magazine issn 2531-9973 · la strada avviata di far emergere e favorire nuove opportunità di...
TRANSCRIPT
ANNO III | N. 03-04 2017
MagaziNeContributi di:Issn 2531-9973
Progettare il futuro nell’eradella ri-globalizzazioneP
oste
Ital
ian
e sp
a -
sped
izio
ne
in a
bb
onam
ento
pos
tale
- D
.L.3
53/2
00
3 (c
onv.
in L
. 27/
02/
200
4 n
.46
) ar
t.1,
com
ma
1, C
NS
VI
Antonio BorriRodolfo Brandi
Massimo CalzoniLucio Caracciolo
Stefano CaratelliGuglielmo Cevolin
Maria Gigliola CirrilloRoberto ContessiZeno D’agostino
Giovanni Da PozzoElisa De Berti
Francesco De BettinJean Paul Fitoussi
Francesco giacoboneGiorgio golinelli
Alessia guerrieriMaurizio ionicoMarica Mercalli
Fabio MoioliFrancesco Nelli
Riccardo NenciniLorenzo Orsenigo
Marco PanaraStefano Petrucci
Piero PetruccoGiovanni Prearo
Niccolò RebecchiniGiacomo RoversiGiuseppe Ruggiu
Giovanni SalmistrariFrancesco Sannino
Giulio SantagataGraziano TilattiMatteo TononPiero Torretta
Stefano UsseglioAlessandro Verona
CiV
iLTà
Di C
aN
TieR
e -
aN
NO
iii |
N. 0
3-0
4 |
2017
SOLAIO PRESIDIATO CON SystemSOLAIO SFONDELLATO
La risposta sicura in caso di terremoto.
Scopri di più su www.rinforzo-strutturale.it
MapeWrap ® EQ System
MapeWrap EQ Net
MapeWrap EQ Adhesive
MapeWrap EQ
Il sistema di presidio brevettato e certificato di minimo spessore e di facile e veloce applicazione, indicato per l’ANTISFONDELLAMENTO dei solai.
MapeWrap EQ AdhesiveAdesivo monocomponente all’acqua pronto all’uso in dispersione poliuretanica
MapeWrap EQ NetTessuto bidirezionale in fibra di vetro pre-apprettato
3
1 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017
eQuesto numero doppio di Civiltà di Cantiere esce in corrispondenza della
seconda edizione della Construction Conference. Il tema prescelto – pro-
gettare il futuro nell’era della ri-globalizzazione – chiama in causa diret-
tamente la capacità di una filiera e di un settore, quello delle costruzioni,
di confrontarsi con la sfida della complessità. L’anno scorso avevamo cer-
cato di comprendere come l’innovazione costituisca un fattore strategico
e un’opportunità per chi opera nell’edilizia per interpretare un presente in
forte cambiamento.
Quest’anno la riflessione non può non tenere conto di quanto avvenuto a
livello internazionale. C’è stata la Brexit, l’elezione a presidente degli Sta-
ti Uniti di Donald Trump, una crescita del populismo, un rafforzamento
internazionale del ruolo della Cina. Solo per citare alcuni avvenimenti che
hanno cambiato lo scenario. Per quanto riguarda l’Italia, la notizia positiva
di una crescita inaspettata del PIL e la convinzione che in qualche modo il
Paese stia uscendo dalla crisi. Tutto ciò porta a ridefinire il concetto stesso
di globalizzazione, fattore persistente e imprescindibile ma diverso rispet-
to a come si presentava dodici mesi fa. Chiedendoci come tutto questo
si ripercuota sul settore delle costruzioni, sul sistema delle imprese, sulla
filiera. Ci è parso così chiaro che in questo nuovo contesto diventa stra-
tegico ripensare e rimodellare i sistemi infrastrutturali seguendo logiche
nuove e valorizzando al massimo l’innovazione tecnologica e l’interazione
territoriale. Una prospettiva che chiama in causa la forte interdipendenza
tra logistica, trasporti e mobilità, in una visione fortemente integrata con
gli obiettivi ineludibili di una profonda e ampia rigenerazione urbana.
Abbiamo ripreso alcuni concetti chiave della precedente Conferenza, come
quello di “ecosistema”, lo abbiamo calato nella realtà geografico-territo-
riale del Friuli Venezia Giulia e siamo andati a costruire un evento su più
livelli, che corrispondono alle sezioni di questo numero della rivista: quello
degli scenari, quello dell’ecosistema territoriale assunto come case study
sotto il duplice registro delle infrastrutture e della rigenerazione urbana,
quello del ruolo svolto dall’innovazione. Anche quest’anno abbiamo vo-
luto costruire un evento di respiro internazionale, con la partecipazione di
personalità provenienti da mondi diversi, per dialogare, riflettere e trovare
soluzioni e nuove prospettive.
Progettare il futuro nell’era della ri-globalizzazione
di ALFREDO
MARTINI
Direttore di
Civiltà di Cantiere
Editoriale
N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Sommario
EDITORE E PROPRIETà
EDITORIALE
Strategie &
Comunicazione Srl
Via dei Prati Fiscali, 199
00141 Roma
DIRETTORE
RESPONSABILE
ED EDITORIALE
Alfredo Martini
CAPOREDATTORE
Mimosa Martini
REDAZIONE
Martino Almisisi
Emanuele Incanto
Mimosa Martini
Viola Moretti
Maria Cristina Venanzi
PROGETTO GRAFICO
E IMPAGINAZIONE
Aurora Milazzo
In copertina
Il mondo dopo Trump.
Fonte: Limes
Scambi globali a un bivio storico? (S. Caratelli) ............................................ 10
Flussi, connessioni e poteri forti (L. Caracciolo) ........................................... 13
Prospettive giuridiche e geopolitiche contemporanee (G. Cevolin) .............. 16
Jean Paul Fitoussi: fermare la distruzione delle competenze (A. Martini) ......20
L’OPINIONE di Piero Torretta: Il risveglio dell’Italia nell’età dell’algoritmo .... 23
Le opportunità di una competizione per ecosistemi (M. Panara) ...............26
L’OPINIONE di Roberto Contessi: Favorire una reale rigenerazione
edilizia ........................................................................................................29
L’INTERVISTA a Zeno D’Agostino: Il porto cambia pelle: da terminale
a fattore strategico di sviluppo territoriale .................................................30
Nuove strategie per il rilancio dei territori (A. Verona) .................................34
FVG: più cultura progettuale e tecnologica (G. Da Pozzo) ............................38
Il sistema industriale friulano di fronte alle sfide dei mercati
internazionali (M.Tonon).............................................................................. 41
Cloud computing, advanced analytics e nuove piattaforme (F. Moioli) .......45
L’OPINIONE di Rodolfo Brandi: Innovare le costruzioni facendo rete .......48
Memorie industriali, mixitè funzionale e rilancio economico (A. Guerrieri) ....50
Dall’acqua al ferro, tutti i vantaggi dell’automazione digitale (F. De Bettin) ...54
L’OPINIONE di Giuseppe Ruggiu: La frontiera della rappresentanza
di settore: avanguardia o retrovia? .............................................................60
Una scuola ad alte prestazioni antisismiche in 116 giorni .............................62
L’INTERVISTA a Riccardo Nencini: Le nuove strategie di governance
per i territori ...............................................................................................64
Il rilancio delle politiche per la città (F. Giacobone).......................................69
L’OPINIONE di Graziano Tilatti: Maggiore efficienza se si lavora in rete .....74
Se la geografia è destino (M.C. Venanzi) ...................................................... 76
Riorganizzazione ferroviaria e rigenerazione urbana (M. Ionico) .................82
Il protocollo Envision per la sostenibilità delle infrastrutture (L. Orsenigo) .......86
L’OPINIONE di Giorgio Golinelli: Reti e servizi per la qualità della vita .....89
L’EDITORIALE di Giovanni Salmistrari: Fermare la destrutturazione
del tessuto imprenditoriale delle costruzioni .............................................93
L’INTERVISTA a Elisa De Berti: Per un sistema integrato di infrastrutture
a basso impatto ambientale ......................................................................94
Dalle grandi opere alla mobilità sostenibile (E. Incanto) ...............................98
L’INTERVISTA a Giovanni Prearo: Con la cultura cambiare si può,
mettendo al bando la cattiva edilizia ....................................................... 102
L’EDITORIALE di Stefano Petrucci: Un cambiamento di prospettiva
per garantire opere pubbliche sicure, ben costruite e a prezzi giusti ........ 107
L’INTERVISTA a Nicolò Rebecchini: Dare un futuro a Roma Capitale:
insieme per un grande progetto di rigenerazione ..................................... 108
Il piano paesaggistico regionale tra esigenze di tutela e sviluppo (S. Usseglio) .... 112
L’INTERVISTA a Francesco Nelli: Serve un’edilizia che sappia
guardare al futuro .....................................................................................115
L’OPINIONE di Giacomo Roversi: Dal passato lezioni sul terremoto .......... 117
L’EDITORIALE di Massimo Calzoni e Francesco Sannino: Ripensare
la formazione per mettere in sicurezza il nostro territorio ........................119
La Strategia Nazionale delle Aree Interne: come costruire comunità (M.G. Cirrillo) .. 120
La rigenerazione non può prescindere dal territorio (G. Santagata) ........... 124
Il risveglio dalle macerie (M. Mercalli) ..........................................................127
L’OPINIONE di Antonio Borri: Beni culturali in zona sismica: non c’è
conservazione senza sicurezza .................................................................. 130
sr
c
SCENARI | GOVERNARE IL FUTURO NELL’ERA DELLA RI-GLOBALIZZAZIONE EST | INFRASTRUTTURE, MOBILITà E TURISMO SOSTENIBILE IN VENETO
LISTA | VISIONI, IDENTITà E MODELLI PER UNA RIGENERAZIONE URBANA
FORMEDIL | INNOVAZIONE E FORMAZIONE NELLA RICOSTRUZIONE POST SISMA
RIGENERAZIONE | IL PORTO REGIONE E L’ECOSISTEMA FRIULI VENEZIA GIULIA
INNOVAZIONE | IL PARADIGMA DELLA DIGITALZZAZIONE
CITTà | CRESCITA ECONOMICA, INFRASTRUTTURE E RIGENERAZIONE URBANA
i
ERRATA CORRIGE: Segnaliamo che sul numero 2, gli autori dell’articolo “Vega: centro o periferia al centro?” sono tre:
Maria Chiara Tosi, Alessia Franzese e Marco Paronuzzi.
5
PROGETTARE IL FUTURO NELL’ERA DELLA RI-GLOBALIZZAZIONE
Udine 13 ottobre 2017
Persone, città, infrastrutture
TEATRO PALAMOSTREPiazzale Paolo Diacono, 21 - Udine
CONSTRUCTION CONFERENCE2017
Trasformazione del mercato delle costruzioni e ri-globalizzazione
Nuovi modelli e prospettive di sviluppo economico, anche alla luce della ridefini-zione dei rapporti di potere a livello mondiale, sono destinati a condizionare l’e-voluzione del mercato delle costruzioni. È in questo nuovo contesto che diventa strategico ripensare e rimodellare i sistemi infrastrutturali seguendo logiche nuove e valorizzando al massimo l’innovazione tecnologica e l’interazione ter-ritoriale. Una prospettiva che chiama in causa la forte interdipendenza tra logi-stica, trasporti e mobilità, in una visione fortemente integrata con gli obiettivi ineludibili di una profonda e ampia rigenerazione urbana.
Con la seconda edizione della Construction Conference si intende proseguire sul-la strada avviata di far emergere e favorire nuove opportunità di mercato per il tessuto e la filiera produttiva delle costruzioni, attraverso un evento di respiro internazionale e con la partecipazione di personalità provenienti da mondi diver-si, da quello economico a quello della lettura geopolitica degli scenari, da quello politico/istituzionale a quello accademico e delle professioni. Un appuntamento annuale in cui i diversi attori del settore possono confrontarsi con idee, analisi e progetti non consueti, potendosi relazionare con l’eccellenza internazionale e nazionale secondo percorsi adeguatamente orientati e attraverso format in gra-do di facilitare la comprensione e il dialogo.
www.constructionconference.it
Construction Conference: un progetto per cambiarevisione ed approccioIl confronto si apre all’insegna del tema dell’innovazione legata a infrastrutture e mobilità
Quando due anni fa, nell’ambito del progetto
Civiltà di Cantiere, abbiamo cominciato a pen-
sare a questo evento, avevamo abbastanza
chiari gli obbiettivi e le motivazioni: in Friuli Ve-
nezia Giulia, la mia regione, ma in generale in
Italia, il settore delle costruzioni vive da molti
anni una situazione di grande difficoltà. A no-
stro parere però la difficoltà non era e non è solo
di ordine economico, ma è ben più ampia. Non
siamo stati capaci di capire i mutamenti sociali,
culturali, organizzativi che stavano avvenendo
nel mondo, quello a noi vicino e quello globale.
Per questo ci siamo posti l’obiettivo di parlare
di innovazione. Spesso siamo portati a identi-
ficare l’innovazione con la digitalizzazione, così
che nel nostro settore l’innovazione è il BIM. Ma
non è così. Innovare significa cambiare i para-
digmi sulla base dei quali operiamo. L’innova-
zione attraversa tutti gli aspetti delle nostre
azioni: gli ambiti culturali, finanziari, relativi
alle relazioni sociali e industriali, sicuramente
quelli tecnologici, l’organizzazione di impresa,
la logistica, ecc.
Diventa pertanto essenziale affrontare il tema
dell’innovazione da diverse prospettive. Le
imprese di costruzione, gli imprenditori edili e
i professionisti devono fare uno sforzo impor-
tante per “uscire” dal quotidiano e pensare
in modo solo apparentemente meno mira-
to all’immediato. Dico solo apparentemente
perché sono convinto che questo sforzo sia in
grado invece di restituire molto, anche in tempi
relativamente brevi.
Le associazioni di categoria a cui abbiamo
proposto questo progetto lo hanno accolto
con favore. Ma penso, anche sulla base di mie
recenti esperienze, che queste debbano fare
un enorme sforzo di rinnovamento radicale,
di ripensamento della loro funzione e del loro
ruolo. Molti imprenditori, presi dalle difficoltà
del quotidiano, hanno perso l’entusiasmo e
la capacità di pensare in prospettiva. E allora
ecco che oggi le associazioni di rappresentan-
za, a mio parere, trovano una ragion d’essere
solo se diventano motori dei processi di inno-
vazione: debbono essere in grado di proporre
agli associati nuovi modelli di sviluppo, di or-
ganizzazione, di struttura finanziaria, di rela-
zione con il territorio. Se saranno capaci di ciò,
sicuramente il loro ruolo non sarà superato,
anzi assumerà un valore particolare, che verrà
loro riconosciuto.
Un altro soggetto che deve essere coinvolto
sono le pubbliche amministrazioni. Anch’esse
scontano importanti ritardi; molto spesso pre-
valgono le inerzie, la ripetizione del “si è sem-
pre fatto così”, la diffidenza, se non l’ostilità
per tutto ciò che è nuovo, diverso dal passato.
È molto importante stimolare la sensibilità e
l’interesse all’innovazione, coinvolgendo chi vi
opera. Negli ultimi anni, fortunatamente, mi
sembra che qualcosa stia cambiando, ma è an-
cora un processo troppo lento e incerto.
Inoltre ci vogliamo rivolgere al mondo dell’u-
niversità, della scuola, dell’istruzione tecnica
e della formazione. Il distacco italiano tra il
mondo della scuola e il mondo del lavoro e le
imprese è enorme. Dobbiamo costruire rela-
zioni nuove, connessioni, reti…. Il ruolo sociale
dell’impresa, così poco riconosciuto nel nostro
Paese, non può essere disgiunto da quello
culturale. Non possiamo pensare l’impresa
sempre e solo confinata all’ambito degli affa-
ri, della produzione, della finanza. L’impresa è
soprattutto, e prima di tutto, un soggetto so-
ciale, fatto di persone, della loro cultura e del-
le loro relazioni. I giovani che studiano spesso
ignorano del tutto questo mondo, percepito
come separato e avulso dalla loro realtà. Per
questo la grande opportunità offerta dall’al-
ternanza scuola lavoro va colta e sfruttata al
meglio. Come l’innovazione in edilizia non si
esaurisce assolutamente nel BIM, cosi l’alter-
nanza non è una progettualità confinata agli
istituti tecnici. Se così fosse sarebbe l’ennesi-
ma occasione sprecata.
Con la Construction Conference vogliamo svol-
gere una funzione di “apriscatole”, vogliamo
lanciare idee, ipotesi, prospettive di azioni an-
che divergenti in grado di aiutarci ad affrontare
il futuro dei nostri territori, delle nostre azien-
de, in sintesi il “nostro” futuro. L’ obiettivo è
quello di favorire in modo sinergico una sempre
più diffusa consapevolezza dell’urgente neces-
sità di cambiare approccio, aprendoci al nuo-
vo e alle esperienze che il mondo ci offre. Nel
2016 abbiamo focalizzato la nostra attenzione
su ipotesi e suggestioni relative all’abitare del
domani, su come le innovazioni determinate da
quella che viene definita la “quarta rivoluzio-
ne industriale” contribuiscano ad offrire nuovi
prodotti e nuove soluzioni sempre più rispon-
denti a una domanda di benessere abitativo e
di sostenibilità. Quest’anno abbiamo deciso di
affrontare i temi delle infrastrutture, della rige-
nerazione urbana e della loro interconnessione,
guardando al mondo e ragionando sulle strate-
gie economiche e di sviluppo attraverso nuove
prospettive. Abbiamo scelto di confrontarci con
livelli superiori di complessità nella convinzione
che soltanto alzando lo sguardo possiamo re-
almente ragionare e porci delle domande utili
a comprendere l’importanza di spingersi oltre
la soluzione dei problemi immediati, senza ri-
manere strettamente ancorati al quotidiano. In
questa logica abbiamo chiesto il contributo di
economisti e intellettuali di valore internazio-
nale, così come di manager, imprenditori e am-
ministratori regionali e nazionali nella convin-
zione che sia estremamente utile confrontarsi
con diverse dimensioni territoriali.
di PIERO PETRUCCO
ProgrammaConstruction Conference 2017
ORE 10:00
ORE 10:15
ORE 10:30
ORE 11:15
ORE 12:00
ORE 12:45
ORE 14:00
ORE 14:20
ORE 16:30
ORE 15:30
ORE 18:00
ORE 16:00
APERTURA DEI LAVORIAlfredo MARTINI e Piero PETRUCCO, Civiltà di Cantiere
Roberto CONTESSI, Presidente ANCE Udine
L’IMPEGNO ISTITUZIONALE PER LO SVILUPPOSergio BOLZONELLO, Vicepresidente e Assessore Attività
produttive, turismo e cooperazione Regione Autonoma FVG
INTERCETTARE IL FUTURO: INFRASTRUTTURE ED ECOSISTEMI> I nuovi scenari nell’era della ri-globalizzazione
Lucio CARACCIOLO, Direttore di LIMES
> Il futuro è il presenteFabio MOIOLI, Direttore Divisione Enterprise Services
di MICROSOFT Italia
L’ECOSISTEMA FVG> Il Porto Regione Trieste-FVG
Zeno D’AGOSTINO, Presidente dell’Autorità
di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale
> Logistica, trasporti e digitalizzazione: valorizzare gli ecosistemi territoriali
Francesco DE BETTIN, Amministratore Delegato DBA Group
LE ECONOMIE DEL TERRITORIO - Conduce Marco PANARAGiovanni DA POZZO, Presidente Camera di Commercio
di Udine e Vicepresidente Unioncamere Nazionale
Mariagrazia SANTORO, Assessore infrastrutture e territorio regione FVG
Matteo TONON, Presidente Confindustria Udine
LUNCH BREAK
RIPRESA DEI LAVORIMichela DEL PIERO, Presidente Banca Popolare di Cividale
Arnaldo REDAELLI, Presidente di ANAEPA Confartigianato Edilizia
Graziano TILATTI, Presidente Confartigianato Udine e FVG
CITTà FULCRO DEL NOSTRO FUTUROCino Paolo ZUCCHI, Cino Zucchi ArchItetti
> Infrastrutture, sostenibilità e serviziMarco BORRONI, Federbeton
Giorgio GOLINELLI, Amministratore Delegato AMGA
Calore & Impianti (Gruppo Hera)
Riccardo Maria MONTI, Presidente Italferr SpA
Lorenzo ORSENIGO, Direttore Generale ICMQ SpA
L’INTERVISTA - A cura di Marco PANARADebora SERRACCHIANI, Presidente Regione Autonoma FVG
GOVERNARE LA CITTà CHE SI TRASFORMARiccardo NENCINI, Viceministro delle Infrastrutture
e dei Trasporti
LECTIO MAGISTRALIS> Flussi e connessioni. Economie, mercati e opportunità
Jean Paul FITOUSSI, Institut d’Etudes Politiques de Paris
CHIUSURA DEI LAVORI
10 11 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Scambi globali a un bivio storico?
La Cina vuol investire migliaia di miliardi di dollari per aprire la nuova Via della Seta e perfino Panama vuole essere della partita. Ma i flussi di merci fisiche potrebbero essere sostituiti da quelli di dati.
Il 12 giugno del 2017 potrebbe essere ricordato come una data storica per
il commercio mondiale. È il giorno in cui Panama ha rotto le relazioni con
Taiwan e stabilito per la prima volta rapporti diplomatici ufficiali con Pe-
chino. Nel darne l’annuncio, il presidente del piccolo ma strategico paese
centro-americano Juan Carlos Varela ha motivato la decisione con il fatto
che la Cina è ormai diventato il secondo “cliente” più importante del ca-
nale che evita ai porta-container più grandi del mondo di circumnavigare
il continente per condurre le merci dall’Asia all’Europa e all’Africa e vi-
ceversa. Molti scommettono che la mossa panamense sia solo il primo
passo per l’ingresso del paese-canale nel progetto OBOR, vale a dire One
Belt One Road, noto anche come Nuova Via della Seta. L’America Latina
non ne fa parte e non ci sono piani di coinvolgerla, ma Panama sembra
destinata ad essere l’eccezione. L’economista panamense Eddie Tapiero
si dice certo che andrà a finire così, dato che il canale è strategico e la Cina
non ha più riserve di natura legale e politica da investire a Panama. Il ri-
conoscimento diplomatico è arrivato un anno dopo il completamento dei
lavori per l’allargamento del canale, che ora consente il passaggio anche
dei mega porta-container.
Della Road and Belt Initiative si è parlato molto. Soprattutto in occa-
sione del suo rilancio dal parte del presidente Xi in un summit interna-
zionale a Pechino nel maggio del 2017. Si tratta della realizzazione di
un’infrastruttura imponente di trasporti, energia e telecomunicazioni:
strade, ponti, oleodotti, porti, ferrovie, centrali elettriche disposti lungo
la vecchia Via della Seta da Oriente a Occidente con una variante marit-
tima che andrebbe a lambire e coinvolgere anche l’Africa. Investimen-
ti stimati per 5.000 miliardi di dollari e spalmati su 60 paesi tra Asia,
Medio Oriente, Europa e, appunto, Africa con l’aggiunta possibile di un
importante presidio nell’istmo tra Atlantico e Pacifico. Xi sta vendendo
ai suoi partner la Road and Belt come la risposta al protezionismo di
Trump di una Cina aperta al libero scambio e allo sviluppo del commer-
cio mondiale.
E fin qui ci siamo. Panama a parte, di cui si è parlato poco o niente in
Europa, tutto il resto è stato descritto con ricchezza di numeri e analisi
su tutti i media. Ma, al di là delle evocazioni che riportano al Milione di
Marco Polo e all’operazione di marketing politico globale sicuramente ben
pensata dai cinesi, si tratta anche di un progetto cantierabile e bancabile?
Non nel senso che manchino i soldi, i forzieri dei vari fondi sovrani cinesi
sono pieni di dollari a migliaia di migliaia. Ma nel senso che potrebbero
essere poco fondate le motivazioni economiche di lungo periodo per im-
barcarsi nell’impresa. Il 2016 ha segnato il quinto anno di fila di ristagno
e contrazione del commercio globale, qualcosa che non si vedeva dagli
anni 70. Si dirà, sono gli strascichi della crisi esplosa nel 2008, prima o poi
tutto ripartirà alla grande, Trump o non Trump. Ma c’è invece un numero
crescente di economisti secondo cui non siamo di fronte a un fenomeno
ciclico, ma strutturale, un segnale che le forze che hanno spinto la glo-
balizzazione per decenni stanno cedendo il passo a nuove forze, diverse.
Secondo questi economisti, tra cui quelli del McKinsey Global Institute, la
saturazione del commercio globale di beni coincide con una drammatica
accelerazione del flusso globale di dati, e indica che una nuova economia
digitale sta prendendo il posto della vecchia economia fisica.
La diffusione dell’automazione, della robotizzazione, della tecnologia
delle stampanti 3D, puntano a una diminuzione, non si sa quanto rapida,
della necessità di trasportare fisicamente le merci da un capo all’altro del
mondo. L’immagine della globalizzazione fotografata da cargo sempre
più grandi che spostano quantità di merci sempre più grandi da un oceano
all’altro appartiene al passato e non al futuro, secondo questa visione.
La globalizzazione non è affatto finita, solo che a spostarsi sono sempre
meno le merci fisiche e sempre più i dati. I calcoli di McKinsey mostrano
che i flussi globali di beni, servizi e anche finanza hanno toccato un picco
del 53% del PIL del pianeta nel 2007 e sono scesi al 39% nel 2014, con un
trend che continua. Allo stesso tempo aumentano i flussi di dati e infor-
mazioni digitali. Nel solo triennio 2013-2015 sono raddoppiati, sempre a
livello globale. A fine 2016 i flussi “transfrontalieri” di dati e informazio-
ni digitali erano 20 volte quelli del 2008. E non si tratta di smartphone,
apps, Facebook e via dicendo. O almeno non solo.
General Electric prevede di produrre componenti per la sua divisione aero-
spaziale per centinaia di migliaia di pezzi entro il 2020 utilizzando esclu-
sivamente la tecnologia delle stampanti 3D. Si avvicina il giorno in cui le
aziende non si faranno spedire le componenti necessarie alla produzione
via cargo o container, ma semplicemente riceveranno una serie di ordini
digitali da inserire in una stampante 3D. Sempre McKinsey calcola che già
di STEFANO
CARATELLI
Giornalista
Scen
aris Sc
enar
is
13 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE12
Flussi, connessioni e poteri forti
Gli equilibri geopolitici ed economici sono diventati fluidi e non è più tanto la sovranità a determinare il controllo degli Stati moderni.
Quali sono i principali attori internazionali nell’era del disordine mondiale in cui
gli Stati sembrano aver perso la capacità di controllare migrazioni, economia, fi-
nanza, criminalità internazionale, terrorismo e cambiamenti climatici? Il tenta-
tivo di ricostruire il quadro geopolitico, estremamente frammentato e anarchico
nel 2017, vede forse in prima linea soggetti statuali e non, ovviamente gli Stati
Uniti, ma di Trump, la Cina e la Russia sfidanti degli States, ma anche le corpo-
rations, poteri automatici collegati alle innovazioni tecnologiche e poteri illegali.
Chi comanda il mondoChe ne è dell’utopia postbellica di un “governo mondiale”? La divisa statu-
nitense, che si è rivalutata negli ultimi anni, è la moneta di riserva mondiale
per definizione. Solo gli Stati Uniti hanno la forza militare, le garanzie del di-
ritto e il grande mercato finanziario che possono assicurare tale primato.Ma
la geopolitica e l’economia non bastano a capire l’impero americano. La sua
quintessenza è ideologica, missionaria, perché gli Stati Uniti non possono
ridursi a nazione fra le altre, diversa solo per il gradiente di potenza. Il pre-
sidente non conta tanto per quel che dice o per come si contraddice, ma per
quel che rappresenta nella società nazionale. L’iperpattriottismo trumpiano
espone la contraddizione strutturale fra globalizzazione e impero. I globa-
lismi americani devono constatare che il mondo globalizzato non è affatto
uno spazio omogeneo né tantomeno omologato agli Usa.
Trump non ha i mezzi per compiere la sua rivoluzione, auto centrata sull’idea per
cui l’America, vittima dell’idiozia dei precedenti leader, necessiti di un grande
condottiero. Lo Stato profondo – dai servizi segreti alle altre agenzie federali
– la magistratura, l’“opinione pubblicata”, la crema intellettuale, persino parte
della maggioranza repubblicana del Congresso hanno subito messo in eviden-
za i limiti del suo potere, accentuati dall’inevitabile dilettantismo di chi fino ai
settant’anni ha osservato la politica anziché praticarla. Ci vorrà tempo per sta-
bilire dove si fermerà l’ago della bilancia nel braccio di ferro fra la cacofonica
amministrazione Trump e le strutture profonde del potere, vocate a proteggere
l’impero. La globalizzazione come missione universale non scalda i cuori dell’o-
pinione pubblica americana. L’interdipendenza economica non genera di per sé
nel 2014 il valore aggiunto dei flussi globali di dati ha toccato i 2.800 mi-
liardi di dollari, superando anche se non di molto quello di 2.700 miliardi
relativo agli scambi globali di beni fisici. La digitalizzazione ha accorciato
la catena produttiva globale. Fondo Monetario e Banca Mondiale affer-
mano che ben la metà del rallentamento del commercio globale registra-
to negli anni successivi alla Grande Crisi iniziata nel 2008 è da attribuire
a ragioni strutturali e non cicliche. Succede allo stesso modo sia in Cina
che in America. Grazie alla digitalizzazione, alla robotizzazione e all’au-
tomazione, i produttori di beni durevoli, come le automobili, riescono ad
avvicinarsi sempre di più al mercato finale, abbattendo drasticamente il
numero e la quantità di componenti realizzate in altri paesi per motivi di
convenienza economica.
È un trend che comincia a emergere dai dati: negli ultimi anni i consumi
globali di alcuni prodotti finiti, come auto e farmaceutici, crescono più ra-
pidamente degli scambi globali degli stessi prodotti, mentre il commercio
di alcuni prodotti intermedi, come tessuti e componenti elettriche, rallen-
ta. Alcuni attribuiscono il fenomeno al rallentamento degli investimenti
in macchinari industriali, che non si sono ancora ripresi completamente
dalla crisi. Inoltre, l’apertura della nuova Via della Seta potrebbe far en-
trare nel grande gioco del commercio globale paesi che ora sono marginali.
Un gioco che vede seduti al tavolo un numero ancora relativamente basso
di giocatori. E poi finora si è parlato quasi esclusivamente di prodotti fi-
niti e componenti, mentre il commercio mondiale è fatto, anche se non
soprattutto, di scambi di materie prime che devono per forza spostarsi
fisicamente dai luoghi di produzione e estrazione a quelli di trasformazio-
ne e consumo. Petrolio, metalli, caffè, soia, legname, colla di pesce non si
possono produrre con le stampanti 3D. Certo si può immaginare un futuro
in cui molti prodotti naturali diventino sintetici grazie alle nano e alle bio
tecnologie, ma per ora è più fanta-economia che un trend.
Quello che invece sembra certo è che digitalizzazione, robotizzazione, au-
tomazione per funzionare e crescere hanno bisogno di energia elettrica e
reti in grado di trasportare quantità sempre più grandi di dati. Qualunque
sia il trend futuro del commercio globale: un nuovo ciclo di espansione
tradizionale basato prevalentemente sugli scambi di prodotti fisici o una
nuova e inedita fase dominata sempre più dagli scambi digitali, non si
potrà comunque fare a meno di un potenziamento delle infrastrutture
globali di produzione e trasporto di elettricità e di produzione e traspor-
to di dati. In questi due grandi filoni bisognerà sicuramente aprire nuove
rotte globali. Non è detto però che debbano per forza passare per il Canale
di Panama.
di LUCIO
CARACCIOLO
Direttore di Limes
Scen
aris Sc
enar
is
14 15 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
protezione geopolitica. Né ci sono più nemici assoluti di taglia paragonabile alla
Germania nazista, al Giappone imperialista o all’Unione Sovietica sui quali im-
bastire una narrazione che convinca la nazione americana alla necessità di una
postura estero-vestita. Il fenomeno Trump è indicatore, prima che soggetto, del
ripiegamento del paese su se stesso. Ma l’identità americana, come si è con-
solidata in oltre due secoli, è imperiale o non è. Gli strumenti per riaffermare
l’egemonia di Washington restano formidabili: dominio sui mari e (meno) sui
cieli – non su terra né tantomeno sul cyberspazio – il privilegio del dollaro, la
brillante demografia, l’innovazione tecnologica.
La globalizzazione di stampo cineseCi sono poi potenze inassimilabili, come la Russia, o in fermento nazionalista,
quale la Cina. Un impero plurimillenario non può copiare il modello altrui. Il pro-
getto Obor (One Belt One Road = Una Cintura Una Vita) lanciato da Xi Jinping nel
2013 è un astuto mascheramento della geopolitica neoimperialistica di Pechino.
Interpretazione estensiva, favorita dall’ambiguità della retorica cinese e dalla
vaghezza del progetto appena ribattezzato Bri (Belt and Road Initiative), che
coinvolge oltre quaranta paesi, mentre altre decine sarebbero in lista di attesa.
Una fitta rete di collegamenti terrestri e marittimi eurasiatici, estesa all’Afri-
ca, all’America Latina e potenzialmente al resto del mondo. In una prospetti-
va di lungo periodo, questa strategia esprime l’anelito a una globalizzazione
di stampo cinese, destinata a succedere a quella americana. Senza cimentarsi
nello scontro militare diretto, per il quale la Repubblica Popolare non ha i mezzi.
Per scommettere invece sulla proiezione economico-commerciale, con il dovuto
accompagnamento propagandistico e sostegno del marchio Cina, allargando e
radicando la sua sfera di influenza. La penetrazione negli spazi economici esteri,
contigui e remoti, con investimenti di medio-lungo periodo ipotizzati nell’ordi-
ne del trilione di dollari entro il 2020, vuole anzitutto sostenere l’ascesa della
Repubblica Popolare nella gerarchia globale del potere. Per intendere la portata
della Bri bisogna allargare l’analisi alle nuove istituzioni finanziarie in cui la Cina
gioca un ruolo centrale. La Asian Invesiment Infrastructure Bank (Aiib), varata
da Pechino con altri 56 paesi, senza gli Usa ma con i loro principali alleati euro-
pei, affianca la Bri. E segnala impazienza per l’indisponibilità americana a con-
cedere alla Cina il peso rivendicato in seno alle istituzioni finanziarie dominate
dagli occidentali, a cominciare dal Fondo Monetario internazionale e dalla Banca
mondiale. Tuttavia i cinesi restano i terzi finanziatori della principale concor-
rente dell’Asian Invesiment Infrastructure Bank (Aiib), la Asian Developement
Bank (Aib) di marca americana. Pechino gioca su tutti i tavoli. Il riferimento alla
via della seta è puramente estetico. Di seta se ne commercializzava pochissi-
ma, semmai spezie, selle, pellami, vetro, carta e cloruro d’ammonio. Non c’è al
mondo progetto comparabile alle nuove vie della seta. Pechino illustra trama e
ordito del tessuto pluricontinentale riservando a se stessa la funzione di spolet-
ta definendo i contorni di un’impresa colossale. Ci vorranno anni per capire
se tanto impegno porterà alla Cina i frutti sperati. Pechino prende provvedi-
menti per attrarre investitori stranieri e permettere al governo di raccogliere i
frutti gestiti dal mercato. Vuole valorizzare i settori in grado di generare uno
sviluppo di lungo periodo per assicurare la stabilità economica del paese. Fa-
vorire l’accesso di investitori internazionali consente l’assorbimento di tec-
nologia straniera e contribuisce alla graduale apertura del mercato interno.
Dalla prospettiva cinese, ciò servirebbe infine a consolidare il valore globale e
inclusivo che, come affermato spesso dal presidente cinese Xi Jinping, è alla
base delle nuove vie della seta. Le aziende pubbliche, in fase di riforma, trai-
nano gli investimenti esteri della Repubblica Popolare, mentre quelle pri-
vate scontano controlli più rigidi. Quanto agli sbocchi europei delle vie della
seta, Pechino vi persegue un doppio obiettivo. Concentra gli investimenti
nei paesi che fungono da raccordo fra Cina e Germania (intesa come sinoni-
mo di Europa) nelle periferie nord-orientali e in quelle sud-orientali dell’Ue.
La competizione fra porti e interporti europei per fruire degli investimenti
cinesi evidenzia il grave ritardo accumulato dall’Italia. Lo Stivale, in specie
il porto di Taranto, sarebbe il primo approdo per ogni carico da e per l’Asia
passante per Suez. Ma al Sud latitano infrastrutture portuali e retroportuali,
sensibilità politica ed efficienza amministrativa, elementi più avanzati in
Alto Adriatico, anche se la Cosco, gigante mandarino dello shipping, ha op-
tato per il Pireo e l’ultima mappa delle vie marittime Bri pubblicata dai cine-
si aggira l’alternativa nord-adriatica, che in tutta la precedente cartografia
spiccava come perno europeo delle rotte intercontinentali.
Scen
aris Sc
enar
is
Fonte: Amministrazione nazionale per la cartografia, topografia e geoinformazione della Repubblica Popolare Cinese, autori di Limes
16 17 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Prospettive giuridiche e geopolitiche contemporanee
Il completamento dell’Unione economica e monetaria europea, la tematica della sovranità digitale e la zonizzazione degli accordi com-merciali sono alcuni degli scenari dell’economia contemporanea per gli Stati membri dell’Unione Europea, con precondizioni.
Per superare i dieci anni di crisi (2007-2017) e prevenire o prepararsi
alle future, sotto la spinta dell’elezione di Macron a Presidente della
Repubblica Francese e del suo europeismo apparente (ridimensionato
per esempio nell’attivismo delle relazioni con la Libia), Francia, Germa-
nia e Italia hanno iniziato ad individuare disordinatamente la necessità
di un ulteriore avanzamento dell’integrazione economica e monetaria.
La prospettiva del completamento dell’Unione economica e monetaria
(Uem) è oggetto di un documento pubblicato dalla Commissione euro-
pea il 31 maggio 2017. Il 13 settembre 2017 il Presidente della Commis-
sione europea Jean-Claude Juncker dinanzi al Parlamento europeo nel
suo discorso sullo stato dell’Unione ha proposto tra le diverse riforme
del futuro: di trasformare il Meccanismo Europeo di Stabilità in un Fon-
do monetario europeo e di creare la figura del Ministro europeo del-
le finanze dell’eurozona che sia contemporaneamente Presidente del
Consiglio dei ministri economici e finanziari dei Paesi membri dell’Eu-
rozona (Eurogruppo) e vicepresidente della Commissione europea,
sintesi delle istituzioni europee con legittimazione intergovernativa e
burocratica. Ma questa direzione è ancora una volta divisiva, in quanto
non incontra il favore degli Stati della penisola scandinava e di impor-
tanti paesi dell’est europeo, Polonia e Ungheria. Quest’ultima mette
persino in discussione la sua applicazione della sentenza della Corte di
Giustizia che gli impone di accogliere una quota di rifugiati politici nel
suo territorio. In realtà anche l’asse Francia-Germania-Italia e la Com-
missione stanno attendendo i risultati delle elezioni del 24 settembre
2017 in Germania e soprattutto la composizione della Große Koalition
tra la Cdu/Csu, che è favorevole alla creazione di un Fondo monetario
europeo ma nutre riserve e posizioni diverse su ministro e budget euro-
peo e i liberali della Fdp, problematici sulla creazione del Fondo mone-
tario europeo ma contrari a ministro e bilancio separato per l’eurozona.
