luigi padovese - onlusÉ morto “l’ultimo dei moicani”! p. roberto bello. l’ultimo a lasciare...

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Anno XLVIII n.6 - giugno luglio 2010 - Spedito nel mese di giugno 2010 - Poste Italiane s.p.a.- Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) - art. 1, comma 2, DCB Bergamo Mons. Luigi Padovese Ucciso a Iskenderun (Turchia) • 3 giugno 2010

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Page 1: Luigi Padovese - ONLUSÉ morto “l’ultimo dei Moicani”! P. Roberto Bello. L’ultimo a lasciare la terra di Eritrea e di Etiopia... uomo di fede, di sacrificio, veramente esemplare

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nº46)-art.1,comma2,DCB

Bergamo

Mons. Luigi PadoveseUcciso a Iskenderun (Turchia) • 3 giugno 2010

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Apprendiamo con sgomentola notizia dell'uccisione

di Mons. Luigi Padovesementre la rivista sta

per andare in stampa.

sommarioEDITORIALE 1

EMMECINOTIZIEAbbiamo fatto una lunga visitaalla nostra missione 2

FRA ROBERTO BELLOAddio a un gigante della missione 4Alcune mail ricevute dopo avercomunicato la morte di fra Roberto Bello 6

Un ricordo di fra Roberto 7

Il mio sogno è di esserevicino ai lebbrosi 9

FRA GIULIO SAVOLDIAbbiamo perso un amicoma acquistato un protettore 12

FRA UMBERTO PARISIl frate cercatore d’acqua 17

PROGETTI“Quando mai ti abbiamo vistoin prigione?” (Mt 25,44) 19

VOLONTARI IN MISSIONEI colori sembravano prendere vitae ballare con noi 22

SOSTEGNO A DISTANZAContribuire ad aiutare tanti bambinimi riempie il cuore 24

VOLONTARI PER LA MISSIONELa mostra missionaria al Santuariodella Madonna della Fontanaa Casalmaggiore 26

SPIRITUALITÀ...Èli, Èli lema sabactàniDeus meus Deus meus, quare... 30

Editore: MISSIONI ESTERE CAPPUCCINI ONLUSP.le Cimitero Maggiore, 5 - 20151 MilanoAut. Trib. di Milano n. 6113 del 30-11-62Direttore editoriale: Mauro MiselliRedattori: Agostino Valsecchi, Alberto Cipelli,Elisabetta Viganò, Lorenzo Mucchetti, Rita IntrocasoDirettore responsabile: Giulio DubiniRealizzazione a cura della Editrice Velar - Gorle (BG)Grafica: Anna Mauri

editorialeCarissimi amici e benefattori,sono molto contento di potervi raggiungere ancora una volta attraverso le pagine di questonumero dedicato al ricordo di tre nostri confratelli che il Signore ha recentemente chiamatoa sé; cosa che faccio volentieri avendo conosciuto personalmente padre Giulio e avendo vissutoe condiviso gran parte della mia esperienza missionaria con padre Umberto e padre Roberto.Penso che uno dei modi migliori per ricordare questi confratelli sia quello di continuarela tradizione biblica che già conosceva l’importanza del fare memoria dei carismi e dellafede dei padri. Mi sembra particolarmente significativo quanto scrive il Libro Sacro delSiracide (44,1-15): “Facciamo ora l’elogio di uomini illustri, dei nostri padri nella fede. Il Signoreli ha resi molto gloriosi: la sua grandezza è da sempre. Uomini rinomati, consiglieri per la lorointelligenza. Capi del popolo con le loro decisioni e con l’intelligenza della sapienza popolare;saggi discorsi erano nel loro insegnamento. Questi furono uomini di fede, e le loro opere giustenon sono dimenticate. I loro corpi furono sepolti in pace, ma il loro nome vive per sempre.I popoli parlano della loro sapienza, l’assemblea ne proclama la lode”.Queste parole che l’autore biblico applicava ai padri del popolo di Israele io vorrei applicarlealle figure dei nostri tre confratelli che in un modo o nell’altro, secondo i carismi e nelle variesituazioni dove il Signore li ha chiamati ad essere, hanno vissuto fedelmente la loro vocazionefrancescana e cappuccina di amore a Dio e al prossimo. Non mi sembra esagerato affermare chefurono tutti e tre missionari: padre Umberto e padre Roberto perché hanno speso tutta la lorovita sacrificandosi sino allo stremo delle forze, nel senso più concreto e letterale del termine,per il bene non solo delle comunità cristiane ma più in generale delle popolazioni in mezzo allequali vivevano, in Eritrea, Etiopia e Camerun. Padre Giulio invece, e di questo io ne sonotestimone di persona, è sempre stato animato da un profondo zelo missionario, anche se il suoministero si è svolto tutto in Italia, che si esprimeva non solo nella fraterna, costante e concretapreoccupazione per noi suoi confratelli impegnati in terra di missione, ma animava anche il suoministero di confessioni, ascolto e consolazione. La sua testimonianza quindi mi sembraparticolarmente significativa perché è un insegnamento e una dimostrazione di come si puòavere un ”cuore” missionario, anche vivendo e svolgendo la propria chiamata nella quotidianità,anche senza essere in terra di missione.Padre Umberto e padre Roberto invece hanno speso più di cinquant’anni in terra di missione.Ambedue si possono giustamente considerare colonne dell’attività apostolica missionaria deifrati cappuccini di Lombardia di questi ultimi sessant’anni ed anche benemeriti per lafondazione di nuove realtà missionarie. Padre Roberto, lasciata l’Eritrea, è stato uno deifondatori della missione in Etiopia distinguendosi in particolare nella carità verso gli orfani e gliemigranti italiani in quella nazione. Padre Umberto su richiesta dei suoi superiori lasciaval’Etiopia nel 1982 per fondare la nuova missione del Camerun: qui si è distinto non solonell’opera di evangelizzazione, ma anche per la sua sensibilità verso i concreti bisogni piùurgenti della popolazione, per esempio pozzi, acquedotti, strade e ponti, ed anche nei rapportiecumenici e con le religioni tradizionali.La loro testimonianza aiuti noi missionari ad essere sempre fedeli alla nostra vocazionemissionaria di evangelizzazione e promozione umana.Vorrei concludere ringraziando il Signore per averci donato questi confratelli e anche se ora loronon sono più fisicamente tra noi la loro memoria e la loro preziosa eredità sono ancora vive inmezzo a noi ed è nostro compito mantenerle, come ci esorta a fare ancora un volta la tradizionebiblica, così espressa dalle parole dell’autore della Lettera agli Ebrei: “Ricordatevi dei vostri capi,i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della lorovita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!” (Ebrei 13,7)Pace e Bene

fra Angelo PaganoCustode del Camerun

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collaborazione nellaformazione dei giovani fratitra le varie circoscrizionidell’Africa dell’ovest.L’accoglienza come al solitoè stata molto cordiale eaffettuosa e in tutti i conventisiamo stati ricevutimagnificamente sia dai fratisia dalle persone del luogo.Ora il nostro lavoro “ufficiale”è terminato ma, come ci hadetto il console dell’Angolache è stato ospite nel nostroconvento di Abidjan, il Signoreha deciso che dobbiamorimanere ancora in Costad’Avorio.Che sia la volontà di Dio nonlo metto in dubbio, esoprattutto che noi dobbiamoaccettarla è fuori discussione.Ma spero proprio che primao poi il vulcano islandesesmetta di eruttare e cilasci tornare in Italia al nostrolavoro per le missioni. �

che ha parlato con ognisingolo frate aiutato daltraduttore di fiducia fra Sergio;il mio compito invece è statopiù piacevole ed è consistitonel visitare i vari progettisostenuti dal CentroMissionario (sostegno adistanza, piaga di Buruli,scuole professionali...)per portare a casa i datiaggiornati.Il culmine di tutta la visita èstata certamente l’Assembleadella Missione che ha visto lapartecipazione di tutti i 25frati che operano in Costad’Avorio. Durante questaassemblea si è potuto fareil punto su ciò che si è fattoin questi anni a livello dievangelizzazione e di operesociali e le prospettivefuture del nostro Ordineanche per quello che riguardal’aumento costante dellevocazioni locali e la

EMMECINOTIZIE

In aprileil viaggio in

Costa d’Avoriodi fra Agostino

del CentroMissionario

Lamail della redazione diMissionari Cappuccini chemi chiede di stendere qualcheriga sulla nostra visita in Costad’Avorio mi ha raggiunto quiad Angrè, mentre siamobloccati a causa della nubeche si è sprigionata dalvulcano Islandese in attesache qualche aereo riparta.Ebbene sì, anche noi siamotra i milioni di sfortunati chesi sono trovati, loro malgrado,a sperimentare quantoveramente il mondo siaglobalizzato nel bene o nelmale.Basta infatti che un vulcanosperduto nell’estremo norddell’Atlantico decida disvegliarsi dal suo sonno,per bloccare il traffico aereodi tutto il mondo.Questo mi ha portato ariflettere sulla nostrapiccolezza di fronte allecalamità naturali. Noi che

pensiamo di essereonnipotenti con le nostrescoperte tecnologiche escientifiche, in realtà siamopiccolissimi rispetto alle forzedella natura che ci sovrastanoe che a volte fanno sentire laloro voce rimettendoci alnostro giusto posto.Ma arriviamo alla nostra visitaalla missione della Costad’Avorio. Anche qui in Africa,ci dicono i nostri fratelliAbidjanesi, il tempo èimpazzito. E mentre in Italiaormai a fine aprile l’invernonon vuole andarsene, inAfrica il caldo torrido non haintenzione di cedere il passoalle piogge ristoratrici. Eccoquindi che al nostro arrivosiamo stati accolti da un soleche spaccava le pietre e daun’umidità non inferiore al90% che a tutt’oggipersistono.Grande stima ho avuto nei

confronti dei nostri fratimissionari che continuanoinstancabili il loro lavoro infavore dei poveri in questesituazioni climatiche senzamai lamentarsi, comese lavorassero per tuttol’anno in agosto nel centro diMilano. Io invece il caldo l’homolto sofferto e con me i mieidue compagni di viaggio: fraAlessandro Ferrari, MinistroProvinciale e fra SergioPesenti, uno dei suoiconsiglieri.Come al solito il calendariodella visita fraterna è statomolto serrato e intenso. Inquindici giorni abbiamodovuto visitare tutte e tre lemissioni in cui siamo presentie considerando che quella piùlontana è a 10 ore di auto(se le strade sono buone) èdetto tutto. Durante la visitapoi il lavoro più difficile ètoccato al Ministro Provinciale

