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20 CRITICAsociale 1-2 / 2011 I l tema della giustizia è talmente vasto che ogniqualvolta si affron- ta la questione sia pure in astratto, ognuno conduce questa astrazione alla concre- tezza della vita vissuta. “Il cittadino si imbatte con la giustizia per- chè il bisogno di trovare un punto di equilibrio nelle controversie non trova altro luogo di ri- composizione se non nel ricorso alla giustizia: si tratta di vicende minime, dal condomino all’occupazione di uno spazio, all’incidente stradale, insomma il ricorso alla giustizia è il ricorso definitivo dei conflitti quotidiani, an- che dei più piccoli”. Naturalmente le questioni che emergono quando si affronta il tema della giustizia, ri- guardano anche gli alti costi che si debbono sostenere, soprattutto da parte dei ceti più de- boli. Tutto questo appartiene alla dinamica della società. Per Rino Formica, che è interve- nuto nell’ultimo periodo con una accentuata frequenza in occasione della Riforma costitu- zionale della Giustizia, di cui ha criticato il fat- to che sia stata presentata dal governo e non in Parlamento, “il dato socialmente rilevante nel rapporto con la Magistratura, ciò che crea il maggiore turbamento, è l’incognita se ci si tro- verà di fronte al “giudice giusto”. “Per affrontare la vera questione della giu- stizia - sostiene - occorre procedere con un metodo di distinzione logico-razionale degli aspetti prioritari: ci sono problemi di efficien- za, ci sono problemi di durata dei processi, ci sono problemi di norme da adeguare ai muta- menti costanti della società, problemi di col- legamento tra diritto nazionale e diritti di altri paesi, ecc. La sua stessa natura rende la giu- stizia ricca di problemi che non possono essere considerati risolti in assoluto una volta per sempre, ma necessita di correzioni ed aggiu- stamenti”. Recentemente è stato proposto un appello (sottoscritto anche dalla Critica Sociale) perchè la sinistra non sia più pregiudizial- mente ostile a discutere finalmente del tema della Giustizia in presenza della Riforma costituzionale presentata dal Governo. “L’appello affronta una questione giusta in forma insufficiente ed alquanto elusiva. Conosco l’onestà intellettuale e la serietà e coerenza sul punto dei tre proponenti, ma ri- tengo che il loro invito resterà una esortazione perchè non incide su le ragioni politiche che impediscono alla sinistra ufficiale di uscire dal “voglio ma non posso”. Questa sinistra subisce da venti anni l’espansione politica del potere giudiziario. Alla sinistra non riuscì il tentativo maldestro di piegare la maggioranza della magistratura alle sue direttive e si rassegnò a subire il potere della corporazione. Errore fu quello di voler piegare la magistra- tura ed errore simmetrico è quello della magi- stratura che vuole piegare la politica conside- rata capace di produrre metastasi istituzionali. La rottura dell’equilibrio paritario tra Parla- mento e togati nel CSM, come avevano ben visto i costituenti, da Calamandrei a Togliatti, da Dossetti a Ruini, da Targetti a Rossi, ha da- to vita alla repubblica dei giudici. In uno Stato di diritto se una corporazione domina l’insieme tutto regredisce sino alle pri- mitive regole delle tribù. L’appello evita di af- frontare la questione della ineguale struttura del CSM perchè la sinistra alla quale si rivolge è affaticata, debole e subalterna. Tra il ’92 ed il ’97, fu modificato il confine tra potere politico rappresentativo ed ordine giudiziario. La rappresentanza elettiva ebbe la legittimazione popolare ma fu circondata da crescente discredito. L’ordine giudiziario non ebbe mai il formale consenso popolare, ma vi- de crescere intorno a sè la tolleranza dinanzi al suo sconfinare nell’esercizio di fatto del po- tere politico. Dal ’97 ad oggi il prestigio della politica non è cresciuto, ma si è anche affie- volito il riconoscimento popolare al graduale e progressivo espansionismo politico dell’or- dine giudiziario. Ecco dove è la ragione del blocco istituzionale. La magistratura ha invaso il terreno della politica ma è senza scettro an- che se può fare del male. La politica è senza la spada, anche se può minacciare. Una sta- gnazione ribollente può durare, ma a lungo an- dare prepara il terreno della rivolta istituzio- nale. Tornare alla saggezza dei costituenti del 1946, trascurando gli adattamenti dei costi- tuenti di fine 1947, è il terreno sul quale può avvenire il dialogo tra politica e magistratura. Questo è l’appello che mi sentirei di sotto- scrivere. Il resto è esercizio muscolare che an- nuncia tempi oscuri”. Cosa accadde allora? “Quando si