentare già esistenti, e ne hanno create di nuove), i singoli deputati e senatori e le commissioni (attraverso il ricorso assai frequente a missioni all'estero o a riunioni congiunte), oltre alle burocrazie interne (funzionari, dipendenti, collaboratori).

La domanda alla quale si è inteso iniziare a fornire elementi per una risposta consisteva essenzialmente nel comprendere se e in che misura dietro questo sviluppo fossero individuabili fattori reali, in grado di incidere sugli equilibri e sui rapporti internazionali, o se non fosse prevalente uno scopo meramente conoscitivo e di (pur necessario) confronto tra le diverse esperienze parlamentari.

Sulla base di questo presupposto, la ricerca si è articolata essenzialmente lungo tre filoni:

- un primo filone ha interessato le forme di cooperazione interparlamentare a livello globale, che hanno visto protagonisti uno o entrambi i rami del Parlamento italiano; a questo si è poi aggiunto l’esame delle forme di cooperazione interparlamentare, sempre a livello globale, che hanno coinvolto dal Parlamento europeo;

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- un secondo filone ha riguardato le forme di cooperazione interparlamentare in essere nel continente europeo;

- un terzo ed ultimo filone si è concentrato su quello che può considerarsi il punto più avanzato della cooperazione interparlamentare, ossia il ruolo dei Parlamenti degli Stati membri all’interno dell’Unione europea (ruolo significativamente potenziato per effetto delle novità introdotte dal trattato di Lisbona).

Nell’ambito di questi filoni, si sono esaminate distintamente le forme di cooperazione multilaterale (in particolare, in ambito ONU, WTO, Banca Mondiale, G8, NATO, OSCE, Partenariato euro-mediterraneo, dialogo parlamentare euro-asiatico, Associazione dei Parlamenti europei per l'Africa e Conferenze internazionali in campo ambientale) e quelle bilaterali (ad esempio, con i Paesi del Vicino e del Medio Oriente, con i Paesi delle Americhe, con i Paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'Oceania e con la Federazione Russa), le cooperazioni permanenti (ad esempio, nell’ambito delle Assemblee di delegati dei Parlamenti nazionali, dotate di un proprio segretariato e rappresentative della dimensione “democratico-parlamentare” di organizzazioni internazionali) e quelle contingenti (ossia le delegazioni dei Parlamenti nazionali designate ad hoc al fine di prendere parte ad un incontro interparlamentare la cui durata può variare da un solo giorno a diversi mesi, ma del quale si prevede in ogni caso una conclusione), e infine le cooperazioni più politiche (tra le quali i protocolli di cooperazione o di intesa e, in particolare, le esperienze delle Convenzioni che hanno elaborato, rispettivamente, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, nonostante si sia trattato di consessi a composizione non esclusivamente parlamentare) e quelle di carattere prettamente amministrativo (tra cui i programmi di assistenza ai Parlamenti, promossi anche a livello multilaterale, in particolare su iniziativa dell’Unione interparlamentare; e le iniziative volte a creare rapporti costanti e scambi di informazione tra le amministrazioni parlamentari sorte in vario ambito, spesso con un apporto significativo delle Camere italiane).

2. Le tesi principali

2.1. Si è in effetti registrato, nell’ultimo ventennio, un deciso sviluppo della cooperazione interparlamentare, in Italia, ma non solo.

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Per misurarne l’entità, si può riportare un dato, relativo agli eventi di carattere internazionale organizzati dalla Camera dei deputati: circa 600 durante la XIII Legislatura (1996-2001); 1.230 durante la XIV legislatura (2001-2006); 1.100 nella XV Legislatura, durata appena due anni (2006-2008).

2.2. Le cause di questo sviluppo possono rintracciarsi, essenzialmente, nella fine della guerra fredda, che ha consentito il superamento della logica dei due blocchi, liberando nuove prospettive sul piano de relazioni internazionali; e, più in generale, nell’incremento dei fenomeni di globalizzazione, ai quali i Parlamenti hanno cercato di reagire ampliando il loro ambito di intervento.

2.3. Con riguardo alla cooperazione bilaterale che ha coinvolto l’Italia, lo sviluppo di questa ha interessato più intensamente la Camera dei deputati rispetto al Senato della Repubblica, dal momento che quest’ultimo ha con maggiore fatica individuato, nel panorama comparato, Camere alte dotate dei medesimi poteri.

2.4. Sempre in Italia, lo sviluppo delle forme di cooperazione interparlamentare è stato fortemente incentivato dai Presidenti di Assemblea, i quali hanno anche indicato, di volta in volta, diverse priorità geopolitiche a tali attività, a seconda del peso politico e delle caratteristiche della figura presidenziale.

2.5. Oltre ai Presidenti di Assemblea, il ruolo principale nella cooperazione interparlamentare spetta alle delegazioni (specie permanenti) e alle Commissioni affari esteri, difesa e politiche dell’Unione europea; ma anche le altre Commissioni permanenti hanno sviluppato una serie di iniziative, specie nell’ambito dell’Unione europea, e con il coordinamento del Parlamento europeo.

2.6. Pur con qualche necessaria semplificazione, i principali caratteri delle forme di cooperazione interparlamentare possono individuarsi nei seguenti elementi: 1) l’assenza in capo alle Assemblee interparlamentari o alle singole delegazioni di un potere di decisione vincolante; 2) la mancanza di un “mandato ad agire” da parte dei delegati; 3) qualora vi sia una sede di cooperazione intergovernativa di riferimento, l’esercizio di una funzione di controllo o quanto meno di valutazione del suo operato; 4) la presenza di un regolamento interno che ne disciplina la composizione, l’organizzazione interna, la programmazione dei lavori, le modalità di deliberazione (quando la regola seguita per l’assunzione delle decisioni non è quella del consensus), gli atti; 5) la partecipazione bipartisan dei gruppi parlamentari in alcune delegazioni o proporzionale alla loro consistenza numerica in Assemblea (in ogni caso non vi è mai una

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presenza esclusiva della maggioranza); 6) la sottorappresentazione delle “Camere alte” nelle delegazioni; 7) lo scarso seguito che l’attività delle delegazioni riceve, anche quando molto significativa, presso le due Camere, e la difficoltà di creare raccordi stabili tra le delegazioni, da un lato, e le assemblee e le commissioni permanenti, dall’altro; 8) la forte influenza delle relazioni interpersonali e della personalità dei delegati ai fini del buon esito delle missioni.

2.7. Solo di recente si sono realizzate forme di raccordo tra le strutture amministrative di supporto delle delegazioni parlamentari, in particolare essendosi prevista, a partire dal 2008, l’unificazione della segreteria delle delegazioni parlamentari permanenti (seppure secondo il modello, già seguito per le commissioni bicamerali ma non particolarmente efficiente, dell’affidamento della segreteria ai funzionari dello stesso ramo del Parlamento cui appartiene il Presidente).

