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  • Matematica e infinitoMaurizio, Codogno

    ISBN: 9788898001354

  • 40k UNOFFICIALTra editoria e self publishing, 40k Unofficial è una collana di ebook pensata per

    prendere i testi lunghi per web e trasportarli verso la lettura “lean back”, nellecircostanze comode e rilassate che solitamente associamo al libro di carta.Negli Unofficial, 40k si occupa del lavoro editoriale di qualità. Ma non

    selezioniamo i testi: questi sono completa responsabilità dell’autore.Vuoi saperne di più?Matematica e infinitoDa duemilacinquecento anni i matematici si trovano tra i piedi l'infinito. Hanno

    provato a far finta di nulla, a trattarlo come un numero qualunque, a ingabbiarloe alla fine hanno deciso di costruirgli intorno tutta una struttura... che peròlascia sempre sfuggire qualche paradosso. Questo è un veloce resoconto sucome la storia è andata avanti: serio ma non serioso, potrete scoprire quello chea scuola si sono ben guardati dal dirvi.Maurizio Codogno@xmauMaurizio Codogno (Torino, 1963) è laureato in matematica e informatica, e

    bazzica su Internet quando ancora non si chiamava Internet. Nel suo scarsotempo libero si dedica alla divulgazione matematica e all'associazioneWikimedia Italia, di cui è portavoce. Ha scritto Matematica in Relax (Vallardi,2011). Lo si trova a http://xmau.com/SHARERT @xmau: Il bello dell’infinito è che non finisce mai. Il brutto dell’infinito è che

    non finisce mai. Tweet

    http://40k.it/40k-unofficial/https://twitter.com/xmau/http://xmau.com/https://twitter.com/xmau/status/390891847586807808

  • Ad Anna, la mia scelta migliore

  • Matematica e infinitoMaurizio Codogno

    Il bello dell’infinito è che non finisce mai.Il brutto dell’infinito è che non finisce mai.

    Per prima cosa, una notizia che probabilmente stupirà molti di voi: i matematicinon sono poi così interessati all’infinito. Lo usano, immaginano di averloaddomesticato, ma alla fin fine non è che ci pensino su più di tanto. Eppure lastoria della matematica e dell’infinito è vecchia di due millenni e mezzo, è natain maniera burrascosa quasi come nel film Harry, ti presento Sally per poisbocciare in un grande amore, che a dire il vero non è stato sempre corrisposto.L’infinito, prima che matematico, è però filosofico; quello che farò in questepagine è raccontare come è «nato e cresciuto» nel corso della storia, evitandoper quanto possibile di scrivere formule che lasciano il tempo che trovano ecercando invece di mostrare come gli esseri umani – che infiniti non sono, se nonve foste mai accorti – abbiano lottato per afferrare il concetto di infinito,schivando i paradossi che spuntavano man mano oppure fiondandocisi dentrocon voluttà, mettendo paletti che sarebbero poi stati divelti, moltiplicando gliinfiniti in un caleidoscopio di enti con caratteristiche tali da farci dire conTertulliano «credo quia absurdum». L’infinito è davvero assurdo; va contro tuttele nostre inveterate abitudini; ma una volta giunti all’illuminazione è difficile noncredere alle sue proprietà. Pronti? Si parte!

  • 1. Infinito potenziale e attualeLa storia inizia con gli antichi greci. Sì, è perfettamente vero che la matematica

    non nasce con i greci. Resta però il fatto che egizi, babilonesi, cinesi hanno fattomatematica pratica, non teorica, e nelle questioni terra terra dell’infinito non sene parla; quindi in questa sede possiamo dimenticarci di loro. A essere pignoli,però, nemmeno i greci ammettevano l’uso dell’infinito in matematica. Ma come,vi chiederete. Non ci hanno fatto studiare che la retta è infinita? Euclide nonaveva anche dimostrato che i numeri primi sono infiniti? Mi spiace dare unbrutto colpo alle vostre certezze scolastiche, ma le cose non stavanoesattamente così.Se si vanno a leggere con attenzione gli assiomi degli Elementi, si scopre che

    quello che Euclide ha detto non è che una retta debba essere infinita, ma cheogni segmento di retta può essere esteso a piacere; insomma, se stiamodisegnando una retta alla lavagna e arriviamo al bordo possiamo andare acercare un’altra lavagna e affiancarla per continuare la nostra riga. Se stiamocamminando su una retta non troveremo mai un cartello «Fine della retta». Maquesto non significa che la retta sia infinita, ma solo illimitata. Non è un meroproblema di parole: se girate in tondo su una circonferenza, o ancheall’autodromo di Monza, quel cartello non lo troverete mai, ma il circuito non ècerto infinito. E non provate a ribattere «sì, ma la retta è la linea più breve tradue punti». Sulla superficie terrestre la linea più breve tra due punti (salvomontagne inframmezzantisi) è proprio un arco di cerchio massimo. (Ma nonandiamo fuori strada: questo è l’argomento di un altro libro…) La stessa cosacapita con il teorema dell’infinità dei numeri primi. Il testo greco dellaProposizione 20 del Libro IX recita, una volta traslitterata: «hoi protoi arithmoipleious eisi pantos tou protethentos plethous proton arithmon»; la traduzioneletterale è più o meno «i numeri primi sono più numerosi di ogni quantità data dinumeri primi». Insomma l’infinito, almeno nella matematica greca, non esiste: silavora sempre con quantità finite, e si fa semplicemente in modo da avernesempre, quando serve.

