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magzine is a project of the School of Journalism at Catholic University. Multimedia journalism is our language to report. We cover local, national and international stories with radio, documentary film and audioslideshow productions. Our main interest is for investigative journalism. This is a selection of our works. We hope you enjoy the view. You can contact us at [email protected]TRANSCRIPT
15novembre 2011
Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuorewww.magzine.it
magzine
La colata di cementoche ha distrutto la Liguria
Latitanti e mafia, una storia infinita
Al Jazeera porta in tvle mille voci della rete
La memoria che svaniscein sedici foto d’autore
SGUARDI di confine
Quando il cinema del reale incontra la vita dei migrantiQuando il cinema del reale incontra la vita dei migranti
MAGZINE 15 | novembre 20112
inchiesta
di Andrea Tundo
Nel Salento aumentano i casi di tumore e il numero deineonati affetti da gravi malformazioni è sopra la mediaeuropea. Sotto osservazione anche la centrale elettricadi Cerano il cui deposito non è stato ancora coperto
ndici milioni di tonnellateall’anno di anidride car-
bonica. terreni inquinati da stagno, berillio, arseni-
co e mercurio nel raggio di trecento metri. Quantità
di polveri sottili fuori dai limiti nella vicina torchia-
rolo, almeno una volta alla settimana. diciotto per
cento in più rispetto alla media europea di neonati affetti da gravi
malformazioni. È quanto da tempo denunciano ambientalisti,
medici e comitati locali della provincia di Brindisi. ora anche la
magistratura entra nel dibattito. il Salento ha paura e chiede il
rispetto delle convezioni riguardanti la centrale elettrica “Federico
ii” in funzione a cerano (Brindisi) dal 1991 e alimentata a carbone
da quindici anni.
l’impianto salentino si sviluppa su duecentosettanta ettari
mangiati alla costa, produce 2.670 megawatt ogni anno ed è sovra-
stato da un camino di duecento metri visibile all’orizzonte da chi-
lometri di distanza. Poco distante c’è un carbonile scoperto, con
relativo nastro trasportatore di 11 chilometri. entrambi sono finiti
nell’occhio del ciclone nel giugno 2007 quando, con un’ordinanza
del sindaco di Brindisi, è stata proibita la coltivazione in una vasta
area attorno alla centrale: ortaggi e frutta al carbone erano arrivati
per anni sulle tavole di molti italiani. Una parte della produzione
locale, infatti, entra nella catena della grande distribuzione: carcio-
fi al vanadio a milano, asparagi all’arsenico in viaggio verso torino,
uva al mercurio a Roma.
nelle scorse settimane il perito del tribunale di Brindisi, chia-
mato a esprimersi dopo l’avvio delle indagini nate dal divieto di col-
tivazione, ha confermato: “Polveri di carbone nell’aria”. enel, che
gestisce l’impianto e il carbonile, ha ribadito la sua promessa: prov-
vederàentro due anni alla copertura del deposito.
«Brindisi rappresenta un’anomalia per la concentrazione di
quantità enormi di carbone nell’area industriale, circa il 50% del
totale italiano. con l’aggravante della vicinanza al centro abitato
delle centrali», spiega Maurizio Portaluri, primario del reparto
di Radioterapia dell’ospedale di Brindisi. «le conseguenze sanita-
rie sono di due tipi. la prima è immediata: se aumentano le polve-
ri sottili, crescono ricoveri e decessi per malattie respiratorie e car-
diologiche, come dimostrato da uno studio del cnr. È ancora più
preoccupante, forse, l’effetto a lungo ter-
mine che inizia a manifestarsi ora: i tumo-
ri, in particolare al polmone». Rispetto
alla media regionale, in città si registrano
30 decessi in più con un eccesso di morta-
lità nei maschi attribuibile a una compo-
nente occupazionale. «chiediamo da anni
che grazie agli studi epidemiologici si con-
fermi la tesi secondo cui i valori aumenta-
no nelle zone più colpite dagli inquinanti.
ma sono temuti perché mettono di fronte
alle responsabilità».
Responsabilità attribuibili alla politi-
ca secondo il comitato No al carbone, atti-
vo da tre anni. «È il metodo Brindisi. la lunga storia del polo petrol-
chimico insegna - racconta Daniele Pomestra i responsabili -. «a
differenza di quanto avviene a civitavecchia, qui non si riesce a
imporre a enel il rispetto delle convenzioni sottoscritte nel 1996 e
nel 2003». tra i punti inseriti negli accordi, c’era anche una sensi-
bile riduzione delle emissioni di co2 che, al momento, ammonta a
un terzo del totale nazionale in un’area che da vent’anni è stata
dichiarata ad alto rischio ambientale e che, dal 1995, è sotto la len-
te d’ingrandimento dell’organizzazione mondiale per la sanità per
l’aumento di patologie tumorali. il tutto in un territorio già sfigura-
to dalla presenza di un polo petrolchimico al centro di numerose
indagini della magistratura. «eppure, per chiedere uno studio epi-
demiologico - continua Pomes - abbiamo dovuto presentare un
esposto in Procura, invitando anche comune, Provincia e Regione
a sostenere la nostra causa».
la sedia del primo cittadino è attualmente vacante, la Regio-
ne prende tempo e gli ambientalisti guardano con sospetto le mos-
se del presidente della provincia massimo Ferrarese, ex numero
uno di confindustria Brindisi e proprietario della squadra di basket
del capoluogo, sponsorizzata da enel: «la precedente amministra-
zione aveva intimato alla società elettrica di provvedere alla coper-
tura del carbonile - spiega ancora il leader del comitato No al car-
bone -, altrimenti avrebbe negato l’autorizzazione integrata
Maledi carbone
U
ambientale, indispensabile per continuare la produzione. dal
2009, invece, la politica dell‘ente è radicalmente cambiata, nono-
stante quel provvedimento fosse presente già nella convenzione
siglata nel 1996».
