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Dr. Marcello Belfiore - Centro Nazionale Malattie Rare - Istituto Superiore di Sanità, Roma. 1 Ordine Nazionale dei Biologi Focus sui Grassi: dai condimenti all’importanza dei lipidi nell’alimentazione. Grassi alimentari e malattie neurodegenerative PREMESSA La popolazione italiana sta invecchiando (fig.1A). Il tasso demografico è in continua discesa e la struttura per età mostra una piramide invertita con la maggiore fetta di popolazione intorno ai 40- 44 anni. Tutte le malattie connesse all’invecchiamento, incluse quelle neurodegenerative, saranno un problema sempre più rilevante per il nostro paese, nell’immediato futuro. Nel 2014 ad esempio il numero di malati di Alzheimer era di 46.8 milioni; le stime per il 2050 sono di 131,5 milioni, in pratica triplicherà. I costi mondiali correlati sono di 818 miliardi di USD (il fatturato della Apple per lo stesso anno è di 742 miliardi di USD)[3]. La stratificazione dell’incidenza di queste malattie è inversamente correlata al livello di benessere economico di un paese (fig.1B). Figura 1- A: tasso demografico italiano per classi di età. Da rapporto ISTAT 2011; B: incidenza dell’Alzheimer nei paesi benestanti e in quelli con un livello di benessere economico medio-basso. Da [3] A B

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Dr. Marcello Belfiore - Centro Nazionale Malattie Rare - Istituto Superiore di Sanità, Roma.

1

Ordine Nazionale dei Biologi

Focus sui Grassi: dai condimenti all’importanza dei lipidi nell’alimentazione.

Grassi alimentari e malattie neurodegenerative

PREMESSA

La popolazione italiana sta invecchiando (fig.1A). Il tasso demografico è in continua discesa e la

struttura per età mostra una piramide invertita con la maggiore fetta di popolazione intorno ai 40-

44 anni. Tutte le malattie connesse all’invecchiamento, incluse quelle neurodegenerative, saranno

un problema sempre più rilevante per il nostro paese, nell’immediato futuro. Nel 2014 ad esempio

il numero di malati di Alzheimer era di 46.8 milioni; le stime per il 2050 sono di 131,5 milioni, in

pratica triplicherà. I costi mondiali correlati sono di 818 miliardi di USD (il fatturato della Apple per

lo stesso anno è di 742 miliardi di USD)[3]. La stratificazione dell’incidenza di queste malattie è

inversamente correlata al livello di benessere economico di un paese (fig.1B).

Figura 1- A: tasso demografico italiano per classi di età. Da rapporto ISTAT 2011; B: incidenza dell’Alzheimer nei paesi benestanti e in quelli con un livello di benessere economico medio-basso. Da [3]

A B

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INTRODUZIONE

Che relazione esiste tra i lipidi e le malattie neurodegenerative?

Nel sistema nervoso centrale (SNC), sono presenti tre ordini di cellule: i neuroni, cellule in grado di

generare e trasmette a distanza i potenziali d’azione; gli oligodendrociti, cellule gliali specializzate

nel produrre la guaina mielinica; gli astrociti, altre cellule gliali specializzate nel modulare il

microambiente neuronale e nel mediare lo scambio di sostanze con il circolo sanguigno; la

microglia, macrofagi residenti quiescenti.

A un’analisi grossolana di una sezione cerebrale, è immediatamente chiara un’anisotropia di tipo

anatomico: vi sono zone di colore grigiastro (la sostanza grigia), con un’elevata presenza di corpi

cellulari neuronali e zone di colore biancastro (la sostanza bianca), con prevalenza di fibre assonali

mielinizzate (fig.2C). Com’è noto queste guaine mieliniche isolanti sono fondamentali per

consentire la trasmissione nervosa su lunghe distanze e per mantenere integra la struttura

funzionale degli assoni (fig.2B). La guaina mielinica (fig.2A) è costituita in pratica dalla membrana

cellulare degli oligodendrociti che si avvolgono in diversi strati concentrici intorno agli assoni del

neurone [8]. Considerato il numero enorme di neuroni e di connessioni mieliniche nel SNC tutte

queste membrane fosfolipidiche creano un distretto tissutale lipofilo di enorme estensione che

collabora al corretto funzionamento dei neuroni e su più larga scala delle aree cerebrali coinvolte

nelle funzioni superiori: la percezione dell’ambiente circostante, la memoria, l’intelligenza, la

coscienza, le capacità motorie e la regolazione del metabolismo.

