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Università Telematica Pegaso L’URSS da Chruščev a Brežnev
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 NIKITA CHRUŠČEV (1955-1964) ------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 L’ECONOMIA PIANIFICATA IN URSS--------------------------------------------------------------------------------- 6
3 LEONID BREŽNEV (1964-1982) ------------------------------------------------------------------------------------------- 8
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12
Università Telematica Pegaso L’URSS da Chruščev a Brežnev
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1 Nikita Chruščev (1955-1964)
Gli ultimi anni della dittatura staliniana furono terribili. Dopo la Seconda guerra mondiale
Stalin aveva gestito la ricostruzione attraverso l’uso sempre più crescente di un indiscriminato
terrore e sacrificando i bisogni materiali della popolazione a quelli dell’industria pesante. Dopo il
1946, infatti, il sistema dei Gulag raggiunse il massimo sviluppo. Con l’apertura degli archivi, nel
1988, si è venuti a conoscenza che nel 1953, 5 milioni di persone si trovavano internate nei Gulag,
altrettante erano state deportate in Siberia. Negli ultimi mesi di vita di Stalin le sue paranoie presero
definitivamente il sopravvento, ed anche gli esponenti più potenti, come Berija e Molotov,
temevano le sue imprevedibili reazioni. Intanto l’esaltazione di Stalin raggiungeva il parossismo, il
ridicolo e grottesco servilismo; in esso, però, si nascondeva una larvata lotta per la successione al
dittatore.
Nel gennaio del 1953 Stalin lanciò una campagna contro i medici russi di origine ebraica, accusati
di avere complottato contro la patria sovietica in combutta. Tutto faceva presagire una imminente
nuova ondata di “purghe” tra i vertici del partito e della polizia politica, quando improvvisamente
Stalin fu colpito da ictus nel marzo di quell’anno. Dopo soli due giorni morì, e si aprì la questione
della sua successione.
Alla morte di Stalin, il 5 marzo 1953, il gruppo dirigente si accordò per una gestione collegiale del
potere tra i tre uomini in quel momento al vertice: Malenkov, Berija e Molotov. Ma questo
equilibrio non durò a lungo, Berija fu arrestato, processato con le solite accuse ridicole e giustiziato:
era scoppiato il vero conflitto che solo nel gennaio del 1955 si concluse con la vittoria di Chruščev,
dopo numerose esecuzioni ed una sanguinosa epurazione secondo i metodi tipici dello stalinismo.
Chruščev fu nominato, quindi, primo segretario del partito comunista. Nel 1955 impresse una
decisa svolta alla politica estera sovietica, allontanandosi dalla prassi staliniana, simboleggiata dal
suo viaggio nella Jugoslavia di Tito. Chruščev indirizzò la sua politica estera in base al principio
della “competizione pacifica”, secondo cui la guerra tra mondo capitalista e mondo comunista non
era inevitabile, ma la rivalità poteva essere trasferita sul piano economico: avrebbe vinto la sfida
quello tra i due sistemi che avesse garantito la migliore qualità di vita dei propri cittadini.
Procedette perciò allo scioglimento del Cominform (1956), e alla rinuncia, nel XX congresso del
partito (1956), ai metodi rivoluzionari. Alla fine di quel congresso, che avrebbe segnato la storia
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dell’URSS e non solo, in un discorso di quattro ore a porte chiuse, Chruščev presentò il rapporto
segreto sui crimini di Stalin e sulla degenerazione del “culto della personalità”. Improvvisamente
cadeva, quindi, tutto il sistema della falsificazione costruito dallo stalinismo, ed iniziava la
“destalinizzazione”.
La condanna della personalità mostruosa di Stalin da parte di Chruščev fu la causa di rivolte a
Berlino, in Polonia e soprattutto in Ungheria (1956), quest’ultima subito repressa nel sangue dai
carri armati sovietici. Infatti, le denunce dei crimini di Stalin diedero il via ad una rivoluzione
urbana e Imre Nagy, nominato primo ministro, dichiarò che l’Ungheria avrebbe abbandonato lo
schieramento comunista e sarebbe diventata un paese neutrale. Le truppe sovietiche, che
temporaneamente avevano lasciato Budapest, tornarono per reprimere brutalmente con la violenza
la rivoluzione, nonostante le richieste d’aiuto degli ungheresi all’Occidente.