così, per tenere accese le luci sulla centrale, nel novembre
2007 è sbarcata Greenpeace che, con una una delle sue azioni, ha
steso sulla facciata della centrale un lenzuolo di 500 metri quadri
con la scritta “1st climate killer in italy”. altrettanto veloce è stata la
reazione di lavoratori e sindacati, che secondo Pomes dovrebbero
uscire dalla logica curva nord-curva sud, perché sul ricatto occupa-
zionale a cerano s’è costruito un modello economico che ha dimo-
strato di non reggere la prova del tempo. la risposta di enel è giun-
ta a marzo 2011 quando, alla presenza dell’ex ministro dell’am-
biente Stefania Prestigiacomo, è stato inaugurato il primo impian-
to pilota in italia per la cattura della co2. Per gli ambientalisti
avrebbe dovuto abbattere del 20% delle emissioni ma, al momen-
to, siamo fermo all’1%.
il restante 99% continua a disperdersi nell’aria. in una terra
spesso spazzata da forti venti di tramontata, le polveri sottili rag-
giungono anche i comuni a sud del capoluogo, al confine con la pro-
vincia di lecce. a torchiarolo le centraline dell’arpa hanno rileva-
to 39 sforamenti dei limiti giornalieri di Pm10 da inizio anno: quat-
tro in più dei limiti consentiti dalla legge. dal 2006, il comune più
vicino all’impianto non è mai rientrato nei parametri europei, toc-
cando un picco di 95 giorni fuori norma nel 2009. Un caso nel caso,
al quale l’arpa ha dato la sua risposta: i valori elevati di polveri sot-
tili sono attribuibili all’accensione dei camini per il riscaldamento
domestico e alle attività agricole. «in parte, potrebbe anche esse-
re vero. il quadro resta però allarmante. Uno studio condotto dal
cnr - sottolinea Portaluri - sulle malformazioni riscontrate nei pri-
mi 28 giorni di vita parla di un +18% rispetto al registro europeo.
cosa si aspetta ad approfondire la questione?». intanto a Brindisi
la gente continua ad ammalarsi aspettando di sapere perché.
MAGZINE 15 | novembre 2011 3
Da un recente studio condotto dal Cnrsu bambini nati all’Ospedale di Brindisiemerge un numero di malformazionisuperiore alla media europea
Per saperne di più
http://noalcarbonebrindisi.blogspot.com,
www.arpa.puglia.it, www.medicinademocratica.org
e PRoteSte non Si FeRmano. Si
diffondono a macchia d’olio, da
Zuccotti Park a Piazza tahrir,
dagli indignati spagnoli accam-
pati a Puerta del Sol fino alle
azioni scomposte di piazza San Giovanni.
disoccupazione, ascensore sociale bloccato,
rabbia verso le istituzioni internazionali eco-
nomiche e politiche: i giovani di mezzo
mondo scendono in piazza. con motivazioni
diverse, i ragazzi cileni non fanno eccezione.
il governo del presidente Pinera, prima coa-
lizione di centro-destra a governare il cile
dopo vent’anni di Concertation, è da maggio
sotto pressione per la riforma dell’istruzione.
dalle prime manifestazioni si è aggiun-
to un numero sempre crescente di studenti,
fino al culmine dei cortei di agosto, quando
un giovane coinvolto negli scontri con la
polizia è rimasto ucciso. la sollevazione
degli studenti si è poi combinata con quella
dei lavoratori della Sanità, settore interessa-
to da privatizzazioni annunciate. a sei mesi
dall’inizio delle proteste e in concomitanza
con l’esplosione delle contestazioni in
europa e Stati Uniti, il movimento studente-
sco non è riuscito a raggiungere gli obiettivi
previsti, quali il massiccio intervento pubbli-
co nell’istruzione, come chiesto dal leader
degli studenti Camila Vallejo.
Ribattezzata dai media, in perenne ricerca di
icone, come la Sub-comandante marcos del
cile, nel mondo delle proteste 2.0 twitter e
Facebook fanno da cassa di risonanza. ma il
cile di Pinera non è la Spagna della specula-
zione edilizia o gli Stati Uniti d’america dei
mutui subprimes.
Patricia Mayorga Marcos, corri-
spondente a Roma per Caras e El Mercurio,
non rileva troppe affinità con gli altri movi-
menti di critica e limita il caso cileno al sin-
golo tema dell’istruzione: «Gli studenti cile-
ni non sono indignados verso la politica,
non ci sono collegamenti con le rivolte
arabe, è una questione nazionale legata al
modello dei finanziamenti e delle borse di
studio». l’istruzione cilena è, infatti, tra i
sistemi scolastici dove la presenza privata è
più alta.
i dati dell’ocse, l’organizzazione per la
cooperazione e lo Sviluppo economico,
dicono che circa il 40% delle spese scolasti-
che è sostenuto dalle famiglie, mentre i tre
quarti delle università cilene sono gestite da
privati. l’istruzione secondaria non fa ecce-
zione, considerando che solo la metà dei
ragazzi cileni frequenta le scuole pubbliche.
nonostante il governo abbia previsto una
crescita del 7% degli investimenti nel settore
dell’istruzione, gli studenti e l’opposizione di
centro-sinistra ritengono insufficienti le
misure in arrivo.
la situazione economica è, però, più
che positiva. le previsioni del Fondo
monetario internazionale confermano la
crescita, mentre l’inflazione è contenuta. in
una fase storica nella quale l’economia mon-
diale sembra andare a due velocità, il cile si
piazza senza mezzi termini nella carovana di
testa. il Paese continua a crescere, la disoc-
cupazione è in calo e le istituzioni democra-
tiche sono ormai consolidate, mentre il ter-
remoto dello scorso anno ha mostrato al
mondo come quella striscia di terra stretta
sull’oceano Pacifico sia capace di rispondere
a sfide impreviste.
Perché scendere in piazza allora? cosa
lega i giovani cileni ai loro coetanei arabi che
hanno aperto al nord africa la strada verso la
democrazia? il risveglio della generazione X
dall’adolescenza dorata, quella che sociologi
e commentatori politici descrivevano come la
generazione dell’apatia e del benessere, spe-
rimenta ora l’impegno politico e le prime tan-
gibili difficoltà nel mondo globalizzato.
i giovani cileni capiscono che scendere
in piazza significa mostrare solidarietà
verso chi sta peggio e ricordare a quanti li
rappresentano che saranno attentamente
controllati.