Abbiamo fatto una lunga visitaalla nostra missione

di fra AgostinoValsecchi

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Roberto Bello in Etiopia è stato pertantissimi anni cappellano dellacomunità italiana, una comunità chelo ha impegnato molto e a cui lui ha

dato molto. Nonostante avesse superato gliottanta anni di età non si è mai risparmiatonel cercare di aiutare specialmente i piùpoveri e bisognosi. Fra Roberto non si

limitava solo ad aiutare la comunità italianaseguendola nella sua vita spirituale con lacelebrazione dell’Eucarestia o dei sacramenti,con la visita a domicilio dei molti anziani emalati, ma si interessava anche della vitaquotidiana dei suoi fedeli. La comunità eracomposta anche da tanti ragazzi e ragazze,uomini e donne meticci che per un motivo o

non solo nelle campagne dell’Etiopia maanche nella capitale Addis Abeba. Ogni giornouna lunga fila, specialmente di giovani, venivaa bussare alla porta del convento alla ricercadi fra Roberto. Per tutti aveva una parola diconforto e incoraggiamento senza tralasciarel’aiuto materiale e spirituale. Spesso sirattristava perché non poteva soddisfare tuttele richieste. Questa sua bontà lo ha anchefatto soffrire molto perché più di uno di loro

se ne approfittava e qualchevolta lo metteva neiguai, sia con i suoiconfratelli sia conle autorità locali.Nonostante questo,ogni giornoricominciava di

nuovo

per l’altro non avevano avuto ilriconoscimento legale e quindi,pur essendo figli di italiani, nonavevano la cittadinanza italiana.Lui con il suo instancabile lavoro di ricercae di incontri in ambasciata è riuscito a farottenere a molti di loro la cittadinanzaitaliana e ad aiutarli a sistemarsi e formareuna famiglia.Era diventato anche cappellano dei cantieridella Salini, una ditta italiana presente inEtiopia da tanti anni e che si occupa dellacostruzione di dighe per centrali elettriche.Alla sua veneranda età non si spaventavadi fare centinaia di chilometri e diverse oredi viaggio in macchina pur di poter dare ailavoratori del cantiere l’opportunità di averela santa Messa, specialmente nelle grandifestività come il Natale, la Pasqua, l’Assunta,la commemorazione di tutti i santi e fedelidefunti e la festa di santa Barbara, patronadei minatori. Nel cantiere era diventatoil beniamino, il padre, il fratelloe il confidente di tutti.Fra Roberto sioccupava anchedegli etiopi,poveri erimasti senzatetto che perdiversi motivi(guerra, fame,siccità,abbondano)

di fra Alessandro Ferrari

È morto fraRoberto Bello,

un veteranodella missione

africana

FRA ROBERTO BELLO

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Il giorno 29 aprile il Signore ha chiamato a séfra Roberto Bello di 87 anni e per 56 anni

missionario in Eritrea ed Etiopia. Lo ricorda ilPadre Provinciale raccontando in particolare gliultimi anni della sua lunga storia missionaria

che ha davvero segnato un’epoca.

Addio a un gigantedella missione

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Èarrivato tra noi pochi anni fa, dopo 58anni di vita e di attività in missione.Era un momento per lui di grandesofferenza: lasciare quella terra di

Etiopia che era ormai diventata la sua terra,lasciare i suoi bambini ai quali aveva dedicatotanto tempo e tanta fatica era stata per luiuna prova terribile, che faceva fatica adaccettare.

Il suo amore per quella terra, per quellalunga e significativa esperienza non loesprimeva tanto a parole: era raro sentirloraccontare qualcosa di quello che là aveva fattoe vissuto. Quando gli si chiedeva cosa avessefatto in tutti quegli anni le sue risposte eranolaconiche: “Abbiamo lavorato, lavorato tanto”.Il suo amore lo si vedeva nella gioia che c’eranei suoi occhi quando lo veniva a trovare

sempre con lo stesso spirito, cioè quello difare del bene al prossimo.Fra Roberto nello stesso periodo seguivaanche le suore clarisse cappuccine dellequali era il cappellano e padre spirituale.Era anche il confessore degli studentidi filosofia e teologia; tantissimi sacerdotie religiosi lo cercavano per le confessionio per qualche consiglio spirituale.Un altro grosso impegno che fra Roberto haportato avanti in Etiopia è stato quello del“Centro Madonna della Vita” fondato dalCentro Aiuti per l’Etiopia. Il centro è unorfanatrofio dove venivano accolti gli orfaniche poi venivano adottati in Italia.Fra Roberto ne era il direttore e ciò

significava per lui andare avanti e indietrodai numerosi uffici governativi edall’ambasciata italiana.Si contano a migliaia i bambini che sonostati aiutati anche grazie all’intervento difra Roberto. Questo impegno si può dire chefra Roberto lo ha portato avanti finoa quando la malattia non lo ha costrettoa stare a letto. Infatti anche una voltarientrato a Milano, spesso la domenica siassentava e andava con i responsabili inItalia del Centro “Madonna della vita”,nelle parrocchie di gran parte dell’Italiaa parlare del progetto, dei suoi orfani edella situazione della sua missione.Davvero un missionario indimenticabile. �

FRA ROBERTO BELLO

Fra Dawit,studente dell’Etiopiache si trova a RomaBuona Sera Abba!!Domani mattina parto perMilano per pregare “per econ” P. Roberto Bello.Almeno per ringraziarlo pertutto ciò che ha fatto per lamia gente, soprattutto per ipoveri. Dawit

Fra Isaias,Vice Provinciale dell’EtiopiaGrazie per l’informazione.Siamo molto rattristati per lasua morte. Egli è stato ilPadre della vice provincia emodello di preghiera.Celebreremo una santamessa di suffragio qui aS.Salvatore.Ho comunicato a tuttii confratelli la sua morte.Abba Isaias

Una volontaria laicaIrlandese in Etiopia da piùdi vent’anniIo sono un po’ triste nelsentire della morte di abbaRoberto… Io dico un po’perché ero a conoscenza chenon godeva buona salute.Lo ricordo con moltoaffetto… io non parloitaliano lui non parlavainglese, ma in qualche modonoi riuscivamo acomunicare… sapevaquando non stavo bene onon ero contenta e aveva ilsuo modo per prendersi curadi me. Egli era un grandeuomo con un grande cuore…e posso dire con unpericoloso (forte)temperamento… oppure erasolo temperamento latino?!Credimi o no ieri sera eramolto chiara nella miamente la sua presenza.Questa sera la santa Messasarà in sua memoria. Agnes

Frei Apollonio Troesidalla missione del BrasileÉ morto “l’ultimo deiMoicani”! P. Roberto Bello.L’ultimo a lasciare la terra diEritrea e di Etiopia... uomo difede, di sacrificio, veramenteesemplare. Ho avuto a chefare con lui quando erosegretario per una chiesettada costruire e soprattuttol’ho visto all’opera quandosono stato una settimana inAddis Abeba. Alle quattro sialzava per andare acomprare quel poco pane –nero! – per la comunità delSalvatore. Entrava in quellafila lunghissimapazientemente, mentre noie i frati eritrei dormivamo.Alleluia a lui e alla schiera ditutti i missionari italiani chedal 1911 si sono avvicendatisu questa terra benedettache anch’io ho amato eaiutato. Amen

Ing. Eugenio Zoppisdella Salini cantiereMi dispiace molto ed horaccolto gli stessi sentimentiin Cantiere anche secertamente è volato inParadiso. Ci è mancato e cimancherà. Grazie per averciinformato.

Oggi 2 maggio 2010 adAddis Abeba Padre Roberto èstato ricordato nella S. Messadella Comunità Italiana.Qui di seguito ho raccolto icommenti ricevuti dai mieicolleghi che compongo,testimonianza e pensieri ditutta una Comunità.P. Roberto è stato anche ilSacerdote dei nostri Cantieri,seguendoci nei luoghi remotidell´Etiopia, come uncappellano con i suoimilitari, sempre con noinelle ricorrenze importanti,nei momenti belli come ibattesimi e nei momentitristi, quando il lavoro erapiù difficile o quando

dovevamo celebrare i nostricaduti. Sempre forte edavvero intrepido, hacondiviso con noi il freddoed il caldo, sempre cordiale,sempre abbracciandoci,benedicendo ed rimettendoi nostri peccati. E quando lofaceva, era pronto alperdono e ci diceva di riporrepeccati e tribolazioni tuttonel Cuore grande di Gesù .Il cuore di Padre Roberto eradavvero grande e sempreaperto; ci ha fatto capire chese il cuore di Padre Robertoera così grande quantodavvero immenso deveessere il cuore di Gesù.Ci ha seguito tutti,e ricordava tuttipersonalmente, ed era partedella nostra famiglia e deinostri affetti come un veroPadre. Abbiamo seguito ilperiodo del suo esiliodall´Africa e della suamalattia attraverso letelefonate, le rare nostrevisite a Milano e le notizie

che ricevevamo e chevenivano rimbalzate a tuttala comunità dei cantieri inEtiopia. La notizia dellascomparsa ci ha addoloratoma siamo anche lieti nellacertezza che Lui ora ciguarda dal Paradiso!Padre Roberto, ci hai lasciatidopo molti anni durante iquali, nei tristi e lietimomenti ci hai onoratodella Tua presenza. Da lassùdove la Vergine Santissima tiha riservato un posto,ricordaci come noi tiricordiamo in queste landedove tu hai passato la tuavita. Ci dicevi in lingua locale“Aizò”: coraggio, ragazzi.In mano tua commendoDomini.Grazie per l´opportunità el´onore a noi dati di poterdire qualcosa di PadreRobertoEugenio, Tarcisio e tutti ilavoratori italiani deicantieri in Etiopia.

Alcune mail ricevute dopo aver comunicato la morte di fra Roberto Bello

Un ricordodi fra Roberto

di fra Luigi Boccardo

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Uno scritto di fra Roberto che ci dona,per l’ultima volta, uno stralcio dellasua vita in cui emerge concoinvolgente passione il desideriomissionario di offrire la sua opera diaiuto e sostegno per i lebbrosidell’Eritrea. Che il suo esempio possaessere un monito per continuarel’assistenza ai malati e un impegnoper contribuire a sconfiggere ilterribile morbo.