All’interno del partito comunista sovietico i vecchi dirigenti si opposero, e nel 1957, lo scontro
finale con Molotov e Malencov, decretò la loro sconfitta definitiva. Uscito vincitore, Chruščev
cumulò nella sua persona le cariche di segretario del partito e di presidente del consiglio dei
ministri.
Con il viaggio di Chruščev in USA, nel 1959, con la condanna di Stalin e le strette di mano con
Eisenhower, sembrò che la guerra fredda fosse finita. La teoria della coesistenza pacifica sembrava
divenuta una realtà, e la dimostrazione pratica che dal bipolarismo non doveva per forza scaturire la
guerra fredda. La “competizione pacifica” e la “distensione” sembravano una nuova e rassicurante
dimensione, ma in realtà erano solo un altro volto della guerra fredda, che invece, tra il 1955 e il
1961, proseguì:
a. con sempre più minacciosi esperimenti nucleari: nel 1953 la Gran Bretagna divenne una
potenza nucleare, seguita nel 1960 dalla Francia; mentre l’URSS, nel 1961, si dotò della più
potente bomba H mai realizzata, equivalente a 4.600 bombe atomiche del tipo lanciato su
Hiroshima;
b. nel 1961 e 1962 si verificarono due fra i più gravi episodi di crisi di tutto il dopoguerra: la
crisi di Berlino con successiva costruzione del Muro, e la crisi missilistica di Cuba. Difatti, dopo il
fallito tentativo dei profughi cubani, anticastristi, con l’appoggio della CIA americana (l’operazione
denominata “della baia dei porci”), Chruščev fece installare a Cuba dei missili nucleari a corto
raggio, provocando il blocco navale e un ultimatum da parte degli Stati Uniti. La grave crisi
diplomatica che ne scaturì portò il mondo sull’orlo della guerra nucleare. Kennedy e Chruščev
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raggiunsero però un accordo, in base al quale i sovietici avrebbero ritirato i missili da Cuba e gli
Stati Uniti si sarebbero impegnati a non invadere la Cuba comunista di Fidel Castro.
In effetti, contrariamente a quanto la propaganda della coesistenza pacifica faceva intendere, era
stato proprio sul finire degli anni Cinquanta che l’equilibrio del terrore si era concretizzato in un
bipolarismo giunto al pieno compimento e alla piena simmetria tra USA e URSS, nel possesso degli
armamenti nucleari e nella capacità di farne uso.
Dal 1953, le condizioni di vita in URSS tendevano chiaramente a migliorare, inoltre si era
progressivamente smantellato l’apparato di internamento costruito da Stalin e milioni di persone
riottennero la libertà. Liberazioni e riabilitazioni ebbero un ritmo elevato sotto Chruščev, e i
detenuti nei Gulag passarono dagli oltre cinque milioni del 1953 a meno di un milione nel 1959.
Ancora significativa fu la svolta del XXII congresso del PCUS (1961) in cui fu votata la rimozione
della mummia di Stalin dal Cremlino, l’abbattimento dei suoi innumerevoli monumenti e il cambio
del nome di Stalingrado in Volgograd.
La destalinizzazione ebbe effetti anche sul codice penale, che fu riformato per tutelare i diritti
individuali e realizzare la “legalità socialista”, che voleva essere la fine dell’arbitrio incondizionato
della politica: fu abolita la definizione di “nemico del popolo” e il reato di “crimine
controrivoluzionario” e sostituita con la dizione di “crimine particolarmente pericoloso nei
confronti dello Stato”, che non prevedeva più la pena di morte.
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2 L’economia pianificata in URSS
La crescita economica del periodo 1950-1973 non toccò solamente i paesi capitalisti, ma
anche quelli comunisti. Si stima che in quegli anni il prodotto interno sovietico fosse cresciuto del
5-6 per cento annuo, contro una media del 4,9-5 per cento dei paesi non comunisti più
industrializzati: avevano, quindi, tassi di crescita più elevati del mondo capitalistico. Negli ultimi
otto anni staliniani avvenne una grandissima crescita con i due piani quinquennali: quello degli anni
1946-1950 per la ricostruzione, e quello 1951-1955 riguardo l’industria pesante, il settore militare e
quello dell’energia con la costruzione delle centrali idroelettriche. Ma la crescita era avvenuta
sacrificando la produzione di beni di consumo e costringendo, attraverso la propaganda, al sacrificio
collettivo e individuale per la salvezza della rivoluzione.