Gli indignados cileniin piazza a SantiagoUna riforma scolastica giudicata inadeguata portagli studenti sudamericani a urlare la loro rabbia perle strade della capitale e a unirsi ai coetanei di tuttoil mondo che protestano contro i poteri forti
MAGZINE 15 | novembre 20114
esteri
di Simone Giancristofaro
L
incubo della dittatura di
Videla, quello dei desa-
parecidos: il tempo pas-
sa ma la ferita è ancora
aperta. come quella di
Inocencia Pegoraro, 85 anni,
a cui la dittatura portò via il
marito, la figlia e la nipote. il 18
giugno del ’77, i gruppi speciali
della marina arrestarono sua
figlia e suo marito. li portarono
all’esma, la prigione politica in
cui i detenuti venivano torturati,
drogati e gettati in mare ancora
vivi. Questa è la sorte toccata a
Susanna, la figlia di inocencia, e
a Giovanni Pegoraro, il marito
di origine veneta. entrambi
sono finiti in fondo all’oceano.
Susanna al momento del-
l’arresto era incinta. durante la
prigionia dette alla luce evelyn
che, ancora in fasce, venne affi-
data ad una coppia di ufficiali
della marina. Un affidamento
senza basi legali: in gergo giuri-
dico si chiama sequestro. evelyn
di sua nonna non ne vuol sapere
e inocencia affonda in un mare
di disperazione: rifiutata dalla
nipote e con una pronipote che
ha visto solo in foto.
Cosa ricorda dell’arre-
sto?
non sapevo che mio marito fos-
se a Buenos aires, dove studiava
Susanna. lo aspettai ma lui non
arrivava. col passare delle ore
mi resi conto che entrambi era-
no scomparsi. disperata, iniziai
a cercarli. Ho girato molto,
ovunque la polizia mi suggerisse
di andare, senza ottenere mai
nulla. due anni dopo la scom-
parsa, trovai in un quotidiano
svizzero un’intervista a delle ex
recluse dell’esma, che parlava-
no di Susanna e Giovanni. così
mi resi conto che erano stati
arrestati.
Cosa pensò in quel
momento?
Sentivo una grande disperazio-
ne. conobbi alcune delle
Madres de la Plaza de Mayo, le
quali mi spiegarono che alcuni
detenuti venivano rilasciati
mentre la maggior parte veniva
uccisa. Poi lessi un’intervista in
cui un’ex detenuta raccontava
che Giovanni, pur non avendo
alcun legame con i gruppi pero-
nisti, era stato sequestrato men-
tre cercava di prendere il nume-
ro di targa della macchina che
portava via la figlia. mia figlia fu
portata qui a Mar de Plata: era
incinta di cinque mesi e vi rima-
se fino al parto. Sono rimasta in
attesa per vent’anni ma durante
questo tempo non ho più ricevu-
to nessuna notizia. l’altra mia
figlia si ammalò e cadde in
depressione: dovetti farla inter-
nare tre mesi per curarla.
A che pensiero si
aggrappava?
la donna che era stata con
Susanna fino al parto mi raccon-
tò che le fecero scrivere una let-
tera per me, dove diceva che
doveva viaggiare e che avrei
dovuto prendermi cura della
bimba. le dissero che mi sareb-
be arrivata con la bambina ma
non ricevetti mai né la lettera, né
la bambina. anni dopo una per-
sona mi raccontò che la bimba
era stata data a una famiglia e
che mia figlia, invece, era stata
uccisa. cominciai a cercare eve-
lyn: la volevo ritrovare a tutti i
costi.
Poi cosa accadde?
dopo dieci anni il giudice fede-
rale riaprì il caso: la ritrovarono
che viveva con una famiglia di
militari. l’anno scorso le ordi-
narono di fare le analisi del dna
e si scoprì che era veramente
mia nipote. in realtà evelyn si
oppose e il giudice dovette ordi-
nare delle analisi coatte. Poi
venne a parlare con me: l’ho
rivista appena due o tre volte in
due anni. da quando è comicia-
to il processo a carico dei due
militari che l’avevano “adotta-
ta”, però, non mi vuole più vede-
re. io, ora, cosa posso fare? con-
tinuo a cercarla, ma lei non mi
risponde.
Di cosa avete parlato
quando vi siete viste?
niente, lei parlava della fami-
glia, del lavoro, di come stava,
però dell’esma e di Susanna,
non ne voleva parlare. io la
rispettavo, perché pensavo che
anche lei avesse sofferto molto.
Pensavo che avrei dovuto lasciar
passare del tempo e solo poi
provare a chiarire le cose. così
venne qui, mi mandò delle foto
della sua bambina: aveva otto
mesi quando vidi evelyn l’ulti-
ma volta.
Il governo Kirchner ha
abrogato la legge che
garantiva l’impunità
ai militari implicati
con l’Esma. La notizia
la consola?
consolazione? no, non ce n’é.
Vorrei che pagassero per i loro
delitti. È ora che arrivi il loro
turno.
La dittatura miportò via mia figlia,mio marito e mianipote. Da quelgiorno non ho maismesso di cercarli.Vorrei che quellagente pagasse peri suoi delitti
MAGZINE 15 | novembre 2011 5
esteri
l’di Alessio Schiesari
Una ferita ancora aperta:l’Argentina non dimentica
o Sentito diRe “come al solito
non si troveranno i responsabi-
li”. non è vero. i responsabili
morali ci sono, li possiamo vede-
re tutti: basta controllare chi ha
approvato questi piani di cementificazione».
Ferruccio Sansa, autore de La Colata
– Il partito del cemento che sta cancellando
l’Italia e il suo futuro, commenta così il
recente nubifragio in liguria e le sue terribi-
li conseguenze, in particolare nella zona del-
le cinque terre, patrimonio dell’Unesco.
Quanto la responsabilità degli
allagamenti, delle frane e della
perdita di alcune vite può essere
attribuita all’abuso edilizio?
Sono caduti 450 millimetri d’acqua in poche
ore ma questo non può essere un alibi. la col-
pa principale è della politica suicida portata
avanti sia dal centro-destra sia dal centro-
sinistra negli ultimi trent’anni. Hanno soste-
nuto uno sviluppo del territorio basato esclu-
sivamente sul cemento. e quelli che hanno
sempre approvato queste scelte sono gli stes-
si che stanno in prima fila, al momento di
stringere le mani ai parenti delle vittime. È il
festival dell’ipocrisia.