Adir la verità, fin dagli inizi della miavocazione missionaria sognavo dipoter trovare la buona occasione dimettermi al servizio dei lebbrosi. I

superiori, accettando la mia richiesta, miinviarono nella missione dell’Eritrea: sbarcai aMassawa assieme ad altri tre confratelli il 27settembre del 1950. In Eritrea c’era ilproblema della lebbra e al tempo degli italianiera stato allestito un lebbrosario a Sceclaca,

ma a seguito degli eventi bellici non era più infunzione. Pertanto mi vidi sfumare lapossibilità di realizzare il mio sogno. Mirassegnai e accettai di essere mandato ainsegnare nel seminario maggiore dei nostriaspiranti etiopici alla vita francescana-cappuccina nella cittadina di Adi Ugri. Nonimmaginavo neanche lontanamente che cosìavrei iniziato un periodo abbastanza lungo,ben diciassette anni, di lavoro impegnativonella formazione dei nostri alunni aspiranticappuccini: prima come semplice insegnantepoi come vicerettore, rettore e superiore deinostri due seminari, Adi Ugri ed Embatkalla.Nel 1968 ero molto stanco, perciò i superioridecisero di darmi il cambio, mandandomi areggere la parrocchia di San Francesco inAsmara. Prima di assumermi in pieno l’attivitàparrocchiale, sentivo il bisogno di un periododi riposo. Chiesi al superiore il permesso diritirarmi in una delle nostre case religiosefavorevoli al riposo sia spirituale che fisico peril silenzio, per il clima. Il superiore colse subitol’occasione per farmi una proposta del tuttoinaspettata e cioè di recarmi a far vacanza nelGuraghe, dove da poco più di un anno si eraaperta una missione e si stava iniziando lacostruzione di un lebbrosario per bambini. Io,completamente all’oscuro di ciò, rimasipiuttosto freddo ed osservai: “Ci sono tantiposti belli e favorevoli al riposo qui in Eritrea,che bisogno c’è che io affronti un viaggiodisagevole di ben 1250 km, per una piccolavacanza?”. Il superiore insistette tanto che finiiper accettare. Dopo un lungo viaggio

(lo ricordano bene gli “amici della panchina”):quanti lo ricordano nella sua quotidianapasseggiata verso il Convento e nelle suecamminate per le strade del quartiere chesuscitavano soprattutto in estate, col caldo,apprensione in qualche parrocchiano che misegnalava l’opportunità di farlo stare un po’più tranquillo. Ma non era facile: perché sì,padre Roberto era anche caparbio, non eradavvero facile fargli cambiare idea.Era anche affezionato alla sua bella famiglia,che si è sempre interessata di lui con affetto eattenzione vigile e rispettosa: fino a quandoha potuto ha trascorso le sue vacanze con loro,coi suoi nipoti, nel suo paese nel quale adessotrova il suo ultimo riposo.Poi è arrivata la malattia, quel progressivodeterioramento delle sue capacità che è statal’ultima grande prova. Ha fatto fatica a capirequello che gli stava succedendo e nei suiatteggiamenti vi erano spesso momenti diribellione che finivano con un gesto e unaparola di rassegnazione: “come Dio vuole”,“ci vuole pazienza”.Non posso che dire grazie al Signore per padreRoberto, per la sua presenza in mezzo a noi,per la sua sofferenza accettata con fatica madentro una fede limpida e profonda: questa èstata la testimonianza più bella e più grandedel nostro “padre anziano”. �

qualcuno che là aveva conosciuto, magariqualcuno dei suoi frati che aveva seguito daragazzi e che lo ricordavano con affetto: allorala sua gioia era visibile, e si comprendevaquanto grande era il suo amore per quellaterra e per quella gente.Ma il Signore gli aveva chiesto di lasciareanche quello, di venire qui, in mezzo a noi aprestare il suo servizio di sacerdote. E lui haaccettato, con fatica, di vivere il suosacerdozio in mezzo a noi, dedicandosi conattenzione alla celebrazione eucaristica esoprattutto al sacramento della Penitenza, confedeltà e con disponibilità sempre grande.Il suo ministero lo viveva anzitutto nellapreghiera: non c’era Messa, non c’erafunerale in cui egli non fosse presente apartecipare con la sua preghiera, con la suaattenzione.Poi lo esprimeva nell’attenzione e nellapazienza con la quale si dedicava alsacramento della confessione, accogliendocon semplice simpatia tutti quanti, tanto daessere da molte persone ricercato edesiderato come confessore. Lasciava parlare,non parlava molto: ma questo ascolto era perlui certamente già una espressione dellamisericordia di Dio che sa accogliere tutti, nonsolo ascoltando e perdonando i loro peccati,ma accogliendo anche la loro miserie e lefatiche della loro vita.Un’attenzione che esprimeva anche nella vitaquotidiana: quante volte, mentre parlavamo atavola, pareva assente, immerso nei suoipensieri, per lascar poi capire con unasemplice osservazione o una esclamazione (laloquacità non gli è mai appartenuta) cheaveva seguito ogni parola con attenzione epartecipazione.Gli piaceva girare, stare in mezzo alla gente

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FRA ROBERTO BELLOSopra: fra Roberto e mons. Thomas Osmandialogano con alcuni volontari alla festa

dei Missionari Cappuccini a Noviglio.

Sotto da destra: fra Roberto, fra Raniero,mons. Luca Milesi e fra Rufino Carrara,

pilastri della missione in Eritrea.

Il mio sogno èdi essere vicinoai lebbrosi di fra

Roberto Bello

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ottenuto la collaborazione delle suoreComboniane. Le benemerite suore, oltre che abadare al buon andamento del lebbrosario sierano assunte pure il servizio alla clinica perammalati provenienti da tutto il nostrocircondario. A un chilometro dal lebbrosarioera stata costruita la missione: casa deimissionari, ambienti parrocchiali e scuole(con aule sufficienti fino alla sesta classe)frequentate da circa 300 alunni. Lì avevanoavviato anche un piccolo internato perassistere ed educare i bambini più bisognosiottenendo risultati lusinghieri nel riflesso ditutto il lavoro apostolico. Anche quicontavamo sulla valida collaborazione di unasuora Comboniana. Rimasi qui per sette annie mezzo finchè il superiore decise di darmi ilcambio con mio gran dispiacere. Ma ne avevoestremo bisogno. Pur passando in AddisAbeba, il mio cuore è rimasto sempre là enon mancai mai, come faccio tuttora, dicollaborare prestandomi per contribuire allespese necessarie di ogni tipo, dei medicinaliin particolare, onde alleviare gli impegni deiconfratelli e delle suore che continuanoindefessamente l’opera così bene affermata.Non potrò mai dimenticare la gioia procurataa quelle povere creature con l’assistenzaprestata per la loro guarigione e per la lororiabilitazione e il loro reinserimento socialecosì difficile per persone che erano state,durante la loro malattie, completamenterifiutate. Una volta venne ricoverata unaragazzina di 15 o 16 anni; aveva duemoncherini al posto delle mani e i piedinitutti deformati. Non potendo camminare eracostretta a star accucciata sul suo lettucciogiorno e notte; sembrava proprio di vedere ilpovero Giobbe sul letamaio. Iniziai subito laterapia abbinata ad una sostanziosa dietanutrizionale. Dopo tre mesi di cura le piaghesi erano completamente chiuse e la ragazza

aveva riacquistato la possibilità di camminaree collaborare con qualche piccolo lavoretto:quale gioia per quella piccola creatura. Ungiorno non poté trattenersi dall’abbracciarmi ebaciarmi ed io naturalmente mi guardai benedallo scansarmi: non avrei potuto per nessunmotivo soffocare e spegnere quella gioia chesprizzava da tutti i pori di quella ragazzina.Nonostante fossero rimasti i segni evidentidella terribile malattia lei si sentivatrasformata e rinata a nuove speranze e a unanuova vita. Il ricordo di tanta gioia ericonoscenza è stato, ed è tuttora per me, unamolla che mi tiene desto nello sforzo dicollaborare a prezzo di qualsiasi sacrificio peraiutare a estendere tale gioia ai numerosissimiammalati di lebbra che ancora si trovanosparsi nel mondo. Mi auguro di tutto cuore cheogni uomo di buona volontà, e in particolareogni buon cristiano, si unisca in uno sforzocomune nell’attuazione di questa grandeopera di assistenza ai lebbrosi, persuaso cheportando un po’ più di salute e di gioia, avràcontribuito certamente a rendere il mondo piùumano e cristiano. �

acquedotto. Alle pendici della collina c’eranodelle sorgenti d’acqua purissima. Fattalaesaminare in Addis Abeba risultò potabile. Conun’elettropompa veniva spinta in un serbatoiosul punto più alto della collina e così percaduta naturale serviva il lebbrosario, missionee popolazione. Infine fu costruita la casa per lesuore e la clinica per i malati esterni. Presto sipoterono accogliere i primi ragazzi colpiti dallalebbra che man mano andarono aumentandoa circa un’ottantina. Due problemi sipresentarono subito: l’assistenza come vitto,vestiti ecc. e l’assistenza medica. Alla prima cipensavo io. Avendo una Land Rover mi recavoa Welkitè (cittadina a circa 30 km daMeganasse) per l’acquisto di cereali e di ciòche era necessario. Per il secondo le suoreMissionarie tedesche, avendo aperto unpiccolo ospedale in Attat a 13 km daMaganasse, venivano periodicamente acontrollare i nostri lebbrosi: decidevano le cureappropriate, come pure stabilivano le date peraltri controlli e cure da farsi in Addis Abebapresso il centro di lebbrologia Alert. Era miocompito quello di accompagnare i ragazzi pertali controlli e cure. Un viaggio abbastanzafaticoso (di circa 400 km), andata e ritorno ingiornata, poichè in Addis Abeba non c’eraassolutamente la possibilità di trovare alloggioper quel tipo di malati. Naturalmente nonpotendo badare da soli al buon andamentodella grossa famiglia avevamo chiesto ed

arrivammo nel Guraghe: due gruppi difabbricati alla distanza di un km, da una partequelli della missione, dall’altra (ancora incostruzione) quelli del lebbrosario. Appenagiunto sul posto mi resi conto subito di quantosi stava facendo; sapendo però che passati almassimo due mesi sarei dovuto tornare allamia parrocchia non mi lasciai moltocommuovere e, com’era nel programma, fecile mie vacanze. Quando scrissi al superioreper avere il beneplacito del mio rientro insede, egli mi rispose di attendere la suavenuta. Pensavo che ciò volesse alludere a unrientro insieme. Invece egli, dopo averesaminato la situazione ed aver ascoltato lerichieste del reverendo padre Gabriele, michiese di rimanere come superiore dellamissione e collaboratore dello stesso padre.Di fronte a tale proposta che cosìinaspettatamente e facilmente mi offriva lapossibilità di realizzare il mio sogno dimettermi al servizio dei lebbrosi, si può benimmaginare come mi sentissi pronto adaccettare e ricolmo di consolazione e diriconoscenza verso il Signore che mi donavatanta grazia. Il luogo era magnifico, il climasplendido. Cominciai quindi subito a seguire ilavori in corso: casa del padre, chiesetta, duegruppi di alloggi separati (dormitorio, sala dastudio, refettorio, servizi) per i ragazzi e per leragazze, cucina, magazzino, lavanderia, stanzaper alternatore con annesso il mulino,

FRA ROBERTO BELLO

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FFrraa RRoobbeerrttoo BBeellllooè nato a Dignano(Udine) il 9 maggio1922. Ha fatto la professionetemporanea a Loverenel 1943, e nel 1946la professioneperpetua a Cremona.