I socialdemocratici della Spd e i Verdi sono invece favorevoli a tutti i
punti Macron-Juncker. I liberali hanno posizioni di austerità economica
di GUGLIELMO
CEVOLIN
Professore
aggregato di
istituzioni di
Diritto Pubblico,
Università di Udine
Scen
aris Sc
enar
isdura e sarebbero favorevoli alla Grexit. Le decisioni sulla formazione del
programma di governo e sulla coalizione che lo sosterrà ci faranno at-
tendere per mesi, come accaduto nel 2013, perché in Germania i partiti
si accordano per iscritto su un programma fortemente dettagliato e poi
però lo realizzano diligentemente.
Sovranità digitaleLe previsioni dell’aumento dell’economia digitale in Europa indica-
no una moltiplicazione per tre-quattro volte nel prossimo decennio
dell’attuale 10% del Pil dell’area dell’Unione Europea. Dal punto di vista
giuridico si inizia a parlare di sovranità digitale quale risultato dell’au-
toaffermazione da parte della Corte di Giustizia europea della propria
giurisdizione basata su flussi di dati che sono riconducibili a elemen-
ti fisici (cavi, centraline, trasmettitori, computer) situati sul territorio
dell’Unione Europea. Avendo il controllo sulle infrastrutture fisiche, gli
Stati membri dell’Unione Europea hanno anche “sovranità” sui flussi
di dati che sono estremamente rilevanti dal punto di vista economico
(esempio codici swift, usati durante il trasferimento di denaro tra ban-
che) o per la sicurezza (esempio codici PNR dei viaggiatori aerei). I flus-
si di dati wireless sono riconducibili ad elementi fisici: le stazioni radio
base. Le comunicazioni informatiche satellitari trovano nei satelliti gli
elementi fisici ai quali ricondurre la sovranità, affermando la giurisdi-
zione degli Stati su dati e sui flussi informatici. La Corte di Giustizia
nella decisione del 13 maggio 2014 Google Spain v. Agencia Española
de Protecciòn de Datos, Costeja, (C-131/12) ha affermato che è inam-
missibile che il Consiglio dell’Unione Europea nell’accordarsi tramite un
trattato (Safe Harbor) sul trasferimento dei dati personali con gli Stati
Uniti rinunci alla propria sovranità. Sono infatti soggetti alla disciplina
europea e degli Stati membri dell’Unione Europea sia il trattamento dei
dati personali e i diritti dei titolari della proprietà intellettuale (per non
parlare della omnicomprensiva disciplina della concorrenza).
La prospettiva di una tassazione progressiva e rispettosa del princi-
pio di eguaglianza dei giganti Facebook e Google potrebbe portare agli
Stati membri dell’Unione Europea risorse decisive per il rilancio degli
investimenti pubblici o per delle politiche sociali segnate pesante-
mente dalla successione, avviata nel biennio 2007-08, di diverse crisi
e dall’imposizione di politiche all’insegna dell’austerità (forti riduzioni
di spesa pubblica, aumenti delle imposte e riduzione dei salari) con la
minaccia dell’intervento della cosiddetta Troika – Fmi, Ue e Bce UE –,
che ha portato in Grecia le conseguenze di una guerra con Emergency e
Medicins sans frontieres a curare i cittadini greci divenuti poveri.
N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 19 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 201718
Gli esempi di riferimento possono essere: la Diverted profil tax che ha
introdotto l’aliquota del 25% a partire dal 1° aprile 2015 per i profitti pre-
sumibilmente generati in UK dall’attività svolta sul suo territorio indi-
pendentemente da comportamenti elusivi di contabilizzazione da parte
delle multinazionali. In Italia recentemente la legge 21 giugno 2017, n.
96, recante, tra le altre, disposizioni urgenti in materia finanziaria (cor-
rettivo della manovra di giugno 2017) ha previsto la c.d. Web tax transi-
toria (art. 1 bis), una sorta di collaborazione rafforzata per la definizione
dei debiti tributari che viene riconosciuta alle società non residenti che
appartengono a gruppi multinazionali con ricavi che superano il miliardo
di euro e che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi in Italia
per un ammontare superiore a 50 milioni e servendosi di società resi-
denti o di stabili organizzazioni. Seguendo la prassi instaurata recen-
tissimamente tra l’Agenzia delle Entrate e Google, si prevede normati-
vamente una “collaborazione volontaria” tra le grandi multinazionali ed
il fisco italiano; nel caso l’Agenzia delle entrate constati la sussistenza
di una stabile organizzazione invia al contribuente un invito al fine di
definire i conseguenti debiti tributari. Nel caso si formi l’accordo, il fisco
riceve il pagamento dei tributi nella misura concordata, che però do-
vrebbe rispettare le disposizioni imperative di livello costituzionale di
eguaglianza e di progressività del sistema tributario; in caso contrario,
le grandi società multinazionali potranno essere soggette a controlli da
parte dell’Agenzia delle Entrate volti ad accertare il “regime di stabile
organizzazione” in Italia e, solo in caso di esito positivo, una volta indi-
viduati i debiti tributari, potranno definirli in contraddittorio con l’Am-
ministrazione finanziaria.
Per determinare una web tax europea siamo appena alla riunione in-
formale dei Ministri dell’economia e delle finanze (Tallin-Estonia, 15-16
settembre 2017, ECOFIN). E si è manifestata una immediata divisione
tra gli Stati membri, tra chi propone di tassare i profitti e chi il fatturato
delle grandi multinazionali digitali.
La zonizzazione degli accordi commerciali e la tendenza alla territoria-lizzazione dell’Adriatico settentrionaleIl tema della sovranità digitale ha anche ripercussioni sulle transazioni
con le monete virtuali come dimostra il recentissimo (settembre 2017
Rio de Janeiro) tentativo di accordo in sede OCSE (Organismo per la co-
operazione e lo sviluppo economico) per colmare il vuoto normativo,
con rischi non solo in sede di controlli fiscali, ma anche di contrasto al
riciclaggio e al finanziamento al terrorismo internazionale. Nel settem-
bre 2017 semplici rumors fanno cadere nei mercati finanziari il valore
Scen
aris Sc
enar
isdel bitcoin, moneta digitale che sfrutta la crittografia e non è collegata
ad alcuna banca o autorità centrale. Questo perché la Banca centrale
cinese a fine mese sarebbe intenzionata a fermarne le contrattazioni.
Regno Unito, Norvegia, Svezia e la Repubblica popolare cinese sareb-
bero intenzionate alla emissione di moneta elettronica facendo finire il
monopolio della moneta elettronica legale emessa da banche e istituti
di moneta elettronica, con la possibilità di scelta tra moneta digitale
privata e quella con Stati o organizzazioni sovranazionali come soggetti
emittenti.
Il summit G20 di Baden Baden (marzo 2017) ha visto i primi effetti del
vento neoprotezionista minacciato da Trump con una impasse genera-
le, e Germania e Cina decisamente contro il protezionismo e il rischio
di vincoli per le esportazioni tedesche di auto e di varie merci e pro-
dotti informatici della Cina. Anche in relazione agli accordi commerciali
sono sottese complicate problematiche giuridiche, recentemente risolte
in parte da un orientamento della Corte di Giustizia (parere 2/15 del 16
maggio 2017) che individua gli ambiti di competenza esclusiva dell’U-
nione europea sugli accordi in materia di proprietà intellettuale, accesso
reciproco al mercato per merci e servizi, protezione degli investimenti
diretti di cittadini dell’Unione europea nei mercati oggetto di accordo
(e viceversa), appalti pubblici e energia, comprese le fonti fossili; sareb-
bero invece di competenza degli Stati membri il regime di risoluzione
delle controversie tra investitori e Stati e gli investimenti esteri diver-
si da quelli diretti. L’Unione Europea sulla base di questo orientamen-
to cercherà di concludere la maggior parte degli accordi commerciali in
via esclusiva a livello europeo. Tuttavia è probabile che i nuovi accordi
commerciali subiranno una zonizzazione dettagliata come conseguenza
della necessità di revisione di quelli precedenti per le nuove tendenze
della Presidenza statunitense.
A seguito dell’istituzione (3 ottobre 2003) da parte del Parlamento
della Croazia (Sabor) della zona di pesca ecologica protetta, da par-
te della Slovenia con legge del 4 ottobre 2005 di una propria zona di
protezione ecologica esclusiva, e di una zona di protezione ecologica
italiana (legge 8 febbraio 2006, n. 61) si afferma una tendenza alla ter-
ritorializzazione dell’Adriatico settentrionale contraria agli interessi
dell’Italia e probabilmente di tutti gli Stati che si affacciano sul Medi-
terraneo. Come è noto le zone economico esclusive (ZEE) consentono
agli Stati che le dichiarano legittimamente in modo unilaterale di ef-
fettuare controlli sulle imbarcazioni di ogni tipo nell’aerea marittima
dichiarata esclusiva.
20 21 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Scen
aris Sc
enar
isJean Paul Fitoussi: fermare la distruzionedelle competenze
Il futuro secondo Jean Paul Fitoussi passa attraverso la valorizza-zione delle persone e del lavoro.
Invertire la rotta, rendersi conto che la gestione della più rilevante crisi
economica e sociale dal dopoguerra è stata fallimentare e che ha de-
terminato una straordinaria distruzione di capitale umano e sociale.
Volendo sintetizzare è questo il punto di partenza e, allo stesso tem-
po, il cuore delle riflessioni più recenti condotte nelle sue conferenze
da Jean Paul Fitoussi. Tesi sostanziale che è anche all’origine del suo
più recente libro appena pubblicato in Italia da Einaudi Il teorema del
lampione. Perché il nodo del problema e la causa di quella che Fitoussi
chiama irragionevolezza è l’aver colpevolmente continuato a guarda-
re dalla parte sbagliata. Come nel caso del lampione che illumina una
piccola parte di spazio, chi ha preso le decisioni di politica economica
ha limitato a una piccola zona illuminata le sue osservazioni e le sue
scelte, dimenticando di guardare l’insieme e perdendo di vista le dram-
matiche conseguenze di quelle scelte. L’illuminazione si è concentrata
sulla finanza, nel buio sono rimaste le persone e, soprattutto, il lavoro.
Fitoussi continua in questo libro la sua riflessione critica sul presente,
ribadendo una miopia interpretativa dei fenomeni macro economici a
cui si accompagna la presbiopia che vede un futuro immaginario, pri-
vando il mondo di quell’attenzione per l’uomo e per il suo destino. Su
questi temi ci siamo soffermati in vista della sua partecipazione alla
Construction Conference di Civiltà di Cantiere, dedicata proprio al futu-
ro nell’era della ri-globalizzazione.
“Quello a cui abbiamo assistito – ribadisce - e a cui continuiamo ad
assistere, senza tuttavia valutarlo nel modo giusto, è, non solo una
profonda sottovalutazione del valore della risorsa umane e del lavoro,
ma una minimizzazione degli effetti abbinati della crisi, dello sviluppo
della digitalizzazione e della concentrazione della ricchezza. Un coa-
cervo di processi il cui risultato più rilevante è stata una distruzione di
professionalità e di competenze. E non si tratta di un’affermazione con
valutazioni meramente culturali, bensì di una concreta riduzione misu-
rabile dal punto di vista economico”.
di ALFREDO
MARTINI
Per Fitoussi la miopia è frutto dell’incapacità di misurare concreta-
mente questa perdita. Pensare di poter restituire sviluppo e di creare
ricchezza a scapito del lavoro e delle risorse umane è un’illusione peri-
colosa. Ma soprattutto risulta priva di credibilità in assenza di una mi-
surabilità dei risultati. Nel suo libro, al centro della riflessione vi sono
soprattutto due concetti: la sostenibilità e il benessere. Per l’econo-
mista francese il concetto di sostenibilità si lega a quello di sviluppo e
di crescita economica. Soltanto se si riuscirà a coniugare una concen-
trazione di capitali con un’espansione dell’occupazione, allora potremo
parlare di sviluppo sostenibile, altrimenti il risultato sarà una contrad-
dizione “insostenibile”.
“Per quanto concerne poi il concetto di ‘benessere’, esso va considerato
secondo un duplice punto di vista. Quello soggettivo, che dipende dal-
la percezione di ognuno rispetto alla propria condizione e aspettative
di vita, su cui incidono la storia personale, la famiglia, l’ambiente in
cui si è vissuti. E quello oggettivo, che è il risultato determinato dalla
soddisfazione di alcuni bisogni essenziali, ad iniziare da un lavoro che
consenta di realizzarsi, un livello minimo di salute, ambienti salubri e
piacevoli in cui vivere e un livello di istruzione che consenta di compren-
dere il mondo circostante. Queste condizioni sono alla base di uno stile
di vita in grado di assicurare a una persona un livello base di libertà.
Ecco, quello che dobbiamo capire è che per essere liberi abbiamo biso-
gno di uno stato di benessere adeguato al nostro tempo. Una riduzione
di questo stato di benessere per uno o per una moltitudine di uomini
ha un effetto domino nella direzione di una riduzione della ricchezza
complessiva dell’umanità. Quel che continua a sfuggire è proprio il suo
effetto negativo sull’economia. Un esempio di questa miopia è quan-
to avvenuto rispetto alle scelte dell’Unione europea nei confronti della
Grecia: progressivo impoverimento, fuga di cervelli, depressione econo-
mica.”
In questo scenario si inserisce il fenomeno epocale delle migrazioni dal
medio Oriente e dall’Africa che stanno cambiando il volto dell’Europa,
generando insicurezza e creando nuove e pericolose tensioni. Per Fi-
toussi non si può distinguere oggi tra migrazioni e terrorismo: “oggi per
comprendere gli effetti dell’immigrazione non si può prescindere dal
fatto che la maggioranza delle persone la colleghi al terrorismo. Finisce
per prevalere una valutazione negativa del fenomeno perché esso ge-
nera paura.” Secondo l’economista francese, i flussi migratori stanno
avendo una funzione di destabilizzazione sociale, soprattutto in Italia,
a causa della sua struttura amministrativa e di una serie di problemi
22 23 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Scen
aris connessi alla gestione del Paese. Gli chiedo che cosa pensa dell’espan-
sione commerciale e dell’aggressività da parte dei paesi dell’estremo
oriente e della Cina in particolare. La sua risposta è che flussi di investi-
mento cinesi sono positivi, in quanto consentono all’Italia di acquisire
risorse che le sono necessarie per riprendere a crescere. Le sue preoc-
cupazioni riguardano non gli investimenti in se, ma la crescita di risor-
se che provengono da Paesi non democratici. “Come per le migrazioni
di persone, anche i flussi finanziari non sono di per se buoni o cattivi,
ma lo diventano rispetto ai contesti e alle intenzioni o ai criteri che
orientano i comportamenti dei primi o gli obiettivi dei secondi. Nel caso
dell’incremento degli investimenti da paesi non democratici la criticità
va individuata nel fatto che ad orientare gli investimenti siano criteri
spesso prevalentemente ideologici e quindi possono avere altri fini, di-
versi da quelli di aumentarne il valore economico.”
Tornando a parlare di Europa e di politiche economiche e sociali, Fi-
toussi mette a fuoco con grande chiarezza dove sia il principale vulnus
ancora vivo. Esso va cercato nella contraddizione tra provare a costruire
strategie unitarie e la presenza di un complesso normativo e di regole
volte a privilegiare la competizione. “Pensare che il mercato sia una ga-
ranzia di libertà e di giustizia è un’illusione pericolosa che, come abbia-
mo visto, ha prodotto risultati nefasti e, se non spostiamo il lampione
illuminando il disagio sociale, resteremo al buio.”
L’opinione
Scen
aris
Jean Paul Fitoussi è Professore di Economia presso l’Institut d’Etudes
Politiques di Parigi, di cui presiede il Comitato Scientifico, e presso l’U-
niversità LUISS di Roma. È Coordinatore della Commissione Stiglitz-Sen-
Fitoussi, Commission on the Measurement of Economic Performance and
Social Progress (CMEPSP) di Parigi.
È stato Presidente dell’Observatoire Français des Conjonctures Economi-
ques, istituto di ricerca e previsione economica. È membro del consiglio
di amministrazione dell’Ecole Normale Supérieure, del Conseil d’Analyse
Economique del Primo Ministro francese e della Commissione Economica
Nazionale francese.
Dal 1984 è segretario della International Economic Association e, dal 2000,
ha assunto l’incarico di esperto presso il Parlamento Europeo, nella Com-
missione degli Affari Economici e Monetari. È stato Presidente del Consi-
glio Economico della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Ha
ricevuto numerosi premi e riconoscimenti a livello internazionale e, attual-
mente, è editorialista di La Repubblica e Le Monde.
di PIERO
TORRETTA
Presidente di Uni,
l’Ente nazionale
di normazione
La politica deve ritornare a pensare secondo le logiche di sistema tipiche delle civiltà più evolute, senza subordinazioni e cedimenti di carattere eco-nomico-finanziario.
Dieci anni di crisi, come ha recentemente dichiarato il Ministro dello Sviluppo
Economico Carlo Calenda, non sono stati solo “una piccola guerra in cui l’Ita-
lia ha perduto il 25% della propria base manifatturiera” ma, oltre all’ineffica-
cia delle politiche della austerità espansiva, hanno dimostrato l’insufficienza
delle politiche Keynesiane di espansione della spesa pubblica che, ancora
oggi, viene contrapposta alla austerità.
In questo hanno ragione i due economisti Alesina e Giavazzi, che hanno di-
mostrato come l’aumento della spesa e le detrazioni fiscali per il sostegno
alla domanda e alla spesa sociale, là dove sono state attuate, non hanno né
risolto i problemi, né garantito un maggiore consenso politico. I due econo-
misti ammoniscono: di fronte a uno scenario senza precedenti i paradigmi
che hanno regolato mercati ed economie negli ultimi 70 anni non bastano.
Spostano gli interessi da una parte all’altra, ma non risolvono i problemi di un
mondo sempre più complesso, sempre più interconnesso, sempre più, che lo
si voglia o meno, aperto alle merci ed alle persone. È necessario che si ritorni
a pensare per poter decidere al meglio cosa fare, nell’interesse di tutti.
Per un Paese come il nostro pensare in un mondo globale non vuol dire uni-
formarsi, livellarsi agli altri, ma considerare e valorizzare le peculiarità, i punti
di forza di cui siamo dotati, sia naturalmente, sia storicamente, sia cultu-
ralmente. La fantasia, la creatività, la bellezza, il buon gusto, la sensibilità,
l’attenzione alle piccole cose sono valori universalmente riconosciuti e ap-
prezzati e rappresentano un riferimento per il mondo intero. Il nostro è un
Paese che si è sviluppato grazie all’ingegno e alla capacità di rischio della
piccola e media impresa, che sono l’ossatura del nostro sistema produttivo
e che, nei settanta anni dalla grande guerra, ha contribuito a costruire un
modello sociale di integrazione e condivisione. Sarebbe un errore sacrificare
la nostra identità al totem della dimensione, al gigantismo delle multinazio-
nali che, catturandoci col prezzo basso, vogliono tutto omologato per poter
meglio controllare i costi e condizionare gli usi e le nostre scelte. A questo
servirebbe una regola a tutela del made in Italy che definisca provenienza
Il risveglio dell’Italia nell’età dell’algoritmo
L’opinione
24 N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Scen
aris delle materie, luogo di trasformazione, luogo di confezionamento e ponga
un limite all’abuso dell’Italy sound perché il principio stesso del mercato non
deve ruotare intorno alle esigenze del produttore, ma a quelle dell’utente
consumatore. In un mondo sempre più aperto e globale, salvaguardare, va-
lorizzare la nostra identità, non svenderla a chi non ha altro che moneta per
comandare, deve essere il compito della politica, dello Stato, di tutti noi. Un
obiettivo che non può essere raggiunto né con l’austerità espansiva, né con
la politica della spesa.
Il mercato, non solo ha demolito le barriere per le merci, superato i confini,
reso inefficaci le leggi nazionali. Ha portato con sè un processo di innovazio-
ne e automazione che apre la strada ad una nuova “domesticazione” che,
attraverso lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, va ben al di là del rischio
della sostituzione del lavoro dell’uomo con i robot, e crea una soggezione
che induce ad accettare che qualcun altro, conoscendo le nostre idee, i nostri
gusti, i nostri affetti, i nostri valori, le nostre debolezze, decida per noi. Per
questo serve una variazione di rotta, una nuova narrazione, un nuovo para-
digma che riporti la “meraviglia” nella sua dimensione emozionale e non dia
tutto per scontato.
Una nuova narrazione che sia in grado di pensare. Un “cervello collettivo”
che si prenda cura di noi, dei nostri problemi e delle nostre necessità, ma che
non sia imposto o auto-determinato sulla base del controllo dei sistemi e
delle conoscenze o dei ruoli, ma sia consapevolmente scelto, aperto e libero,
in grado di intercettare, interpretare, impostare, risolvere i problemi che via
via si presentano e si presenteranno, in virtù di conoscenze che si sviluppano
giorno dopo giorno.
È l’antropologia sociale che ce lo insegna. In ogni epoca le persone, con una
sorta di auto-domesticazione, hanno individuato il modo migliore per orga-
nizzarsi, delegare, decidere i mezzi ed i fini dello stare insieme e dell’agire.
Per questo la variazione di rotta non può essere solo monetaria ed economi-
ca, ma, se si vuole ridare “fiducia e valore tra i valori”, deve essere anche isti-
tuzionale. Un modello che consolidi la funzione primaria della politica e della
legge per il benessere dei cittadini, per i diritti inviolabili dell’uomo, per la
vita “di valore” di cui parlano i filosofi e riduca sia il rischio della dipendenza
della politica e dello Stato dalla ricchezza - come è successo in passato, sia il
rischio che l’intelligenza artificiale catturi e condizioni le scelte della politica.
Parafrasando un grande italiano come Umberto Veronesi: “Il principio stesso
dello Stato non deve ruotare intorno alle esigenze dei “pochi”, ma a quelle
dei cittadini, tutti”.
26 27 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Le opportunità di una competizione per ecosistemi
I valori su cui il settore delle costruzioni e i territori che vogliono rilanciarsi devono puntare per rientrare in gioco.
La storia non ha percorsi lineari. Dopo aver lottato per abbattere muri e gioito
per la loro caduta, una generazione dopo torna la voglia di costruirne di nuovi.
Dopo aver abbattuto le frontiere economiche, di fronte alle pressioni migrato-
rie torna la voglia di confini invalicabili. Dopo esserci uniti per crescere insieme
e competere nel mondo arriva il tempo delle “exit” e, nello stesso tempo, dopo
aver mischiato le nostre culture, riemerge prepotente un bisogno di autonomia
e identità. Capire in questo frastornante inizio di nuovo millennio a che punto
siamo nel processo di globalizzazione è difficile, c’è una matassa aggrovigliata
di azioni e reazioni, di sentimenti e risentimenti, di aspettative e di paure che la
velocità della globalizzazione e del progresso tecnologico sul finire dello scorso
millennio, la profonda crisi economica esplosa nel 2008 e le migrazioni degli
ultimi anni, hanno reso difficile dipanare e gestire.
In questa complessità dinamica tuttavia ci sono alcune cose che paiono emer-
gere dalla nebbia. Una di queste è che i meccanismi competitivi sono cambiati
insieme con l’oggetto della competizione. La dimensione non è più solo a livel-
lo di imprese né solo a livello di sistemi paese, e non è più solo per i prodotti.
Emerge potente una competizione tra territori e ha per oggetto non solo i pro-
dotti ma anche gli investimenti, i talenti, le culture. Al territorio avere buone
imprese non basta, né basta avere buoni centri di formazione. Perché se il ter-
ritorio nel suo complesso non è competitivo le imprese se ne andranno o de-
periranno, i talenti emigreranno. É il cuore del problema del rapporto tra l’Italia
e il domani e all’interno dell’Italia per i suoi territori: creare degli ecosistemi in
cui i fattori della crescita trovino l’ambiente giusto e gli stimoli per svilupparsi
in armonia. Il problema è che questi ecosistemi virtuosi assai raramente sono
spontanei, o talvolta lo sono per un ciclo che se non è accompagnato da policy
adeguate si esaurisce e quel momento d’oro declina in una orgogliosa nostal-
gia per la passata grandezza. L’Italia è piena di segni straordinari di passate
grandezze, è la meravigliosa eredità che ci rende in qualche modo privilegiati. É
peraltro una rendita che facciamo fatica a tutelare e abbiamo poca capacità (o
volontà) di valorizzare. In realtà anche in quella eredità c’è un pezzo di futuro.
La competitività dei territori, quell’ecosistema virtuoso, ha infatti bisogno di
punti di partenza e quelli fisici fondamentali sono le infrastrutture e la qualità
Rige
nera
zionerrrr Ri
gene
razio
ne
di MARCO
PANARA
Giornalista de
La Repubblica
urbana e del territorio; quelli che oggi definiremmo “soft” sono la cultura e la
memoria. É intorno a questi quattro perni che si costruisce un ecosistema vir-
tuoso in grado di dare valore a quello che c’è e di far nascere nuova economia e
una migliore società.
Il Friuli Venezia Giulia può essere un laboratorio di questo processo e diventare
un modello per altri territori. Ha dalla sua una serie di caratteristiche: la dimen-
sione, relativamente contenuta sia in termini di estensione che di popolazio-
ne, che le consente di far coincidere l’ecosistema con il suo perimetro politico-
amministrativo (altre regioni sono troppo piccole per muoversi da sole o troppo
grandi per non dover articolare la loro proposizione); la geografia, un territorio
di confine, snodo fondamentale nell’itinerario est-ovest e centro di riferimento
nell’asse che va dal Mediterraneo al cuore dell’Europa e a Rotterdam; l’artico-
lazione della sua struttura economica, con una presenza qualificata della ma-
nifattura e una agricoltura e agroindustria di alta qualità che sono parte inte-
grante della sua identità e della sua percezione; i centri di ricerca e la struttura
formativa; la presenza di un porto storico e importante come quello di Trieste
insieme a quelli di Monfalcone e di Porto Nogaro; una identità culturale forte,
articolata e riconoscibile e una memoria antica, visibile, di grande valore.
Questi sono i pezzi del puzzle, da montare insieme in maniera intelligente e
innovativa perché si fertilizzino l’un l’altro e diano vita a un modello di successo
in grado di attirare e trattenere investimenti e talenti e di favorire uno sviluppo
sociale, civile ed economico equilibrato, duraturo e sostenibile.
L’infrastruttura chiave della regione è il porto di Trieste, che ha una storia mil-
lenaria ed è uno dei più importanti d’Italia e che può diventare il primo motore
nella costruzione di un ecosistema territoriale a dimensione regionale compe-
titivo. In una intervista pubblicata da questo giornale il presidente dell’Autorità
del Sistema Portuale dell’Adriatico Orientale e presidente di Assoporti Zeno
D’Agostino ha già delineato una strategia che punta a un cambiamento di ruo-
lo e di percezione del porto da terminale a fattore strategico di sviluppo territo-
riale. In questo cambiamento di pelle, avere la capacità di un grande terminal
di container ed essere un hub ferroviario sono le premesse, così come l’essere
un porto franco è una condizione indispensabile ma non sufficiente. Il porto di
Trieste per essere competitivo esso stesso e per diventare un fattore strategico
di sviluppo per l’intera regione deve andare oltre, deve diventare un partner per
i suoi clienti da una parte e per il territorio dall’altra, un fornitore non solo di
servizi ma anche di know how, capace di attirare traffico per la sua qualità logi-
stica ma anche per quello che le competenze del territorio possono aggiungere
al valore delle merci in transito. Questo richiede una qualità adeguata delle in-
frastrutture e una condivisione forte con tutti gli altri soggetti, dalle istituzioni
N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 201728 29
rr Rige
nera
zione
Rige
nera
zionerr
L’opinionedi ROBERTO
CONTESSI
Presidente
ANCE Udine
Favorire una reale rigenerazione edilizia agli operatori, agli organismi di rappresentanza, ai centri di ricerca e forma-
zione, alle associazioni. Il porto franco da questo punto di vista sarà un buon
termometro nella sua capacità di creare nuova economia e nuovo valore per
tutto il territorio piuttosto che diventare l’occasione di scelte opportunistiche.
Il secondo motore è la rigenerazione urbana e del territorio. Le storie di rina-
scita e di successo, dalla Ruhr a Pittsburgh, a Sheffield e via elencando, sono
state storie di riqualificazione urbana, alla quale nel caso del Friuli Venezia
Giulia va aggiunta la ricucitura sapiente di un tessuto territoriale pregiatissi-
mo, che ha attraversato e sta attraversando ancora un processo di trasforma-
zione industriale che ha lasciato sul terreno oltre a vincitori e vittime anche
spazi e volumi che vanno pragmaticamente rivisitati. In questo progetto di
rigenerazione urbana e ricucitura territoriale entra con un peso importante
quell’eredità di glorie passate da tutelare e valorizzare reinserendoli come
soggetti vivi in un ecosistema virtuoso che ha anche nella sua identità un
punto di forza. E qui lo snodo tra passato, presente e futuro diventa determi-
nante, perché la cultura e la memoria declinate in modo innovativo devono
essere al centro dei progetti di rigenerazione urbana perché questi vengano
applicati in armonia con il contesto fisico e sociale nel quale avvengono e,
soprattutto, perché senza quell’anima il successo e l’integrazione delle aree
riqualificate, percepite come corpi estranei, sarebbe assai più difficile. Come
fare tutto questo? Come trovare le risorse e realizzare con coerenza piani di
questa portata? Le esperienze fatte in altri paesi (e anche il buon senso) ci
dicono che nella gestione della complessità è fondamentale la governance:
processi decisionali trasparenti, livelli di responsabilità chiari, competenze
adeguate. Una buona governance è la premessa per una interlocuzione con
tutti gli stakeholder secondo procedure non casuali, per una progettazione e
realizzazione di qualità, per una affidabilità nei tempi. Tutti aspetti fonda-
mentali per il reperimento delle risorse pubbliche e private necessarie.
Grande sfida e grande opportunità per le istituzioni, per gli operatori e per la
società nel suo complesso, di quelle da cogliere per rimettere in moto energie
e ricreare un rapporto positivo con il futuro per le vecchie e le nuove genera-
zioni e per fare del Friuli Venezia Giulia un’avanguardia dell’Italia e, perché
no, dell’Europa. Per il settore delle costruzioni, che conta oltre 14 mila impre-
se, il 15 per cento di tutte le imprese della regione, il settore che ha sofferto
più di tutti in questi anni di crisi, la sfida e l’opportunità sono ancora più alte
perché la rigenerazione urbana e territoriale è da un lato l’area di maggiore
possibile sviluppo dell’attività nei prossimi anni (se le policy si metteranno
in moto), e dall’altra quella che richiede maggiore innovazione tecnologica,
progettuale, organizzativa e finanziaria. Una sfida alla quale prepararsi bene
guardando alto: è una opportunità troppo grande per perderla, troppo impor-
tante per rovinarla.
Il rilancio delle piccole opere non basta a favorire l’uscita dalla crisi del settore delle costruzioni. Servono strategie ad ampio raggio che aumenti-no la competizione anche internazionale.
Leggendo le più recenti stime sull’andamento del mercato delle costruzioni
diffuse dall’Istat, così come quelle di alcuni autorevoli istituti di ricerca, sem-
brerebbe che lo stato di salute dell’edilizia stia migliorando. Probabilmente è
vero, anche perché quando si raggiunge il fondo non si può che risalire. Resta-
no, tuttavia, consistenti le perplessità rispetto a valutazioni spesso troppo
ottimistiche, in quanto appare indubbio che i segnali di ripresa siano a livello
nazionale dovuti sostanzialmente agli investimenti legati agli incentivi per
le piccole ristrutturazioni e ai miglioramenti finalizzati all’abbattimento dei
consumi energetici. Così come nel Friuli Venezia Giulia un ruolo non secon-
dario lo svolgono i lavori appaltati per la terza corsia della Venezia – Trieste.
Così, se l’attuale sistema favorisce prevalentemente i piccoli lavori e di conse-
guenza sostiene quel tessuto di piccole piccolissime imprese artigianali, se si
vuole realmente rilanciare l’edilizia e dare continuità di crescita appare neces-
sario puntare sui condomini adeguando il sistema degli incentivi. Vanno indi-
viduati meccanismi e soluzioni in grado di passare dalla micro riqualificazione
a quella che viene oggi chiamata Deep Regeneration, ovvero una riqualifica-
zione che interessi appartamenti singoli e spazi e strutture comuni. Vi è poi
un secondo aspetto che deve caratterizzare le politiche regionali per il settore
e che riguarda la crescita del tessuto delle Pmi del territorio. Appare oggi evi-
dente, alla luce di quanto sta avvenendo in materia di lavori pubblici, come sia
forte il rischio che, continuando a prevalere il principio del prezzo più basso (al
di là di possibili correttivi normativi), la concorrenza di imprese provenienti
da fuori regione, anche da posti lontani, finisca per imporsi, con effetti molto
negativi, non solo sulla tenuta del tessuto delle nostre imprese, ma anche in
termini di qualità del risultato e di sicurezza delle opere realizzate. Anche in
questo caso appare urgente una direttiva che anche nel settore privato orienti
il mercato verso una selezione che valorizzi le Pmi locali e regionali. Del resto,
oltre a garantire una qualità edilizia adeguata agli standard del nostro territo-
rio, è interesse di tutti far crescere l’economia locale, alimentando risorse ag-
giuntive anche attraverso la fiscalità e in grado di trasformarsi in investimenti
per nuove opere pubbliche, generando un effetto volano e circolare con risul-
tati rilevanti in termini di miglioramento della qualità della vita dei cittadini.
CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE30 31
L’intervista L’intervistaLe opportunità geografiche e commerciali del nuovo porto di Trieste. Tra strategie di mercato e ammodernamenti infrastrutturali il rilancio economico è dietro l’angolo.
Zeno D’agostino è il presidente dell’Autorità del sistema portuale dell’Adria-
tico Orientale e da qualche mese anche presidente di Assoporti. Da molti anni
è protagonista di scelte e progetti di rilancio del sistema portuale italiano e at-
tualmente è il principale e più autorevole interlocutore del Governo. É lui ha
delinearci il quadro della situazione portuale italiana e internazionale. “Oggi
quando si parla del sistema portuale italiano e delle sue prospettive viene im-
mediatamente da pensare all’Estremo Oriente. É questo il mercato, l’orizzonte
a cui guardare. Ciò è vero solo parzialmente. Non dobbiamo infatti dimenticare
che l’Italia, il nostro Paese, si trova all’interno del Mar Mediterraneo, uno spazio
geografico e commerciale dalle grandi opportunità e che resta un riferimento
importante, un mercato da cui stiamo ricavando risultati interessanti e positivi.
Lo scenario che abbiamo di fronte è decisamente più roseo di quello di alcuni
anni fa e il 2017 sembrerebbe essere l’anno della svolta. Nel primo semestre di
quest’anno, infatti, tutti i porti italiani hanno registrato una crescita. Non suc-
cedeva da moltissimi anni. Trieste, ad esempio, ha aumentato i suoi traffici di
container del 25%. Ma è una crescita che riguarda tutti i porti dell’Adriatico: da
Reika a Ravenna. La congiuntura storica è oggi favorevole a uno sviluppo por-
tuale e infrastrutturale dell’Europa del Sud. Potremmo dire che siamo nel posto
giusto al momento giusto. A determinare questo risultato sono più fattori. Al
primo posto va posta la capacità del nostro sistema portuale di resistere negli
anni della crisi. Le vicende che hanno caratterizzato e continuano a interessare
i paesi del Nord Africa dopo la “primavera araba”, così come l’instabilità del
Medio Oriente, hanno certamente avuto effetti profondamente negativi anche
sui nostri traffici, ma non così devastanti come quelli che hanno determinato
ad esempio il tracollo della croceristica. La tenuta portuale oggi è un dato di
fatto, confermato dall’interesse per i nostri scali e per le nostre infrastrutture
di paesi dell’area del Mediterraneo ad alto potenziale di investimento, come ad
esempio la Turchia, molto presente ad esempio a Trieste. Il secondo fattore è la
crescita di consapevolezza dei problemi e delle potenzialità esistenti da parte di
chi è stato chiamato a guidare i porti, così come dei Governi più recenti, con una
ampia condivisione sull’importanza di operare in una logica di sistema secondo
alcune chiare linee strategiche di governance.”
a ZENO
D’AGOSTINO
Presidente
Autorità del
sistema portuale
dell’Adriatico
Orientale,
di ALFREDO
MARTINI
Il porto cambia pelle: da terminale a fattore strategico di sviluppo territoriale
Rige
nera
zionerr rr Ri
gene
razio
ne
Se la geografia pone il nostro Paese al centro del Sud d’Europa e quindi il Mediterraneo resta un ambito strategico, tuttavia appare sempre più rilevante il ruolo decisivo svolto dalle relazioni commerciali con l’Oriente. Per molti versi sembra di essere tornati all’epoca di Marco Polo a rapporti rovesciati: sono i cinesi a scoprire noi e non viceversa. La nuova via della seta sembra costituire una specie di stella cometa da Est a Ovest destina-ta a portare ricchezza e sviluppo se sapremo dialogare e costruire sinergie virtuose. É così?“La nostra principale strategia non può che essere di andare là dove si in-
veste e viceversa essere capaci di intercettare e diventare i luoghi di desti-
nazione di questi investimenti. Oggi l’attenzione e gli investimenti cinesi in
Italia ne sono l’esempio più significativo. Per capirne il valore basti pensare
alla loro scelta di finanziare il 50% delle opere relative alla costruzione del
nuovo porto di Vado Ligure. Ma sono presenti anche in altre nostre realtà
portuali ad iniziare da Trieste. Lei ha fatto riferimento a Marco Polo, io credo
invece che quel che stiamo vivendo è qualcosa che assomiglia molto all’e-
poca del colonialismo nel XIX secolo, ma a ruoli invertiti, con la Cina al posto
delle grandi potenze europee. Oggi il terreno di confronto non è lo spazio
fisico, ma lo sono le opportunità di sviluppare intorno alle infrastrutture
portuali connessioni in grado di creare nuova economia, nuovi processi pro-
duttivi e commerciali. E dove il valore delle merci e degli scambi diventa uno
degli abiti del mercato e della contrattazione. La forza di penetrazione dei
paesi emergenti sui mercati della vecchia Europa si misura con le potenzia-
lità di questi ultimi. Confrontarsi oggi con grandi operatori come quelli cine-
si ha fatto emergere quanto sia importante caratterizzare il nostro modo di
fare portualità. A Trieste, ad esempio, abbiamo posto al centro della nostra
strategia competitiva la differenziazione. Tutti i porti si caratterizzano so-
stanzialmente per essere un terminal di container e un Hub ferroviario. Con
la conseguenza che il potenziamento di questi due poli, anche attraverso
investimenti rilevanti, non costituisce di per se un fattore di competitivi-
tà. Bisogna puntare ad altro. Perché il mercato è cambiato profondamente.
Oggi i players sono di grandi e grandissime dimensioni, per volume di affari
così come per capillarità e strutture organizzative, integrati con il settore
industriale e il loro orizzonte non si limita alla movimentazione di merci, ma
cercano partner più che fornitori di servizi. Così oggi la nostra offerta è cam-
biata e si concentra sulla valorizzazione del made in Italy, sulla consapevo-
lezza delle specificità dei nostri territori e del nostro sistema produttivo. È il
retroterra del porto, con le sue capacità di proporre know how di eccellenza,
di presentare livelli di ricerca e di apertura allo scambio, che diventa fattore
di attrazione per questi players. Noi diventiamo la punta avanzata di un
ecosistema. La crescita e il successo dipendono quindi dalla nostra capacità
di integrazione e di collaborazione secondo linee guida condivise.”
CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE32 33
In questo scenario come si colloca il porto di Trieste?“Se dobbiamo aumentare la nostra capacità di offerta dell’ecosistema,
valorizzando non soltanto la qualità della nostra infrastruttura, ma propo-
nendo nuovi servizi, dobbiamo cambiare prospettiva individuando i fattori
reali che fanno la differenza. Prendiamo ad esempio il porto franco, sul
quale si punta molto per attrarre operatori nuovi. Nella nostra visione è
un fattore irrinunciabile, lo dobbiamo avere, ma di fatto è una commo-
dity, non un reale e forte fattore di competitività. Il suo valore aggiunto
va cercato nella nostra capacità di trasformarlo in un’area di reciproca va-
lorizzazione da parte di chi si insedia. Un punto di partenza per svilup-
pare business e costruire sinergie. Quel che dobbiamo perseguire è una
strategia diversa da quella del passato, favorire una mentalità nuova, una
visione adeguata a modo nuovo con cui si guarda nel mondo ai terminali
portuali. Con l’obiettivo di cercare e raggiungere nuovi punti di equilibrio
tra gli interessi dei sistemi territoriali di riferimento e quelli dei grandi pla-
yer internazionali che vengono dal Sud e dall’Est del mondo. Un percorso
che passa da un’integrazione tra le diverse culture produttive e che deve
trovare nel porto il suo luogo privilegiato. A Trieste la nostra offerta sul
piano della ricerca, del design, del prodotto di nicchia e di eccellenza loca-
Rige
nera
zionerr rr Ri
gene
razio
ne
L’intervista L’intervista
lizzata in Friuli costituisce il fattore differenziale sul quale noi vogliamo e
dobbiamo puntare.”
E qual è il livello di consapevolezza del sistema industriale e produttivo regionale e come si sta lavorando per consolidare questo ecosistema?“Da questo punto di vista dobbiamo fare autocritica, nel senso che abbia-
mo sottovalutato l’importanza di dialogare con il retro porto, con le realtà
consortili dei diversi settori industriali, con i sistemi di rappresentanza e
con le comunità locali per condividere la lettura del cambiamento e co-
struire un modello di crescita basato su questa integrazione. Egualmente
dobbiamo promuovere le nostre strategie e le nostre iniziative presso gli
operatori che possono far crescere l’economia intorno al porto e valoriz-
zare le opportunità anche dal punto di vista immobiliare. Stiamo organiz-
zando con questo obiettivo una convention con il mondo del Real Estate.
È essenziale far comprendere che il valore aggiunto del nostro sistema
produttivo sta nell’identità italiana, nella nostra storia e nella sua stretta
connessione con il territorio. È finita l’epoca della localizzazione all’estero,
oggi la strategia vincente passa per un rafforzamento e un radicamento
produttivo nel territorio, dove il porto diventa un valore aggiunto determi-
nante in termini di affermazione sui mercati internazionali. É su questa
sinergia che bisogna puntare per aumentare la capacità competitiva di un
ecosistema.”
Il porto quindi non solo come un terminal ma come un soggetto promozio-nale, un hub con funzioni di sviluppatore…“Esattamente. Ed è nell’ambito di questa funzione strategica che abbia-
mo moltiplicato l’attività di ricerca, così come la costruzione di partena-
riati e di scambio con altre realtà portuali, guardando non tanto o non
solo a incrementare i traffici, quanto a posizionarci come fornitori di know
how. Negli ultimi due anni abbiamo colto un elevato numero di oppor-
tunità offerte dall’Unione europea, guidando progetti in partnershp con
il sistema universitario, coinvolgendo anche strutture leader a livello in-
ternazionale. La ricerca è diventato uno degli assett della nostra attività.
Siamo entrati nell’ordine di idee che una crescita in una logica di siste-
ma non possa prescindere da un posizionamento come fornitori di cono-
scenza e di esperienze, così come di modelli connessi al funzionamento
di sistemi territoriali fortemente legati alla portualità. Siamo presenti in
diversi paesi asiatici e in questa strategia si inserisce anche l’accordo re-
cente con la regione di Shizuoka in Giappone. Essere attrattivi oggi vuol
dire anche essere autorevoli nella capacità di orientare e essere presenti
nelle strategie internazionali. Anche in quanto portatori di cultura e cono-
scenza specifiche.”
Trieste
Suez
Rotterdam
Amburgo
ViennaMonacoBudapest
Suez → Northern Europedistance: 3,539 miles days of navigation: 7
Suez → Triestedistance: 1,287 miles days of navigation: 3
Gain via Trieste:distance: 2,252 miles days of navigation: 4
Competitive advantage in the relations with Central Europe
CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE34 35
La via della seta come strumento per ripensare le infrastrutture e i nodi logistici della nuova economia.
Negli ultimi anni gli scenari competitivi globali si affermano come nuove
opportunità per i territori che hanno l’occasione di rafforzare le relazioni
all’interno dell’area vasta, o, nel caso della Regione Friuli Venezia Giulia,
di ripensare il sistema regionale in relazione alla domanda che il mercato
pone.
In generale la concorrenza sta diventando più fiera e più forte, sia nel
commercio, nell’industria, nel turismo, nel lavoro o nell’investimento.
Per tale motivo, i territori si devono trasformare in sistemi all’interno dei
quali i luoghi devono essere più sostenibili, resilienti e vivibili per compe-
tere in modo efficace sulla scena mondiale. Questa trasformazione non è
facilmente raggiungibile; richiede un’attenzione transnazionale urgente
nei settori dell’innovazione territoriale e urbana che, attraverso lo svilup-
po tecnologico, metta in atto un’ambiziosa ricerca di nuovi modelli intra
e interdisciplinari su scala internazionale. Termini come gateway o hub
possono aiutarci ad accelerare la trasformazione del sistema regione, nel
caso del Friuli Venezia Giulia sempre più attraversata da flussi di merci,
persone e idee, in modo tale da ottenere in Europa un nuovo ruolo, una
nuova leadership.
Per fare un esempio, nel XVIII secolo Liverpool, porto principale del Re-
gno Unito, con l’apertura del commercio verso le Indie Occidentali, cono-
sce uno sviluppo senza precedenti. All’inizio del XIX secolo, circa il 40%
di tutto il commercio mondiale transita ormai nel porto di questa città.
La comunità nera di Liverpool, nata in questo periodo, in soli cinque anni
arriverà a contare più di 10.000 individui. La grande trasformazione ur-
bana di Liverpool comincia nel XIX secolo, è in questo periodo infatti che
vengono costruiti numerosi nuovi edifici (St. George’s Hall, Lime Street
Station ecc.). Successivamente, durante la prima parte del XX secolo, la
sua espansione continua incessante, quando la città diventa uno degli
obiettivi principali per i grandi flussi migratori provenienti dall’Europa
continentale e il principale porto europeo per i collegamenti con gli Sta-
ti Uniti. Nel 1930 la popolazione della città aveva raggiunto gli 850.000
di ALESSANDRO
VERONA
Architetto
Nuove strategie per il rilancio dei territori
Rige
nera
zionerr rr Ri
gene
razio
ne
abitanti, con moltissime comunità di stranieri provenienti da tutto il
mondo. Poi, l’innovazione logistica rappresentata dall’introduzione dei
container nello stoccaggio dei materiali sancisce l’avvio del declino eco-
nomico e della ritrazione dell’area, che nel 1985 conta una popolazione
pari a poco più di 460.000 abitanti.
Ma veniamo ai giorni nostri. Sappiamo che il governo cinese ha avviato
un imponente programma di progetti di infrastrutture denominati vie
della seta per collegare gli spazi sconfinati dell’eurasia. Le vie della seta
assorbiranno trilioni di dollari. I cinesi hanno istituito un fondo di inve-
stimenti internazionale – la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB),
che al momento si avvale della collaborazione di 56 paesi: tra questi non
ci sono gli USA, vi sono però i loro stretti alleati europei. Esistono molte
nuove vie della seta: una porta alla Russia attraverso la Mongolia, un’al-
tra conduce all’Asia Centrale, un’altra ancora attraversa la Turchia e l’I-
ran, la quarta passa dal Mar Rosso al Mediterraneo. Proprio quest’ultima
è interessante per l’Italia e in particolare per la regione posta sul confine
Nord Est e baricentrica per l’Europa. Nel frattempo i cinesi hanno investi-
to in Grecia, nel porto del Pireo, che ha però un enorme difetto: le merci
devono passare attraverso i Balcani, che hanno pessime infrastrutture e
sono politicamente instabili.
Ma per capire le trasformazioni generate da questa scelta strategica e di
investimenti della Cina è utile fare riferimento alle affermazioni di Zeno
D’Agostino, presidente del Porto di Trieste, che dice di non essere inte-
ressato a un mero aumento del numero di container: “Non voglio attirare
e aumentare traffici ad ogni costo, se i container non apportano anche un
valore aggiunto. L’aumento dei traffici in transito per me non è interes-
sante. Trieste e la regione Friuli Venezia Giulia possono invitare i cinesi
e offrire qualcosa in più: i punti franchi, dove è possibile anche lavorare
e trasformare le merci, produrre. É così che la cosa può diventare inte-
ressante. Tra l’altro non sono interessati solo a dazi doganali inferiori.
Loro vogliono venire in Italia per una questione di immagine, per i brand
presenti.”
La domanda che oggi questa regione si deve porre è: quale assetto, quale
strategia e in quale prospettiva costruire una nuova relazione territoriale
tra porto, retroporto e aree interne? Sarà possibile ripensare il sistema
logistico regionale (infrastrutture materiali e immateriali, servizi) come
una rete che oltre a rafforzare il porto-regione come hub logistico euro-
peo, sia una leva anche per gli altri soggetti territoriali che hanno l’occa-
sione di partecipare al nuovo disegno della regione? La discussione oggi
36 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 37
riguarda la scelta di nuovi strumenti che sono necessari per affrontare il
cambio di paradigma dei sistemi socio-economici globali e di quali mi-
sure efficaci mettere in atto per quanto riguarda il più ampio tema della
competitività del sistema economico regionale. Quindi razionalizzazio-
ne, innovazione, promozione e integrazione dei sistemi infrastrutturali
stradali, ferroviari, portuali possono rappresentare al meglio le scelte
strategiche da compiere. Tale processo è avviato e irreversibile in quanto,
ad esempio, per restituire competitività ai vari consorzi industriali, sono
stati strategici idee e investimenti su quattro assi: logistica, ricerca e in-
novazione, export e energia, a cui si aggiunge la professionalizzazione
dei Consigli di amministrazione che ha conferito ai consorzi industria-
li il management necessario a dialogare con i nuovi mercati. La politica
regionale, ad esempio, ha avviato la riforma dei consorzi, favorendo la
nascita del nuovo Consorzio di sviluppo economico locale per l’area del
Friuli che rappresenta l’asse dell’industria friulana per interpretare al
meglio le politiche industriali. Complessivamente, la nuova realtà conta
una superficie di 20,61 chilometri quadrati con 285 imprese insediate e
10.200 addetti. Si capisce, quindi, che la razionalizzazione degli asset
territoriali maggiormente integrati aumenta la forza di una portualità
regionale unitaria e di una retroportualità che comprenda gli Interporti
di Cervignano del Friuli e Pordenone, quest’ultima con il ruolo chiave di
cerniera con il Veneto.
La nuova visione territoriale e la conseguente strategia attuativa stanno
affermando la Regione Friuli Venezia Giulia come un vero e proprio ecosi-
stema costituito dall’integrazione del sistema delle infrastrutture con le
aree industriali organizzate su due livelli. Da una parte, sulla dimensione
specificamente infrastrutturale, attraverso interventi di potenziamento
e la creazione di nuove opere e strutture, nonché di elevare il loro livello
di integrazione; dall’altra, sulla dimensione organizzativa sorretta da in-
frastrutture digitali ad alta capacità, dallo sviluppo di info-strutture tele-
matiche che consentano una più efficiente gestione dei processi logistici,
ciò mediante la connessione e la condivisione delle informazioni tra tutti
gli operatori e la fornitura di nuovi servizi informatici, ovvero dell’Hub
Community System territoriale.
La visione sinteticamente esposta è coerente con l’attenzione che a sca-
la nazionale viene posta per sollecitare la rivoluzione industriale digita-
le che fa leva sull’Internet of Things e sul Manifacturing 4.0. É in atto
un’accelerazione della competitività del Paese nel panorama globale at-
traverso l’avvio di una serie di azioni rivolte, in particolare, ad eseguire un
piano ultrabroadband, a sviluppare standard tecnologici che favoriscano
l’interoperabilità, a prevedere interventi normativi e regolamentari tali
da facilitare l’adozione delle nuove tecnologie e l’evoluzione dei servizi
pubblici e privati, a promuovere l’adozione delle tecnologie IoT per il mi-
glioramento dei servizi pubblici. In questo contesto di rete logistica ter-
ritoriale si aprono i nuovi spazi per la riorganizzazione e il ripensamento
dei “nodi” logistici visto l’alto grado di accessibilità e di relazioni mul-
tilivello attraverso, ad esempio, il sistema della formazione per i nuovi
profili professionali richiesti o con la ricerca e sviluppo rappresentata dai
parchi scientifici e tecnologici della regione.
Anni fa Bernardo Secchi aveva proposto, per una ricerca sul Veneto, la
teoria dei tubi e delle spugne immaginando le infrastrutture come tubi
che portano i diversi flussi contrapposti ai nodi che, come spugne che con
la loro porosità sono capaci di mettere in relazione osmotica e di scambio
continuo i flussi con i punti di accessibilità, intermodalità, di servizi e
interscambio sia a scala globale che locale. La decostruzione dei modelli
della spugna e dei tubi ha consentito di dare definizione e spessore ad al-
cuni concetti, come la porosità, la permeabilità o l’isotropia. Tali concetti
sono alla base di alcuni scenari evolutivi in cui i corridoi infrastrutturali
come strade e ferrovie , le acque e il sistema ambientale partecipano in
modo integrato alla costruzione di un progetto di mobilità sostenibile.
Questa idea del nodo della rete logistica regionale è la premessa per ro-
vesciare il processo di dispersione caratteristico degli ultimi 20 anni e
invece condensare gli interventi necessari per insediare nuovi servizi utili
a rafforzare il ruolo dei nodi. Ciò significa che i nuovi modelli spaziali
e organizzativi, che per dimensione interessano porzioni importanti di
territorio, dovranno anche mutare la loro natura prettamente industriale
logistica e costruire una nuova relazione con il paesaggio sia delle infra-
strutture che di area vasta. In questo senso si offrono come occasione
di ricucitura e riconnessione dei sistemi logistici esistenti a quell’idea di
nuovo paesaggio che nell’ industria 4.0 si richiede per essere completa-
mente innovativa.
Rige
nera
zionerr rr Ri
gene
razio
ne
CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 39 38
Rige
nera
zionerr rr Ri
gene
razio
ne
Dal Friuli Future Forum nuove proposte per il futuro del Friuli Venezia Giulia.
La priorità oggi è investire nella combinazione di porti, retroporti, terminal
e filiere produttive, condividere i servizi logistici fra le imprese presenti
sul territorio, attrarre nuovi investimenti e traffici internazionali, creare
una nuova imprenditorialità legata al settore della logistica, superando i
maggiori ostacoli correlati non tanto alla presenza di infrastrutture, ma
piuttosto all’efficienza del loro utilizzo, mirando dunque all’ottimizzazio-
ne dei servizi e di reti collaborative.
Sono considerazioni del 2012, anno in cui la Camera di Commercio di Udi-
ne, con il suo progetto di “promozione di futuro” Friuli Future Forum, com-
missionò all’Ocse (e presentò nel 2013) un primo studio sulla logistica re-
gionale, punto di partenza e strumento a supporto delle istituzioni e della
politica, per poter mettere in campo con maggiore consapevolezza una
strategia di sviluppo della regione, di supporto e non di ostacolo all’attivi-
tà d’impresa e all’occupazione, sfruttando il vantaggio competitivo dato
dalla posizione geografica privilegiata, una dotazione infrastrutturale
concentrata nei nodi logistici portuali e una struttura produttiva d’eccel-
lenza, per realizzare un modello di sviluppo basato su filiere territoriali lo-
gistiche. Sono contento di poter dire che per molti versi questa partita sta
cominciando a concretizzarsi, proprio nel momento in cui stiamo uscendo
dagli anni più bui di una crisi senza precedenti che ci lascia l’unica certez-
za di una realtà in continua trasformazione, tanto a livello internazionale
quanto a livello locale. E così sarà per il futuro. A livello locale, le gravi dif-
ficoltà economiche si sono sentite più tardi e, di conseguenza, gli effetti si
sono trascinati più a lungo rispetto ad altri territori.
Arrivare al porto franco è stata una grande conquista dopo troppi anni di
stallo. Un’occasione che andrà gestita ora con la massima attenzione ed
equilibrio perché diventi connessione privilegiata e ricchezza per l’intero
territorio regionale in tutte le sue specificità ed esigenze di crescita. Sul
tema del porto franco, la logistica deve avere valenza regionale, per per-
mettere a tutti i territori di partecipare insieme alle opportunità offerte,
altrimenti diventa una strategia già vista, limitata nelle sue potenzialità.
di GIOVANNI
DA POZZO
Presidente Camera
di Commercio
di Udine e
Vicepresidente
Unioncamere
nazionale
FVG: più cultura progettuale e tecnologica Il disegno si sta realizzando in linea con la costruzione della terza corsia
sull’autostrada A4, un percorso non sempre agevole, ma che resta neces-
sità irrevocabile, su cui in passato si è perso fin troppo tempo. Altri im-
portanti aggiornamenti alle esigenze di questa economia profondamente
trasformata dalla crisi, profondamente rivoluzionata dalle necessità da un
lato e dai velocissimi e continui cambiamenti tecnologici dall’altro, si stan-
no mettendo in campo con la revisione di distretti e consorzi industriali,
che si stanno riconfigurando in un’ottica più attuale e flessibile. C’è poi,
appunto, tutta la partita della logistica legata all’infrastruttura tecnologi-
ca, che è probabilmente quella su cui è necessario accelerare di più, vista
la rapidità con cui le innovazioni si sostituiscono e che responsabilizza il
Friuli Venezia Giulia, che pur si trova nella media europea come copertura
della rete, a fare di più in tutto il territorio, specie nell’ottica dei piani di
impresa 4.0, che rappresentano il vero turning point per la competitività
delle imprese di oggi e domani. È ovvio che lo sviluppo delle infrastrutture
proceda più lentamente degli sviluppi economici o politici e dei continui
aggiornamenti della tecnologia: ciò comunque dimostra la necessità di
una revisione più frequente delle strategie, per consentire reali ed efficaci
cambiamenti di direzione.
Il Friuli Venezia Giulia deve consolidare i passi avanti fatti e proiettarsi al
futuro. Il mondo dell’economia rappresentato dal sistema camerale può
rappresentare un partner fondamentale, soprattutto in questo momento
di profonda ristrutturazione conseguente alla riforma che lo sta interes-
sando, che ne ha ridisegnato i confini, anche delle funzioni e dell’azione,
in un’ottica di propulsione efficiente e innovativa. In particolare, l’ente
camerale udinese, dal 2010 si propone come portatore di idee e progetti
innovativi in Friuli, con il citato percorso Friuli Future Forum, che ha per-
messo negli anni un lavoro sinergico con tutte le istituzioni e le imprese,
a partire dalla Regione. Friuli Future Forum ha da sempre considerato la
logistica tra le priorità della sua attività: oltre al citato progetto del 2012-
2013, lo scorso anno ha realizzato, sempre con Ocse, altri due progetti:
uno concentrato in particolare su Udine e il suo territorio di prossimità
e uno sullo sviluppo logistico in ambito regionale. Il primo è parte di un
più ampio studio, Agenda del Futuro-Udine 2024, partito dal monitorag-
gio economico e dell’ascolto di 200 rappresentanti dell’economia e della
società locale chiamati a riflettere e a identificare proposte di sviluppo
per il futuro, poi elaborate da Ocse. Per Udine ha proposto un nuovo mo-
dello di mobilità, un sistema post-urbano in cui sia garantito accesso e
facilitato il movimento in un’area di 80 chilometri per 80, con circa 400
mila abitanti, di peso e competitività europei, in grado di appoggiarsi su
altre cittadine come poli, oltre che sul capoluogo, e che portano in dote,
CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE40 41
rr Rige
nera
zione
di MATTEO
TONON
Presidente
Confindustria
Udine
Dal Reshoring alla resilienza, dalla formazione all’innovazione, tutti i punti di forza delle piccole imprese locali del settore dell’industria delle costruzioni.
Nel mutevole panorama politico ed economico del mondo in cui viviamo,
stiamo assistendo a un riequilibrio della governance globale. Un fenome-
no che è stato già denominato “ri-globalizzazione” a significare una fase
nuova, o meglio un nuovo assetto della globalizzazione, con paradigmi
e narrative differenti. Per dirla in parole semplici: la governance globale
sta subendo tendenzialmente un processo storico di riposizionamento da
“governo occidentale” a “co-governo tra Oriente e Occidente” sostenuto
dal consolidamento del ruolo di potenza mondiale della Cina e dal dinami-
smo espansivo dei paesi del sud est asiatico.
In questo processo evolutivo si inserisce la tendenza alla sostituzione nei
rapporti economici internazionali, con l’era Trump che costituisce l’aspet-
to più emblematico ed appariscente del ritorno delle protezioni di stampo
nazionalista (di cui Brexit è addendo incidente), della logica degli accordi e
della concertazione, il multilateralismo, con l’instaurazione di rapporti tra
singoli paesi basati sulla logica della potenza, la cosiddetta bilateralizza-
zione dei rapporti internazionali nel quadro di una visione in realtà unila-
teralista del predominio del più forte. Per la verità questa impostazione
non si è ancora pienamente concretizzata, ma resta un’alea immanente
in prospettiva.
L’importanza del rilancio dell’Unione europea è, sotto questo profilo, cen-
trale e decisiva per poter competere negli scenari che si prefigurano: di-
venta essenziale assicurare il rafforzamento dell’integrazione economico-
finanziaria e la costruzione di quella politico-istituzionale, se necessario
per raggiungere l’obiettivo, anche attraverso l’Europa a più velocità, ba-
sata sulle collaborazioni rafforzate nel quadro comunque di un percorso
unitario finalizzato al massimo delle integrazioni possibili.
In questo contesto, che resta problematico per le incognite che continua a
presentare, per un sistema economico produttivo vocato all’esportazione
e quindi destinato a confrontarsi con le discontinuità del mercato inter-
Il sistema industriale friulano di fronte alle sfide dei mercati internazionali
ciascuno, competenze e specializzazioni economiche e culturali precise.
Un sistema policentrico, dunque, che riveda l’attuale rapporto “a stella”
e lo converta in una rete “a maglia”, infra-periferie e tra periferie e centro,
per collegare meglio i diversi punti d’interesse, sia per i visitatori sia per i
residenti e chi si sposta per studio e lavoro. E che utilizzi, poi, anche recu-
perando vecchi tracciati, un complesso di metropolitane leggere o people
mover connessi alle stazioni, alle grandi aree di parcheggio degli snodi com-
merciali, alle piste ciclabili, alle grandi aree verdi. L’ultimo studio, realizzato
da OCSE, ha puntato a immaginare il futuro in chiave economico-logistica,
pensando ai due fattori fondamentali di cambiamento: la globalizzazione
e lo sviluppo dell’e-commerce, che influenzano pesantemente il livello dei
flussi commerciali (e la conseguente domanda di servizi), nonché la sofisti-
cazione della logistica, contribuendo alla trasformazione profonda di una
manifattura che resta e deve restare cruciale nel peso dell’economia, ma
che si va terziarizzando, si connette inscindibilmente con servizi sempre più
avanzati. La vendita online permette un più facile confronto tra i servizi e
comporta una maggiore richiesta di qualità dei servizi e di velocità di com-
mercializzazione. L’Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi vicini o parago-
nabili in Europa, ma lo shopping online è in rapida espansione. Con notevoli
impatti sui cittadini, ma prima di tutto sui fornitori di servizi di logistica, e
con la necessità di aggiornare le competenze e la formazione delle aziende
e favorire una maggiore collaborazione tra gli attori più piccoli.
C’è poi la necessità di porre l’accento sulla sostenibilità ed efficientare i tra-
sporti. C’è e ci sarà sempre più l’internet delle cose e impresa 4.0, che con-
sentono una maggiore automazione e personalizzazione del prodotto come
parte del processo logistico e richiedono la fornitura di servizi sempre più
avanzati. L’infrastutturazione deve essere efficiente e deve svilupparsi in
rete e fibra funzionante, distribuita in tutta la regione, e insieme deve favo-
rire il potenziamento delle opportunità offerte da impresa 4.0. Su quest’ul-
timo tema, c’è ancora un primo importante step da completare e su cui le
Camere di commercio, con le nuove competenze, possono fare molto. Parlo
in particolare del suo presupposto di base, la diffusione della cultura dell’in-
novazione, di cui c’è, tuttora, grande esigenza. È necessario diffondere le
informazioni sulle tante opportunità che derivano alle aziende da impresa
4.0 e soprattutto è necessaria la formazione imprenditoriale, legata anche
a un rapporto più stretto ed efficace tra scuola e azienda, il vero snodo per
aiutare i cittadini a crescere innovativi, e su queste partite gli enti camerali
possono e devono rappresentare alleati preziosi per lo sviluppo dell’econo-
mia regionale. Il Fvg su questa partita può essere all’avanguardia, come già
è per molti aspetti (importantissimo il riconoscimento di Trieste città della
scienza 2020): può usare la leva dell’innovazione per arricchire e confermare
la sua specialità storica, geografica, culturale e produttiva.
Rige
nera
zionerr
43 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE42
Rige
nera
zionerr rr Ri
gene
razio
ne
nazionale, basato sulla flessibilità delle piccole e medie imprese, come
quello friulano, non vi sono alternative al rafforzamento della competiti-
vità. I cambiamenti in atto rappresentano di nuovo una grande sfida per
tutti. E, come ogni sfida, nascondono molte opportunità, unite ai rischi dei
cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro. Come rispondere,
dunque, alle sfide per cogliere le opportunità e fronteggiare i rischi?
La risposta è sicuramente molto più articolata, ma dovendo stringere il
campo a due fattori determinanti, direi che l’educazione, intesa come cre-
scita e diffusione delle competenze, e la tecnologia, non solo e non tanto
in quanto acquisizione di infrastrutture digitali, quanto implementazione
della capacità competitiva attraverso la gestione del flusso delle informa-
zioni reso possibile dai sistemi di interconnessione, rappresentano la chia-
ve per una risposta efficace alle sfide della ri-globalizzazione.
Aggiungerei immediatamente un terzo elemento che a prima vista potreb-
be apparire un fattore di debolezza, mentre invece, se opportunamente
declinato, costituisce ancora, come è già accaduto nel recente passato,
una caratteristica vincente. Nonostante le enormi difficoltà degli anni
della crisi, l’economia italiana ha potuto contare sulla resilienza e sulla
capacità di adattamento delle piccole e medie imprese, che – accanto alle
grandi aziende capaci naturalmente di veleggiare in mare aperto - spesso
hanno saputo rispondere ai mutamenti dello scenario globale in modo ef-
ficace. Queste sono caratteristiche che ben si attagliano alla natura di un
tessuto produttivo, quello friulano, che sta risalendo la china.
In particolare è proprio la provincia di Udine a fare da traino alla produzio-
ne industriale e all’export regionale, tornati stabilmente in trend positivo.
Secondo i risultati dell’indagine trimestrale condotta dall’Ufficio Studi di
Confindustria Udine, la produzione industriale - nel trimestre aprile-giu-
gno 2017 - ha infatti fatto registrare un aumento del 2,3 per cento rispetto
allo stesso periodo dell’anno scorso e del 3,5 per cento rispetto al primo
trimestre del 2017. Anche la bilancia commerciale della provincia di Udine
segna, nel primo semestre 2017, un saldo commerciale attivo pari 1.064
milioni di euro, che deriva dalla differenza tra le esportazioni pari a 2.745
milioni di euro e le importazioni, per 1.681 milioni di euro.
Si conferma, dunque, la vocazione esportatrice dell’industria udinese,
cresciuta dell’8,8 per cento, mentre l’incremento delle importazioni, pari
al 32,5 per cento, è un indicatore che segnala la ripresa delle attività, in
quanto le importazioni concernono beni impiegati nelle lavorazioni dall’in-
dustria friulana (metallurgia +66,5 per cento, prodotti chimici +47,3 per
cento, smaltimento rifiuti e recupero di materiali +65,6 per cento). Questi
dati, dunque, sono positivi e fotografano un percorso di risalita che si con-
ferma pure in una visione di prospettiva. Anche le previsioni, infatti, indi-
cano un rafforzamento del processo di recupero. Le dichiarazioni dei nostri
operatori intervistati segnalano il permanere di un’intonazione positiva,
sostenuta da un ulteriore rafforzamento della domanda estera, in partico-
lare nei Paesi di tradizionale proiezione per le nostre imprese. Mi riferisco
a Germania e Austria, già cresciute, rispettivamente, nel primo semestre
dell’anno in corso, del 25 per cento e del 23,7, ma anche agli Stati Uniti, che
hanno fatto registrare un incremento del 41 per cento.
Il consolidamento del processo di recupero della produzione industriale -
nel secondo trimestre 2017 - è sostenuto dalla quasi totalità dei settori
merceologici caratteristici che compongono la struttura industriale friu-
lana, che abbraccia storicamente tutti i settori della produzione di beni e
servizi e vive, ormai da tempo, “di mondo”: nella meccanica la produzione
di macchine ed impianti si è rafforzata, la componentistica si è ripresa, il
settore mobile arredo si è rilanciato, la siderurgia ha recuperato in modo
consistente, gli altri comparti si stanno riposizionando, l’edilizia sta risa-
lendo sia pur lentamente dalla china depressiva.
Un quadro in divenire in positivo, che conferma le attese di risalita e ge-
nera un cauto ottimismo, legato al trend positivo dei consumi e degli in-
vestimenti, favoriti anche dagli incentivi fiscali, senza nasconderci però i
potenziali rischi legati agli sviluppi della politica monetaria della Bce e ai
movimenti dei tassi di cambio. Mi riferisco in particolare alla sterlina, data
la rilevanza, per il nostro territorio, delle imprese e dei settori che operano
con quell’area.
Vorrei fare cenno anche a un’altra tendenza, che si sta presentando ne-
gli ultimi tempi e ci auguriamo possa consolidarsi. Riguarda il Reshoring,
ovvero il ritorno delle produzioni al territorio. Reintegrare quote di valore
aggiunto che negli anni si erano posizionate altrove, rafforza la compe-
titività della base produttiva locale, favorendo la ricostituzione di nuove
opportunità di filiera.
Non posso fare a meno di menzionare, infine, un altro punto cruciale che
ci proietta con prospettive di assoluto interesse sugli scenari del mercato
globale. Mi riferisco alla sfida italiana sulla Nuova via della Seta, che inter-
cetta pienamente il paradigma della ri-globalizzazione e ci colloca, con il
sistema portuale regionale del Friuli Venezia Giulia, all’interno di un gran-
de progetto economico che punta a integrare l’Asia e l’Europa costruen-
44 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 45
rr Rige
nera
zione
do corridoi di trasporto via terra e via mare, attraverso i quali circoleranno
merci, tecnologia, cultura.
Abbiamo buoni fondamentali, dunque, ma non basta. Ritorno, in con-
clusione, sui due temi cui avevo fatto cenno in precedenza: educazione
e tecnologia. La sfida della ri-globalizzazione è per noi anche e soprat-
tutto la sfida della Quarta rivoluzione industriale. Confindustria Udine ha
cominciato a parlare di Industria 4.0 quando ancora questo termine era
poco utilizzato nel dibattito economico e politico italiano. Oggi, con i nuo-
vi strumenti di politica industriale disponibili, il sistema delle imprese sa
che questo è un driver da cavalcare da protagonisti. Le imprese innovati-
ve, sostenibili e interconnesse sono già una realtà in Friuli come dimostra
la presenza in crescita sui mercati internazionali. E queste caratteristiche
vanno rafforzate nelle imprese che hanno saputo già dotarsene, mentre
vanno diffuse in quelle che sono in ritardo nell’adeguamento digitale. Se
c’è, dunque, va colmato immediatamente il divario digitale. Non c’è alter-
nativa a questa necessità.
Spesso, però, tale divario è anche un divario di competenze, a tutti i livelli.
Investire sul capitale umano e sulla sua formazione è perciò l’altra leva
fondamentale per crescere e competere. Di qui la necessità di impostare
un precipuo sistema delle competenze che unisca il sistema del sapere,
Università, poli tecnologici, centri di innovazione per la promozione delle
start up, e le imprese, in particolare le piccole e medie imprese che per di-
mensioni e limiti organizzativi più fatica fanno nell’impegnare il processo
della trasformazione digitale. La Regione è dotata al riguardo di risorse
istituzionali e infrastrutturali che vanno opportunamente coordinate e fi-
nalizzate nel promuovere la diffusione orizzontale delle nuove opportu-
nità. È una sfida da non perdere su cui concentrare le prospettive della
politica industriale.
Questi, in sintesi, sono i nostri compiti per casa. Davanti a noi, intanto,
c’è un mondo che cambia incessantemente. Cambiamenti così rapidi negli
assetti politici ed economici dei vari paesi vanno letti, interpretati e, pos-
sibilmente, anticipati: qui risiede la forza della sinergia tra tutti gli attori
pubblici e privati dell’internazionalizzazione.
i Inno
vazio
ne
La digitalizzazione al servizio di un ecosistema aperto. L’innovazione al servizio della competitività.
Come avvenuto per le precedenti rivoluzioni che hanno caratterizzato l’in-
dustria in ogni suo settore, ciascuna con le proprie peculiarità e tempi-
stiche, anche la Quarta rivoluzione industriale ha il suo baricentro attor-
no alla maturità di alcune tecnologie abilitanti, quali il Cloud Computing,
l’Internet of Things, il Machine Learning, la realtà mista e l’intelligenza
artificiale. Come è stato per l’introduzione del computer e della digitaliz-
zazione dei processi su larga scala, anche in questo periodo storico sono le
tecnologie digitali ad avere il ruolo del tenore in questa trasformazione, in
attesa della rivoluzione guidata dall’intelligenza artificiale.
Se prendiamo ad esempio il Cloud, esso permette a qualsiasi azienda
connessa ad internet di accedere alle stesse tecnologie utilizzate dalle
più grandi multinazionali americane o asiatiche, senza un solo minuto di
ritardo e in modo estremamente conveniente da un punto di vista eco-
nomico. Ad esempio, qualsiasi piccola o media azienda Italiana può im-
mediatamente accedere alla stessa intelligenza artificiale Microsoft che
stanno utilizzando la Nasa, la General Electric, o l’ABB. Ora, in qualsiasi
zona d’Italia, e per quanto piccola sia l’azienda di cui stiamo parlando.
Questo, di fatto, può permettere di recuperare in poco tempo il ritardo tec-
nologico che avevamo accumulato come Italia. A questo punto l’elemento
differenziante diventa come si usa la tecnologia, e qui possono diventare
vincenti la nostra creatività, il nostro senso estetico, e la capacità di creare
esperienze piacevoli, che sono di fatto il cuore del nostro grande made in
Italy. Ovviamente, per rendere tutto questo operativo in tutte le nostre
piccole aziende e nella pluralità di settori che ci caratterizza come Italia, è
necessario unire il mondo industriale con il mondo della tecnologia cloud,
che è oggi la sfida più importante che abbiamo come paese. Aiutare l’Italia
a vincere questa sfida è uno degli obiettivi di Microsoft.
Non va però dimenticato che le tecnologie digitali continuano ad incre-
mentare il livello di automazione dei processi industriali, anche se ci sono
alcune sostanziali differenze che forniscono una ragione al battesimo di
questo nuovo capitale della trasformazione. In primo luogo la maturità
Cloud computing, advanced analytics e nuove piattaforme
di FABIO MOIOLI
Direttore Divisione
Enterprise Services
di MICROSOFT
Italia
46 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 47
i Inno
vazio
ne i Inno
vazio
nedelle tecnologie su vasta scala ha creato i presupposti per l’esistenza e
l’opportunistica adozione di commodity general purpose, ben più versatili
e flessibili di quanto potessero rappresentare i calcolatori general purpose
agli albori della Industry 3.0. Inoltre, questo paradigm shift avvenuto co-
erentemente e sinergicamente su diversi fronti, ha un passo evolutivo di
almeno uno o due ordini di grandezza superiore. Basti pensare al valore
aggiunto di capability delle Intelligenze artificiali, sempre più mainstream
che permettono di ipotizzare nel medio termine che lo shift verso l’alto,
ovvero verso le capacità umane, sia al contempo una sfida e una grandis-
sima opportunità.
In un mondo sempre più connesso, con processi sempre più automatizzati e
macchinari sempre più intelligenti è chiaro che il genio italiano abbia molto
da guadagnare e le opportunità per i prodotti del made in Italy siano impor-
tanti. Si apre infatti maggior spazio per la creatività ed è in questa logica che
intendiamo democratizzare l’intelligenza, ampliando attraverso la tecnolo-
gia le capacità delle persone. Crediamo infatti in un futuro in cui persone e
macchine possano collaborare per raggiungere obiettivi sorprendenti.
IDC (International Data Corporation) stima che la fabbrica intelligente sia
già una realtà e che entro il 2022 il 40 per cento dei processi operativi sarà
in grado di “auto-apprendere” e “auto-ripararsi”. Puntando sull’innova-
zione tecnologica, sulle sinergie con il nostro ecosistema di partner e sulla
cooperazione con primarie realtà del manifatturiero italiano, stiamo aiu-
tando le aziende nostrane a cogliere le enormi opportunità che derivano
dall’Industry 4.0 e a ripensare il proprio business in modo più efficiente,
sostenibile e sicuro.
In un contesto così mutevole il “bene rifugio” della competenza umana si
muove in fretta verso un contesto in cui è la nostra capacità di ragionare
sull’ecosistema industriale prima, e sociale poi, a diventare uno dei veri
baluardi del valore di una creatività professionale ancora unica e preziosa.
Infatti è il confine fra le organizzazioni, il valore di un virtuoso scambio di
informazioni, che abilita la creazione del valore e quindi nuove opportu-
nità. Naturalmente la sfida è anche saper cogliere queste opportunità in
modo da raccogliere quel valore e distribuirlo.
Se pensiamo al concetto di ecosistema, sono molti gli ambiti industriali
che possono venire in mente e probabilmente sono l’industria dei trasporti
e il suo indotto più vicino (le città, i porti navali e aerei, le infrastrutture)
a prestarsi bene a un contesto esemplificativo. Il contesto delle città ed
infrastrutture smart in aggiunta, è sicuramente fra le trasformazioni che
impatteranno di più la vita di tutti noi. La totalità dei beni fisicamente
prodotti, richiede movimentazioni di merci e un’infrastruttura in grado di
interconnettere una varietà incredibile di attori nelle fasi più disparate:
dalla materia prima dell’industria agroalimentare ai combustibili fossili,
dai semilavorati ai protagonisti del discrete manufacturing, dai distributo-
ri al retailer, dai punti vendita carburanti a ciascun consumatore che acqui-
sta merce su Amazon o in uno store fisico.
