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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 1-2005 1 A immagine della Trinità L a famiglia è la struttura fonda- mentale in cui la persona cresce e si sviluppa, il luogo naturale in cui egli trova la sua collocazione umana e spirituale. I rapporti familiari sono i fondamenti e le basi di ogni re- lazione tra gli uomini, il loro retto svi- luppo e il loro equilibrio garantiscono la crescita dell’uomo e lo aiutano a vi- vere integralmente la sua vocazione umana a immagine di Dio. Questa “immagine e somiglianza” non è una realtà statica e immobile: significa somigliare alla Trinità anche nel suo aspetto relazionale, nella ca- pacità di essere comunione di perso- ne, immagine sublime di amore che consiste nell’assoluta libertà di donarsi e nell’assoluta capacità di ricevere. È l’amore il centro della famiglia, la ragione della sua esistenza, così come nella Trinità le relazioni divine ci mo- strano l’infinita forza dell’amore che con la sua fiamma si diffonde e dilata fino a incendiare l’intera creazione. Quell’Amore che unisce il Padre e il Figlio, lo Spirito Santo che spira dall’U- no e dell’Altro e che è il respiro vitale della Trinità, e quindi della creazione, è Dono che le divine persone si fanno, e nello stesso tempo è Grazia che ciascu- na riceve. Il vorticoso movimento trini- tario diviene dunque un eterno scam- bio d’amore e di vita, un abbraccio in cui tutta la creazione è stata coinvolta. Tutto è stato creato per questo amore e in vista della relazione amo- rosa con le tre divine Persone. Tutte le creature portano in loro la firma stu- penda dell’amore trinitario e tutte cantano coralmente quest’amore. Nel- l’articolazione e nell’equilibrio di tut- ta la creazione si ode l’armonia supre- ma della Trinità. Nella diversità che si ricompone, nella divisione che si ri- congiunge, nelle repulsioni e attrazio- ni che muovono la vita di tutte le creature noi scopriamo la luce di que- sta impronta divina che sostiene e muove con il suo amore l’universo. Maschio e femmina li creò di mons. Marco Frisina Andrej Rublev, la Trinità, Icona, Galleria Tretjakov, Mosca

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  • FORMAZIONE LITURGICA

    Culmine e Fonte 1-2005 1

    A immagine della Trinità

    L a famiglia è la struttura fonda-mentale in cui la persona crescee si sviluppa, il luogo naturalein cui egli trova la sua collocazioneumana e spirituale. I rapporti familiarisono i fondamenti e le basi di ogni re-lazione tra gli uomini, il loro retto svi-luppo e il loro equilibrio garantisconola crescita dell’uomo e lo aiutano a vi-vere integralmente la sua vocazioneumana a immagine di Dio.

    Questa “immagine e somiglianza”non è una realtà statica e immobile:

    significa somigliare alla Trinità anchenel suo aspetto relazionale, nella ca-pacità di essere comunione di perso-ne, immagine sublime di amore checonsiste nell’assoluta libertà di donarsie nell’assoluta capacità di ricevere.

    È l’amore il centro della famiglia, laragione della sua esistenza, così comenella Trinità le relazioni divine ci mo-strano l’infinita forza dell’amore checon la sua fiamma si diffonde e dilatafino a incendiare l’intera creazione.

    Quell’Amore che unisce il Padre e ilFiglio, lo Spirito Santo che spira dall’U-no e dell’Altro e che è il respiro vitaledella Trinità, e quindi della creazione, èDono che le divine persone si fanno, enello stesso tempo è Grazia che ciascu-na riceve. Il vorticoso movimento trini-tario diviene dunque un eterno scam-bio d’amore e di vita, un abbraccio incui tutta la creazione è stata coinvolta.

    Tutto è stato creato per questoamore e in vista della relazione amo-rosa con le tre divine Persone. Tutte lecreature portano in loro la firma stu-penda dell’amore trinitario e tuttecantano coralmente quest’amore. Nel-l’articolazione e nell’equilibrio di tut-ta la creazione si ode l’armonia supre-ma della Trinità. Nella diversità che siricompone, nella divisione che si ri-congiunge, nelle repulsioni e attrazio-ni che muovono la vita di tutte lecreature noi scopriamo la luce di que-sta impronta divina che sostiene emuove con il suo amore l’universo.

    Maschio e femmina li creòdi mons. Marco Frisina

    Andrej Rublev, la Trinità, Icona, Galleria Tretjakov, Mosca

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    L’uomo, che tra tutte le creatureporta in modo precipuo la somiglianzacon il suo creatore, è capace di amare edi relazionarsi in modo cosciente e libe-ro con la creazione e con gli altri esseriumani. In lui la necessità di trovare uncompagno, ovvero di condividere il de-siderio di relazione con un altro essere,pure in cerca di integrazione, nasceproprio dal suo essere persona, daquell’immagine e somiglianza con Dioche porta impressa nel suo cuore e chefa la sua grandezza.

    Maschio e femmina

    Il racconto di Genesi ci rivela unarealtà meravigliosa e profonda, ci facomprendere come il nostro essere aimmagine di Dio si realizza nell’unio-ne nuziale della diversità sessuale ma-schio-femmina, una diversità cheprovvidenzialmente non significa con-flitto e antagonismo, ma complemen-tarietà. L’unione tra un uomo e unadonna diviene l’elemento fondamen-tale su cui può nascere una nuovarealtà fondata sull’amore e sulla suafecondità: la famiglia. Questa diver-sità profonda tra l’uomo e la donna sifonda sulla differenziazione fisiologi-ca e psicologica della realtà sessuale e,nello stesso tempo, questa diversitàdiventa possibilità di comunione. I ses-si nella loro complementarietà tendo-no a ricomporsi in un’unità nuova emirabile in cui la relazionalità dellacreatura umana si realizza in pienez-za. Per questo il libro della Genesi ri-ferisce la differenziazione all’unicaimmagine di Dio, che si rivela dall’u-nione dell’uomo e della donna.

    Dio creò l’uomo a sua immagine;a immagine di Dio lo creò,maschio e femmina li creò. (Gen 1,27)

    La dinamica sessuale poi non è finea se stessa, in quanto la benedizione eil comando che segue le donano unaprospettiva più ampia, una partecipa-zione alla stessa creazione che vienearricchita di nuove creature grazie al-l’amore che unisce l’uomo alla donna.

    Dio li benedisse e disse loro:Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;soggiogatela e dominate… (Gen 1,28)

    Nasce così la famiglia: la sessualitàe la fecondità diventano la sua forza e

    Dio crea la donna, dal costato dell’uomo, Bibbia di Borso d’Este, vol I, c 5 v (particolare)

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    l’esercizio dell’amore di Dio in essa lafa risplendere come immagine dellagloria stessa del Creatore, il quale simanifesta proprio nella realtà dellapaternità e della maternità.

    Il “Mistero grande”

    Paolo, nella lettera agli Efesini(5,21-6,9), presenta un’immagine difamiglia e soprattutto una teologiadelle nozze molto importante.

    L’idea paolina parte dalla conside-razione fondamentale dell’efficaciadel mistero pasquale nella realtà ma-trimoniale. È questo il “mistero gran-de”, perché nel matrimonio si vede larealizzazione della Pasqua, si mostral’immagine della Nuova ed Eterna Al-leanza compiuta dal Signore.

    L’immagine nuziale inizia e concludela rivelazione biblica; tutta la Scritturavive di questo simbolo nuziale e se neserve per spiegare il rapporto d’amoreche intercorre tra Dio e l’umanità. Unrapporto d’amore che viene codificatoda un’alleanza che segna il patto nuzia-le tra Dio e il suo popolo.

    Nel racconto della creazione dell’uo-mo di Gen 2,4-25 la relazione tra l’uo-mo e la donna rivela il mistero dell’uo-mo che, creato a “immagine e somi-glianza” di Dio (Gen 1,26), manifesta il“mistero” della comunione tra lo sposoe la sposa, quell’essere “una sola carne”che è il fondamento del matrimonio edella famiglia. Paolo sottolinea, riferen-dosi a Cristo e alla Chiesa, quanto siagrande il mistero che nel sacramentonuziale si rivela: il segno dell’amore edella comunione tra l’uomo e la donnadiviene segno dell’amore di Cristo con

    la Chiesa. Ma questo legame si fondasulla Croce salvifica. Il “siate sottomessil’uno all’altro” è lo stile fondamentaledel cristiano perché è lo stile di CristoSalvatore: questa sottomissione signifi-ca il modo con cui Gesù si pone a servi-zio dell’uomo e della sua salvezza. Tuttii battezzati ripetono il gesto di CristoRedentore e nel matrimonio questo ge-sto di Cristo si rinnova.

    Bisogna infatti ricordare che ogni sa-cramento è un gesto salvifico di Cristocompiuto nel suo corpo, che è la Chie-sa. Ognuno di questi gesti d’amore èefficace perché a compierli è il Signorestesso. L’affermazione paolina “voi sie-te il corpo di Cristo” va intesa nel suo si-gnificato forte e decisivo: il corpo di Cri-sto Risorto è vivo nella Chiesa e la gra-zia che ne promana è talmente efficaceda trasformare il mondo.

    L’alleanza nuziale, segno dell’Allean-za tra Dio e il suo popolo, ha le sue leg-gi, le sue regole. L’elenco dei precetti diDio a Israele non è semplicemente unasuccessione di comandi, ma una testi-monianza d’amore reciproco. Le richie-ste di Dio al suo popolo sono quelle diuno Sposo esigente che, nella sua divi-na gelosia, pretende una fedeltà asso-luta da parte della Sposa.

    Questa immagine diventa portantenell’annuncio dei profeti a cominciareda Isaia e Osea. Come è annunciato daiprofeti, nell’amore fedele di Dio per ilsuo popolo più volte infedele è adom-brato il mistero della redenzione (Os2,21-25; Is 54,1-17; Ger 31,31-34; Ez 16).Israele ribelle si allontana dall’amore diDio, da quell’alleanza che è come unpatto nuziale perché si fonda sull’amoreinfinito di Dio. Il profeta Osea allora èaddirittura chiamato a sposare una pro-

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    stituta (Os 2ss) e ad avere figli di prosti-tuzione perché Israele è una sposa infe-dele come quella che, simbolicamente, èla sposa del profeta. Le vicissitudini chesi susseguono nella vita di Israele mo-strano da una parte il dolore di Dio, chesi vede costretto a ripudiare la moglieinfedele, e dall’altra parte la sofferenzadella Sposa rifiutata, che resta in baliadelle potenze del mondo, vittima di de-vastazioni, guerre, deportazioni. Il dolo-re della lontananza da Dio diviene unapunizione medicinale da parte del Si-gnore, che nonostante tutto continuaad amare la sua Sposa infedele.

    Il suo desiderio rimane quello di ri-conquistarla, di ricondurla a sé, di far-le invertire la strada: è la “conversio-ne”, che in ebraico si esprime propriocon il termine “tornare indietro”.

    La venuta di Cristo diviene il compi-mento mirabile di questo “mistero”:egli è lo Sposo che viene a riprendersi laSposa, purificandola dalle sue infedeltàe presentandosela davanti pura e im-macolata (2Cor 11,2; Ef 1,4; 5,27). Gio-vanni Battista, “amico dello Sposo”, ècolui che prepara la Sposa all’incontro,come già avevano fatto i profeti primadi lui (Gv 3,26-30) e Cristo è lo Sposo cheviene alle nozze iniziate in Cana (Gv 2,1-12) e realizzate sulla Croce (Gv 19,25-30). Il vino nuovo che sgorga dalle idriecontenenti l’acqua della purificazionerappresenta la Nuova Alleanza nell’a-more che Cristo viene a realizzare e cheha nel segno delle nozze di Cana l’ar-chetipo (in greco si usa la parola “ar-chè”, “principio”). La storia della salvez-za è come una festa di nozze: così ci di-cono tutte le parabole nuziali dei Van-geli (Mt 22,1-14; 25,1-13; Lc 14,16-24), incui Cristo è lo Sposo.