decise come intitolare il Titolo IV della Costituzione, ci fu una accesa discus- sione: ci furono i sostenitori dell’intitolazione “La Magistratura”, che indicavano l’ intenzione di affrontare l’ argomento così come nel Capi- tolo III, cioè come tema specifico, ma sempre relativo alla Pubblica Amministrazione per re- golarne l’attività nel quadro dell’ equilibrio dei poteri dello Stato. Ci fu chi ritenne di mettere invece un titolo più vasto, per affrontare nel suo complesso il tema della “Giustizia”. E ci furono infine coloro che sostennero doversi in- titolare,”Il Potere giudiziario”. Passò la soluzione di mettere il titolo: “La Magistratura”. Quindi non la “Giustizia”, per codificare una grande aspirazione umana, ma “Magistratura” per la regolamentazione di una “attività umana”. E si escluse che dovesse es- sere un “potere”. Le proposte avanzate dai co- stituenti Mastino e Persico di intitolare il capi- tolo “Potere giudiziario” furono accantonate. Cosa si voleva stabilire, quindi, nel momen- to in cui si escludeva che la Magistratura fosse un “potere”? Si fissò nell’articolo 101, il pri- mo del Titolo IV, che la giustizia è ammini- strata “in nome del popolo” e che i giudici so- no soggetti “soltanto alla legge”. Questo arti- colo 101 va letto in connessione con l’articolo 1: la Sovranità appartiene al popolo che la esercita secondo le forme e i limiti della Co- stituzione, ossia attraverso le leggi nel rispetto delle norme costituzionali. Quindi c’è una connessione tra la Sovranità popolare e la Magistratura che non è un potere, perchè non discende dalla sovranità popolare, e pertanto non ha un potere autonomo rispetto agli altri poteri costituzionali. E’ una connes- sione in cui l’incontro tra la Politica (che è l’espressione della sovranità popolare attraver- so gli strumenti della dialettica democratica) e la Magistratura, diventa il punto essenziale. I costituenti discussero dell’autonomia della magistratura, e non ci fu nessuno che ritenne che la magistratura non dovesse essere auto- noma o che dovesse dipendere gerarchicamen- te da qualche potere, nè dall’esecutivo, nè da alcun altro potere. Avrebbe dovuto deliberare in assoluta autonomia e libertà. E qui sta il punto cruciale per ciò che inten- diamo costituzionalmente per “autonomia” della Magistratura. Perchè essendo l’ammini- strazione della giustizia un’ ”attività umana” - e non un’ attività divina - essa è esercitata dagli uomini, i quali possono agire al massimo “ad immagine e somiglianza” del divino, ma senza esserlo e quindi mai infallibili, con tutti i limiti di ciò che è umano rispetto all’ ”universalmen- te giusto”. Dunque “autonomia” nel vigilare, control- lare, giudicare su qualcosa, come la Giustizia, che supera la sfera dell’umano, è tuttavia svol- ta nei limiti propri dell’ agire umano, e neces- sita quindi di una istituzione nella quale si ri- componga un equilibrio tra sovranità popolare e ordine giudiziario”. Si tratta appunto del Csm. “Il punto di equilibrio si raggiunse attraver- so l’idea che l’organo di controllo fosse pari- tario tra espressione del potere democratico, della sovranità popolare (quindi articolo 1) e un riconoscimento dell’autonomia della Ma- gistratura (art. 101): parità nella composizione del Csm tra rappresentanza di origine parla- mentare e rappresentanza dell’ordine giudizia- rio. Questo è il punto decisivo sul quale av- venne la composizione anche delle normative successive, tra le quali quelle relative all’in- terpretazione della distinzione delle funzioni tra magistratura inquirente e magistratura giu- dicante, così come quelle relative a come in- terpretare la giusta norma dell’obbligatorietà dell’azione penale. In materia di giustizia non bisogna avere preconcetti, perchè la sua amministrazione è un campo soggetto al continuo trasformarsi delle dinamiche sociali. Del resto la tesi del- l’interpretazione dinamica della legge è sem- pre stata presente nella cultura socialista. Pro- prio negli anni ’60 fu l’iniziativa socialista che sviluppò nel dibattito politico la necessità che il magistrato non giudicasse in termini cristal- lizzati, ma interpretasse le norme in relazione alla situazione sociale. Magistratura Democra- tica nasce da un’iniziativa dei socialisti; i “pre- tori d’assalto” erano nelle commissioni giusti- zia del partito socialista. Quindi non ci faccia- mo velo. Non siamo contrari all’autonomia della magistratura. Ma cosa avvenne nella fine di vita del- l’Assemblea costituente. Perchè fai diffe- MAGISTRATURA IL COLORE POLITICO È STRUMENTALE ALLA DIFESA DEI PRIVILEGI DELLA CORPORAZIONE NÉ ROSSE, NERE: LE TOGHE SONO GIALLE Rino Formica