Per ognuno di questi attori che interagisce con infrastrutture e di
ogni tipo, c’è qualcosa che può sfruttare capability digitali, consumare e
produrre dati. Ma soprattutto ognuno di questi attori può monetizzare,
anche indirettamente, i dati propri e consumare quelli altrui, sempre che
il circolo sia virtuoso: le iniziative di business platform si moltiplicano,
per tutti i motivi detti sopra. Ad esempio Maersk, leader nell’industria
dei trasporti marittimi, alle prese con le sfide dell’efficientamento dei co-
sti in un contesto attualmente complesso e critico, ha intrapreso questa
strada affidandosi a Microsoft come preferred partner per le capability
cloud che gli vengono offerte, applicando questa commodity alle proprie
operazioni di flotta, sfruttando le tecnologie di advanced analytics per
efficientare il più possibile le proprie operazioni logistiche e portuali, of-
frendo inoltre un servizio migliore ai propri clienti. Ma non soltanto per
questo: anche perché quelle informazioni, opportunamente veicolate e
gestite, sono una potentissima leva per proiettare Maersk verso l’evo-
luzione del proprio business model, sfruttando questi dati anche in un
ecosistema più ampio. Come? Ad esempio, garantendo tracciabilità di
dettaglio alle merci trasportate e al contempo riducendo i costi assicura-
tivi. Questo è il potenziale, appena scalfito, della business platform in un
ecosistema aperto.
Discrete manufacturing: Processo di produzione il cui output sono oggetti distinti (es. automobili)
Cloud computing: Memorizzare, gestire ed elaborare i dati in remoto
Machine learning: Apprendimento automatico
Commodity general purpose: beni comuni richiesti dal mercato sen-za particolari differenze qualitative
Paradigm shift: cambiamento di paradigma
GLOSSARIO
CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE48 49
L’opinione L’opinione
i Inno
vazio
ne i Inno
vazio
ne
L’impresa edile come strumento di protezione civile. Edilmag mette in rete le imprese e i loro magazzini anche per agevolare la ricostruzione in caso di calamità naturali.
Il settore edile è quello che negli anni ha recepito meno l’avanzare delle
nuove tecnologie… ed ora ci illudiamo che la ripresa possa passare per i
nuovi materiali o per avveniristici software di progettazione e controllo.
Un’edilizia come l’abbiamo conosciuta fino ad ora, non tornerà più: non
vedremo più consumo di territorio, nuovi agglomerati abitativi di espan-
sione, ma ricostruzione, riqualificazione energetica, sismica, acustica, con
un sostanziale cambiamento della figura del costruttore edile.
Credo fermamente che per poter parlare di ripresa del settore si debba in-
traprendere una nuova strada basata sulla ricerca, sulla specializzazione
e sulla condivisione: non è più pensabile concepire un costruttore privo di
qualsiasi tipo di attrezzature e di personale, ma con un buon ufficio com-
merciale/acquisti, che acquisisce commesse importanti delegando allo
strumento del subappalto l’intera realizzazione di un opera con inevitabile
perdita di controllo sulla formazione dei lavoratori sia in termini di sicurez-
za che di professionalità.
Vedo il nuovo imprenditore edile o il giovane costruttore come una figu-
ra altamente qualificata, specializzata nel suo settore, tecnologicamente
preparato e dotato di attrezzature all’avanguardia, sempre più conformi
agli standard di produttività e sicurezza.
Affinché questo modello possa essere sostenibile e vincente, non dimen-
ticando che in Italia il numero di addetti per azienda è di 2,4 circa, non può
mancare una condivisione diffusa, che renda sostenibili gli investimen-
ti affrontati garantendo utilizzi adeguati e continuativi. Questo implica
un cambio radicale di impostazione del settore: non più concorrenti che
battagliano a suon di massimo ribasso, ma collaboratori in grado di unirsi
mantenendo le proprie specificità e le proprie competenze.
Questo mio vedere il futuro delle costruzioni, mal si sposa con quello che
sta avvenendo attualmente, nel cratere del sisma: appalti di svariati milio-
Innovare le costruzioni facendo rete
di RODOLFO
BRANDI
AD Edilmag
ni di euro, in tempi esecutivi ridottissimi. Pensando alla dimensione media
dell’impresa edile italiana, risulta impossibile affrontare tali sfide per più
del 95 per cento dell’imprese italiane creando, al contempo, terreno fertile
per le solite mega strutture che risiedono inevitabilmente lontano dal ter-
ritorio, in grado di attivare la vecchia filiera del subappalto, distacco, ecc…
il tutto a discapito delle aziende locali che resteranno inevitabilmente al
palo e senza lavoro.
Ricoprendo vari incarichi in Ance e presiedendo la Scuola Edile della Pro-
vincia di Pesaro e Urbino, da tempo rifletto su queste mie convinzioni ed
il risultato è stato quello di attivare Edilmag come tentativo di soluzione.
EDILMAG è una piattaforma digitale che nasce come gestione e condivi-
sione dei magazzini e delle attrezzature tra imprese. Si digita sul proprio
smartphone quello di cui si necessita nel cantiere, si viene geolocalizzati
ed immediatamente appaiono le imprese che, attorno a te, hanno a dispo-
sizione quello che cerchi.
Con la nuova piattaforma si può condividere in alternativa all’acquisto per
impieghi saltuari, rivendere in alternativa al generare rifiuto e deteriora-
mento... In sostanza portare la sharing economy nel nostro settore come
strumento di contrasto alla crisi del settore.
Ad un anno dalla sua uscita, Edilmag ha riscosso discreti consensi mani-
festando anche la grande utilità nel pronto intervento in caso di calamità.
Sempre attenti alla dimensione della singola impresa e alla sua capillare
diffusione sul territorio e alla luce dei sempre più frequenti sconvolgimenti
naturali, l’impresa edile può di diritto considerarsi uno degli strumenti più
efficaci in termini di protezione civile.
EDILMAG è un nuovo strumento digitale che consente alle imprese
edili iscritte nel portale www.edilmag.it di inventariare il proprio ma-
gazzino edile e contemporaneamente metterlo in rete in modo da
creare una vetrina virtuale che permette agli utenti di trovare, attra-
verso la relativa APP scaricabile in ambiente iOS e Android, tutti ma-
teriali in esubero negli altri magazzini edili provenienti da eccedenze
di lavorazioni già concluse oppure inutilizzati. Scopo di EDILMAG è
ottimizzare il consumo delle risorse in giacenza nei magazzini delle
imprese iscritte al portale e allo stesso tempo far risparmiare l’uten-
te nell’acquisto di prodotti già acquistati da altri.
50 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 51
Il porto interno di Duisburg come paradigma per le trasformazioni ur-bane del XXI secolo.
Il successo dell’esperienza tedesca in materia di recupero e rivitalizzazio-
ne dei siti industriali dismessi è oramai, dopo trent’anni di interventi dif-
fusi su tutto il territorio, un dato innegabile. Avere una cabina di regia in
grado di effettuare una programmazione urbanistica illuminata, mettere
in moto meccanismi virtuosi di acquisizione delle aree de-industrializzate
da parte del pubblico per poi rivenderle ai privati, controllare qualità e
tempi dei progetti da realizzare sono sicuramente i punti di forza della
strategia che ha garantito la fortunata riqualificazione dei terreni della
Ruhr. Ma non solo. L’Innenhafen, il cosiddetto “porto interno” della città
di Duisburg, rappresenta uno dei primi interventi di trasformazione nel
bacino della Ruhr ed è la perfetta testimonianza di come, accanto a mec-
canismi gestionali ed economici efficaci, la fortuna di un processo di rige-
nerazione derivi anche da principi quali l’innovazione, la ricostituzione di
una memoria collettiva, la ricomposizione di un’immagine urbana di qua-
lità. Il sito, collocato a ridosso del centro storico della città, anticamente
sorgeva direttamente sulla confluenza tra il Reno e la Ruhr ma, durante
i secoli, il Reno ha lentamente spostato il proprio letto verso ovest, la-
sciando come collegamento tra città e fiume solamente un piccolo canale
navigabile.
Durante lo sviluppo industriale del XIX secolo, al fine di movimentare le
grandi quantità di carbone estratte nel territorio, venne realizzato un por-
to artificiale che, insieme all’allargamento del canale, favorì rapidamente
il fiorire di mulini, silos e attività commerciali legate a cereali e legnami.
Con la crisi petrolifero – industriale degli anni Settanta, l’area conobbe poi
un rapido declino e quasi tutti i magazzini, le acciaierie e le strutture della
vecchia industria furono dismesse; contemporaneamente, però, l’aumen-
to della richiesta del traffico internazionale di merci rese necessario un
nuovo ampliamento del porto, il quale segnò la grande crescita dello sno-
do Duisburg – Ruhrfort, situato poco più a nord, come scalo merci fluviale
più grande di Europa. L’abbandono delle vecchie attività lasciò però una
profonda ferita all’interno del tessuto urbano e trasformò il porto interno
in una barriera di magazzini abbandonati che negava alla città di Duisburg
di ALESSIA
GUERRIERI
Architetto
Memorie industriali, mixitè funzionale e rilancio economico i In
nova
zione i In
nova
zionel’antico rapporto con l’acqua. Nacque quindi l’esigenza non solo di riqua-
lificare il sito, ma di assegnargli un ruolo urbano chiaro e strategico, in
grado di ricollegare la città con il fiume e riconfermare l’identità perduta
del luogo.
Promotore di tutto l’intervento fu il Land NRW (Westfalia – Nord Rena-
nia) che diede via ai lavori di rivalorizzazione, risarcimento ambientale e
riqualificazione dell’interno bacino della Ruhr, attraverso la costituzione,
nel 1989, di IBA Emscher Park, una società consociata a responsabilità
limitata di proprietà dello stesso governo regionale, fondata ad hoc per
coordinare l’intera operazione e supportata dall’Associazione dei Comuni
della Ruhr; una sorta di think tank in cui coinvolgere professionalità, im-
prenditori, cittadini e amministrazioni, ai fini di garantire la qualità degli
interventi da realizzare e la loro idoneità ai precetti del piano guida per la
trasformazione della Ruhr. É attraverso questo meccanismo che, nel 1991,
venne bandito il concorso internazionale di progettazione per la riquali-
ficazione di Innenhafen, vinto dall’architetto Norman Foster, tramite la
cui attuazione il porto interno di Duisburg da area industriale dismessa
e fatiscente è diventato un polo vitale e attrattivo, dove spazi pubblici,
archeologie industriali modernizzate e contenitori di attività terziarie co-
esistono all’insegna della cultura e della sostenibilità ambientale.
Il processo nasce attraverso l’intreccio tra una strategia di tipo poli-
tico economica e un programma urbanistico architettonico, entrambi
guidati dall’idea di fondo di trasformare l’area in una grande macchina
culturale per il leisure ed il tempo libero. Come nel resto della Ruhr,
infatti, anche nell’Innenhafen cultura e memoria rappresentano un
motivo ricorrente, ma vengono declinate in modo innovativo, struttu-
rando un telaio atto a contenere un complesso mix funzionale, estetico
e percettivo in grado di rilanciare socialmente ed economicamente la
città, metaforicamente vista come la testata ovest dell’intero sistema
paesaggistico di Emscher Park.
Accanto alla reinterpretazione delle preesistenze industriali come te-
stimonianze storiche da valorizzare e rifunzionalizzare con usi nuovi e
contemporanei, si accostano nuove realizzazioni deputate allo sviluppo
direzionale, insediamenti residenziali, sistemi di spazi pubblici continui e
sostenibili, nuove funzioni produttive e commerciali in grado di permet-
tere la crescita economica dell’area. In contrasto con l’idea di città funzio-
nalmente compartimentata del XX secolo, Duisburg rappresenta il para-
digma della città ad alto mix funzionale del XXI secolo. Il piano di Foster
reinterpreta quindi gli 89 ettari dell’area intorno l’Innenhafen secondo un
52 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 53
principio molto semplice: creare un quartiere ad uso misto: turistico, la-
vorativo e residenziale, attraverso la costruzione di un nuovo rapporto tra
l’acqua, i manufatti industriali ed il centro di Duisburg. Il primo passo è il
recupero, nel 1994, dello Schwanentor, il ponte mobile che storicamente,
con le sue torri, segnava l’accesso al porto interno. Di lì in poi si sono sus-
seguiti numerosi interventi, articolati essenzialmente su due livelli:
• la rivitalizzazione del waterfront attraverso la collocazione sulla
sponda nord di attività di carattere commerciale e direzionale e la co-
struzione, sulla sponda sud, di una sequenza di spazi, manufatti e
funzioni legati alla cultura e alla memoria;
• la riconfigurazione e riqualificazione degli spazi intermedi del tessuto
urbano attraverso completamenti residenziali ma, soprattutto, tra-
mite la definizione di una rete di spazi pubblici di qualità a diretto
contatto con l’acqua.
Sul fronte nord, quasi a fare da schermo al grande sistema del porto com-
merciale di oggi, nella sequenza ordinata degli edifici votati al terziario,
spunterà l’Eurogate, l’edificio simbolo, ancora in fase di realizzazione, di-
segnato da Norman Foster con una grande curva che ricalca il vecchio por-
to del legname, atto ad ospitare un centro di eccellenza per il cambiamen-
to strutturale, lo sviluppo urbano e le energie rinnovabili; un landmark
- manifesto di tutti i principali contenuti del masterplan. Sulla riva sud,
invece, la trasformazione avviene attraverso la riscoperta dell’archeologia
industriale che viene mantenuta, valorizzata e riutilizzata, sviluppando
un’importantissima capacità attrattiva anche grazie al lavoro di numerosi
architetti contemporanei, opportunamente selezionati mediante l’istitu-
to del concorso di progettazione.
Gli svizzeri Herzog e De Meuron, ad esempio, trasformano un ex muli-
no nel museo di arte contemporanea tedesca Kuppersmuhle, lasciando
intatta l’immagine dei vecchi magazzini e aggiungendo solamente il vo-
lume esterno con la grande scala curvilinea; frammenti e fondazioni di
vecchi edifici industriali abitano il Garten der Erinnerun, il Giardino della
Memoria progettato dall’architetto Dani Karavan; i nuovi quartieri resi-
denziali ecosostenibili progettati da Norman Foster si insediano negli
spazi dietro i fronti, nelle aree più interne al tessuto urbano.
La scelta, imposta dal piano-guida di IBA, di mantenere circa il 40 % delle
strutture industriali e di demolire solo quelle prive di pregio, inoltre, ha
permesso di caratterizzare non solo il waterfront, ma anche gli spazi pub-
blici che si sono aperti tra i quartieri retrostanti, evitando un consistente
onere finanziario e, soprattutto, una significativa perdita di identità e va-
lore culturale.
Accanto alla pedonalizzazione di entrambe le rive del porto e al loro col-
legamento attraverso passerelle di nuova e vecchia realizzazione, la ra-
mificazione delle promenade e degli spazi pubblici all’interno del tessuto
urbano ha permesso di riagganciare il porto interno al parco Altstadt e di
stabilire un certo grado di permeabilità visiva verso l’acqua ai quartieri
residenziali situati tra Innenhafen e il centro storico. Il nuovo insediamen-
to residenziale progettato da Foster, infatti, si struttura proprio intorno
a tre grandi vasche, pressoché ortogonali all’Innenhafen, che sono state
scavate ai fini di raccogliere le acque piovane defluite dai tetti delle nuove
abitazioni, trattarle mediante meccanismi di decantazione e fitodepura-
zione e infine riversarle nel bacino centrale. Quest’operazione, nata da
un’esigenza tecnica di sostenibilità, ben si è prestata a risolvere la neces-
sità di aprire delle visuali prospettiche sul nuovo waterfront migliorando
la percezione dello spazio urbano.
Si è delineato quindi un nuovo tipo di spazio pubblico che vede l’acqua
al centro del progetto sia dal punto di vista estetico spaziale che tecno-
logico ambientale. Fondamentale per l’intero intervento sul sito è stato,
infatti, il progetto di miglioramento ambientale del canale preesistente,
realizzato mediante il prosciugamento dell’area della ex-darsena del le-
gno e la successiva impermeabilizzazione e ricopertura del fondo con la
terra proveniente dai cantieri vicini, per poi riempire nuovamente il bacino
di acqua garantendone il movimento continuo attraverso un sistema di
pompe fotovoltaiche.
L’intervento di Duisburg rappresenta quindi una strada per rinvigorire le
aree urbane in declino attraverso la commistione di tecnologia e sensibili-
tà culturale, di produttività e spazio pubblico, al fine di creare aree urbane
sostenibili per il futuro in cui la casa, il luogo di lavoro e la ricreazione
sono tutti vicini. Il successo dell’operazione è stato confermato poi dai
numeri: a fronte di un investimento pubblico di circa 65 miioni di euro,
spesi prevalentemente per la realizzazione degli spazi pubblici, sono stati
attratti circa 400 milioni di euro di investimenti privati per un totale di
superficie costruita (o/e rifunzionalizzata) pari a 190000 mq di terziario,
700 appartamenti, centro giovani, il museo arte contemporanea, la sede
della polizia del Land, l’archivio di stato e numerosi interventi previsti dal
Nuovo Masterplan di Foster, redatto nel 2007, ancora in corso di comple-
tamento.
i Inno
vazio
ne i Inno
vazio
ne
54 55 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Semplificare i processi di movimentazione, trasporto e gestione logisti-ca grazie all’innovazione tecnologica e di processo.
È, senza dubbio, sfidante, innovativo ed attuale tentare di coniugare la neces-
sità di pianificare e riprogettare il futuro in connessione con i temi della logi-
stica, dei trasporti e della digitalizzazione, letti e interpretati come occasione
per valorizzare ecosistemi territoriali. Ed è ancora più affascinante pensare
di farlo concentrando la nostra attenzione su un’area di cerniera come quella
Nordestina, da sempre crogiolo di scambi, relazioni e business tra ecosistemi
sociali ed economici di confine. Ogni impresa, così come ogni individuo, che
debba confrontarsi con una realtà che cambia a velocità elevatissime e che ab-
bia l’ambizione di crescere, oggi deve competere su mercati sempre più ampi
e, di fatto globali, con la cui evoluzione nel tempo e nello spazio deve confron-
tarsi continuamente. Secondo l’Ocse tutte le grandi economie del mondo chiu-
deranno il 2017 in crescita per Prodotto Interno Lordo. Sembrerebbe di poter,
seppure timidamente, ritenere che la recessione che si è manifestata nel 2008
con il fallimento della Lehman Brothers, sia quasi alle spalle. Nulla sarà però
più come prima, perché i processi di globalizzazione dei consumi, della produ-
zione e della finanza sono destinati a subire, nel futuro prossimo, profonde
modificazioni qualitative e quantitative, sia per iniziativa privata che pubblica.
Ha preso slancio un tipo di globalizzazione unfair (sleale), unsafe (pericolo-
sa), unequal (ineguale), perché dosi massicce di progresso tecnico e digitale
stanno “rottamando” tutti i processi produttivi, distributivi e di consumo,
con effetti economici e sociali non facilmente prevedibili, soprattutto in ter-
mini di intensità di impatto sullo stato sociale e sul mercato del lavoro. Il
mondo ha cercato di darsi strategie globali come, per esempio, con la Con-
venzione sul clima di Parigi 2015 o con l’Agenda Onu per lo Sviluppo Soste-
nibile lanciata nel 2016: convenzioni e agende da cui l’amministrazione del
più potente Paese del mondo ha preso le distanze e che, al contrario, l’ex
autarchica Repubblica Popolare Cinese sta cavalcando. Sembra di vivere una
congiuntura surreale e specchiata: invece è reale e palpabile!
Strategie che, tuttavia, sembrano resistere nonostante l’apparente inversione
degli atteggiamenti (diremo delle polarità del mondo) e che sono il tangibile
segno, anche per chi fa impresa, di una riglobalizzazione necessaria e ine-
di FRANCESCO
DE BETTIN
Amministratore
Delegato
DBA Group
Dall’acqua al ferro, tutti i vantaggi dell’automazione digitale i In
nova
zione i In
nova
zioneludibile quanto imprevista. Tutti fatti, processi e decisioni che influiranno
moltissimo sulla geografia del commercio internazionale, dei traffici delle
merci e della modalità del loro trasporto.
Di certo questo accadrà lungo le nuove Vie della Seta terrestri e marittime
che collegano i mercati europei con quelli asiatici, catalogabile oramai sem-
pre più come strumento di politica estera di una delle più importanti econo-
mie del mondo: la Cina. Realtà politica e produttiva con cui si dovranno fare
i conti anche a livello digitale, se è vero, come è vero, che i colossi dell’Ict
cinesi ormai sono quasi dei monopoli di fatto. E digitale vuol dire gestione
delle informazioni…
Non a caso l’originario progetto del presidente cinese (e Segretario del Partito
Comunista) Xi Jinping, denominata One Belt, One Road (OBOR), è stata re-
centemente ridenominata proprio dai cinesi Road Belt Initiative. Ogni giorno
appare più evidente che il Mediterraneo ed il Mar Nero per i cinesi si stanno
trasformando da “mari di transito” a vie in grado di abilitare basi logistiche
permanenti, origine e destinazione di rilevanti flussi aggiuntivi di traffico ma-
rittimo con l’Europa. A ciò si sommano le previsioni del mercato container del
Mar Nero, non trascurabili per gli effetti derivabili nell’area Nordestina, che
dimostrano come questa parte del Mediterraneo Orientale generi, autono-
mamente, traffici aggiuntivi che rafforzano il flusso merci da e per l’Europa:
ne sono un ottimo esempio i positivi ed eccellenti trend del Porto di Trieste.
Altra condizione al contorno non trascurabile è legata al “gigantismo” navale
che, nell’ambito del Mediterraneo centrale e occidentale, in attesa dell’infra-
strutturazione ferroviaria del corridoio IV tra Pireo e Budapest (la cosiddetta
Via della Seta Balcanica), funge, di fatto, da “filtro” nell’individuazione dei
terminali delle Autostrade del Mare più indicati ad essere gate tra mercato
cinese e piattaforma produttiva e/o di trasformazione europea. Tali gate
sono Genova e Trieste, le due naturali porte all’Europa come snodo tra vie
d’acqua Tirreniche ed Adriatiche e infrastruttura logistica di trasformazione
e di trasporto terrestre. Genova e Trieste sono gli unici scali con pescaggi
naturali di livello adeguato per accogliere le grandi navi, con aree di retro
porto sufficientemente ampie (o facilmente ampliabili su scala territoriale)
e, limitatamente a Trieste, per molti motivi, con una infrastrutturazione fer-
roviaria in grado di estendere le rispettive potenzialità sul continente. Ecco
allora comparire sulla scena gli ecosistemi territoriali locali se parliamo di
città-porto (come nel caso di Genova) o regionali (se non sovra regionali) se
parliamo di Regione – porto (come nel caso di Trieste).
Infine, per meglio comprendere come logistica, trasporti e digitalizzazione si
56 57 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
i Inno
vazio
ne i Inno
vazio
neinquadrino in uno scenario di riglobalizzazione “potenzialmente” ricco di op-
portunità (per quanto la riglobalizzazione sia ben diversa da come la si era
intesa prima della grande crisi) e possano condizionare i destini degli ecosi-
stemi territoriali non solo prossimi a Trieste o regionali ma, addirittura, per
l’intera area del Nord Est, non si può prescindere da una considerazione “in-
gegneristica” e “terra terra” sull’ordine di grandezza relativa all’impatto della
lavorazione di una grande nave in un porto. Una mega nave da 18.000 TEU
equivale ad un ipotetico treno lungo 109,80 km, corrispondente a circa 150
treni merci da 750 metri l’uno. Ipotizzando che Trieste possa accogliere, oltre
a ciò che già fa, due mega navi alla settimana senza soluzione di continuità,
si tratterebbe di lavorare circa 1.900.00,00 TEU all’anno in più ovvero circa
15.000 treni da 750 metri l’uno in più rispetto alle migliaia già lavorati ora.
L’unica soluzione possibile per non perdere l’opportunità offerta da questo
scenario è, anzitutto, invertire nella pratica i termini del tema da trattare,
modificandolo leggermente e leggendolo al contrario. Solo una digitalizza-
zione molto spinta dei processi di movimentazione, trasporto e gestione logi-
stica - comprendendo in essa anche il valore aggiunto sull’ecosistema locale
delle cosiddette “rotture di carico” che viaggia con leve di multiplo compreso
tra 2,55 e 3,55 rispetto al valore generato dalla semplice manipolazione delle
merci legata al loro transito – può garantire la fruizione dell’opportunità e la
semplificazione di una complessità enorme e ingestibile senza un pesante
ricorso alle tecnologie digitali.
Vi è, quindi, l’esigenza di interpretare un tema che solitamente si osserva an-
zitutto da un punto di vista infrastrutturale, in chiave digitale e di Industry 4.0,
analizzando e investendo su soluzioni tecnologiche e telematiche di automa-
zione delle attività di rail shunting (manovra ferroviaria) e di movimentazione
ferroviaria tra porto ed interporti, così da trasferire e diluire la complessità pun-
tuale su più aree retroportuali (gli attuali interporti); di fast corridor doganale
(corridoio di trasporto garantito per l’integrità del carico), ovvero piattaforme
tecnologiche e digitali in grado di consentire una movimentazione controllata
e legale delle merci dall’area franca portuale ai suoi retroporti, privilegiando
per mille motivi i corridoi su ferro e materiale rotabile controllabile e monito-
rabile in real time. Infine, di single windows cioè soluzioni in grado di favorire
la condivisione delle informazioni tra tutti i soggetti della port community che
compongono la supply chain in modo univoco e non ridondante, evitando all’u-
tente di digitare più volte le medesime informazioni. In questa situazione, con
l’obiettivo di migliorare lo scambio informativo nelle catene logistiche portuali,
molti porti nel mondo (tra cui, in parte anche il Porto di Trieste) hanno svilup-
pato infrastrutture tecnologiche di Port Community System (Pcs), le quali, a
tendere, dovranno essere tra esse rese interoperabili e ognuna inter-operare
con le piattaforme tecnologiche istituzionali esistenti. Ipcsa (l’associazione In-
ternazionale dei principali operatori di sistemi Pcs) definisce un sistema di
Port Community, come una “piattaforma elettronica neutrale ed aperta che
consente lo scambio sicuro e intelligente di informazioni tra operatori pub-
blici e privati, al fine di migliorare la posizione competitiva della comunità
portuale”. Tutto ciò valorizzando ciò che già c’è, riducendo l’invasività ter-
ritoriale e cercando di leggere l’iniziativa nell’ottica del Porto-Regione o del
Porto-Nord Est (il che introdurrebbe il concetto del transhipment). Qualsiasi
soluzione digitale a supporto di trasporti e logistica dovrebbe avere tra i suoi
obiettivi apparentemente “intangibili”:
• l’ottimizzazione dell’efficienza del Porto-Regione, in linea e coerente-
mente con l’enorme lavoro che l’Autorità di sistema del Mar Adriatico
orientale e le istituzioni regionali stanno facendo, così da migliorarne la
sua competitività su scala mondiale, generando benefici tangibili per
tutti gli stakeholder pubblici e privati coinvolti, anche possibilmente
fungendo da interfaccia digitale unica verso tutti i sistemi nazionali ed
europei attivi o in corso di attivazione;
• l’incremento dei volumi di merci manipolate in import ed export attra-
verso i terminal delle Autostrade del Mare gestiti dall’Autorità di Siste-
ma Portuale del Mar Adriatico Orientale;
• la creazione di valore attraverso il circolo virtuoso generato da una rot-
tura di carico logistica, finalizzata alla lavorazione o al packaging di par-
te delle merci in transito, intendendo con ciò specificatamente il valore
aggiunto generato dalla creazione di nuovi posti di lavoro, dal recupero
e rilancio delle aree territorialmente fragili e marginali, dalla gestione
e controllo “neutrale” e super partes delle informazioni digitali che ac-
compagnano le merci nei loro spostamenti;
• la valorizzazione delle imprese appartenenti alla filiera tecnologica del
Nord Est, già attive nell’ambito della telematica applicata o applicabile
alla Supply Chain, recuperando e integrando piattaforme tecnologiche
già sviluppate e in dotazione dell’Autorità di sistema portuale del Mar
Adriatico orientale e creando l’interoperabilità digitale con le piattafor-
me tecnologiche istituzionali.
Gli esempi virtuosi di ottimizzazione della supply chain portuale attraverso
il ruolo abilitante delle piattaforme digitali si riscontrano laddove le port au-
thority ne impongano, poi, l’utilizzo agli stakeholder, spesso delegandone in
outsourcing la gestione a concessionari terzi specializzati in automazione di
processo e trattamento delle informazioni. Rotterdam, Amburgo, Singapore,
58 59 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
i Inno
vazio
ne Valencia e Marsiglia ne sono gli esempi. Nei casi di outsourcing, gli unici in
grado di incrementare l’efficienza del sistema e minimizzarne i costi di im-
pianto sulle port authority, la proposta di sviluppo ed esercizio dell’eroga-
zione telematica del servizio di supply chain community potrebbe addirittu-
ra seguire l’iter previsto dalle vigenti leggi in materia di project financing e
concessioni di pubblico servizio, caratterizzati da rischio di impresa a carico
totale o parziale del soggetto concessionario.
Il project financing di servizi (art. 278 del D.P.R. 207/2010) può essere lo stru-
mento ideale per consentire alle istituzioni di dotarsi rapidamente di piatta-
forme tecnologiche integrate come quelle descritte. Esso ruoterebbe intorno
all’affidamento di un contratto per la “Concessione per il progetto, la realiz-
zazione di una piattaforma tecnologica finalizzata all’erogazione telematica
dei servizi di supply chain community system ed alla sua gestione per un pre-
determinato numero di anni”. Il modello sarebbe senza dubbio innovativo e
garantirebbe al “digitale” di abilitare “trasporto” e “logistica” in quanto con-
sentirebbe all’Autorità di Sistema di dotarsi, a spese del Concessionario, di
strumenti e servizi che le sarebbero altrimenti inibite dalla cronica mancanza
di budget, trasferirebbe poi sul Concessionario il rischio imprenditoriale poi-
ché, in mancanza di traffico merci il suo rientro dell’investimento potrebbe
essere compromesso. Recepirebbe appieno le Direttive Comunitarie in ma-
teria di Project Financing e Concessioni di servizi e rispetterebbe gli obblighi
di trasparenza e di gara, tutelando totalmente la Pubblica Amministrazione,
garantendole l’ottenimento dele migliori condizioni economiche possibili.
Ma soprattutto garantirebbe un contributo essenziale per il rilancio e/o il raf-
forzamento dell’economia degli ecosistemi territoriali locali.
La digitalizzazione è dunque una necessità primaria, senza dubbio prope-
deutica ed indispensabile per l’abilitazione di un sistema di trasporti sul cor-
to raggio a livello regionale in grado di consentire la decongestione portuale
e, di conseguenza, l’incremento dei volumi di merci lavorate. Non si tratta
solo di gestire il rail shunting ma di “inventare” e automatizzare uno sbarco
delle merci alla rinfusa, per spostare il loro ordinamento per destinazione e
tempi di movimentazione nei retroporti che, per i volumi stimati, dovran-
no necessariamente essere più d’uno e, possibilmente, collegati con i porti
su ferro. Solo il trasporto su ferro può infatti offrire un agevole controllo del
fast corridor doganale, garantendo anche l’agenzia delle dogane sull’integri-
tà dei carichi movimentati tra “area protetta” portuale e interportuale. Con
la digitalizzazione di manovra ferroviaria e fast corridor doganale si attivano
gli ecosistemi terrestri puntuali di primo livello, riattivando gangli produttivi
oggi praticamente “dormienti” (nel caso del Friuli Venezia Giulia: Cervignano,
Sdag e, forse, Pordenone e del Veneto alcune aree industriali servite dalla
rete ferroviaria ma oggi sottoutilizzate come Marghera) e generando notevoli
ricadute in termini di posti di lavoro.Solo per curiosità è importante sottoli-
neare che in previsione dello start up di questo nuovo scenario, DBA Group
ha investito negli ultimi quattro anni molte risorse in Ricerca e Sviluppo per
definire standard e funzionalità di tags e sigilli elettronici a basso costo, con
cui equipaggiare le merci in arrivo e di prevista movimentazione da porto a
retroporti e di garantire integrità e tracciabilità del contenitore, depositando-
ne i relativi brevetti con protezione in tutta l’Eurasia. Ciò a sottolineare come
la componente trasporti a sua volta cross-fertilizzi le aziende che operano nel
digitale e che nel Nord Est non sono certo solo rappresentate da Dba Group.
Nel caso della componete trasporto, così come per la componente logisti-
ca, induce ricadute positive sull’ecosistema tecnologico ad elevato valore
aggiunto di conoscenza, la cui onda lunga si riverbererà obbligatoriamen-
te sulle università e sugli atenei dell’area territoriale Nordestina. In questa
componete del trinomio il valore aggiunto è fondamentalmente dato all’au-
tomatizzazione dei processi e dall’interoperabilità dei dati tra le piattafor-
me tecnologiche locali e quelle istituzionali o delegate alla gestione della
lunga distanza. L’ecosistema territoriale che si attiva grazie a digitalizza-
zione, trasporti e logistica è quello che riguarda il comparto manifatturiero
dell’ingegneria meccanica e dell’automazione di processo. Automatizzare i
processi non significa in alcun modo penalizzare la componente sociale lo-
cale in termini di diminuzione dei posti di lavoro. Al contrario essa abilita le
potenzialità della “rottura di carico delle merci” in termini di gestione e ma-
nipolazione dei semilavorati con finalità di confezionamento o di packaging
dei prodotti finiti. La ricaduta sull’ecosistema territoriale sarebbe in questo
caso governata da effetti leva molto elevati, capaci di influire in modo estre-
mamente positivo sul PIL dell’intero Nord Est.
Il migliore esempio al mondo di un modello di questo genere è localizzato
in un’area territoriale molto più penalizzata rispetto al Friuli Venezia Giulia:
addirittura periferica e marginale ma progettata e sviluppata in laboratorio
esattamente per questo scopo e collegata al mondo solo attraverso il mare
e le sue Autostrade. Si tratta della Free Trade Zone di Jebel Ali negli Emirati
Arabi, città portuale situata a 35 km a sud della città di Dubai e fondata
nel 1985. Vi lavorano 190.000 persone ed è l’area più produttiva del mondo
nell’ambito del packaging e dell’assemblaggio di particolari tecnologie: è in
mezzo al deserto! Nasce allora il concetto di Free Trade Zone ove digitaliz-
zazione, trasporti e logistica da sole non possono e non bastano per cambiare
gli scenari possibili perché ne sono semplice condizione al contorno, perché
questo è compito della politica. E la politica, in fin dei conti e se leggiamo bene
la lezione che viene dalle grandi civiltà raccontateci sui libri di storia, siamo noi.
i Inno
vazio
ne
60 61 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’opinione L’opinione
i Inno
vazio
ne i Inno
vazio
ne
Il giusto riposizionamento della lobby datoriale dipende dalla capacità della stessa di “fare sistema” attraverso processi di collaborazione con altre associazioni e di creare una efficace rete di relazioni sul territorio.
L’associazionismo, e la rappresentanza di interessi in genere, sono espres-
sione diretta della società civile ed economica, per questo sono un feno-
meno in continuo mutamento. In particolare, questo momento storico è
segnato da modifiche strutturali di mercato e motori di tali cambiamenti
sono i continui sviluppi scientifici e tecnologici, i repentini cambiamenti
dei cicli di vita di un prodotto con la conseguente necessità di innovazione
e aggiornamento.
A ciò si aggiunga un atteggiamento della politica all’insegna dell’indiffe-
renza nei confronti della lobby, in controtendenza con il passato, una sorta
di «demansionamento» del ruolo delle organizzazioni datoriali. Così al po-
sto dei marginalizzati enti di rappresentanza industriale, prendono spazio
sempre più svariati operatori, incapaci di ragionare in termini di interessi
generali.
In questo scenario, le imprese richiedono sempre più risposte rapide e fles-
sibili, che necessitano di tutela e rappresentanza e prodotti-servizi asso-
ciativi con tempistiche sempre più repentine, alle quali le associazioni non
sempre sono allineate, col rischio di divenire poco efficaci.
Alle imprese occorrono infrastrutture, servizi, sostegno e incentivi alla
ricerca e all’innovazione, indispensabili per creare quell’ambiente favore-
vole alla nascita, al consolidamento e allo sviluppo di unità produttive di
eccellenza, a elevato valore aggiunto, senza le quali le molte potenzialità
del nostro settore produttivo andrebbero disperse.
Conseguenza diretta ed evidente di questo trend è che il mondo delle as-
sociazioni di categoria e degli enti che per tradizione ne sono stati prota-
gonisti, è in crisi, e non si tratta solo del riflesso della lunga congiuntura
negativa che l’Italia ancora, purtroppo, sta attraversando, ma è piuttosto
una crisi di identità. Una crisi di identità che reca con se, però, una grande
opportunità per il mondo della rappresentanza industriale e dei servizi.
La frontiera della rappresentanza di settore: avanguardia o retrovia?
di GIUSEPPE
RUGGIU
Vicepresidente
Atecap
Opportunità che a sua volta, per essere colta, richiede una forte capacità
di adattamento al mercato e flessibilità. In altre parole, paradossalmente,
credo che l’associazionismo abbia di fronte l’occasione storica per vedere
rafforzato il suo ruolo, a patto che si abbandonino le vecchie logiche di
frammentazione degli interessi e che si creino e si sfruttino gli spazi co-
muni di azione, che consentano di ragionare sempre più in termini di filiera
produttiva piuttosto che di singolo comparto.
I temi di interesse delle imprese, infatti, devono diventare sempre più
quelli delle alleanze, delle reti di relazioni, della cooperazione.
In questo modo accanto alle funzioni originarie della rappresentanza e a
quelle di erogazione dei servizi e di promozione del business, si devono svi-
luppare pratiche e modelli d’azione che mettano in primo piano l’attivazio-
ne e lo sviluppo di una rete di relazioni, in cui vincono la forza e la capacità
di dialogo e di confronto anche con altri portatori di interessi, spesso non
«classificabili» in sigle associative definite.
In Italia l’associazionismo sopravvive ancora come fosse un “vecchio no-
bile decaduto”, vive di una reputazione che man mano sta sbiadendo. È
ora di capire che abbiamo vissuto nell’illusione che lo sviluppo industriale
fosse sinonimo di modernizzazione. Invece abbiamo solo industrializzato,
quando ci siamo riusciti, e solo in parte modernizzato.
Siamo ancora in tempo per farlo. Le Associazioni e le aziende devono sen-
tirsi attori e artefici dello sviluppo e della crescita, con finalità e obiettivi
che vanno oltre il risultato economico, ma che puntano alla valenza sociale
e al valore etico di fare impresa.
62 63 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
CASSERI A PERDERE ISOLATI, AD ALTA TECNOLOGIA,
PER OTTENERE FACILMENTE:
WWW.PONTAROLO.COM
• PRESTAZIONI TERMICHE NZEB• PRESTAZIONI ANTISISMICHE CLASSE IV
• VELOCITà• ECONOMIE DI CANTIERE
IL TERMOSOLAI O
i Inno
vazio
ne
Le soluzioni di Pontarolo Engineering sono state scelte per la costruzio-ne della scuola per l’infanzia di Sarnano, progettata dalla Protezione Civi-le della Regione Friuli Venezia Giulia.
Solo 116 giorni per costruire la scuola per l’infanzia di Sarnano (MC), 1350mq
su due livelli, inaugurata il 15 settembre 2017, alla presenza del Presidente
del Consiglio on. Paolo Gentiloni, utilizzando le tecnologie costruttive di Pon-
tarolo Engineering di San Vito al Tagliamento (PN). Le soluzioni di Pontarolo
Engineering - sviluppate e prodotte in Friuli Venezia Giulia – hanno permesso
grazie alla sinergia tra i progettisti, le imprese realizzatrici Riccesi Holding
(Trieste) e Balsamini Impianti (Pordenone) e tutti gli attori coinvolti di rea-
lizzare la scuola in soli 116 giorni. La scuola per l’infanzia “Benedetto Costa”,
edificio strategico dalle massime prestazioni antisismiche (Classe IV) e ter-
miche (NZEB– nearly zero energy buildings) è un dono della Regione Friuli
Venezia Giulia ed è stata progettata dalla Protezione Civile della Regione.