2.8. Quanto agli effetti della cooperazione interparlamentare, si è ricavato un quadro assai composito, nel quale, accanto a forme di cooperazione piuttosto deboli e occasionali, se ne sono affermate altre, permanenti e anche assai significative, come l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e quella dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa-OSCE.

2.9. In questo quadro, numerose (più di quanto si fosse inizialmente ipotizzato) sono le forme di cooperazione interparlamentare caratterizzate da significativi obiettivi politici. Non mancano, peraltro, esempi di cooperazione solo sporadica o occasionale e casi di sovrapposizione di iniziative (in particolare, si fa riferimento all’Assemblea parlamentare euro-mediterranea-APEM, istituita nell’ambito del Partenariato euro-mediterraneo e dell’Assemblea parlamentare del mediterraneo-PAM, nata invece in seno all’Unione interparlamentare).

2.10. L’introduzione di forme di cooperazione parlamentare nell’ambito di organizzazioni internazionali ha avuto, in genere, l’effetto di elevare il ruolo politico di tali organizzazioni. Ad esempio, questo è il caso dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

2.11. Le forme di cooperazione parlamentare hanno più volte consentito di superare difficoltà che ostacolavano l’instaurazione di relazioni diplomatiche tradizionali: ad esempio, si può ricordare come a partire dagli anni Ottanta il Parlamento italiano, soprattutto per iniziativa dei suoi Presidenti, si sia impegnato con successo a ristabilire contatti politici con le autorità di Paesi quali il Brasile, la Polonia e l’Argentina, ostaggio per lunghi anni di regimi autoritari e

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dittatoriali e i cui rapporti diplomatici con l’Italia si erano deteriorati. Ci si riferisce anche alle numerose attività, caratterizzate dall’informalità, condotte sotto l’ègida dell’Unione interparlamentare (tra Argentina e Regno Unito, durante la guerra delle Falkland-Malvinas, nel 1982) o dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea (tra la Colombia e le FARC, nella seconda metà degli anni Novanta).

2.12. La forma più strutturata di cooperazione interparlamentare è senz’altro quella che si è realizzata nell’ambito dell’Unione europea, la quale pure è stata oggetto, negli anni recenti, di evoluzioni assai significative, in nome delle quali anche i Parlamenti degli Stati membri possono prendere parte, con poteri non irrilevanti, al processo decisionale comunitario. Il che ha originato importanti riflessi – seppure, per ora, a regolamenti invariati – sulle procedure in essere presso le due Camere relative alla cosiddetta “fase ascendente”, di formazione del diritto comunitario, finalizzate in particolare ad assicurare il rispetto del principio di sussidiarietà (a titolo di esempio, se nei due anni che hanno luogo nel Parlamento italiano, specialmente alla partecipazione alla della XV legislatura il Senato italiano ha esaminato complessivamente 26 progetti di atti normativi comunitari, nel primo anno della XVI legislatura ha già effettuato tale scrutiny su 21 proposte).

2.13. La forma più antica di cooperazione interparlamentare, rappresentata dall’Unione interparlamentare, è tuttora attiva e significativa, e da tempo si propone – per ora senza successo – come possibile Assemblea parlamentare delle Nazioni unite, nell’ambito del processo di riforma della stessa organizzazione, finalizzato al riassorbimento del gap democratico rappresentato dalla composizione governativa dell’Assemblea generale. Negli ultimi anni, tale obiettivo ha registrato qualche passo avanti, anche grazie alla sempre più stretta collaborazione tra le due organizzazioni.

Infine, relativamente al dibattuto problema dell’utilizzo della locuzione “diplomazia parlamentare” e all’individuazione del suo significato, si può rilevare – seppure in via interlocutoria – che la dizione sembra essersi ormai affermata (anche al di fuori dell’Italia: ad esempio, in Francia, in Spagna e in Canada), seppure con un significato piuttosto atecnico, lontano da molti dei caratteri della diplomazia vera e propria (che resta prerogativa dei governi) e spesso sostanzialmente coincidente con quello, qui accolto, di cooperazione interparlamentare (seppure con l’esclusione, ad un estremo, della partecipazione dei parlamenti nazionali all’ordinamento dell’Unione

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europea; e, all’altro, delle mere forme di collaborazione amministrativa).

3. Le ulteriori prospettive di ricerca

Come ogni ricerca che si rispetti, anche questa ha in realtà aperto ulteriori prospettive, forse ancora più impegnative rispetto alle piste inizialmente individuate e a quelle fin qui battute. Si è tra l’altro scoperto che il tema di ricerca, sicuramente assai innovativo nel panorama italiano, appare invece frequentato in altri ordinamenti e anche all’interno di progetti di ricerca internazionali (come quello promosso dal Garnet Network of Excellence sul ruolo dei Parlamenti nei processi di integrazione regionale, i cui primi esiti sono oggetto del workshop del 7-8 maggio 2009 presso l’Università di San Paolo del Brasile).

In primo luogo, restano ancora da chiarire con maggiore esattezza le questioni terminologiche, sia con riferimento alla già richiamata espressione “diplomazia parlamentare”, sia con riguardo all’uso della locuzione “cooperazione parlamentare”, utilizzata qui come sinonimo di “attività internazionale dei Parlamenti” o di “relazioni internazionali dei Parlamenti”. Per sciogliere tali nodi, occorre probabilmente svolgere una riflessione ulteriori sulle funzioni in vista delle quali tale attività viene posta in essere, che appaiono invero assai variegate: partecipazione alla politica estera nazionale; controllo parlamentare delle organizzazioni internazionali; scambio delle esperienze legislative e regolamentari; dialogo tra i popoli e le civiltà; contributo ai processi di pace ed alle crisi regionali; supporto ai processi di democratizzazione; sviluppo delle famiglie politiche globali.

In secondo luogo, è emersa l’esigenza di approfondire l’analisi comparatistica, per comprendere in che misura lo sviluppo rilevato con riferimento al Parlamento italiano sia stato proprio anche di altre esperienze parlamentari; tanto più che le cause individuate alla base di esso appaiono legate ad evoluzioni del panorama istituzionale.

In secondo luogo, si è avvertito – in qualche modo in parallelo con quanto accaduto nell’ambito dell’Unione europea – che la cooperazione interparlamentare ha avuto modo di produrre risultati significativi specie nell’ambito di cooperazioni a livello regionale (continentale o sub continentale), dove spesso il sistema parlamentare dell’Unione europea (costituito dal Parlamento europeo e dai Parlamenti degli Stati membri) viene considerato un modello di successo. Meriterebbero perciò di essere esaminati più nello specifico

199

i casi della Conferenza parlamentare degli Stati del Mar Baltico, le iniziative assunte nel quadro del Patto per la stabilità per l’Europea sud-orientale (ora Consiglio della cooperazione regionale), e dell’Assemblea parlamentare della cooperazione economica nel Mar Nero; le cooperazioni in America latina (Mercosur), tra i Paesi ACP (Africa-Caraibi-Pacifico) ed europei (nell’ambito dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE), e tra i Paesi dell’Area euro-mediterranea (ossia, APEM, PAM e Unione per il Mediterraneo).