    In Giovanni la Croce è l’ora nuzialedel Salvatore: in quel momento il nuo-vo Adamo genera dal suo costato lanuova Eva, quello è il momento in cuiè sancita la Nuova Alleanza nel suosangue e nel suo amore infinito.

    Gesù ci rivela che tutti siamo statiinvitati a queste nozze (Mt 22,1-14;25,1-13) che si compiranno alla finedei tempi, quando finalmente la Spo-sa, purificata e santificata, vestirà laveste di lino splendente e, raggiante,si unirà all’Agnello-Sposo (Ap 19,6-9).La vita della Chiesa che intercorre trala risurrezione e l’éschaton è il tempodell’annuncio, della prova, della gioiae del dolore quotidiano che ha la suaimmagine in Maria Maddalena (Gv20,11-18), colei che non può trattene-re Gesù ma che è da lui invitata ad an-nunciare le nozze eterne al mondo.Questo tempo della Chiesa è però an-che il tempo della famiglia, ovvero iltempo in cui il segno di questo “mi-stero grande” si rivela al mondo pre-parandolo al suo compimento.

    Miracolo delle nozze di Cana, miniatura

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    P artecipando agli incontri di pre-parazione al matrimonio, hopotuto constatare che molti fi-danzati non avevano mai pensato alsignificato etimologico dei termini cheusiamo normalmente, a proposito delmatrimonio, quali appunto matrimo-nio, nozze, coniugio, connubio, sposoe sposa, ma anche anello (vera, fede),velo e simili. Vediamoli in concreto.

    Matrimonio. Non è correlativo a“patrimonio”?

    Ebbene sì. Le due parole vengonodal latino e precisamente “patris / ma-tris munus”, cioè compito del padre /della madre. In una cultura primitiva,compito del padre era quello di prov-vedere alle necessità (piuttosto mate-riali): il padre andava a caccia, a pesca,al lavoro insomma. Compito della ma-dre era quello di curare la casa, alleva-re ed educare i figli. “Matrimonio” eraquindi il curare la famiglia. Anche seoggi la società è cambiata, il permane-re del termine indica che quel modo“antico” di concepire il matrimonio ri-sponde alla natura di questa istituzio-ne. La Bibbia così la concepisce.

    Coniugio, da cui deriva il verbo“coniugare”, “coniugato” e l’aggetti-vo “coniugale”. Anche questo terminederiva dal latino “cum-iugare”, che asua volta deriva da “iugum” (giogo). Ilverbo evoca l’immagine di due buoiaggiogati insieme per tirare l’aratro.

    È importante sottolineare la prepo-sizione “con”, che significa insieme. Almio paese, da bambino, ho imparatouna parola latina (anche se non sapevofosse latino). Quando, in una societàcontadina, uno aveva solo un animale(mulo, cavallo, bue), per arare i propriterreni (prima del trattore a motore),aveva bisogno di una seconda bestia.Allora faceva una società con un altrocontadino, che aveva anche lui un ani-male da tiro. Questo contratto si dice-va “insimulare”, cioè mettersi insieme.Nel coniugio, i due si mettono insiemeper tutto e per sempre.

    La preposizione “con” sta anche inconnubio.

    La base di questa parola è il latino“nubes” (nube). La donna, quandosposa, “nubet”, cioè si mette sotto lanube. Connubio indica quindi lo staresotto la stessa nube (o lo stesso tetto).La donna non sposata è perciò “nubi-le”, cioè, può ancora andare sotto lanube. Il matrimonio ebraico prevedeche i due sposi stiano sotto una tenda,o coltre. Anche il velo, che copre il ca-po della donna e (nel rito bizantino)le spalle dell’uomo, può avere lo stes-so significato.

    Il participio perfetto di “nubeo” è“nuptus/a”, da cui il sostantivo “nup-tiae”, cioè “nozze”.

    La tradizione rituale distingueràdue momenti nella celebrazione del

    Un po’ di etimologiadi p. Ildebrando Scicolone, osb

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    matrimonio: il primo sarà il matrimo-nio come patto, e seguirà gli usi e lacultura del tempo e del luogo (a Ro-ma si faceva in casa), il secondo saràchiamato nozze, e consisteva per i cri-stiani nella benedizione nuziale. Que-st’ultima si faceva durante la messa.In passato c’era la proibizione di farequesta benedizione nei tempi peni-tenziali. Ricordate il precetto: non ce-lebrare solennemente le nozze neitempi proibiti.

    Altro termine è sposo/a. Il termineè il participio passato latino “sponsus”,che viene da “spondeo” (= promette-re). Lo sposo è quindi “promesso” aqualcuna (meglio viceversa). La pro-messa può riguardare il presente(“sponsalia de presenti”) o il futuro(“sponsalia de futuro”). Questo secon-do tipo corrisponde al nostro fidanza-mento, che significa promettere fe-deltà. Gli sposi sono quindi “promessi”l’uno all’altra. Il titolo “Promessi sposi”risulterebbe così una tautologia.

    Segni del matrimonio sono il velo(lo abbiamo ricordato), la corona el’anello.

    La corona è molto importante nel-l’oriente bizantino, tanto che la se-conda parte del matrimonio si chiama“incoronazione” (in greco: stephania).Il nuovo rito italiano ne prevede lapossibilità. Il sacerdote, imponendo lacorona sulla testa dello sposo dice: “N.

    ricevi N. come tua corona”. Questapuò essere d’oro, d’argento o di fiori.

    L’anello è segno di legame. La tra-dizione lo vuole al fidanzamento (lo sichiama “fede”). Ma esso si declina: aldito si chiama anello, al collo collana,all’orecchio orecchino, al polso brac-ciale, alla vita cintura. Sono tutti segnidi vincolo o di abbraccio.

    Dal verbo greco “gamèo” (= unire)derivano i termini monogamico e poli-gamico, bigamo e simili. Il greco lousa per i fiori e (piante “crittogame”),perché sono gli organi della riprodu-zione. Si tratta quindi di una unionein vista della fecondità.

    L’etimologia delle parole, che ancoroggi usiamo, ci riporti all’ordine natu-rale, che la società contemporaneasembra voler dimenticare o negare.

    Il prete invita gli sposi allo scambio degli anelli,miniatura medievale

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    Premessa

    N ella cultura occidentale la pri-ma parte della Bibbia è chia-mata comunemente «Penta-teuco» con riferimento ai cinque librida cui essa è costituita. Nella tradi-zione ebraica questo insieme di libriè indicato con il termine “Torah”, chesignifica “insegnamento”1 e quindiconcentra l’attenzione sul fatto che itesti contengono l’insegnamento di-vino, la Parola che guida il popolo acomprendere la presenza liberatricedi Dio all’interno della storia e aorientare fiduciosamente la propriavita secondo il disegno salvifico dellasapienza divina. La stessa raccolta ca-nonica dei Profeti e degli altri Scrittiha la funzione, dentro la tradizionedi Israele, di offrire le indicazionifondamentali perché la Torah possaessere compresa e attualizzata, di ge-nerazione in generazione, secondo lesue inesauribili virtualità. La convin-zione che la Torah costituisce, nellastruttura del canone biblico, l’inse-gnamento divino per antonomasia èalla base di una crescente attenzioneche essa riceve sia in sede di ricercascientifica, sia nell’ambito di un’azio-ne pastorale consapevole del valorevitale e insostituibile della Scrittura.

    In questa prospettiva appare eviden-te che una riflessione biblica sull’amoresponsale, che intenda offrire la luce del-la Parola di Dio per la comprensione del

    sacramento del matrimonio cristiano,trova proprio nella Torah il suo puntoideale di partenza e l’orizzonte fonda-mentale del suo cammino.

    Nel presente articolo si esaminano idue testi iniziali della Genesi che par-lano dell’amore sponsale2. A questo ri-guardo è significativo non solo che laTorah inizia con due racconti, comple-mentari, della creazione, ma anche ilfatto che in entrambi questi raccontil’amore dell’uomo e della donna costi-tuisce lo spazio in cui il Creatore rea-lizza il suo disegno d’amore e rendel’uomo capace di esprimersi in tutti gliambiti della propria storia con il dina-mismo dell’amore divino.

    1. “Maschio e femmina li creò”(Gen 1,27)

    La prima pagina della Torah con-tiene il racconto sacerdotale dellacreazione. Con una descrizioneprofondamente teologica l’azione delCreatore, che nella luce del giorno“unico” chiama all’esistenza l’univer-so, è presentata secondo uno schemasettimanale che culmina nel settimogiorno: il giorno del “riposo”. È ilgiorno in cui Dio contempla nellagioia del suo cuore l’intero creato e loaccoglie in sé perché sperimenti laprovvidenza del suo amore3. In que-sto modo il racconto della creazionetermina orientando al sabato: al gior-

    L’amore sponsale nell’orizzonte di GEN 1-2di P. Giovanni Odasso, crs

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    no in cui il popolo del Signore, me-diante il riposo, testimonia la vocazio-ne di ogni uomo a essere partecipedella vita di Dio e strumento della suasignoria nel mondo. Nell’orizzontedella Torah, infine, l’orientamento alsabato è anche orientamento al tem-pio, al santuario dove il Signore ponela sua dimora regale. Come nei rac-conti dell’origine del mondo, elabora-ti nella tradizione dell’Oriente Antico,in modo speciale nella cultura meso-potamica, il racconto sacerdotale diGen 1 offre il quadro teologico percomprendere il tempio come il luogodella “dimora” del Signore, che, inquanto Re salvatore, è presente salvi-ficamente in mezzo al suo popolo ein mezzo a tutti gli uomini.

    Nella ricchezza di questo quadro teo-logico si situa il racconto della creazionedell’uomo e della donna (Gen 1,26-31).Con essa giunge a compimento l’operacon cui Dio chiamò all’esistenza “il cielo,la terra e tutte le loro schiere” (Gen2,1). La descrizione è interamente illu-minata dalla parola iniziale nella qualeDio esprime la sua intenzione creatrice:«Facciamo l’uomo a nostra immagine,come la nostra somiglianza» (Gen 1,26).In questa frase i termini “immagine” e“somiglianza” hanno una funzione se-mantica fondamentale.

    Effettivamente, l’assunzione deltermine “immagine” nell’orizzonte diGen 1 costituisce il culmine di ungrande processo teologico. Questo siesplicò in modo speciale a opera delDeuteronomio e della scuola deutero-nomistica, che svilupparono una com-prensione della fede in JHWH in nettacontrapposizione con la concezioneregale dell’impero neoassiro dell’VIII e

    del VII secolo. In questo periodo, co-me risulta dai testi in nostro possesso,si consolidò una forte ideologia cen-tralizzatrice e imperiale basata su unamotivazione religiosa4. In forza diquesta concezione la ribellione al reassiro, che esercitava un potere asso-luto sia nei confronti dei popoli sotto-messi, sia verso il suo stesso popolo,non si configurava solo come un’insu-bordinazione allo stato, ma assumevail carattere di trasgressione del giura-mento prestato in nome degli dèi e,quindi, era ritenuta un’infedeltà neiconfronti della stessa divinità. La di-stinzione tra il re e il resto dell’uma-nità fu in questo periodo enfatizzataal massimo. Solo il re era presentatocome “immagine” (tsalmu) della divi-nità, ossia il rappresentante in terradella sua regalità cosmica. Proprio inforza del carattere unico della suapersona, a lui era dovuta la sottomis-sione totale e incondizionata di tutti.