  • Illimitato non è infinito…

    Questo loro approccio deriva direttamente dalla filosofia. Leggendo i duegrandi filosofi classici, notiamo che Platone afferma che l’infinito attuale(l’iperuranio) è di per sé inconoscibile, e dobbiamo accontentarci di una visionedelle «ombre» da esso prodotte; Aristotele poi teorizza l’infinito potenziale, chepotremmo definire come qualcosa che sta al di là di quanto possiamoraggiungere «continuando in quella direzione», proprio come il prolungamentodella retta per Euclide. D’altra parte, è difficile poter dare loro torto,considerato che il primo a parlare d’infinito in matematica è stato Zenone diElea con i suoi famosi paradossi. Sappiamo tutti che Achille non potràraggiungere la tartaruga, perché ogni volta che è arrivato alla posizione dovequest’ultima si trovava essa ha fatto un altro pezzetto di strada. Ma ci sonoanche altri due paradossi correlati. Zenone diceva che non è possibile andare daun punto A a un altro B, perché prima di arrivare a B bisogna passare per ilpunto C a metà strada tra A e B, e prima di arrivare a C occorre passare per D,a metà strada tra A e C, e così via. Va a finire che non si può nemmeno iniziare ilviaggio! Prendiamo poi una freccia in volo: a un certo istante si troverà in unaposizione nell’aria. E nell’istante immediatamente successivo? Non può essersispostata in avanti, perché non avrebbe occupato le posizioni in mezzo; né puòessere ferma, perché altrimenti cadrebbe. Un bel ginepraio: si capisce come isuoi compatrioti avessero deciso di tenersi ben lontani da tutti i procedimentiche avevano a che fare con l’infinito.Lavorare solo su quantità finite ha un prezzo: dimostrare molti teoremi era

    difficile se non impossibile. Prendiamo per esempio Archimede e il suo (be’,sarebbe di Eudosso, ma chi l’ha usato al meglio è stato lui) metodo diesaustione. Il metodo afferma più o meno: «Se da una quantità data ne togliamopiù della metà, da quello che resta ne togliamo ancora più della metà, e così via,possiamo arrivare ad avere meno di una qualunque quantità predefinita». Lacosa sembra lapalissiana, ma non lo è: lo è se conosciamo il concetto di limite,che però era completamente sconosciuto ai greci. Sono pochi i problemi di

  • misurazione a cui fu possibile applicare l’esaustione. Il più famoso è ladeterminazione dell’area di un cerchio: da un lato Archimede ha preso i poligonidi 6,12,24... lati inscritti alla circonferenza, e dall’altro i poligoni di 6,12,24...lati circoscritti alla circonferenza. In teoria il metodo porterebbe – all’infinito,se solo ci si potesse arrivare… – all’area del cerchio; in questo caso, Archimedesi fermò ai poligoni di 96 lati e riuscì solo a dire che il valore di π è compreso tra3 + 10/71 e 3 + 1/7. In altri casi, come in quello dell’arco di parabola, riuscì atrovare il valore esatto dell’area: un risultato davvero eccezionale e molto piùavanti del suo tempo.L’esaustione, più che un uso pratico, ha soprattutto avuto un’importanza

    «politica»: nessuno la usava seriamente, ma almeno sino all’inizio del XVIIIsecolo i matematici che trattavano di infinito si paravano le spalle affermando «imiei metodi sono equivalenti all’esaustione, e quindi sono come quelli degliantichi, e quindi non rompetemi le scatole». Dal punto di vista teorico la suaimportanza è che tacitamente sottintende il cosiddetto Principio di Archimede(ma va là!), che afferma che prese due grandezze diverse da zero, a furia disommare copie della prima si supera la seconda. Come direbbe zio Paperone,insomma, a furia di accumulare centesimi si costruiscono le fortune. So già chec’è chi ha mormorato «che banalità, è ovvio che sia così!»: be’, aspettate evedrete.Post scriptum: Non è proprio vero che solo i greci nell’antichità pensassero

    all’infinito. Più o meno nello stesso periodo di Archimede ed Euclide, in India iltesto matematico Surya Prajnapti classificava tutti i numeri in tre insiemi:numerabili, innumerabili e infiniti. Ciascuno degli insiemi era a sua voltasuddiviso in tre sottoinsiemi:

    Numerabili: minori, intermedi, maggiori.Innumerabili: quasi innumerabili, veramente innumerabili,innumerabilmente innumerabili.Infiniti: quasi infiniti, veramente infiniti, infinitamente infiniti.

    Purtroppo non ci sono molti studi al riguardo, e non si sa molto di più: possosolo aggiungere che il pensiero giainista considerava ben cinque tipi di infinito(infinito in una direzione; infinito in due direzioni; infinito in area; infinitoovunque; infinito perpetuo). Il guaio è che i pochi che parlano di queste cosesono attivisti militanti contro la centralità del pensiero occidentale, e quindicercano di sopravvalutare il più possibile l’importanza di questi testi, a scapitodel loro effettivo contenuto. Facciamo finta che non ve ne abbia parlato, etorniamo all’Europa.

    http://en.wikipedia.org/w/index.php?title=S%25C5%25ABryapraj%25C3%25B1apti&action=edit&redlink=1

  • 2. Infinitesimi e serie infiniteSono passati più di 1500 anni dall’uccisione di Archimede. L’Occidente aveva

    dimenticato la matematica greca; in India e Arabia si erano fatte nuove scopertematematiche che restavano però rigorosamente legate al finito. Sembravainsomma che l’infinito fosse solamente riservato a Dio, e l’uomo non dovesseosare avvicinarsi. Ma quello che viene sbattuto fuori dalla porta spesso rientradalla finestra...Ringalluzziti dai primi risultati che avevano superato le conoscenze dei classici,

    come per esempio la risoluzione delle equazioni di terzo e quarto grado, imatematici iniziarono a cercare nuovi metodi più o meno empirici per ricavaredelle nuove formule. Galileo, per esempio, ritagliò una forma ad arco di cicloideper pesarla e riuscire così a valutare quanto potesse valere l’areacorrispondente: per la cronaca, sbagliò il risultato. Bonaventura Cavalieri presespunto da quell’idea, ma l’applicò in un modo completamente diverso. Peresempio, prendeva un parallelepipedo e una specie di cilindro inclinato su unlato – come vedete, la torre di Pisa aveva colpito ancora – entrambi della stessaaltezza, e la cui base aveva la stessa area. Tagliandoli con un piano paralleloalla base, si continuava a ottenere un rettangolo e un cerchio con la stessa area;pertanto, concludeva Cavalieri, l’area del cilindro storto deve essere uguale alparallelepipedo! Se li affettiamo entrambi in tantissime parti di altezzainfinitesima, esse sono sempre uguali; dunque la somma delle fettine (cioè ilvolume dei due solidi) deve essere ancora uguale.