In terzo luogo, occorre ancora individuare con precisione – anche grazie alle risultanze delle altre unità di ricerca – i modi attraverso cui il canale del dialogo interparlamentare può consentire la circolazione dei modelli costituzionali (e legislativi). Il più delle volte, tale circolazione avviene attraverso modalità informali a livello politico o burocratico, oppure mediante occasioni formative. In particolare, attraverso i già citati Protocolli di collaborazione bilaterale (i quali prevedono numerosi incontri tra le delegazioni parlamentari finalizzati allo studio dei modelli legislativi adottati per la risoluzione di problemi comuni, come sicurezza, terrorismo e immigrazione, welfare, mercato del lavoro e sistema sanitario) oppure i Programmi di assistenza amministrativa o di institutions building (realizzati anche per favorire il consolidamento degli organi costituzionali dei nuovi Stati democratici).

Come esempio di canale informale di “trasmissione” dei modelli costituzionali, sviluppatosi a livello degli uffici di supporto essenzialmente grazie all’utilizzo di internet, può segnalarsi che il Parlamento europeo e i Parlamenti degli Stati membri dell’Unione europea usano una piattaforma telematica, l’Interparliamentary EU Information Exchange (IPEX), per scambiarsi informazioni rispetto all’esame svolto sui progetti di atti legislativi comunitari. In tale sede, in particolare, emergono le best practices quanto all’attuazione (anticipata rispetto all’entrata in vigore) del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità annesso al Trattato di Lisbona.

Come esempio di canale di comunicazione a livello politico può invece ricordarsi che, in ragione delle numerose innovazioni introdotte attraverso tale ultima riforma dei Trattati comunitari, la più parte delle Camere nazionali è stata recentemente impegnata, attraverso i propri rappresentanti permanenti di istanza a Bruxelles, riuniti in un apposito gruppo di lavoro presso il Parlamento europeo, in un esame congiunto sulle modalità di attuazione delle nuove disposizioni normative. Così facendo, la ricerca di soluzioni coordinate consente di ritenere, seppur

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tenendo conto delle specificità istituzionali di ciascun ordinamento, che la scelta di un determinato modello di scrutiny parlamentare sia assunta tenendo conto delle altre opzioni percorribili.

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PARLIAMENTARY ASSEMBLIES AS "ROUTES OF COMMUNICATION"FOR CONTEMPORARY CONSTITUTIONALISM:

PLACES AND INSTITUTIONS OF INTER-PARLIAMENTARY DIALOGUE

Summary Paper of the results coming out from the Research“PRIN 2006”

Coordinator of the Research Unit Rome-LUISS Guido Carli:prof. Nicola Lupo

1. Introduction: aims and subject of the research The research, carried out by the Unit established at the Centre for

Studies on Parliament at the LUISS Guido Carli University, has been intended to provide, for the first time in the Italian scientific context, a synthetic but comprehensive framework of the main patterns of Inter-parliamentary dialogue affecting the Italian Houses of Parliament.

According to the general remark, from which the research has moved, in the last two decades either the Chamber of Deputies or the Senate of the Republic have developed an extensive activity of international relevance, involving the Presidents of the Assemblies (who have intensified their contribution to the existing bodies of inter-parliamentary cooperation and promoted the creation of new ones), individual deputies and senators and the committees (through extremely frequent missions abroad or joint meetings), in addition to the parliamentary bureaucracy (officers, employees and collaborators/partners).

The Unit has been committed in collecting evidences trying to answer to the following question: whether and from what extent the abovementioned evolution could reveal key elements able to weigh on the international balance and relationship or, otherwise, it showed a mere cognitive/fact-finding purpose and the will to foster an exchange of experiences among parliamentary models and cultures.

Starting by this assumption, the research has been essentially accomplished along three paths:- The first one has dealt with the forms of inter-parliamentary

cooperation at global level of which the Italian Parliament is a member and therefore it has been added the study of the European Parliament’s role towards those forms of inter-parliamentary cooperation;

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- The second one has concerned the forms of inter-parliamentary cooperation within the Europe;- The third one has been focused on the inter-parliamentary

cooperation’s most advanced point of development that is the role of National Parliaments of the EU Member States (this role could be significantly strengthened afterwards the Treaty of Lisbon).

Within these streams of research, it has been investigated separately the forms of multilateral (particularly within the UN, the WTO, the World Bank, the G8, the NATO, the OSCE, the Euro-Mediterranean Partnership, the Euro-Asian parliamentary dialogue, the Association of the European Parlamentarians for Africa and International Conference in environmental field) and bilateral cooperation (for example with the Countries of the Near and Middle-East, of Africa, Asia and Oceania and with the Russian Federation), the forms of permanent cooperation (as, for instance, within the Assemblies of delegates from National Parliaments, provided with permanent secretariats and representative of the “parliamentary-democratic” dimension of international organizations) and those contingent (such as National Parliament delegations appointed ad hoc for taking part in inter-parliamentary meetings which last from a single day to several months but whose end has been already fixed) and, in the end, the more politically characterized forms of cooperation (among which there are Protocols of cooperation and Memorandum of understanding, as well as the experience of the Convention on the Charter of Fundamental Rights and Freedoms and that on the European Constitution, in spite of these assemblies did not have an exclusively parliamentary composition) and those based on the administrative cooperation (such as parliamentary assistance programs, promoted also at multilateral level and especially on the Inter-parliamentary Union’s initiatives and those aiming at creating steady relationship and parliamentary bureaucracy’s information exchange, thanks to the meaningful contribution of the Italian Houses of Parliaments).

2. The main thesis

2.1 Indeed, along the last twenty years it has been registered a pronounced development of the inter-parliamentary cooperation in Italy and abroad. In order to estimate its entity it can be showed some data related to the international events organized by the Chamber of

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Deputies: approximately 600 during the XIII Legislature (1996-2001); 1230 during the XIV Legislature (2001-2006); 1100 during the XV Legislature which lasted just two years (2006-2008).

2.2 The reasons explaining this evolution can be essentially traced to the end of the Cold War, which has allowed to overcome the logic of conflict between blocks introducing new perspectives on the ground of international relationship; and, more generally, to the increasing of the phenomena related to the globalization to which the Parliaments have tried to react extending their sphere of intervention.