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Page 1: MAGISTRATURA IL COLORE POLITICO È STRUMENTALE … · 20 CRITICAsociale 1-2 / 2011 I l tema della giustizia è talmente ... so l’idea che l’organo di controllo fosse ... zia del

20 ■ CRITICAsociale1-2 / 2011

I l tema della giustizia è talmentevasto che ogniqualvolta si affron-ta la questione sia pure in astratto,

ognuno conduce questa astrazione alla concre-tezza della vita vissuta.

“Il cittadino si imbatte con la giustizia per-chè il bisogno di trovare un punto di equilibrionelle controversie non trova altro luogo di ri-composizione se non nel ricorso alla giustizia:si tratta di vicende minime, dal condominoall’occupazione di uno spazio, all’incidentestradale, insomma il ricorso alla giustizia è ilricorso definitivo dei conflitti quotidiani, an-che dei più piccoli”.

Naturalmente le questioni che emergonoquando si affronta il tema della giustizia, ri-guardano anche gli alti costi che si debbonosostenere, soprattutto da parte dei ceti più de-boli. Tutto questo appartiene alla dinamicadella società. Per Rino Formica, che è interve-nuto nell’ultimo periodo con una accentuatafrequenza in occasione della Riforma costitu-zionale della Giustizia, di cui ha criticato il fat-to che sia stata presentata dal governo e non inParlamento, “il dato socialmente rilevante nelrapporto con la Magistratura, ciò che crea ilmaggiore turbamento, è l’incognita se ci si tro-verà di fronte al “giudice giusto”.

“Per affrontare la vera questione della giu-stizia - sostiene - occorre procedere con unmetodo di distinzione logico-razionale degliaspetti prioritari: ci sono problemi di efficien-za, ci sono problemi di durata dei processi, cisono problemi di norme da adeguare ai muta-menti costanti della società, problemi di col-legamento tra diritto nazionale e diritti di altripaesi, ecc. La sua stessa natura rende la giu-stizia ricca di problemi che non possono essereconsiderati risolti in assoluto una volta persempre, ma necessita di correzioni ed aggiu-stamenti”.

Recentemente è stato proposto un appello(sottoscritto anche dalla Critica Sociale)perchè la sinistra non sia più pregiudizial-mente ostile a discutere finalmente del temadella Giustizia in presenza della Riformacostituzionale presentata dal Governo.

“L’appello affronta una questione giusta informa insufficiente ed alquanto elusiva.

Conosco l’onestà intellettuale e la serietà ecoerenza sul punto dei tre proponenti, ma ri-tengo che il loro invito resterà una esortazioneperchè non incide su le ragioni politiche cheimpediscono alla sinistra ufficiale di uscire dal“voglio ma non posso”.

Questa sinistra subisce da venti annil’espansione politica del potere giudiziario.

Alla sinistra non riuscì il tentativo maldestrodi piegare la maggioranza della magistraturaalle sue direttive e si rassegnò a subire il poteredella corporazione.

Errore fu quello di voler piegare la magistra-tura ed errore simmetrico è quello della magi-stratura che vuole piegare la politica conside-rata capace di produrre metastasi istituzionali.La rottura dell’equilibrio paritario tra Parla-mento e togati nel CSM, come avevano benvisto i costituenti, da Calamandrei a Togliatti,da Dossetti a Ruini, da Targetti a Rossi, ha da-to vita alla repubblica dei giudici.