    La constatazione che in alcuni pun-ti, strutturalmente nevralgici5, il Deu-teronomio si richiama alla terminolo-gia neoassira e in questo modo affer-ma un rapporto di fedeltà esclusiva etotale a JHWH, ha permesso di com-prendere la grandezza del progettoelaborato dalla scuola nella quale pre-sero forma il Deuteronomio e la cosid-detta opera storica deuteronomistica.Effettivamente il Deuteronomio origi-nario, del tardo periodo preesilico, sipresenta nella sua struttura come ungiuramento di fedeltà a JHWH. Algrande re assiro (e conseguentementeal dio Assur), che pretende un giura-mento di assoluta e incondizionata fe-deltà, il programma deuteronomicosostituisce la fedeltà totale, esclusiva e

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    permanente a JHWH che, sotto l’in-flusso della predicazione profetica, èconfessato come il Dio la cui signoriasalvifica raggiunge Israele e opera nel-la storia di tutti i popoli.

    In questo orizzonte si situa la stessacategoria teologica dell’alleanza, co-nosciuta anche nella tradizione di altripopoli dell’Antico Oriente. Con que-sto tema il Deuteronomio non solo af-ferma la reciproca relazione che uni-sce il Signore al suo popolo e Israele alsuo Dio, ma al tempo stesso ponequesto rapporto come fondamentostesso dell’identità e autenticità delpopolo di Dio. L’alleanza diventa cosìla base permanente del suo dirittoinalienabile alla libertà nella giustiziae nella solidarietà6, il cardine di quellateologia biblica nella quale ogni for-ma di potere assoluto non ha più pos-sibilità di legittimazione perché è an-titetica alla regalità di Dio.

    * * *

    Presentando l’uomo fatto a “im-magine” (tselem) di Dio, il testo diGen 1 mostra di muoversi proprio nel-l’orizzonte del Deuteronomio, svilup-pandone la ricchezza teologica. L’im-magine di Dio non è più una caratteri-stica che spetta solo al re, ma una di-gnità che appartiene a tutti gli uomi-ni. Ogni uomo è rappresentante diDio sulla terra, è segno della sua rega-lità apportatrice di vita. Si tratta diuna visione di fede le cui virtualità ri-chiedono di essere costantementecomprese e attualizzate. Essa offre ilfondamento teologico dell’uguaglian-za essenziale di tutti gli uomini, deiloro diritti e della loro responsabilità

    nella famiglia dei popoli e nel cammi-no della storia umana.

    Il ricco significato dell’affermazio-ne che presenta ogni uomo fatto “aimmagine” di Dio è confermato e ap-profondito dall’espressione“come lanostra somiglianza”. Il termine “somi-glianza” (demût) assume una conno-tazione specifica nelle descrizioni teo-faniche. Esso indica che i termini ado-perati nella descrizione dell’esperien-za di Dio, non vanno presi alla lettera,ma orientano al mistero ineffabile delDio santo7. Nella sua condizione rega-le, in quanto “immagine”, rappresen-tante di Dio, l’uomo è anche fatto“come la sua somiglianza”: egli è ilsimbolo vivente che orienta alla rega-lità del Creatore e rinvia alla presenzasalvifica di Dio sulla terra (in mezzo alsuo popolo e in tutta l’umanità).

    Alla luce delle precedenti riflessionisi delinea il significato profondo del-l’affermazione solenne di Gen 1,27,che riguarda direttamente il nostrotema: «Dio creò l’uomo a sua immagi-ne; a immagine di Dio lo creò; ma-schio e femmina lo creò». La coppiaumana, che nell’orizzonte della Bibbiaè sempre considerata all’interno dellastruttura comunitaria del matrimonio,è lo spazio nel quale si realizza il pro-getto di Dio per l’uomo. Nell’uomo enella donna che vivono il loro amoreall’interno della comunità umana, inparticolare nell’uomo e nella donnache vivono il loro amore all’internodel popolo del Signore, si realizza inmodo sommo il disegno di Dio che hafatto l’uomo “a sua immagine, comela sua somiglianza”. L’uomo e la don-na sono icona della regalità del Crea-tore e, in quanto icona, orientano al

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    mistero di Dio, alla sua sapienza, alsuo amore, alla sua vita8.

    La benedizione che Dio dona alla pri-ma coppia, nella quale è raffigurataogni coppia della storia umana, assicurala presenza dei doni fondamentali perl’esistenza umana e nel contempo trac-cia l’itinerario della dignità e responsabi-lità di ogni amore sponsale: la vita (siatefecondi), la comunità articolata nellamoltitudine dei popoli (moltiplicatevi) eil dominio della terra, ossia l’attività conla quale l’uomo e la donna sono stru-menti della signoria di Dio nei confrontidi tutto il creato9. Il fatto che la benedi-zione è espressamente rivolta alla cop-pia umana contiene un messaggioprofondo. I valori che caratterizzano ilcammino storico dell’umanità non sonoassicurati solo dall’uomo (o dalla don-na), ma dalla loro comunione di vita e diamore. Nel loro amore l’uomo e la don-na sono icona di Dio e proprio per que-sto portatori della benedizione divina. Indefinitiva, attraverso la coppia umanal’intera creazione è raggiunta dalla be-nedizione e diventa segno della benedi-zione. Tutto il creato porta l’improntadella sponsalità e trova la sua compren-sione nell’orizzonte dell’amore.

    2. “Non è bene che l’uomo siasolo” (Gen 2,18)

    La prospettiva teologica, con laquale il primo racconto della creazio-ne delinea il significato dell’amoresponsale, è confermata, a livello di let-tura canonica, dal secondo racconto inGen 210. Qui la funzione dell’amoredell’uomo e della donna è presentatanei vv. 15-24.

    L’uomo è posto da Dio “nel giardinodell’Eden”. Questa affermazione del v.15 presenta l’uomo che è “preso”, af-ferrato dal Signore, raggiunto dall’e-sperienza del suo amore. In questa con-dizione egli vive “nel giardino dell’E-den”, nella terra preparata da Dio conil compito di lavorarla e custodirla. L’o-rizzonte della fede, che si esprime conqueste parole, è ampio e luminoso.L’uomo non è solo fruitore passivo deidoni dati da Dio, al contrario è chiama-to a cooperare con la propria attivitàperché il suolo, dalla cui polvere eglistesso è stato plasmato (Gen 2,7), di-venti “giardino”: luogo di vita e di deli-zia, di bellezza e di sicurezza. A questoscopo il compito dell’uomo non è soloquello di lavorare il giardino, nel qualeDio lo ha posto, ma anche di “custodir-lo”. Il verbo “custodire (shamar) indicaprima di tutto l’intervento salvifico concui Dio realizza la sua Parola, adempiele sue promesse, guida il popolo a spe-rimentare la sua salvezza. Riferito al-l’uomo il verbo connota l’atteggiamen-to interiore con cui accoglie la Paroladel Signore e sviluppa un’esistenza insintonia con la sapienza e il disegno delsuo Dio. Nella finalità di custodire ilgiardino dell’Eden si delineano quindila grandezza dell’uomo e la sublime re-sponsabilità della quale è investito. Ef-fettivamente l’uomo è posto da Dionella condizione di realizzare la vitasulla terra in modo che questa sia perlui “il giardino delle delizie”, il luogodove egli si incontra con il Creatore egli rende culto, sperimentandone lapresenza, la parola, l’amore11.

    La frase che segue (v. 19) mostra cheil “comando” di Dio è in realtà il donodi poter “gustare” i beni dati da lui e

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    sviluppati dalla cooperazione sapientee diligente dell’uomo. La possibilità del-l’uomo, che si sviluppa in sintonia conla sapienza divina: è questo il “coman-do” del Creatore. In questo contesto laproibizione di “mangiare dell’alberodella conoscenza del bene e del male”(v. 17) appare in tutto il suo significato.L’uomo è signore del creato nella misu-ra in cui non si sostituisce a Dio e non siarroga la facoltà di stabilire ciò che èbene e ciò che è male. Nel momento incui l’uomo vuole sostituirsi a Dio intra-prende il cammino della propria morteche lo riduce nuovamente a essere“polvere della terra” (cf. Gen 3,19). Dal-la lettura di questo testo, che tengaconto della sua posizione canonica, ri-sultano fortemente sottolineate la di-gnità “regale” dell’uomo, nelle cui ma-ni Dio ha posto l’universo, e la sua re-sponsabilità di custodire nella storiaun’esperienza di Dio che lo renda sem-pre aperto verso i doni del Signore, inuna sintonia vitale con la sua sapienzae il suo disegno d’amore.

    * * *

    In questo contesto si situano i ver-setti che parlano della formazionedella donna e presentano così il signi-ficato della coppia umana all’internodella storia, nel “giardino dell’Eden”(Gen 2,18-24). La profondità di questopasso appare fin dall’affermazioneiniziale. «Dio pensò: non è bene chel’uomo sia solo» (v. 18). Qui si incontrala fede biblica nella sua ricchezza ine-sauribile. Per essa non è l’uomo il pri-mo a percepire la sua solitudine, ma ilSignore. A livello canonico si crea unaforte correlazione con l’affermazione

    di Gen 1,31. Nella creazione e nellabenedizione dell’uomo e della donnaDio vide che “era cosa molto buona”.Qui “non è cosa buona che l’uomo siasolo”. La solitudine priva l’uomo dellacaratteristica di quella “bontà” cheper la Scrittura è riflesso e segno dicolui che è buono in senso assoluto(cf. Sal 100). In questa luce la forma-zione della donna e la sua presenta-zione all’uomo, in altri termini la co-stituzione della coppia umana, apparecome segno del “pensiero” di Dio erealizzazione concreta del suo dise-gno di amore, sempre rivolto al benedell’uomo e alla vita del mondo.

    La solitudine dell’uomo è determina-ta dal fatto che egli è privo di un “aiutoa lui corrispondente”. Il termine “aiuto”non è preso in senso riduttivo per deno-tare una cooperazione materiale che al-levia le fatiche del lavoro. Esso, inrealtà, ha una profonda connotazioneantropologica e teologica. Il Signore èl’aiuto del suo popolo in quanto è il“tu” nel quale il credente può semprerifugiarsi per ritrovare la certezza dellapropria identità e libertà. Analogamen-te nella coppia la donna è l’“aiuto” del-l’uomo e l’uomo è l’“aiuto” della donnain quanto entrambi sono l’uno per l’al-tro il “tu” nel quale ognuno dei due co-niugi ritrova se stesso con le miglioripossibilità della propria realizzazione.Tutta la creazione è posta nelle manidell’uomo, ma solo nella sua donnaquesti trova l’aiuto che lo fa uscire dallapropria solitudine, l’aiuto che gli corri-sponde, che gli è davanti in un dialogodi autentica comunicazione. La coppiaumana è il luogo della parola donata ericambiata, il luogo della ricerca, dellacomunione, dell’amore.

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    La descrizione del Signore che formala donna, per presentarla all’uomo,contiene una pluralità di motivi impor-tanti sotto il profilo teologico-biblico.Anzitutto il “sonno profondo” (tarde-mah), che il Signore “fece cadere” suAdamo, suppone che l’amore che uni-sce l’uomo e la donna non è una realtàesterna alla fede, al contrario esso si svi-luppa all’interno di un’esperienza di fe-de che è simile a quella di Abramo,quando contempla Dio che si manifestafedele alla sua promessa (Gen 15,12).L’amore della coppia è opera della po-tenza del Dio creatore e del suo amoreprovvidente per l’uomo.

    Anche il motivo della formazionedella donna da “una delle costole del-l’uomo”, motivo che probabilmenteconserva ancora l’eco di una concezio-ne arcaica12, si presenta con un densocontenuto teologico. La donna non èvista come essere inferiore all’uomo,ma come essere a lui complementare,perché partecipe della sua stessa di-gnità e natura. L’uguaglianza e lacomplementarietà costituiscono le ca-ratteristiche fondamentali dell’uomoe della donna che sono uniti dall’amo-re e, nell’autenticità dell’esperienzareligiosa, scoprono che all’originestessa del loro amore si trova l’inter-vento provvido e sapiente del Signore.