2.3 With respect to the bilateral cooperation involving Italy, its development has affected more intensively the Chamber of Deputies than the Senate of the Republic because, within a comparative outlook, the Italian Upper House has hardly identified Second Chambers provided with similar powers.

2.4 Still in Italy, the evolution of the inter-parliamentary cooperation has been strongly promoted by the Presidents of the Assemblies who have pointed out, from time to time, different geopolitical priorities, according to the political weight and the features of the presidential figures.

2.5 Apart from the Presidents of the Assemblies, the principal role within the inter-parliamentary cooperation is assigned to the delegations (mainly to those permanent) and the Committees on Foreign Affairs, on defense and on the EU policies, but other permanent Committees have fostered a lot of initiatives as well, especially within the European Union and under the European Parliament’s coordination.

2.6 Though some necessary simplification, the main features of the inter-parliamentary cooperation can be detected from the following elements: 1) the absence of a binding decision-making power residing in Inter-parliamentary Assemblies and national delegations; 2) the lacking of a constraining mandate of the delegates; 3) if there is a relevant inter-governmental body, the carrying out of an oversight function or at least an assessment of its activity; 4) the adoption of rules of procedure which provide for the composition, the internal organization, the organization of business and the quorum and deliberations (when the rule does not prescribe the consensus); the bipartisan and /or proportional participation of parliamentary groups within national delegations (there are not cases of delegations exclusively composed by parliamentary majority); 6) the underrepresentation of the Upper Chambers within national delegations; 7) the limited follow up received by the delegation’s

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activity from the Parliament, even if very significant, and the difficulty to establish stable connections between national delegations and either assemblies or permanent committees; 8) the powerful influence of interpersonal relationship and of the personality of each delegate on the mission results.

2.7 Only recently it has been set up some forms of connection among parliamentary administrative structures which support the activity of the delegations, having been achieved the unification of the permanent delegations secretariat since 2008 (even if it has been chosen the model, already followed by bicameral committees and not very efficient actually, consisting in ascribing the secretariat to the officers from the same parliamentary branch of the Head of the delegation).

2.8 With reference to the effects of the parliamentary cooperation, it exists an extremely composite framework where forms of cooperation rather weak and occasional cohabit with other permanent and even very meaningful, such as the Parliamentary Assembly of the Council of Europe and that of the Organization for Security and Cooperation in Europe.

2.9 A number of forms of parliamentary cooperation (more than it was initially assumed) are marked by remarkable political aims. However there are also examples of sporadic cooperation as well as overlapping initiatives (it happens especially with regard to the Euro-Mediterranean Parliamentary Assembly - EMPA, set up within the Euro-Mediterranean Partnership and the Parliamentary Assembly of the Mediterranean - APM, created, instead, within the Inter-parliamentary Union).

2.10 The introduction of forms of parliamentary cooperation within the framework of international organizations has generally had the effect to enhance the political role of these organizations. Is the case, for instance, of the Parliamentary Assembly of the Council of Europe.

2.11 The forms of parliamentary cooperation have consented several times to succeed in overcoming difficulties that blocked the foundation of traditional diplomatic relationships: for example, it has to be reminded that the Italian Parliament, especially on the initiative of its Presidents, has successfully engaged itself since the Eighty in restoring political contacts with national authorities of Brazil, Poland and Argentina, remained hostages of authoritative and dictatorial regimes for a long time and whose diplomatic relationships with Italy were deteriorated. We also refer to the several activities, characterized by informality, conducted under the aegis of the Inter-parliamentary

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Union (between Argentina and the United Kingdom, during Falkland-Malvinas War in 1982) or the Presidents of the EU Parliaments (between the Colombian government and the FARC, during the second half of the Ninety).

2.12 The more structured form of inter-parliamentary cooperation has been realized within the European Union, which also has been affected by significant evolutions in recent years which have led the Parliaments of the Member States in participating, with not insignificant powers, in the EU decision-making process. It has been originating remarkable consequences – even if the regulations have been remained unvaried until now – on the Italian Parliament’s procedures with respect to the so-called “ascendant phase” of creation of EU Law, especially finalized in assuring the respect of the subsidiarity principle (for example, in the XV Legislature the Italian Senate examined 26 EU draft legislative acts on the whole; in the first year of the XVI Legislature, instead, it has already completed the scrutiny over 21 EU draft legislative acts).

2.13 The oldest form of inter-parliamentary cooperation, represented by the Inter-Parliamentary Union (it was established in 1889), is still active and significant, and for a long time it has been promoting itself – even if without success - as parliamentary Assembly of the United Nations, within the UN reform process intended to solve the problem of democratic gap because of the UN General Assembly’s intergovernmental composition. In the last years, this target has recorded a few steps further thanks to the increasing cooperation between the two organizations.

2.14 Finally, with regard to the largely debated question on the use of the expression of “parliamentary diplomacy” and its meaning, it can be can noted – even though in an interlocutory way – that this expression has seemed to impose itself (also outside Italy: for example, in France, Spain and Canada), even if without a technical meaning, far away from the features of the traditional diplomacy (which remains a government’s prerogative) and frequently coinciding with the expression “inter-parliamentary cooperation” (with the exception, on the one hand, of the participation of the National Parliaments within the EU decision-making process; and, on the other hand, of the forms of the parliamentary administrative cooperation).

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3. Further prospects of research

As every noteworthy scientific research, also this one has opened further prospects, maybe even more challenging with respect to the streams identified until now. Moreover, the theme of the research, surely very innovative within the Italian context, on the contrary is well-known in other institutional systems or within some international research projects (like that organized by the Garnet Network of Excellence about “Parliaments in regional integrations”, whose results were the object of the workshop organized in São Paulo, Brazil, on 7-8 May 2009).

First of all, there is still a need to clarify the terminological questions, either referring to the above mentioned expression “parliamentary diplomacy”, or concerning the use of the locution “parliamentary cooperation”, considered here as synonymous of “international activity of Parliaments” or of “international relationships of Parliaments”. In order to solve these questions, it should be probably required a further reflection on the functions to which this activity is intended to: participation in the national foreign policy; parliamentary oversight on international organizations; exchange of legislative and regulatory experiences; dialogue among people and civilization; contribution to peace and regional crisis; support to the processes of democratization; development of the global political families.

In the second place, it comes out the need to deepen the comparative analysis, aiming at understanding from what extent the Italian Parliament has been affected by the same processes typical of other parliamentary experiences; so much so the reasons explaining this phenomenon seem to be connected to the general evolution of the institutional framework.