LA BARRIERA EMATOENCEFALICA

Il SNC è un sistema chiuso rispetto al resto dell’organismo perché la sua struttura si oppone alla

libera circolazione di energia e materia mediante la barriera ematoencefalica (BBB). Di

conseguenza il cervello si comporta da bioaccumulatore. I costituenti organici e gli inquinanti che

diffondono attraverso questa barriera si trovano tendenzialmente intrappolati nella matrice

cerebrale. La barriera ematoencefalica è un “filtro” selettivamente permeabile interposto tra il

circolo sanguigno e il cervello. Regola la composizione ionica del fluido interstiziale del cervello,

Figura 2- I lipidi nel SNC. A: struttura di base del SNC. Da [5] ;B: sezione trasversale di un nervo. Da Dr. Kessel and Kardon; C: sezione coronale di cervello di Macaco. Da http://brainmaps.org

A B C

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impedisce l’ingresso di sostanze nocive nel parenchima cerebrale, facilita l’ingresso di nutrienti

necessari e l’uscita di scarti metabolici. L’integrità della BBB è di fondamentale importanza per

l’omeostasi del microambiente cerebrale. Alterazioni della BBB sono osservate in vari stati

infiammatori quali la sclerosi multipla, le neoplasie, le infezioni (meningiti, encefaliti), traumi e la

malattia di Alzheimer.

I principali elementi della BBB sono le cellule endoteliali microvascolari (BMEC) che differiscono da

quelle della vascolatura periferica [4] per:

presenza di giunzioni aderenti che limitano il passaggio di macromolecole lungo la via

paracellulare;

basso tasso di endocitosi che limita il passaggio di macromolecole lungo la via

transcellulare;

presenza di specifici trasportatori;

mancanza di fenestrazione;

elevata densità di mitocondri.

Pertanto le cellule endoteliali della BBB sono meno permeabili di quelle del circolo periferico.

Oltre le BMEC altri tipi cellulari partecipano alla formazione della BBB: i periciti, gli astrociti e i

neuroni. Tutte insieme costituiscono (fig.3) le unità neurovascolari [4]. Con i loro pedicelli gli

astrociti inglobano il 99% della superficie esterna delle BMEC e ne influenzano il comportamento

al fine di modularne la pervietà trans endoteliale e la captazione di glucosio.

TRASPORTO DEGLI ACIDI GRASSI ATTRAVERSO LA BBB

Gli acidi grassi (FA) sono nutrienti essenziali per la maggior parte delle cellule poiché soddisfano le

richieste energetiche cellulari (ossidazione mitocondriale), producono substrati essenziali per il

rimodellamento dei fosfolipidi di membrana, sono implicati in molte funzioni di signaling cellulare.

Il pool dei lipidi cerebrali (principalmente fosfolipidi e colesterolo) subisce un turn over rapido. Nel

Figura 3- A: Unità neurovascolare. Da [4]; B: pedicello astrocitario contatta un microvaso cerebrale. Da [5]

A B

Astrocyte

Pericyte

BMEC

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ratto, più del 5% dell’acido arachidonico e dell’8% dell’acido docohexanoico (DHA) vengono

rinnovati ogni giorno.