    Il principio di Cavalieri all’opera

    Il cosiddetto principio di Cavalieri è a prima vista intuitivo, ma a un esame piùattento potete notare i punti oscuri. Gli infinitesimi sono parenti strettidell’infinito: ci vuole un numero infinito di fettine per poter dire «abbiamosempre due superfici identiche per ogni fetta». Ma non si possono sommare

  • aree per ottenere un volume, né possiamo comunque sommare un numeroinfinito di cose! L’inizio insomma non è esattamente roseo: Cavalieri poipeggiorò la situazione chiamando queste fettine indivisibili cozzando così controi postulati di Euclide. La corsa agli infinitesimi era ormai diventata una moda:nello stesso periodo stava nascendo quello che si sarebbe poi chiamato calcoloinfinitesimale. Il via era stato dato da Pierre de Fermat – quello dell’ultimoteorema – che calcolava l’area al di sotto di una funzione immaginando che fosseformata da una serie di piccoli trapezi. Gottfried Wilhelm Leibniz nel continentee Isaac Newton in Inghilterra avevano poi definito le formule di derivazione eintegrazione, che in pratica funzionavano bene, nonostante la teoria che stava aldi sotto non fosse diciamo solidissima.Niente da fare. Ai matematici questo nuovo gioco piaceva troppo, come si vede

    anche nell’altro grande filone dove l’infinito veniva usato in maniera estrema: glisviluppi in serie. In questo campo il genio indiscusso è stato Eulero, ungiocoliere delle manipolazioni formali, che non si preoccupava più di tanto dellaliceità dei passaggi che faceva, fintantoché il risultato finale era sensato. Peresempio, osservava che facendo la divisione come se fosse quella classicaotteneva

    1/(1-x) = 1 + 1/x + 1/x2 + 1/x3 + 1/x4 + ...

    a questo punto sostituiva per esempio a x il valore 2 e «dimostrava» che lasomma 1 + 1/2 + 1/4 + 1/8 ... valeva 2. Il fatto che fosse una somma infinitanon lo turbava più di tanto: era ovvio che la somma fosse 2, no? Ah, dimenticavo:proprio perché l’infinito era ormai di moda, si inventò anche un simbolo perdefinirlo: ∞, che non è un 8 coricato ma la curva chiamata lemniscata. Fu JohnWallis nel 1655 a usarlo per la prima volta, facendo immagino arrabbiareparecchio i tipografi che dovettero crearselo.

  • 3. I primi paradossiTutti questi nuovi risultati facevano certo piacere ai matematici, che come

    chiunque cercano sempre di superarsi. Ma allo stesso tempo si levavano lerimostranze di chi faceva notare che gli infinitesimi erano una presa per ifondelli. Noi stiamo facendo il rapporto tra due quantità. Se esse sono entrambenulle, sappiamo bene che questo rapporto non è definito; se non sono nulle, nonè evidentemente lecito eliminare gli infinitesimi di ordine superiore, che nonsono nulli neppure loro. Per quanto riguarda le flussioni di Newton, lascio poi laparola al vescovo George Berkeley, uno che di enti infiniti doveva sapernequalcosa. Nel suo The Analyst scrisse, dopo aver definito le flussioni «scaffali diun edificio»: «E cosa sono queste flussioni? Le velocità di incrementievanescenti? E cosa sono questi incrementi evanescenti? Non sono né quantitàfinite né quantità infinitamente piccole, ma nemmeno il nulla. Non potremmochiamarle fantasmi di quantità defunte?».Con le serie infinite, il problema è forse addirittura peggiore. Prendiamo una

    serie che a prima vista sembra innocua: 1−1+1−1+1−... e diciamo che la suasomma sia S. Ma noi possiamo anche riscriverla come 1− (1−1+1−1+...), che èla stessa cosa di 1-S. Abbiamo così che S=1-S, da cui S=1/2, che già sembrapoco sensato visto che le somme parziali sono sempre e solo 1 e 0. DanielBernoulli poi fece notare come semplicemente aggiungendo degli zeri qua e làpossiamo scrivere la serie come 1+0−1+1+0−1+1+0−1+ … e ricavare comesomma 2/3. Peggio ancora, potremmo riordinare i termini della serie,prendendone alternativamente due di posto dispari e uno pari; quelli di posto 1,3, 2, 5, 7, 4, 9, 11, 6,... Raggruppandoli a tre a tre otteniamo ora 1+1+1... cheha evidentemente somma infinita. E se cambiamo l’ordine possiamo ottenere«meno infinito», o qualunque valore vogliamo!Potreste dire che non è lecito scambiare l’ordine dei termini di una cifra, e

    sperare di lavarvene così le mani. Niente da fare. Dovreste infatti spiegareperché la proprietà commutativa, quella che dice che a+b=b+a, vale per unasomma finita e non per una infinita; o ancora perché, mentre per le grandezzenormali una quantità è sempre maggiore di una sua parte propria, con l’infinitonon è vero: già Galileo aveva mostrato nel Dialogo sopra i massimi sistemi comei quadrati perfetti si possano associare a uno a uno con gli interi, e quindi siano«lo stesso numero», anche se ci sono moltissimi interi che non sono quadratiperfetti.Un’ultima chicca con le serie infinite. Sempre il buon Eulero «dimostrò» che la

    somma della serie 1+2+4+8+ … valeva −1/2! Il conto è semplice: possiamoscrivere la serie come 1+2×(1+2+4+8+…), e procedere come prima:

  • definendo S la sua somma, abbiamo che S = 1 + 2S, da cui appunto S = −1/2.Dunque, i numeri negativi si possono raggiungere anche andando oltre l’infinito?Be’, non è proprio così. Quella è una soluzione finita dell’equazione finale, manessuno ci assicura che la manipolazione formale che abbiamo fatto non abbiaintrodotto nuove soluzioni. In matematica capita spesso…

  • 4. Limiti e convergenzaL’analisi matematica è una bella cosa, e i matematici, ma anche e forse

    soprattutto i fisici, hanno apprezzato molto la sua capacità di fornire rispostequasi a macchinetta ai problemi nel mondo reale. Certo ogni tanto succedevaqualcosa di fastidioso, come per esempio la tromba di Gabriele mostrata quisotto: Evangelista Torricelli mostrò come, se si faceva ruotare la funzione y =1/x, per x che va da 1 all’infinito, intorno all’asse x, si otteneva una figura divolume finito ma di area infinita. Ma finché questi esempi erano pochi si potevafare finta di nulla e nasconderli sotto il tappeto.

    Beveteci pure, ma non provate a verniciarla!