    Questi due aspetti risuonano nelcanto di gioia dell’uomo quando trovadavanti a sé la donna: “Questa voltaessa è carne della mia carne e ossa del-le mie ossa” (Gen 2,23). Nel linguaggiobiblico la “carne” è simbolo della per-sona umana in quanto essere vivente,capace di comunione nella fedeltà enell’amore13; le ossa sono simbolo dellapersona in quanto è capace di guarda-

    re al futuro con speranza e di impe-gnarsi per esso con tutte le sue energievitali14. In questa luce il canto di Gen2,23 ha un significato preciso: la coppiaumana, che trova nel “pensiero” e nel-l’opera di Dio la propria origine, svilup-pa la sua identità e fedeltà, secondo ildisegno divino, vivendo nella comunio-ne e nella speranza.

    La parte finale del canto di gioiadell’uomo, che costituisce al tempostesso la conclusione teologica del rac-conto, offre la seguente sintesi di tut-ta la narrazione: «Perciò l’uomo ab-bandonerà suo padre e sua madre erimarrà unito alla sua donna e i duediventeranno una carne sola» (v. 24).La coppia costituisce una novità nelcammino della storia umana. L’abban-dono del padre e della madre non in-dica un venir meno dei vincoli propridell’amore filiale, ma il fatto che lacoppia, formandosi, costituisce unevento nuovo che non può essere as-sorbito dalla famiglia precedente. Na-sce una nuova famiglia, si sviluppa lacomunità del popolo di Dio, si molti-plica la comunità delle genti sulla ter-ra. Ogni famiglia è portatrice di unanovità che si esprimerà nella misurache l’uomo e la donna sanno incon-trarsi in Dio e in lui essere l’uno perl’altro lo spazio dell’autenticità e dellarealizzazione dell’amore, lo spazio incui si rende presente la regalità salvifi-ca di Dio.

    La realizzazione di una vita caratte-rizzata dalla comunione reciproca nel-l’amore è espressa nelle parole “ri-marrà unito” alla sua donna. Il verboebraico (dabaq), quando è adoperatoin senso traslato connota quell’espe-rienza interiore di amore per cui l’uo-

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    mo orienta il proprio essere e la propriavita alla sua donna15. È l’esperienza del-l’innamoramento che fiorisce perma-nentemente in amore e questo diventaparola rivolta al cuore, comunicazioneche raggiunge la sede del pensiero edell’autocoscienza della persona uma-na. Proprio questo orientamento d’a-more che realizza l’“unità” del cuorecaratterizza la realtà nuova di ogni cop-pia umana che si forma secondo il dise-gno di Dio e nella luce della fede16.

    Come sottolinea la conclusione delcanto di gioia dell’uomo, la meta del-la coppia è la piena realizzazione del-la sua identità: “i due diventerannouna sola carne”. Decisiva è la connota-zione del “divenire” presente nella lo-cuzione ebraica. La coppia è chiamataa diventare sempre più quello che è,sviluppando un cammino in cui l’e-spressione “carne della mia carne” di-venta “una sola carne”. In questo “di-venire una sola carne” si esprime lavittoria di Dio sulla solitudine dell’uo-mo e la vittoria dell’uomo sulle forzeche lo spingono a trovare la propriarealizzazione in quelle realtà che nonsono “l’aiuto a lui corrispondente”,realtà nelle quali egli si degrada e svi-luppa i dinamismi dell’orgoglio, dellaviolenza, dell’ingiustizia, della morte.

    Anche la pagina di Gen 2 offre unorizzonte teologico profondo e riccodi prospettive. Il “molto buono” diGen 1 si comprende nell’evento percui “i due diventeranno una sola car-ne”. La coppia umana è una realtàsempre in costruzione, un divenire do-ve la comunione fiorisce nell’unità el’unità custodisce intatta la libertà deldono e della comunione. Certo le dif-ficoltà non mancano, ma non erano

    ignote nemmeno al tempo in cui siformò questa pagina. La conoscenzadel dono e la consapevolezza del valo-re costituiscono un orientamento fon-damentale per chi affronta con sa-pienza e responsabilità il camminodella vita. Se la coppia umana realizzaquesto divenire allora nell’esperienzadella fede (tardemah) l’uomo e ladonna credenti possono scoprire ognigiorno in modo nuovo l’amore di Dio,che opera rendendoli, l’uno per l’al-tra, quell’ “aiuto” reciproco che rag-giunge il nucleo più profondo dellapersona umana: il cuore.

    3. Rilievi e prospettive

    Il presente articolo ha concentratol’attenzione sulle pagine di Gen 1-2 percogliere il significato dell’amore spon-sale. Questi testi, essendo posti all’iniziostesso della Torah, offrono gli orienta-menti basilari per la fede del popolodel Signore. Certo in Gen 1-2 incontria-mo la visione teologica positiva dell’a-more sponsale. Sappiamo che la realtàumana concreta è anche segnata daGen 3, dall’ingresso del male all’internodella vita e della storia di ogni uomo.Nonostante il male presente nel mondola Scrittura inizia con Gen 1-2: l’uomo ela donna che vivono il loro amore, di-ventando sempre più una sola carne,esprimono il valore “molto buono” del-la creazione. Essi sono segno della vit-toria del disegno di Dio sulla solitudinedella persona umana, solitudine cheora risulta aggravata dalla potenza delmale che spinge l’uomo nelle regionitenebrose perché non illuminate dall’a-more: nelle regioni dell’egoismo, del-

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    l’infedeltà, della prepotenza, della vio-lazione dei diritti inerenti a ogni perso-na che Dio ha pensato a sua immaginee somiglianza e per la quale ha prepa-rato il giardino delle sue delizie.

    La consapevolezza che Gesù haportato a compimento la Torah (cf. Mt5,17-19) spinge i battezzati a sviluppa-re una conoscenza sempre più appro-priata di queste pagine per accoglier-ne il messaggio e portarlo a compi-mento nella propria vita “risorta con ilCristo” (cf. Col 3,1). Una riflessione at-tenta sul messaggio di queste paginemostra il valore dell’amore sponsale,amore che è dono di Dio e nel con-tempo frutto della responsabilitàumana, chiamata ad accogliere il “co-mandamento” della vita per non in-traprendere il cammino che conducealla morte: la morte di una persona, diuna famiglia, di una società…

    I valori che sono emersi dall’analisidei testi permettono di comprenderel’importanza vitale che riveste l’amoresponsale nell’orizzonte teologico dellaSacra Scrittura. Questa importanza èconfermata dalla considerazione edall’attenzione con cui la tradizioneebraica ha circondato e custodito ilmatrimonio17.

    Il messaggio di Gen 1-2 sull’amoresponsale offre l’orizzonte nel quale sipuò capire il fatto che la Bibbia descrivela comunione di vita che unisce il popo-lo al suo Dio non solo ricorrendo all’im-magine filiale, ma sviluppando al tem-po stesso le ricchezze insite nell’imma-gine dell’amore sponsale. Le pagine diOs 2, di Ger 3, di Is 54 e Is 62 sono le te-stimonianze più eloquenti di una rifles-sione teologica per la quale il Signore èlo sposo fedele che rende possibile ciò

    che all’uomo sarebbe impossibile: ritor-nare a lui totalmente rinnovati dal suoamore: come il popolo interiormentetrasformato dal prodigio della nuovacreazione; come la sposa che, nella suarinnovata verginità, è la gioia e la deli-zia del Signore (cf. Is 62,4-5).

    * * *

    Queste prospettive offrono la chia-ve per capire il fatto che anche l’atte-sa del Messia fu espressa ricorrendoall’immagine sponsale. Con la vittoriadel Re, il Messia, si realizzerà piena-mente la comunione sponsale del po-polo con il suo Dio (cf. Sal 45), giun-gerà il mondo nuovo promesso, ilmondo della risurrezione (cf. Dn 7).

    La Chiesa del NT, avendo la fedenel Signore risorto, ha la certezza chele promesse di Dio si stanno adem-piendo in lei, sposa santa e immacola-ta del Signore. In essa le pagine diGen 1-2, lette nella luce di tutta la tra-dizione biblica e nella testimonianzaevangelica del Signore risorto, acqui-stano e diffondono nuova luce. L’amo-re vicendevole degli sposi appare oracome il simbolo per antonomasia del-l’amore del Cristo per la Chiesa, glisposi sono icona del Signore risorto,partecipano della sua regalità per lavita del mondo. In quanto luogo in cuisi rende effettivamente presente l’a-more del Signore risorto per la Chiesae l’umanità, l’amore degli sposi cristia-ni si configura come il luogo dove sirealizza la regalità salvifica del Cristo,dove si sperimenta e si testimonia lavita della risurrezione. Qui il matrimo-nio è “sacramento” per la gloria diDio e la vita del mondo.

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    1 Traducendo la parola «torah» con “nomos” (leg-ge), la LXX ha aperto la via alla concezione delPentateuco come “Legge”. A questo riguardo He-schel si esprime così: «I traduttori della Versionedei Settanta commisero un errore gravissimo efunesto quando per mancanza di una parolaequivalente in greco resero Torah con nomos, chesignifica legge: essi diedero così origine a un du-raturo, enorme malinteso sull’ebraismo […]. Chegli Ebrei abbiano sempre considerato la sacraScrittura come un insegnamento è dimostrato dalfatto che in aramaico la parola Torah viene tra-dotta con oraita, che può significare soltanto in-segnamento, e mai legge (A. J. HESCHEL, Dio allaricerca dell’uomo, Roma 1983, 350).

    2 Per una comprensione globale dei racconti dellacreazione dell’uomo in Gen 1.2 si rinvia allo stu-dio di M. P. SCANU, “L’uomo nel mondo creato daDio”, Parola, Spirito e Vita 46 (2002) 11-26 (finevolume).

    3 Nel linguaggio teologico della Scrittura il “ripo-so” indica l’esperienza della salvezza operata daDio mediante l’esodo e il dono dell’alleanza. Rife-rito a Dio il termine indica la compiacenza di Dionella sua opera creatrice e, quindi, la presenzadella creazione nel cuore stesso di Dio.

    4 La profonda innovazione nella concezione assiradei sec. VIII-VII è un dato acquisito nella ricercadell’Antico Oriente. A tale riguardo così si espri-me lo storico M. LIVERANI: «I testi del IX secolo an-cora presentano i rapporti politici e bellici tra As-siri e popoli vicini in maniera “realistica”, comeun seguito di ribellioni e di spedizioni punitive[…]. Con l’VIII e poi col VII secolo la presentazio-ne degli stessi eventi cambia: il nemico non si ri-bella contro gli Assiri, ma trasgredisce il giura-mento prestato nel nome degli dèi […]. Il giura-mento (adê) diventa il nodo centrale di tutti irapporti politici, di quelli interni allo stato assiro,come di quelli internazionali: il valore pregnantedella parola giurata consente in pratica di giusti-ficare qualunque reazione, e di colpevolizzare ilnemico non nei riguardi del re assiro ma nei ri-guardi di una istanza superiore (la divinità), fa-cendo così passare la qualifica di nemico o di tra-ditore o di ribelle da un piano soggettivo e inter-personale ad uno oggettivo e cosmico. […]. Il reassiro resta centrale nel sistema religioso del suopaese. […]. Il “codice” espressivo dell’ideologiapolitica assira resta quello religioso, ma il mondodivino è pura ipostasi della regalità e del poterepolitico» (M. LIVERANI, Antico Oriente. Storia, so-cietà, economia, Roma-Bari 1991, 844.846).