L’attenzione verso l’efficienza termica, la riduzione dell’impatto ambientale
e l’anti-sismicità hanno guidato Pontarolo Engineering ad ideare soluzioni
vantaggiose per risolvere i problemi del cantiere, grazie all’esperienza di pri-
ma mano che deriva da una lunga tradizione in ambito edile. Molta l’emozio-
ne e l’orgoglio di Valerio Pontarolo, fondatore di Pontarolo Engineering Spa,
e Presidente del Polo Tecnologico di Pordenone, che ha riconosciuto negli
apprezzamenti da parte di progettisti, tecnici e autorità “una sorta di laurea
per i nostri prodotti e brevetti, frutto di ricerca incessante e appassionato im-
pegno per soddisfare le esigenze del cantiere, dando costi certi e tempi certi,
offrendo soluzioni ideate in Friuli Venezia Giulia, una regione a vocazione
tecnologica, dove l’innovazione trova un terreno fertile per crescere”.
Edificio strategico, due piani, per 1350mq di superficie, Classe IV antisismi-
ca, NZEB (edificio a consumo energetico quasi zero). I muri portanti sono
stati realizzati con Climablock, il cassero a perdere in EPS, già vincitore nel
2007 del Premio Innovazione 2007, che permette di isolare e costruire con
un solo gesto, i solai con Kaldo, termopannelli isolanti, le fondazioni con
IsolCupolex che permette di creare vespai aerati e isolare le fondazioni, il
tetto termoventilato con Ventus. Il getto dei pilastri è avvenuto con i cas-
seri Tubix.
Una scuola ad alte prestazioni antisismiche in 116 giorni
64 65 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Il ruolo di guida del ministero deve creare le basi per una profonda azione di rigenerazione urbana e infrastrutturale.
Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza collettiva della necessi-
tà di riprogrammare la trasformazione del territorio mettendo al centro
l’obiettivo del “consumo di suolo zero”, orientando così il mercato delle
costruzioni verso la riqualificazione.
In questo numero abbiamo voluto chiedere al senatore e viceministro
Nencini quali sono le prospettive della programmazione del territorio
alla luce dei cambiamenti che stanno riguardando il settore delle costru-
zioni e delle opere pubbliche a livello globale.
In un nuovo contesto culturale e legislativo assumono maggiore cen-tralità la demolizione e ricostruzione e la rigenerazione urbana delle aree de-industrializzate, diffuse in molte realtà territoriali del Paese. Come e quali strumenti mettere in campo per attivare progetti e inve-stimenti?“La trasformazione del territorio, la rigenerazione urbana e il consumo
del suolo sono questioni che sono tornate al centro dell’attenzione nel
nostro Paese. Esse afferiscono allo sviluppo delle politiche d’interven-
to nel sistema delle città e necessitano di progetti di nuova concezione
e formazione che devono obbligatoriamente partire dall’identificazio-
ne delle linee fondamentali dell’assetto del territorio.
Negli ultimi quindici anni la cultura del governo delle città si è evolu-
ta e si è aperta ad una visione integrata dello sviluppo, introducendo
soluzioni innovative in grado di integrare le connessioni tra le città, i
porti, le infrastrutture di collegamento con le reti di livello ultralocale
e nazionale. In questo ambito, occorre correlare i programmi di rigene-
razione e di riqualificazione all’interno di misure che siano in grado di
chiudere definitivamente con la stagione di interventi indiscriminati a
tutto campo, molto spesso privi di attenzione nei confronti dell’am-
biente urbano, soprattutto quello storico, e dell’habitat in generale.
Nel nostro Paese occorre consolidare e fare applicare norme e misure
esistenti, ma occorre anche una coraggiosa politica di contrapposizio-
ne a fenomeni che non hanno mai dato segni di rallentamento come
l’abusivismo edilizio ed uno scellerato consumo di suolo.”
Le nuove strategie di governance per i territoric Ci
ttà
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti svolge un ruolo di gui-da e di orientamento importante nei confronti delle Regioni e delle amministrazioni locali. Quali azioni state mettendo in campo per ac-celerare l’iniziativa di questi soggetti essenziali per gestire un ampio processo di rigenerazione?“Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, già Ministero dei lavori
pubblici, ha sempre posto forte attenzione alle politiche per le città e
alla questione abitativa nelle sue varie declinazioni e, al riguardo, vale la
pena ricordare le varie generazioni di programmi d’intervento in ambito
urbano promossi nel tempo.
I Programmi di recupero urbano, i Programmi di riqualificazione urbana,
i Piani urbani per la mobilità, gli Urban, i PRUSST, i programmi inno-
vativi SISTeMA e Porti e Stazioni, i Contratti di quartiere, dimostrano
quante risorse e quanti sforzi sono stati compiuti in questa direzione.
Dalla prima metà degli anni ’90 ad oggi, sono state impegnate ed asse-
gnate ai Comuni risorse per circa 70 miliardi di euro. Indubbiamente, in
relazione all’attuale assetto degli Enti, dei confini amministrativi e delle
competenze occorre una ‘concertazione interistituzionale’ più dinamica
ed efficace. È necessario un nuovo modello di ‘governo delle trasforma-
zioni’ in grado di attuare al meglio le decisioni pubbliche, oggi troppo
segmentate ma, soprattutto, è necessario promuovere procedure che
siano in grado di semplificare e razionalizzare i meccanismi di finanzia-
mento e di realizzazione delle opere.”
La rigenerazione urbana non può prescindere da una profonda riqualifi-cazione delle nostre periferie. Il Governo in questi ultimi anni ha svolto un ruolo proattivo mettendo in campo risorse e spingendo i Comuni a mettere in campo progetti. L’impressione è, tuttavia, quella di una di-spersione di risorse e di una mancanza di vere e proprie priorità…“Anche se nella concezione e nella formazione dei progetti urbani, su-
perata la vecchia impostazione dirigistica, si è aperta una visione dello
sviluppo proattiva e multifattoriale, si sono create nuove figure profes-
sionali in campi prima trascurati e si è diffuso un modo di lavorare in-
terdisciplinare anche a livello locale, probabilmente tutto ciò ancora non
basta.
Per promuovere programmi e interventi, rispetto ad un passato caratte-
rizzato da soluzioni spesso improvvisate e inefficaci, occorre un assetto
delle competenze più compatto e realmente legato alle caratteristiche
dei territori, ai loro scenari di sviluppo e a credibili progetti da realizzare,
anche con il necessario coinvolgimento dei privati e del mondo produt-
c Città
L’intervista L’intervistaa RICCARDO
NENCINI
Viceministro MIT,
di MARTINO
ALMISISI
66 67 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
tivo. La progressiva riduzione delle risorse pubbliche comporterà nuovi
modelli di partecipazione al partenariato pubblico – privato sia sotto il
profilo tecnico che quello finanziario.”
Come Civiltà di Cantiere nell’ultimo anno abbiamo approfondito la questione della Governance mettendo in luce come nelle esperienze internazionali risulti evidente un approccio molto diverso dal nostro. In Europa le regole e le norme sono al servizio di una visione e di una forte e rigorosa progettualità, con chiarezza di ruoli e di responsabili-tà, a cui si affianca una pubblica amministrazione competente e au-torevole. In Italia anche le esperienze più rilevanti come, ad esempio quella di Torino, hanno finito per essere penalizzate da rigidità urba-nistiche complessità normative. É possibile riuscire anche nel nostro Paese a cambiare approccio? Quale ruolo deve avere il Ministero?“Appare prioritario e impegnativo provvedere a un assetto innovativo
interistituzionale, dare mandato e risorse a una politica per le città in
grado di sviluppare “Piani e misure di riqualificazione e rigenerazione”
meglio finalizzate al rilancio dello sviluppo urbano e dell’inclusione
sociale. Ciò potrebbe essere attuabile attraverso la realizzazione di
nuove condizioni strutturali, che ne costituiscono il presupposto, atti-
vando nuovi piani nazionali per le trasformazioni urbane in cui, priori-
tariamente, andrebbero definite le strutture incaricate di occuparsene,
le risorse su cui contare e le modalità con cui operare.
Ad esempio andrebbero privilegiate azioni di coordinamento per svi-
luppare e raccogliere, in accordo con i territori, spunti e proposte di
progetti a livello di “fattibilità tecnico economica” nelle principali
aree di crisi urbana e territoriale del Paese, attraverso l’indicazione di
una serie di “linee guida” di carattere generale sul consumo di suolo,
sull’impatto energetico ed ambientale, non solo di semplici manufat-
ti, ma di interi ambiti urbani candidati alla rigenerazione, premiando
l’adozione di standard internazionali per la certificazione energetica e
ambientale degli interventi proposti e il controllo dei processi proget-
tuali, costruttivi e gestionali.”
Oggi il tema della rigenerazione delle città e della riqualificazione del-le periferie si incrocia con l’emergenza abitativa, questione nevralgica e sulla quale proprio lei recentemente ha lanciato un progetto mirato. Ce lo può illustrare?“La mission istituzionale è fondamentalmente circoscritta ai seguenti
punti:
• facilitare ed accompagnare l’avvio di un percorso qualitativo fina-
lizzato alla strutturazione di virtuose operazioni di “finanza im-
mobiliare” per assicurare il miglior risultato possibile in termini di
razionalità ed efficienza degli investimenti pubblici, anche in logica
multi fondo;
• pesare e valorizzare la componente sociale dell’investimento come
condizione fondamentale della sua sostenibilità e assicurare il sup-
porto finanziario al solo scopo di abbassare la soglia di sostenibilità
di una operazione complessa di rigenerazione per il raggiungimento
di un rendimento accettabile.
La valutazione delle proposte da sviluppare dovrà attenersi esclusiva-
mente all’analisi della soglia di sostenibilità delle proposte ai fini della
determinazione della misura del sostegno finanziario e la corretta di-
stribuzione dei rischi tra la parte pubblica e quella privata. In sintesi,
attraverso la promozione di una rinnovata capacità programmatoria e
decisionale, con idonee misure finanziarie e nuovi programmi di riqua-
lificazione e rigenerazione, può esplicarsi il rilancio delle politiche per le
città, tra sviluppo urbano, inclusione sociale e qualità dell’abitare.”
c c Città
L’intervista L’intervista
Città
68 69 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
VMM WMMckMMMMMMM 2 - 20146 MMMMMM MMMMTMMMMMMM +39 0247719331
LMM MM MMM è MM MMMgM�M OMM TMMM
CMMM MM MMM MMMM MMMMMMMMMMMMMM McMMMM M MMMMMggM MM Let it BIMMMM MMMMM MMMMMMM MM MMMMMMMMMMMMMM MMM MMMM
NON POTRAI PIÙFARNE A MENO!
MMcMMMM� MMbMMMM
c Città
Tre questioni in primo piano: governo del territorio, infrastrutture e città.
L’attuale assetto degli Enti, dei confini amministrativi, delle competenze
e della concertazione inter-istituzionale necessita ancora di semplifica-
zione e razionalizzazione delle procedure di formazione delle decisioni
pubbliche. Nella costruzione dei programmi urbani è maturata una visio-
ne proattiva e multifattoriale dello sviluppo, attraverso modalità di lavoro
interdisciplinari ma, anche se a livello locale sono stati operati mutamenti
organizzativi per gestire progetti di nuova concezione, tutto ciò ancora
non basta.
É diffusa la consapevolezza che gli attuali confini amministrativi siano
anacronistici rispetto alle dinamiche socioeconomiche e ambientali e,
pertanto, è necessario che il governo delle trasformazioni territoriali si
configurii attraverso nuovi modelli, in quanto le decisioni pubbliche su-
gli investimenti locali sono troppo numerose e segmentate per essere
efficienti ed efficaci. Rispetto a soluzioni schematiche ed improvvisate
occorre costruire un assetto delle competenze più compatto e molto più
legato alle caratteristiche dei territori, ai loro scenari di sviluppo, ai pro-
getti da realizzare, aprendo anche ad un coinvolgimento diretto del mon-
do imprenditoriale e produttivo.
La questione infrastrutturale è al centro delle azioni volte ad accrescere
la competitività del Paese e la sua integrazione nella rete di relazioni na-
zionali ed europee. É noto come le “logiche progettuali” che ispirano le
politiche delle trasformazioni possono modificare la gerarchia delle aree
all’interno del territorio nazionale e come queste debbano avere un ade-
guato ed equilibrato rilievo in quanto devono poter contare su una plura-
lità di strumenti operativi e di soggetti in campo.
In via generale, le riflessioni fin qui compiute sulle politiche urbane indivi-
duano un pacchetto di ingredienti caratterizzato da: contrasto al consumo
di suolo, rigenerazione dei tessuti urbani obsoleti, sicurezza degli edifici,
riduzione degli sprechi, promozione dell’efficienza energetica, diffusione
delle informazioni, dei servizi, delle conoscenze e delle nuove tecnologie.
di FRANCESCO
GIACOBONE
Architetto,
segreteria tecnica
Viceministro MIT
Il rilancio delle politiche per la città
70 71 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
garante. Le politiche per la città devono rispondere a questo principio e il
rinnovo urbano diviene politica flessibile che declina una governance cen-
trale da attuare, verosimilmente, in soluzioni locali. Fare politica delle cit-
tà significa fare sviluppo, rigenerare le città significa rinnovare i contesti
nei quali si svolgono le attività produttive, significa fare moderne azioni di
welfare aprendo anche a una rigenerazione urbana per ambiti.
Quali potranno essere gli ambiti di partenza? Urbano o peri-urbano? Peri-
feria o aree semicentrali? É evidente che la strategia non può essere uni-
voca e che non si deve operare solo partendo da settori funzionali urbani
ma il rinnovo va in accompagnamento anche ad altre politiche. Anche un
approccio per “settori funzionali” potrebbe valorizzare ambiti urbani che
poi potrebbero coinvolgere ampie parti della città e dello spazio extraur-
bano, in cui andrebbe ridotto il peso e condizionamento delle proprietà
immobiliari rispetto alle operazioni di rigenerazione. L’obiettivo è la con-
nessione delle politiche per una “città integrata” e oggi sembra che nei
vari provvedimenti di sviluppo del governo e delle regioni ci sia molta più
attenzione a questa impostazione che non nei piani urbanistici. Una lea-
dership con queste caratteristiche richiede anche il necessario apporto di
un’imprenditoria di sistema, che contempla produttori di materiali, pro-
gettisti e imprese di costruzione. Il coinvolgimento di tutti gli attori della
filiera è indispensabile. Ovviamente occorre una pubblica amministra-
zione capace e un’articolazione territoriale che sappia dettare le regole,
valutare le proposte, rassicurare l’opinione pubblica e accompagnare le
operazioni di trasformazione e sviluppo.
Per poter intervenire nei territori e nelle città, allo Stato spetta il compito
di dettare i principi generali da articolare con le Regioni, richiamando a sé
il ruolo istituzionale di raccordo e coordinamento con le politiche euro-
pee. Le reti delle città, nel quadro del generale sviluppo socioeconomico,
concorrono a identificarne gli assi principali, ne individuano le interdipen-
denze e ne articolano gli aspetti operativi. L’attuazione di una “Strate-
gia nazionale per le aree urbane” è per eccellenza il “luogo comune” dove
sviluppare interconnessioni, perseguire convergenze, configurare nuove
proposte e progetti. La rigida ripartizione delle competenze tra Stato e
Regioni, pur nella piena legittimità, manifesta la sedimentazione di visio-
ni spesso divergenti e autoreferenziali in cui, ad esempio, sembra sdop-
piarsi la componente della tutela del territorio come valore costituzionale
e quella dello sviluppo del territorio basata su economia e mercato. L’in-
treccio delle competenze e degli ambiti d’intervento ha ridotto la capacità
di costruire “azioni cooperative” capaci e istituzionalmente responsabili
e, di contro, ha generato una perenne conflittualità tra regole parziali, che
c Città c Città
In ordine a ciò, andranno sostenute azioni con linee d’intervento diffe-
renti da quelle tradizionali, attraverso la promozione e il consolidamento
di quella relazione virtuosa capace di coniugare, nell’interesse pubblico,
le opportunità di sviluppo e di crescita del Paese anche con le istanze e il
coinvolgimento del mondo produttivo. Infatti, nei processi di governance,
la partecipazione di tutte le parti sociali favorisce le condizioni necessarie
per lo sviluppo.
Programmazione – concertazione – partenariato interistituzionale diven-
tano termini obbligati di una fase di sviluppo delle forme della pianifica-
zione ove viene così a riaffermarsi anche la centralità della pianificazione
urbanistica rispetto alle politiche di settore, seppure questa debba meglio
adeguarsi ai metodi della programmazione concertata. La progettualità
territoriale diventa la chiave di volta per ricomporre le strategie dei di-
versi attori istituzionali e in essa occorre rinnovare l’approccio al termine
“Piani” che, da semplici strumenti di disciplina dell’uso dei suoli, devono
divenire sempre più “Quadri di coerenza” di progetti urbani e territoriali,
sostanziando il metodo della concertazione con i processi di programma-
zione condivisa. Le separazioni che attualmente rivelano la debolezza
complessiva del sistema, aprono al bisogno di una rivisitazione e rimodel-
lazione delle competenze per meglio finalizzarle verso la concertazione e
attuazione di programmi e progetti.
Il rilancio della progettualità come antidoto alle attuali politiche d’inter-
vento, presupposto fondamentale per le politiche della concertazione,
il riconoscimento dei progetti di opere come elementi capaci di restituire
l’esperienza della contemporaneità, sono la base su cui sviluppare nuove
forme di raccordo tra programmazione economica, sviluppo occupazionale
e pianificazione urbanistica. Il territorio non può essere considerato come
sede per la ricomposizione a posteriori di conflitti, ma va concepito come
“luogo” per suscitare la convergenza di energie costruttive e per associare
ad un’opera trainante un insieme di progetti complementari che raccordano
le azioni di governance di livello superiore a quelle di livello locale.
Cosa vuol dire rigenerazione urbana Rinnovare le città significa attivare tutte le possibili leve del rinnovo ur-
bano: conservazione, riqualificazione e ristrutturazione edilizia, sostitu-
zione edilizia sino all’abbattimento-ricostruzione di intere parti di città,
implicando tutte le dimensioni della città (ambiente, società, urbanistica,
economia, fiscalità, aspetti giuridico-organizzativi). Il rinnovo urbano va
inteso come “espressione” di politiche per le città e, a tutti gli effetti, si
configura come strumento d’integrazione di cui la città diventa soggetto
72 73 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
scurato. È noto come nel Paese lo sviluppo delle infrastrutture di traspor-
to e dei servizi ad essi connessi - in primo luogo l’alta velocità ferroviaria
- stia modificando la gerarchia delle aree urbane nel territorio nazionale.
In questo contesto aumenta la capacità attrattiva di alcune città, sempre
più temporalmente vicine e funzionalmente integrate ma, nello stesso
tempo, crescono l’isolamento e la solitudine dei territori meno accessibi-
li. Questo processo selettivo è destinato a rendere, nel prossimo futuro,
sempre più marcata l’emarginazione di alcune aree del Mezzogiorno. Ad
esempio la divaricazione fra Nord Italia e Mezzogiorno rischia di essere
accentuata anche dalle modalità di finanziamento delle dotazioni pub-
bliche urbane.
Infine, la fiscalità immobiliare locale, che commisura parte delle entrate
tributarie dei Comuni ai valori immobiliari dei fabbricati e dei terreni e le
pratiche negoziali tra Amministrazioni comunali e operatori privati, che
socializzano una quota della rendita urbana generata dal progetto attra-
verso il finanziamento privato di opere pubbliche aggiuntive, accrescono il
“capitale fisso sociale” delle città in modo proporzionale ai valori immobi-
liari locali, e quindi al potenziale di rendita urbana. Gli squilibri territoriali
che si riflettono nei valori immobiliari saranno destinati ad accentuarsi.
Evidentemente le politiche di riequilibrio territoriale devono avere ade-
guato rilievo nell’ambito dell’insieme delle politiche pubbliche e devono
poter contare su una pluralità di strumenti. Fra essi, iniziative centrali di
supporto al partenariato pubblico-pubblico e pubblico-privato potrebbero
contribuire molto alla crescita delle capacità operative degli Enti territo-
riali, qualora fossero contestualizzate in riforme del funzionamento degli
Enti locali ancora più spinte di quelle realizzate nel corso degli anni ‘90.
c Città c Città
spesso hanno lasciato ampio spazio ad interpretazioni autoreferenziali,
contingenze e pressioni di parte. Occorre porre rimedio a una diffusa e
falsa discrezionalità su operazioni urbanistiche che spesso utilizzano il
termine “sostenibile” con estrema pervicacia e avviare, una volta per tut-
te, un’evoluzione normativa capace di interpretare l’interesse pubblico ed
i bisogni collettivi all’interno di un processo in grado di favorire la qualità,
il rispetto dell’ambiente, delle risorse e che guardi realmente ai diritti del-
le generazioni future.
Il rapporto sulle competenze (Stato – Regioni) deve sostanzialmente spo-
starsi sulla vera natura dei problemi e dovrà porre grande attenzione al
meccanismo della semplificazione in materia urbanistica ed edilizia che
ha spesso favorito l’emanazione di norme transitorie e locali, applicate a
macchia di leopardo sul territorio nazionale e non l’adozione di misure e
programmi concordati a livello interistituzionale e magari ispirati da pro-
duttive e ponderate linee guida. Nell’intento di favorire un rilancio delle
politiche urbane in Italia, dovrebbero essere sviluppati due elementi chia-
ve: quali azioni intraprendere in discontinuità con il passato e chi dovrà
occuparsene istituzionalmente? A ciò occorrerà rispondere nel più breve
tempo possibile.
L’avanzamento delle riflessioni e l’individuazione di una nuova politica
per le città va sostenuta con la promozione di adeguati ed innovativi pro-
grammi in ambito urbano, volti ad affermare - nelle logiche delle ammi-
nistrazioni locali e degli operatori economici - una visione di città diversa
da quella attuale comportando l’adozione di linee di intervento differenti
da quelle tradizionali. Ad esempio, nel quadro appena delineato, da più
parti si tende a dare molta importanza al destino dei beni immobili di
proprietà degli Enti pubblici. La crisi del mercato immobiliare, la cadu-
ta della domanda e gli attuali livelli dei prezzi, spostano l’accento ver-
so l’esigenza della dismissione e vendita e quindi dell’individuazione di
strumenti più idonei alla prefigurazione di un contesto urbano che sia in
grado di valorizzare al meglio le peculiarità di tali immobili. L’esigenza di
valorizzare parte dell’enorme patrimonio immobiliare pubblico, si coniuga
con la necessità di individuare quel nuovo progetto di città cui si è appena
accennato e, al riguardo, esistono importanti ragioni per motivare, nelle
mutate condizioni, la promozione di programmi di nuova concezione in
ambito urbano.
La questione infrastrutturale, poi, è al centro delle politiche volte ad ac-
crescere la competitività del Paese e ad integrarne la struttura fisica nella
rete di relazioni europee ma essa possiede tuttavia un aspetto spesso tra-
74 75 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’opinione L’opinione
c c Città
di GRAZIANO
TILATTI
Presidente
Confartigianato
Udine
Oggi anche i dati dimostrano che le logiche di network funzionano e rendono più produttive le imprese.
Guardare l’attualità e prefigurare gli scenari evolutivi del comparto delle
costruzioni dal punto di vista dell’artigianato e delle piccole imprese of-
fre, in questo momento storico, stimoli particolarmente interessanti. La
contrazione/stagnazione del secondo decennio di questo nuovo millennio
ha picchiato duro, distogliendo l’attenzione degli imprenditori dall’oriz-
zonte futuro, per ripiegarsi poi sulla quotidiana lotta per la sopravviven-
za. Ora però il tempo stringe e anche gli operatori più piccoli della filiera
devono trovare l’energia e la determinazione per affrontare con coraggio
le sfide attuali.
Il cambiamento degli stili di vita, la digitalizzazione, i mutamenti e le
correnti demografiche, un nuovo e necessario rapporto tra mano pubbli-
ca e iniziativa privata sono soltanto alcuni dei trend che invitano a mo-
dificare i modelli di business del nostro comparto e il linguaggio stesso
con cui interpretiamo il mercato di riferimento e costruiamo valore per
la committenza.
“Edilizia 4.0” e riqualificazione del patrimonio edilizio - in chiave di effi-
cienza energetica, resilienza sismica e sostenibilità ambientale - disegnano
la mappa del territorio su cui si gioca il recupero di competitività o anche
solo la conservazione di uno spazio di mercato. Negli anni più recenti, il set-
tore delle costruzioni non si è infatti soltanto ridimensionato, ma ha anche
spostato il proprio baricentro verso il recupero, che oggi infatti rappresenta
circa il 70 per cento del fatturato complessivo.
In chiave collettiva è cruciale che le politiche pubbliche incoraggino e
sostengano progetti di riqualificazione edilizia ed urbana su vasta scala,
agendo sul lato della domanda (incentivi, ma anche altri strumenti e
programmi urbani).
Parallelamente, il nostro impegno associativo deve accompagnare e in-
coraggiare i processi di aggregazione imprenditoriale in modo tale che
l’offerta risulti all’altezza, organizzando in forme reticolari, evolute
Maggiore efficienza se si lavora in rete
Città
e intelligenti, il tessuto di imprenditoria diffusa e poco specializzata.
Attenzione: non si tratta di uno slogan; un’indagine di Confartigianato
ha evidenziato una correlazione positiva molto netta tra performance
e grado di networking. Siamo più che mai di fronte a un “passaggio di
fase”, decisivo per il futuro dell’edilizia, dopo una crisi devastante che
dura da 10 anni e che in Italia ha lasciato senza lavoro centinaia di mi-
gliaia di persone.
In questo quadro, il rinnovo, la rigenerazione e la riqualificazione si confer-
mano infatti gli unici segmenti in crescita sia nel numero di occupati (pari a
circa alla meta del totale di settore) che nel numero di imprese attive, grazie
soprattutto – non dimentichiamolo - alle politiche di incentivazione fiscale.
Per fare in modo che il nostro comparto riacquisisca il ruolo che storicamen-
te ha sempre avuto per l’economia e il lavoro in Italia, la sua componente
artigiana e di MPI deve superare la diffidenza e i preconcetti auto-limitanti
nei confronti dell’innovazione.
Non che manchi l’interesse: un recente sondaggio ha rivelato che il 21 per
cento degli artigiani dichiara di voler sperimentare le potenzialità dei dro-
ni, mentre l’8 per cento sta già operando con soluzioni e tecnologie IoT
(Internet of Things).
Manca però ancora un raccordo efficace tra la capacità innovativa delle
piccole imprese e l’universo in espansione delle opportunità tecnolo-
giche e su questo terreno dobbiamo e vogliamo giocare il nostro ruolo
di associazione, superando il supporto agli adempimenti per andare
verso la costruzione di politiche attive in grado di affiancare gli im-
prenditori nell’esplorazione, consapevole e pragmatica, di nuovi terri-
tori competitivi.
In Friuli Venezia Giulia sono più di 15.600 le imprese del comparto costru-
zioni ancora attive e per il 72 per cento si tratta di aziende artigiane. Il con-
tributo annuale alla formazione del PIL è ancora ben al di sotto dei valori
pre-crisi: mancano 7,4 punti percentuali per un riallineamento alla capacità
di generare reddito registrata nel 2007. Fa impressione constatare che ri-
spetto al 2008 la perdita di addetti tocca le 12mila unità; 4mila posti di
lavoro sono stati persi nell’ultimo biennio ad un ritmo che colloca la nostra
regione in fondo alla classifica nazionale. Ricordare queste cifre non è un
modo per prendere atto di una contrazione ineluttabile, bensì la ricognizio-
ne di una situazione che ha bisogno di nuovi stimoli, coraggio e prospettive:
tutti elementi a cui la Construction Conference di Udine fornisce un contri-
buto prezioso.
77 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE76
Per la prima volta il Paese ha una visione strategica in materia di infra-strutture, da cui derivare politiche e investimenti coerenti. Per un’Italia porto d’Europa.
Passare dalla stagione delle grandi opere a una nuova stagione di “ope-
re utili, grandi o piccole, per connettere l’Italia e far emergere il suo ruolo
centrale per gli scambi da e per l’Europa” e per fare questo elaborare una
visione condivisa e di lungo periodo sulla base della quale selezionare, pia-
nificare e programmare gli interventi. Un compito non facile ma Graziano
Delrio, dal 2015 ministro delle Infrastrutture e trasporti, ci ha provato, col
supporto di una Struttura tecnica di missione completamente rinnovata.
E il 14 giugno scorso, in un convegno a Roma dal titolo Connettere l’Italia.
Strategie e risultati di una nuova stagione della mobilità, ha restituito il
lavoro fatto: tante tessere di un puzzle che si va componendo seguendo
un disegno strategico, la visione che ha guidato l’azione del ministero in
questi due anni.
“La geografia è destino”, dice Delrio: il nostro Paese visto dalle Alpi ap-
pare come un grande molo proiettato nel Mediterraneo e ha le potenzia-
lità per diventare il porto d’Europa, per questo le politiche del sistema
mare sono strategiche. Ma anche altri concetti sono centrali nella visione
del Ministero: primo, la mobilità è un diritto fondamentale dei cittadini,
significa libertà di muoversi e di essere connessi; secondo, l’Italia deve
imparare a fare sistema, superando le competizioni fra aree vicine per
un comune disegno generale che ci porti ai livelli europei; terzo, questo
senso del futuro deve andare di pari passo con l’interesse delle comunità
e le due cose non sono in contrasto; quarto, i piani strategici di settore
sono essenziali per dare prospettive alle filiere industriali e promuoverne
la crescita. Da qui discendono i quattro macro obiettivi da raggiungere:
accessibilità ai territori, all’Europa e al Mediterraneo; mobilità sostenibi-
le e sicura; qualità della vita e competitività delle aree urbane e metropo-
litane; sostegno alle politiche industriali di filiera.
Per comunicare questo disegno dando ordine alla complessità che lo ca-
ratterizza il Mit ha collocato ogni singola azione sinora condotta - ac-
cordi, finanziamenti, provvedimenti legislativi – all’interno di quattro
di MARIA
CRISTINA
VENANZI
Se la geografia è destino c Città
differenti strategie: infrastrutture utili, snelle e condivise; integrazione
modale e intermodalità; valorizzazione del patrimonio infrastrutturale
esistente; sviluppo urbano sostenibile
Infrastrutture utili, snelle e condivise In un Paese che ha scarsità di risorse la selezione delle opere è fonda-
mentale e quindi tutte le azioni finalizzate al miglioramento della qua-
lità del ciclo di pianificazione, programmazione, valutazione e progetta-
zione delle nuove infrastrutture. Al centro di questa strategia c’è il nuovo
Codice degli Appalti approvato il 18 aprile 2016 - e il suo Correttivo del 13
aprile 2017 - che ha apportato novità importanti. Molti dei decreti attua-
tivi sono già stati approvati e altri sono in dirittura d’arrivo, come quelli
sulla riforma dei livelli di progettazione e sul dibattito pubblico. Il nuovo
Codice ha anche introdotto il concetto di project review: una revisione
progettuale per risparmiare territorio e risorse intervenendo su progetti
particolarmente onerosi, datati o sovradimensionati. L’Allegato al Docu-
mento di economia e finanza 2017 (Def) indica fra gli interventi priori-
tari quelli che devono essere sottoposti a project review: in tutto circa
c Città
IL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE, PROGRAMMAZIONE E PROGETTAZIONE DELLE INFRASTRUTTURE
Fonte: Documento di economia e finanza 2017, MIT
78 79 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
una trentina fra ferrovie, strade, autostrade e aeroporti. Per alcune di
queste opere la revisione è già avvenuta, come nel caso della Torino-
Lione, riducendo i tratti di nuova linea da 82 a 32 km e dimezzando i
costi (da 9 miliardi di euro a 4,5).
Essenziali per un nuovo approccio alla programmazione sono anche
le “Linee guida per la valutazione degli investimenti in opere pubbli-
che”, approvate dal Cipe il 1° dicembre 2016, perché definiscono i cri-
teri e le procedure per la valutazione ex ante dei fabbisogni infrastrut-
turali e la selezione degli interventi da includere nel Dpp (Documento
pluriennale di pianificazione).
Infine, rientrano in questa prima strategia “quadro” due piani di
settore: il nuovo Piano strategico nazionale della portualità e della
logistica, approvato nel luglio 2015, e il Piano nazionale aeroporti,
approvato nell’agosto dello stesso anno. Il primo è lo strumento di
pianificazione finalizzato a migliorare la competitività del sistema
portuale e logistico in Europa, promuovere l’intermodalità nel traffico
merci e riformare la governance portuale.
Fra i provvedimenti attuativi va segnalato il decreto di “Riorganizzazio-
ne, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali” appro-
vato il 28 luglio 2016, che in un’ottica di rete ha portato alla creazione
di 15 Autorità di sistema portuale che coordinano 57 porti di rilievo na-
zionale. Il secondo piano strategico è il provvedimento che all’interno
di dieci bacini di traffico omogeneo individua gli aeroporti di interesse
nazionale (sono 38), sulla base di vari criteri fra cui l’inserimento nella
rete transeuropea dei trasporti Ten-T. Tre rivestono il ruolo di gate in-
tercontinentali: Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Venezia.
Integrazione modale e intermodalità Questa strategia mira a una mobilità sostenibile che privilegi la modalità
ferroviaria (cura del ferro) e marittima (cura dell’acqua). A livello europeo
prioritario è il completamento al 2030 della Core Network (rete centrale)
delle reti Ten-T, cioè le infrastrutture sia lineari (ferroviarie, stradali e
fluviali), sia puntuali (nodi urbani, porti, interporti e aeroporti) conside-
rate rilevanti a livello comunitario. Si tratta dei famosi nove “Corridoi”,
di cui quattro interessano l’Italia: è necessario assicurarne la continui-
tà realizzando i collegamenti mancanti ed eliminando i colli di bottiglia.
Questo obiettivo richiede all’Italia uno sforzo importante e certezza di fi-
nanziamenti, ma è strategico perché i corridoi sono l’elemento attraverso
il quale il nostro Paese può realizzare il suo destino di porto d’Europa. Lo
sforzo riguarda soprattutto l’efficientamento dei collegamenti ferroviari
e stradali, la realizzazione della Torino-Lione sul corridoio Mediterraneo
e del Terzo Valico dei Giovi sul corridoio Reno-Alpi, i collegamenti di “ul-
timo miglio” a porti e aeroporti della rete centrale.
Ancora in un’ottica di sistema sono state definite le 5 aree logistiche
integrate delle regioni del sud, previste dal Programma operativo na-
zionale Infrastrutture e reti 2014-2020: Quadrante sud orientale della
Sicilia, Polo logistico di Gioia Tauro, Sistema pugliese, Area logistica
campana, Quadrante occidentale della Sicilia. Il Pom ha un budget
di 1,8 miliardi di euro per interventi che devono essere progettati in
modo concertato all’interno delle singole Aree.
Infine, nella legge di stabilità 2016 sono stati inseriti due provvedimenti
che vanno nella direzione di favorire l’intermodalità attraverso incentivi
rivolti agli operatori del trasporto: il contributo Ferrobonus è a sostegno
dello spostamento del traffico merci dalla rete stradale a quella ferrovia-
ria, in particolare nell’Italia meridionale; Marebonus invece premia l’uti-
lizzo della via marittima rispetto a quella di terra attraverso un incentivo
parametrato alla strada evitata. A disposizione nel triennio 2016-2018 ci
sono 60 milioni di euro per il primo, 138 milioni per il secondo.
Valorizzazione del patrimonio infrastrutturale esistente Qui la priorità è assegnata a obiettivi di sicurezza, qualità ed effi-
cientamento delle infrastrutture esistenti, assicurando continuità ai
programmi di manutenzione. Un indirizzo confermato nei Contratti di
programma Anas e Rfi approvati dal Cipe lo scorso agosto. Nel Con-
tratto Anas 2016-2020, dei 23,4 miliardi di euro - di cui 15,9 già finan-
ziati - oltre il 44 per cento è dedicato alla manutenzione straordinaria
e alla messa in sicurezza lungo 3mila km di rete e un altro 36 per cento
al completamento di itinerari esistenti. Per quanto riguarda Rfi, la li-
nea già delineata nell’aggiornamento 2015 e 2016 del Contratto di pro-
gramma - maggiore sicurezza nelle stazioni e lungo le linee, qualità
per i viaggiatori, rapidità nei collegamenti e interventi utili a trasferire
il trasporto merci dalla gomma al ferro – è proseguita nel Contratto di
programma–parte Investimenti 2017-2021 approvato ad agosto; qui
gli investimenti in corso e programmati valgono oltre 200 miliardi di
euro, di cui circa 66 finanziati.
Va anche segnalata l’azione di Anas per trasformare le strade più im-
portanti in Smart Roads: nel 2016 sono state bandite gare per 100
milioni di euro finalizzate a dotare di infrastrutture tecnologiche di
c Città c Città
80 81 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
ultima generazione circa 1.900 km, fra cui l’Autostrada del Mediterra-
neo (cioè la Salerno-Reggio Calabria). Mentre, tornando alla “cura del
ferro”, l’attenzione non è più solo sull’alta velocità, ma anche sull’a-
deguamento delle ferrovie regionali (circa 2mila km), in particolare
per quanto riguarda la sicurezza, e sulla valorizzazione delle ferrovie
turistiche, elemento essenziale per un turismo sostenibile.
Nello spazio dato anche alla bassa velocità rientra la firma tra giugno
2016 e oggi di protocolli d’intesa fra Mit, Mibact e alcune Regioni per il
completamento dei primi sette percorsi che faranno parte del sistema
delle ciclovie turistiche nazionali (altri 3 sono già previsti). Un progetto
cui il ministero Delrio assegna grande importanza, tanto da aver stan-
ziato fra legge di stabilità 2016 e di bilancio 2017 ben 372 milioni di euro,
che arrivano a 750 con i possibili cofinanziamenti. Si tratta di percorsi
ciclabili che interessano tutta l’Italia, dalla Ciclovia del Garda alla Ci-
clovia della Sardegna e i cui primi cantieri sono previsti entro il 2018. In
ultimo, delle infrastrutture esistenti fanno parte anche le grandi dighe,
un patrimonio fondamentale caratterizzato però da grande dispersio-
ne idrica e sottoutilizzo. Per migliorare le condizioni di sicurezza di 101
dighe, di cui 79 al Sud, è stato avviato un programma di interventi da
294 milioni di euro, finalizzato a salvaguardare risorse idriche per 4,5
miliardi di metri cubi, quasi un terzo del totale nazionale.
Sviluppo urbano sostenibile La quarta e ultima strategia del Mit promuove l’approccio dei Piani urba-
ni della mobilità sostenibile, attraverso lo sviluppo dell’intermodalità, di
sistemi di controllo e informazione, della mobilità ciclo-pedonale e del-
la sharing mobility (mobilità condivisa). Un forte accento è posto sulla
cura del ferro e sulla qualità del trasporto pubblico locale (Tpl), perché è
l’accessibilità - e quindi i sistemi di trasporto - che crea davvero la città
metropolitana.
Il Piano Metropolitane approvato a dicembre 2016 dal Cipe individua in-
terventi prioritari per il completamento di infrastrutture di trasporto ur-
bano, sia metropolitano che tramviario, con l’obiettivo di ridurre il forte
gap infrastrutturale rispetto alla media europea. Obiettivo è anche in-
tegrare le reti su ferro con il trasporto su gomma per creare un sistema
integrato di trasporto collettivo. Le risorse stanziate ammontano a 1,218
miliardi, per 21 interventi.
Per quanto riguarda il Tpl, aspetto centrale della riforma avviata è un
rinnovo del parco mezzi per migliorare la qualità del servizio e la soste-
c Città
nibilità ambientale: nel quadriennio 2017-2020 entreranno in circolazione
circa 10mila autobus euro zero, a sostituzione del parco mezzi obsoleto.