Materialmente qual è stato il peso
del processo di cementificazione
nel nubifragio?
la cementificazione amplifica molto l’effetto
delle calamità naturali. l’acqua corre più
velocemente dove c’è il cemento rispetto a
dove ci sono terra e vegetazione. continuan-
do a costruire si stringono gli alvei dei fiumi,
si rende impermeabile il suolo. non serve poi
chiedere lo stato di calamità: bisognerebbe
agire d’anticipo. ma la Regione non ha mai
investito in quella direzione, perché una buo-
na politica ambientale non porta voti. nella
logica del consenso elettorale, il rafforza-
mento degli argini è una misura inutile.
Quali sono le altre zone a rischio
in Italia? Che tipo di investimenti
sono auspicabili?
Su un totale di circa 8mila comuni nel nostro
Paese, almeno alcune migliaia di aree sono
state dichiarate a rischio. Per sistemare le
situazioni più gravi, le vere emergenze, ci
sarebbe bisogno di 4 miliardi di euro (il mini-
stero dell’ambiente ha recentemente previ-
sto di investire 500 milioni per il dissesto
idrogeologico, ndr). il governo dice che i sol-
di non ci sono, poi però viene approvata l’au-
tostrada livorno-civitavecchia da ben 12
miliardi, nonostante sia considerata inutile
da molti. È una questione di scelte.
Ma il cemento rende?
ecco un’altra ragione di questa politica kami-
kaze. non è vero che bisogna buttarsi nelle
braccia del cemento per dare una spinta
all’economia. anche se agli amministratori
pubblici non interessa nulla dell’ambiente in
sé, della tutela della natura o della salute dei
cittadini, dobbiamo ricordare loro che inve-
stire sull’ambiente conviene economica-
mente. Recuperare centri storici e patrimoni
artistici può assorbire investimenti da milio-
ni, anzi miliardi, e le imprese avrebbero solo
da guadagnarci. Soprattutto si incentivereb-
be il turismo (il cui peso, sul Pil italiano, è del
15%, ndr). ambiente e lavoro vanno insieme,
di pari passo.
Quindi di chi è la colpa? Del gover-
no o degli italiani?
la responsabilità per avvenimenti di questo
genere è di tutti. È del governo, che punta tut-
to sulle grandi opere utili a raccogliere con-
senso elettorale. È della regione liguria in
questo caso, che continua da anni a costrui-
re. È, infine, di tutti noi: la cementificazione
dipende dall’ingordigia delle amministrazio-
ni comunali, ma siamo noi a votarle. la col-
pa è nostra.
Liguria in ginocchio,tutta colpa del cementoContinuando a costruire, si sono stretti gli alveidei fiumi e i terreni sono stati resi impermeabili.Ferruccio Sansa accusa le amministrazioni locali che non si interessano mai dell’ambiente
MAGZINE 15 | novembre 20116
inchiesta
Di Eleonora Rossi
Per saperne di piùFerruccio Sansa, Andrea Garibaldi,
Antonio Massari, Marco Preve, Giuseppe
Salvaggiulo, La colata (Chiarelettere)
H
uesta volta siete stati
bravi. È da vent’anni
che sono in questa
casa…”. così il boss
Giovanni arena ha
commentato la sua cattura avve-
nuta alle due di notte del 26
ottobre di quest’anno. era
nascosto nel cosiddetto “palazzo
del cemento”, nel quartiere
librino a catania.
il boss, 56 anni, capoclan del-
l’omonima famiglia, era ricerca-
to dal 1993 ed era stato inserito
nella lista dei 30 latitanti più
pericolosi d’italia. legato alla
cosca mafiosa dei Santapaola, il
boss arena, condannato nel
1989 all’ergastolo per omicidio,
era riuscito a sfuggire nel 1993
all’operazione “orsa maggiore”.
Su di lui pesano anche le accuse
di associazione mafiosa, deten-
zione di armi e traffico di droga.
molte testate lo hanno defi-
nito un “superlatitante” ma sul
prefisso “super” c’è chi non è
d’accordo, come Lirio Abbate,
inviato de L’Espresso: «non
penso che arena possa essere
mai stato parte della gerarchia
mafiosa di cosa nostra. infatti
per vent’anni era stato dimenti-
cato nel suo rifugio a catania.
non ha uno spessore criminale
tale da poter determinare le
strategie di cosa nostra catane-
se».
Secondo gli inquirenti
il boss era passato di
recente al clan rivale
Sciuto-Tigna. È possi-
bile che qualcuno dei
suoi “vecchi amici” lo
abbia venduto?
non penso. arena non è nean-
che mai comparso in dichiara-
zioni di pentiti catanesi che lo
descrivessero come un capo. la
sua cattura è comunque un ele-
mento che adesso fa gioco, per-
ché lasciare a piede libero un
latitante per 18 anni è uno smac-
co per lo Stato.
Quali sono i criteri per
stabilire la “pericolosi-
tà” di un boss latitan-
te?
Sono i magistrati e gli investiga-
tori a dire se si tratti di un sem-
plice sicario, di un capo, o di un
mandante di omicidi. Sicura-
mente, aumentando gli anni di
latitanza, si alimenta il mito del
boss che non sempre coincide
con il suo reale spessore.
Come si ristruttura la
leadership mafiosa?
Quando il boss ha un elevato
spessore criminale è difficile tro-
vare un successore all’altezza e si
creano dei vuoti di potere. al
contrario, una posizione come
quella che rivestiva arena si
rimpiazza con facilità.
Chi succede al boss cat-
turato ne eredita anche
i rapporti con le istitu-
zioni e con le altre
organizzazioni crimi-
nali?
non è così automatico il passag-
gio di consegne. ogni boss cat-
turato ha i suoi contatti. la cat-
tura di un latitante non solo è un
successo per lo Stato ma decapi-
ta la rete di contatti privilegiati
con il mondo della politica, delle
istituzioni e delle organizzazioni.
Come muta la leader-
ship della mafie autoc-
tone con il diffondersi
della criminalità orga-
nizzata straniera?
le mafie straniere in territorio
italiano stanno prendendo pie-
de in quegli spazi criminali che
quelle italiane non gestiscono
quasi più. È il caso dello spaccio.
Come commenta l’ope-
rato del ministro
Maroni nella lotta alla
criminalità organizza-
ta?