    5 Questi richiami sono posti nei cc. 13 e 28 in modo

    da incorniciare l’ordinamento religioso, sociale egiuridico del codice deuteronomico. Un esempiosignificativo di questi richiami appare nel con-fronto del testo di Dt 28,23 («il cielo sopra il tuocapo sarà di rame e la terra sotto di te sarà di fer-ro») con il § 63 («tutti gli dèi che sono menzionatiin questo trattato rendano il tuo suolo di ferro,così che non vi si possa scavare nessun solco») e il§ 64 («come la pioggia non cade da un cielo di ra-me, così non scenda né pioggia né rugiada suituoi campi e i tuoi prati, ma piovano carboni ar-denti nel tuo paese, invece di rugiada») del trat-tato di vassallaggio di Asarhaddon (ANET pp.534-541).

    6 La visione deuteronomica dell’alleanza non solocolpisce al cuore l’ideologia regale neoassira, mapone le basi della concezione biblica per la qualeogni forma di potere assoluto e dispotico è innetta antitesi contro la regalità salvifica di Dio.Cf. E. Otto, Gottes Recht als Menschenrecht. Re-chts- und literaturhistorische Studien zum Deute-ronomium, Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 2002,161-166.

    7 Illuminante, a questo riguardo, è la descrizionedella visione del profeta Ezechiele: «Al di sopradella volta, che era sopra le loro teste, vi era co-me l’aspetto di una pietra di saffiro, una somi-glianza di trono e sopra la somiglianza del tronovi era una somiglianza come l’aspetto di un uo-mo, che era su di esso in alto. Come l’aspetto del-l’arco che è sulle nubi in giorno di pioggia, cosìera l’aspetto dello splendore intorno. Era l’aspet-to della somiglianza della gloria di JHWH. La vidi,caddi sulla mia faccia e udii la voce di Chi parla»(Ez 1,26.28).

    8 In questa prospettiva si può comprendere il moti-vo per cui il giorno della creazione dell’umanità sicaratterizza rispetto agli altri come “molto buo-no”. Nell’uomo e nella donna, che condividonoinsieme l’immagine divina, il cammino dell’uma-nità rimane costantemente aperto all’esperienzadell’amore di Dio e alla testimonianza di questoamore che si trasmette di generazione in genera-zione nel cammino del popolo del Signore e nellastoria dell’umanità.

    9 Alcuni hanno visto nelle parole “sottomettete edominate la terra” di Gen 1,28 “le radici storichedella nostra crisi ecologica» (Lynn WHITE). L’infon-datezza di questa accusa appare dal semplice fat-to che essa si basa su un’errata interpretazionedei testi biblici. Il termine “dominare” non è «si-nonimo di sfruttamento e abuso, ma di sollecitu-dine nel garantire il benessere di tutte le altrecreature, cosicché la promessa che ciascuna di es-

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    se ha ricevuto possa essere fruita appieno» (W.BRUEGGEMANN, Genesi,Torino 2002, 53). In realtà, èstato giustamente osservato, il linguaggio di que-sta benedizione «è esplicitamente regale e si deli-nea una coordinazione tra le funzioni divine equelle umane: l’uomo è costituito rappresentantedivino per il governo del mondo. Non si trattaper l’umanità di un incontrollato sfruttamentodel creato, ma di estendere e completare sullaterra l’opera divina della creazione.Più precisamente, riguardo allo svolgimento delsuo compito, si può dire che l’uomo è chiamato ainnalzare il mondo attraverso la storia, a dargliun significato e un orientamento. […]. Perciò l’u-manità è attivamente coinvolta nel cooperarecon Dio per continuare e sostenere l’armonia e lastabilità del cosmo, contro le forze contrarie chesono nel contempo avversarie di Dio e dell’uo-mo» (M.P. SCANU, “L’uomo nel mondo creato daDio”, cit., 23.24).

    10 A livello di lettura canonica si può osservare chementre in Gen 1 «è sviluppato un racconto diste-so e sistematico del progetto della creazione delmondo, Gen 2,4ss verte sugli esseri umani e sulloro ambito di vita. Questo secondo testo, nellasua attuale collocazione, costituisce, per così dire,un dettagliato concretarsi del ruolo e della sortedella prima coppia» (R. RENDTORFF, Teologia del-l’Antico Testamento, I, Torino 2001, 26).

    11 Alla luce di Ez 31,8.9, il giardino «evoca la dimoradivina; esso diventa di fatto lo spazio in cui Dio el’uomo si incontrano. In questa prospettiva si de-linea che il compito dell’uomo consiste in modoessenziale nel servizio di Dio» (M.P. SCANU, “L’uo-mo nel mondo creato da Dio”, cit., 23.24).

    12 «L’idea che Dio ha “formato” la donna da una co-stola dell’uomo vuol essere certamente un’anti-chissima risposta alla domanda perché le costolenon racchiudano l’intero corpo dell’uomo, ma so-lo la sua parte superiore […]; in complesso biso-gna però dire che si tratta di idee ormai moltosbiadite e che si possono raggiungere solo per viadi illazione: segno che già al tempo dello Jahvistaquesto particolare problema eziologico non erapiù vivo» (G. VON RAD, Genesi, Brescia 21978, 103).

    13 Questo significato appare in modo particolar-mente evidente nella parola del Signore che pro-mette di togliere il cuore di pietra e di donare uncuore di carne (cf. Ez 36,26). Alla luce della peri-cope di Ez 36,16-28 l’espressione “cuore di pie-tra” indica la condizione del popolo che con lasua ingiustizia è divenuto infedele al suo Dio e siè posto in una situazione di morte. Il cuore di car-ne indica la condizione del popolo che riceve loSpirito e vive nella fedeltà al disegno di Dio e

    quindi sviluppando gli orientamenti esistenzialidella solidarietà e dell’amore.

    14 Questo simbolismo delle “ossa” appare evidentein Ez 37,1-14, dove le ossa aride sono simbolo diun popolo che ha perso la speranza e si senteperduto (cf. v. 11).

    15 Il significato del verbo dabaq, che abbiamo ri-chiamato, appare nel racconto di Gen 34,1-2, do-ve si narra, con intenti di eziologia tribale, l’epi-sodio della violenza fatta a Dina. La narrazione ècostituita da due scene: la prima, negativa, descri-ve la violenza perpetrata da Sichem contro Dina;la seconda registra l’innamoramento di Sichem.Tre verbi descrivono la scena negativa della vio-lenza: Sichem la prese, giacque con lei, la vio-lentò. A essi corrispondono altri tre verbi che pre-sentano Sichem innamorato di Dina: rimase unito(dabaq) a lei, l’amò, parlò al suo cuore. Il “rima-nere uniti” culmina nell’unione del cuore: uncuor solo e una via sola (cf. Ger 32,39 dove l’e-spressione “un cuor solo e una via sola” ricorrecon un significato teologico).

    16 Una conferma del significato profondo del verbodabaq è data dal fatto che a esso la tradizione diIsraele ricorre per esprimere l’orientamento tota-le, esclusivo e permanente del popolo al Signore,un orientamento con in quale il popolo è chiama-to a vivere nell’esperienza dell’amore sponsaledel Signore e nell’ascolto della sua voce (cf. Dt30,20; Sal 63,9).

    17 Una storia classica, basata sulla convinzione che imatrimoni sono preparati in cielo, recita: «Unamatrona romana chiese a un Dottore: “In quantigiorni il Santo, benedetto egli sia, ha creato l’uni-verso”. “In sei giorni”, le rispose. “E che fa da al-lora fino adesso?”. Le rispose: “Sta combinandomatrimoni”. Gli disse: “È questa la sua occupazio-ne? Potrei farlo anch’io. Io possiedo molti schiavimaschi e femmine, e in brevissimo tempo possounirli”. Le rispose: “Se ai tuoi occhi è cosa facile,per il Santo, egli sia benedetto, è difficile quantodividere il Mar Rosso”. Detto ciò si congedò. Chefece allora la matrona? Riunì mille schiavi e milleschiave, li mise in fila e indicò a ognuno chi dove-va sposare. In una sola notte li sposò tutti. Almattino vennero da lei, uno aveva una ferita allatesta, un altro un occhio pesto e un altro unagamba rotta. Essa domandò: “Che cosa vi è suc-cesso?”. Una donna disse: “Io non voglio costui”;un uomo disse: “Io non voglio costei”. Subitomandò a chiamare il Rabbino e gli disse: Non c’èDio come il vostro Dio. La vostra Torah è vera,bella e degna di lode» (Gen. R. LXVIII, 4). Il rac-conto si può trovare, già in parte semplificato, inA. COHEN, Il Talmud

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    I l 29 aprile 2004 la Congregazio-ne per il Culto Divino e la Disci-plina dei Sacramenti ha approva-to la versione italiana dell’editio ty-pica altera dell’Ordo celebrandi Ma-trimonium, elaborata e proposta al-l’approvazione dalla Conferenza Epi-scopale Italiana. Non si tratta di un“nuovo” rito, diverso dall’Ordo cele-brandi matrimonium promulgato nel1990 per tutta la Chiesa di rito lati-no, ma di un adattamento a una si-tuazione locale, secondo i principiposti da SC nn. 37-40 e ribaditi dalmedesimo Ordo e dall’istruzione suLa liturgia romana e l’inculturazione(1994). Tale versione italiana, pro-mulgata il 4 ottobre scorso, è obbli-gatoria per l’uso liturgico nella Chie-sa italiana dal 28 novembre, primadomenica di Avvento.

    I criteri guida di un lavoro che haimpegnato la Chiesa italiana per undecennio, ha coinvolto liturgisti, bibli-sti e pastoralisti e ha recepito solleci-tazioni giunte da molti vescovi, sacer-doti e fedeli, sono cinque, esplicita-mente dichiarati nella Presentazione:• Il significato specificamente cristia-

    no del Matrimonio.• La dimensione ecclesiale del sacra-

    mento del Matrimonio.• La presenza dello Spirito nel Matri-

    monio cristiano.

    • La gradualità nel cammino di fedee nell’esperienza di Chiesa.

    • La ministerialità degli sposi nellacelebrazione.In questi brevi interventi di presen-

    tazione vorremmo evidenziare la pre-senza di questi criteri nei vari momen-ti rituali, invitando a valorizzare tuttala ricchezza dei testi e dei genti pro-posti. I sacerdoti e i diaconi, i catechi-sti dei fidanzati e quanti a vario titolosi occupano della celebrazione nuzialenoteranno subito che la versione ita-liana rifugge dalla logica del mini-mum ad validitatem, ossia delle ridu-zioni minimali buone per tutti. Le pre-messe generali, al n. 29 precisano che«La celebrazione stessa del Matrimo-nio deve essere preparata con cura,per quanto è possibile, insieme con ifidanzati». Tale coinvolgimento non siriduce a un breve incontro per esami-nare le bozze del libretto o per sce-gliere le letture in base a criteri soltan-to affettivi ed emozionali, ma richiedeil tempo e la frequentazione necessariper giungere a una discreta conoscen-za reciproca e a un confronto condot-to con onestà intellettuale, per poterfondare il rito sulla verità del cammi-no di fede compiuto (o lasciato al li-vello dell’iniziazione, o appena incoa-tivo, o mai iniziato, o mandato avantiin modo più o meno abitudinario,…)dai singoli e dalla coppia.