In the third place, it has been observed – similarly to what happened within the EU – that the inter-parliamentary cooperation has produced significant results mostly at regional level (continental or sub-continental), where the EU parliamentary system (composed by the European Parliament and the Parliaments of the Member States) has been often considered a successful model. We should examine more closely the cases of the Baltic Sea Parliamentary Conference, the initiatives taken in the ambit of the Stability Pact for South Eastern Europe (now Regional Cooperation Council) and of the Parliamentary Assembly of Black Sea Economic Cooperation; the cooperation in South America (Mercosur), among the ACP States (Africa-

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Caribbeans-Pacific), and among the Countries of the Euro-Mediterranean (EMPA, PAM and Union for the Mediterranean).

In the fourth place, it is needed to determine accurately – also thanks to the results of the others research units – the ways through which the inter-parliamentary dialogue permits the circulation of constitutional (and legislative) models. This circulation is carried out most of all through informal channels at political or administrative level, or through formative trainings, in particular, through the already mentioned Protocols of bilateral cooperation (which provide for several meetings among parliamentary delegations in order to study legislative models adopted to solve common problems, such as terrorism, safety, immigration, labour market and health and welfare system) or the Technical Cooperation and Institution building Programmes (promoted also to favour the stabilization of constitutional institutions within the new democratic States).

An example of informal channel of “transmission” of constitutional models, developed also through the contribution of internet, is the Inter-parliamentary EU Information Exchange (IPEX), a telematic platform used by European Parliament and EU National Parliaments to exchange information about the examination of European draft legislative acts. In this place, particularly, the best practises about the implementation (anticipated respect to its came into force) of Protocol on the application of the principles of subsidiarity and proportionality, annexed to the Treaty of Lisbon, raise.

As example of channel of communication at political level it can be recalled that, due to the several innovations introduced through this latest reform of the EU Treaties, the most part of the National Assemblies, through its permanent representatives in Brussels and reunited in a working group at the European Parliament, has recently engaged itself in a “joint” scrutiny about the modality of fulfilment of the new rules. In this way, the research of coordinated solutions allows, even though calculating the differences among institutional systems, that the selection of a specific model of parliamentary scrutiny is taken calculating the others options.

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APPENDICE

TRA LA “DIPLOMAZIA PARLAMENTARE” E LA POLITICA ESTERA:IL NUOVO RUOLO DELLE ASSEMBLEE ELETTIVE.

INTERVISTA ALL’ON. LUCIANO VIOLANTE479

intervista di GIANLUCA AMICO

DOMANDA: Secondo Lei qual è la distinzione tra la “diplomazia parlamentare” e la “cooperazione interparlamentare”?

RISPOSTA: La diplomazia parlamentare è un metodo e consiste in incontri e colloqui tra le autorità di ciascun Parlamento. La cooperazione tra i Parlamenti è lo scopo di quelle attività e si sostanzia nel rinsaldamento dei rapporti tra le istituzioni parlamentari e in iniziative specifiche. Alcune di queste iniziative possono dar vita a Gruppi d’amicizia tra parlamentari di Paesi diversi; o alle cosiddette Grandi Commissioni, un’esperienza che iniziò con la mia Presidenza durante la quale firmammo, ad esempio, Protocolli di cooperazione con la Duma di Stato russa, e con le Cortes spagnole che prevedevano scambi periodici su un’agenda predefinita. Altra forma di cooperazione è la formazione dei funzionari parlamentari di altri Paesi di meno consolidata democrazia.

D.: Cosa pensa delle teorie secondo le quali la diplomazia parlamentare ha caratteristiche più politiche, penso alle iniziative dei Presidenti d’Assemblea, mentre la cooperazione interparlamentare pur rientrando nella locuzione “diplomazia parlamentare” concerne un aspetto più amministrativo, ad esempio le Grandi Commissioni o i Protocolli di collaborazione tra Paesi.

R.: Questa distinzione non mi convince. Certo, le iniziative che vedono direttamente coinvolti i Presidenti hanno un certo tasso di

479 Luciano Violante, già deputato nelle legislature VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV e XV, è stato Presidente della Camera dei Deputati nella XIII legislatura (dal 1996 al 2001). L’intervista è stata pubblicata nella sezione Parlamento della rivista on-line www.amministrazioneincammino.luiss.it il 10 ottobre 2008.

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politicità; ma se una Commissione di parlamentari italiani si incontra con i colleghi russi mi è difficile catalogare questo incontro tra le relazioni “amministrative”. Piuttosto aggiungo che nella diplomazia parlamentare rientrano anche incontri tra Commissioni omologhe di Parlamenti diversi, tra le Commissioni esteri, o bilancio, o affari costituzionali, ad esempio. Questi incontri sono utili perché fanno il punto sulle politiche di settore dei diversi Paesi, accrescono le conoscenze, sprovincializzano le culture.

Specifiche iniziative parlamentari possono poi aiutare le relazioni generali tra i Paesi.

Nel caso dell’Iran, feci pubblicare in Italia il libro del Presidente iraniano Khatami, a cui scrissi la prefazione. Questo gesto suscitò notevole interesse in Italia e soprattutto in Iran perché era la prima volta che un Paese occidentale si prestava ad una collaborazione così aperta con loro. Dopo la mia visita in Iran nel 1998 e quella di Khatami in Italia nel 1999, ci sono state diverse visite tra i Presidenti e tra autorità di Governo. Credo che l’Italia fosse il primo Paese ad accogliere il Presidente iraniano. E ho l’impressione che se ne siano avvantaggiate anche le relazioni commerciali.

Un altro esempio riguarda la Spagna. Nel 1998 venne in visita a Roma la Coppia Reale spagnola. Il Re parlò in Aula e questo servì a rafforzare le relazioni tra Spagna e Italia perché era un onore concesso a pochissimi. Ritenni che era giusto farlo, perchè corrispondeva all’interesse del Paese sviluppare i rapporti che già erano strettissimi.

Bisogna però distinguere nettamente la “diplomazia parlamentare” dal “turismo parlamentare”, che è fatto di viaggi e chiacchiere a spese dei cittadini.

D.: Quale deve essere il rapporto tra la politica estera del Governo e quella del Parlamento?

R.: Non esiste la politica estera del Parlamento. La politica estera è fatta dal Governo. Perciò tutte le iniziative estere del Parlamento devono essere concordate con il Governo. In alcuni casi può accadere che il Parlamento, d’intesa con il Governo, assuma iniziative utili al Paese ma che il Governo non può assumere direttamente perchè sconsigliate dalla fase della situazione internazionale. La diplomazia parlamentare, in definitiva, non deve mettersi in collisione col Governo perché così danneggerebbe il Paese. Può anzi sicuramente aiutare l’Esecutivo nel caso in cui non ci siano le condizioni mature

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per una determinata apertura diplomatica, che tuttavia risponde all’interesse nazionale.

D.: Come in occasione della mediazione europea nel conflitto tra lo Stato della Colombia e le FARC (le Forze armate rivoluzionarie)?