Si tratta della più grande operazione sul Tpl mai avviata e per la quale è
stato stanziato complessivamente un miliardo di euro. Lo sforzo sul parco
mezzi riguarda anche i treni regionali e metropolitani, dove ad agosto è
stato firmato il decreto di riparto delle risorse destinate a nuovo materiale
rotabile: 640 milioni di euro che si aggiungono agli 800 della delibera Cipe
di dicembre 2016 e alle quota di cofinanziamento regionale, per una spesa
complessiva nei prossimi anni di oltre due miliardi di euro.
Infine, sviluppo sostenibile significa anche sicurezza anti-sismica e ri-
entrano in questo ambito le Linee guida per la classificazione del rischio
sismico delle costruzioni, adottate nel febbraio 2017: un provvedimento
molto atteso per dare finalmente il via (si spera) alla stagione della pre-
venzione, in quanto necessarie per attivare il cosiddetto “Sismabonus”,
cioè gli incentivi fiscali previsti dalla legge di bilancio 2017.
La folta platea di stakeholder del mondo infrastrutturale presente al con-
vegno di Roma del giugno scorso ha mostrato apprezzamento, perché
conoscere in quale direzione si vuole andare dà un senso all’operato di
ciascuno e strumenti per scelte coerenti con la visione generale. Molti han-
no anche però espresso apertamente un timore: cosa succederà quando,
come è inevitabile e giusto, si avvicenderanno altri ministri e altri governi?
Si ricomincerà da capo facendo tabula rasa del puzzle messo faticosamen-
te insieme in questi due anni? “La visione continuerà a vivere se ciascuno
di voi se ne prenderà cura”, ha risposto Delrio. “Il paese di strada ne ha
fatta, potrà farne ancora tanta se ciascuno darà il suo contributo”.
c Città
82 83 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
c cTerritori diversi e esperienze diverse offrono spunti per una rigenera-
zione che parta dalle vecchie infrastrutture di mobilità, tra patrimonio pubblico e privato.
Vi è una stretta relazione tra la riorganizzazione del patrimonio delle
strutture ferroviarie e i programmi di rigenerazione urbana. Il ripensamen-
to delle funzioni delle storiche stazioni ferroviarie, la revisione dei layout
ferroviari con la separazione delle linee per il traffico merci e passeggeri, la
dismissione di officine e scali ferroviari o la costruzione di nuove struttu-
re, in cui sono coinvolte numerose città italiane, sollecita l’individuazione
di scenari urbani e l’avvio di una serie di programmi di rigenerazione desti-
nati a trasformare parti importanti della città e a determinare vantaggi in
termini di attrattività, connessioni e integrazione di trasporto, dotazioni
urbanistiche ed edilizie.
In alcuni casi, come a Milano e Torino, il percorso è ben avviato anche at-
traverso l’elaborazione di Delibere di Indirizzo propedeutiche alla stipula
di Accordi di Programma, mentre in altri (Udine) il cammino è iniziato con
la predisposizione di specifici Piani Regolatori Ferroviari e la progettazio-
ne di nuovi scali. Ferrovie dello Stato, attraverso le sue società di scopo
(Grandi Stazioni, Sistemi Urbani, Ferservizi, Metropark) è pienamente
coinvolta in questo processo volto a conciliare le singole specificità fer-
roviarie e di mobilità con la realtà e i servizi urbani integrati. Si tratta di
un’occasione che permette di coinvolgere le competenze tecniche e tutti
i soggetti, anche internazionali, interessati all’evoluzione delle città che,
tuttavia, impone a chi ha le responsabilità di governance locale di dotarsi
di una visione e di strumenti concreti, secondo tempi e modalità definiti.
Tutti i soggetti, Ferrovie dello Stato in primis, dovrebbero essere coinvolti
nei processi di valorizzazione e a partecipare in modo attivo a alle strate-
gie e proposte di rigenerazione urbana delle aree.
Le strutture che hanno perso la funzione ferroviaria sono destinate ad
alimentare una grande quantità di “domande” da parte del mercato, in
termini di costruzioni residenziali, direzionali, commerciali e turistiche
che rischiano di alterare le attuali dotazioni o di non rispondere agli effet-
tivi bisogni urbani, riguardo i servizi e le attrezzature sociali e culturali, il
Riorganizzazione ferroviaria e rigenerazione urbana
di MAURIZIO
IONICO
Presidente Ferrovie
Udine Cividale
verde e l’ambiente. Si presenta l’opportunità di convertire e trasformare
queste zone per rigenerare il contesto urbano in cui si trovano e, al tem-
po stesso, fornire risposte a eventuali questioni urbanistiche rimaste ir-
risolte. La città è contemporaneamente contraddistinta dalla necessità di
operare sul patrimonio militare e sulle caserme oramai inutilizzate, sulle
aree industriali oppure sulle grandi attrezzature dismesse che, inevita-
bilmente, sollecitano il governo urbano a dotarsi di paradigmi non tradi-
zionali nel processo di rigenerazione urbana, in primo luogo fuoriuscendo
dal conflitto concettuale e tecnico che si pone tra aree considerate come
“vuoto urbano” e altre come “aree dismesse”, e di attivare strumenti ur-
banistici innovativi. Proprio perché ognuna delle tipologie di patrimoni e
aree non è che l’esito del processo storico che ha caratterizzato l’evolu-
zione della città e le relative dinamiche sociali ed economiche, per rappre-
sentare un passaggio bisogna avere una visione complessiva dell’assetto
urbano e, operazione non semplice, individuare all’interno di uno scenario
consapevole un accordo tra bisogni pubblici e interessi o aspettative pri-
vate ed immobiliari, fino a prevedere l’ipotesi che per alcuni spazi l’opera
di rinaturalizzazione sia fondamentale per ottenere un migliore equilibro
urbano.
Sotto questa pressione, lo strumento del Piano Regolatore Comunale è
soggetto a modificarsi per lasciare spazio a nuove procedure di pianifi-
cazione strategica, urbana e territoriale: dai piani di assetto e struttura
ai piani degli interventi, fino alla predisposizione di “progetti di territo-
rio”, in grado di conciliare esigenze pubbliche generali e aspettative del
mercato. Gli strumenti del governo urbano e le procedure vanno ripensate
per corrispondere all’esigenza di definire compiutamente l’impianto ur-
bano e, in primo luogo, la morfologia dei tessuti e degli spazi collettivi.
Dall’altra parte, la crisi e i vincoli della finanza pubblica non permettono
ampi margini di manovra nella costruzione della “città pubblica” anche
perchè spesso queste aree, edifici e strutture sono spesso di proprietà
delle Ferrovie e di altri operatori, siano essi imprese o società finanziarie,
che proprio perché attori essenziali della trasformazione richiedono un
coinvolgimento strutturato e trasparente.
L’esperienza di Milano, legata alla riconversione di un buon numero di
scali ferroviari, è interessante e può fungere da guida per altre città che
si accingono ad affrontare simili problematiche. La Delibera di Indirizzo, a
questo proposito, percorre la strada della “composizione degli interessi”
in modo da acquisire il “consenso” più ampio possibile con l’obiettivo di
generare opportunità e benefici, dentro e fuori i confini amministrativi,
per operazioni di ri-progettazione del patrimonio ferroviario.
Città
Città
84 85 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
In questo contesto le ipotesi e soluzioni presentate da importanti urbanisti
e architetti indicano come principio di base quello dell’adattamento e resi-
lienza urbana e ambientale accanto all’innovazione, alle tecnologie e piat-
taforme digitali passando dalla mobilità, alla connessione trasportistica e
alla cosiddetta “logistica decarbonizzata” prevista dalla Road Map UE 2050.
A conclusione del percorso verrà stipulato un Accordo di Programma sulla
base della “redazione di linee di indirizzo da parte del Comune”, la cui
complessità comunque rischia di comportare tempi lunghi di attuazione e
di risultare asimmetrica rispetto alle dinamiche di mercato e alle possibi-
lità di anticipare in tempo reale la molteplicità delle esigenze.
La riflessione sul riutilizzo delle aree di strutture e impianti ferroviari in-
crocia domande profonde sul ruolo delle città, in primis di quelle poste
in prossimità di Corridoi e core-networks europee e dotate di zone indu-
striali e imprese manifatturiere di grande valenza. Udine è fra queste: un
luogo delle connessioni, considerato che dispone, sapendole legare, di
aree urbane specializzate (su cui insistono reti, scali e strutture dedicate
ferroviarie e ambiti industriali) e che incrocia una robusta direttrice multi-
modale di valore europeo lungo un versante nord - sud che collega porti e
interporti con i territori e i mercati europei. Qui, come altrove, i livelli non
sono separabili poiché si tratta di individuare i modi attraverso cui la città
può svolgere una funzione strategica più ampia e nel contempo risponde-
re agli interessi pubblici e privati sotto la spinta delle ipotesi di intervento
su caserme, aree e strutture dismesse.
Il patrimonio ferroviario è localizzato nel quadrante sud della città che
dalla Stazione ferroviaria e via Buttrio termina all’area per insediamenti
produttivi Ziu ed è intersecato dalla linea ferroviaria Trieste - Cervigna-
no del F. – Udine – Tarvisio e, attraverso la sua parziale dismissione
e la ricollocazione in altre aree, rappresenta l’occasione attraverso cui
operare la rigenerazione dei contesti coinvolti congiuntamente alla de-
finizione delle aree di riserva per la logistica urbana e scali ferroviari a
supporto della produzione industriale. Il tutto secondo la logica di assi-
curare risposte sia a questioni di scala sia proprie di un ambito urbano
circoscritto, in tempi sufficientemente definiti, ricucendo le parti senza
consumo di suolo.
É in questa duplice radice che si precisa la funzione della città che può
accrescere le capacità di raccogliere e gestire i flussi concorrendo, nel con-
tempo, al superamento della separazione della funzione industriale da
quella logistica.
Il modello rappresenta un vantaggio poiché allude alla costruzione della
prossimità strategica, in luogo del riconoscimento di una meramente ge-
ografica, che può agevolare l’acquisizione di spazi di competitività inter-
nazionale, verso l’esterno, ed attrarre capitali, competenze ed imprese,
verso l’interno. La città come uno spazio contemporaneamente capace
di estendersi ed essere accessibile, di svolgere una funzione di crocevia
territoriale nel contesto della competitività tra sistemi regionali globali.
Non solo la città è coinvolta ma anche il contesto periurbano che coinvol-
ge altri Comuni e gli enti strumentali (Ferrovie dello Stato, Rfi e Consorzio
Industriale fra tutti). Vale per Milano come per Udine la richiesta a Ferro-
vie dello Stato e a Rfi, dopo la previsione di 60 mln di investimento per la
riorganizzazione della rete ferroviaria, di delineare proposte sull’utilizzo
del patrimonio ferroviario in modo da valutare se sono nelle condizioni, o
meno, di innescare opportunità per la città che vadano anche oltre logiche
patrimoniali.
Questa impostazione richiede una pianificazione urbanistica che imma-
gini approcci innovativi in grado di predisporre una proposta complessiva
di riuso delle aree in funzione di una visione strategica urbana e di area
vasta, fondata sulla ricognizione delle esigenze e delle opportunità come
delle intenzioni degli attori primi fra i quali i proprietari di aree e strutture.
Il “progetto di territorio” può essere uno strumento che permette l’appro-
fondimento degli scenari, delle dinamiche sociali ed economiche, e può
fungere da cornice alle conseguenti politiche e soluzioni urbanistiche che
attuano la funzionalità urbana o la ri-funzionalizzazione degli spazi, l’in-
tegrazione tra bisogni e interessi differenziati, lo sviluppo della dimensio-
ne logistica ed industriale.
c c Città
Città
86 87 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
c cVerso un approccio nuovo alla certificazione che parte dalla proget-
tazione condivisa in ottica di rete.
Ogni qualvolta si tratta di realizzare un’opera infrastrutturale, dalle più
strategiche che ci permettono di non rimanere isolati dal mondo anche
dal punto di vista commerciale, a quelle di carattere locale, si scatena-
no quasi sempre forti proteste e opposizioni. In parte è conseguenza
della poca propensione italiana al cambiamento, in parte di posizioni
puramente ideologiche, ma sicuramente una grande parte del problema
deriva dalla mancata partecipazione e coinvolgimento di tutti gli atto-
ri (i cosiddetti stakeholder) nel processo decisionale di progettazione
dell’infrastruttura. Se le parti interessate partecipassero sin dall’inizio
al suo concepimento e allo sviluppo progettuale, si ridurrebbero note-
volmente le motivazioni addotte per osteggiarne la realizzazione.
A monte della fase progettuale bisognerebbe porsi alcuni importanti
quesiti: l’infrastruttura preserva e valorizza le risorse locali? Aiuta le co-
munità del luogo a svilupparsi minimizzando i potenziali impatti nega-
tivi e migliorandone la vivibilità? Possono essere impiegati tecnologie e
materiali che migliorino la salute e la sicurezza dei cittadini? Il progetto
di un’infrastruttura deve innanzitutto tener conto degli obiettivi primari
della comunità, definendo quali e quanti benefici a lungo termine ne
possono realmente scaturire, minimizzando, al contempo, gli impatti
sulla collettività. Il piano deve inoltre valutare e integrare i bisogni, gli
obiettivi, i valori e l’identità stessa della comunità; deve essere in gra-
do, cioè, di valorizzare quei caratteri che la rendono unica ed esclusiva.
L’analisi però della sostenibilità di un’infrastruttura non deve essere la-
sciata al caso, ma deve essere svolta con una metodologia che ne prenda
in considerazione tutti gli aspetti e produca una valutazione oggettiva
degli impatti sull’uomo e sull’ambiente circostante.
Una guida alla sostenibilità durante il processo decisionaleDagli Stati Uniti, nel 2012, ha avuto origine il protocollo Envision, un
sistema di rating dedicato alla progettazione e realizzazione di infra-
strutture sostenibili, nato dalla collaborazione tra Isi, Institute for Su-
Il protocollo Envision per la sostenibilità delle infrastrutture
di LORENZO
ORSENIGO
Direttore generale
di Icmq Spa
Città
Città
stainable Infrastructure e lo Zofnass Program for Sustainable Infrastruc-
ture presso la Graduate School of Design alla Harvard University. In Italia
il protocollo si sta diffondendo da alcuni mesi, grazie alla collaborazione
tra ICMQ – organismo di certificazione e di ispezione leader nel settore
delle costruzioni – e MWH ora parte di Stantec, società di ingegneria e
consulenza multidisciplinare attiva nel campo dell’energia, dell’acqua,
delle infrastrutture e della gestione e conservazione delle risorse naturali.
Envision si configura come una guida alla sostenibilità durante il pro-
cesso decisionale di progettazione e realizzazione delle infrastrutture,
secondo una serie di buone pratiche. Inoltre, consente di effettuare
una valutazione indipendente della loro sostenibilità attraverso la mi-
sura degli effetti che producono su ogni aspetto della vita dell’uomo
e dell’ambiente circostante. Il protocollo, per il momento, esiste solo
per la fase della progettazione, essendo ancora allo studio in fase di
preparazione le versioni dedicate alla costruzione e alla gestione/ma-
nutenzione. Nato principalmente per il settore delle opere pubbliche, è
destinato a essere applicato anche alle infrastrutture private.
La struttura del protocollo è basata su tre diversi livelli: le categorie, le
sottocategorie e i criteri. Le categorie sono cinque e rappresentano le ma-
cro aree d’impatto secondo cui valutare la sostenibilità di un progetto:
• Qualità della vita: convenienza del progetto e valutazione di quanto
influenzi positivamente le comunità interessate;
• Leadership: collaborazione e impegno del progetto, sfruttamento
delle possibilità di miglioramento delle performance;
• Uso delle risorse: riduzione ed efficientamento dell’uso delle risor-
se, dell’energia e di acqua;
• Contesto naturale: riduzione dell’impronta ecologica e dell’impatto
sull’ambiente circostante;
• Clima e rischio: mitigazione del riscaldamento globale e riduzione
dell’inquinamento dell’aria. Riduzione della vulnerabilità dell’infra-
struttura, aumento della durabilità e flessibilità e adattamento alle
diverse condizioni di utilizzo.
Le 14 sottocategorie identificano gli elementi principali di ogni area e
raggruppano sotto di esse un totale di 60 criteri. Ogni criterio fornisce
88 N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE 89 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017
c Città
un indicatore di sostenibilità relativo a uno specifico aspetto di interes-
se - ambientale, sociale o economico - e per ciascuno è possibile rag-
giungere diversi livelli di achievement: improved, enhanced, superior,
conserving, restorative. Nello specifico, per ciascun credito viene attri-
buito un punteggio in funzione del livello prestazionale raggiunto dal
progetto; la sommatoria dei punteggi permette di valutare, in modo og-
gettivo e sistematico, il grado di sostenibilità del progetto secondo le
soglie prefissate dalla metrica Envision.
La garanzia di una valutazione indipendenteIl sistema garantisce un approccio indipendente e supporta i progettisti nel
coinvolgimento delle imprese, delle pubbliche amministrazioni e anche dei
cittadini, al fine di migliorare il processo decisionale che impatta sulla effet-
tiva sostenibilità, anche a lungo termine, del progetto e degli investimenti
ad esso collegati. L’approccio al protocollo è infatti quello di un riconosci-
mento da parte di un organismo di terza parte indipendente che, partendo
da una checklist e da una scorecard di autovalutazione e attraverso un pro-
cesso critico e rigoroso, permette di verificare se si sono considerati tutti gli
approcci sostenibili e di coinvolgimento delle parti interessate, dando allo
stesso tempo maggiore risalto al progetto stesso. La filosofia del sistema
Envision, inoltre, contribuisce sia alla garanzia dei tempi decisionali e re-
alizzativi, sia alla definizione dei fattori fondamentali per attrarre capitali
privati e per rendere redditizi gli investimenti pubblici. Nel panorama inter-
nazionale del green building, Envision è dunque uno strumento innovativo
che si propone di trasformare, in maniera graduale, l’ecosistema culturale,
decisionale ed economico che sostiene lo sviluppo delle infrastrutture.
In questa prima fase della sua presenza in Italia, l’obiettivo dei promotori
di Envision è duplice: non solo sperimentare l’applicazione del protocollo a
progetti infrastrutturali, ma anche formare un ampio numero di professioni-
sti (Envision Sustainability Professional, o Envision SP) in grado di condurre
progettisti e investitori lungo il percorso previsto dal protocollo.
In un paese come il nostro dove i costi del “non fare”, dovuti alla mancata
realizzazione di opere, sono stati stimati intorno agli 810 miliardi di euro
nel periodo 2014-2030, la diffusione di strumenti utili a una progettazione
condivisa con il territorio e all’efficientamento dei costi delle infrastrutture
appare importantissima. L’introduzione del dibattito pubblico nel nuovo Co-
dice Appalti guarda proprio in questa direzione e lo stesso sistema Envision
propone un approccio inclusivo verso il territorio in cui l’opera s’inserisce.
Inoltre la dichiarata attenzione del nuovo Codice verso i criteri di sostenibili-
tà (Criteri ambientali minimi, certificazioni ambientali, green procurement)
potrebbe rendere il terreno ancora più fertile per la diffusione nel nostro pa-
ese di pratiche e certificazioni sostenibili in ambito infrastrutturale.
cReti e servizi per la qualità della vita
Città
L’opinionedi GIORGIO
GOLINELLI
Amministratore
Delegato AMGA
Calore & Impianti
(Gruppo Hera)
Attraverso servizi innovativi l’energia garantisce risparmi anche a Enti e Pubbliche Amministrazioni. L’opinione di Hera.
L’attenzione al rispetto per l’ambiente, l’eliminazione degli sprechi e il
contenimento dei consumi energetici sono dei valori sempre più ricercati
dai consumatori. In questo contesto le società di servizi energetici posso-
no e devono svolgere un ruolo da protagonista per rendere fruibili, a tutti
i consumatori, soluzioni finalizzate al miglioramento della sostenibilità
ambientale ed energetica delle città.
Uno dei principali impieghi di energia di una città riguarda il riscaldamen-
to ed il raffrescamento degli edifici pubblici o privati.
In questo ambito, gli interventi di efficienza energetica possono essere
di tipo impiantistico, tipicamente sui sistemi di produzione e regolazio-
ne dell’energia, di isolamento sugli involucri come cappotti o infissi, e di
comportamento, ovvero di abituarsi ad utilizzare la giusta quantità di
energia.
I principali utilizzatori di energia in una città sono i condomini e la pub-
blica amministrazione. Le più moderne soluzioni proposte a questi clienti
sono pacchetti completi che contengono la soluzione tecnico/economica
adeguata al cliente e lo strumento finanziario in grado di consentirne l’at-
tivazione. La componente finanziaria assume un ruolo decisivo in quanto
gli interventi di risparmio energetico, si pensi agli interventi sugli invo-
lucri, garantiscono risparmi energetici duraturi nel tempo ma richiedono
investimenti iniziali molto elevati, che non tutti i potenziali fruitori pos-
sono affrontare.
Anche il quadro di incentivazione ha un ruolo fondamentale. Per i condo-
mini centralizzati sono disponibili importanti aliquote di detrazione fisca-
le e la possibilità, per alcune tipologie di intervento, di cedere il credito di
imposta.
Per la pubblica amministrazione lo strumento principale per il finanzia-
mento degli interventi è il conto termico ma consente la copertura di una
c Città
90 N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
c Città
porzione dell’intervento di efficienza energetica. Capacità tecnica di rea-
lizzare gli interventi, capacità di acquisire le fonti di finanziamento fiscali
e conto capitale e capacità di finanziare i progetti sono la sintesi delle
proposte di servizio energia integrate in grado di consentire la realizza-
zione degli interventi di efficienza energetica in modo veloce e semplice.
Per i condomini sono formule di contratto di servizio energia plus per la
pubblica amministrazione si traducono in proposte di partenariato pub-
blico privato.
Ai clienti privati sono riservate proposte che, grazie all’introduzione di
dispositivi di monitoraggio, consentono di acquisire consapevolezza e
controllo dei consumi di energia all’interno delle proprie abitazioni. He-
raThermo, cronotermostato di ultima generazione; HeraLED, lampadine a
basso consumo; un nuovo dispositivo per la misura e l’analisi dei consumi
elettrici sono alcuni esempi dei servizi a valore aggiunto che completano
l’offerta della semplice fornitura di gas ed energia elettrica, a cui si af-
fiancano HeraFastCheckUp, servizio online per il check-up dei consumi e i
report periodici di analisi dei consumi associati alla bolletta.
Si tratta di soluzioni per la casa, l’ufficio o il negozio che mettono il cliente
nella condizione di conoscere nel dettaglio l’impatto delle proprie abitu-
dini di consumo e al contempo gli offrono nuovi strumenti per essere più
efficiente nell’uso dell’energia.
L’opinione
di GIOVANNI
SALMISTRARI
Presidente
Ance Veneto
Editoriale
e
93 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017
Quando si parla di ripresa del mercato delle costruzioni bisogna fare chia-
rezza. Ciò che si muove e cresce è la micro edilizia sostenuta artificialmente
dagli incentivi fiscali per la riqualificazione e la manutenzione straordina-
ria. Settori importanti ma che non consentono una vera ripresa del settore
edilizio. Nel Veneto le PMI che hanno una struttura organizzativa e tecnica
dimensionata su lavori di qualche milione di euro oggi rischiano di scom-
parire di fronte alla mancanza di mercato. Resta infatti ai minimi storici
l’investimento in nuova edilizia residenziale, in quanto è scomparsa quella
categoria di investitori-famiglie con un reddito medio alto che costituivano
il principale riferimento delle Pmi strutturate. La crisi infatti ha determinato
una riconfigurazione sociale fortemente caratterizzata da una polarizzazio-
ne verso l’alto e verso il basso ridimensionando la classe media con effetti
rilevanti sul sistema dell’offerta. A fare il mercato oggi sono soprattutto so-
cietà immobiliari o finanziarie che investono nei settori del terziario. Socie-
tà che molto spesso pongono al centro della domanda il fattore costo, con
l’effetto di definire a monte l’ammontare dell’investimento quasi sempre
di molto inferiore al valore e ai reali costi necessari alla realizzazione delle
opere. A ciò si aggiunge l’attuale situazione del sistema dell’offerta dove
agli operatori tradizionalmente referenti di questo mercato, le Pmi strut-
turate, oggi si aggiungono le grandi imprese del territorio che, in mancanza
del mercato delle infrastrutture, sono alla ricerca di nuove opportunità. La
necessità di acquisire comunque lavoro per restare sul mercato e sostenere
i costi fissi elevati porta a un’esasperazione della concorrenza e a un abbat-
timento del valore delle offerte con ribassi sempre più spesso superiori a un
terzo del prezzo base.
Che fare? Innanzitutto ci vuole la consapevolezza che il mercato dell’edilizia
continua a degradare e che il percorso di destrutturazione delle imprese non
è stato fermato. In secondo luogo diventa essenziale far ripartire il mercato
delle opere pubbliche rendendosi conto che l’attuale sistema regolato dal
nuovo Codice degli appalti non favorisce la qualità del risultato, legittiman-
do un mercato sempre più avviato sulla strada della dequalificazione. Diven-
ta pertanto urgente una strategia di politica industriale che, modificando e
adeguando le attuali politiche di incentivazione, rimetta al centro del siste-
ma produttivo italiano delle costruzioni un modello di impresa strutturato,
orientando in questa direzione anche il mercato privato.
Fermare la destrutturazione del tessuto imprenditoriale delle costruzioni
Montecchio Maggiore (VI) 36075Via GualdaUfficio ordini: 0444 602539Tel. 0444 602539 – 0444 492330Fax 0444 694747
Marano Vicentino (VI) 36035Via MoletteUfficio ordini: 0444 602539
Vaccari Antonio Giulio S.p.ASede legale: Via Maglio, 36030 Montecchio Precalcino (VI)
Amministrazione: Via Chemello 12 D36075 Montecchio MaggioreTel: 0444 492330 Fax: 0444 694747 [email protected]
www. vaccarighiaia.it
ale
sia
nid
es
ign
UNI-EN 12620:2008 UNI-EN 13043:2004 UNI-EN 13450:2003 UNI-EN 13108:2006UNI-EN 13242:2008
Il nostro laboratorio interno, esegue anche analisi, progettazioni e campionature per la fornitura ad hoc secondo le vostre esigenze. La qualità costante dei materiali, tutti provenienti da cave di nostra proprietà, sono una garanzia per la buona riuscita dei vostri lavori. Da oltre 60 anni lavoriamo nei nostri stabilimenti, sabbia, ghiaie e basalto per la produzione di aggregati per costruzioni e conglomerati bituminosi a caldo e a freddo per pavimentazioni stradali, con una gamma completa di prodotti di base, drenanti, fonoassorbenti e modificati.
Il nostro laboratorio interno, esegue anche analisi, progettazioni e campionature per la fornitura ad hoc secondo le vostre esigenze. La qualità costante dei materiali, tutti provenienti da cave di nostra proprietà, sono una garanzia per la buona riuscita dei vostri lavori. Da oltre 60 anni lavoriamo nei nostri stabilimenti, sabbia, ghiaie e basalto per la produzione di aggregati per costruzioni e conglomerati bituminosi a caldo e a freddo per pavimentazioni stradali, con una gamma completa di prodotti di base, drenanti, fonoassorbenti e modificati.
In casa nostra facciamo quello che voleteIn casa nostra facciamo quello che volete
VaccLabE.indd 1 29-01-2015 16:41:27
94 95 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’intervistaL’intervista
Per un sistema integrato di infrastrutturea basso impatto ambientale
Maggiore autonomia e strategie a lungo termine sono due chiavi per rendere il Veneto una regione sostenibile e con una rete viaria avanzata.
Il cambiamento che ha caratterizzato lo scenario nazionale negli ultimi
anni per quanto riguarda le politiche infrastrutturali ha colpito in modo
particolare il Veneto, al centro di un grande piano di rilancio soprattutto
della mobilità stradale e autostradale, fortemente oggi ridimensionato.
Ne abbiamo parlato con l’assessore regionale alle infrastrutture e tra-
sporti Elisa De Berti.
“Il contesto economico e finanziario in cui ci muoviamo si è radicalmen-
te trasformato dal periodo “pre-crisi” ad oggi. Dal 2009 le condizioni del
mercato europeo e mondiale hanno imposto una drastica rivisitazione
delle prospettive di potenziamento della rete infrastrutturale regionale,
così come dell’intero Paese.
La progressiva riduzione delle risorse pubbliche per le opere infrastrut-
turali, così come le difficoltà per il reperimento di capitali privati da de-
stinare alle iniziative di finanza di progetto allora programmate, hanno
imposto una revisione delle originarie previsioni, soprattutto per capire
quali interventi infrastrutturali sono strettamente necessari e quali no,
e fra i primi quali hanno la caratteristica della sostenibilità finanziaria,
oltre che del permanere del pubblico interesse. Non è un caso che la Re-
gione Veneto, ad inizio legislatura, abbia approvato la L. R. n. 15/2015
che prevede appunto una fase di rivisitazione critica delle numerose ini-
ziative di finanza di progetto, soprattutto nel settore stradale, che ave-
vano caratterizzato il primo decennio del secolo. É una legge regionale
che ha anticipato di poco meno di un anno una norma che poi ha trovato
spazio a livello nazionale nel nuovo codice dei contratti. Tutto questo
per dire che oggi la Giunta regionale sta portando avanti quelle opere,
tanto nel settore stradale ed autostradale quanto in quello ferroviario,
che hanno superato la prova della sostenibilità finanziaria e della ef-
fettiva presenza di un interesse pubblico forte e che, per alcune opere,
travalica certamente i confini regionali.”
Per la sua collocazione geografica il Veneto costituisce uno snodo fon-
damentale nei percorsi di mobilità delle persone e delle merci da Ovest ad Est e da Sud a Nord e viceversa.Quanto conta questo quando si parla di infrastrutture?“La collocazione geografica del Veneto è determinante: era ed è porta per
l’est Europa, era ed è porta per il mercato tedesco e per l’Europa centro-
settentrionale. Non è un caso che tre dei dieci corridoi europei principali
passino per il Veneto; non è un caso che il Veneto sia leader nell’export in
Italia, soprattutto per merito delle province di Treviso e Vicenza. E non è
un caso che proprio in queste province la Regione stia realizzando quella
che è l’opera stradale più grande attualmente in costruzione in Italia: la
Superstrada Pedemontana Veneta, una arteria di 94,577 km per 2,258
milioni di euro di costo di realizzazione.
Sull’asse est-ovest non è l’unica grande opera in programma; infatti, nel
settore autostradale stiamo procedendo, seppur per lotti funzionali e
in base alle disponibilità del piano finanziario, alla realizzazione della
terza corsia fra Venezia e Trieste, asse che vede oggi, così come tutta
la A4, volumi di traffico in crescita di oltre il 3,5 per cento annuo, a te-
stimonianza che la “locomotiva” del Veneto è ripartita. E parlando del
settore ferroviario, in questi ultimi anni abbiamo recuperato parte del
tempo perduto per dotare il Veneto di un sistema ferroviario all’altezza.
Per l’alta capacità nell’estate scorsa il CIPE ha approvato il progetto de-
finitivo della tratta Brescia Verona ed entro l’anno contiamo di poter por-
tare al CIPE l’analogo progetto per la tratta Verona Vicenza: dopo anni,
la struttura dell’alta capacità in Veneto sta prendendo forma. Credo che
sull’asse est-ovest questi siano gli obiettivi principali da raggiungere nel
settore infrastrutturale.
Diverso è il quadro nella direttrice nord-sud, ove a livello internazionale
l’asse del Brennero con il suo naturale terminal sud a Verona e nell’in-
terporto di quadrante Europa, il più importante in Europa, riveste certa-
mente l’importanza maggiore. La ricerca di migliorare i collegamenti con
le aree del nord è stato ed è un tema centrale nella politica dei trasporti
regionale; il recente accordo con il MIT e la PAT per la prosecuzione della
autostrada A 31 Valdastico e la sistemazione della SS 47 della Valsugana
vanno in questa direzione, mentre rimane aperta la strada per la creazio-
ne di un collegamento diretto verso le regioni austriache, in un’ottica di
miglioramento della accessibilità delle regioni alpine meno servite, tra
cui parte della provincia di Belluno.”
Sempre di più si sta puntando sul “ferro”. Diventano centrali gli investi-menti in opere ferroviarie, anche rispetto a un rafforzamento di logiche
a ELISA DE BERTI
Assessore alle
infrastrutture e
trasporti della
Regione Veneto,
di MIMOSA
MARTINI
96 97 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’intervistaL’intervista
intermodali: ferrovia-aeroporto/ferrovia-porto; ma anche come sup-porto allo sviluppo turistico (interazione ferrovia-piste ciclabili). Quali progetti e quali risorse si stanno attivando?“La ‘cura del ferro’ è iniziata in Veneto da tempo, sia nel settore infrastrut-
turale sia per l’erogazione del servizio ferroviario locale e regionale, di cui la
Regione Veneto ha titolarità. Anche in questo caso dobbiamo fare i conti
con i continui tagli del Governo sul TPL, provvedendo con fondi regionali per
sopperire alla riduzione dei trasferimenti del FNT e per garantire il mante-
nimento della qualità del servizio; è questo uno degli obiettivi principali che
questa giunta regionale si è posta.
Ma, restando al settore delle infrastrutture ferroviarie, oltre all’impegno per
l’alta capacità di cui ho già detto, vi è un costante impegno per l’ammoder-
namento della rete ferroviaria esistente, vero patrimonio della nostra regio-
ne, da ammodernare e valorizzare in tutte le sue valenze, sia per il traffico
passeggeri regionale che per il transito delle merci, in un’ottica di trasfe-
rimento modale dalla gomma alla rotaia per raggiungere livelli di mobilità
più sostenibile anche da un punto di vista strettamente ambientale. Il ruolo
del porto di Venezia in questo senso è fondamentale come attrattore ed
elemento di smistamento del traffico delle merci nell’intera regione e verso
le altre regioni della pianura padana.
Nel corso del 2016 abbiamo sottoscritto con RFI un Accordo quadro per la
individuazione delle priorità sul territorio regionale, in primis un nutrito pro-
gramma di interventi nell’area dell’entroterra veneziano e nell’area centrale
veneta dove è stato attivato il Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale
(SFMR), poi la prosecuzione del piano di eliminazione di passaggi a livello
che oggi condizionano in modo importante la qualità del servizio e in terzo
luogo un programma di elettrificazione della rete esistente ancora a trazio-
ne diesel, soprattutto nelle aree più marginali della regione, il bellunese in
particolare.
Oggi ci aspettiamo che a queste programmazioni condivise e alle nostre pro-
gettazioni avanzate facciano riscontro precisi impegni di finanziamento che
devono trovare spazio nel contratto di programma fra MIT e RFI, il cui iter di
approvazione è in fase di completamento. Analogamente ci attendiamo ri-
sposte per le progettazioni già redatte per migliorare i collegamenti ferrovia-
ri con il porto di Venezia e con l’aeroporto internazionale Marco Polo, il terzo
a livello nazionale. Sempre nel settore ferroviario, in questo caso legato al
turismo, abbiamo avviato una straordinaria collaborazione con Trenitalia e
le aziende di trasporto pubblico locale per far apprezzare ai cicloturisti la
bellezza delle nostre Dolomiti, patrimonio dell’Unesco.
L’estate scorsa il servizio integrato treno – bus – bici ha avuto un otti-
mo successo e vogliamo proseguire su questa strada. Abbiamo poi qualcosa
nel cassetto, qualcosa più di un sogno. Uno studio di fattibilità che nasce
da una collaborazione con la Provincia Autonoma di Bolzano per portare il
servizio ferroviario da Venezia a Cortina, unendo le due perle turistiche della
nostra regione, e da Cortina sino alla Pusteria. Il disegno, in realtà, è ancora
più ampio e coinvolge anche la Provincia Autonoma di Trento, in quello che
chiamiamo il “Treno delle Dolomiti”, che farebbe fare un vero salto di qua-
lità, anche sotto il profilo ambientale, al turismo delle nostre montagne.”
Sul fronte stradale siamo di fronte a un processo di riaccentramento sul piano della gestione e degli investimenti. Qual è la posizione della Regione Veneto?“Il dato è oggettivo e inequivocabile. I principi del federalismo e di sussidia-
rietà sono stati drammaticamente abbandonati negli ultimi anni dal gover-
no centrale. Il riaccentramento delle competenze e soprattutto delle risorse
hanno lasciato per primi gli Enti locali, Province e Comuni, sempre più privi di
risorse. Per le Regioni non è andata diversamente, se si pensa solo alla ridu-
zione dei trasferimenti per la gestione delle strade con i Decreti ‘Bassanini’ o
ai tagli operati nel settore del TPL.
La nostra Regione avrebbe in sé tutte le caratteristiche per poter governare
un processo di reale ammodernamento della rete stradale e ferroviaria re-
gionale se solo avesse una maggiore autonomia. Non a caso ha voluto con
forza ed ha ottenuto l’indizione del referendum previsto dall’Art. 116 della
Costituzione, convinti come siamo che, con maggiore capacità decisionale
e maggiore autonomia finanziaria potremo intervenire in maniera più effi-
ciente ed efficace, a tutto vantaggio dei nostri cittadini e di tutti quelli, e
sono tanti, che oggi frequentano il Veneto facendola essere la prima regione
turistica italiana.”
98 99 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Dalle grandi opere alla mobilità sostenibile
Il Piano mobilità della Regione Veneto punta su ferrovie e ciclovie.
C’era una volta un grande piano di infrastrutture stradali, un piano che le-
gava il Veneto a Sud, a Nord a Est e a Ovest. Un piano che è stato in parte
accantonato. Per ragioni diverse. In primo luogo la contrazione delle risor-
se pubbliche. In secondo luogo un ripensamento delle politiche legate alle
grandi opere, in seguito al fallimento della Legge Obiettivo e alle verifiche
dell’insostenibilità dei meccanismi che avevano caratterizzato progettazione
e costruzione delle grandi opere. Tempi dilatati, poca certezza, dispersione
delle risorse, poca trasparenza. Insomma una pluralità di cause. A cui va ag-
giunto, last but not least, un cambiamento di prospettiva rispetto ai sistemi
di trasporto nel segno della mobilità sostenibile. Così se da un lato si è garan-
tito il completamento dei tracciati della Valdastico Sud e della Pedemontana
e si insiste sulla terza corsia della A4 Venezia – Trieste, si è provveduto pro-
gressivamente a orientare gli investimenti verso le opere ferroviarie e verso
una maggiore integrazione con il sistema della mobilità collegata al turismo
sostenibile. Volendo sintetizzare si potrebbe dire che in questi anni la scelta
di fondo è stata quella di passare dalla centralità della gomma a quella del
ferro integrata con un ampio piano di piste ciclabili. Così in attesa che si com-
pleti la rete di Alta Velocità/Capacità da Verona a Mestre, risolvendo il nodo
di Vicenza, si decida cosa fare per il collegamento ferroviario con l’aeroporto
Marco Polo e si definiscano le strategie da parte dell’Autorità portuale di Ve-
nezia, l’attenzione della Regione si sposta sul completamento e il progressi-
vo efficientamento del Sistema metropolitano ferroviario regionale (SMFR)
e sulle infrastrutture necessarie a dare una risposta alla crescente domanda
del cicloturismo.