È stato un po’ contraddittorio.
maroni, mentre mostrava gran-
de forza e coraggio nel portare
avanti provvedimenti contro le
mafie, di contro votava la fiducia
a politici e ministri indagati per
mafia e non riesce a evitare i
tagli alla sicurezza e alle forze
dell’ordine, che si trovano sem-
pre più prive di mezzi, uomini e
soldi per pagare gli straordinari
di quegli stessi uomini che si
occupano dei boss latitanti.
Giovanni Falcone dice-
va che la mafia è un
fenomeno umano e
che, come tale, ha un
suo principio, una sua
evoluzione e una sua
fine. Quindi, finirà pri-
ma o poi.
Finirà, prima o poi finirà. ma
quando?
Le manette ai latitantinon arrestano la mafia
mafie
MAGZINE 15 | novembre 2011 7
Per saperne di piùLirio Abbate (con Peter
Gomez), I complici. Tutti gli
uomini di Provenzano da
Corleone al Parlamento (Fazi
Editore)
di Francesco Colamartino
q
MAGZINE 15 | novembre 20118
cinema
di giacomo galanti
anti ViaGGi controcor-
rente per andare a
conoscere da vicino la
gente che, anche a
rischio della vita, deci-
de di scappare dal proprio Paese
per cercare un’esistenza migliore.
Poi una telecamera, la passione
per le immagini e una grande
curiosità culturale. Andrea
Segre, 35 anni, sociologo e regista
con i documentari A sud di Lam-
pedusa, Come un uomo sulla ter-
ra, Magari le cose cambiano, Il
sangue verdeha raccontato i pro-
blemi degli immigrati e la conta-
minazione culturale tra tradizioni
diverse. a settembre, Segre ha
portato alle “Giornate degli autori”
dell’ultima mostra internazionale
d’arte cinematografica di Venezia
il suo primo lungometraggio, Io
sono Li. il film, ambientato a
chioggia, in provincia di Venezia,
racconta il particolare rapporto tra
un’immigrata cinese e un
anziano pescatore ori-
ginario di Pola.
Qual è la tua for-
mazione cultura-
le? Quale percorso
ti ha portato alla regia?
dopo il liceo classico a Padova mi
sono trasferito a Bologna alla fine
degli anni '90, dove mi sono iscrit-
to a Scienze della comunicazione,
un corso che abolirei o che comun-
que non chiamerei “scienza”.
Ricordo ancora il primo giorno di
lezione, quando Umberto eco ci
disse : "Se volete che questo corso
vi serva a qualcosa, fate anche
altro". io ho seguito il suo consi-
glio. Purtroppo questo tipo di stu-
di ha illuso molti giovani facendo
credere loro che per occuparsi di
comunicazione basta laurearsi,
mentre invece rimangono con il
vuoto in mano. chi esce da questi
corsi non comunica, ma sempre
più spesso va a fare il pubblicitario.
così, mentre studiavo, ho iniziato
a interessarmi ad altro e a fare
viaggi a ritroso rispetto ai flussi
migratori di allora. in quei tempi si
percepiva l'europa dell'est come
grande pericolo per l’italia e per gli
italiani. allora sono andato in
albania, Bosnia e in altre zone del-
l'ex Jugoslavia. da una parte ero
mosso dalla curiosità, dall'altra da
una spinta di matrice politica: non
volevo accettare che il problema
fosse rappresentato da chi
aveva deciso di venire
nel nostro Paese.
durante questi viaggi
ho iniziato a usare la
videocamera da autodi-
datta. mi sono formato guardan-
do film e documentari che più sen-
tivo vicini ai miei interessi. i miei
primi girati e laboratori li ho fatti al
centro giovanile di Valona, in
albania. con alcuni amici ho poi
fondato un piccolo festival di corti
a Padova e, contemporaneamen-
te, ho iniziato la produzione dei
documentari fino alla
prima opera cinemato-
grafica di quest'anno. il
mio impegno continua
poi in quella grande
fucina che è Zalab, che
produce laboratori di
video partecipativo e
documentari in contesti
interculturali e in situa-
zioni di marginalità
geografica e sociale.
Oggi cosa biso-
gna fare per
produrre e di-
stribuire un documenta-
rio in Italia? Quali sono le
difficoltà?
nel nostro Paese è la televisione il
principale mercato per vendere i
propri prodotti. Purtroppo la tv in
italia è gestita secondo logiche
politiche. la cultura italiana pro-
duce cinema sociale e documenta-
ri, ma questi non vengono presi in
considerazione dal piccolo scher-
mo. l'unico programma che dà
spazio ai documentari è doc3 di
Rai 3, che però va in onda d'estate
a mezzanotte. dunque è chiaro
che il mercato di riferimento è
chiuso. ma non per mancanza di
soldi, anche perché, per fare un
esempio banale, noi con una pun-
tata di Fiorello potremmo fare 50
documentari. È una questione di
scelte. allora per trovare i fondi
necessari bisogna battere altre
strade: fondazioni, enti locali, pre-
mi, festival. dove l'interesse non
manca mai. anche Zalab si occu-
pa di questo e con la sua distribu-
zione civile cerca di diffondere l’in-
teresse per il cinema del reale. Poi
magari capita che la televisione,
dopo che hai vinto premi e che hai
avuto un discreto successo al cine-
ma, compri il tuo prodotto. ma
arriva per ultima quando non può
più farne a meno.
Nel tuo modo di girare e
nelle tue scelte poetiche
c'è qualcuno a cui ti ispi-
ri? Chi sono i tuoi mae-
stri?
Ho due filoni di riferimento. Uno
è il neorealismo italiano partito
con Roberto Rossellini e Vittorio
de Sica, fino a quello contempo-
raneo di matteo Garrone. di Gar-
rone ammiro la capacità di entra-
re con la cinepresa in situazioni
fluide creando delle realtà. in que-
Con gli occhidegli altri
Partito con un piccolo Festival di corti a Padova, ilregista Andrea Segre è arrivato fino alla Mostra delCinema di Venezia, dove ha presentato il suo primolungometraggio, “Io sono Lì”, ambientato a Chioggia
T
sto riesce poi a trovare la poesia
con un tocco estetizzante che lo
avvicina a Sorrentino. l'altro
cinema che prediligo è quello
indipendente internazionale rap-
presentato al massimo dal finlan-
dese aki Kaurismaki e dall'ameri-
cano Jim Jarmusch. la loro pecu-
liarità è di partire da piccole real-
tà locali a cui riescono a dare un
respiro globale. con grande
modestia è quello che cerco di fare
nei miei lavori. mi è capitato spes-
so di sentirmi dire in italia che le
mie storie erano troppo locali,
mentre all'estero mi dicevano
esattamente il contrario.