È stato ordinato sacerdote a Milano il4 marzo del 1950. Da quel momentoè stato missionario dapprima inEritrea e poi in Etiopia con numerosiincarichi: rettore, insegnante,guardiano, parroco e cappellano degliitaliani fino al suo rientro in Italia nel2006. Si è spento nell’infermeria diBergamo il 29 aprile 2010, dopo ilfunerale del 3 maggio è stato sepoltoa Dignano, suo paese d’origine.

Fra Roberto riceve un’onorificenza a Addis Abebaprima del suo rientro in Italia nel 2006.

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Per ricordare l’esistenza di questogrande frate si è scelto di lasciarparlare molti suoi confratelli;attraverso le loro parole si riesce acomprendere la meravigliosa personache padre Giulio riuscì ad essere e acogliere il suo amore profondo per lemissioni e per i suoi frati.

a cura di Elisabetta Viganò

il23 marzo all’età di 82 anni fra GiulioSavoldi, con grande dispiacere di molti, ci ha lasciati: è ora accanto al Dio tanto amato e pregato nella propria

vita terrena. La sua è stata un’esistenza interamente spesaall’insegna dell’amore verso il Signore e versogli altri: dopo la sua ordinazione sacerdotaleviene mandato a Roma per gli studi di teologiae successivamente incaricato di insegnare aBergamo e a Milano S. Francesco. Dal 1964 al1967 diviene guardiano a Lovere; è poidestinato ad Albino e nuovamente a Bergamocome insegnante.Nel 1979 inizia la seconda fase della sua vita:padre Giulio approda a Milano Monforte comesegretario provinciale, definitore, guardiano evicario provinciale. Vi rimane fino al 1991. Nel frattempo vista l’esperienza giàsperimentata a Bergamo, dal 1976 al 1979,viene eletto segretario diocesano dei religiosi,servizio che svolge sino al 1994.È nel 1991 che viene trasferito nel convento diMilano San Francesco, studentato teologico. Nel 1992 il cardinale Carlo Maria Martini lo

nomina inoltre esorcista della diocesi, incaricoche ha svolto sino alla sua morte, e dalMinistro provinciale viene nominato vice-postulatore della causa di beatificazionedel Servo di Dio fra Cecilio Cortinovis.Padre Giulio da anni era molto conosciuto aMilano: da tante parti giungevano a luinumerose persone che rimanevano ore e orein attesa, pur di essere accolte.Riceveva ogni giorno in una saletta disadornadel convento di Piazzale Velasquez: riceveva eascoltava con la pazienza di Gesù in croce,riceveva gli afflitti nel cuore e nella mente, gli addolorati e intristiti per malattie proprie odei famigliari. Riceveva tutti nonostante gliacciacchi e le malattie di una vecchiaia che loincurvava sempre più.Padre Giulio si è sempre dedicato con grandeimpegno a questo ministero dellaconsolazione. In merito a questo incarico scriveva così neisuoi appunti che sempre prendeva al terminedegli esercizi Spirituali: “Alle volte mi faccioun caso di coscienza di fronte alle personeche Dio mette sulla mia strada. Personebisognose di speranza perché angosciate damolteplici preoccupazioni personali,familiari, sociali. Benché io cerchi diinfondere fiducia nel ‘buon Dio’, placare le loro angosce ricordando la Provvidenza, la misericordia e la bontà diDio, tuttavia misentoinsoddisfattoperché misembra di farpoco di fronte

alle loro attese, di non riempirle di speranzacristiana, di non ravvivarle nella fede” (1992).E ancora:“In questi anni mi si richiede di esseredisponibile nell’accogliere e nell’ascoltaremolte persone toccate da ogni sorta di malefisico e morale che magari nella soluzionedelle loro sofferenze e preoccupazioni siappoggiano più sugli uomini che su Dio,datore di ogni bene riportando, cocentidelusioni. Da qui tocca a me elargire lasperanza divina, rianimare la fede assopita inanimi stanchi e sfiduciati, nell’indicarenuovamente la fonte della salvezza da ognimale...” (1994).Molte sono le persone che hanno volutoricordarlo con parole fraterne, soprattutto i suoiconfratelli che hanno deciso di salutarlo perl’ultima volta attraverso lettere di compianto.

Nell’omelia pronunciata dal Ministro ProvincialePadre Alessandro Ferrari, quest’ultimo ha volutoelencare le caratteristiche che hanno fatto di fraGiulio Savoldi un grande uomo: “Fra Giulio era un uomo di fede e di preghiera.Visto il ministero che svolgeva, la suapreghiera era di intercessione, presentava al

Padre le tantenecessità cheascoltava e di cuiveniva aconoscenza.Preghiera assidua eprolungata (alzata almattino presto e...a pregare!).

FRA GIULIO SAVOLDI

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Abbiamo perso un amicoma acquistato un protettore

Il 23 marzo scorso fra Giulio Savoldi,

il frate legatoalle missioni, ci ha lasciati

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Mi piace ricordare soprattutto il suoatteggiamento di fraterna e serenasemplicità con cui accoglieva. Non c’erabisogno di cercarlo, di sollecitarlo, dichiedere. Bastava apparire nella Fraternitàdi San Francesco ed era proprio fra Giulioche ti si faceva vicino per chiedere,informarsi, promettere preghiere eallungare silenziosamente il frutto del suolavoro come segno e partecipazione allavoro missionario dei fratelli. A volteanche chiedendo scusa per non poter faredi più. Grazie fra Giulio per la tua presenzaamica”.

Il confratello frei Apollonio, dal Brasile cosìscrive per salutare fra Giulio: “Carissimo Giulio, grande amico esostenitore di tutti i missionari, ecco cheanch’io dal Brasile desidero unirmi al corodi chi ti loda e ti piange. Ascolta: nellontano 1953-54 abbiamo vissuto assiemein questo convento che è statointensamente tuo in questi ultimi anni;insieme abbiamo pregato – giovani teologi– in questa Chiesa che adesso celebra il tuofunerale. Stavamo preparandoci alle SacreOrdinazioni e tu mi hai preceduto di dueanni. Poi la vita conventuale ci ha separato,sei stato mandato a Roma per studiare eper anni sei stato accanto ai giovani peristruirli e soprattutto per edificarli con il tuobuon esempio e la tua austerità. Ma non è di questo che voglio parlare; altri lo faranno senz’altro meglio e piùdocumentati, a me preme farti arrivareLassù dove adesso vivi e vivrai per sempre,aspettandoci, il mio GRAZIE di missionario e parlare pubblicamente del tuo cuoreaperto sul mondo! OBRIGADO-MUITO-OBRIGADO - GRAZIE-MOLTE-GRAZIE, carissimo “Giulietto deglispiriti” come mi piaceva chiamarti. I mieipiccoli-poveri-lebbrosi che tante volte haibeneficato, ti sono tanto riconoscenti e

hanno subito pregato per te, appenal’abbiamo saputo. Assieme ti auguriamo di tutto cuore “Buon Paradiso” e tu prega per me, per tutti i missionari, per tutti i nostri poveri”.

Così invece scrivono con il cuore fra GiovanniCroppelli e tutti i frati della delegazione diThailandia: “Fra Giulio conosceva bene leproblematiche di ogni missione, della nostramissione e conosceva bene i missionari. Ciò che mi ha sempre colpito in lui era la suacapacità di vedere il positivo in ogni frate.Amava la vita fraterna e sapeva dare fiducia,sempre e a tutti. Aveva la capacità distimolare, di correggere, ma sempre conmisericordia e, spesso, col sorriso sulle labbra.Fra Giulio ha portato dentro di sé lasofferenza di tante persone che affidava ognigiorno una ad una a Gesù Cristo povero ecrocifisso che davvero era il suo Tutto. Mi risuona ancora nelle orecchie quando ilmattino presto, in chiesa a piazzaleVelasquez, mentre pregava la via crucis,diceva a voce alta: “Mio Dio! Mio Dio!” Fra Giulio era un vero uomo di preghiera ma coi piedi ben saldi sulla terra.Noi tutti frati della Delegazione di Thailandialo porteremo sempre nel cuore e nellapreghiera per tutto quello che ha fatto per noi”.

e va incontro alle sofferenze dell’umanitàper donare speranza e vita. Molti certamentericorderanno questo delicato e importanteministero, così come ricorderanno i preziosiservizi che ha reso alla fraternità provincialee alla Chiesa nel disimpegno sereno edisponibile delle varie attività che gli eranoaffidate.Vorrei qui ricordare la sua apertura alledimensioni del mondo, la sua attenzioneall’impegno missionario della Chiesa, che fra Giulio ha ricevuto e respirato nellaricca tradizione della fraternità provinciale eche ha vissuto con convinzione. Fra Giulio hasempre accompagnato con fraternapartecipazione, con la preghiera, con l’aiutogeneroso l’attività dei confratelli missionariimpegnati nelle differenti realtà dove loSpirito del Signore li inviava: Eritrea, Camerun,Costa d’Avorio, Thailandia, Brasile... Credo chetutti i confratelli missionari abbiano sentito egoduto di questo fraterno interessamento nelquale poi coinvolgeva altre persone generose.Perché attraverso l’aiuto concreto sentivamola fraterna condivisione delle difficoltà e dellegioie del nostro lavoro di evangelizzazione.L’abbiamo sentito forte anche noi impegnati,nella realtà del Maranhão-Brasile, acontinuare la lunga e generosa presenzacappuccina, che ha preparato e costruito larealtà di giovani chiese particolari e difraternità cappuccine che incarnano in questaterra il carisma francescano.

Era un uomo, un frate di fraternità. Si lasciava prendere in giro, era cordiale,amabile (anche se spesso cocciuto nellesue idee o scelte di vita: le calze nonvoleva metterle neppure col grandefreddo) dopo pranzo e dopo cena nelmomento della ricreazione fra Giuliofaceva parte del gruppo dei giocatori dicarte. Era un modo per stare in fraternità,per fare fraternità.Chi l’ha conosciuto e incontrato in questianni avrà di lui un ricordo particolare”.