Il Sistema metropolitano ferroviario regionale (SMFR)Come si legge in un documento della Regione Veneto, tra i principali obiettivi
degli ultimi anni, vi è stata la riduzione del deficit di infrastrutture di tra-
sporto. E nell’ambito di una riorganizzazione finalizzata a un sempre miglior
utilizzo del trasporto su ferro, “un posto di assoluto rilievo è dato dall’atti-
vazione del Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale (SFMR). median-
te il quale si intende non solo migliorare le prestazioni del modo ferroviario
nell’area centrale veneta, ma soprattutto comporre un sistema di trasporto
col più alto livello di complementarietà tra ferro e gomma, in grado di ridurre
di EMANUELE
INCANTO
significativamente la congestione delle strade, l’inquinamento atmosferico e
acustico e l’incidentalità, garantendo collegamenti veloci, confortevoli e sicu-
ri tra la residenza, il luogo di lavoro, di studio o di svago.”
Attraverso la creazione di un nuovo sistema di trasporto integrato, esteso a
tutto il Veneto, concettualmente simile a quello delle metropolitane urbane,
la Regione intende garantire buoni livelli di mobilità della popolazione in un
contesto territoriale a struttura policentrica; migliorare la qualità dei servizi
regionali di trasporto collettivo in modo da renderli attrattivi per qualità e
livelli di servizio e competitivi con il trasporto individuale; contribuire al con-
tenimento dei livelli di inquinamento atmosferico ed acustico generati dalla
mobilità; aumentare la sicurezza del trasporto garantendo collegamenti ve-
loci, affidabili e sicuri. L’integrazione ferro/gomma secondo il piano regio-
nale dovrebbe funzionare attraverso la rete ferroviaria che deve assicurare
il collegamento rapido e frequente tra i centri urbani, mentre al trasporto su
gomma (auto private e trasporto pubblico) è demandato il collegamento tra i
nodi ferroviari e gli insediamenti diffusi sul territorio. L’efficienza del sistema
si basa su una metodologia innovativa che, partendo dalla individuazione dei
bisogni e delle esigenze di mobilità generate dal territorio, attuali e futuri,
ha individuato un piano dei servizi di trasporto in grado di soddisfarle, attra-
verso un approccio di forte contestualizzazione socio-economica, territoriale
ed ambientale. Secondo la Regione una volta completato il SFMR “porterà
ad una riduzione di 45 milioni di utenti l’anno sulle strade, di 9 milioni sugli
autobus, e un conseguente incremento di 54 milioni di utenti l’anno sulle
linee ferroviarie.” Ma per raggiungere questi obiettivi sono ad oggi necessari
una serie di interventi volti a migliorare l’efficienza della rete, eliminando le
attuali strozzature e raddoppiando alcuni binari; operando la ristrutturazione
di alcune stazioni e creandone di nuove in punti strategici del territorio; elimi-
nando quasi tutti i passaggi a livello esistenti sulle linee. Così come si rende
necessario un ulteriore miglioramento quantitativo e qualitativo dell’offerta
di convogli ferroviari con caratteristiche metropolitane, realizzata anche tra-
mite acquisizione di nuovo materiale rotabile. Complessivamente si tratta
di 37 nuove fermate e stazioni; 162 interventi di adeguamento di fermate
esistenti; 407 soppressioni di passaggi a livello, nella maggior parte dei casi
mediante sottopassi o cavalcaferrovie. Un fattore importante nello sviluppo
e nel miglioramento in termini di servizi del SFMR è costituito dalla conso-
lidata collaborazione fra la Regione Veneto e il Gruppo FS, RFI S.p.a., così
come nel potenziamento della rete ferroviaria regionale. Nel recente Contrat-
to di programma fra MIT e RFI infatti sono state inserite opere importanti
come il raddoppio della tratta Maerne Castelfranco sulla linea per Trento, il
nuovo ponte sul Brenta a Vigodarzere in provincia di Padova, l’elettrificazione
di varie tratte nella zona pedemontana e nel bellunese.
100 101 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
FAVARO MASSIMO SRLSRL
L’incremento del turismo passa per le ciclovieCon il potenziamento del SFMR si riduce il tempo di percorrenza dei resi-
denti e si migliora il servizio anche per i turisti che fanno del Veneto la pri-
ma regione in Italia per presenze, arrivi, indotto economico proveniente dal
turismo. Lo sviluppo turistico costituisce infatti uno degli assett principali,
insieme alla produzione industriale e ai servizi, che contribuiscono alla co-
struzione del PIL regionale. E la mobilità e la qualità delle infrastrutture ne
sono un fattore nevralgico. In questo ambito, una delle grandi novità è la
crescita della domanda di cicloturismo. Del resto entrambe queste modalità
costituiscono due pilastri delle politiche per migliorare la qualità dell’aria
perseguite da tutte le Regioni della pianura padana e attuate dalla Regione
Veneto con il Piano regionale di Risanamento dell’Atmosfera. Per quanto
riguarda le ciclovie il Veneto ha già un posizionamento di eccellenza, col-
locandosi in terza posizione in Italia dopo Emilia Romagna e Trentino Alto
Adige per l’incidenza dell’indotto prodotto dal “sistema bicicletta” sul to-
tale del PIL regionale. Attraversano il Veneto ben 5 delle 10 ciclovie princi-
pali a livello nazionale: la Ciclovia del Sole nella tratta Verona Firenze e la
Ciclovia Ven.To da Venezia a Torino; la Ciclovia del Garda, la Ciclovia Adria-
tica e la Ciclovia Trieste-Lignano Sabbiadoro-Venezia. Per quanto riguarda
le prime due la Regione ha sottoscritto con il MIT, il MIBACT, la Regione
Lombardia, la Regione Toscana, la Regione Piemonte e la Regione Emilia
Romagna due specifici protocolli di intesa relativi alla progettazione e alla
realizzazione delle due infrastrutture turistiche. Un protocollo similare, con
il MIT, il MIBACT, la Regione Lombardia e la Provincia Autonoma di Trento
è stato siglato nell’agosto scorso anche per la Ciclovia del Garda. Il percorso
della Ciclovia del Sole si sviluppa lungo l’Eurovelo 7, uno degli assi ciclabili
individuati a livello Europeo che attraversa la nostra Penisola da Nord a Sud.
Di questo percorso, una prima tratta, dal Brennero a Verona e Lago di Gar-
da, è stata già per lo più completata, pur in assenza di un coordinamento
nazionale. Così come per la Ven.To il MIT ha assegnato alle Regioni capofila
(Emilia Romagna e Lombardia) le risorse per la redazione del progetto di
fattibilità tecnico economica. Un’importanza particolare riveste la Ciclovia
del Garda, un anello di 140 km lungo le sponde del lago che tocca ben 19
comuni rivieraschi connessa ad EuroVelo. Da qui l’impegno del MIT a contri-
buire con fondi europei alla progettazione di fattibilità tecnico economica e
alla successiva realizzazione, rispettivamente nella misura del 2% e del 50%
dell’importo totale dei lavori.
La crescente importanza assunta dalle ciclovie trova una conferma nel varo
del progetto strategico regionale Green Tour Verde in movimento, realizza-
to in collaborazione con il dipartimento di ingegneria ambientale dell’Uni-
versità di Padova, che interessa il territorio di 75 comuni che appartengono
a 6 provincie della Regione del Veneto (Treviso, Venezia, Padova, Vicenza,
Rovigo e Verona) e che fanno parte di 8 dei Sistemi Turistici Tematici defi-
niti dalla legge turistica regionale del 14 giugno 2013, n. 11. Il percorso cicla-
bile, inoltre, attraverserà 5 Parchi Regionali, 28 Siti di Interesse comunitario
(SIC) e 4 Zone a protezione speciale (ZPS). La governance del progetto resta
in capo alla Regione e viene esercitata attraverso una cabina di regia.
A completare il quadro vi sono poi una molteplicità di interventi finanziabili
con le risorse del Fondo FSC PAR 2007-2013, per complessivamente 308 km
di piste ciclabili con il coinvolgimento di n. 83 comuni. Di questi ne sono sta-
ti già finanziati 241 km, interessando l territorio di 48 comuni, per un totale
di cofinanziamento di circa 15 milioni e mezzo di euro.
Per garantire un adeguato e lineare processo di sviluppo del cicloturismo la
Regione ha attivato un tavolo allargato a tutti gli operatori coinvolti, pun-
tando a una governance condivisa in grado di facilitare sinergie e interazio-
ne anche con gli altri sistemi di trasporto. Tre i temi di lavoro principali: la
predisposizione di un aggiornamento della cartografia regionale, utile alla
definizione di una gerarchia e delle funzioni dei percorsi europeo, nazionale,
regionale, interprovinciale e comunale, a cui destinare risorse; la creazione
di un sito istituzionale a servizio degli utenti con relativa app; l’individua-
zione, con RFI e Sistemi Territoriali, di iniziative a sostegno dell’intermo-
dalità tra percorsi ciclabili e linee ferroviarie. Per capire l’importanza che la
Regione Veneto imputa a questo segmento infrastrutturale basti il fatto
che al CosmoBike tenutosi alla fiera di Verona nel mese di Settembre erano
presenti, oltre al Govenatore Zaia, i due assessori al turismo e alle infra-
strutture. Ciò a riprova di quanto recentemente deciso dalla Giunta regiona-
le di inserire la mobilità ciclabile e il cicloturismo tra le “leve strategiche per
il territorio, per l’occupazione, per il paesaggio, per l’economia diffusa e per
rianimare le comunità locali nelle nostre aree interne.”
102 103 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’intervistaL’intervista
Con la cultura cambiare si può, mettendo al bando la cattiva edilizia
Per ottenere competitività e sicurezza bisogna puntare su conoscenza e prevenzione.
Giovanni Prearo è un imprenditore padovano, presidente dei giovani co-
struttori del Veneto. in questi anni in cui ha assunto la leadership regio-
nale ha puntato tutto sulla cultura, nella sua accezione più vasta. “Il no-
stro settore, l’edilizia, si caratterizza purtroppo per un livello culturale tra
gli imprenditori e gli operatori troppo basso. Non si da valore allo studio,
alla lettura, alla conoscenza intesa come crescita personale. Eppure ormai
è evidente che nell’era della globalizzazione e della velocità del cambia-
mento aggiornarsi, avere strumenti per capire quel che succede non è un
fattore marginale bensì decisivo se si vuole crescere ed essere competiti-
vi. Ciò vale, tuttavia, in un mercato dove le regole e i diritti siano chiari e
dove venga premiato chi sa fare meglio. Forse la marginalità in termini di
valore e di priorità della cultura nel nostro settore è anche il risultato che
nelle costruzioni il mercato non è funzionale al risultato. Ovvero l’apparato
normativo ed amministrativo non ha come obiettivo assicurare ai cittadini
opere fatte bene e che costino il giusto, bensì un burocratico rispetto nei
confronti di regole formali che spesso entrano in contrasto con il bene co-
mune e la qualità. Ma anche con la sostenibilità economica.”
Per Prearo fare impresa edile oggi è quanto mai difficile. Per cambiare le
cose è convinto che si debba uscire dal confronto tra addetti ai lavori e
aprirsi all’opinione pubblica, rivolgersi ai cittadini, alla gente comune, alle
famiglie. “Tutte le nostre iniziative più recenti si caratterizzano per questo
approccio. Come il ‘ciclo del bello’, una serie di incontri volti a mostrare
l’alto potenziale estetico, qualitativo e durevole di un’edilizia basata su
una cultura tecnica, ma anche su un forte senso di responsabilità sociale.
Diventa oggi quanto mai rilevante poter contare sulla consapevolezza che
sia possibile realizzare opere edili di qualità, funzionali alle esigenze della
vita e del lavoro di oggi. Noi ci rivolgiamo innanzitutto alle committenze
private, più libere e attente al risultato finale. Puntiamo sulla cultura pro-
prio perché soltanto attraverso una crescita di questo tipo potremmo in
futuro ammirare case e palazzi del valore di quelli che oggi fanno la nostra
storia. Egualmente, passa da questa consapevolezza un’attività costante
di manutenzione ordinaria e straordinaria in grado di garantire sicurezza e
a GIOVANNI
PREARO
Presidente giovani
imprenditori
Ance Veneto,
di MARTINO
ALMISISI
rispondere alle attuali esigenze di sostenibilità energetica e ambientale.
Sul fronte pubblico non si può prescindere da un maggior senso di respon-
sabilità da parte delle amministrazioni locali. Per crescere le nostre impre-
se hanno bisogno di essere valutate e selezionate da persone competenti e
responsabili, disposte al dialogo e non a costruire barriere seguendo tem-
pi decisionali incompatibili con un’attività economica. Abbiamo bisogno
di amministrazioni orientate a favorire una competizione che si basi sul
saper fare, sulle capacità organizzative, su conoscenze tecnologiche ade-
guate, su un’organizzazione e una gestione di impresa di tipo industriale.”
Prearo ha coinvolto i suoi colleghi delle diverse associazioni provinciali
in questo progetto condividendone i presupposti culturali e gli obiettivi,
portando queste convinzioni anche al tavolo con gli altri gruppi giovanili
delle regioni del Nord. “Periodicamente ci incontriamo e ci confrontiamo,
trovando in un evento annuale il momento in cui le nostre riflessioni sui
diversi temi di interesse della nostra categoria possano confluire in una se-
rie di proposte. Quest’anno abbiamo posto al centro del convegno il tema
della messa in sicurezza del territorio e del patrimonio immobiliare. E la
soluzione, anche in questo caso, non può che essere trovata lavorando per
affermare una consapevolezza dei livelli di rischio che caratterizzano i no-
stri territori rispetto alle calamità naturali e a un grande lavoro per affer-
mare una condivisa e diffusa cultura della prevenzione. Lo slogan con cui
ci presentiamo all’esterno è Vacciniamo il territorio. Perché vaccinarsi vuol
dire prevenire la malattia, evitare di star male. Vaccinarsi per evitare che il
degrado ci travolga così come le piene, le inondazioni. Vaccinarci per saper
convivere con i terremoti predisponendo per tempo tutte quelle misure che
evitino agli edifici di collare sulle persone, le strade di scomparire sotto le
frane. Il nostro vuole essere un appello alle istituzioni, a chi deve investire
affinché si pianifichino una serie di azioni che consentano di aumentare il
livello di conoscenza e consapevolezza.”
I giovani Ance delle regioni del Nord d’Italia hanno messo a punto quel-
lo che loro hanno definito un “manifesto”, un elenco di proposte su che
cosa si debba fare per evitare il degrado del territorio e per avviare un pro-
gramma di prevenzione. Il documento contiene importanti considerazioni
sulla necessità di cambiare approccio, mettendo ad esempio al centro di
qualunque “strategia” la conoscenza puntuale del territorio, a cui non può
che non seguire un investimento per riorganizzare una capillare attività di
osservazione e di monitoraggio. Ripristinare servizi quotidiani da tempo
abbandonati, ricostituire una rete di competenze minime di carattere tec-
nico sono priorità non esplicitate nel documento. Un aspetto importante
riguarda il ruolo di governo dei processi e la forza decisionale delle ammi-
104 105 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’intervista
nistrazioni locali e del sindaco in particolare. Una capacità decisionale che
è strettamente connessa a quel senso di responsabilità sottolineato da
Prearo. “Non si riesce a capire come si possa difendere le popolazioni dai
rischi di calamità senza obbligare chi sbaglia a correggere, chi fa cose che
non si debbono fare o che mettono in pericolo la comunità a intervenire.
Perché, invece di assistere a decine di ordinanze di Commissari o altre fi-
gure straordinarie chiamate a gestire emergenze successive alle catastrofi,
non si emettono ordinanze prima, così da prevenire i disastri? É questa
una priorità. Poi certo bisogna anche attivare politiche fiscali incentivanti
tali da favorire questi interventi in una logica di prevenzione. Così come
bisogna superare ormai anacronistiche concezioni che impediscono di ga-
rantire sicurezza e qualità come le resistenze rispetto alla demolizione e
ricostruzione che oggi, invece, dovrebbe diventare la strada maestra se vo-
gliamo veramente cambiare le nostre città e il nostro ambiente costruito.”
Nel documento sembra tuttavia mancare quella necessaria autocritica che
chiama in causa la cattiva edilizia che spesso si annida anche tra le im-
prese associate ad Ance e che finisce spesso sui banchi degli imputati in
seguito a catastrofi naturali. Tuttavia la questione è ben chiara a Prearo
che è convinto dell’urgenza di battersi come associazione per arrivare a
una qualificazione delle imprese, fattore imprescindibile se veramente si
vuole riaffermare un’edilizia di valore come quella che è stata protagonista
nel “ciclo del bello”.
“É veramente assurdo e inaccettabile che sia possibile aprire un’impresa e
costruire edifici senza alcuna competenza e struttura organizzativa, sen-
za prevedere alcuna valutazione di ingresso nel mercato. Quali garanzie
può dare un imprenditore che è tenuto a firmare tutti gli elaborati strut-
turali di qualunque opera realizzi, dal pollaio al ponte, insieme al proget-
tista e ai tecnici, se non è quasi mai in grado di comprendere quello che
firma? Bisogna assolutamente mettere fine a questa cattiva prassi che è
alla base della cattiva edilizia.”
e
107 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017
Il recente invito rivolto dal ministro dello sviluppo economico Carlo Calen-
da alla sindaca di Roma e al presidente della Regione Lazio per avviare un
grande progetto per Roma è un segnale importante. Sta ad indicare che fi-
nalmente il futuro di Roma Capitale diventa una questione nazionale, come
è giusto che sia. Probabilmente resterà un tentativo, viste le reazioni degli
interlocutori del ministro e considerato che ci avviamo rapidamente alla fine
della legislatura. Tuttavia è una buona notizia per chi, come noi, è impegnato
per una rigenerazione urbana e territoriale, sia rispetto alla Capitale che alle
molte aree degradate e bisognose di rilancio economico e di riqualificazione.
Avviare la rigenerazione di un’area vasta e complessa come quella che oggi
rientra amministrativamente nella competenza di Roma Capitale richiede
tempo, competenze e soprattutto una volontà politica in grado di impegnare
risorse e costruire un sistema di governance volto a superare tutte quelle
criticità amministrative, normative e gestionali che continuano a costituire i
fattori principali di freno. Ed è qui che si gioca la credibilità e la fattibilità del
piano. Con la nuova legge sulla rigenerazione urbana, varata recentemente
dalla Regione Lazio, si sono create tutte le premesse affinché sia possibile
intervenire sul patrimonio esistente e rendere conveniente investire. Resta
invece tutta aperta la questione delle regole connesse alla gestione pubbli-
ca. Quel che più preoccupa è un sistema dei lavori pubblici che non assicu-
ra ai cittadini una sufficiente qualità e sicurezza delle infrastrutture e delle
opere. E questo perché si è perso di vista il fine ultimo dell’opera pubblica e
del processo necessario a realizzarla. Ciò che, infatti, guida norme e politiche
non è garantire la qualità dell’opera, ovvero che sia fatta bene ad un costo
giusto, in tempi certi e compatibili con le reali esigenze delle popolazioni e
del tessuto economico locale. Tutto questo passa in secondo piano rispet-
to al garantire una formale concorrenza, fondata sul massimo risparmio. Il
che non vuol dire che non si debba salvaguardare questo principio, ma esso
deve essere ricondotto a quello superiore della garanzia del risultato atteso.
É quindi necessario invertire le priorità, mettendo in cima alla scala la qualità
delle opere e cambiare prospettiva, così da garantire ai cittadini un risultato
che è comunque impossibile da conseguire senza competenza, chiarezza dei
ruoli, senso di responsabilità delle pubbliche amministrazioni. Perché solo
così i cittadini potranno tornare ad avere infrastrutture ed edifici sicuri e ben
costruiti, le imprese a vedere premiata la capacità di lavorare bene e di inno-
vare, i progettisti riconosciuta la loro professionalità.
Un cambiamento di prospettiva per garantire opere pubbliche sicure, ben costruite e a prezzi giusti
di STEFANO
PETRUCCI
Presidente Ance Lazio
Editoriale
Laterizi più forti del sisma
Costruire in laterizio significa avere una casa sismicamente sicura e altamente prestazionale per il massimo risparmio ener-getico.
Le soluzioni innovative Wienerberger sono oggi in grado di soddisfare qualsiasi esigenza, garantendo un eccezionale comfort abitativo che dura tutto l’anno.
www.wienerberger.it
Costruire in laterizio per la massima
sicurezza in zona sismica
ADV_ConstructionConferenceUdine_167x240px_OTT.indd 1 03/10/2017 12:26:33
108 109 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’intervistaa NICOLò
REBECCHINI
Presidente ACER,
di MARTINO
ALMISISI
La soluzione è un piano di rinascita a lungo raggio con il coinvolgi-mento di istituzioni, imprese e cittadini.
Niccolò Rebecchini è da qualche mese il nuovo presidente dell’ACER, l’as-
sociazione che rappresenta le principali imprese di costruzioni di Roma e
provincia. La sua elezione avviene in un momento particolarmente diffici-
le per la città, così come per l’industria edilizia. La sua storia personale e
imprenditoriale è fortemente intrecciata con la storia della città. Il degra-
do che vive quest’ultima è un dolore reale che produce sconforto, ma an-
che un profondo desiderio di contribuire in qualche modo a una rinascita.
Parliamo subito di Roma. Come vede il futuro della città? “Fa veramente male vedere lo stato di abbandono in cui vive Roma come
città e come Capitale d’Italia. Le vicende politiche e di cronaca che ormai
da quasi un ventennio la caratterizzano hanno condotto a uno stato fisi-
co, morale, economico e anche sociale della popolazione del tutto inaccet-
tabile. La storia delle trasformazioni urbanistiche e dell’edificazione della
città troppo spesso ci dice che non c’è stata una pianificazione ordinata e
fondata su criteri e logiche tali da consentire a una città come Roma, che
ha una straordinaria unicità, di recuperare una identità in grado di rappre-
sentare insieme il suo valore storico e la complessità della modernità. É
come se avessimo rinunciato al futuro, se ci fossimo arresi pensando, (in
maniera errata) che la ricchezza del nostro patrimonio monumentale ba-
stasse a farci sopravvivere. Contemporaneamente, abbiamo assistito a
un’occupazione del potere e a una degenerazione nei rapporti tra pubblico
e privato secondo logiche di interessi particolari, spesso illegittimi se non
ispirati a logiche criminali, che ne hanno accelerato l’attuale sconfitta. Tan-
to che oggi questa resa - nonostante dichiarazioni di segno contrario - la
troviamo in scelte rinunciatarie, dove predomina una visione amministrati-
va fondata sulla paura invece che sulla sfida del futuro. É come se sulla cit-
tà fosse scesa una nube soporifera che alimenta un clima mefitico basato
sulla contrapposizione anche violenta, quando invece ci sarebbe bisogno di
riflessione, dialogo e collaborazione. Quel che serve è un clima diverso che
favorisca l’individuazione di ciò che questa città ha di bello e di valore e su
questo fondare un nuovo patto sociale da cui far scaturire un’idea vincente
di sviluppo.”
L’intervista
Dare un futuro a Roma Capitale: insieme per un grande progetto di rigenerazione
Quale ruolo dovrebbe avere l’ACER e quali le principali criticità a questa auspicata inversione di rotta?“Abbiamo bisogno di metterci intorno a un tavolo, forze politiche, asso-
ciazioni di rappresentanza del tessuto economico, mondo delle professio-
ni, mondo del lavoro e le istituzioni Stato, Regione e Comune. Dobbiamo
riattivare i gangli nervosi e positivi del confronto. Dobbiamo riuscire a far-
lo nell’interesse della città, ovvero di tutti coloro che vi vivono, vi abitano
e vi lavorano, così come dei tanti turisti che ogni giorno vi arrivano e trop-
po spesso restano colpiti dalla bellezza e dal valore storico dei nostri mo-
numenti ma allo steso tempo verificano, stupiti, la lontananza in termini
di qualità dei servizi rispetto alle città da cui provengono.
Dobbiamo darci un metodo e trovare un percorso. Ma per farlo diventa es-
senziale e prioritario accettare di fare tutti un passo indietro e soprattutto
di cambiare il nostro modo di guardare al rapporto tra la città e i diversi
interessi che vi gravitano attorno. Con questo non voglio dire che questi
non siano legittimi, ma che dobbiamo provare a metterli in sinergia con
qualcosa di più alto: l’interesse generale di Roma a trasformarsi in una
vera città moderna al passo con le altre grandi capitali europee.
Dobbiamo condividere un metodo che non può che avere alla base il su-
peramento dell’improvvisazione e della superficialità con cui si guarda ai
problemi di Roma. Un metodo che ponga al centro valori solidi come la
competenza, partendo dalla complessità che oggi caratterizza il nostro
attuale mondo e mettendo a fuoco senza timori le principali criticità, quei
fattori umani, culturali, organizzativi che tengono bloccata la città e le
impediscono di cambiare e di trasformarsi. Dobbiamo trovare il modo
di “vedere” le risorse che vi sono, sostenendole e valorizzandole e allo
stesso tempo affossare ed eliminare con grande coraggio e decisione le
cancrene che ci portiamo dietro da troppo tempo. Dobbiamo trovare stru-
menti nuovi. Ma dobbiamo farlo tutti insieme.
Uno dei mali della città è rappresentato dal mancato riconoscimento del-
le cose buone fatte dall’avversario politico. Un metodo che ha prodotto
e continua a produrre risultati nefasti. Azzerare il passato è quanto di
più deleterio si possa fare. Viceversa, appropriarsi delle cosse buone di
chi ci ha preceduto costituisce un elemento prezioso per crescere. Io sono
convinto che sia possibile invertire la rotta e avviare un percorso nuovo in
questa direzione. Certo bisogna guardare in alto, senza sottovalutare le
difficoltà e la complessità delle problematiche accumulatesi nel tempo.
Ma dobbiamo provarci. Noi, come imprenditori edili e come associazione
dobbiamo essere sempre più consapevoli che siamo parte di quella classe
110 111 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
dirigente che non può sottrarsi alle sue responsabilità. Perché se voglia-
mo essere protagonisti di una ripresa e di una nuova fase positiva per la
nostra città e per le nostre imprese non possiamo partecipare in maniera
attiva a questo irrinunciabile cambiamento.”
Da quello che lei mi dice emerge una forte volontà a spostare l’attenzio-ne dai temi tradizionali, mi lasci dire, di “categoria” e di settore” ver-so una proposta metodologica per un grande progetto di riscatto e di rinascita coinvolgendo tutte le istituzioni rappresentative pubbliche e private intercettando anche quelle realtà presenti nella società civile e provenienti dall’economia reale che possono dare un contributo e condi-videre un percorso comune. Lei sembra convinto che senza un approccio e un modo diverso di guardare alla città i problemi contingenti non po-tranno essere risolti…“Ne sono profondamente convinto. Del resto le nostre imprese sono quel-
le aziende piccole e medie a carattere familiare che oggi debbono crescere
e trasformarsi per saper cogliere le opportunità che in altre zone del Paese
stanno caratterizzando il mercato delle costruzioni. Ma per farlo abbia-
mo bisogno di una domanda diversa, abbiamo bisogno che Roma guardi
al suo futuro con ambizione e sappia trovare idee e progetti in linea con
quelli che sono i driver della nostra contemporaneità: sostenibilità, ma-
nutenzione, qualità ed estetica coerentemente con la nostra storia.
Dobbiamo correggere gli errori fatti e dobbiamo ripensare la struttura
complessiva della città. Da questo punto di vista vi è ampio consenso sul
fatto che se si vuole scommettere su un futuro migliore e a misura delle
capitali degli altri Paesi occidentali si debba costruire un grande progetto
di rigenerazione.
Dobbiamo accettare il fallimento della visione proposta dall’ultimo pia-
no regolatore e ripensare gli stessi strumenti urbanistici, guardando alle
esperienze estere e al diverso e più virtuoso rapporto tra visione, gover-
nance dei processi e regole. Troppo spesso il fallimento di grandi progetti
ha all’origine un sistema normativo che invece di essere al servizio dei
risultati li condiziona pesantemente, impedendone il raggiungimento.
Ecco perché insisto sulla necessità di un’ampia condivisone metodolo-
gica, l’accettazione e un impegno forte e ampio su una visione comune
a cui collegare questa metodologia dalla quale far scaturire un profondo
ripensamento su strumenti e regole.
Il tessuto imprenditoriale romano è stato colpito duramente dalla crisi e
molte imprese hanno rinunciato o sono state poste ai margini del merca-
to delle opere pubbliche. Imprese storiche e che hanno realizzato alcune
opere significative e qualitativamente apprezzate restano con fatica “in
panchina” a causa di politiche e gestioni amministrative che impongono
logiche normative che continuano a penalizzare le ”buone” impese, quelle
che applicano il contratto di lavoro, pagano i contributi, hanno competen-
ze. La città sta rinunciando a risorse preziose che oggi dobbiamo recupe-
rare e rimettere in campo.
Un grande piano di rigenerazione deve basarsi su una forte idea di Roma,
fondata sulle sue vocazioni.Un grande piano di rigenerazione deve basar-
si su progetti che sappiano porre al centro fattori economici innovativi,
attirare investimenti nazionali e internazionali, così da consentire una
trasformazione non solo fisica, ma anche produttiva mettendo in gioco
nuove tecnologie e creando le condizioni per garantire adeguati ritorni agli
investitori.
É chiaro che è necessario superare visioni conservative o posizioni ideo-
logicamente oggi superate dalla storia. Faccio solo un esempio: come è
possibile pensare di migliorare la qualità della vita dei quartieri e della
periferie senza consentire la demolizione e ricostruzione con adeguati in-
centivi e trovando soluzioni tecniche sostenibili, sia per quanto riguarda
gli abitanti che gli operatori?”
L’intervistaL’intervista
112 113 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Il piano paesaggistico regionale tra esigenze di tutela e sviluppo
di STEFANO
USSEGLIO
Direttore
Ance Lazio
Limiti e opportunità di un sistema di governance in grado di ripianifi-care e riqualificare i territori.
Nel quadro normativo nazionale e regionale il piano territoriale paesaggi-
stico regionale (PTPR) rappresenta uno strumento di pianificazione territo-
riale fondamentale per coniugare esigenze di tutela ed esigenze di ordinato
sviluppo. Nel Lazio il PTPR è stato adottato nel 2007 e pubblicato a feb-
braio 2008. La legge regionale numero 24 del 1998 prevedeva che il PTPR
fosse approvato definitivamente dalla Regione entro il 31 dicembre 1999.
Tale termine è stato prorogato più volte, da ultimo al 14 febbraio 2018.
La successiva normativa nazionale del cosiddetto “Codice Urbani” (D.lgs
42/2004) prevede che le Regioni, il Ministero per i beni culturali e quello
dell’ambiente possano stipulare intese per la definizione delle modali-
tà di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, stabilendo anche il
termine per la approvazione del piano da parte della Regione.
Il PTPR è sovraordinato e prevalente rispetto agli altri strumenti di piani-
ficazione urbanistica e territoriale e quindi anche nei confronti dei piani
regolatori comunali. Dal 2008 Il PTPR adottato è efficace come misura
di salvaguardia per ogni intervento sul territorio. Certamente è quindi
importante che la sua approvazione definitiva avvenga in tempi brevi.
Tuttavia ad oltre nove anni dalla sua adozione è ora altrettanto fonda-
mentale che nel processo di approvazione vengano apportate tutte le mo-
difiche necessarie per coordinarlo con il contesto territoriale ed economico
attuale e, soprattutto, con la pianificazione territoriale e urbanistica già
approvata o in itinere, ai vari livelli. Infatti il PTPR adottato contiene di-
versi elementi di criticità, più volte evidenziati, che sono oggi fortemente
limitativi per le esigenze di sviluppo territoriale. Di conseguenza il neces-
sario coordinamento e le indispensabili modifiche devono essere oppor-
tunamente calibrate per evitare che le indiscutibili esigenze di tutela del
paesaggio non abbiano ripercussioni negative sullo svolgimento delle cor-
rette attività per lo sviluppo economico e sociale nei territori.
La stessa definizione della tutela, articolata nel PTPR in “sistemi di pa-
esaggio” - naturale, agrario e insediativo - rischia di non cogliere le spe-
cifiche diverse peculiarità dei territori nella regione. Diverse associazioni
imprenditoriali, professionali e del territorio hanno elaborato una serie di
indicazioni sul PTPR, portate in questi mesi all’attenzione delle autorità
politiche regionali.
Innanzitutto emerge l’esigenza di aggiornare le cartografie del PTPR pri-
ma dell’approvazione finale da parte del Consiglio regionale. Per il PTPR
adottato, infatti, sono state utilizzate le carte tecniche regionali con i voli
del 1996 è del 1999 e la carta dell’uso del suolo del 2000. Ciò ha determi-
nato che il PTPR non sia in linea con l’assetto attuale del territorio: ad
esempio vengono classificate come paesaggio naturale o agrario aree già
edificate.
Per le aree libere, invece, il PTPR non ha tenuto conto della pianificazione
urbanistica e quindi numerose aree già previste come ambiti di trasfor-
mazione risultano nel PTPR classificate nell’ambito del paesaggio natu-
rale o del paesaggio agrario. Classificazioni grafiche erronee risultano an-
che rispetto alle decisioni già a suo tempo assunte dallo stesso Consiglio
regionale sulla precedente pianificazione paesaggistica dei PTP.
Ugualmente il PTPR in molti casi non ha tenuto conto di quanto previsto
dai piani di assetto dei parchi già approvati dal Consiglio regionale. Come
detto, l’intero territorio regionale è stato suddiviso e classificato del PTPR
nei “sistemi di paesaggio”, con grande confusione tra aree vincolate e non
vincolate e con risultati distorsivi per la pianificazione locale e per l’effet-
tivo utilizzo del territorio.
Il PTPR contiene inoltre una normativa alquanto confusa in materia di
tutela delle visuali, sia per la loro individuazione, molto dilatata, sia per
la disciplina, vaga, indeterminata e possibile oggetto di interpretazione
discrezionale. Fondamentali correzioni devono essere fatte al PTPR per
quanto riguarda i le aree sottoposte a vincolo da parte dello stesso piano
paesaggistico. Infatti, secondo la legge, il PTPR deve riportare i territori e gli
immobili già vincolati per legge, quelli vincolati con provvedimento dell’am-
ministrazione competente, nonché gli ulteriori immobili sottoposti a tute-
la dallo stesso piano paesaggistico. Per questi ultimi il PTPR adottato nel
2007 sconta la circostanza di essere stato elaborato allora sulla base di una
normativa successivamente modificata dal legislatore nazionale.
In sostanza il PTPR adottato ha dilatato su vaste aree e tipologie di ambi-
ti i nuovi vincoli del cosiddetto “patrimonio identitario”, mentre la nuova
normativa oggi vigente impone indicazioni molto più puntuali.
114 115 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’intervistaa FRANCESCO
NELLI
Sindaco
di Cittareale,
Serve un’edilizia che sappia guardareal futuro
Intervista al sindaco di Cittareale, uno dei comuni del reatino colpiti dal terremoto e più danneggiati dal sisma.
Lo scorso anno è stato definito “nero” per via dei numerosi danni causati dai tanti episodi sismici nell’Italia centrale. Cittareale è uno dei comuni colpiti dal terremoto del 24 agosto 2016. Come è stata affrontata l’emer-genza dalla vostra amministrazione? “Sono diventato sindaco il 6 giugno del 2016 e mai avrei pensato di dover
affrontare l’emergenza di un terremoto che il 24 agosto ci ha costretto a
dover ripensare dalle fondamenta la nostra vita. Dopo il sisma del 2016,
nel mio paese, pur non essendoci crolli, abbiamo dovuto far fronte sia all’i-
nagibilità totale della scuola, che a quella parziale dell’edificio comunale.
Nel contempo, abbiamo da subito dialogato con la Prefettura per i soccorsi
ad Amatrice ed Accumoli, mettendo a disposizione il nostro campo spor-
tivo come base operativa avanzata dei Vigili del Fuoco che intervenivano
ad Amatrice. Già da quei primi momenti, ho capito di dover prendere una
decisione che dopo il 30 ottobre è diventata una certezza: rimboccarci le
maniche e ripensare totalmente il nostro territorio ed il nostro vissuto. Le
scosse del 30 ottobre e del 18 gennaio 2017 hanno infatti reso inagibile
totalmente il municipio e ci hanno costretto a chiudere buona parte del
centro storico di Cittareale, situato a monte, in quanto le inagibilità erano
troppo estese. Così dopo i necessari confronti con la Protezione Civile e le
valutazioni del caso, abbiamo ritenuto opportuno di trasferire a valle, nei
pressi della strada Salaria, in un’area chiamata Ricci, sia la scuola che tutti
i servizi fondamentali per il nostro comune.”
Come sta avvenendo la ricostruzione? “In questo momento si stanno prendendo in considerazione i danni più
lievi e quindi le abitazioni classificate come ‘B’. Nei prossimi mesi siamo in
attesa di altri procedimenti amministrativi riguardanti le aree perimetrate
che, nel caso del mio comune, riguardano due frazioni. Sicuramente mi
aspetto che i procedimenti possano essere snelli. Siamo in contatto gior-
naliero con l’Ufficio Ricostruzione della Regione ed abbiamo organizzato
incontri informativi pubblici nelle settimane scorse. Capisco che la buro-
crazia spaventi i cittadini, ma il compito di chi rappresenta le istituzioni
deve essere quello di vigilare ed informare prontamente la popolazione su
di VIOLA MORETTI
Di conseguenza deve essere anche modificata sostanzialmente la norma-
tiva tecnica del Piano. Ad esempio per i beni archeologici il PTPR prevede
una tutela che, in moltissimi casi, va ben oltre le dimensioni del bene pun-
tuale, ricomprendendo nel vincolo vaste ulteriori porzioni di territorio circo-
stante definite “unità di paesaggio assolutamente eccezionali”.
Per gli ambiti da assoggettare a riqualificazione il PTPR prevede proce-
dure assai macchinose e indirette. Non sono state individuate procedure
dirette che possano invece assicurare la reale e rapida attuazione degli
interventi. In alcuni casi addirittura tali procedure sono in contrasto con
scelte urbanistiche già operate e condivise. Ulteriori criticità riguardano le
aree demaniali marittime, le attività estrattive e lo sviluppo delle attività
agricole.
Infine, con l’approvazione del PTPR deve essere chiarita inequivocabil-
mente la piena validità della pianificazione comunale generale e attua-
tiva già approvata definitivamente dalla Regione. Altrimenti si verrebbe
a determinare una lunga fase di estrema incertezza per ogni iniziativa a
livello territoriale, con l’effetto negativo di scoraggiare gli investimenti a
tutti i livelli nella nostra regione.
L’opinionedi GIACOMO
ROVERSI
Presidente
Edilformazione
Rieti
116 117 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
L’intervista
tutte le ordinanze che stanno susseguendosi in questi mesi. Trattandosi
di denaro pubblico occorre gestirlo nella maniera più trasparente e aderen-
te alle norme.”
Quali sono le priorità e le principali azioni da mettere in atto sul territo-rio per evitare nuovi disastri? “Io credo che nella fase di emergenza vera e propria, e mi sembra che il
mio pensiero sia condiviso da molti, si è ancora una volta data dimostra-
zione di grande preparazione da parte della Protezione Civile e da tutte le
Forze impegnate. E parliamo di un evento mai affrontato e che ha visto
numerose repliche. Quello che dobbiamo fare è capire che in una casa, in
un edificio pubblico, la priorità assoluta deve essere quella delle strutture
portanti. Molto spesso ci occupiamo di curare l’arredamento, gli impianti
all’interno delle case, che tuttavia rimangono strutture fatiscenti. Dobbia-
mo anche qui segnare un cambio di passo.”