In generale le cellule possono ottenere gli FA mediante: sintesi de novo, idrolisi di trigliceridi e

uptake da fonti esogene. Gli FA assunti con la dieta sono assorbiti dagli enterociti dell’intestino

tenue e impaccati in chilomicroni sotto forma di trigliceridi (TG). I chilomicroni circolanti e le very

low density lipoproteins (VLDL), prodotte dal fegato, sono idrolizzate da lipoprotein lipasi nel lume

dei capillari tissutali e i FA rilasciati possono essere assorbiti dai tessuti. Nel SNC il meccanismo è

diverso dal momento che le lipoproteine plasmatiche non passano la BBB. Molti lavori dimostrano

che gli FA viaggiano nel torrente circolatorio complessati con l’albumina e vengono assorbiti

rapidamente dal cervello non appena rilasciati da questa. Nel cervello, in un singolo passaggio,

viene assorbito il 5% degli acidi grassi presenti nel circolo sanguigno. Studi di uptake con acido

palmitico radiomarcato hanno dimostrato che, dopo solo 45 secondi, il 30% del tracciante viene

esterificato in fosfolipidi di membrana.

Una volta entrati nelle cellule gli FA sono esterificati e immagazzinati come TG o trasportati ai

mitocondri per la β-ossidazione. Il trasporto dei FA dai vasi sanguigni nei neuroni parenchimali è

più difficile di quello che avviene nel resto dell’organismo a causa delle giunzioni strette della BBB.

I FA devono prima muoversi per la via trans-cellulare attraverso la membrana della cellula

endoteliale, poi attraverso la membrana plasmatica delle cellule neuronali (fig.4). Sembra che gli

FA si possano muovere attraverso le membrane sia per diffusione diretta sia mediante specifici

trasportatori [4].

Grazie all’utilizzo di sonde fluorescenti pH-sensibili si dimostra che in vescicole artificiali questo

trasporto è velocissimo e avviene in meno di un secondo. La tappa lenta è il desorbimento dallo

strato opposto della membrana nel lume vescicolare e la cinetica del fenomeno dipende dalla

lunghezza degli FA e dal grado di insaturazione. Il processo è interamente reversibile. Poiché la

diffusione non è sufficientemente rapida da rifornire le cellule di FA a catena lunga ci sono

particolari proteine trasportatrici di FA le FATPs (es. FATP-1 e CD36) che hanno un’attività acyl-CoA

Figura 4- Trasporto FA attraverso le membrane. Da [4]

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sintetasica necessaria all’attivazione degli FA e al loro intrappolamento nella cellula. Riducendo

l’espressione di FATP-1 e CD36 si ha una riduzione del trasporto di FA.

Per quanto riguarda il colesterolo invece, poiché quello alimentare non passa la BBB, quello

presente nel SNC deriva da neosintesi negli oligodendrociti durante le prime fasi dello sviluppo, e

nell’astrocita nell’adulto.

Abbiamo visto che gli FA possono diffondere liberamente attraverso la BBB, pertanto il tipo di FA

introdotto con la dieta è rilevante. Alcuni possono avere anche effetti deleteri sul SNC. Ad esempio

è stato dimostrato che l’infusione di acido arachidonico (AA) aumenta la pervietà della BBB

inducendo effetti neurotossici e neuroinfiammatori mediati dalla prostaglandina PGE2 e dal suo

recettore EP2. L’AA è, infatti, un precursore di varie molecole proinfiammatorie: prostaglandine,

leucotrieni e trombossani, generate nel pathway delle ciclossigenasi (COX) e delle lipossigenasi

(LOX). Questi precursori favoriscono la produzione di radicali liberi e il danno ossidativo [9].