    Il rito del matrimonioRiti di introduzione e memoria del Battesimo

    di Adelindo Giuliani

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    La prima scelta che il rito offre èquella di situare il matrimonio nella di-mensione celebrativa più autenticaper gli sposi: nella celebrazione eucari-stica (capitolo I), se gli sposi colgononell’eucaristia il culmine della loro ini-ziazione cristiana e la vivono con desi-derio e gratitudine, oppure nella litur-gia della Parola (capitolo II), nel «casodi coppie che, pur non avendo matu-rato un chiaro orientamento cristianoe non vivendo una piena appartenen-za alla Chiesa, desiderano la celebra-zione religiosa del Matrimonio essen-do battezzati e non rifiutando esplici-tamente la fede» (Presentazione, n. 7).Tale forma celebrativa non costituisceun matrimonio diminuito o di bassoprofilo, ma risponde alla verità esisten-ziale di quei battezzati che, in realtà,non hanno ancora ascoltato la Paroladi Dio e l’annuncio di salvezza che lirenda consapevoli del dono ricevuto.La scelta, per essere propositiva, nondeve avere il carattere di un giudizioespresso dall’esterno sulla vita e sullamaturità degli sposi, ma va concorda-ta, coniugando verità e carità e tenen-do conto del grado di maturità e con-sapevolezza della coppia e delle perso-ne che li circondano.

    Inizieremo la presentazione dal pri-mo capitolo, che tratta del matrimo-nio nella celebrazione eucaristica.

    L’accoglienza degli sposi.

    I nn. 45-50 dettagliano quanto giàprevedevano i nn. 21-22 della prece-dente edizione: il sacerdote e i mini-stranti accolgono gli sposi alla portadella chiesa o all’altare. La maggiore

    ampiezza della descrizione intendevalorizzare un gesto (l’accoglienza) e,nel primo caso, alcuni luoghi (pur nonesplicitamente menzionati: il sagrato,il nartece, il portale) dove la comu-nità, o almeno il sacerdote e i ministriin suo nome, salutano gli sposi, li ac-colgono ed esprimono partecipazionealla loro gioia.

    Il rito non entra in merito sul luogodove trovano posto gli sposi una voltaentrati in chiesa. Scartando il presbite-rio e cercando un punto significativonell’aula liturgica, l’indirizzo ampia-mente prevalente tra i liturgisti èquello di valorizzare (anche architet-tonicamente, nelle nuove chiese)l’ómphalos, luogo baricentrico dellachiesa, ombelico (questa, letteralmen-te, la traduzione del termine greco)che collega idealmente l’aula liturgicacon il Cielo, punto di incontro dove, almomento della distribuzione della co-munione, si incontrano la processionedei fedeli che si accosta all’altare e ilmovimento del ministro che, presodall’altare il Pane eucaristico, procedecon sollecitudine verso di loro.

    La memoria del battesimo.

    Ci si sposa in chiesa perché si è cri-stiani. All’inizio della celebrazione,dopo il saluto liturgico, il rito proponetre forme per la monizione che invital’assemblea a fare memoria del batte-simo, “inizio della vita nuova nella fe-de, sorgente e fondamento di ognivocazione” (n. 54, terza formula), sa-cramento “dal quale, come da semefecondo, nasce e prende vigore l’im-pegno di vivere fedeli nell’amore”

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    (n. 53, seconda formula). Dove è possi-bile (e se la sposa si è lasciata guidaredal buon senso nella scelta di un abitoche vesta senza immobilizzare!) ci sireca al fonte battesimale. Altrimenti,un ministrante porterà l’acqua bene-detta al sacerdote. Nelle scorse setti-mane, presentando il rito del Matri-monio al clero della Diocesi di Roma,il p. Silvano Maggiani faceva notarel’opportunità di non usare il consuetosecchiello con l’aspersoio, ma di mo-strare l’acqua e di farla scorrere inmodo che se ne senta il mormorio. Senon si può usare il fonte, basta che unministrante vi si rechi e porti unabrocca di vetro piena d’acqua. Davantial sacerdote la si verserà in un piccoloe decoroso bacile, che si userà per l’a-spersione. Il murmure dell’acqua chescorre non solo è uno dei suoni pri-mordiali della terra che l’umanità con-serva nell’inconscio più profondo (co-me il soffio del vento o del crepitiodel fuoco), ma rimanda al primo suo-no che le nostre orecchie hanno uditoancora nel grembo materno. Un gestoben fatto non richiede tempo in ec-cesso, ma è capace di parlare al simbo-lico di tutti i presenti e contribuisce acreare subito un’atmosfera di raccogli-mento e silenzio. Non si benedice l’ac-qua, ma si pronunzia una acclamazio-ne di lode trinitaria (R. Noi ti lodiamoe ti rendiamo grazie) sull’acqua giàbenedetta. Segue l’aspersione deglisposi e di tutta l’assemblea. Tale ritosostituisce l’atto penitenziale. La cele-brazione procede con il canto del Glo-ria (fuori dei tempi di Avvento e Qua-resima). L’eucologia sarà quella dellamessa per gli sposi, tranne che nelledomeniche e solennità elencate ai

    punti 1-4 della tabella dei giorni litur-gici. In ogni domenica, se il matrimo-nio è celebrato nella messa della co-munità parrocchiale, si mantengonol’eucologia e le letture del giorno.

    Lo svolgimento rituale dovrà esse-re ben noto tanto ai responsabili del-l’animazione musicale, quanto a colo-ro che ornano la chiesa. La valorizza-zione dei luoghi liturgici potrà esserefacilitata dall’arte floreale. Più chedisseminare la navata e il presbiteriodi composizioni pre-confezionate sen-za conoscere la chiesa (o calcolate sulnumero dei banchi o delle colonne,come purtroppo si vede nella mag-gioranza dei casi), occorrerà studiarecon calma le caratteristiche della chie-sa e valorizzarne anche lo spazioesterno, il portale, il fonte battesima-le con il candelabro pasquale. La valo-rizzazione dell’ómphalos in moltechiese antiche è già esplicita nella pa-vimentazione: per esempio la scuolamusiva cosmatesca scandisce percorsiche conducono i passi e lo sguardo al-l’altare, sostando sul luogo baricentri-co della chiesa. È completamente in-sensato coprire un pavimento di que-sto tipo con un’anonima guida rossao rompere l’armonia dei disegni, deipercorsi e dei luoghi con fioriere, co-lonnine di plastica e pesanti drappa-ture di colori improbabili (dal giallomiele al blu cobalto passando per l’o-ro porporina e tutte le tonalità delverde!) che calano sgarbatamente suibanchi. Bisogna ricordare che il parro-co, il rettore della chiesa e il ministroche presiede il rito hanno compiti li-turgici propri e non delegabili, tra iquali rientra anche preservare e valo-rizzare la significatività della domus

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    ecclesiae: non si può consentire chefiorai o tappezzieri privi di competen-za specifica irrompano nella chiesatrattandola come un informe teatrocinematografico che, di settimana insettimana e di estro in estro (o di mal-destro in maldestro), cambia conti-nuamente colore, forma e assetto. Lacelebrazione impegna anche l’anima-zione musicale: si richiedono un cantodi ingresso, un canto durante l’asper-

    sione e il Gloria. Anche l’acclamazio-ne sull’acqua benedetta si presta alcanto: una melodia è già proposta dallibro liturgico (p. 255), ma ciò non to-glie che si possano proporre altre me-lodie adatte al testo e corrispondential tono di lode gioiosa. Sulle proble-matiche dell’animazione musicaleconverrà però tornare in modo ap-profondito e organico, al termine del-la presentazione del rito.

    Raffaello, Sposalizio della Vergine, Particolare Pinacoteca di Brera, Milano

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    È una delle esperienze più belleper un parroco: accogliere i fi-danzati per il corso di prepara-zione al Matrimonio.

    Sì, ne sono convinto sempre più,anche se i problemi a ogni corso sem-brano aumentare.

    Li vedi lì, al primo incontro, e ti ac-corgi subito che sono anni che nonmettono piede in chiesa; coppie “ma-ture” per lo più, ormai l’80% convivo-no e quell’unica coppia di tuoi ragazzicresciuta in parrocchia si perde nellamaggioranza che si sente spaesata nelsalone parrocchiale.

    Già intuisci i loro pensieri: “Speria-mo che non siano incontri pesanti,con questo parroco dai capelli grigi equesti catechisti già nonni!”.

    Anche dal segno della croce ti ren-di conto che stai chiedendo loro ungrosso sacrificio e la preghiera del Pa-dre Nostro, che essi dicono a mezzavoce, ti conferma che non sono avvez-zi a questa “pia pratica”. Qualche an-no fa tali corsi erano contestati, ora èormai acquisito che si debbano fare eleggi negli occhi di molti che li sento-no come un “pedaggio” da pagare,per fare questo “benedetto matrimo-nio in chiesa”.

    Ma in tutto questo approccio inizialevale molto il sorriso aperto e cordiale

    del parroco che dà subito il tono alla se-rata. «Allora ragazzi, diciamoci il nome,ma soprattutto raccontiamoci come visiete conosciuti e come vi siete innamo-rati! Ogni storia è unica, originale, irri-petibile! Anche per me, parroco, questoè uno dei momenti più belli, perché nonmi stancherei mai di ascoltare comescocca la scintilla di ogni amore, comel’Amore vi fa incontrare, ri-conoscere emettere insieme!».

    I volti dei giovani, anche dei piùprevenuti, si illuminano improvvisa-mente. Tutta la comitiva si ritrova al-lora a sorridere per tutti quei partico-lari che ognuno non si vergogna di te-nere riservati, anzi li consegna congrande festa e fiducia a chi è coinvol-to dalla stessa travolgente “malattiacontagiosa”.

    Non c’è nulla come il raccontare ilproprio innamoramento che riempie ilcuore di chi parla e di chi ascolta e checrea un clima di simpatia e complicità.Spesso questo è il momento in cui an-che le cose più delicate vengono sve-late con serena semplicità, come il fat-to di essere al secondo matrimonio ca-nonico dopo la dichiarazione di nul-lità del primo o il fatto di avere già ilprimo figlio (che negli incontri succes-sivi sarà presente come l’invitato prin-cipale, vezzeggiato da tutti!).

    Fidanzamento, tempo di graziaL’accoglienza dei fidanzati nell’esperienza di un parroco

    di don Antonio Panfili

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    Ora tutto questo – un parroco sene accorge subito – dispone simpatica-mente a ricevere l’annuncio di cosegrandi, belle e quasi mai ascoltate. Lasintonia è creata e tutte queste cop-piette ormai stupite di quanto il loro“tesoro personale” abbia reso ricche efelici altre coppie come loro, sonoprofondamente disponibili e acco-glienti ad ascoltare il lieto annunzioche tutte quante fanno parte dellaStoria della Salvezza.

    Grande è la loro meraviglia a sco-prire che la Bibbia è un libro di storied’amore, che inizia con la creazionedella famiglia a immagine di Dio e chesi conclude con la Sposa che invoca loSposo: Maranathà, e lo Sposo rispon-de: Ecco vengo presto (Ap 22, 17-20).

    Sono poi stupefatte nel conoscereche Dio è in sé non solitudine ma Co-munione di Persone (Trinità), non iso-lamento ma Festa di compagnia e chelui è nel suo intimo Nozze, Famiglia,Comunità!

    È così bello per loro sapere che sonol’immagine di Dio più perfetta e che lastruttura di Dio Trinità è riprodotta nel-la loro esperienza umana; tant’è veroche – per usare due nomi a caso – Marioama con tutto se stesso Laura, Lauracon tutta se stessa Mario e il loro amoreè …una persona, il figlio generato dallaloro comunione: ecco “stampata” la Tri-nità nella loro vita!

    Quanta gioia poi, dà a ogni coppiasapere che Dio li ha pensati insieme;che quando creava Mario aveva da-vanti non tanto l’immagine di Mario,quanto piuttosto Laura, per cui Marioera completamento e felicità; e vice-versa, che quando creava Laura, contutte le sue doti e qualità, non aveva

    davanti tanto lei, quanto piuttostoMario, per la quale lei era la piena in-tegrazione e realizzazione felice.