In uno Stato di diritto se una corporazionedomina l’insieme tutto regredisce sino alle pri-mitive regole delle tribù. L’appello evita di af-frontare la questione della ineguale strutturadel CSM perchè la sinistra alla quale si rivolgeè affaticata, debole e subalterna.

Tra il ’92 ed il ’97, fu modificato il confinetra potere politico rappresentativo ed ordinegiudiziario. La rappresentanza elettiva ebbe lalegittimazione popolare ma fu circondata dacrescente discredito. L’ordine giudiziario nonebbe mai il formale consenso popolare, ma vi-de crescere intorno a sè la tolleranza dinanzial suo sconfinare nell’esercizio di fatto del po-tere politico. Dal ’97 ad oggi il prestigio dellapolitica non è cresciuto, ma si è anche affie-volito il riconoscimento popolare al gradualee progressivo espansionismo politico dell’or-dine giudiziario. Ecco dove è la ragione delblocco istituzionale. La magistratura ha invasoil terreno della politica ma è senza scettro an-che se può fare del male. La politica è senzala spada, anche se può minacciare. Una sta-gnazione ribollente può durare, ma a lungo an-dare prepara il terreno della rivolta istituzio-nale. Tornare alla saggezza dei costituenti del1946, trascurando gli adattamenti dei costi-tuenti di fine 1947, è il terreno sul quale puòavvenire il dialogo tra politica e magistratura.

Questo è l’appello che mi sentirei di sotto-scrivere. Il resto è esercizio muscolare che an-nuncia tempi oscuri”.

Cosa accadde allora?“Quando si decise come intitolare il Titolo

IV della Costituzione, ci fu una accesa discus-sione: ci furono i sostenitori dell’intitolazione“La Magistratura”, che indicavano l’ intenzionedi affrontare l’ argomento così come nel Capi-tolo III, cioè come tema specifico, ma semprerelativo alla Pubblica Amministrazione per re-golarne l’attività nel quadro dell’ equilibrio deipoteri dello Stato. Ci fu chi ritenne di mettereinvece un titolo più vasto, per affrontare nelsuo complesso il tema della “Giustizia”. E cifurono infine coloro che sostennero doversi in-titolare,”Il Potere giudiziario”.

Passò la soluzione di mettere il titolo: “LaMagistratura”. Quindi non la “Giustizia”, percodificare una grande aspirazione umana, ma“Magistratura” per la regolamentazione di una“attività umana”. E si escluse che dovesse es-sere un “potere”. Le proposte avanzate dai co-stituenti Mastino e Persico di intitolare il capi-tolo “Potere giudiziario” furono accantonate.

Cosa si voleva stabilire, quindi, nel momen-to in cui si escludeva che la Magistratura fosseun “potere”? Si fissò nell’articolo 101, il pri-mo del Titolo IV, che la giustizia è ammini-

strata “in nome del popolo” e che i giudici so-no soggetti “soltanto alla legge”. Questo arti-colo 101 va letto in connessione con l’articolo1: la Sovranità appartiene al popolo che laesercita secondo le forme e i limiti della Co-stituzione, ossia attraverso le leggi nel rispettodelle norme costituzionali.

Quindi c’è una connessione tra la Sovranitàpopolare e la Magistratura che non è un potere,perchè non discende dalla sovranità popolare,e pertanto non ha un potere autonomo rispettoagli altri poteri costituzionali. E’ una connes-sione in cui l’incontro tra la Politica (che èl’espressione della sovranità popolare attraver-so gli strumenti della dialettica democratica) ela Magistratura, diventa il punto essenziale.

I costituenti discussero dell’autonomia dellamagistratura, e non ci fu nessuno che ritenneche la magistratura non dovesse essere auto-noma o che dovesse dipendere gerarchicamen-te da qualche potere, nè dall’esecutivo, nè daalcun altro potere. Avrebbe dovuto deliberarein assoluta autonomia e libertà.

E qui sta il punto cruciale per ciò che inten-diamo costituzionalmente per “autonomia”della Magistratura. Perchè essendo l’ammini-strazione della giustizia un’ ”attività umana” -e non un’ attività divina - essa è esercitata dagliuomini, i quali possono agire al massimo “adimmagine e somiglianza” del divino, ma senzaesserlo e quindi mai infallibili, con tutti i limitidi ciò che è umano rispetto all’ ”universalmen-te giusto”.