    Solo che nel XIX secolo si iniziarono a trovare esempi sempre meno innaturali,e insomma le ipotesi che erano state abborracciate per usare l’infinito facevanoacqua da tutte le parti. Finalmente un gruppo di matematici riuscì a trovare ledefinizioni accettabili per addomesticarlo: il trucco fu definire il concetto dilimite, il punto chiave dell’analisi, in maniera «finitista». Chi ha fatto loscientifico magari ha una reminiscenza di epsilon e delta che non sapeva maidove mettere: eppure l’idea è semplicissima. Ricordate gli infinitesimi, e ilproblema di dovere dividere per qualcosa che non è proprio zero, ma èpraticamente nullo? Bene. Disinteressiamoci di cosa succede nel punto dovedobbiamo calcolare il limite di una funzione, e guardiamo invece cosa glisuccede intorno. Diviniamo infatti un valore per il limite, decidiamo l’errore cheintendiamo accettare – l’epsilon – e vediamo se è vero che vicino al nostro punto– a distanza al più delta – l’errore è sempre minore di delta. Il passaggio chiaveè che noi possiamo ridurre sempre più l’errore accettato e verificare che sitrova ancora un delta adeguato. Questo δ(ε) lo possiamo vedere come una nuovafunzione; ma in realtà è una successione (che prosegue all’infinito, come unaretta…) di valori finiti, e quindi stiamo usando un infinito potenziale. Aristoteleavrebbe sicuramente apprezzato.Quest’idea di usare successioni per addomesticare l’infinito la troviamo anche

    nella caratterizzazione dei numeri reali. Per capire qual è il problema con inumeri reali, dobbiamo fare un enorme passo indietro, e tornare addirittura aPitagora, o meglio alla sua scuola. Inizialmente i greci erano convinti che tutti i

  • rapporti tra due misure potessero venire espressi come una frazione: 3/4, 9/1,355/113,... Invece, proprio partendo dal teorema di Pitagora è possibileaccorgersi come il lato e la diagonale di un triangolo isoscele rettangolo nonpossono essere messi in un rapporto di questo tipo. Lo choc culturale deveessere stato terribile, tanto che i greci si sono poi rifiutati di fare operazioni chenon potessero rappresentare geometricamente (vedi duplicazione del cubo). Mase non vogliamo fare un disegnino, come possiamo definire un numero reale chenon sia razionale, cioè rappresentabile come una frazione? Peter GustavLejeune Dirichlet si inventò un sistema che a prima vista sembra esagerato, mache perlomeno funziona. Dirichlet iniziò con le cose facili, i numeri razionali: eseguì lo stesso approccio dei greci. Prese una retta, scelse un punto e lo chiamò0, scelse un altro punto – alla destra di 0: non è obbligatorio ma siamo tuttiabituati così – e lo chiamò 1. A questo punto al numero m/n associa un segmentoche parte da 0 e il cui rapporto con il segmento [0,1] è proprio m/n. Penso losapesse fare già Talete, tanto per dire. Finora nulla di nuovo, ma qui arriva ilcolpo di genio. Dirichlet cambia in corsa la definizione di numero! Non è più unpunto sulla retta, ma una coppia di semirette, una con tutti i «vecchi» numeriminori o uguali a quello dato e l’altra con i tutti numeri maggiori. Nel caso di unnumero razionale la prima semiretta che finisce con un punto, e la seconda haquel punto solo come un limite; ma possiamo avere entrambe le semirette chenon finiscono col punto, e questi «nuovi» numeri corrispondono agli irrazionali.La definizione da sola serve a poco; ma Dirichlet mostrò come si potevanosommare, sottrarre e moltiplicare queste semirette ottenendo risultati checombaciavano con i numeri razionali. Complicato? Non più che scrivere i numericon la virgola e infinite cifre decimali, come 3,14159265358979... Prendendo leapprossimazioni per difetto e per eccesso, cifra per cifra, si costruiscono duesuccessioni di semirette che daranno – all’infinito… – quella voluta.

  • Un punto mancante (e ce ne sono tanti…)

    Siamo finalmente riusciti a riempire gli infiniti punti di una retta? Dipende. Iltrucco sta tutto nel principio di Archimede: tutto il lavorìo delle semirettefunziona solo se si assume che due numeri diversi tra loro si allontanano sempredi più man mano che li si moltiplica per un numero intero sempre maggiore. Secosì non è, infinitamente vicino a un punto ce ne possono essere altri a volontà,come dice la cosiddetta analisi non standard che dopo tre secoli ha sdoganatogli infinitesimi. Non crediate però che sia una costruzione puramente teoricasenza significato pratico! Se per esempio prendiamo la funzione log(x), essaarriva a valori grandi a piacere, quindi supera x0 (che dal valore 1 non sischioda). In compenso, una funzione xε, per quanto piccolo – ma positivo – sia ε,prima o poi supererà definitivamente log(x). Che numero possiamo associareall’ordine di grandezza di quest’ultima funzione? Non preoccupatevi, comunque;all’atto pratico ci accontentiamo dei numeri reali, senza stare a guardare gliinfinitesimi.

  • 5. Un solo infinito è troppo pocoA questo punto potreste pensare che l’infinito fosse stato ormai domato, o

    almeno circondato in modo che non possa più scappare. Macché! Pochi decenni,e arrivò una nuova rivoluzione. Il merito, o la colpa, va a Georg Cantor, unpersonaggio indubbiamente interessante. Nasce a Pietroburgo da genitoridanesi, ma vive sempre in Germania, dove negli ultimi anni entrerà e uscirà daimanicomi. Era un matematico, ma i suoi interessi si orientarono poi verso lateologia – arrivò al punto di scrivere in Vaticano per verificare le sue definizionifossero ortodosse... – e la letteratura: scrisse una serie di saggi per dimostrareche le opere di Shakespeare erano in realtà state scritte da Bacone.Non solo Cantor è il primo a usare l’infinito attuale, e non potenziale – da cui

    appunto la corrispondenza col Vaticano. Peggio ancora, definì due tipi di infinito,anzi di numeri transfiniti per lasciare al solo Dio l’appellativo «infinito». Se di uninsieme di numeri ci interessa solo sapere quanti sono abbiamo i numericardinali; quando invece li contiamo (1, 2, 3, …) abbiamo i numeri ordinali.Cominciamo da questi ultimi, e immaginiamo di avere contato «sino all’infinito».Se l’infinito attuale esiste, dobbiamo dargli un nome: Cantor scelse l’ultimalettera dell’alfabeto greco, ω. Dio è sì l’Alfa e l’Omega, ma con i numeri ordinalisi può ancora proseguire! Non ci credete? Immaginate che all’inizio del primogiorno Dio conti 1; a metà giornata conti 2; a 1/4 dalla fine della giornata conti3; a 1/8 dalla fine della giornata conti 4; e così via, dimezzando sempre il tempotra un numero e il successivo: tanto Lui può. A fine giornata avrà contato infinitinumeri, anzi ω come abbiamo detto. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.Quando Dio ricomincia a contare, che cosa può dire se non ω+1? Attenzione,però: 1+ω non è affatto uguale a ω+1! Se infatti Dio avesse iniziato a contare 1la sera prima, il mattino avrebbe semplicemente iniziato con 2 e proseguito finoa ω. Per la cronaca, continuando a sommare, prima o poi, arriviamo a ω+ω, cioèω·2 (che non è 2·ω, ma questo lo immaginavate…), poi a ω ω·3,... ω2,... e via,fino a un infinito davvero infinito.