R.: Il Presidente della Colombia, Andrés Pastrana, avviò un processo di pace con le FARC, aprendo a quella organizzazione un territorio assai vasto, in cui le FARC avrebbero potuto governare senza intromissione delle forze armate colombiane, logicamente all’interno della legalità e senza commettere soprusi. Loro parallelamente si impegnavano a non uscire da quel territorio e a continuare le trattative per la pace. In questo quadro, le FARC vennero in Europa e incontrarono una serie di Presidenti di Parlamenti, tra i quali il sottoscritto.

Successivamente il Presidente Pastrana, attraverso l’ambasciatore colombiano a Roma e le FARC, attraverso il loro numero due Raul Reyes, recentemente ucciso in un attentato, mi chiesero di svolgere una sorta di mediazione tra loro. Dopo aver consultato le autorità italiane e i Presidenti di alcuni importanti Parlamenti europei, accettai e posi come condizione che ai colloqui partecipasse anche un ministro del Governo colombiano. Andai in Colombia, incontrai prima il Presidente Pastrana e alcuni ministri del suo Governo e poi incontrai lungamente nella giungla una delegazione delle FARC, avendo sempre con me il ministro colombiano che seguiva le trattative di pace.

Il dialogo si arenò su un punto: la droga. Dissi loro che i Presidenti dei principali Parlamenti sarebbero stati disponibili a cooperare all’opera di mediazione, ma l’impegno a non entrare o ad uscire dal traffico di cocaina era per noi un presupposto essenziale. Posi perciò come condizione per il prosieguo del dialogo una presa di posizione contro il traffico di stupefacenti, ma i miei interlocutori furono equivoci. Mi risposero che non erano narcotrafficanti. In realtà non solo non impedivano, ma esigevano tangenti sul passaggio degli stupefacenti. La trattativa si arenò perché sostenevano che nel traffico di droga era coinvolta tutta la Colombia che contava e che avrebbero dovuto essere altri ad allontanarsi per primi da quell’affare. Può darsi che avessero ragione; ma non erano in grado di prendere impegni. Poi la situazione si deteriorò. Le FARC e i paramilitari, al soldo dei grandi proprietari terrieri, riaprirono il conflitto. Il Presidente Pastrana non si

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ricandidò, perché per una regola costituzionale allora vigente il Presidente poteva essere in carica per un solo mandato. Gli successe Álvaro Uribe il quale aveva una linea completamente diversa.

D.: A proposito del traffico di stupefacenti, Lei ha sempre dedicato un’attenzione particolare a questo tema. Le Assemblee elettive con quali strumenti possono agire per rendere sempre più incisiva la lotta contro la criminalità organizzata e il traffico di stupefacenti?

R.: É una materia che rientra nella competenza dei Governi. Ma i Parlamenti possono aiutare, ad esempio, per rendere più efficaci le leggi e nel controllo dei diversi apparati dello Stato attraverso le Commissioni permanenti. L’Italia coopera anche attraverso la Commissione Antimafia. Spesso tra i diversi Parlamenti ci sono confronti sulla legislazione, sull’organizzazione delle forze di polizia, sugli strumenti più efficaci contro problemi criminali comuni.

Mi è capitato, da Presidente della Commissione Antimafia, di tenere un corso di lezioni su “la via italiana per la lotta al crimine organizzato” alle forze di polizia tedesche, su loro invito. Fui anche invitato al Bundestag a spiegare costi e vantaggi delle intercettazioni ambientali. Esperienze analoghe hanno fatto altri colleghi. Nella scorsa legislatura una delegazione del Parlamento iraniano insisteva perchè visitassimo il confine con l’Afghanistan per constatare il loro impegno nella lotta contro i boss della droga afgani. In questo scontro, che è un aspetto della guerra afgana, gli iraniani hanno perso migliaia di uomini appartenenti alle forze armate. L’Iran chiede che l’Occidente riconosca il suo sacrificio nella lotta contro i trafficanti, visto che anche l’Occidente trae qualche vantaggio da una riduzione del traffico. Non mi pare che abbiano torto e spero che in questa legislatura quel viaggio si possa fare.

D.: Durante la XIII Legislatura l’attività internazionale bilaterale del Parlamento italiano si è intensificata anche alla luce del processo di globalizzazione. Se consideriamo anche la XIV e la XV legislatura, risulta evidente un coinvolgimento sempre crescente delle Camere in eventi di carattere internazionale. Verso quali regioni geopolitiche Lei ha rivolto maggiore attenzione?

R.: Ho considerato innanzitutto l’opportunità di mantenere strettissimi rapporti all’interno dell’Unione Europea. Con i Presidenti

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degli altri Parlamenti europei lavorammo anche sulle modalità della produzione legislativa. La proposta che presentai fu approvata da tutti come modello principe e sulla base di quella esperienza riformammo successivamente il Regolamento della Camera. Comunque badai, innanzitutto, a mantenere una coesione all’interno dell’Unione Europea, attraverso relazioni frequenti tra i Presidenti, e quindi ad agire, quando era possibile, come Unione Europea delegando, di volta in volta, uno dei Presidenti.

Parallelamente cercai di sviluppare il massimo di rapporti con i Paesi del Mediterraneo e con gli Stati che su questi esercitavano una forte influenza, come l’Iran.

In molti Paesi del continente americano scoprii il peso politico delle comunità italiane. Da quella constatazione nacque una giornata di lavoro a Montecitorio con tutti i parlamentari dei vari Paesi del mondo di origine italiana.

D.: E l’area del Mediterraneo?

R.: L’Italia può avere un peso geostrategico rilevante in Europa se ha un ruolo nel mare Mediterraneo che, quando ero Presidente della Camera, si avviava a ridiventare un mare centrale nei traffici commerciali. L’Italia non dovrebbe concepirsi come appendice meridionale del continente europeo, ma come ponte strategico tra Europa e Africa, l’unica area verso la quale l’Europa può espandersi, ammesso che i cinesi, già molto presenti nelle aree subsahriane non arrivino ad occupare anche l’Africa del Nord.

L’apertura delle relazioni tra Oriente e Unione Europea sta facendo sí che un flusso crescente di traffici passino dallo stretto di Suez attraverso il Mediterraneo. In questo contesto organizzammo una serie di lavori con l’Iran, la Grecia e l’Egitto, una sorta di “Quadrilaterale sul Mediterraneo” per intensificare i rapporti. L’obiettivo era di costruire una relazione stretta tra i quattro Paesi attorno ad un’idea del Mediterraneo intesa come area culturale non geografica, attraendo quindi tutti i Paesi che vi gravitano attorno. Poi, dato che l’economia ha un peso determinante nelle relazioni internazionali, il Governo dovrebbe pensare ad attrezzare i nostri porti per ricevere quelle merci. Ma non mi pare che né l’attuale Governo né i precedenti abbiano posto mente a questo problema e nel frattempo fioriscono gli altri porti del Mediterraneo, Tunisi, Malta, Barcellona. Ma la cooperazione interparlamentare mediterranea continua e mi pare che attualmente la presidenza sia stata affidata proprio al Presidente Fini.