Anche Mons. Franco Cuter, Vescovo dellaDiocesi di Grajaù, ha scritto per lui parole diricordo: “Sono lieto di potermi unire al coro di vociche ricordano con gratitudine la bella ecara figura di fra Giulio che il Signore hadonato alla nostra fraternità. Un fratelloche ha amato e vissuto la sua vocazionefrancescana e cappuccina nella semplicitàe nella generosa disponibilità. Un fratelloche nell’esperienza dell’amore di Gesùnella sua vita ha davvero imparato amettersi a disposizione dei fratelli con lostesso cuore grande. Credo che, negliultimi anni del suo generoso serviziosacerdotale, l’accoglienza paziente efraterna di tanti fratelli e sorelle sofferentiabbia evidenziato le grandi doti di mente e di cuore di fra Giulio, diventato davverotestimone e segno di Gesù che si apre

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FRA GIULIO SAVOLDI

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Fra Umberto Paris è statomissionario in Etiopia e pionieredella missione del Camerun. Le suedoti di rabdomante gli hannopermesso di realizzare numerosipozzi di acqua potabile per tantivillaggi dell’Africa. Lo ricordiamo adue anni dalla scomparsa inun’intervista che non è stata maipubblicata.

Intervista di fra Otto Nga Abanfegha e fra Jude Berinyuy

Due anni fa, il 27 giugno 2008,tornava alla casa del Padre fraUmberto Paris, primo missionariocappuccino in Camerun (1982-

2008). Ringraziando Dio per il dono diquattro nuovi sacerdoti in quest’annosacerdotale, i frati della Custodia delCamerun si ricordano del loro Father Taa(Padre Nonno) con grande affetto egratitudine. Nel secondo anniversario delsuo passaggio da questo mondo, fra OttoNga Abanfegha e fra Jude Berinyuy offronoai lettori una parte dell’ultimo colloquioinedito avuto con fra Umberto prima dellasua partenza definitiva dal Camerun.

Padre Umberto, come primomissionario e “padre della fede”per i cappuccini in Camerun, checonsiglio avresti per i frati locali?Il mio consiglio può essere solo che noidobbiamo ripetere ogni giorno quello che

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Anche fra Angelo Pagano ricorda conriconoscenza il confratello defunto: “Qui in Camerun, almeno tra i frati, moltisapevano che fra Giulio oltre ad essere statoin visita qui un paio di volte quando era neldefinitorio provinciale, aveva a cuore illavoro dei missionari e delle missioni. I diversi Custodi che si sono succeduti inquesti anni e i missionari che passavano nel convento di San Francesco durante il loroperiodo di riposo hanno avuto più volteoccasione di incontrare fra Giulio il quale simostrava sempre interessato sulla missionedel Camerun e dei missionari chiedendonotizie e facendo domande.Fra Giulio è stato anche un grandebenefattore per la nostra missione delCamerun. Nel passato ci ha aiutato a portareavanti il progetto dei giovani dellacooperativa della comunità dell’Arca mentrerecentemente ci è stato di grande aiuto nelportare avanti il progetto “Emmaus” per lacura e riabilitazione dei malati mentali. Sia lo scorso settembre sia recentemente afebbraio del 2010 abbiamo ricevuto un suoaiuto economico per la conduzione e ilsostentamento del progetto”.

Ancora dal Brasile arrivano le parole di fraGentile Gianellini: “Ho appreso dellapartenza di fra Giulio Savoldi alla Casa delPadre per ricevere la ricompensa dei servibuoni e fedeli e gioire per sempre dellacomunione con Dio e con i fratelli. Subito almomento della notizia, mi sono raccolto inpreghiera e ho ripensato la sua figura difrate buono, umile, semplice, povero,essenziale, così come l’ho conosciutoquando ero studente di teologia 50 anni fa ecome mi è rimasto nella memoria. Sì perchépoi ho solo avuto rari e sfuggevoli incontricon lui quando rientravo in Italia dal Brasile.Ma mi è rimasto nel cuore e nella mente emi rallegravo nel sapere dell’immensovolume di bene che faceva alle persone che

incessantemente lo cercavano per riversarenel suo cuore grande e misericordioso il lorodolore, i loro problemi e afflizioni, tutto ilmale che tormentava il loro corpo e la loroanima. Questo lieto e sofferto servizio di ascoltopaziente delle miserie umane e il donosempre offerto di una parola di conforto, diincoraggiamento e di speranza hannosantificato la sua vita e l’hanno resa preziosaagli occhi di Dio e degli uomini che hannobeneficiato della sua presenza e del suoministero e ora ne piangono la scomparsama anche gioiscono nel saperlo felice nellaluce della Gloria del Signore. In nome della Provincia Cappuccina delBrasile porgo a tutti i confratelli dellaProvincia di Milano i vivi sentimenti dellanostra partecipazione al dolore e allapreghiera in suffragio di fra Giulio e ringrazioper il suo amore sincero e operoso allemissioni e ai missionari che con tantabenevolenza e ammirazione accoglieva eaiutava”.

Tante parole per ricordare un frate con ungrande cuore, ma soprattutto un amicosempre pronto all’ascolto che non verrà maidimenticato. �

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FRA GIULIO SAVOLDI FRA UMBERTO PARIS

Il frate cercatore d’acqua

Il ricordo di fra Umberto scomparso due anni fa

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PROGETTI

Imissionari cappuccini sono in Camerun da 28 anni con numerose realtà di aiutomolto importanti. Fra queste sicuramenteuna delle principali, anche dal punto di

vista umano, è il sostegno nelle carceri diBamenda e Bafoussam. Se in Africa uno dei principali problemi è quello della povertà,esso si presenta decisamente ancora piùdrammatico ed evidente nelle prigioni del Paese dove le condizioni di vita alle quali i detenuti sono sottoposti, fannodavvero terrore.

La vita in carcere è particolarmente dura edifficile; alla privazione della libertà siaggiungono in primo luogo gravi carenzeigienico-sanitarie. I detenuti dormono in cellesovraffollate, spesso senza materassi, i serviziigienici sono malridotti, spesso senza acqua el’alimentazione è insufficiente. Il problemapiù grande per i detenuti è quello di riusciread ottenere la scarcerazione anche quandosarebbe dovuta; nella gran parte dei casi,infatti, si finisce in carcere per reati “minimi”e per questi piccoli furti si scontano pene

Bamenda e Bafoussam: due fra le più terribili realtà carcerarie del Camerunin cui sono presenti i missionari cappuccini, coordinati da fra GioacchinoCatanzaro, che offrono quotidiano sostegno sia materiale che spirituale ai numerosi detenuti. Le celle sono affollate, i pasti ridotti al minimo,l’igiene inesistente ed altissimo è il numero dei minori in attesa di unasentenza che forse non arriverà mai.

I progetti Missionari nelle carceri del Camerun

“Quando mai ti abbiamo visto in prigione?”(Mt 25,44)

FRA UMBERTO PARIS

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disse san Francesco cioè: “Signore, che cosavuoi che io faccia?”. Dio ci chiama ad averefiducia in Lui. Adesso, abbiamo molti fratilocali, qual è la volontà di Dio per noi? Se noi abbiamo fiducia in Lui e se cilasciamo guidare da Lui, verranno cose piùgrandi. Quindi, bisogna avere fiducia in Dioe seguire la sua volontà con più grandeimpegno vivendo secondo lo spiritofrancescano.

Padre, sei molto dedicato alle tueattività ed in modo particolarealla tua vita di preghiera. Quale èil segreto di queste attività?Il segreto del successo missionario è la vitainteriore, che consiste nel vivere con GesùaccogliendoLo nelle nostre anime e nellanostra vita. Quindi, vivere ogni giorno nellasua presenza, lavorare per il Suo amore eper i vicini. Allora, Dio continuerà a darci laforza e la capacità di scoprirLo sempre dipiù nella nostra vita e di godere della Suacompagnia. E anche qualche merito che Eglivorrebbe avere per Se, per la Chiesa e perl’Ordine.

Padre, che cosa ti ha spinto adimpegnarti non solo nel lavoropastorale ma anche nel dialogointerreligioso e nelle operesociali come la ricerca dell’acquapotabile?Ho avuto esperienza di gente che moriva disete e di fame quando ero in Etiopia. InCamerun ho scoperto molta acquasotterranea. Questo mi ha spinto a voleraiutare la gente. Quando sono arrivato, lagente non si preoccupava molto di avere adisposizione dell’acqua potabile poiché lepiogge bastavano ai loro bisogni. Quandohanno saputo che possedevo il dono dellarabdomanzia, hanno subito fatto richiesta diacqua potabile. Sono stato contento dimettere questo dono al servizio degli altri,

indicando i posti adatti per scavare pozzi.Ho avuto anche l’esperienza di organizzaresistemi d’acqua non solo per individui maper villaggi e città. Quando ero in Etiopia mipiaceva il contatto con i monaci Copti. Qui inCamerun ci incontriamo con presbiteriani,battisti e anche musulmani. Ho fattoamicizia con loro. Mi hanno chiesto un aiutoper l’acqua e anche per la costruzione diuna moschea. Non ho detto di no. Li hoaiutati molto e loro sono stati contenti dime. Ho scoperto che anche i capitradizionali avevano bisogno di migliorare laloro situazione. Avevano bisogno di potersiincontrare. In Sop, dove ero Parroco, potevofare qualcosa per aiutarli. Quando è venutol’Arcivescovo hanno espresso la lorogratitudine alla Chiesa Cattolica che li avevaaiutato a sentirsi più uniti e per l’aiutoofferto alla loro gente. Adesso, a Bamenda,ho l’opportunità di avvicinarmi ai Fon (capitribali). Sono stato accolto in mezzo a loro ecerco di essere con loro, aiutandoli adimpegnarsi con dedizione nelle operesociali per la loro gente. Questo potrebbeessere un incentivo affinché loro assumanocon più impegno le loro responsabilità elavorino per il bene comune. �

a cura di Alberto Cipelli

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cinquantina di minori insieme a tantissimiadulti; i frati sollecitano e protestano perportare i minori in un luogo di detenzione aparte previsto dalla legge e a volte riesconoad ottenere qualche risultato.I minori incarcerati restano inevitabilmentesegnati per la vita; spesso colpevoli di averrubato piccole somme di denaro, una gallina, o di aver bisticciato con un parente, e siritrovano in prigione per anni senza nemmeno ottenere la sentenza.I frati hanno procurato letti a castello in legnocon rispettive coperte e materassi e per iragazzi sono anche stati predisposti deilaboratori (informatica, falegnameria,meccanica, scolarizzazione) al fine di favorireun loro futuro reinserimento sociale. Ad oggiperò, a causa delle difficoltà economiche,soltanto la scuola funziona, mentre i laboratorisono stati sospesi per mancanza di fondi.A Bafoussam ci sono circa 1000 detenuti di cui30 donne e circa 100 minori. Qui la situazioneè molto più difficile che a Bamenda: i minoridormivano stipati in dormitori coi tettipericolanti, senza materassi, in condizionidisumane. Fra Gioacchino ha deciso disostenere il progetto ed ha subito contattatole autorità della prigione per far sostituire iltetto. I ragazzi, sorvegliati da tre guardienotturne, sono stati spostati nella cappella perfacilitare i lavori; dopo il completamento deltetto si dormirà all’asciutto, e questo sitradurrà in una diminuzione di malattie comebronchiti, polmoniti, e malaria. Oltre al