  • Contare fino all’infinito per infinite volte

    Con i cardinali la cosa è un po’ più complicata. È facile confrontare cinque melecon quattro pere: meno facile confrontare infinite mele con infinite pere. Cantorha tirato fuori una definizione a prima vista banale: due insiemi A e B hanno lastessa cardinalità (cioè sono lo stesso numero, e si scrive #A = #B) quando irispettivi elementi possono essere tutti associati a coppie tra di loro. Se invecel’associazione è a senso unico, cioè possiamo associare a ogni elemento di A unelemento di B ma alcuni elementi di B rimangono single, allora la cardinalità di Bè maggiore o uguale a quella di A. Solo che capita qualcosa di strano. Prendiamoad esempio i numeri naturali e i quadrati perfetti. È chiaro che i quadrati sonomeno dei numeri; se però associamo 1 ⇔ 1, 2 ⇔ 4, 3 ⇔ 9 e così via, vediamo che idue insiemi hanno la stessa cardinalità. Già Galileo aveva notato questaparticolarità: Cantor scelse non solo di accettarla come fatto compiuto, maaddirittura usarla come definizione dei numeri infiniti.E che nome diamo al cardinale che contiene tutti i numeri naturali? Non

    possiamo usare ω, perché ordinalità e cardinalità sono due concetti distinti. Ilbuon Cantor si era scocciato di usare sempre le stesse lettere latine e greche evoleva qualcosa di nuovo: così è andato a pescare dall’alfabeto ebraico e hascelto la sua prima lettera, alef, che si scrive ℵ. Cantor definì la cardinalitàdell’insieme dei numeri naturali come ℵ0, che si legge «alef-zero»; e affermò chetutti gli insiemi di cardinalità ℵ0, cioè tutti quelli che possono essere associatiuno-a-uno con i numeri naturali, sono numerabili. Qui sono iniziate le cose buffe.Se sommiamo ℵ0 + N, dove N è un numero intero qualunque, (ma anche N + ℵ0:a differenza degli ordinali, con i cardinali l’ordine delle operazioni non importa)

  • otteniamo ancora ℵ0. In fin dei conti, gli N elementi rimangono annegati inmezzo agli infiniti altri. Quanto fa ℵ0 + ℵ0? Proviamo a sommare i numeri interipositivi e quelli negativi. Se li scriviamo nell’ordine 0, 1, -1, 2, -2, 3, -3,... ciaccorgiamo che abbiamo un insieme numerabile, e pertanto la somma vale ℵ0.Con lo stesso ragionamento, N·ℵ0 = ℵ0. Complichiamoci ancora un poco la vita:quanto fa ℵ0·ℵ0, cioè ℵ02? Un esempio di insieme di questo tipo è quello deinumeri razionali, visto che in fin dei conti sono coppienumeratore/denominatore. Cantor riuscì a dimostrare che anche i razionali sonoun insieme di cardinalità ℵ0. Per vederlo, il trucco è stato riuscire a numerare irazionali positivi: Cantor li scrisse in una specie di tavola pitagorica illimitata, epoi definì un percorso a zigzag 1/1, 1/2, 2/1, 3/1, 1/3, 1/4, 2/3, 3/2, 4/1, 5/1 ...come nella figura qui sotto, eliminando i doppioni come 2/2 che era già statocontato come 1/1. In definitiva, quindi, ℵ02 = ℵ0. Allo stesso modo si vede che ℵ0N= ℵ0 per un qualunque valore finito di N.

    Prima o poi li incontriamo tutti!

    È naturale chiedersi il perché di tutta questa faticaccia, visto che non cischiodiamo mai da ℵ0. Se lo chiese anche Cantor, almeno fino a quando nonscoprì che i numeri reali compresi tra 0 e 1 sono sicuramente più di ℵ0. Ladimostrazione cantoriana è a mio parere una delle più belle in assoluto. Sequell’insieme fosse numerabile, potremmo accoppiarli ai numeri naturali. Èchiaro che non li potremo mettere in ordine crescente, ma avremo per esempiouna lista come la seguente.

  • 1 0,96523873450345...2 0,2432140000125...3 0,312512411439328...4 0,987312234832488...5 0,15037320000000...6 0,14159265358979......Costruiamo ora un numero con le seguenti regole. Il numero inizia per zero

    virgola. Per trovare la sua n-sima cifra decimale prendiamo il numero inposizione n e guardiamo la sua n-sima cifra decimale: se è compresa tra 0 e 4 ilnuovo numero avrà 8, se è compresa tra 5 e 9 avrà 3. Nel nostro caso il numeroinizierà con 0,388838..., come è facile verificare. Dove sta nella lista? Non puòessere il primo, perché la prima cifra dopo la virgola è diversa. Non può essereil secondo, perché la seconda cifra dopo la virgola è diversa. Non può essere ilterzo... Ehi! non possiamo trovarlo da nessuna parte! Ma allora la nostra ipotesiiniziale è falsa, e dunque l’insieme dei numeri tra 0 e 1 non è numerabile.Cantor rimase scioccato da questa scoperta, che tra l’altro implica che «quasi