Dunque “autonomia” nel vigilare, control-lare, giudicare su qualcosa, come la Giustizia,che supera la sfera dell’umano, è tuttavia svol-ta nei limiti propri dell’ agire umano, e neces-sita quindi di una istituzione nella quale si ri-componga un equilibrio tra sovranità popolaree ordine giudiziario”.

Si tratta appunto del Csm.“Il punto di equilibrio si raggiunse attraver-

so l’idea che l’organo di controllo fosse pari-tario tra espressione del potere democratico,della sovranità popolare (quindi articolo 1) eun riconoscimento dell’autonomia della Ma-gistratura (art. 101): parità nella composizionedel Csm tra rappresentanza di origine parla-mentare e rappresentanza dell’ordine giudizia-rio. Questo è il punto decisivo sul quale av-venne la composizione anche delle normativesuccessive, tra le quali quelle relative all’in-terpretazione della distinzione delle funzionitra magistratura inquirente e magistratura giu-dicante, così come quelle relative a come in-terpretare la giusta norma dell’obbligatorietàdell’azione penale.

In materia di giustizia non bisogna averepreconcetti, perchè la sua amministrazione èun campo soggetto al continuo trasformarsidelle dinamiche sociali. Del resto la tesi del-l’interpretazione dinamica della legge è sem-pre stata presente nella cultura socialista. Pro-prio negli anni ’60 fu l’iniziativa socialista chesviluppò nel dibattito politico la necessità cheil magistrato non giudicasse in termini cristal-lizzati, ma interpretasse le norme in relazionealla situazione sociale. Magistratura Democra-tica nasce da un’iniziativa dei socialisti; i “pre-tori d’assalto” erano nelle commissioni giusti-zia del partito socialista. Quindi non ci faccia-mo velo. Non siamo contrari all’autonomiadella magistratura.

Ma cosa avvenne nella fine di vita del-l’Assemblea costituente. Perchè fai diffe-

MAGISTRATURA ■ IL COLORE POLITICO È STRUMENTALE ALLA DIFESA DEI PRIVILEGI DELLA CORPORAZIONE

NÉ ROSSE, NÉ NERE: LE TOGHE SONO GIALLE

Rino Formica

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CRITICAsociale ■ 211-2 / 2011

renza tra i costituenti del ’46 e le conclusio-ni del ’47?

Nel novembre del 47, pochi giorni primadella chiusura dei suoi lavori, questo equilibriofu rotto con l’”emendamento Scalfaro”. Que-sto emendamento prevedeva la composizionedel Csm in “due terzi/un terzo” nel rapportotra toghe e rappresentanza parlamentare, e tro-vò l’ opposizione della parte più dinamica del-la Costituente, tra cui i democristiani Dossetti,Moro, La Pira, Perassi, i socialisti, i comunisti,i liberaldemocratici, compreso il presidentedella Commissione dei 75, Meuccio Ruini. Vifu una votazione tormentata ed incerta che die-de al blocco conservatore la maggioranza, conun’assenza del 40 per cento dei parlamentaricostituenti, che furono presenti al voto in 315-320 su 556 eletti.

Con questo emendamento veniva depoten-ziata anche la funzione di arbitro del Presiden-te della Repubblica, che presiede il Csm dive-nuto ormai un organismo con una maggioran-za precostituita, peraltro formata da una cor-porazione. Nei primi 20-25 anni di applicazio-ne della Carta costituzionale, l’”emendamentoScalfaro” favorì la maggioranza dei togati diispirazione conservatrice.

La dinamica sociale successiva, dopo il cen-tro sinistra degli anni ’60, gli scontri politici,il terrorismo, l’acutizzarsi delle lotte sociali edemocratiche nel Paese, naturalmente influìnella formazione della nuova generazione deimagistrati. Ma con questo non si può dire checi fu un passaggio dalle “toghe nere” dei con-servatori, alle “toghe rosse” dei magistrati dinuova generazione: tutto questo sarebbe statoassorbito all’interno di una rappresentanza pa-ritaria. Con la rappresentanza maggioritariadelle toghe rispetto ai “laici”, invece, la rap-presentanza dell’ordine non fu più quella di unparticolare colore interno alla corporazione,ma è la rappresentanza della corporazione ispi-rata dalle sue tendenze prevalenti: essa nonprivilegia “toghe nere” o toghe rosse”, ma lacorporazione, le “toghe gialle”. Che possonoessere in alcuni momenti di tendenza conser-vatrice o ribellistica”.