I piani di Chruščev ebbero una maggiore elasticità rispetto a quelli precedenti, ma misero sempre al
primo posto l’interesse dell’industria pesante, pur se con una nuova attenzione ai consumi e
all’industria leggera ed alle nuove chimica ed elettronica.
Il sesto piano quinquennale (1956-1960), fu abbandonato nel 1959 e se ne approvò un altro,
settennale, che programmava lo sviluppo dell’industria chimica e la produzione di fertilizzanti
agricoli. Nel 1963 anche questo piano settennale fu abbandonato. Dalla ossessione per una
produzione industriale intesa in modo strettamente quantitativo, derivava l’estrema modestia della
vita quotidiana.
Dal punto di vista dello sviluppo spaziale l’URSS sembrava precedere gli USA nella corsa allo
spazio, con il lancio del primo satellite artificiale (lo Sputnik) nel 1957, seguito dall’invio nello
spazio della cagnetta Laika e, nel 1961, del primo uomo, Yuri Gagarin. Ma allevamento e
agricoltura iniziavano a mostrare i limiti del sistema. Nonostante la fedeltà al dogma della
collettivizzazione (kolkoz, cooperative di contadini) e l’invenzione dei sovkoz, cioè di fattorie
direttamente statali, la produttività risultava bassissima, finché nell’inverno 1962-63 si dovette
ricorrere alle importazioni di grano dall’estero. Ma il confronto cui i regimi comunisti tenevano di
più era quello riguardante l’istruzione, i servizi sociali e l’assistenza sanitaria; già prima del 1970
era stato eliminato l’analfabetismo e gli indici di scolarizzazione media erano perfino superiori a
quelli dell’Europa occidentale.
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Più che l’industria, fu l’agricoltura ad essere il centro delle sperimentazioni economiche di
Chruščev, con la messa a coltura di vaste aree prima non coltivate, come in Siberia e in Kazakistan,
e l’uso su vasta scala dei fertilizzanti chimici. Per risolvere il problema dell’irrigazione dei campi
dell’Asia centrale si arrivò a deviare il corso di interi fiumi, creando grossi disastri ecologici
sull’ambiente e il territorio. Chruščev promise, inoltre, che nel 1960-61 la produzione sovietica pro
capite di burro e latte avrebbe eguagliato quella statunitense. Ma l’agricoltura sovietica rimaneva in
balia di molti fattori, specialmente di quelli climatici, come la siccità. Nonostante tutti questi sforzi,
però, nel 1963 si verificò una carestia di così grandi proporzioni che si dovette ricorrere alle
importazioni dagli Stati Uniti. Lo smacco fu molto grande e indebolì la leadership di Chruščev,
rendendolo vulnerabile alle manovre dei suoi avversari. Difatti il comitato centrale del PCUS, il 13
ottobre 1964, impose improvvisamente le dimissioni del segretario e primo ministro Chruščev.
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3 Leonid Brežnev (1964-1982)
La congiura contro Chruščev fu preparata mentre questi era in vacanza in Crimea, in
accordo con i vertici del KGB. Fu proprio il KGB a tenere isolato e tagliato fuori da ogni
comunicazione Chruščev durante il suo soggiorno sul Mar Nero, ed anche ad organizzarne il
trasferimento a Mosca per partecipare alla riunione del Presidium. Chruščev, quindi, era all’oscuro
di tutto quando la riunione ebbe inizio ed il Presidium lo sollevava sia dalla carica di primo
segretario del partito che da quella di primo ministro. L’accusa che gli fu imputata fu di avere
riportato insuccessi sia in politica estera quanto nell’economia e anche di avere gestito il potere in
modo personalistico e tirannico. In realtà, molti fattori avevano minato il potere di Chruščev: la crisi
di Cuba, il deterioramento dei rapporti con la Cina, la crisi economica ed agricola del 1963. Ma
Chruščev aveva soprattutto trascurato di consolidare le basi del proprio potere, trascorrendo troppo
tempo nei viaggi all’estero.