dormitorio, i giovani hanno accesso ad unpiccolo cortile che contiene latrinemaleodoranti e docce all’aperto. L’acqua èsempre poca, di giorno la temperatura èaltissima e l’igiene personale, essendoci cosìpoca acqua, viene completamente dimenticata(hanno tutti malattie varie della pelle).“Al mio arrivo alle prigioni” racconta fraGioacchino “sono letteralmente accerchiato edaggredito dal grido “acqua! acqua!”: ne arrivasempre troppo poca o a volte niente del tutto.Speriamo che con il vostro aiuto si risolvadefinitivamente il problema, debellando così imolti disagi e malattie.La prossima fase prevede quindil’allacciamento della prigione all’acquedottogovernativo, per poter garantire acqua potabileai 100 minori detenuti. È stata contattata laditta “Camerounaise des Eaux” e ilresponsabile ha proposto al Direttore dellaprigione di coinvolgere i detenuti per lamanodopera, mentre la ditta si occuperà deivari allacciamenti al condotto. Con la secondaerogazione sarà possibile fornire acqua a più di mille persone grazie all’allacciamentoall’acquedotto governativo. La qualità di vitaall’interno delle carceri miglioreràdecisamente”.Anche qui i crimini commessi dai minoririguardano piccoli furti (talvolta c’è solo ilsospetto) e a differenza di Bamenda non c’èla possibilità di seguire la scuola visto che glispazi non sono sufficienti. Conclude fra Gioacchino: “Carissimi benefattori,le offerte che arrivano generose da partevostra per sostenere i prigionieri sonol’espressione della vostra fede ed il praticosostegno a chi ha perso la libertà e si trovasotto afflizione, disagio, tortura, isolamento,malattia, abbandono e disprezzo. State sicuriche le offerte sono e vanno mirate a sollevaretutte queste tribolazioni; anche un solo euro sitrasforma in prezioso pane che offre sostegnoa qualcuno che ve ne sarà grato per tutta lavita”. �

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lunghissime. A volte, quando il prigioniero – povero, perché poveri sono coloro checompiono questo genere di reati – non puòpagare le spese legali o non può estinguere lapena pecuniaria, rischia di rimanere inprigione per numerosi anni.In carcere è facile ammalarsi anchegravemente: broncopolmonite, malaria,tubercolosi e Aids, colera e altre malattieintestinali aggrediscono i più giovani giàprovati dalla povertà e resi ancora più debolidalla reclusione. I detenuti sono, infatti,principalmente giovani che provengono dallecittà, ma anche dalle zone rurali.A Bamenda la popolazione carceraria è dicirca 700 detenuti, dei quali il 25% sonobambini e ragazzi con un’età compresa tra i12 e i 18 anni, spesso ripudiati o senzanessun parente che possa occuparsi di loro edella situazione legale. Il cibo giornaliero èuna razione consistente in un pugno dipolenta, le celle sono fatiscenti e sovraffollatee le cure mediche inesistenti.I Missionari Cappuccini rappresentano unafondamentale presenza umana e religiosasempre accanto ai detenuti per affrontare lepiù disparate situazione di bisogno: oltre allaformazione spirituale i missionari provvedonoall’integrazione alimentare (con riso, olio everdure), al vestiario e ai medicinali necessariper far fronte alle situazioni di disagiosanitario e favoriscono la rieducazione e ilreinserimento sociale.“La pratica della visita alle carceri” racconta

fra Gioacchino Catanzaro che segue il progetto“è talmente articolata che va dall’aspettogiudiziario, alla conciliazione tra vittima edoffensore, alle cure mediche, all’istruzionemorale e civica al cibo ed al vestiario, inalmeno due prigioni Centrali e quattro prigionidistrettuali. E posso affermare che èveramente una visita attesa e sentita da partedi tutti i detenuti. Nel marzo scorso è successoun episodio significativo; nelle prigioni esisteun luogo chiamato “waiting trial” - “attesa digiudizio” dove chi viene acciuffato, perqualsiasi offesa, viene posto lì in attesa: lospazio è quello di un campo di basket conquattro-cinquecento persone di differenti età,provenienza e crimine, una vera bolgiainfernale dove la razione giornaliera consistein due forchettate di verdura ed un pugno dipolenta di granoturco bollita nell’acqua. Noifrati siamo sempre intervenuti portandoalimenti integrativi, medicine per i malati ecc.Quando le autorità improvvisamente hannovietato l’accesso a chiunque, si è scatenata frai detenuti una vera e propria rivolta; ebbene,tra le lamentele presentate alle autorità, inprima linea figuravamo noi cappellani – ci sono anche suore che prestano il loroprezioso ed insostituibile intervento – ai quali èstato impedito l’accesso e conseguentementeil beneficio che si era soliti portare. Ciòdimostra l’importanza del nostro intervento e,pertanto, quanto il vostro aiuto che, tramitenoi, giunge ai detenuti”.In questa zona si trova anche circa una

PROGETTI

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che tutti i giorni affrontano il dolore con ilsorriso sulle labbra. Ed era strano accorgersiche alcune di loro avevano avuto il coraggiodi dedicare la loro intera esistenza alprossimo, in posti estremamente lontanidalla loro casa e dalla loro famiglia, puressendo giovani come noi.I ricordi più vivaci sono legati comunque aigiorni trascorsi ad Alepè e alla fugace visitafatta al villaggio di Nianda. Ci siamo lasciatiammaliare da quei volti color ebano, daisorrisi smaglianti e da quegli occhioni curiosie saggi, persino nei bambini più piccoli.Ogni incontro era una festa, e come ognifesta non mancavano musica, danze e colori.Quegli stessi colori che ci sfilano ogni giornosotto gli occhi, ma che in quella terra nerasembravano prender vita e ballare con noi.Gli adulti ci accoglievano come vecchi amici,con la porta di casa sempre aperta, pronti adoffrirci il poco che avevano; i bambini nonfinivano mai di stupirsi per la nostra stranapelle, così chiara, e per i nostri capelli lunghi.Tra loro era una lotta continua per

aggiudicarsi il privilegio di tenerci la mano egiocare con noi, senza rendersi conto che eranostra la fortuna di poter stare con loro. E almomento dei saluti non mancavano mai dichiedere: “domani tornate?”. Anche ora, separati da chilometri di terre edi mari, faremmo di tutto per poterliaccontentare e tornare a ridere con loroanche solo per poco. È alla sera che ipensieri volano inevitabilmente là, dove, infondo, siamo rimasti con la mente eabbiamo lasciato la promessa di tornare.Dove ogni sera andavamo a dormire con unsorriso beato sulla faccia e il cuore gonfio,pervasi da un senso di pienezza che mai ciaveva toccato così intensamente.Non è facile spiegare la ricchezza di questaesperienza; possiamo solo dire che in quelmese (troppo lungo e insieme troppo corto)ci siamo sentiti davvero vicini a gente chenon avevamo mai visto prima. Tanto vicinida considerare quelle persone fratelli evedere in loro ciò che ci hanno raccontato diDio. �

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il16 giugno 2009 siamo partiti alla volta della fraternità di Angrè, in Costa d’Avorio.Sembrava così irreale e invece il sogno

si stava per avverare. Già intuivamo chesarebbe stata un’esperienza speciale, che cisarebbe rimasta impressa, ma ancora nonsapevamo quanta gioia ci avrebbe dato quelluogo così lontano. Dopo molto ore diviaggio, e ancor più dubbi, paure easpettative, siamo giunti all’aeroporto diAbidjan, dove abbiamo trovato PadreAntonio, il frate cappuccino che ci avrebbeospitato durante il nostro mese africano. Nei 30 giorni successivi ci siamo dovutitrasformare in imbianchini provetti, per potersistemare e rimettere a nuovo alcune partidel vecchio Centro Anti-Ulcera di Buruli.

I frati infatti sono stati costretti dal governo achiudere l’ospedale lasciando così l’enormestruttura vuota. Si è quindi deciso diutilizzare le numerose stanze del centro e isuoi ampi spazi come alloggi per ritirispirituali. Il poco che abbiamo fatto è statosemplicemente cercare di pulire, sgomberare

e riverniciare le parti piùdeteriorate del convento,rendendo il lavoro piùallegro con le nostrecanzoni stonate. Nonostante il nostroimpegno di ristrutturazione,

non sono mancati però momenti di contattocon la gente. Particolarmente intense sonostate le esperienze di visita al Maca, ilcarcere di Abidjan e al centro di cure delleSuore della Carità. Qui abbiamo ritrovatonelle seguaci di Madre Teresa persone checi hanno stupito per la loro tenacia e forza e

VOLONTARI IN MISSIONE

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Quattro volontari partiti la scorsa estate raccontano questo

meraviglioso viaggio.Il loro compito è stato quello diristrutturare un vecchio ospedale

oramai chiuso da tempo, per renderel’edificio di nuovo agibile. Durantequesta esperienza hanno

incontrato persone e bambiniche resteranno per sempre nelloro cuore, e che grazie alla loro

accoglienza e gioia li hannocolmati di una ricchezzaspirituale indelebile.

di Chiara, Eleonora, Emanuele e Luca

Esperienza di volontariato in Costa d’Avorio

i colori sembravano prendere vitae ballare con noi

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lavoravamo per costruire la speranza di unavita migliore per le persone che vivono nelbisogno. Finita la campagna di Natale, fra Mauro mipropose di continuare il mio impegnolavorativo nel Centro Missionario, con unanuova esperienza: il “Sostegno a Distanza”.Onorata della sua proposta accettai conimmenso piacere! Il mio incarico è gestire l’ambitoorganizzativo e sono il tramite tra ilsostenitore qui in Italia, e il referente in terradi missione.Con il “Sostegno a Distanza” sosteniamobambini di età scolare: grazie all’aiuto delsostenitore, il bambino, oltre ad avere unpasto caldo e un’assistenza sanitaria, può

andare a scuola e imparare a leggere escrivere. In questo modo non si dà albambino solo un’istruzione, ma anche lapossibilità di frequentare un ambiente serenoe trascorrere meno tempo in strada,abbandonato a se stesso. Ad oggi i bambini che sosteniamo attraversoil progetto, sono 3.560 ma di bisogno ce n’èancora tanto: in molti paesi del mondo lapovertà, le malattie e i conflitti impedisconoai bambini di diventare grandi, vivendo insituazioni di degrado per noi inimmaginabili.Oggi sono felice ed orgogliosa di svolgere unlavoro così speciale: grazie ad esso,contribuisco ad aiutare i Missionari Cappuccininelle loro opere umanitarie in terra dimissione. �

Paoletta è laresponsabile del

progetto “Sostegno a Distanza”dei frati Cappuccini. Raccontaqual è il suo lavoro, le suemansioni, ma soprattutto labellezza di un impiego così

speciale, poiché provvede adaiutare i bambini bisognosi nelle

terre di missione.

di Paoletta Bonaiuto

Hoiniziato a lavorare per iMissionari Cappuccininell’ottobre del 2007,

agli inizi della campagna di Natale,all’interno della mostra missionaria.Nel mio precedente lavoro mioccupavo della gestione di una piccolaazienda di abbigliamento all’ingrossoa Roma. Arrivata a Milano, dopo

essermi sposata, ero in cerca di lavoro. Ricordo con un sorriso sulle labbra le mieprime impressioni e considerazioni sul lavoroqui al Centro Missionario… Quando ognimattina varcavo la soglia della porta misembrava di entrare in un altro mondo… saràstato il clima natalizio che si respirava, ma misembrava di entrare nella magica fabbrica diBabbo Natale, dove, invece di costruiregiocattoli, io e tutti i miei colleghi

SOSTEGNO A DISTANZA

Contribuire ad aiutaretanti bambini mi riempie il cuore

Il mio lavoro negli uffici

dei Missionari Cappuccini

Molti sono i benefattoriche scrivono a Paolettaper ringraziarla della

sua disponibilità nel comunicare con loro

in merito allasituazione del bambino

che stanno aiutando, e per la sua cordialità.Ne riportiamo alcune

Cara Paoletta ho avuto il suoindirizzo da un medico. Mia

figlia ha espresso più volte ildesiderio di adottare a distanzaun bimbo. Lunedì compie glianni e le sarei grato se midesse indicazioni per poteradottare un bambino in Kenyao in altre località da voiconosciute. La ringrazio espero di sentirla presto. Sara

Grazie dell’opportunità chemi hai concesso: aiutare un

bambino è il regalo più belloche io abbia mai ricevuto.

Ma vorrei chiederle ancora una cortesia: anche la mianonnina si è fatta influenzaredall’iniziativa ma purtroppo leinon ha il computer. Le volevoperciò domandare se potevafar felice anche lei in modo cheio dal mio computer possaspedire i suoi dati. Grazie per la comprensione Eleonora

Sono Antonio, sostenitore delle spese di

scolarizzazione per Bijou. Sono dispiaciuto che lui abbiaabbandonato la scuola.

A seguito di questa rinuncia midichiaro comunque disponibilea sostenere un altro bambino.Colgo l’occasione percomplimentarmi con voi perl’opera che prestate a favoredei bambini sicuramente menofortunati dei loro coetaneieuropei. Antonio

Abbiamo ricevuto la lettera difra Oliviero riguardo al

termine del nostro sostegno aKoleja. Un po’ ci dispiace,c’eravamo affezionati allosguardo e al sorriso aperto e

simpatico di questo ragazzo.Ma è giusto pensare ai piccoliche devono ancora studiare .Mentre vi ringrazio per leinformazioni e per quello cheavete fatto per lui in questianni e che certo darà il suofrutto in futuro, vorremmoinformarla che è nostraintenzione continuare asostenere un bambino insostituzione del simpaticoKoleja. Lasciamo a chi vive inCosta d’Avorio e vede lenecessità delle singole famigliela scelta di un bimbo chefrequenta la prima elementare

e che deve terminare la suaformazione primaria.Ancora grazie e migliori auguriper la vostra opera missionaria Angela e Carlo

Siamo una famiglia numerosa con 5 bimbi piccoli

da 6 a…0 anni!Tutti d’accordo come gestoquaresimale desideriamoaiutare a distanza un bimbo,secondo il vostro regolamento.Attendiamo vostre indicazioniGrazie Marco

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tiepida giornata di primavera quando ilpaesaggio e il timido risveglio della naturacreano un’atmosfera sospesa ed ho ancora inmente la dolcezza della pianura, il canto degliuccelli, i colori della stagione: “Un luogomagnifico di pace e di quiete dove ancora sirespira la piacevolezza di un gradevolesoggiorno” dicevo io, mentre mi correggevanogli abitanti: “Questa è la stagione più bella;poi d’inverno siamo immersi nella nebbia ed’estate torturati dalle zanzare”. Ma ciò non èriuscito a dissuadere la mia percezione di unluogo ideale per trascorrere del tempo. E testimonianza di questa pace che si respiranelle pietre, nei racconti degli abitanti, è ilgioiello del Santuario isolato nel verde cherichiama tanti pellegrini che vengono apregare la Madonna miracolosa condevozione e grande rispetto.Dentro le mura del convento ogni anno dal1999, riprendendo una tradizione che giàesisteva nel lontano passato, in occasione

della festa del Santuario (25 marzo) vieneallestita una mostra missionaria, che siprolunga fino al periodo pasquale, organizzatain collaborazione con il Centro Missionario deifrati di Milano inaugurata la prima volta da fraRenato. I frati cappuccini aprono i corridoi delloro silenzioso chiostro a tanti visitatori che siaggirano tra gli articoli provenienti da tutto ilmondo e che animano dei loro colori eprofumi un luogo così sacro dalle cui finestre,ammaliati dal canto degli uccelli, se nepercepisce il fascino e la bellezza.A rendere possibile questa iniziativa disostegno alle missioni è un attivo gruppo disignore che con zelo e con l’affabilità tipica diqueste terre si prodigano a dare una mano aicappuccini nell’apertura della mostra. “Sonoundici anni che puntualmente per la festa delSantuario viene allestita con tanta cura lamostra missionaria” racconta Marisa, terziariafrancescana e una delle principali animatricidella mostra “Come volontari siamo dalle 8alle 10 persone, alternandoci con i variimpegni personali. Assidui fin dall’inizio siamoin 4-5, poi negli anni altri hanno dato la lorodisponibilità ed è sempre stata un’esperienza

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Nel Santuario di grande devozionemariana, mirabile esempio diarchitettura lombarda in provincia diCremona, si svolge ogni anno latradizionale mostra missionaria cuicollaborano numerosi volontari.

di Alberto Cipelli

Là dove il tempo sembra si sia fermato

per ascoltare il sacro racconto di una tradizione

Nelle terre della Bassa padana, sullasinistra del Po in provincia diCremona, appena fuori dal centro diCasalmaggiore lungo la strada per

Sabbioneta si trova il Santuario della BeataVergine della Fontana. Nelle sue formequattrocentesche, nei suoi meravigliosi internidi chiaro gusto lombardo, sembra quasi che iltempo si sia un po’ fermato e l’atmosfera chesi respira appare immobile, immutata neltempo e nelle tradizioni. I frati cappuccini sitrovano qui dal 1902 e mantengono con cura econ grande fede questo mirabile gioiello,scrigno di tante opere d’arte fra le quali ilmausoleo del pittore Parmigianino. Tuttosembra riposare nella quiete e nella piacevolesonnolenza della pianura dove, lontani dallafrenesia delle metropoli e della mondanità, sirespirano ancora emozioni semplici e cordiali,l’accoglienza dei paesani che percorrono lestrade in bicicletta e che conservanogelosamente la loro storia e il culto dellabuona tavola e del piacevole ritrovarsi. Ci sonoarrivato anni fa, per la prima volta, in una

VOLONTARI PER LA MISSIONE

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La mostra missionaria al Santuario della Madonna della Fontana

a Casalmaggiore

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Ricordo anche la benevolenza dei frati e lasensazione di spiritualità e di pace che inquesto luogo emana ogni pietra e ogniangolo che sembra davvero poter raccontarequalcosa.E fra gli oggetti etnici non è raro imbattersi inun saio marrone, quello di fra Eugenio, ilRettore, o di fra Gaudenzio un padre d’altritempi con la lunga barba bianca che giranonegli ambienti e con il loro sorriso e la quietefrancescana accolgono i numerosi visitatori.Oltre agli oggetti missionari i pellegrini

trovano ambienti predisposti all’accoglienzacome la Casa del pellegrino a disposizione dei gruppi di preghiera, delle comunità emovimenti cattolici, che sentano la necessitàdi rigenerasi nello spirito e il giardino dovepasseggiare in silenzio o in preghiera. E tutti rientrano a casa un po’ più arricchiti. La sera, quando la mostra si chiude e dopoche le volontarie han fatto ritorno alle lorocase, stanche, a volte infreddolite magari perla primavera che tarda ad arrivare, masoddisfatte di aver contribuito a raccogliere deisoldi per le missioni, il convento nellapenombra assume un’atmosfera ancora piùirreale. I corridoi che corrono lungo il chiostrosi fanno più silenziosi, qualche fioca luceproviene dalle celle dei frati e il conventosembra prepararsi ad una nuova storia, lui chene è così ricco, da raccontare di nuovo. �

indimenticabile. Moltissime persone hannoguardato, osservato ed acquistato con tantasensibilità i vari oggetti che provengono dapaesi lontani; ringrazio Dio per questaopportunità: nel mio piccolo essere statad’aiuto ai tanti fratelli e sorelle che vivono innazioni lontane fra tante difficoltà”. Ricordo sempre con piacere i nomi e i volti diqueste donne: Nella, Lina, Teresa, Rosettacon il marito Ernestino e poi ancora Nadiacon Elio, Franca, Lina, Armanda, Laura e tantealtre che si sono avvicendate in questi anni.Tutte loro mi hanno accolto con gioia e unosquisito senso di ospitalità ed avevanosempre un’attenzione e una cura perqualsiasi visitatore che si trovasse a visitarela mostra. Ognuna di loro ha una storia daraccontare legata alla devozione dellaVergine della Fontana. Le ricordo più volte,

nelle sere precedenti all’apertura, aggirarsi fragli oggetti ed impegnate a metterli in ordine ein bella vista sugli scaffali, con un pò dicuriosità e con tanto entusiasmo di dare il lorocontributo per aiutare le persone piùbisognose.Nelle giornate di apertura organizzano i turnidella loro presenza in mostra e nel frattempoparlano del paese, delle messe celebrate nelSantuario, ricordano i frati più cari che si sonosucceduti negli anni e si scambiano consigliper preparare gustosi piatti per le loro tavole.In quei giorni il santuario è ancora piùaffollato; interi pullman giungono inpellegrinaggio e tante persone dei paesilimitrofi e di luoghi più lontani si dannoappuntamento per trascorrere del tempo,prima o dopo le partecipate funzioni religiose,ad aggirarsi fra i numerosi oggetti.