Come fare perché la ricostruzione divenga un’opportunità di sviluppo? “Rimboccandoci le maniche e cercando di programmare il futuro in manie-
ra intelligente. La scelta di portare a valle i servizi, visto anche il periodo
storico attuale, ci è sembrata la più vincente e consona; oggi il nostro pae-
se va ripensato alla luce di nuove strategie digitali, di ecosostenibilità e di
costruzioni antisismiche. Solo rilanciando in questo modo e pensando alle
nostre produzioni tipiche e ai nostri tesori ambientali, possiamo affronta-
re questo periodo di difficoltà cercando di cogliere le opportunità che già
numerose abbiamo trovato sul nostro percorso.”
Quale ruolo può avere l’edilizia?
“L’edilizia ha un compito epocale: quello di ripensare in maniera ecoso-
stenibile e tecnologica (domotica) i nostri territori. Il dibattito sulle mo-
dalità costruttive è inevitabile in questi frangenti. Ma credo che più che
le tipologie di costruzione, dovremmo soffermarci su un’edilizia che sap-
pia guardare al futuro senza aver paura di utilizzare materiali innovativi e
sfruttare tutte le tecnologie, cercando nel contempo di non snaturare la
tipicità tradizionale delle nostre costruzioni. Credo che sia una sfida emo-
zionante e nel nostro paese sicuramente siamo all’avanguardia su queste
tematiche.”
Dal passato lezioni sul terremoto
Le regioni centrali si devono dotare di strutture formative competenti per ricostruire e prevenire i danni.
Il 24 agosto del 2016 si manifesta la più importante sequenza sismica re-
gistrata in Italia dal 1980, dal terremoto dell’Irpinia e Basilicata. Un feno-
meno imponente, con circa 77.000 scosse – più o meno 210 al giorno - che
abbraccia un’area di circa 600 km quadrati, interessando 4 regioni (Lazio,
Marche, Umbria e Abruzzo) in un territorio a pericolosità sismica molto
elevata, prevalentemente montano, sul quale insistono due grandi parchi
nazionali: quello dei monti Sibillini e dei monti della Laga. L’evento sismi-
co, secondo i dati forniti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia,
ha determinato un abbassamento del terreno di 20 cm ad Accumoli, di 18
a Castelsantangelo sul Nera e di 70 cm a Norcia. Ricercando negli annuari
dell’INGV, nella primavera del 1917 un evento sismico interessò un’area ri-
compresa tra le province di Perugia ed Arezzo: il terremoto di Monterchi e
Citerna. Il sismologo Emilio Oddone pubblicò i risultati di una visita al luogo
del disastro fatta circa venti giorni dopo l’evento. Nel suo rapporto scrisse:
“il terremoto fortissimo ha spazzato il mal fatto e ha anche guastato varie
costruzioni non cattive, ma si è spuntato contro i fabbricati a ossatura buo-
na; la qual cosa deve servire da monito e da conforto”. Anche nel 1917, come
ai giorni nostri, nelle settimane successive al terremoto si discusse l’ipo-
tesi di delocalizzare alcuni dei centri maggiormente danneggiati. A questo
proposito Oddone non ha dubbi: “quelle borgate si devono conservare, solo
occorre che le riparazioni e le ricostruzioni siano guidate dalle sagge norme
dell’ingegneria antisismica”. In poche parole, non c’è motivo di delocaliz-
zare, basta costruire come si deve. Oddone aggiunge poi una conclusione
estremamente lucida: “in quanto a noi sismologi, possiamo dire molte cose
assai più importanti di un presagio: possiamo dare agli ingegneri i dati che
permettono loro di costruire le case asismiche, intese a risolvere il grande
problema della sicurezza”. Correva l’anno 1917, ma quante analogie con il
presente? Eppure è trascorso un secolo e molti altri terremoti hanno scos-
so l’Italia con lutti e danni e nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo. Quale
imprenditore, tecnico, presidente di un ente di formazione e persona riten-
go ormai indifferibile la costruzione di un sistema formativo consapevole
e capace di intervenire, con competenza, sia a livello politico, sia a livello
sociale, per consolidare la cultura del costruire sicuro.
119 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017
eLa ricostruzione antisismica delle aree dell’Appennino rappresenta per il
Sistema Bilaterale delle Costruzioni e per il settore della formazione edile
un’occasione storica per misurarsi con problematiche complesse, destinate
ad aiutarci a comprendere in quali ambiti, a quali domande e con quali me-
todologie si debba svolgere un’attività di formazione tecnica, professionale,
ma anche culturale. É in questa logica che il Formedil ha ideato il progetto
formiamo il territorio. Negli incontri organizzati a Rieti, a Tolentino e a Nor-
cia, in tre delle quattro regioni colpite dal sisma nel 2016 (seguirà a novem-
bre un quarto incontro in Abruzzo) abbiamo avviato una riflessione finaliz-
zata proprio a comprendere meglio quale debba essere la formazione del
futuro. La ricostruzione post sisma infatti costituisce uno straordinario ter-
reno di valutazione delle criticità da un lato e delle opportunità dall’altro per
l’industria italiana delle costruzioni. Mettendo a fuoco questa complessità
collegata al tema nevralgico della messa in sicurezza e della rigenerazione
del nostro territorio è possibile individuare quali saranno i percorsi che ca-
ratterizzeranno il settore e le esigenze in termini di conoscenza, competen-
ze e professionalità. L’organizzazione degli incontri ha consentito di avviare
una riflessione e un confronto ampio e autorevole finalizzato alla messa a
punto di una proposta metodologica condivisa su come si debba affrontare
la questione della messa in sicurezza del territorio. Essa si fonda sulla ne-
cessità che il Paese e le istituzioni che lo governano a tutti i livelli si diano
un metodo, stabile, duraturo nel tempo e in grado sia di comprendere situa-
zioni ordinarie finalizzate alla salvaguardia del territorio, sia di affrontare le
emergenze e organizzare e pianificare la ricostruzione. Un metodo che pon-
ga al centro un progetto di rilancio economico, attento alla storia e alle iden-
tità delle popolazioni, in stretta connessione con le caratteristiche geologi-
che e con le vocazioni economiche espresse da queste aree. Un metodo che
affermi l’ordinarietà della gestione di programmi e risorse, accelerando una
crescita in termini di conoscenza. L’auspicio è di un piano di alcuni decenni
garantito da investimenti certi e adeguati, facendo tesoro delle esperienze
e dei progetti del passato con un utilizzo pieno delle potenzialità offerte
dalle nuove tecnologie e dalla ricerca. In una logica di formazione è oggi,
infatti, fondamentale conoscere le metodologie e i materiali più innovativi
disponibili sul mercato per costruire secondo una prospettiva high-tech e
utilizzare le principali tecnologie e gli strumenti migliori per la sicurezza e il
miglioramento statico degli edifici, in una logica di sostenibilità.
Ripensare la formazione per mettere in sicurezza il nostro territorio
di MASSIMO
CALZONI,
FRANCESCO
SANNINO
Presidente
e Vicepresidente
Formedil
EditorialeUna scelta di eccellenza.
Certificazioni e controlli per le costruzioni
ICMQ Spa20124 Milanovia Gaetano De Castillia, 10tel. 02.7015.081 - fax 02 7015.0854www.icmq.org - [email protected] w
ww
.icm
q.or
gCon il marchio ICMQ dai più valore alla tua azienda e ti distingui sul mercato.ICMQ, organismo di terza parte indipendente, è riconosciuto come partner competente, rigoroso ed affidabile, in grado di erogare la più ampia gamma dei servizi di certificazione nel mondo delle costruzioni.
ICMQPag.Generale_155,22x218,017.qxp_Layout 2 27/09/17 11:26 Pagina 1
120 121 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
di MARIA
GIGLIOLA
CIRRILLO
Comitato
Nazionale Aree
Interne Presidenza
Consiglio dei
Ministri
La Strategia Nazionale delle Aree Interne: come costruire comunità
Uno strumento di politica attiva e partecipata per sostenere la rico-struzione post sisma.
La Strategia Nazionale delle Aree Interne inserita nell’Accordo di Parte-
nariato 2014-2020 come una delle strategie orizzontali, adottata nel Pia-
no nazionale di riforma 2014 e 2015 come progetto strategico: “Un Paese
che Valorizzi le Diversità”, rappresenta oggi un’azione di governo. Uno
strumento di politica attiva che vede i territori protagonisti e decisori di
interventi, scelti per una qualificazione e un miglioramento dei servizi
essenziali e per una implementazione dello sviluppo locale, destinati a
contenere il processo di spopolamento e invertire il trend negativo.
Una politica di governo in piena attuazione, che per alcune aree prototipo
vede le Regioni e i territori con le amministrazioni centrali già sottoscrit-
tori degli accordi di programma quadro, strumenti di programmazione
operativa con cui Regioni, Centro e territori assumono impegni vincolanti
per la realizzazione degli obiettivi definiti nella strategia e che consento-
no di dare immediato avvio agli investimenti previsti. La strategia nazio-
nale ha rappresentato un metodo nuovo di fare politica territoriale che
ha ottenuto, dal 2012 ad oggi, il consenso di quattro governi nazionali
(Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) e il finanziamento delle risorse stanzia-
te a favore delle Aree Interne con tre Leggi di Stabilità 2014, 2015 e 2016,
per complessivi 190 Mln€.
Attualmente, sull’intero Paese sono state selezionate 72 Aree Interne
che interessano il 3,4 per cento della popolazione (2 milioni di abitanti
al 2011) e raccolgono ben il 16 per cento del territorio nazionale; le aree
hanno una dimensione media di circa 29 mila abitanti (15 Comuni) e coin-
volgono 1081 Comuni (oltre il 13 per cento dei Comuni italiani) con una
popolazione media di poco più di 1.900 abitanti.
La strategia delle Aree Interne costituisce un esempio di policy e un me-
todo di pianificazione territoriale assolutamente innovativo che connota
la sua governance perché si attua con una partecipazione multi-livello
delle istituzioni (Centro – Regioni – associazioni/Unioni di Comuni), si re-
alizza su due linee di azione convergenti e interdipendenti: investimenti
su filiere chiave e interventi sui servizi, prevedendo la copertura finan-
ziaria degli interventi sia con fondi europei gestiti dalle regioni, sia con
risorse nazionali. Riguarda un numero limitato di aree per regione, di cui
la prima viene denominata “prototipo” e si caratterizza per un processo
di selezione delle aree rigorosamente pubblico, trasparente e condiviso.
Si tratta di un processo di selezione (“Diagnosi Aperta”) che si avvale di
un insieme condiviso e innovativo di oltre 100 indicatori (OpenKit Aree
Interne), strumento vasto di diagnostica per la selezione delle aree pro-
poste dalle Regioni e che assiste il Comitato tecnico durante il complesso
lavoro di campo. A valle dell’istruttoria pubblica con cui si definiscono le
aree candidabili, la delibera regionale approva e indica le aree progetto,
individuando il “prototipo”, ovvero l’area che per prima avvia e definisce
una propria strategia.
La strategia nazionale muove dalla costruzione di un’idea-guida capace
di catalizzare competenze specifiche e modificare le tendenze negative
in atto sul territorio. Vede coinvolti in questo processo non solo i rap-
presentativi, ma anche i soggetti rilevanti, con l’obiettivo di andare in
discontinuità con le tendenze in atto per individuare i risultati che si in-
tendono raggiungere in termini di qualità di vita dei cittadini e le azioni
con cui farlo. È una strategia che parte dai bisogni e dalle risorse disponi-
bili (e non potenziali), che fa leva su tutte le “forze vive” per costruire vie
di fuga attorno alle “filiere cognitive” del territorio, legando interventi di
sviluppo e interventi permanenti sui servizi essenziali tali da massimiz-
zare il potenziale innovativo dell’area.
Ma la strategia nazionale delle Aree Interne si caratterizza anche per un
altro aspetto che costituisce una condizione trasversale rispetto ai ri-
sultati attesi di ogni area e che il Comitato tecnico delle Aree Interne ha
considerato sin dall’inizio una vera condizione necessaria alla candidabi-
lità dell’area per la selezione e ammissibilità alla strategia. Il prerequi-
sito della gestione associata di funzioni e/o servizi da parte dei comuni
facenti parte dell’area progetto, rappresenta, come definito dall’Accordo
di Partenariato, la capacità “di essere in grado di guardare oltre i propri
confini per rafforzare un reale potere di promozione e sviluppo, ma anche
di tutela del territorio. I Comuni costituiscono l’unità di base del proces-
so di decisione politica e in forma di aggregazione di comuni contigui,
i sistemi locali intercomunali, sono partner privilegiati per la definizio-
ne della strategia di sviluppo d’area e per la realizzazione dei progetti
di sviluppo”. Questa scelta necessitata da parte dei Comuni dell’area,
segnala l’esistenza di un assetto continuativo ed efficiente per l’eroga-
122 123 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
zione di suddetti servizi (ambiti ottimali), nonché un livello più appro-
priato di esercizio delle funzioni fondamentali. Essa è anche sintomo
dell’esistenza di quella maggiore capacità di progettazione e attuazione
di un’azione collettiva di sviluppo locale, nel senso richiesto dalla stra-
tegia nazionale per le Aree Interne. La soddisfazione del prerequisito, da
verificare prima della sottoscrizione dell’APQ, con il completamento del
processo di selezione delle aree e con la sperimentazione sul territorio
della capacità di aggregazione, ha convinto operatori e istituzioni che il
prerequisito, per non rimanere relegato ad un mero adempimento forma-
le, doveva declinarsi in capacità di progettazione e costituzione di assetti
istituzionali permanenti, coerenti con il processo di maturazione del do-
cumento di strategia. Non più quindi meri raggruppamenti temporanei
creati “su e per progetti\programmi di sviluppo”, (PIT, PISU, PIST, GAL,
ecc.), ma un concreto disegno di gestione ordinaria di funzioni fonda-
mentali e servizi locali che si allinea con i bisogni dichiarati, strumentali
ad una migliore condizione di vita.
Le gestioni associate, già conosciute e disciplinate dal Testo Unico de-
gli enti locali D.Lgs. 267/2000 (articolo 33), hanno assunto oggi valore
e obbligo per le piccole dimensioni; l’art. 14 del DL 78\2010 convertito
in Legge 122\2010 fissa per la prima volta l’obbligatorietà della gestio-
ne associata delle funzioni fondamentali dei Comuni con meno di 5.000
abitanti da realizzarsi esclusivamente nelle forme della Convenzione o,
in alternativa, della Unione .
Il Comitato tecnico delle Aree interne, nelle prime aree e durante le atti-
vità di accompagnamento alle amministrazioni comunali nonché di ana-
lisi del requisito, ha riscontrato luci ed ombre, criticità strutturali e ricor-
renti ma anche reali potenzialità. In particolar modo, sono emersi alcuni
elementi di contesto e fattori strutturali che hanno complicato e reso
complessa la realizzazione di un processo associativo in grado di raffor-
zare le capacità amministrative dei comuni dell’area. Le articolazioni che
i territori propongono sono svariate e flessibili, a geometria variabile, che
coinvolgono anche dimensioni organizzative e amministrative diverse,
ma che avviano un processo associativo costruito sulla adattabilità delle
forme ordinamentali alle esigenze territoriali e che mettono a gestione
associata più spesso servizi che funzioni, i più rispondenti alla strategia
dell’area disegnata dal territorio.
Quindi vediamo Unioni che si convenzionano, Comuni che si convenzio-
nano, Comuni e Unioni che si convenzionano, alcuni Comuni che si con-
venzionano con una Unione e altri Comuni con altra Unione.
L’esercizio di organizzazione amministrativa che i Comuni facenti par-
te dell’area strategica compiono deve rispondere a logiche percorribili in
base alle risorse umane e finanziarie che l’articolazione impone e che
la governance della gestione associata richiede. Tuttavia, il requisito si
considera soddisfatto solo se la pluralità di convenzioni sottoscritte, an-
che a geometria variabile fra i diversi enti e con distinti atti, si riduce a un
numero minimo, ovvero se il numero di convenzioni sottoscritte fra cia-
scuno dei Comuni sia ridotto ad una sola convenzione che coinvolga tut-
ti. Ulteriore aspetto che completa il processo innovativo della strategia è
la previsione di una Federazione delle Aree Interne che doni visibilità ma
soprattutto diventi uno strumento di comunicazione e interoperabilità
tra le aree rafforzando metodi, governance e migliorando la permeabilità
e trasmissibilità delle buone pratiche. In buona sostanza il naturale e
sano domandarsi come si è lavorato su tematiche specifiche e come le al-
tre aree hanno trovato una soluzione alle criticità emerse durante i lavori
di campo, individuando pratiche già sperimentate e capitalizzando rela-
zioni e realizzazioni, è nelle finalità di questa piattaforma informatica.
La Federazione ha quindi la funzione di promuovere l’incontro fra aree,
di veicolare in modo più trasparente e celere le sperimentazioni svolte
con l’evidenza dei percorsi, delle criticità e modalità di superamento
assolvendo ad una chiara esigenza di semplificazione e di snellimento
procedurale, agendo da portavoce verso i diversi livelli istituzionali di ri-
chieste legislative utili ad assicurare processi più efficaci ai bisogni dei
territori. L’istituzione trova la sua materia e spinta dal basso ma anche
un’animazione dal centro che con la visione ampia su tutte le aree inter-
ne del Paese sia meglio in grado di indirizzare e coordinare lo scambio di
conoscenze.
In conclusione possiamo considerare la strategia nazionale delle Aree In-
terne un nuova politica territoriale che mantiene in sé un forte carattere
pedagogico verso la politica nazionale, sia nel metodo sia negli strumen-
ti complessi e sofisticati che a monte reggono il sistema di valutazione
e analisi dei territori. Territori deboli sì, ma anche ricchi di risorse non
riconosciute e/o mal utilizzate, con un capitale umano poco ascoltato
nei bisogni sempre disattesi e nelle iniziative di saper fare che, pur atti-
vando piccole economie di mercato, possono produrre sviluppo locale di
evidenza se idoneamente assistite dai servizi. Opportunità per il nostro
paese di intervenire con modeste risorse nazionali su territori che hanno
accettato la sfida di costruire comunità vivibili e attrattive e che hanno
scelto, tra gli altri, la condivisione e la comunicazione quali strumenti di
resilienza.
124 125 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
di GIULIO
SANTAGATA
Consigliere
Nomisma
La rigenerazione non può prescindere dal territorio
Se è vero che le calamità naturali sono per tutti un momento di emer-genza, non si può comunque pensare di operare ovunque allo stesso modo. Esistono delle differenze storico-geografiche da analizzare per riflettere sulla ricostruzione.
Le scosse sismiche dello scorso anno hanno colpito un’area molto fragi-
le del Paese, sia dal punto di vista demografico che economico e che già
era stata interessata, salvo alcune eccezioni, da importanti fenomeni di
spopolamento e invecchiamento della popolazione. Si tratta di un territo-
rio vasto che abbraccia quattro regioni, composto da piccoli e piccolissimi
comuni. Dei 140 municipi coinvolti, la gran parte è sotto i 5mila abitanti e
molti non raggiungono i mille residenti. Un territorio per lo più collinare e
scarsamente popolato che, pur considerando i 4 capoluoghi di provincia
(Ascoli, Teramo, Rieti e Macerata), ha una densità media di 71 abitanti per
kmq, contro una media nazionale di 200 abitanti per Kmq.
Se vogliamo provare a dare una lettura generale e di funzione si potreb-
be affermare, con qualche eccezione, che vi sono due gruppi di comuni. Il
primo gruppo è costituito da comuni con funzioni residenziali. Rientrano
nella casistica i centri più popolosi, limitrofi alle città più grandi, in cui oltre
la metà dei residenti, secondo i dati Istat, si sposta quotidianamente per
motivi di studio o di lavoro. Poi vi è un secondo gruppo a cui si ascrivono
i comuni dei Monti Sibillini (tra Marche e Umbria) o della zona di confine
tra Marche, Abruzzo e Lazio, caratterizzati da un’elevatissima incidenza di
seconde case, anche superiore al 60 per cento (dato medio nazionale: 22,7
per cento). Per entrambe le tipologie si tratta di un territorio mediamen-
te povero in cui i livelli di reddito risultano mediamente al di sotto degli
standard nazionali (in 47 comuni il reddito medio per contribuente non
raggiunge i 15.000€ annui) e con una bassissima densità imprenditoriale
(il numero di unità locali per kmq risulta pari a 5,9, contro le 15,6 segnato
a livello nazionale). Un’area in cui la popolazione anziana ha un’incidenza
di gran lunga superiore alla media nazionale. In oltre 100 dei comuni col-
piti dal sisma per ogni under 14 si contano due over 65. Appare evidente
che rilanciare economicamente l’area significa, quindi, intervenire su un
paziente già malato dopo un evento acuto. Una situazione complessa e
radicalmente diversa da quella dei territori emiliani colpiti duramente dal
precedente sisma del 2012. Seppur certo che ogni calamità porti con sé
le cicatrici profonde e insanabili di un dramma umano, dal punto di vista
della “ricostruzione economica” si trattava, in Emilia Romagna, di interve-
nire con l’obiettivo di ripristinare uno stato di fatto. In quel caso era stata
coinvolta un’area che genera il 2 per cento del PIL nazionale, con un siste-
ma produttivo fatto di oltre 66.000 unità locali; territori con una profonda
e radicata specializzazione economico-produttiva che va dalle ceramiche,
al biomedicale, dalla meccanica all’agroalimentare. Allora si decise, oltre
alla indiscutibile esigenza di gestione delle emergenze, di dare priorità alle
scuole e alle attività produttive proprio perché potessero essere il traino
di un tentativo di ritorno alla “normalità”. Un’attenta programmazione e
una positiva e produttiva interlocuzione con gli Enti locali (peraltro ancora
in essere) hanno dato dei risultati tangibili sin da subito. Molte aziende
duramente colpite hanno ripreso la produzione, quasi senza soluzione di
continuità, e hanno anche colto (nella tragedia) l’occasione per innovare
capannoni, macchinari, impianti e cicli produttivi.
Il sisma del Centro Italia ha ferito invece un’area vasta con un tessuto de-
bole, frammentato e anche molto diversificato, fatta prevalentemente
di piccoli e piccolissimi centri e il rischio di spopolamento, a un anno dal
sisma, risulta forte e concreto. È questa la minaccia più insidiosa da con-
trastare con il massimo impegno. L’abbandono dei territori compromet-
terebbe alla base qualsiasi intervento di ricostruzione e il ripopolamento
diverrebbe operazione quasi impossibile. Resta evidente che, in una gra-
duatoria di priorità, la gestione dell’emergenza debba rivestire una posi-
zione di primo piano, ed è altrettanto vero che, se alla fase di ricostruzione
materiale non si accompagna un altrettanto idoneo processo di ricostru-
zione delle linee di sviluppo economico su cui incardinare i percorsi futuri,
gli sforzi risulterebbero di fatto inutili nel medio termine.
Intervenire tramite progetti di sviluppo implica costruire interventi che raf-
forzino la struttura economico sociale, in grado di fare leva sulle risorse di-
stintive presenti nelle diverse aree e attrarre investimenti da altre zone del
Paese e non solo. Laddove non esistano “vocazioni economiche” forti e in
grado di dettare i ritmi della ricostruzione, si rende necessario costruire pro-
getti concreti, magari di contenute dimensioni, ma in grado di alimentare
per prossimità uno spirito di impresa e accrescere l’occupazione. Progetti di
investimento mirati e in linea con le potenzialità locali, in grado di gemmare
e alimentare il debole tessuto economico, anche nel breve periodo.
È difficile ad oggi immaginare interventi che da soli possano essere in gra-
do di avviare un’epoca di rilancio.
126 127 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
La loro ricerca o la definizione di complesse strategie di sviluppo rischia-
no di essere un mero esercizio intellettuale. Mancano i tempi, le risorse e
forse anche le condizioni di base per disegnare strutturati processi su cui
impiantare sentieri di crescita. È piuttosto indispensabile lavorare per il
realizzabile a breve, certamente con l’idea della sedimentazione nel lungo
periodo e nel rispetto dei vincoli e delle potenzialità locali, ma evitando la
trappola della ricerca di “vision” troppo complesse e futuribili.
Riorganizzazione amministrativa dei comuni (troppo piccoli per poter far
fronte a sfide così complicate), investimenti produttivi, costruzione di li-
nee di attività legate alle trasformazioni demografiche e sociali, sono solo
alcuni dei cantieri da aprire e presidiare.
Con questo spirito, Nomisma sta in questi giorni iniziando un percorso che
si pone l’obiettivo finale di identificare alcuni progetti in grado di dare un
contributo all’imprenditoria locale, creando nuova occupazione in una pro-
spettiva di crescita alimentata dalle caratteristiche territoriali, rifuggendo
dalla logica del mero incentivo. Il progetto è articolato in fasi e si sta ora
procedendo a una consultazione dei decisori pubblici e delle parti econo-
miche. L’idea è quella di provare a dare, in un anno di attività di campo, un
contributo tangibile alla rinascita, anche facendo tesoro dei vari progetti
attivi, ad oggi, nell’area del sisma.
di MARICA
MERCALLI
Direttore
Sovrintendenza
archeologia, belle
arti, paesaggio
Umbria – MIBACT
Il risveglio dalle macerie
Il lavoro della Soprintendenza per il restauro e la conservazione del pa-trimonio storico-artistico regionale.
In ogni emergenza bisogna “fare presto”, bisogna correre contro il tempo, in-
dividuare subito su quali fronti concentrare le forze di “pronto soccorso” per
dare velocemente aiuto alle popolazioni colpite e poi provvedere alla messa
in sicurezza di quanto si può ancora salvare. Bisogna far fronte a mille ne-
cessità, combattere contro la paura, rassicurare le persone sulla tempestivi-
tà e sugli esiti degli interventi. Le forze delle varie componenti che si mobi-
litano: Stato, Regioni, Comuni, Diocesi, Protezione civile, Corpi dei Vigili del
fuoco, devono saper rapidamente fare squadra, agire congiuntamente senza
alcuna forma di sovrapposizione o ancor peggio di competizione. Rispetto al
patrimonio culturale, in questa come nelle molte emergenze terremoto che
hanno colpito il nostro Paese, si è manifestata una situazione particolare:
fin dall’inizio è emerso il forte attaccamento delle popolazioni ai loro beni,
si è espresso il riconoscimento di un profondo sentimento di appartenenza
per il valore che quei beni rivestono nella coscienza collettiva, non solo per
la loro importanza storico-artistica, ma anche per la forte connotazione reli-
giosa, in quanto legati a tradizioni locali spesso plurimillenarie.
Proprio quando tutto sembra perso: la casa, il lavoro, il paese con i suoi punti
di riferimento e di aggregazione, la chiesa e le cose che in essa sono conte-
nute divengono uno dei simboli di quella relazione fondamentale che aveva
costituto il tessuto connettivo di un borgo, perché nella chiesa si riconosce
il luogo in cui si sono svolte le feste collettive dell’anno liturgico, ma an-
che i momenti della vita privata legati alla celebrazione dei sacramenti e
le immagini della Madonna o dei Santi protettori sono quelle portate ogni
anno in processione, alle quali si regalano gli ex voto per le grazie ricevute. É
dunque dalla salvaguardia di questi beni che si deve partire per ridare fiducia
alle popolazioni così fortemente provate sul piano emotivo perché solo dalla
ricostruzione dei borghi antichi e dei centri storici delle città si potrà anche
ricostruire quel tessuto connettivo ed economico rappresentato in gran par-
te dalle capacità di attrattiva turistica.
Le operazioni di “messa in sicurezza” dei beni immobiliFin dall’inizio di settembre 2016 sono iniziati i lavori di “messa in sicurezza”
128 129 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
di alcuni edifici, le cui condizioni apparivano particolarmente gravi, e la co-
pertura delle macerie. Tali interventi sono stati finalizzati alla realizzazione
di opere provvisionali per evitare, o limitare, ulteriori danni alle strutture e
al patrimonio mobile in esse contenuto. La complessità e l’entità di alcune
“messe in sicurezza” ha richiesto il coinvolgimento di professionisti esterni
(ingegneri strutturisti) per la progettazione dei lavori, supportati in alcuni
casi dai Vigili del Fuoco. Ad oggi gli interventi conclusi sono 23; gli interventi
in corso 10; gli interventi in progettazione e in fase di affidamento 10. Sono
state anche realizzate molte coperture delle macerie cadute all’interno degli
edifici, sotto le quali si trovano ancora opere mobili.
Il più rilevante intervento di messa in sicurezza ha riguardato la basilica di
San Benedetto, di grande importanza storica poiché costruita su quella che
la tradizione indica come la casa paterna del Santo, nato verso il 480, sicura-
mente impiantata su un preesistente edificio pubblico romano, come atte-
stato dalle strutture presenti nella cripta. Le prime lesioni, seguite alla scos-
sa del 24, avevano destato preoccupazioni ma non si erano ancora verificati
crolli, se non nell’interno con parziali cadute di parte dei rivestimenti murari
e danneggiamento del tetto. La prima soluzione progettata per l’immediata
e “temporanea” messa in sicurezza della facciata della basilica (conclusa il
giorno 8 gennaio 2017, con il collegamento in controfacciata della trave reti-
colare in giunto-tubo alla struttura già posizionata in facciata il 22 dicembra
2016) è stata concordata con il Nucleo Interventi Speciali dei VVF e risponde
all’esigenza di puntellare la facciata, ma anche di creare le condizioni per con-
sentire la rimozione delle macerie e quindi procedere alla “messa in sicurez-
za” con la installazione di opere provvisionali anche all’interno della chiesa.
Ogni fase ha comportato una attenta progettazione ed un continuo confron-
to tecnico tra gli ingeneri strutturisti, la Soprintendenza e i Vigili del Fuoco.
Quasi subito (novembre 2016) è stata realizzata anche la messa in sicurezza
della Torre del Palazzo civico che aveva già subito gravi lesioni a seguito del
sisma del 1703, con l’abbattimento per circa la metà della sua altezza e la
successiva ricostruzione nel 1736. La cella campanaria presentava, dopo la
scossa del 30 ottobre, una preoccupante rotazione con possibile crollo sulla
facciata di san Benedetto. Si provvide pertanto alla sua ‘cinghiatura’, porta-
ta a termine in tempi velocissimi, con un mese circa di lavoro.
Anche la cattedrale di santa Maria Argentea e la chiesa di san Francesco,
edifici di grande rilevanza nel centro storico di Norcia, la prima costruita tra il
1560 e il 1574, la seconda più antica portata a termine su precedente edificio
verso il 1385, presentavano danni ingenti per il crollo dei tetti e della metà
circa del corpo superiore degli edifici.
Per santa Maria Argentea è stato terminato l’intervento di messa in sicurez-
za del campanile (su progetto dello studio di Stefano Podestà) , che versava
in condizioni simili a quelle della torre civica, e della facciata con l’utilizzo di
tubi giunto.
Prelievo e messa in sicurezza dei beni mobiliContemporaneamente alla messa in sicurezza degli edifici è stata svolta
l’attività di prelievo dei beni mobili dalle chiese danneggiate, sotto la sor-
veglianza della Soprintendenza e di concerto con Vigili del fuoco, Carabinieri
del Nucleo tutela del Patrimonio culturale e Protezione civile, e il loro ricove-
ro nel deposito predisposto dalla Regione Umbria fin dal 2008, nella località
di S.Chiodo nei pressi di Spoleto.
Ad oggi nel deposito sono stati ricoverati circa 5400 beni, comprese oltre
2.300 cassette di materiali di scavo, ed inoltre 1.800 ml di documentazione
archivistica e 5.000 volumi. È previsto il recupero di altri beni mobili e di altri
archivi storici. È stato inoltre avviato, con la direzione scientifica dell’Istituto
Superiore per la Conservazione e il Restauro e con la collaborazione della
Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell’Umbria, un cantiere
di recupero e messa in sicurezza dei frammenti di affreschi della chiesa ro-
manica di San Salvatore a Campi quasi totalmente distrutta, per la quale è
stato ultimata una grande tettoia di protezione. Ad oggi sono stati recupe-
rati numerosissimi frammenti di affreschi che saranno ricomposti sulla base
del progetto dei restauratori dell’Istituto. La selezione delle macerie in tutti
i cantieri ha comportato una grande lavoro per il loro riconoscimento e la
documentazione (le pietre e i frammenti architettonici sono stati numerati
e mappati in grafici delle aree di prelievo) al fine di un loro riutilizzo nelle
future ricostruzioni.
La fase di transizione che si sta profilando, dalla prima emergenza alla pro-
gettazione della ricostruzione, comporta nuove riflessioni sulle linee guida
in base alle quali la ricostruzione si dovrà orientare, al fine di dare un in-
quadramento il più possibile unitario alle operazioni, che saranno affidate
agli uffici di tutela del MiBACT ma anche ai Comuni e alle Diocesi, e una
risposta ai molti interrogativi che si pongono, soprattutto a riguardo delle
situazioni più gravi e critiche come quelle rappresentate dalla quasi totale
perdita dei tessuti urbani (un esempio su tutti è quello rappresentato da Ca-
stelluccio di Norcia). Operare nel senso e nel segno di una possibile riconse-
gna alle popolazioni dei loro monumenti, tentando ricostruzioni fedeli, ove
si rintracceranno radici vitali di quei tessuti dilaniati, e ricollocazioni delle
opere restaurate negli edifici da cui provengono, costituisce un dovere civico,
contrassegnato anche da un’altissima valenza etica.
130 131 CIVILTà DI CANTIERE N. 03/04 2017N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
Beni culturali in zona sismica: non c’è conservazione senza sicurezza
Per avviare un percorso di ricostruzione virtuoso bisogna puntare su conoscenza e formazione.
I terremoti avvenuti in Italia negli ultimi anni hanno fatto crollare centi-
naia di chiese, distruggendo affreschi e danneggiando gravemente sta-
tue, dipinti e quant’altro era contenuto in quelle costruzioni. Solo il caso,
“scegliendo” orari che non erano quelli delle funzioni religiose, ha evitato
che a tali perdite si aggiungessero centinaia di vite umane. Molti crolli
sono avvenuti anche in edifici di culto che di recente erano stati oggetto
di interventi, anche economicamente rilevanti, di restauro conservativo.
Si pensi, ad esempio, ai quasi 8 Mln di Euro che negli ultimi 15 anni sono
stati spesi per lavori di restauro di cinque costruzioni “tutelate” del cen-
tro storico di Norcia (la Cattedrale di San Benedetto, la Concattedrale di
Santa Maria Argentea, la chiesa del crocefisso, l’ex chiesa di San Fran-
cesco e il monastero di Santa Maria della Pace). Questi dati sono noti
grazie al sito istituzionale della Regione Umbria che elenca gli importi
delle opere eseguite dal 2000 in avanti, ma molti altri interventi “con-
servativi” erano stati fatti a Norcia anche negli anni precedenti, in parti-
colare dopo il sisma del 1979. Tutte queste chiese sono crollate o hanno
riportato danni gravissimi per le scosse sismiche del 2016.
Accanto alle loro macerie - coperte ora da pietosi teli - ci sono centinaia
di edifici ordinari che non hanno riportato alcun danno significativo, o al
più sono stati lesionati, ma non hanno subìto crolli importanti. Queste
(pur modeste) costruzioni hanno fornito un’ottima risposta alle scosse
del 2016, grazie agli interventi di consolidamento che erano stati fatti
negli anni passati. Gli unici edifici ordinari del centro di Norcia che hanno
avuto crolli veri e propri sono quelli su cui nessuno era mai intervenuto.
C’è da chiedersi quindi come mai quegli edifici “tutelati” su cui erano
stati fatti interventi, anche importanti, abbiano avuto esiti così infausti.
La domanda, ovviamente, è retorica. Sappiamo bene che la mancanza di
una cultura antisismica all’interno delle Soprintendenze (come anche in
buona parte degli operatori del settore) ha fatto pendere gli interventi
in questione verso gli aspetti non strutturali, limitando ogni provvedi-
mento che andasse ad interessare in modo sostanziale le murature o le
strutture in genere.
Alla luce di quanto avvenuto, ci sono alcune riflessioni che dovremmo
fare. C’è sicuramente, negli operatori del settore, un problema di cono-
scenza dei problemi strutturali delle costruzioni storiche in zona sismica,
ma chi ha la responsabilità (= il dovere) di tutelare questi beni dovrebbe
distinguere tra le situazioni a rischio limitato o nullo (= edifici struttural-
mente non problematici, in aree a scarsa sismicità) e quelle notoriamen-
te ad elevato rischio (le chiese, in zone altamente sismiche) calibrando di
conseguenza il livello di attenzione, e quindi dell’intervento, sulla base
delle diverse esigenze.
Chi ha la responsabilità di preoccuparsi della incolumità delle persone
che possono trovarsi dentro quelle costruzioni dovrebbe poter richiedere,
nell’interesse della società tutta, il rispetto di un livello minimo, indero-
gabile, per la sicurezza di queste costruzioni.
Così, se è ormai assodato che per i beni culturali non si può pretendere
il livello di sicurezza dell’adeguamento sismico (quello, per intendersi,
delle nuove costruzioni) ma si deve invece mirare al “miglioramento”
delle prestazioni, dovrebbe essere altrettanto evidente che il livello di
tale miglioramento non può essere lo stesso, indifferenziato, in tutte le
zone di Italia e per qualsiasi tipologia di bene culturale, ma dovremmo
porci l’obiettivo di raggiungere un livello di miglioramento “adeguato”
alle problematiche specifiche del manufatto e della zona.
Per conseguire questa capacità di discernimento e di giudizio, nel bilan-
ciamento delle (solo apparentemente) opposte esigenze della conserva-
zione e della sicurezza, l’unica strada è quella della conoscenza, che qui,
in pratica, significa aggiornamento/qualificazione dei funzionari delle
Soprintendenze e dei tecnici, in generale, che operano sui beni culturali.
Si ricorda, solo per inciso, che in moltissime situazioni, per raggiungere
quel livello di “miglioramento adeguato” di cui sopra, potrebbero essere
sufficienti pochi ma “sapienti” interventi non invasivi, o comunque re-
versibili, come incatenamenti, speroni, costolature, barbacani, etc., che
appartengono a pieno diritto al restauro architettonico, ma che spesso,
proprio per quella mancanza di conoscenza/consapevolezza di cui sopra,
non vengono adottati/consentiti dalle Soprintendenze.
Questo argomento appare centrale nel momento attuale, in vista della
ricostruzione dei beni culturali nel Centro Italia; con quali criteri si pro-
getteranno, si approveranno e si realizzeranno questi interventi? Si ri-
percorreranno le vie seguite sino ad ora, cioè quelle che hanno portato
L’opinione L’opinionedi ANTONIO
BORRI
Professore
Ordinario di
Scienza delle
Costruzioni
132 N. 03/04 2017 CIVILTà DI CANTIERE
ad esiti così disastrosi? La speranza è che non si continui a condizionare
totalmente i progettisti, che peraltro sono quelli che vengono poi chia-
mati a rispondere per quello che non è stato consentito loro di fare, come
forse accadrà anche adesso, per i crolli del 2016.
Infine, più in generale, e forse più di ogni altra cosa, colpisce l’incapacità
di tutti noi di ricordare e di fare tesoro delle esperienze trascorse: passa-
to qualche mese dall’ultimo sisma, nessuno infatti pensa più al rischio
- che in realtà è una certezza - di trovarsi di fronte a nuovi disastrosi
eventi. Anche stavolta tutto verrà rimosso dalle nostre menti e tornere-
mo a comportarci come se nulla fosse accaduto? Se è così, allora siamo
condannati a rivivere nuovamente queste catastrofi, nelle stesse aree o
in aree vicine a quelle colpite nel 2016 o in altre zone di cui, comunque,
conosciamo bene la pericolosità. Sappiamo (= siamo certi) che accadrà
nuovamente.
La speranza è che si comprenda che, almeno in quelle zone così a rischio,
la direzione da intraprendere per evitare ulteriori gravi perdite di edifici
storici, di chiese e di quanto può trovarsi al loro interno, è quella della
sicurezza.
L’opinione