Si volle andare, dunque, verso una ulteriore normalizzazione, riaffermando la collegialità del potere
e la separazione delle cariche di primo ministro e segretario del partito, stabilendo che non si
sarebbero mai più cumulate nella stessa persona. Iniziò, quindi, il periodo della leadership
collettiva, guidata da un triumvirato composto da Brežnev, capo della segreteria del partito,
Kosygin, capo del governo, e Podgornj presidente del Presidiun del Soviet Supremo. Verso la fine
degli anni Settanta, però, si andò consolidando la posizione di Brežnev. La linea del suo governo fu
opposta a quella di Chruščev, essa interpretava il desiderio degli apparati burocratici di stabilità,
infatti, si pose fine alle innovazioni ed agli esperimenti di riforma. Nel 1966, fu ristabilita la carica
di segretario generale del partito, soppressa dopo la morte di Stalin, e attribuita a Brežnev, mentre i
seguaci di Chruščev furono messi da parte. Contemporaneamente, anche in politica estera si
riprendeva una linea più “tradizionale”: infatti il 1966 fu la fine del disgelo. Si riprese con una
gestione del dissenso politico all’insegna della repressione, anche attraverso condanne ai lavori
forzati e alla detenzione nei manicomi. Dal punto di vista della gestione della politica economica,
invece, fu ristabilito il sistema verticale e centralizzato, che Chruščev aveva cercato di mitigare.
Dopo il 1960 gli indici di crescita erano iniziati a rallentare, anche se restavano superiori a quelli
Occidentali. Da che dipendeva la perdita di slancio? Un rapporto segreto preparato nel 1965
dall’economista Aganbejan indicava due cause principali: l’enormità delle spese militari; la
centralizzazione e burocratizzazione eccessive.
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Il problema principale era costituito dal fatto che il modello di sviluppo era rimasto quello
staliniano: cioè si puntava ad uno sviluppo di tipo estensivo e quantitativo, basato sulla disponibilità
illimitata di forza lavoro e di risorse naturali insieme a massicci investimenti. Non veniva
incentivato, invece, uno sviluppo intensivo, basato sull’aumento della produttività e
sull’innovazione tecnica e industriale. Lo sviluppo industriale sovietico era dunque avvenuto
facendo un cattivo uso delle risorse e causandone uno spreco ingente. Lo scopo valido negli anni
Trenta e Quaranta, di costruire una base industriale in modo rapido, badando al volume della
produzione e non tanto alla produttività, non aveva più nessun senso negli anni Sessanta.
L’agricoltura continuava ad essere funestata da annate di cattivi raccolti, come nel 1965, 1967, 1972
e 1975, e per nutrire il bestiame in questi casi si dovette importare ancora il grano dagli Stati Uniti.
Alla fine degli anni Sessanta si diffusero anche in URSS le mode e i consumi dell’Occidente. Anche
gli elettrodomestici per la casa, le automobili ed i vestiti nello stile occidentale si affermarono e si
diffusero. Anche la diffusione di telefoni, fotocopiatrici e macchine da scrivere aumentava, pur se la
loro diffusione restava sotto lo stretto controllo della polizia, per ragioni “di sicurezza”. Nel
complesso, quindi, la popolazione sovietica, soprattutto nelle città, vide migliorare il proprio stile di
vita, anche se in modo assolutamente non comparabile con quello dell’Occidente.
L’economia, però, si avviava verso una fase di stagnazione e buona parte del mercato di beni,
servizi e attività, ricadeva nel mercato nero, un mercato parallelo a quello ufficiale ma sottratto al
controllo dello Stato. Il mercato nero serviva a riequilibrare le inefficienze dovute alla
pianificazione dell’economia, e crebbe di diciotto volte tra il 1960 e il 1990. Reso possibile dalla
tolleranza del regime, più che di mercato nero si è giunti a parlare di “mercato in bianco e nero”,
proprio per la profonda integrazione fra i due sistemi.