APPORTO NUTRIZIONALE DI ACIDI GRASSI E ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE NEURONALE

Come già detto il cervello necessita di FA, soprattutto quelli essenziali che l’organismo non sa

produrre e che quindi devono essere introdotti con la dieta. Tra questi i principali sono: l'acido

linoleico, l'acido α-linolenico e l'acido arachidonico. Gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) essenziali

sono classificati in: ω3 (DHA /EPA) e ω6 (acido arachinico). I primi possono essere sintetizzati a

partire dall’acido α-linolenico; i secondi sono sintetizzati a partire dall’acido linoleico. Entrambi

competono per gli stessi complessi enzimatici (desaturasi, elongasi). Mentre gli ω6 sono fattori

pro-infiammatori, gli ω3 sono anti-infiammatori. Il rapporto ω6 : ω3 nell’alimentazione dell’uomo

primitivo era di 1 : 2 mentre nella dieta di quello moderno è di 16/17 : 1 quindi il potere anti-

infiammatorio della dieta moderna è minore [10]. Questi PUFA sono preziosi componenti dei

fosfolipidi di membrana. Il DHA è incorporato nelle molecole fosfolipidiche (fosfatidiletanolamina

e fosfatidilserina; più del 73% della fosfatidilserina contiene DHA) e in piccole quantità nella

mielina. È legato esclusivamente in posizione 2 del glicerolo. Poiché questi fosfolipidi si trovano

clusterizzati ad alta concentrazione nelle vescicole sinaptiche e nel sistema endo-esosomiale in

zone chiamate rafts lipidici (che colocalizzano con recettori, canali ionici, apparati di signaling),

appare intuitivo come alterazioni dell’equilibrio lipidico possano risultare in un’alterata

funzionalità del SNC. Nel 1991 è stato riportato che in quattro aree cerebrali di pazienti di

Alzheimer deceduti, i livelli di DHA e di AA erano diminuiti rispetto al controllo in varie frazioni

fosfolipidiche indicando una chiara relazione tra deficit di FA e demenza.

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MALATTIA DI ALZHEIMER

La malattia di Alzheimer (AD) è la maggiore causa di demenza (alterazione delle funzioni

intellettive) nel mondo. Si tratta di una malattia neurodegenerativa progressiva altamente

invalidante che porta all’atrofizzazione del tessuto cerebrale (fig.5), alla perdita di memoria, a

disturbi comportamentali. A poco a poco le capacità mentali basilari sono perse, infine sono

intaccate tutte le funzioni motorie e vegetative. Il decorso varia dai 3 ai 9 anni. Nonostante

numerosi anni di ricerca non è stato compreso a fondo il meccanismo patogenetico. In sintesi, al

momento, non esistono cure efficaci o in grado di modulare la progressione dei casi conclamati,

ma si è scoperto che la stimolazione mentale, l’esercizio fisico e una dieta equilibrata sono fattori

protettivi sull’insorgenza della malattia. La malattia è caratterizzata dall’accumulo di grovigli

neurofibrillari intracellulari (fig.6), matasse di proteine microtubulari (chiamate tau) e placche

extracellulari di proteina β-Amiloide (Aβ) ma non è nota la causa prima che innesca il processo. La

malattia presenta una complessa eziologia che include sia fattori di rischio genetici sia ambientali.

Il pathway del colesterolo è stato ripetutamente implicato nella patogenesi della AD.

Già nel 1906 Alois Alzheimer descrisse dei depositi lipidici nel tessuto dei pazienti e nel 1993 è

stato scoperto che l’allele APOE-ε4 predispone geneticamente alla malattia [11]. Quindi APOE, il

principale carrier di colesterolo nel cervello, resta il principale fattore di rischio [1]. Questo spiega

perché il metabolismo dei lipidi rimane il principale indagato nella malattia. Due studi

epidemiologici hanno mostrato che una terapia a base di statine, che abbassano il colesterolo,

riduce la deposizione della proteina Aβ e anche il rischio di sviluppare l’AD. Molto di recente è

stato ipotizzato che questa e altre malattie neurodegenerative possano essere legate a un difetto

del complesso endosomiale [2] che tramite vescicole distribuisce/elimina sostanze da un comparto

subcellulare all’altro favorendo il riciclo in membrana di alcune molecole o la degradazione nei

lisosomi di altre. È stato dimostrato che gli esosomi possono trasportare all’esterno di cellule

malate fattori patogeni come prioni, microRNA e la Aβ, inducendo una risposta infiammatoria che

alla lunga induce la neurodegenerazione [12].