Il “colore” diventa secondario rispetto alsistema complessivo dei rapporti tra poteri?

“Sono rimasto colpito da una cosa, questa sìveramente incostituzionale: assegnare allaMagistratura un potere politico “di fatto”,quando i costituenti non vollero mai, nemme-no e soprattutto nel titolo del Capitolo relativoa questa materia, prescrivere un “potere giu-diziario”, ma vollero scrivere “ordine”. E un“ordine” è qualcosa che sta all’interno di unsistema, l‘ “ordine” non ha una sua autonomiadi potere, ma è all’interno di un più vasto po-tere che è il potere democratico. L’ordine nonè una sorgente. Sta in un equilibrio delicato ba-sato sul principio “di essere rispettato, purchèrispetti”.

Perchè questo nodo non viene fuori? Perchè la discussione si è appassionata su

questioni tecniche che sono risolvibili. La que-stione dell’obbligatorietà della azione penaleda cosa nasce, se non dalla circostanza del so-vraccarico di domande di giustizia non più ge-stibile dalla magistratura? Allora ci vuole qual-cuno che dia un ordine a queste domande. Maquesto non può essere dato in modo “assoluto”da chi è ormai un potere politico autonomo difatto. L’ordine alla domanda di giustizia deveessere stabilito all’ interno di un potere demo-cratico, non autonomo e assoluto.

La stessa separazione delle carriere, se fun-ziona bene o meno dopo un periodo di prova,è tutta materia discutibile e risolvibile. Anchela responsabilità civile dei magistrati è risol-vibile, perchè nessun giudice lo può essere in

modo assoluto: andremmo a ferire il principiodel “libero convincimento” che ogni giudicedeve avere. Se si dovesse decidere sulla basedi “tabelle” prestabilite, per reati e controver-sie civilistiche, non ci sarebbe nemmeno biso-gno del giudice. Il problema del giudice è ilsuo comportamento, non il suo convincimen-to. Se cioè un organo disciplinare equilibrato,composto in modo paritario dal potere demo-cratico e dalla rappresentanza giusta dei togati,possa stabilire se un comportamento isolato ocontinuato di un giudice sia ispirato da tenden-ze estranee alle norme del diritto.

A me ha fatto impressione il fatto che nel-l’ANM, quando si è discusso su che compor-tamento avere nei confronti della Riforma del-la giustizia, si è ricostituita una unanimità chenon c’è nella Giunta esecutiva dell’Associa-zione, dove Magistratura indipendente è al-l’opposizione. In quella circostanza, proprio ilrappresentante di quella componente modera-ta, il magistrato Ferri, ha sostenuto la necessità

che la corporazione fosse unita, e ha portatocome argomento fondamentale proprio il pe-ricolo che lo squilibrio all’interno del Consi-glio Superiore della Magistratura non verrebbepiù tutelato, con la Riforma, a vantaggio dellacorporazione medesima.

Sorge cioè un problema che non deve essererisolto dall’Associazione nazionale della Ma-gistratura: ogni corporazione ed ogni ordineche si rispetti tende a tutelare l’espansione delproprio potere. Oggettivamente. Perchè oltrealla finezza dell’interpretazione della normainterviene un potere reale che consiste non nelgiudicare se stessi, ma nel giudicare gli altri”.

Quindi la questione è tutta squisitamentepolitica?

Qui sta il punto dirimente per comprenderela situazione politico-storica che si è creata trail 1990 e il 1997. Nella Bicamerale si cercò discalfire una serie di eccessi attraverso la “boz-za Boato”, ma si ridusse in maniera simbolica,e aggiungerei ridicola, la composizione delCsm da “due terzi/un terzo”, in “tre quinti/duequinti”.