In Io sono Lihai lavorato
con il fotografo Luca
Bigazzi e hai potuto con-
tare sulla presenza di
attori come Giuseppe
Battiston, Roberto Citran
e Marco Paolini. Come
hai messo insieme il cast?
con Bigazzi avevo già lavorato per
Magari le cose cambiano eIl san-
gue verde. È stato lui a cercarmi
dopo aver visto i miei documenta-
ri e abbiamo iniziato a collabora-
re. lavorare con lui è un grande
vantaggio. non essendo io un
fotografo, avere luca al mio fian-
co rende tutto più facile, tanto che
mi sembra di utilizzare in prima
persona la telecamera. Sul cast
non posso dire nulla, solo che
sono contentissimo di
avere lavorato con
grandi professionisti
che hanno anche aiu-
tato economicamente il
film.
Da dove viene la scelta di
ambientare il film a
Chioggia? E perché ha
deciso di utilizzare il dia-
letto veneto?
chioggia è una scelta naturale,
mia madre ci è nata e volevo par-
lare di questa terra, tornare dove
sono le mie origini. l'utilizzo del
dialetto è una scelta. me l'hanno
chiesto tutti: ma qualcuno ha mai
ascoltato gente che in osteria,
attorno a un tavolo, parla un italia-
no perfetto?
In tutto il tuo percorso da
regista e da viaggiatore,
credi che all'Italia man-
chi qualcosa rispetto alle
altre realtà europee nel
rapporto con l'immigra-
zione?
all’italia manca il coraggio di libe-
rarsi dalla paura dell’altro. altro
problema è inseguire un facile
consenso politico. dobbiamo
capire che il problema è rappre-
sentato da chi fomenta la paura.
chi lo fa si deve mettere da parte e
bisogna che qualcuno glielo dica
chiaro e tondo. non si può dare
credito a chi discute se si possa fare
e vendere il kebab a treviso: que-
sti non sono argomenti né proble-
mi. Bisogna saper riconoscere e
celebrare le nuove italie e sentire la
gente che arriva da altri Paesi
come parte di noi. c’è una nuova
italia e lo vedo tutti i giorni
quando vado a pren-
dere mia figlia in
una scuola qua a
Roma dove vivo. ci
vorrebbero nuove leggi
sulla cittadinanza e sul
diritto di voto.
Per un certo periodo hai
insegnato anche in uni-
versità. Qual è il tuo rap-
porto con il mondo acca-
demico?
ora non lavoro più in università.
Per molto tempo ho fatto il dotto-
rato e ho insegnato. mi sarebbe
piaciuto continuare a fare entram-
be le cose, regista e ricercatore. ma
in italia c’è la mania di dare eti-
chette di pensiero e politica. allo-
ra ho preferito scegliere ciò che più
mi piace, che è la regia. non posso
fare un lavoro dovendomi preoc-
cupare di chi sono e a cosa penso.
Poi, grazie ai miei lavori, le univer-
sità oggi mi chiamano per fare
lezioni.
I prossimi lavori?
mi sto occupando di un documen-
tario sui profughi scappati dalla
libia che hanno attraversato il
mare nel 2009.
Se dovessi dare un consi-
glio a un giovane che vuo-
le girare il suo primo film
o il suo primo documen-
tario?
Rispondo con una battuta di aki
Kaurismaki rivolta a chi gli aveva
rivolto la stessa domanda: «Senti,
fai una cosa: prima diventa padre,
poi fai il regista».
MAGZINE 15 | novembre 2011 9
In Italia il problema è rappresentatoda coloro che fomentano la pauradei migranti. Dobbiamo convincerequeste persone a farsi da parte
esteri
MAGZINE 15 | novembre 201110
l Volto del 28 febbraio
egiziano, Khaled Said, è
stato definito “la faccia che
ha avviato la rivoluzione”.
Purtroppo non il volto pulito che
conoscevano i suoi familiari e i
suoi amici, ma quello del suo
cadavere, sfigurato dalle torture
della polizia. Khaled non era un
attivista politico né un estremi-
sta religioso ma un ragazzo
appassionato di computer e rap.
il 6 giugno 2010 è stato preleva-
to dalla polizia in un internet cafè
e ammazzato.
la sua storia e le foto del suo
volto sfigurato, attraverso la
pagina Facebook We are all
Khaled Said, sono stati uno dei
più grandi catalizzatori della
rivoluzione di piazza tahrir.
Poco più di un anno dopo il
suo omicidio, Khaled Said è sta-
to insignito a Berlino dello
Human Rights award 2011. in
occasione dell’evento, l’artista ed
editore Don Karl, autore di
Arabic graffiti, un libro sulla
street art mediorientale, ha avu-
to l’idea di promuovere la realiz-
zazione di un ritratto del giovane
su una parete. i due blocchi scel-
ti, 3,8 tonnellate ciascuno, non
sono pezzi di cemento comuni:
originariamente si trovavano tra
la porta di Brandeburgo e Pot-
sdamer Platz ed erano parte del
muro di Berlino.
l’iniziativa è stata concepi-
ta a tre giorni dalla cerimonia.
Bruciando le tappe, il writer
Andreas von Chrzanowski
ha concluso il dipinto proprio
durante la consegna del premio.
«il muro di Berlino – ha com-
mentato Zahraa, la sorella di
Khaled – è stato abbattuto per la
libertà e la democrazia. Khaled è
stato ucciso per gli stessi moti-
vi».
il progetto artistico è prose-
guito e ha dato alla luce un video
che mostra la realizzazione di un
nuovo ritratto, dipinto dal
medesimo artista nel giardino di
casa di Said ad alessandria. la
colonna sonora è un rap aggres-
sivo che parla di libertà e lotta per
i diritti, scritto dallo stesso Kha-
led tre anni prima di morire.