    Il sigillo infine di questa scopertacosì grande lo vedi stampato nella lu-ce dei loro occhi quando dici loro chel’indissolubilità non è un’invenzionedella Chiesa o degli uomini, ma di Dio,che li ha pensati insieme, l’uno perl’altro, l’uno nell’altro, l’uno strumen-to della felicità dell’altro; anzi, ancoradi più, l’uno strumento di Dio per l’al-tro: Mario non sarà felice se non conla sua Laura, e Laura lo sarà solo con ilsuo Mario!

    Il culmine di tutte le dolci scoperteche questa coppie fanno giungequando spieghi loro il senso profon-do del corso, che poi è la differenzache c’è fra un matrimonio civile cele-brato in comune e uno religioso cheè sacramento. Non solo il loro amoreè “immagine e somiglianza di Dio” –annunci loro – ma addirittura diventasacramento! Ecco cosa vengono achiedere alla comunità cristiana: cheil loro amore, l’amore tra Mario eLaura, diventi l’Amore stesso di CristoSposo che ama la Chiesa sua Sposa! Esacramento – spieghi loro – vuol direche come nell’Eucaristia il pane e ilvino vengono “transustanziati” inCorpo e Sangue di Cristo, così il loroamore viene transustanziato nell’A-more stesso di Cristo e della Chiesa,Sposi! Mario e Laura sono sacramen-to dell’amore sponsale di Cristo Gesù.Non c’è cosa più grande sulla terra!San Paolo diceva: “Questo vostro mi-stero è grande: lo dico di Cristo e del-la Chiesa” (Ef 5, 32).

    Non c’è disprezzo per chi si sposasolo civilmente - come si può disprez-

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    zare “l’immagine di Dio”? - c’è inve-ce la grande consapevolezza che ilsacramento del Matrimonio cristianofa di ogni coppia la carne stessa diCristo: Egli, che è il Capo, e la Chiesasuo corpo! Per questo – fai notare –il Concilio ha definito la famiglia“piccola Chiesa”: perché ormai Cristoè nella loro carne, nella loro vita or-dinaria e straordinaria, nella loroscelte, desideri, progetti, fatiche esacrifici.

    Man mano che si va verso la con-clusione della serata ti accorgi chehai dato loro un carico pesante egioioso insieme, un dolce peso, un“giogo leggero”.

    Stupiti e felici ti confermano con iloro sguardi luminosi e le mani che nonhanno mai smesso di essere intrecciateper tutto l’incontro, che “staranno algioco”, che torneranno motivati e con-tenti, che non pensavano che la Chiesa

    Madre avesse così tanti doni in serboper queste coppie di figli.

    Anche le pratiche “burocratiche”dei documenti, che spieghi veloce-mente nei pochi minuti rimasti, sonoaccolte favorevolmente; si fa tutto vo-lentieri, con quella buona volontà cheprende forza dall’innamoramento!

    «Nei prossimi incontri, ragazzi –concludi vedremo come la Parola diDio, letta in chiave nuziale, ci parleràdella vostra vita: del dono dell’esiste-re, del male che purtroppo c’è, delperdono che rigenera, del trasmetterela vita, del far parte di un popolo disalvati che poi il Signore tratta comela sua Sposa! Vedrete che bello…».

    E metti nel loro cuore l’attesa di cosesempre più affascinanti, quelle di Dio!

    Ci salutiamo con la preghiera disan Giovanni Crisostomo, così bellache poi tutti inseriranno nel librettodel loro matrimonio:

    Grazie, Signore,perché ci hai dato l’amorecapace di cambiare la sostanza delle cose.Quando un uomo e una donnadiventano uno nel matrimonionon appaiono più come creature terrestri, ma sono l’immagine stessa di Dio.Così uniti non hanno paura di niente.Con la concordia, l’amore e la pacel’uomo e la donna sono padronidi tutte le bellezze del mondo.Possono vivere tranquilli,protetti dal bene che si vogliono,secondo quanto Dio ha stabilito.Grazie, Signore,per l’amore che ci hai regalato.

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    “I l Vescovo diocesano, primodispensatore dei misteri diDio, è moderatore, promoto-re e custode di tutta la vita liturgicanella Chiesa particolare a lui affida-ta”: è quanto afferma il capitolo Idella Istruzione Redemptionis Sacra-

    mentum intitolato “La rego-lamentazione della Sacra Li-turgia”. Soffermandosi inparticolare sulla figura delVescovo diocesano, definito“il grande Sacerdote del suo

    gregge”, il documento sottolinea: “ Siha una precipua manifestazione dellaChiesa ogni volta che si celebra laMessa, specialmente nella chiesa cat-tedrale, nella partecipazione piena eattiva di tutto il popolo santo di Dio,all’unica preghiera, all’unico altare,cui presiede il Vescovo, circondato daisuoi Sacerdoti, Diaconi e ministri”.

    Al Vescovo diocesano spetta, entroi limiti della sua competenza, darenorme in materia liturgica nella Chie-sa a lui affidata, è suo compito regola-mentare, dirigere, spronare, talvoltaanche riprendere. “I fedeli devonoaderire al Vescovo come la Chiesa aGesù Cristo e come Gesù Cristo al Pa-dre, affinché tutte le cose siano con-cordi nell’unità e crescano per la glo-ria di Dio.” È diritto del popolo cristia-no che il Vescovo eserciti la vigilanza“affinché non si insinuino abusi nelladisciplina ecclesiastica, specialmente

    riguardo al ministero della parola, allacelebrazione dei sacramenti e dei sa-cramentali, al culto di Dio e dei santi”.In particolare si ricorda che i vari orga-ni di partecipazione come commissio-ni, consigli, comitati, costituiti dal Ve-scovo per promuovere la Liturgia, lamusica e l’arte sacra nella diocesi,“agiranno secondo il pensiero e le di-rettive del Vescovo e dovranno potercontare sulla sua autorità e sulla suaratifica per svolgere convenientemen-te il proprio compito”, inoltre “gliesperti vanno scelti tra coloro, la cuisolidità nella fede cattolica e la cuipreparazione in materia teologica eculturale siano riconosciute”.

    I sacerdoti, collaboratori dell’ordineepiscopale, costituiscono con il loro Ve-scovo un unico presbiterio. “Grande èla responsabilità che hanno nella cele-brazione eucaristica”, in quanto com-pete loro di presiederla in persona Chri-sti, “assicurando una testimonianza eun servizio di comunione non solo allacomunità che direttamente partecipaalla celebrazione, ma anche alla Chiesauniversale”. Purtroppo, a partire daglianni della riforma liturgica, dopo ilConcilio Vaticano II, “per un malintesosenso di creatività e di adattamento,non sono mancati abusi, che sono statimotivo di sofferenza per molti”: si ri-chiede quindi ai sacerdoti di non svuo-tare “il significato profondo del proprioministero, deformando la celebrazione

    Redemptionis sacramentum (2) di Stefano Lodigiani

    Testi edocumenti

  • FORMAZIONE LITURGICA

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    liturgica con cambiamenti, riduzioni oaggiunte arbitrarie”.

    È compito particolare del parrocofare sì che “la Santissima Eucaristia siail centro dell’assemblea parrocchialedei fedeli”, adoperandosi perché essisi accostino frequentemente al sacra-mento della Santissima Eucaristia edella Penitenza; siano formati allapreghiera, partecipino consapevol-mente e attivamente alla sacra Litur-gia, di cui il parroco deve essere il mo-deratore nella sua parrocchia, sottol’autorità del Vescovo diocesano.“Sebbene sia opportuno che nellapreparazione efficace delle celebra-zioni liturgiche, specialmente dellasanta Messa, egli sia coadiuvato da va-ri fedeli, non deve tuttavia in nessunmodo cedere loro quelle prerogativein materia che sono proprie del suoufficio”.

    I diaconi, “ai quali sono imposte lemani non per il sacerdozio, ma per ilservizio”, fortificati dal dono dello Spi-rito Santo ricevuto, “servano il popolodi Dio in comunione con il Vescovo e ilsuo presbiterio. Considerino perciò ilVescovo come padre e siano di aiuto alui e al suo presbiterio “nel ministerodella parola, dell’altare e della carità”.Servano “con tutto il cuore, fedelmen-te e con umiltà la sacra Liturgia comefonte e culmine della vita della Chiesa”e “si impegnino a far sì che la sacra Li-turgia sia celebrata a norma dei libri li-turgici debitamente approvati”.

    Sulla partecipazione dei fedeli lai-ci alla celebrazione dell’Eucaristia sisofferma il capitolo II dell’Istruzione,

    sottolineando che “Tutti i fedeli, li-berati dai propri peccati e incorpora-ti nella Chiesa con il Battesimo, dalcarattere loro impresso sono abilitatial culto della religione cristiana, af-finché in virtù del loro regale sacer-dozio, perseverando nella preghierae lodando Dio, si manifestino comevittima viva, santa, gradita a Dio eprovata in tutte le loro azioni, dianodovunque testimonianza di Cristo ea chi la richieda rendano ragionedella loro speranza di vita eterna.Pertanto, anche la partecipa-zione dei fedeli laici alla ce-lebrazione dell’Eucaristia edegli altri riti della Chiesanon può essere ridotta aduna mera presenza, per dipiù passiva, ma va ritenuta un veroesercizio della fede e della dignitàbattesimale.”

    Tale partecipazione, attiva e consa-pevole, dei fedeli laici alla liturgia èstata promossa dalla riforma dei libriliturgici, secondo le intenzioni delConcilio, attraverso le acclamazionidel popolo, le risposte, la salmodia, leantifone, i canti, nonché le azioni, igesti e l’atteggiamento del corpo,senza trascurare a tempo debito il sa-cro silenzio. “Ampio spazio si dà, inol-tre, ad una appropriata libertà diadattamento fondata sul principio cheogni celebrazione risponda alle neces-sità, alla capacità, alla preparazionedell’animo e all’indole dei partecipan-ti, secondo le facoltà stabilite dallenorme liturgiche. Nella scelta dei can-ti, delle melodie, delle orazioni e delleletture bibliche, nel pronunciare l’o-melia, nel comporre la preghiera dei

    Testi edocumenti

  • FORMAZIONE LITURGICA

    26 Culmine e Fonte 1-2005

    fedeli, nel rivolgere talora le monizio-ni e nell’ornare secondo i vari tempi lachiesa esiste ampia possibilità di intro-durre in ogni celebrazione una certavarietà che contribuisca a renderemaggiormente evidente la ricchezzadella tradizione liturgica e a conferireaccuratamente una connotazione par-ticolare alla celebrazione, tenendoconto delle esigenze pastorali, così dafavorire la partecipazione interiore.”Per favorire la partecipazione attiva ditutti i fedeli, non è comunque neces-

    sario, “che tutti debbano ma-terialmente compiere qualco-sa oltre ai previsti gesti ed at-teggiamenti del corpo, comese ognuno debba necessaria-mente assolvere ad uno spe-

    cifico compito liturgico”. Per suscitare,promuovere e alimentare il senso in-teriore della partecipazione liturgicarisultano particolarmente utili la cele-brazione assidua ed estesa della Litur-gia delle Ore, l’uso dei sacramentali egli esercizi della pietà popolare cristia-na.