Figura 5- A: cervello di persona non affetta da demenza. B: cervello di persona affetta da Alzheimer. Da Wikipedia

A B

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SCLEROSI MULTIPLA (MS)

La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria cronica demielinizzante che produce una

progressiva neurodegenerazione assonale. Spesso esordisce intorno ai 40 anni con un rapporto di

3 donne : 1 uomo. Insorge con aree focali di demielinizzazione nella sostanza bianca dette placche

(l’fMRI mostra le lesioni corticali come buchi neri a livello della sostanza bianca - fig.7A). La

localizzazione della placca determina l’effetto neurologico. Spesso queste lesioni sono dovute

all’invasione di cellule immunitarie che attraversano la barriera ematoencefalica. Questo processo

porta a una continua attivazione della microglia. Tuttavia non è ben compresa la relazione tra

lesioni infiammatorie, demielinizzazione e neurodegenerazione. In molti pazienti la MS ha un

andamento altalenante tra ricaduta e remissione (Relapse Remitting Multiple Sclerosis - RRMS),

con manifestazioni acute di tipo neurologico che insorgono durante un periodo apparentemente

normale. Dopo 15-25 anni dall’esordio le ricadute si trasformano in una fase di

neurodegenerazione progressiva detta SPMS (secondary progressive multiple sclerosis). Il 10-15%

dei pazienti entra in questa fase già all’inizio della malattia, una condizione nota come primary

progressive multiple sclerosis (PPMS). L’attuale ipotesi è che la MS abbia inizio con una fase

infiammatoria seguita da una neurodegenerativa; più recentemente è emerso che la

neurodegenerazione avviene già nella fase iniziale della malattia sotto forma di danno assonale e

che solo a un certo punto, superando la capacità compensatoria dell’organismo, inizi la

neurodegenerazione progressiva. Il danno assonale induce un processo d’infiammazione diffusa

del SNC legato a un’intensa infiltrazione di cellule microgliali e immunitarie. Le cellule immunitarie

secernono prodotti neurotossici tra cui specie reattive dell’ossigeno (ROS), glutammato, citochine

e chemochine che alterano il funzionamento mitocondriale e inducono eccitotossicità (fig.7B).

Questi effetti, a lungo termine sono alla base della patogenesi [7].

Figura 6- Caratteristiche molecolari dell’Alzheimer. A: matasse neurofibrillari e placche amiloidi; B: possibile patogenesi della malattia correlata alla presenza dell’APOE. Da [1, 2]

A B

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APPROCCI DIETETICI IN RELAZIONE ALLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE

Integrazione con PUFA n-3

Sono stati fatti numerosi studi epidemiologici per capire se l’apporto di certi FA (principalmente

PUFA) derivanti da una dieta a base di pesce, possa modulare l’incidenza di malattie

neurodegenerative come la demenza. I risultati sono stati variabili, probabilmente a causa della

disomogeneità di condizioni sperimentali (età delle coorti scelte, tipi di alimenti e loro

concentrazione in ω3, durata della somministrazione). Diverse metanalisi hanno riportato

tendenzialmente una mancanza di effetti positivi nei pazienti già affetti dalla malattia ma hanno

evidenziato un sensibile aumento delle performance cognitive [13-15] nei pazienti sani e

soprattutto una riduzione dell’incidenza di Alzheimer. Il Rotterdam study è stato il primo a

produrre risultati positivi valutando l’effetto di un apporto di pesce >19 g/die per 2 anni su un

gruppo di 500 soggetti sani di età superiore a 55 anni indicando una riduzione maggiore del 50%

dell’incidenza di demenza; tuttavia sulla stessa coorte, 6 anni dopo, il 4% ha sviluppato demenza.

Molti altri studi hanno mostrato una relazione inversamente proporzionale tra intake di pesce e

rischio di AD. Per esempio lo studio francese PAQUID ha osservato una riduzione del 35% del

rischio di AD dopo 7 anni in 1600 partecipanti con età superiore a 68, cui era stato somministrato

almeno un pasto di pesce / settimana.