Quest’opera lega simbolica-
mente, attraverso blocchi di
cemento, bombolette spray e
musica, la comune ambizione
alla libertà di chi ha lottato per
abbattere il muro di Berlino e di
chi ha manifestato in piazza
tahrir. «non c’è una vera con-
nessione tra un muro e una piaz-
za – dice andreas von chrza-
nowski – . il vero legame sono le
persone che desiderano libertà e
democrazia».
I
Egitto, in un filmi tweet della rivolta
Il volto di Tahrir sul muro di Berlino
diciotto giorni che hanno
cambiato la storia
dell’egitto raccontati
attraverso la voce dei
social network. Un docu-
mentario, 18 days in Egypt,
ripercorre la rivolta del cairo
senza l’uso dei media tradizio-
nali: niente più interviste, ripre-
se di cameraman o scatti di
fotoreporter, ma solo materiale
proveniente da Facebook e
twitter. Quindi dagli smartpho-
ne, dai software e dalle fotoca-
mere di chi ha vissuto in piazza
le proteste che hanno portato
alla caduta del trentennale regi-
me guidato dall’ex presidente
Hosni mubarak.
magari in quella piazza
tahrir messa sotto assedio dalle
truppe fedeli al regime. in altre
parole, in questo lavoro parlano
i veri protagonisti della rivolta,
coloro che l’hanno fatta e com-
battuta in prima persona e non
solo chi l’ha osservata dall’ester-
no. Si è scritto molto del ruolo
che i social network hanno gio-
cato nelle rivolte egiziane e tuni-
sine, del tam-tam nella rete che
ha portato in piazza migliaia di
persone e ha contribuito ad
abbattere i due regimi. ma nes-
suno, prima di Jigar Metha e
Alaa Dajani, i due ideatori di
questo documentario, si era
posto il problema di creare una
narrazione omogenea, organiz-
zando questi materiali. in
18days, post, tweet, video e foto
amatoriali verranno uniti in un
collage e ai social network sarà
data la possibilità di superare
quella volatilità che ne rappre-
senta uno dei limiti maggiori.
twitter e Facebook fino a
ora sono stati confinati nel pre-
sente, voci fuggevoli e senza
memoria. ora potrebbero tra-
sformarsi in archivi storici. il
documentario sta raccogliendo
consensi e ha vinto il premio
per il progetto new media più
promettente al tribeca Film
Festival di new York. È stato
inoltre inserito tra i titoli del
new Frontier Story lab, la
sezione dedicata ai progetti di
documentari transmediali del
Sundance festival.
dal sito www.18daysine-
gypt.com è possibile iscriversi
alla versione Beta del documen-
tario e offrire la propria collabo-
razione. chiunque abbia del
materiale utile a raccontare i
diciotto giorni che hanno cam-
biato la storia dello Stato egizia-
no può proporlo. Gli ideatori del
progetto stanno anche cercando
dei collaboratori per selezionare
e tradurre video e documenti
che dalla rete passeranno alla
celluloide. 18 days è quindi uno
dei primi esempi di lungome-
traggio crowdsourcing, in cui
tutte le risorse del progetto, non
solo materiali ma anche fondi e
collaboratori, vengono reclutati
in quel mondo virtuale che è
perfetto anche per raccontare
piazza tahrir.
Jigar Metha e AlaaDajani hanno raccolto in undocumentario tuttii contributi prodottidal popolo diinternet per raccontare i 18giorni che hannoportato alla cadutadi Hosni Mubarak
di Luciano Capone
di Alessio Schiesari
i
Per saperne di più
www.18daysinegypt.com
alla tV del QataR arriva un net-
work per condividere in tempo
reale notizie da tutto il mondo. e il
pubblico è protagonista. Via Sky-
pe, ovviamente. la cattura di
Gheddafi su Youtube, le proteste degli indigna-
dos via twitter, le rivolte in Siria su Facebook.
ma, soprattutto, la voce del pubblico, costante-
mente in contatto con i conduttori. È questo e
molto altro ancora The Stream, il programma
ideato da Al Jazeera English, partito con una
prova pilota lo scorso maggio. Un debutto coin-
ciso con l’uccisione di Bin laden. con l’incede-
re degli eventi e delle rivolte in medio oriente, il
programma ha poi riscosso sempre più succes-
so ed è stato definito il format telegiornalistico
più interattivo dell’anno.
«il canale - aveva scritto Wired a marzo -
rappresenta una svolta innovativa nella catego-
ria dei news talk». Un vero e proprio ibrido tra
le moderne tecnologie e la televisione, un salot-
to virtuale che guarda il mondo da un altro pun-
to di vista. «The Streamè un ricettacolo di noti-
zie e dibattiti, che cerca di dar voce a chi non è
ascoltato», spiegano sul sito di Al Jazeera i suoi
ideatori. l’idea è quella di descrivere i fatti di
attualità cercando prospettive insolite, il giudi-
zio di persone comuni. «i commenti del pubbli-
co sono fondamentali», dice Ahmed Shihab-
Eldin, conduttore di origini palestinesi, cre-
sciuto in california. ed è proprio questa l’idea
che sta alla base del nuovo network: l’utente è il
programma. «lo costruisce, comunicando gli
aggiornamenti minuto per minuto».
il canale è trasmesso da tre stazioni in tut-
to il mondo e le puntate possono essere seguite
online. Priva di un copione prestabilito, la tra-
smissione è centrata sul flusso di informazioni
user-generated che arrivano da twitter, Face-
book e dagli ultimi video trend di Youtube. Per
collezionare l’immensa mole di dati, i producer
dello show utilizzano Storify, un servizio che
raccoglie tweet e multimedia e li riorganizza in
una narrazione coerente. «È la community a
segnalare le notizie», spiega Derrik Ashong,
conduttore di The Stream, africano, classe 1975.