    tutti» i numeri reali sono trascendenti¸ cioè non sono razionali né soluzioni diun’equazione come axn + bxn-1 + … + hx + k = 0. Dopo essersi ripreso, scoprìche partendo da un qualunque cardinale, finito o infinito, se ne poteva costruireun altro di cardinalità strettamente maggiore: basta prendere il suo «insiemedelle parti», che ha come elementi tutti i possibili sottoinsiemi dell’insieme dipartenza. Dato un insieme I, l’insieme delle parti di I si scrive P(I) e la suacardinalità è data da #(P(I)) = 2^#(P(I)). (Scusate se uso la notazionedell’esponenziale con il simbolo «^»: si legge meglio degli esponenti.) La teoriadei cardinali era quasi completa, se non per un problemino. È relativamentefacile vedere che i numeri reali hanno cardinalità 2^ℵ0. Ma questo è il numerotransfinito immediatamente successivo ad ℵ0, oppure ce n’è qualcuno in mezzo?Questa domanda è l’ipotesi del continuo. Nel 1940 Kurt Gödel dimostrò chel’ipotesi del continuo è «compatibile» con gli altri assiomi dell’aritmetica: sel’accettiamo non troveremo contraddizioni. Tutto bene? Per nulla. Nel 1963Paul Cohen dimostrò che anche negare l’ipotesi del continuo è compatibile congli altri assiomi: insomma non abbiamo modo di capire se sia vera o falsa.Peggio ancora, è stato dimostrato che ci sono... infinite scelte possibili perdefinire la successione dei numeri transfiniti. La più divertente, almeno a mioparere, è quella che postula l’esistenza di cardinali inaccessibili: questi non sonoalti prelati che non vogliono farsi avvicinare dai fedeli, ma dei numeri che nonpossono essere raggiunti come limite di successioni di numeri più piccoli.Esistono? Non esistono? Anche in questo caso possiamo scegliere di fare

  • matematica in entrambi i casi senza trovare delle contraddizioni.

  • 6. I paradossi moderniLa teoria cantoriana degli infiniti è molto bella. È anche «vera»? Alcuni

    matematici e molti che matematici non sono la rifiutano, affermando che ladimostrazione che ho tratteggiato qui sopra è completamente insensata. Ilproblema non è tanto il poter riordinare l’elenco dei numeri tra 0 e 1 per farposto a quello che abbiamo costruito: se cambiamo l’ordine della lista cambieràanche il nostro numero, e siamo punto e a capo. L’unica obiezione nonmanifestatamente insensata, almeno a mio parere, è molto più sottile. Possiamodavvero pensare di essere in grado di scrivere una lista di tutti i numeri tra 0 e1? In fin dei conti sono infiniti, e noi dobbiamo scegliere (tenete a mente laparola…) un numero infinito di volte qual è il numero in ciascuna posizione, ilche potrebbe risultare impossibile per noi esseri finiti. Almeno nel conto 1, 2, 3,… abbiamo una regola specifica che ci fa sapere qual è il numero presente: quinon abbiamo nulla.Il guaio è che anche con questa nuova formulazione dell’infinito abbiamo

    ancora paradossi: diversi da quelli degli antichi greci, ma non per questo menodifficili da accettare. Non mi interessano i paradossi dell’albergo di Hilbert,quello con un numero infinito di stanze tutte occupate ma il cui direttore riescesempre ad accogliere nuova gente spostando i vecchi occupanti e creando posto.Quella è solo una logica conseguenza delle leggi dell’aritmetica dei numeritransfiniti che ho mostrato in precedenza. Se proprio vogliamo essere pignoli, ilvero paradosso è che non ci sia nessuna associazione consumatori che presentiun esposto alle Forze Spaziali Intergalattiche per lo stress dato a quei poveriospiti che continuano a essere costretti a fare armi e bagagli per cambiarestanza. No, ci sono paradossi molto peggiori.Inizio patriotticamente parlando della curva di Peano. Giuseppe Peano è stato

    uno tra i matematici di spicco della scena mondiale tra il Diciannovesimo e ilVentesimo secolo, nonostante fosse cuneese. Fu un altro che aveva qualcheproblema nel rapportarsi col mondo: per dire, a un certo punto decise di tenerele sue lezioni universitarie in una lingua universale da lui sviluppata, il «latinosine flexione», per la prevedibile gioia dei suoi studenti. Ma dal punto di vistascientifico, nulla da eccepire. La curva che prende il suo nome nacque peresempio mentre cercava di definire la differenza tra una curva e una superficie.Intuitivamente la cosa sembra chiara: un punto di una linea ha solo i vicini suidue lati, mentre un punto in una superficie ce li ha tutto intorno. Peano definìquello che oggi chiamiamo un algoritmo ricorsivo. È partito da un quadrato – ilPasso Zero – e l’ha diviso in quattro parti, disegnando una spezzata che unisce icentri dei quadratini; questo è il Passo Uno. Poi ha diviso ogni quadratino in

  • quattro parti, ha disegnato in ciascuna di esse quattro spezzate come quellainiziale, e le ha unite per avere un’unica linea; questo è il Passo Due. Nel PassoTre, i sedici quadratini sono divisi in quattro... e così via, per un numero infinito(numerabile!) di volte. La «curva» limite è sì una curva, ma passa per tutti ipunti del quadrato iniziale, assomigliando così a una superficie. In fin dei conti ilnumero di punti è sempre lo stesso…

    Qual è la via più breve tra due punti? Il gomitolo.

    I paradossi più eclatanti si hanno quando entra in gioco l’assioma della scelta.(Ricordate che vi avevo detto di tenere a mente la parola «scegliere»?) Asentirne l’enunciato, sembrerebbe soltanto un modo complicato per esprimereun’ovvietà: se abbiamo un magazzino che contiene tante casse, e ogni cassacontiene almeno un oggetto, è possibile prendere un oggetto da ciascuna cassa.Il problema è definire formalmente qual è la funzione che associa alla cassal’oggetto preso dalla cassa. Se le casse sono un numero finito, non c’è problema:si scrive esplicitamente la funzione. Se all’interno di ogni cassa c’è un elementospecificatamente riconoscibile, la funzione è «prendi quell’elemento». L’esempioche si fa di solito è arrivare nell’albergo di Hilbert, scoprire che tutti gli ospitihanno lasciato le scarpe fuori dalla stanza, e prendere una scarpa di ciascunospite. Basta scegliere la scarpa sinistra, e siamo a posto. Se invece che lescarpe ci fossero i calzini, questo metodo non funziona: non puoi scegliere uncalzino specifico, perché il paio è identico, e non puoi costruire una lista dicalzini presi, perché ce ne sono infiniti. L’assioma della scelta ti assicura cheanche se non la puoi costruire, comunque tale lista esiste.Continuate a essere convinti che sia una banalità? Contenti voi… Sappiate però

    che se accettate l’assioma della scelta allora potete prendere una sfera,

  • «dividerla» in cinque parti, ruotarle e riposizionarle, e ottenere due sfereidentiche a quella iniziale. Il tutto è noto come paradosso di Banach-Tarski , dalnome dei due matematici che nel 1924 lo presentarono alla comunitàmatematica. Non sappiamo quali siano i tagli effettivi che occorrerà fare, e i«pezzi» ottenuti sono una specie di spugna che non può essere davvero creata,altrimenti saremmo già tutti lì a duplicare palle d’oro: però la matematicamostra che il tutto funziona, se abbiamo fede nell’assioma della scelta. Parlaredi fede è appropriato, perché è stato dimostrato, proprio come per l’ipotesi delcontinuo, che non si aggiungono contraddizioni né accettando l’assioma dellascelta, né rifiutandolo.