Figura 7- A: Lesioni focali nella SM. B: Ipotesi patogenetiche della SM Da [7]

B

A

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9

Come alternativa al consumo di pesce è stato valutato l’effetto di integratori a base di DHA/EPA

(olio di pesce). Utilizzando questi integratori a base di DHA, si osserva una correlazione analoga a

quella vista tra consumo e declino cognitivo [16] . Inoltre sono state riportate associazioni positive

tra la concentrazione di DHA nelle membrane dei globuli rossi e la memoria visiva, le capacità

astrattive, le funzioni esecutive. [12].

Summary of DHA/EPA dietary intervention trials in patients with mild cognitive impairment (MCI) in the last 10 years.

Reference

Clinical trials with MCI

patients (n, mean age)

Dosage of DHA/EPA per

day Trial duration and design Measures Outcome

[17] Patients with MCI (23, 74

yrs)

0.72 g DHA + 1.08 g EPA or

placebo

6mths randomized double-blinded placebo-controlled

trials

ADAS-cog.; CIBIC plus

Significant improvement in ADAS-cog; in patients with MCI after omega-3 supplementation

[14] Patients with MCI (23, 68

yrs)

240mg DHA + 240mg AA or

placebo

3mths, placebo controlled trial

Japanese version of RBANS (5 cognitive domains)

Improvement of immediate memory and attention in

omega-3 supplemented group

[13]

Elderly persons with MCI(36, 66

yrs)

1.3 gDHA + 0.45mg of EPA

or placebo

12mths, randomized double-blinded placebo controlled

trial

RAVLT, MMSE, CDT,WAIS-R

Significant improvement in cognitive function in omega-3

supplemented group

[15]

Elderly patients suffering

from MCI(11, 85 yrs)

1.4 g DHA + 572 g EPA or placebo

3mths, randomized double-blinded placebo controlled

trial MMSE

Significant improvement MMSE, semantic verbal fluency, and olfactory

sensitivity assessment in omega-3 supplemented group

[18]

Older people with

MCI(100, 74 yrs)

180mg DHA + 120 mg EPA or

placebo

6mths, randomized double-blinded placebo controlled

trial MMSE, AMT

Low prescription dose had no effect on cognitive function in omega-3 supplemented group

AA = arachidonic acid; DHA = docosahexaenoic acid; EPA = eicosapentaenoic acid; MMSE = Minimental State Examination; ADAS-cog. = Cognitive Portion of the Alzheimer's Disease Assessment Scale; CIBIC plus = Clinician's Interview-Based Impression of Change Scale; RBANS = Repeatable Battery for the Assessment of Neuropsychological Status; RAVLT = Reya's Auditory Verbal Learning Test; CDT = Clock Drawing Test; WAIS-R =

Wechsler Adult Intelligence Scale; AMT = Abbreviated Mental Test.

Secondo i LARN, nell’adulto e nell’anziano l’apporto di PUFA n-6 e n-3 è rispettivamente del 4-8% e

dello 0,5-2% del fabbisogno energetico. Quindi ad esempio in una dieta da 1800 kcal si dovrebbero

assumere 8-16 g/die di PUFA n-6 e 1-4 g/die di PUFA n-3 . In considerazione di quanto esposto i

livelli di assunzione di riferimento per i lipidi forniti dai LARN dovrebbero consentire oltre a

un’adeguata prevenzione delle malattie cardiovascolari anche un’adeguata prevenzione delle

malattie neurodegenerative.