VOLONTARI PER LA MISSIONE

Il Santuariodedicato alla MadonnaEsso rappresenta un vero eproprio gioiello architettonicodel Quattrocento lombardo e unluogo di grande devozione esacralità.Le sue origini si perdono neisecoli e la tradizione narra di unpozzo dove ci si recava adattingere acqua freschissima. Il ricco santuario della metà delQuattrocento sorge dove giàesisteva una cappella e fu erettoin occasione di miracoli operatida un’immagine dipinta dellavergine. Anche i Gonzaga dallavicina Sabbioneta contribuironoall’edificazione del santuarioche nei momenti più drammaticidi carestie, siccità, pestilenze ealluvioni del Po fu per il popoloun luogo privilegiato diprotezione da parte dellaMadonna. L’acqua che ancoraoggi sgorga sotto il santuario haoperato tante guarigioni e

ancora oggi numerosi devoti sibagnano gli occhi e bevonol’acqua miracolosa. Le grazieche la Madonna nel corso deisecoli ha elargito sonoraccontati negli affreschi che sivedono nel santuario e nellenumerose rappresentazioni chesono presenti nell’interocomplesso: davvero numerosisono gli episodi di guarigionedi cui si trova testimonianza. Le splendide decorazioni incotto, le linee gotiche, lecrociere e la botte della navatacentrale, degli interniriccamente affrescati e lenumerose e pregevoli operepittoriche in esso contenute, ne fanno anche un luogoartistico di indubbio fascino e bellezza. Avvolta dal misteroè anche la lapide sepolcrale del pittore Francesco Mazzola,detto il Parmigianino morto a 37 anni nel 1540 che il Vasari afferma essere sepoltoproprio qui “nudo con la croced’arcipresso sopra” secondodisposizioni del pittore stesso.

La cripta el’affresco dellaVergineSulla primitiva cappella sorseverso l’anno Mille l’attualecripta che custodisce la venerata

immagine della Madonna postasotto l’altar maggiore.L’immagine attuale, più volteritoccata, risale al secolo XIV;mentre nel 1957 il pittoreparmense Odoardo Gherardirealizzò l’attuale immagine chetiene presenti le risultanze

tradizionali dei colori e degliatteggiamenti dell’originale eche è stata collocata nel 1990 inun altare laterale. Cfr. P.Patrizio Antonio Gallina,Santuario Beata vergine della Fontana, Casalmaggiore,ultima ed. 2009

L’annuale mostra missionariaÈ aperta ogni anno nel periodo intorno al 25 marzo, giornodell’Annunciazione e festa patronale del Santuario. Nel corridoio sonoesposte porcellane e ceramiche, bigiotteria, presepi di tutto il mondo,artigianato peruviano e indiano, oggetti caratteristici dalle missionicappuccine in Costa d’Avorio, Brasile, Thailandia, Eritrea ed Etiopia.

Santuario Madonna della FontanaViale del Santuario, 2 26041 Casalmaggiore (CR)Tel. [email protected]

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SPIRITUALITÀ

“...Èli, Èli lemà sabactàniDeus meus Deus meus, quare...

struggente lamentazione. Usandole hai voluto sottolineare la loro intensità che in quella Tua“ora” fotografava esattamentel’abisso della Tua sofferenza diAbbandonato da tutti, deriso,schernito, umiliato: convinti tutti di aver a che fare con un

“Maledetto da Dio” perché pendevi dal legno(cf Deuteronomio 21,23)!Ti rimaneva solo Dio – il “tuo” Dio! – e l’hai chiamato, l’hai invocato “vocemagna” momenti prima di ritornare dal Tuo “Abbá” Papà!Grazie, Gesú anche e soprattutto per questo Tuo grido!Loro – gli aguzzini e i canzonatori per nullaspaventati da quelle tenebre di saporeapocalittico – non l’hanno voluto capire,hanno tirato in ballo Elia per intensificare loscherno, ma che importa? Noi l’abbiamocompreso!Il mito racconta che il Re della Frigia, Mida,qualsiasi cosa toccasse, diventava oro fino,oro di 24 carati! Interessante.Tu, Signore nostro, ogni volta che haiutilizzato i Salmi e li hai cantati e li hai“gridati”, questi sono diventati veramente dioro, diamanti sono diventati! Hanno assuntoil senso “pleniore”, il più completo, il

Itinerario tracciato con maggiorcura e attenzione nell’immenso-ineffabile mondo dei Salmi allaricerca ansiosa della meta! Non la semplice linea deltraguardo, ma UNA PERSONA daritrovare e abbracciare eringraziare!La PERSONA, carissimi, è GESÙ! Chi altro potrebbe essere? È Gesù detto ilCristo, il Verbo fatto carne per amore,l’Agnello pasquale inchiodato sulla Croceperché tutti Lo vedano e si sentano attratti! Fermiamoci sotto questo orribile strumentodi tortura, battiamoci il petto (cf Luca 23,48) e, “muti”, diciamo al Signore Gesù leparole del Salmo 18(19), 15: “Ti sianogradite (in questo momento) le “parole”della mia bocca e “meditatio cordis mei inconspectu tuo, Domine, adiutor meus etredemptor meus...”. Signore, mioRedentore e mio Aiuto, ecco che sto difronte alla Tua Croce come quel centurioneromano (cf Marco 15,39), accetta ilripensare commosso del mio cuore che Tivede e Ti ascolta!Tu hai gridato con un grande grido l’inizio diun Salmo... Non c’è cristiano che non conosca la forzasconvolgente delle battute iniziali di questa

NEL BUIO COSMICO DI QUELL’ORA: UNICA RIECCHEGGIA ACCORATO DALLA CROCE QUESTO “PERCHÉ”FRUSTRAZIONE?... DISPERAZIONE?... SENSO TRAGICO DEL VUOTO?

...OH, NO!... QUEL DIO È SUO! È SUO!...

di Frei Apollonio Troesi, missionario in Brasile

Ancora un ITINERARIO di fede e di luce tracciato

nello spazio sofferto, ma ricco di speranza

dei Salmi

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del suo corpo, Gesù perdesulla croce anche il suoDio! Ma Dio non perde ilsuo Gesù e neppure, gliapostoli e neanche Pilato e isoldati, neanche Israele, eneanche tutti noi”.No!... Non L’abbiamo perduto! Nel Vangelo scritto da Giovanni – l’unico degli Apostoli a vivere dipersona la tragedia del Calvario,l’unico a rabbrividire, penso, per quelgrido parlato e per l’altro gridoinarticolato del Maestro – in quelle paginedettate dallo Spirito e dalla sua memoria,non accenna affatto agli insulti e agli schernicontro il Crocifisso agonizzante, sottolineainvece fortemente quanto i soldati hannofatto circa le vesti di Gesù perché senzasaperlo hanno realizzato la Scrittura e la Scrittura qui accennata è appunto ilSalmo 22 versetti 18-19! Inoltre ricorda con estrema commozione che“iuxta Crucem” presso la Croce di Gesù stavaSua Madre con altre pie Donne e il discepolo.Alla Madre di Gesù, la Santissima VergineMaria, dedicherò il prossimo “Itinerario”,partendo proprio da questo “qui diciturCalvariae locum, hebraice autem Golgotha”(Calvario detto in ebraico Golgota). Da qui,mantenendo questa atmosfera fatta ditenebra, raccontata di tre ore in tre ore,cercherò di scrivere su Maria Santissima e suquel Suo conosciutissimo Canto che sgorga ezampilla dal Suo Cuore e dalle Scritture checonosce perché le vive!A rileggerci...

massimo della loro portata semantica!E il massimo qui è che hai voluto farcisapere che diventava TUO quel sensodesolato di vuoto che attanaglia qualsiasi di noi alle prese con una sofferenzaprolungata e senza scampo! È diventatoTUO il grido accorato di quel Giusto che hadato origine al Salmo tanti secoli fa; èdiventato TUO e la via di uscita che siintravede sul finire del Salmo stesso, dopo il Tuo Grido, è stata messa adisposizione di tutti! Capito? Di tutti!Angosciati? Disperati? Nel buio fitto allavigilia di una morte senza ritorno? No!Nessuno più lo può essere!L’angoscia ha lasciato il postoall’abbandono filiale nelle braccia del Diovivente; la disperazione anche la più nerasi è tinta di verde perché i soldati, icarnefici irridenti di Gesù, senza saperlo,hanno eseguito quanto da secoli recitava ilSalmo 22 con quelle magnificheprospettive di salvezza, e il buio fitto,denso come una spessa coltre di nebbiadei nostri inverni, è stato eliminato daquel doppio Grido sceso dalla Croce inquel pomeriggio che ha cambiato il voltodell’Umanità: lo creda o no!Bello, bellissimo quanto scrive uncommentatore di Marco, e ancora più belloperché è un Laico innamorato dellaScrittura, un appassionato, non un“esegeta” di professione! Scrive: “Dopoessere stato tradito dai discepoli erinnegato dal suo popolo e dopo che gli èstata strappata anche la dignità di uomo ea brano a brano, è stata spenta la vitalità

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“Mi piace rilevare che sia stato ucciso come simbolo, come realtà di sacerdotecattolico. Non è stata uccisa soltanto la persona, ma si è voluto colpire il simboloche la persona rappresentava: ricordarlo in questo momento, all’interno del-l’anno dedicato ai sacerdoti, è quanto mai significativo, per ricordare a tutti noiche la sequela di Cristo può arrivare anche all’offerta del proprio sangue”.

Mons. Luigi Padovese, il 5 febbraio 2010nell’anniversario dell’uccisione di Don Andrea Santoro

Mons. Luigi PadoveseVicario Apostolico di Anatolia (Turchia)

frate minore cappuccino

Nato a Milano il 31 marzo 1947

Professione religiosa nei frati cappuccini il 4 ottobre 1965

Ordinazione sacerdotale il 16 giugno 1973

Insegnante presso lo Studio teologicodei frati cappuccini di Milano

Docente alla Pontificia Università Antonianume Preside dell’Istituto di Spiritualità

Docente alla Pontificia UniversitàGregoriana e alla PontificiaAccademia Alfonsiana

Per 10 anni è stato visitatore delCollegio Orientale di Roma per laCongregazione delle Chiese Orientali

Consultore della Congregazione per le cause dei santi

Nominato Vicario Apostolico di Anatolia 11 ottobre 2004

Ordinato Vescovo ad Iskenderun il 7 novembre 2004

Presidente della Conferenza Episcopale Turca

Ucciso ad Iskenderun (Turchia) il 3 giugno 2010

Ti ricordiamo con affetto e gratitudine