Tra il ’90 e il ’97 l’indebolimento del poterepolitico è stato così violento che permane an-cora, e attraverso ulteriori circostanze si è ag-gravato, con leggi elettorali maggioritarie chehanno introdotto elementi di squilibrio e in-quietudine. Nel Csm l’equilibrio basato sulprincipio di parità tra ciascuna delle due rap-presentanze, togate e laiche, si formava sullarappresentanza proporzionale. Oggi invece ab-biamo una tendenza alla trasformazione delleminoranze in maggioranze: minoranze eletto-rali che diventano maggioranze parlamentari,

minoranze attive della corporazione che di-ventano tutrici della totalità della corporazio-ne. Il discredito della politica che permane esi diffonde, non consente di affrontare con au-torevolezza il problema del primato della rap-presentanza popolare. Questo porterà alla con-seguenza che le corporazioni si faranno partitoa sè. Superando il partito politico. Del restoquesto non è solo il caso della Magistratura.E’ anche il caso dell’informazione che è diven-tato potere politico. Nel mondo dell’economiac’è un potere che non è più nella Confindu-stria. Chi guida la danza sono due-tre grandiimprese. Nel campo del credito, sono due-tre

grandi banche che avendo incroci di interessiinternazionali, sono in condizioni di poter fis-sare persino le politiche del credito.

Oggi la politica può solo fare interventi dinatura”ex post” solo quando vi sia una emoti-vità pubblica che esplode. Se si guarda al pic-colo caso Parmalat, mi stupisco dello stupore,perchè sono vent’anni che c’è shopping stra-niero nelle aziende italiane. Nessuno se n’è in-teressato sino ad oggi. O la politica recuperainiziativa sulle grandi questioni di squilibriodei poteri, o altrimenti siamo destinati a unacorporativizzazione selvaggia di qualsiasi at-tività umana”.

Un risultato anti-nazionale nel 150 anni-versario dell’Unità d’Italia. Paradossale.

“Certo. E’ una tendenza anti-nazionale: que-sta è la vera secessione, non il federalismo fi-scale”.

Se il magistrato, nell’attuale squilibrio al-l’interno del Csm (a suo vantaggio rispettoalla rappresentanza parlamentare), diventaattraverso l’interpretazione della legge luistesso fonte del diritto, non ci troviamo nel-la situazione capovolta in cui la magistratu-ra diventa la effettiva titolare della sovrani-tà, essendo la corporazione sempre in mag-gioranza nel Csm, ovvero nell’organo dicontrollo? Infatti essa può sempre stabilirein ultima istanza una norma extraparla-mentare prevalendo nell’organismo di au-togoverno in merito ai comportamenti chefondano questo tipo di norme. Leggi entrocui soltanto la “sovranità popolare” si puòmanifestare, e alle quali esclusivamente ilmagistrato è tenuto a rispondere. Non è unsovvertimento costituzionale?

La domanda è esatta, ma bisogna prima cer-care di capire un’altra cosa: ovvero, dal 1948al 1992, queste norme come hanno funziona-to? Hanno funzionato bene, perchè la forza, ilprestigio e l’autorevolezza della politica, dellarappresentanza politica, del Parlamento, deipartiti politici (sia di maggioranza che di op-posizione), obbligavano tutte le componentiattive della società a trovare forme di collabo-razione.

Quando i magistrati oggi invocano il poterepolitico, affermano che la magistratura ha datonei decenni un tributo di sangue nella lottacontro il terrorismo e la criminalità. Ma è pro-prio questo che dimostra come vi era una col-laborazione tra politica e magistratura: non c’èstato nessun caduto nella magistratura durantela lotta alla corruzione politica. Pur avendomesso sotto tiro la politica, i magistrati non so-no morti, i morti sono stati tra gli indagati.Dunque come i magistrati hanno titolo a dire,giustamente, che nella lotta al terrorismo e lacriminalità hanno condotto una lotta eroica esanguinosa, cosa verissima, proprio per questole morti vere di persone, di partiti, di forze po-litiche, di aziende, di interessi, dimostrano chec’è stato uno squilibrio di ingiustizia da partedella magistratura. L’argomento del “tributo disangue” è vero in entrambi i sensi, e non sola-mente a senso unico.

C’è un censimento da fare: un errore giudi-ziario fa molto più danno di qualunque ingiu-stizia politica. L’ingiustizia politica è sanabilecon la lotta democratica. Aggiungo poi la no-tazione che il vuoto tra politica e interessi le-gittimi, porta un vulnus anche all’interno deglistessi interessi legittimi. L’equilibrio politicodemocratico serve anche al complesso dellecorporazioni e degli interessi, perchè evita chesiano essi stessi preda di tendenze minoritarie.Perchè sono le minoranze attive che creano ilpatriottismo antidemocratico di gruppo. Maprevalgono anche all’interno della corporazio-ne e la sottomettono”. s