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LARN 2012 - LIPIDI APPORTI GIORNALIERI DI RIFERIMENTO PER LA POPOLAZIONE ITALIANA:

SDT = Obiettivo nutrizionale per la prevenzione; AI = Livello di assunzione adeguata; RI = Intervallo di riferimento per l’assunzione di macronutrienti

CLASSE DI INTERESSE SDT AI RI

LATTANTI Lipidi totali 40% En

Acidi grassi saturi <10% En

PUFA totali

LC-PUFA 250 mg 5-10 % En

PUFA n-6

4-8 % En

PUFA n-3

DHA 100 mg 0,5-2,0 % En

Acidi grassi trans

Il meno possibile

BAMBINI E ADOLESCENTI Lipidi totali 1-3 anni: 35-40% En

≥4 anni: 20-35 % En1

Acidi grassi saturi <10% En

PUFA totali

LC-PUFA 250 mg 5-10 % En

PUFA n-6

4-8 % En

PUFA n-3

1-3 anni: DHA 100 mg 0,5-2,0 % En

Acidi grassi trans Il meno possibile

ADULTI E ANZIANI Lipidi totali 20-35% En1

Acidi grassi saturi <10% En

PUFA totali

LC-PUFA 250 mg 5-10 % En

PUFA n-6

4-8 % En

PUFA n-3

0,5-2,0 % En

Acidi grassi trans Il meno possibile

GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO

Lipidi Totali 20-35 % En1

Acidi grassi saturi

<10% En

PUFA totali

LC-PUFA 250 mg 5-10 % En

PUFA n-6

4-8 % En

PUFA n-3

0,5-2,0 % En

DHA

100-200 mg

Acidi grassi trans Il meno possibile

En = energia totale della dieta; PUFA = acidi grassi polinsaturi; PUFA n-3 = acidi grassi polinsaturi della serie n-3; PUFA n-6 = acidi

grassi polinsaturi della serie n-6; LC-PUFA = acidi grassi polinsaturi a lunga catena; DHA = acido docosaesaenoico; acidi grassi

monoinsaturi (MUFA) da assumere con la dieta (viene calcolata per differenza); SDT= suggested dietary target; AI = adeguate intake,

RI= reference intake range for macronutrients.

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Integrazione con antiossidanti

In passato è stato postulato che il declino del SNC fosse il risultato di un’aumentata vulnerabilità

allo stress ossidativo e infiammatorio che creano un ambiente favorevole al successivo sviluppo di

malattie neurodegenerative. È noto che l’incidenza delle principali malattie neurodegenerative,

esattamente al pari delle malattie cardio vascolari, aumenta in funzione dell’età e di particolari

determinanti nello stile di vita come l’obesità, l’insulinoresistenza e la sindrome metabolica. Ecco

perché è stato proposto di consumare sostanze antiossidanti come forma preventiva per

l’invecchiamento in genere, anche se, come ormai sappiamo lo stato infiammatorio è già

concomitante a quello neurodegenerativo. Tra queste sicuramente interessanti sono i Polifenoli e

le Antocianine presenti nella frutta a bacche (mirtillo, cranberry, fragole, more e uva) e la

Curcumina presente nel curry che è utilizzata soprattutto per preservare i cibi ma che si è

mostrato un potente inibitore della perossidazione lipidica con proprietà antiinfiammatorie e

anticancerogene [19].

Restrizione calorica

Molti studi supportano l’evidenza che la restrizione calorica riduce i deficit da invecchiamento.

Studi epidemiologici dimostrano una relazione inversa tra l’intake calorico e il rischio di AD

(diminuisce la deposizione di Aβ) e di Parkinson. Riducendo l’intake del 20-50% può aumentare la

durata della vita e si può ridurre sia l’incidenza, sia ritardare l’inizio di malattie croniche, aumenta

la protezione dallo stress ossidativo e si mantiene un comportamento giovanile. Tuttavia un tale

regime dietetico soprattutto se progettato per lungo tempo, non ha certo un’elevata compliance.

Ecco perché sono state indagate sostanze che mimino l’effetto della restrizione calorica. La più

nota è il Resveratrolo presente nell’uva nera che attiva il pathway delle Sirtuine (SIRT2 e SIRT1),

delle Istone deacetilasi NAD dipendenti che regolano una varietà di risposte allo stress. Animali KO

per SIRT2 non presentano i vantaggi da restrizione calorica [19].