    La commercializzazione del Duplicator è sospesa per una causa brevettuale intentata dalla YHWH, Inc.

    La pattuglia di matematici contraria all’assioma della scelta si rifà all’olandeseLuitzen Brouwer che, pur essendo stato perfettamente in grado di dimostrareteoremi importanti provando l’esistenza di qualcosa senza però esibirlo,all’inizio del XX secolo decise che il principio del terzo escluso non si potevaapplicare nel caso in cui ci fossero infinite scelte. Il principio del terzo esclusoera stato teorizzato sin da Aristotele, e dice fondamentalmente «se hai solodimostrato che assumere la non esistenza di un oggetto porta a unacontraddizione, non hai dimostrato che l’oggetto esiste», perché per dimostrareche esiste devi costruirlo esplicitamente – non per nulla, la sua correntefilosofica si chiama costruttivismo. Aggiungo subito che il 99% dei matematiciaccetta senza problemi l’assioma della scelta e non si cura di quei paradossi, perl’ottima ragione che senza di esso moltissimi teoremi matematici non sarebberopiù dimostrabili.Il costruttivismo nega categoricamente l’esistenza di un infinitoattuale, e i matematici preferiscono di solito seguire David Hilbert, che disse:«Nessuno ci scaccerà dal paradiso che Cantor ha creato per noi».Occorre dire però che bisogna davvero essere ottimisti a pensarla così, visto

    che non potremo mai dare un nome nemmeno in teoria a «quasi tutti» i numeri!

  • È vero che «radice quadrata di due» oppure «rapporto tra circonferenza ediametro di un cerchio, per gli amici pi greco» sono dei nomi a pieno titolo; maper dare un nome a tutti i numeri bisognerebbe avere una strategia benprecisa. Con i numeri razionali è facile, perché una qualunque frazione a/b sipuò pronunciare «a diviso b». Con gli irrazionali un po’ meno. Ancheimmaginando di permettere formulazioni molto pericolose come «il più piccolonumero positivo che non può essere definito in meno di sedici parole» o persinofrasi senza senso come «Pape Satàn, Pape Satàn aleppe», rimangono dei limitiintrinseci. Dobbiamo infatti usare un alfabeto con un numero finito di simboli,anche aggiungendo ideogrammi e klingon; inoltre, il nome dei numeri deveessere di lunghezza finita, anche se grande a piacere. Il buon Cantor nonavrebbe problemi a mostrare come in questo modo potremo definire soloun’infinità numerabile di numeri, e quindi tutto il resto sarà per sempresconosciuto all’uomo. Tranquilli, non vi vendo questo ragionamento come provaontologica dell’esistenza di Dio: al limite è una prova ontologica di cosa puòsuccedere quando i filosofi si mettono in mezzo!

  • 7. Appendice: fisici e informaticiMi sembrava brutto terminare senza almeno accennare come fisici e

    informatici, che in fin dei conti la matematica la usano, vedono l’infinito. (Per lacronaca, gli statistici sono molto pragmatici: usano l’infinito nelle formuleteoriche, anche se tanto i loro esempi sono tutti finiti.) Gli informatici teorici nonsi sono ancora schiodati dal buon vecchio Euclide. Avete presente la macchina diTuring? È composta di parti (logiche) finite, come il numero di stati in cui si puòtrovare e i simboli che può leggere e scrivere; poi c’è il nastro, di cui sappiamosolo che ce n’è sempre a sufficienza. Sta per finire il nastro? Nema problema,per magia lo prolunghiamo. D’altra parte, 640 kilobyte di memoria sono più chesufficienti, no? Paradossalmente, quelli che invece hanno fatto il grande passo esono passati a usare l’infinito attuale sono i programmatori, quelli per cui inumeri reali non esistono davvero visto che non li si può infilare in una variabile.Lo standard IEEE per l’aritmetica a virgola mobile (IEEE 754) definisce infatti ivalori +∞ e −∞, due configurazioni specifiche di bit che hanno le proprietàtipiche dell’infinito aritmetico. Addirittura in linguaggi come Java questi valoripossono essere assegnati a una variabile e confrontati con altri valori, colrisultato che vi potete immaginare.I fisici spergiurano che le equazioni che loro scrivono rappresentano il mondo

    reale, e quindi l’infinito non ha ragione di esistere. Sì, lo usano negli integrali (laforza di gravità e quella elettromagnetica, per esempio, agiscono ancheall’infinito), ma è solo per fare contenti i matematici: tanto il contributo a grandidistanze è trascurabile, e quindi si può fare il bel gesto di inserirlo. Poi peròbasta. Bene: voi ci credete davvero? Persino io che di fisica ne mastico pocaconosco almeno due esempi d’infinito usati senza batter ciglio. Il primo caso èquello della delta di Dirac: una «funzione» δ(x), e le virgolette servono davvero,che vale zero ovunque tranne per x=0; in questo caso il valore è infinito, anzi uninfinito ben specifico; infatti l’integrale della delta vale 1. Dopo qualchedecennio i matematici hanno trovato un modo per definire la delta in modoformalmente corretto, inventandosi una nuova teoria (quella delle distribuzioni):dal nostro punto di vista ci basta sapere che la delta di Dirac è una macchinettaa cui si dà in pasto una funzione f(x) e ci ritorna il valore f (0), come se avessimoun impulso brevissimo (infinitesimo?).Dirac ideò la delta mentre studiava la meccanica quantistica: anche il secondo

    esempio di infinito fisico che conosco, la rinormalizzazione, arriva da lì. Citandobiecamente dalla voce omonima di Wikipedia, «Quando si descrivono lo spazio eil tempo come entità continue, la costruzione di certe teorie quantistiche estatistiche risulta mal definita. [...] La rinormalizzazione fu sviluppata per laprima volta per rimuovere gli infiniti che emergono negli integrali dello