«il nostro compito è mediare nel flusso indivi-
duando la sostanza. insieme creiamo le punta-
te». e, in fondo, è un simbolo dei tempi che sia
proprio Al Jazeera, l’emittente delle “real news”
con un programma girato a Washington e un
conduttore di origini ghanesi esploso online, a
spingere l’universo del giornalismo televisivo
verso un passo avanti così radicale.
ai più aaa cercasi.
nasce n0tice, una
bacheca virtuale che
consente ai suoi utenti
di organizzare, tra annunci e offerte,
una propria community. la social
platform del quotidiano britannico
The Guardian può così diventare utile
anche per scambiare informazioni,
consigli e idee. il sistema ha molte
inserzioni per gli iscritti che possono
vendere o comprare articoli di ogni
genere. Simile a Craigslist, la piatta-
forma sarà anche consultabile sui
dispostivi mobili. l’utente può così
costruire la propria bacheca, detta
noticeboard, per interagire con gli
altri utenti. Grazie alla localizzazione
geografica è possibile individuare le
attività svolte dagli associati nelle pro-
prie vicinanze, rendendo così più effi-
ciente lo scambio di informazioni.
l’idea è venuta a Matt McAli-
ster, direttore strategico del compar-
to digitale del quotidiano inglese, che
ha così ampliato l’offerta di multime-
dialità del Guardian offrendo una
piattaforma facile da usare. inoltre,
conferma mcalister, «n0tice permet-
te ad ogni utente, grazie al liveblog-
ging tool, di commentare in tempo
reale qualunque avvenimento: da una
manifestazione di protesta agli avve-
nimenti sportivi». n0tice è l'alternati-
va ai classici social network: coniuga
infatti informazione, tempo libero e
ideas sharing.
Al Jazeera, il web in diretta
Notizie, post e video: la tv del Qatar lancia TheStream, il programma che raccoglie e condividein tempo reale i contributi caricati in rete
social network
Social platform,nasce n0tice
MAGZINE 15 | novembre 2011 11
di Linda Stroppa
di Alessandro Cracco
m
D
Per saperne di più
http://stream.aljazeera.com/about
utte le volte che ascol-
ta maria, Giuliano ha
negli occhi la speranza
che lei stia raccontan-
do qualcosa che sia davvero acca-
duto. ma resta sempre deluso.
l’alzheimer ha portato via i ricor-
di di sua moglie: i figli, il marito, i
momenti più teneri che hanno
condiviso. la malattia ha cancel-
lato i 50 anni di vita che hanno
passato insieme in un piccolo
appartamentino della tuscolana,
a Roma.
così inizia la storia di
Giuliano e maria, una coppia col-
pita dall’alzheimer che la giovane
fotografa Adele Giorgia Sarno
ha seguito per un anno. maria da
giovane era la più bella della
tuscolana, una donna amata,
vivace, che non ha perso la sua
verve. con maria e suo marito
Giuliano, adele Giorgia ha cerca-
to di raccontare il dramma e la
poesia di quando, anziani, ci si
trova a tornare bambini. Sono
scatti sfuggenti, silenziosi, che
non osano colpire di petto ciò che
può essere letto solo con l’espe-
rienza. con l’affrontare tutti i
giorni una memoria scomparsa
per sempre.
la demenza senile degene-
rativa nota come morbo di
alzheimer colpisce in italia il 5%
delle persone con più di 60 anni:
sono circa 500mila gli ammalati.
tutto comincia con lievi proble-
mi di memoria, dimenticanze,
assenze. man mano che la malat-
tia si aggrava le persone iniziano
a perdersi nei luoghi più familia-
ri, a confondersi sul tempo, a non
riconoscere le persone, per poi
dimenticarsi anche di sé. nelle
sue foto, adele Giorgia racconta i
particolari di un universo costrui-
to intorno alla persona, un
mondo che resiste fuori ma den-
tro è scomparso. i ricordi sono le
foto, le parole del marito, le pare-
ti di casa. Un appartamento che
comunica la fatica di viverci ogni
giorno. la casa invece continua a
conservare la memoria di quegli
anni.
i volti della loro famiglia
popolano le pareti delle tre stanze
in cui abitano, ma lei non si rico-
nosce in quei ritratti e in quelle
fotografie. cammina silenziosa e
inconsapevole in un arcipelago di
emozioni. di fianco a una perso-
na colpita d’alzheimer, le difese
spesso cadono. ogni giorno si
ricomincia da capo, si torna al
punto di partenza. «lui oggi è
solo con il peso dell’assistenza,
delle cure, della paura e dell’an-
goscia. e la ama ancora. lei con-
tinua a essere molto bella, anche
a 70 anni. non soffre, e sa ancora
ridere, piangere e amare. e vive
una vita nuova, fatta di ricordi
che durano solo lo spazio di qual-
che istante. ogni tanto mi sem-
bra di riascoltare le parole che mi
ha rivolto in un pomeriggio inver-
nale, e mi piace pensare che lei
abbia solo imparato “a ‘levà il cer-
vello…” che poi è una cosa bellis-
sima».
il reportage di adele Giorgia
ha vinto quest’anno il premio
Gianni tabò, dedicato alla
memoria del fotografo organizza-
tore di Fotoleggendo. adele
Giorgia Sarno è nata a napoli nel
1979. È giornalista professionista
dal 2008.
Sedici foto, un video, un anno per raccontare la vita di Maria e Giuliano, una coppia colpita dall’Alzheimer.Adele Giorgia Sarno ritrae così l’inizio dell’oblio. Un reportage che ha vinto il premio Gianni Tabò 2011
Periodico realizzatodal master in Giornalismodell’Università cattolica - almed© 2009 - Università cattolicadel Sacro cuore
direttore
matteo Scanni
coordinatori
laura Silvia Battaglia, ornella Sinigaglia
redazione
matteo Battistella, GiuseppeBorello, Francesca Bottenghi,enrico camana, luciano capone,Valeria castellano, Francescocolamartino, Francesco collina,alessandro cracco, Stefano deagostini, michele d’onofrio,chiara daina, Giulia destefanis,danilo elia, arianna Filippini,Giacomo Galanti, SimoneGiancristofaro, GiulianaGrimaldi, cosimo lanzo,alessandro massini innocenti,Francesco mattana, Giovanninaccarella, antonio nasso,chiara Panzeri, luca Pierattini,Rosa Ricchiuti, denis Rizzoli,eleonora Rossi, Gabriele Russo,Stefania Saltalamacchia, alessioSchiesari, Giacomo Segantini,Bianca Senatore, FrancescaSironi, matteo Sivori, lindaStroppa, andrea tundo, GianlucaVeneziani, Vittoria Vimercati
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progetto grafico
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di milano n. 81 del 20 febbraio
2009
FOTOGRAFIA
di Francesca Sironi
MAGZINE 15 | novembre 201112
Solo così ricorderò
T
Per saperne di più
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