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D.: Ha ricordato l’importanza del Mediterraneo per mantenere e rafforzare i rapporti con i Paesi dell’Area. Alla luce dei fatti dell’11 settembre 2001, della guerra al terrorismo e dei conflitti armati degli ultimi anni, quale può essere il ruolo delle Assemblee elettive e delle Organizzazioni interparlamentari nell’ambito dei rapporti col Medio Oriente? Lo sviluppo del dialogo euromediterraneo può contribuire a rasserenare i rapporti con il mondo islamico?

R.: L’attentato alle due Torri di New York e la guerra che ne è conseguita hanno spaccato il Mediterraneo. Oggi è sempre più difficile sanare la frattura tra Occidente e mondo islamico causata dallo scontro tra gli opposti radicalismi. Quindi, certamente dopo l’11 settembre le cose sono molto cambiate.

Il ruolo dei Parlamenti in questo quadro potrebbe essere relativo alla ricostruzione dell’idea stessa di “Parlamento” e di “democrazia” sia in Afghanistan che in Iraq, laddove ci sono problemi gravissimi che sfuggono ad una valutazione “nostra” perchè ci sono delle questioni di fondo che la differenziano. I Parlamenti dell’Unione Europea, insieme, potrebbero contribuire significativamente ad una nuova strategia di aiuto alla costruzione della democrazia. Alcuni problemi della democrazia può risolverli solo la democrazia.

D.: Ad esempio, attraverso i Programmi di Assistenza ai Parlamenti che prevedono anche la formazione dei funzionari parlamentari?

R.: Certamente, ma anche con la discussione sui caratteri e sui valori i un Parlamento moderno: la pluralità di posizioni nel confronto politico, il rispetto delle procedure e del loro esito, il rapporto con il Governo. Tutto questo può certamente aiutare quei Paesi ad uscire dalla preistoria costituzionale nella quale si trovano.

D.: Emerge però un’idea di Parlamento inteso in un’accezione, potremmo dire, “Occidentale”. Secondo Lei è possibile che, ad esempio, in un Paese come l’Afghanistan, nel quale si è recato anche recentemente, un Parlamento inteso in questo modo riesca a radicarsi?

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R.: Il modello è quello costruito in Occidente dalla fine del ‘700. Non bisogna dimenticare peraltro che la rappresentanza nasce in Grecia con le assemblee, quindi fa parte della nostra tradizione. Omero per descrivere il carattere selvaggio di alcune popolazioni dice che “non avevano assemblea”. Ma il Consiglio degli anziani non è una invenzione occidentale, in Afghanistan c’è la Jirga, ad esempio; la Shura in molti Paesi islamici. Qualcosa del genere esiste in tutti i Paesi del mondo. Un’assemblea di persone selezionate attraverso particolari criteri, che si riuniscono per decidere insieme per il benessere della comunità, appartiene praticamente alla storia di qualsiasi comunità umana.

La tradizione occidentale, nella quale il Parlamento si è sviluppato più che altrove, prevede la scelta dei rappresentanti da parte dei cittadini, la divisione secondo opinioni politiche, l’articolazione in maggioranza e opposizione. È chiaro che non si può andar a trapiantare automaticamente il nostro modello; ma sulla base della nostra tradizione, e conoscendo le loro esperienze, è possibile proporre delle soluzioni utili. Non bisogna però dimenticare la storia di quei Paesi. Dopo la guerra in Iraq, Condoleeza Rice disse in un’intervista che non ci sarebbero stati problemi per la costruzione della democrazia a Kabul come a Baghdad. Si sarebbe fatto come in Italia e Germania: sconfitte le dittature sarebbe rifiorita la democrazia. La signora Rice ignorava la differenza che passa tra circa duemila anni di filosofia politica occidentale e la povertà della cultura politica di quelle aree.

Non si tratta perciò di portare un modello e imporlo come se fosse un prodotto da supermercato; si tratta di dire: “la nostra esperienza è questa, ora vediamo come quest’esperienza può esservi utile sulla base delle vostre caratteristiche”.

D.: Il problema della legittimazione democratica ci porta anche al gap di rappresentanza delle Nazioni Unite. Un’Assemblea parlamentare nella quale vi siano rappresentanti parlamentari nazionali di maggioranza e di opposizione, potrebbe essere una soluzione concreta?

R.: Nell’ambito delle Nazioni Unite, insieme ad altri colleghi posi il problema della rappresentanza, cioè di avere un’Assemblea in cui fossero rappresentati anche i Parlamenti, non solo i Governi come avviene oggi. In futuro andrà a finire così, come è accaduto per l’Europa. Naturalmente è più complicato di quanto non sia stato per il

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Parlamento europeo. Più le organizzazioni internazionali hanno peso, più si pone il problema che siano rappresentative.

D.: Lei aveva proposto di trasformare l’Assemblea dell’Unione interparlamentare nel braccio parlamentare delle Nazioni Unite. È una prospettiva realistica?

R.: Nei tempi brevi non è realistico; nei tempi medio-lunghi, invece, credo che l’Assemblea dell’Unione interparlamentare possa essere una istanza idonea a costituire la rappresentanza delle Nazioni Unite.

D.: Lei pone l’accento sull’importanza dei rapporti umani nella politica estera. Nel caso italiano, possiamo dire che la stabilità del Parlamento, rispetto alla durata dei Governi, favorisce la diplomazia parlamentare?

R.: I rapporti umani contano anche nella politica estera dei Governi. Un ministro degli esteri che stabilisce buoni rapporti anche personali con i colleghi aiuta il proprio Paese. Non ritengo quindi che la diplomazia parlamentare sia più efficace della politica estera del Governo. Può essere parimenti efficace e qualche volta può certamente aiutare i Governi, che restano però gli unici titolari della politica estera.

Il Parlamento può aprire strade che i Governi non potrebbero aprire, per ragioni politiche nazionali e internazionali, anche se volessero. Il Parlamento avvia rapporti che poi il Governo coltiva. Ma gli impegni per il Paese li prendono i Governi.

D.: Emerge però l’idea di un Parlamento da un lato innovatore, dall’altro incapace di rispondere alle nuove istanze presentate dalla globalizzazione. Nei suoi discorsi, spesso ha fatto cenno alla necessità di pensare strumenti nuovi che consentano di governare la globalizzazione.