  • sviluppo perturbativo nell’elettrodinamica quantistica. Inizialmente vista comeuna procedura sospetta perfino da alcuni dei suoi ideatori, ad oggi èconsiderata uno strumento autonomo e autoconsistente in molti ambiti dellafisica e della matematica.» Chiarissimo, vero? Ok, provo a riscriverlo. C’eranodelle formule che davano un risultato infinito quando invece sarebbe dovutoessere finito: si è studiato un modo – consistente, ci mancherebbe ancora! – percancellare gli infiniti e trovare un risultato sensato. All’inizio i fisici lo usavanofacendo finta di nulla, poi si sono inventati una teoria, il «gruppo dirinormalizzazione», che dice che guardando gli oggetti a scale diverse dienergia le equazioni cambiano man mano; a questo punto si sono dettisoddisfatti perché la tecnica è stata validata. Contenti loro…A parte le mie battutacce, spero sia chiaro che anche in fisica un infinito

    (attuale, per di più!) ha il suo posto. Ci si potrebbe chiedere come mai noi esseriumani finiti abbiamo bisogno di usare l’infinito per riuscire a parlare del nostromondo finito: ma lascio volentieri la risposta a questa domanda a filosofi eteologi, perché io sono solo una mente semplice!

  • 8. Bibliografia e sitografiaHilbert aveva forse esagerato parlando del paradiso degli infiniti: ma è

    indubbio che l’infinito sia un argomento interessante, e uno dei migliori peravvicinarsi alla storia e alla filosofia della matematica.Per chi volesse saperne di più, ecco una bibliografia di base.

    Carl Boyer, Storia della matematica, Oscar Saggi, Mondadori1990, trad. Adriano Carugo. Un testo classico per chiunquevoglia conoscere la matematica in generale. Attenzione: negliUSA è uscita una versione aggiornata, curata da Uta C.Merzbach, con i risultati dell’ultimo secolo (il testo originale èdel 1968, e si è fermato al primo dopoguerra), ma in Italia non siè mai vista.Morris Kline, Storia del pensiero matematico (2 voll.), BibliotecaEinaudi 1999, trad. Luca Lamberti. Libro un po’ più tecnico delprecedente, ma allo stesso tempo con un interesse maggioreverso la filosofia.Paolo Zellini, Breve storia dell’infinito, Adelphi 1993. Un testofilosofico scritto da un matematico. Non è esattamente di facilelettura, ma ci trovate praticamente tutto.Carl Boyer, Storia del calcolo, Bruno Mondadori 2007, trad.Angelo Guerraggio. Chi è interessato alla storia dellamatematica dal punto di vista di come si struttura la teoria chepoi viene insegnata a scuola come cristallizzata sarà a proprioagio con questo libro.John H. Conway e Richard Guy, Il libro dei numeri, Hoepli 1999,trad. Alessandro Zaccagnini. Tutti i numeri che poteteimmaginare, e molti altri. Scritto in uno stile piacevole e«colorato», lasciando da parte le dimostrazioni.Umberto Bottazzini, Il flauto di Hilbert – storia della matematica,Utet Libreria, 2003. Riedizione di un libro del 1998 con lo stessocontenuto, ma con una copertina meno bella e un titolo neutro,anche se non proprio corretto, visto che inizia a trattare lamatematica a partire dal 1600... interessante per il maggiorrisalto dato agli italiani, ma forse un po’ troppo pesante.Roberto Zanasi, Verso l’infinito ma con calma, Scienza Express2011. Se lo stile di questo mio saggio vi è piaciuto,probabilmente apprezzerete anche i dialoghi tra il Vero

  • Matematico e lo studente esposti da Zanasi. Siamo entrambidella generazione «matematici poco seri».

    Chi preferisse cercare risorse in rete, può trovare (almeno al momento in cuiscrivo… il web è fluido):L’infinito: un itinerario didattico tra matematica e filosofia , di Luigi Tomasi. Il

    testo è una guida per un corso nelle classi superiori del liceo.La matematica dell’infinito, di Stefano Leonesi, Carlo Toffalori e Samanta

    Tordini. Articolo più tecnico di didattica della matematica.L’infinito in matematica , di Maria Chiara Giacomucci. Carrellata storica con

    una maggiore attenzione alle considerazioni filosofiche.L’infinito matematico , di Enrico Bombieri. Testo più storico, e un po’ più

    matematico.Layman’s Guide to the Banach-Tarski Paradox , di «The Writer». Purtroppo in

    inglese, ma sicuramente meritevole di lettura per avere un’idea di cosa succedenel paradosso in questione.On the Theory of the Transfinite: le lettere (tradotte in inglese) di Georg

    Cantor al cardinale J.B. Franzelin.Per quanto riguarda le figure:La Tromba di Gabriele nel capitolo 4 è di RokerHRO, ed è tratta da Wikipedia:

    http://commons.wikimedia.org/wiki/File:GabrielHorn.pngLa rappresentazione di ω2 è di Gro-Tsen, ed è tratta da Wikipedia:

    https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Omega_squared.pngI primi passi per costruire la curva di Peano sono adattati dal disegno di

    Zbigniew Fiedorowicz ahttp://www.math.osu.edu/~fiedorowicz.1/math655/Peano.html,con licenza CC-BY-SA 3.0 unported.Parti del Duplicatore di Banach-Tarski sono state disegnate da Mark Roth e

    Rubén Béjar, e sono reperibili su Openclipart:http://openclipart.org/detail/25734/conveyor-belt-by-markroth8 ehttp://openclipart.org/detail/176507/comic-style-machine-1-by-rubejar-176507

    http://web.tiscali.it/divulghttp://matematica-old.unibocconi.it/infinito/infinito.htmhttp://www.vialattea.net/pagine/infinito/http://www.math.it/eventi/BOMBIERI.pdfhttp://www.kuro5hin.org/story/2003/5/23http://www.schillerinstitute.org/fid_91-96/9http://commons.wikimedia.org/wiki/File:GabrielHorn.pnghttp://openclipart.org/detail/176507/comic-style-machine-1-by-rubejar-176507http://www.math.osu.edu/~fiedorowicz.1/math655/Peano.htmlhttp://openclipart.org/detail/25734/conveyor-belt-by-markroth8http://openclipart.org/detail/176507/comic-style-machine-1-by-rubejar-176507

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