Si aprì un dibattito sul sistema della pianificazione, che mise in luce tre problemi:
1. la propensione del piano a realizzare solo indici quantitativi, senza tenere conto dei
consumatori e dei loro gusti. Questo faceva in modo che si producessero beni non richiesti e che
invece si ignorassero quelli effettivamente richiesti dai consumatori e dal mercato. Quindi il sistema
della produzione pianificata generava immense quantità di beni che o rimanevano invenduti o erano
invendibili;
2. la mancanza di meccanismi che consentissero di correggere il piano quinquennale strada
facendo ed in modo rapido. Ad esempio i prezzi dei beni erano decisi dal centro al momento della
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emanazione del piano e senza tenere conto dei costi effettivi della produzione, creando così uno
spreco di risorse;
3. la tendenza a mettere gli interessi dei pianificatori e delle industrie contro quelli della
collettività. Ciò voleva dire che il primato dato alle quantità fisiche dei beni prodotti, frenava le
innovazioni e non incentivava né l’aumento della produttività, né la diminuzione dei costi. Per
esempio nella produzione di lampadine, se il piano affidato dai pianificatori del partito ai produttori
veniva stabilito in una potenza complessiva da raggiungere, essi avrebbero dovuto produrre tutte
lampadine di grande potenza e tralasciare quelle da 25 watt. Al contrario, se invece l’indice doveva
essere espresso in un numero di pezzi da produrre, si sarebbe avuto l’effetto opposto: cioè si
sarebbero prodotte tutte lampadine da 25 watt per produrre nel più breve tempo possibile il numero
di pezzi richiesto. In sostanza: in assenza del mercato, l’interesse dell’impresa e dei suoi operai
(cioè realizzare il piano) si pone in contrasto con quelli della società e dei consumatori (che è avere
a disposizione il maggior numero possibile di lampadine di tutte le potenze).
Il sistema venne riformato introducendo nel piano l’indice della produzione venduta, oltre quello
della produzione globale e permettendo alle imprese di trattenere una maggior quota di profitti. I
risultati economici furono migliori negli anni dal 1965 al 1970, ma la riforma sostanzialmente fallì,
perché non si potette introdurre più mercato nel sistema. Fare questo, infatti, avrebbe voluto dire
avere meno potere da gestire per la nomenklatura, il partito e la burocrazia. L’economia sovietica,
in buona sostanza, non riuscì mai a trasformarsi in una economia di consumo: i prodotti di
consumo, infatti, rimasero pochi e di cattiva qualità, quindi non c’era nemmeno modo di spendere i
guadagni supplementari in modo soddisfacente. Da qui la famosa battuta che circolava in Unione
Sovietica: «noi fingiamo di lavorare, loro fingono di pagarci».
Fino alla distensione i due sistemi capitalista e comunista non avevano ancora interagito tra di loro,
successivamente, invece, colle importazioni di grano in URSS e le esportazioni in Europa di gas e
petrolio, iniziò tra capitalismo e comunismo un sempre più inevitabile contatto. Scambiando il
petrolio e il gas in cambio di tecnologia avanzata e attrezzature industriali, l’economia dell’URSS
diventava sempre più simile a quella di un paese sottosviluppato.
Nel 1977 Brežnev divenne, oltre che segretario generale, anche presidente del Presidium del Soviet
Supremo. La sua salute, però, aveva già iniziato a peggiorare. Fu così affiancato nella gestione del
potere da un gruppo di dirigenti tutti sulla soglia della vecchiaia. La burocrazia del partito,
consolidatasi dalla stabilità e dalla continuità del potere dell’era brezneviana, infatti, portò alla
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assoluta incapacità di procedere ad un ricambio generazionale e al consolidarsi di una vera e propria
inamovibile “gerontocrazia”. Brežnev morì nel 1982, e fino ad allora tutto il sistema fu
caratterizzato dal più assoluto immobilismo. Andropov, per quindici anni a capo del KGB,
diventava segretario generale. Morì dopo soli due anni, per lasciare il posto al delfino di Brežnev,
Černenko, vecchio e malato anch’esso. Quando dopo tredici mesi Černenko morì, il ricambio
generazionale era una necessità ormai divenuta improrogabile. Nel 1985 diveniva segretario
generale Gorbačev, che aveva solo 54 anni, e che lo stesso Andropov aveva indicato come suo
successore.
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Bibliografia
G. CIGLIANO, La Russia contemporanea. Un profilo storico (1855-2005), Roma 2008
B. FOWKES, L’Europa orientale dal 1945 al 1970, Bologna 2007
S. GUERRACINO, Storia degli ultimi sessant’anni, Milano 2009
G. MAMMARELLA, Storia d’Europa dal 1945 a oggi, Roma-Bari 2006