R.: La globalizzazione comporta una competitività globale e la necessità che ciascun Paese sia attrezzato, con la qualità e la rapidità delle decisioni, a competere su questo terreno. I Paesi lenti sono esclusi dalla competizione globale. Da qui la necessità per i Parlamenti di adottare procedure decisionali più rapide, senza sacrificare la sostanza della democrazia. Questa è la sfida democratica

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dei nostri tempi: coniugare decisione e rappresentanza, velocità e democrazia. In questo quadro, infatti riformammo il Regolamento della Camera. Parlai, in quel caso, di “democrazia decidente” con riferimento alla democrazia che non si limitasse a rappresentare, ma fosse capace anche di decidere rapidamente.

D.: Un problema a mio avviso importante riguarda il mancato recepimento a livello nazionale delle decisioni assunte nell’ambito delle organizzazioni internazionali e interparlamentari. Si tratta di un problema di strumenti oppure vi è scarsa sensibilità politica da parte dei parlamentari?

R.: Qualunque parlamentare potrebbe presentare una mozione che proponga di recepire quanto deciso dagli organi internazionali. Non lo si fa perchè in genere si considerano queste attività come periferiche rispetto al cuore del Parlamento. Ed è difficile che l’oggetto del dibattito in una delle sedi internazionali venga spostato all’interno del Parlamento. E’ una dimostrazione di provincialismo, di scarsa attenzione al mondo fuori di noi.

D.: Ma due argomenti al centro del dibattito politico italiano in questi mesi: i diritti umani e la parità tra uomo e donna, sono stati prima oggetto di analisi, riflessioni e decisioni di molte organizzazioni come l’Unione interparlamentare.

R.: Ma la traduzione di questi dibattiti in norme è più difficile anche perchè nessuno sinora li ha sottoposti all’attenzione del Parlamento.

D.: Tra i due livelli di cooperazione, bilaterale e multilaterale, forse i Parlamenti preferiscono sviluppare rapporti bilaterali piuttosto che accettare limitazioni di sovranità derivanti dal recepimento di decisioni assunte in ambito internazionale.

R.: Direi che servono entrambi. Ad esempio grazie ad un ottimo Presidente della Knesset e con l’aiuto dell’allora Presidente del Parlamento austriaco, Heinz Fischer, oggi Presidente della Repubblica austriaca, organizzammo qui a Roma riunioni tra esponenti palestinesi ed israeliani, con la possibilità di approvare prese di posizioni comuni. Alla fine dei lavori, comunicammo i risultati ai

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rispettivi Governi. Poi, come accade in quel mondo, alcuni attentati rimettono in discussione tutto.

Tornando al tema, gli americani, ad esempio, preferiscono i rapporti bilaterali a quelli multilaterali perché temono di essere messi in minoranza; essendo la più grande potenza del mondo, preferiscono trattare direttamente con ciascuno Stato.

Con i Presidenti delle Camere dei Paesi del G8 cercammo di costruire delle iniziative che andavano in tre direzioni: accompagnamento dell’azione dei Governi, apertura di strade che poi l’esecutivo poteva seguire, ridefinizione di un ruolo sovranazionale dei Parlamenti.

D.: Se i parlamentari forse rischiano di fare del turismo parlamentare, il Presidente di Assemblea ha invece un ruolo predominante.

R.: Dipende da come si fanno le delegazioni. Se sono fatte in funzione di un obiettivo che si vuole raggiungere allora sono utili e non si fa turismo parlamentare. Solitamente la delegazione prevede due parlamentari di maggioranza e due di opposizione; si consultano i capigruppo sulla designazione, oppure è il Presidente stesso che procede alla nomina. Successivamente, si riuniscono i membri, si discute dei temi e degli argomenti su cui lavorare, si assegnano anche dei compiti, si fa in modo che tutto sia perfettamente organizzato in modo da avere tematiche specifiche a cui partecipano i parlamentari. Queste delegazioni sono luoghi di formazione dei parlamentari; gli incontri servono a maturare, a vedere mondi diversi e ad uscire dal provincialismo.

D.: Quali sono le fonti di riferimento in relazione al ruolo del Presidente di Assemblea?

R.: Il ruolo di un Presidente è determinato dalla sua credibilità. Se un Presidente è legittimato può agire più facilmente, perché il peso politico di un Presidente è ben presente agli ambasciatori e quindi alle rispettive autorità di Governo.

Quindi se il Presidente è in grado di gestire bene il suo ruolo, come ha fatto per esempio il Presidente Casini, e come sta facendo il Presidente Fini, è possibile svolgere al meglio anche una funzione internazionale.

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Ripeto: è molto importante la percezione che hanno gli ambasciatori accreditati della personalità del Presidente e del suo peso politico. Se si tratta di una personalità di scarso rilievo difficilmente troverà disponibilità nei suoi omologhi.

Tempo fa andai in visita in Yemen su invito del Presidente del Parlamento yemenita. Quando poi festeggiarono i 10 anni dell’indipendenza fui uno dei pochi invitati, se non l’unico, tra i Presidenti dei Parlamenti occidentali. Anche questo è importante per costruire relazioni grazie alle quali poi l’Ambasciatore invita uomini politici del Paese, costruisce rapporti che in futuro saranno utili anche dal punto di vista degli scambi commerciali.

Un aneddoto riguarda la visita in Cina, Corea del Nord e Giappone. La Cina si era dimenticata di avvertire la Corea del Sud che il nostro aereo avrebbe attraversato il loro spazio aereo. Ci fu un lungo parlarsi e ad un certo punto il Giappone acconsentì che si attraversasse il loro spazio aereo direttamente senza passare dalla Corea. Era la prima volta che il Giappone autorizzava il passaggio di un aereo direttamente dalla Corea del Nord. La chiamarono la “rotta italiana”. Queste sono piccole cose ma allo stesso tempo importanti perché coinvolgono le ambasciate e possono portare a costruire rapporti.

D.: Ha accennato alla dimensione parlamentare del G8. Il Senato italiano non ne fa parte perché gli altri Paesi si sono opposti. Il sistema istituzionale italiano limita o agevola il compito dei Presidenti?

R.: Le Camere Alte, in quasi tutti i Paesi hanno un ruolo meno politico delle Camere basse che sono quelle rappresentative e, quindi, quelle coinvolte in questo tipo di azione politica.

Il problema è che le relazioni internazionali delle Camere basse sono più facili perché hanno funzioni omogenee, i Senati invece sono strutturati in modo differente. Inoltre, mentre tutte le Camere sono elette direttamente, i Senati non hanno la stessa estrazione. Basti pensare al Senato tedesco, a quello francese o austriaco. Quindi è oggettivamente più complicato per i Senati avere relazioni proprio perchè non fanno le stesse cose.

D.: Quindi l’anomalia è del sistema istituzionale italiano?

R.: Sì, certamente. L’anomalia è del bicameralismo paritario italiano.

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