    Esaminando i compiti dei fedeli lai-ci nella celebrazione della Messa, vie-ne evidenziato che conviene “siano

    più persone a distribuirsi tra loro o asvolgere i vari uffici o le varie partidello stesso ufficio”. Oltre ai ministeriistituiti dell’accolito e del lettore, visono quelli dell’accolito e del lettoreper incarico temporaneo, ai quali so-no congiunti gli altri uffici descritti nelMessale Romano. In ogni caso essi de-vono compiere “solo e tutto ciò che èdi loro competenza e tanto nella stes-sa celebrazione liturgica quanto nellasua preparazione facciano sì che la Li-turgia della Chiesa si svolga con di-gnità e decoro”. Il fedele laico chia-mato a prestare il suo aiuto nelle cele-brazioni liturgiche deve essere debita-mente preparato e distinguersi per vi-ta cristiana, fede, condotta e fedeltàal Magistero della Chiesa. Un’ultimaannotazione riguarda i ragazzi chesvolgono il servizio all’altare come mi-nistranti: “Si istituiscano o promuova-no per essi delle associazioni, anchecon la partecipazione e l’aiuto dei ge-nitori, con le quali si provveda più ef-ficacemente alla cura pastorale deiministranti… A tale servizio dell’altaresi possono ammettere fanciulle o don-ne a giudizio del Vescovo diocesano enel rispetto delle norme stabilite”.(continua)

    Testi edocumenti

  • FORMAZIONE LITURGICA

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    A ttingiamo ancora alla fontespirituale che è Teofane il Re-cluso per meditare sul Battesi-mo come fonte di vita nuova.

    “Se uno è in Cristo, è una creaturanuova” (2Cor 5,17): il cristiano nasceperciò nel battesimo. La differenza èparagonabile a quella che esiste tra laluce e il buio, tra la morte e la vita. Ri-ceviamo benedizione per il poteredella croce di Cristo, e diventiamo figlidi Dio, come il Signore stesso ha volu-to per noi: “E se siamo figli, siamo an-che eredi; eredi di Dio, coeredi di Cri-sto, se veramente partecipiamo allesue sofferenze per partecipare anchealla sua gloria” (Rm 8,17).

    Il Regno di Dio appartiene ai cri-stiani proprio in virtù del battesimo.Ci toglie dal potere del maligno, cheperde autorità su di noi, e ci pone inuna condizione di protezione.

    Ma in noi interiormente avviene laguarigione dalle afflizioni e dalle feri-te del peccato. Il potere della grazia vipenetra e restaura qui la bellezza del-l’ordine divino. Agisce sul disordinedentro di noi e cambia l’orientamentoprincipale della nostra vita, quello cheda noi stessi va verso Dio, così da esse-re in concordia con lui e crescere nellasua volontà.

    Il battesimo quindi è una rinascita,che ci pone in una condizione di rin-novamento. L’apostolo Paolo parago-

    na tutti i battezzati con il Signore ri-sorto, facendoci comprendere chepossediamo nella nostra rinascita lastessa natura luminosa che appartienealla natura umana di Gesù attraversola sua risurrezione nella gloria(Rm 6,4).

    Che l’orientamento dellavita di un battezzato sia cam-biato, è detto nelle parole disan Paolo: «Cristo è mortoper tutti, perché quelli che vi-vono non vivano più per sestessi, ma per colui che è morto e risu-scitato per tutti …Quindi se uno è inCristo è una creatura nuova; le cosevecchie sono passate, ecco ne sono na-te di nuove» (2Cor 5,15; 17). Altrovepoi aggiunge: “Ma se siamo morti conCristo, crediamo che anche vivremocon lui, sapendo che Cristo risuscitatodai morti non muore più; la mortenon ha più potere su di lui. Per quan-to riguarda la sua morte, egli morì alpeccato una volta per tutte; ora, per ilfatto che egli vive, vive per Dio. Cosìanche voi consideratevi morti al pec-cato, ma viventi per Dio, in Cristo Ge-sù” (Rm 6,8-11).

    Colpiscono le parole di san Paoloquando dice: «Non regni più dunqueil peccato nel vostro corpo mortale,così da sottomettervi ai suoi desideri;non offrite le vostre membra comemembra di ingiustizia al peccato, ma

    Nuove creature in Cristo attraverso il Santo Battesimo

    di don Giovanni Biallo

    InDialogo

  • FORMAZIONE LITURGICA

    28 Culmine e Fonte 1-2005

    offrite voi stessi a Dio come vivi torna-ti dai morti e le vostre membra comestrumenti di giustizia per Dio. Il pecca-to infatti non dominerà più su di voipoiché non siete più sotto la legge,ma sotto la grazia» (Rm 6,12-14). L’A-postolo ci fa capire che il potere che ciopprime si origina dal peccato nellanostra natura disordinata; esso infattinon è completamente estirpato con ilbattesimo, ma posto in condizione dinon avere alcun dominio su di noi, co-sì da non servirlo. Ma è ancora in noi,

    vive e agisce, senza però esse-re padrone della nostra vita.Il primato col battesimo ap-partiene alla grazia di Dio eall’anima che ora coscienzio-samente si dona a lui.

    Anche in alcuni Padri tro-viamo altre indicazioni per

    meditare sul dono di Dio per noi.

    Siamo noi i figli di Dio! E sono figlicoloro che, semplici e piccoli, conosco-no solo Dio come Padre. Rivolto a co-loro che hanno progredito nella cono-scenza del Verbo, il Signore dichiara”Come quel figlio che riceve consola-zione dalla propria madre, così iodarò consolazione a voi”.

    Egli chiede loro di liberarsi dallepreoccupazioni di questa vita per at-taccarsi unicamente al Padre. Coluiche mette in pratica questo precetto èveramente minimo, e per Dio e per ilmondo. Il mondo lo considera nell’il-lusione, ma Dio lo ama.

    La perfezione appartiene al Signo-

    re, il quale non cessa di insegnare; noiinvece siamo solo bambini, molto pic-coli e non cessiamo di apprendere.(San Clemente di Alessandria)

    Il Verbo di Dio, incorporeo, incor-ruttibile e immateriale è venuto sullanostra terra, sebbene prima non nefosse lontano. Infatti egli non avevalasciato priva della sua presenza nes-suna parte della creazione, perchériempiva tutto, dimorando con il Pa-dre suo. Ma si è reso presente, abbas-sandosi a causa del suo amore per noie si è manifestato a noi. Preso dapietà per la nostra stirpe, compassio-nevole verso la nostra debolezza, siabbassò fino alla nostra corruzione enon permise che la morte dominassesu di noi; ma affinché non perisse ciòche era stato creato e non riuscisseinutile l’opera del Padre suo nei con-fronti degli uomini, si prese un corponon diverso dal nostro.

    ( Sant’Atanasio)

    Il Verbo è nato una volta per tuttesecondo la carne, ma a causa della suafilantropia, egli desidera nascere in-cessantemente secondo lo Spirito incoloro che lo desiderano. Si fa bambi-no e si forma in essi insieme alle virtù.Si manifesta nella misura in cui sa checolui che lo riceve ne è capace. Cristonasce sempre misticamente nell’ani-ma, prendendo la carne attraverso co-loro che sono salvati, facendo dell’ani-ma che lo genera una madre vergine.(San Massimo il Confessore).

    InDialogo

  • Culmine e Fonte 1-2005 29

    La parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

    PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

    2 febbraio

    PRIMA LETTURA

    Dal libro del profeta Malachia (3,1-4)

    Il profeta annuncia una venuta del Signorenel suo tempio per giudicare e per salvare. IlNT, rileggendo l’oracolo profetico di Mala-chia, identifica nel “Messaggero del Signore”Giovanni Battista, mentre nell’Angelo del-l’Alleanza riconosce una designazione di Ge-sù Messia. Egli infatti è venuto per ristabilirel’alleanza tra Dio e l’umanità che il peccatoaveva infranto. Questa venuta è annunciatadal profeta con toni di gloria e di gioia. IlNuovo Testamento, riconoscendone il compi-mento nella presentazione di Gesù al tempio,mette in singolare contrasto il tema delle po-tenza di Dio con l’apparente piccolezza delsuo inviato. La potenza di Dio non si presentacon i tratti della potenza e della gloria umana,ma piuttosto con quelli delle piccolezza e del-le sofferenza accolta per amore.

    VANGELO

    Dal vangelo secondo Luca (2,22-40)

    L’episodio della presentazione di Gesù altempio, in se stesso assai ordinario, riveste unprofondo senso teologico. I genitori di Gesùpresentano il loro bambino al tempio per ub-bidire alla legge. Intervengono allora due inat-tesi personaggi: Simeone, mosso dallo Spirito,prende il bambino tra le braccia e benediceDio con un cantico, quindi benedice i tre pel-legrini e pronunzia un oracolo su Maria; an-che Anna loda Dio e parla del bambino.

    Lo sfondo del racconto è dato dalla leggeebraica della purificazione. Una legge che ri-

    guardava la madre, considerata impura a cau-sa del sangue versato durante il parto. La ceri-monia aveva luogo il quarantesimo giorno seil neonato era un bambino. Consisteva nell’of-ferta di un sacrificio nel tempio: un agnello edue uccelli. Ma i poveri potevano limitarsi al-l’offerta di due uccelli (Lv 12,1-8). L’omissio-ne dell’agnello può significare che i genitoridi Gesù erano poveri, ma non per questo me-no obbedienti alla legge divina espressa nellaBibbia, così che il destino di Gesù si sviluppafin dall’inizio in «conformità alle Scritture».

    Luca però non pone l’accento del raccontoné sul sacrificio per la purificazione della ma-dre, né sull’offerta prevista per il riscatto delprimogenito. Perché questo silenzio? Proba-

    La Presentazione al Tempio, Icona, Scuola di Novgorod, sec XV

  • 30 Culmine e Fonte 1-2005

    La parola di Dio celebrata

    bilmente per far capire che Gesù non ha biso-gno di essere riscattato. D’altra parte Annapresenterà il bambino a quelli che aspettavanoil riscatto di Gerusalemme (2,38). Il vangeloci dice che Gesù, non riscattato, è piuttostocolui che riscatta e purifica il suo popolo.

    Altrettanto inaspettata è la comparsa diSimeone. Ci aspetteremmo infatti di vederapparire uno dei sacerdoti del tempio; invecequi non si tratta di loro. È un uomo nuovo,un intruso, che sta per interpretare il ruolo disacerdote e soprattutto di profeta. Luca sotto-linea soprattutto che Simeone è sotto l’azio-ne dello Spirito. Se ne parla tre volte nel te-sto, come si è fatto per la legge. Maria e Giu-seppe sono guidati dalla legge, Simeone dal-lo Spirito. In questo vangelo la Parola del-l’AT e la parola nuova dello Spirito si incon-trano per dare nuovo impulso al camminodella salvezza: è quasi un passaggio di testi-mone tra l’AT ed il NT.

    Luca gioca anche sul termine vedere. Inve-ce di vedere la morte Simeone vedrà il Mes-sia: colui che porta la vita eterna (At 3,15). E,come i pastori del Natale, annunzierà coluiche ha visto: sarà testimone oculare di Gesù.

    Dopo Maria e Giuseppe, Simeone è il pri-mo credente in Gesù. Narrando questo in-contro, Luca pensa probabilmente al mondoebraico che invecchia, ma è chiamato a ritro-vare una nuova giovinezza nella novità diGesù. «Il vegliardo portava il bambino, ma èil bambino che conduceva il vegliardo» com-menta sant’Agostino.

    Questo invito a una rinnovata giovinez-za nello Spirito non è riservato solo all’I-sraele storico. La festa di oggi ci ricordache anche noi cristiani possiamo ricono-scerci in Simeone, ormai invecchiato nellasperanza e nella fede, che deve incontrare

    di nuovo il suo Signore e aprirsi a una nuo-va giovinezza dello Spirito.

    Ora puoi lasciar partire il tuo servo…Una soglia è varcata: siamo nei tempi nuovi.Il Signore può ora lasciar «partire» (e nonpiù morire) il suo servo. La parola della pacesi è realizzata in Simeone. Si realizzerà an-che in tutti coloro che crederanno in Gesù.

    V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

    6 Febbraio

    PRIMA LETTURA

    Dal libro del profeta Isaia (58,