Dieta chetogenica

Studi recenti hanno mostrato che la dieta chetogenica (KD) può essere utile nel trattamento di

malattie degenerative come la SM, la sclerosi laterale amiotrofica, l’Alzheimer e il Parkinson come

pure di altre patologie legate al malfunzionamento dei mitocondri. Questo tipo di dieta porta a

una condizione di ipometabolismo cerebrale che riduce il danno ossidativo e aumenta la biogenesi

dei mitocondri.

Dopo pochi giorni da una drastica riduzione dei carboidrati nella dieta (sotto 20 g/die) le riserve di

glucosio diventano insufficienti sia per la normale ossidazione dei grassi che utilizza l’ossalacetato

prodotto dal ciclo di Krebs sia per il rifornimento di glucosio al SNC. Così in deprivazione da

carboidrati è necessario fornire nuovo ossalacetato per far funzionare il ciclo di Krebs. Ciò avviene

tramite il ciclo anaplerotico che lo produce attraverso la carbossilazione dell’acido piruvico

catalizzata dalla piruvato carbossilasi (fig.8).

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Il SNC non può usare FA come fonte energetica, generalmente usa glucosio. Dopo 3-4 giorni di

deprivazione deve trovare una fonte alternativa di energia. Questa fonte sono i corpi chetonici

(Aceto Acetato, 3 Idrossi Butirrato e Acetone) che vengono prodotti a seguito dell’iper-produzione

di Acetil-CoA senza contemporanea produzione di ossalacetato. Questo processo chiamato

chetogenesi avviene principalmente nei mitocondri epatici. Il fegato che li produce non li può

usare perché non ha l’enzima necessario (succinilCoA:3CoA transferasi). In condizioni normali, la

concentrazione dei corpi chetonici nel sangue è bassa e può essere metabolizzata dal cuore e dal

muscolo. In condizioni di iper-produzione, quando la concentrazione dei corpi chetonici supera

una data soglia (4mM) inizia a essere usata dal cervello come fonte alternativa di energia.

I corpi chetonici, che rispetto al glucosio riescono a produrre maggiori quantità di ATP, sono usati

per riprodurre ossalacetato da usare nel ciclo di Krebs. Inoltre la glicemia sebbene ridotta durante

la chetosi è mantenuta nei limiti fisiologici.

La KD potenzia l’espressione degli enzimi ossidativi mitocondriali per l’ossidazione reduttiva

(complesso mitocondriale I) e dunque potenzia la produzione di ATP. Questa particolarità rende la

KD particolarmente utile nel trattamento della SM dove la malattia riduce la produzione di ATP da

parte del mitocondrio.

Tradizionalmente i fisiologi sono spaventati dalla chetosi perché temono l’iperchetosi che in

condizioni di mancanza d’insulina porta a una pericolosa acidosi, tuttavia Hans Krebs fu il primo a

usare il termine chetosi fisiologica per distinguere quella lieve (8mM di corpi chetonici ) tipica del

digiuno o della dieta chetogenica dalla chetoacidosi patologica o metabolicamente sbilanciata del

Blood levels during a normal diet, ketogenic diet (i.e., <20 grams of carbohydrates per day), and diabetic ketoacidosis [10].

Blood levels Normal diet Ketogenic diet Diabetic

ketoacidosis

Glucose (mg/dL) 80-120 65-80 >300

Insulin (µU/L) 6.0-23 6.6-9.4 0

KBs conc. (mmol/L) 0.1 7.0-10.0 >25

pH 7.4 7.4 <7.3

Figura 8- Produzione di ossalacetato a partire dal piruvato e AcetilCoA. Da [6]

Page 13: M.Belfiore-Grassi alimentari e malattie neurodegenerative

Dr. Marcello Belfiore - Centro Nazionale Malattie Rare - Istituto Superiore di Sanità, Roma.

13

diabete. Nessuna altra specie al di fuori dell’uomo ha evoluto un adattamento alla denutrizione

cronica [6].

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