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Meccanica Classica e Relativistica Stefano Mandelli 14 novembre 2009

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Meccanica Classica e Relativistica

Stefano Mandelli

14 novembre 2009

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Una elaborazione che presenta alcuni fatti principali della meccanica classicafino alla sua crisi con la relatività ristretta a sistemi di riferimento localmenteinerizali. La trattazione della relativitià nel suo complesso generale e osservan-do la trasformazione del tensore metrico nella componente di curvatura nonsono trattate. Saranno elaborate in uno scritto distaccato.

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Indice

1 Equazioni del Moto 71.1 Leggi di Newton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

1.1.1 Equazioni differenziali notevoli . . . . . . . . . . . . . . 101.2 Lavoro ed Energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

1.2.1 Lavori di forze puramente posizionali . . . . . . . . . . . 111.2.2 Forme differenziali esatte . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.3 Costanti del moto, “quantità conservata“ . . . . . . . . . . . . . 121.4 Forze centrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.5 Problema a 2 corpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.6 Conservazione del momento della quantità di moto L . . . . . 141.7 Equazioni di Newton per N punti . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

2 Meccanica Lagrangiana 172.1 Dimostrazione delle equazioni di Lagrange . . . . . . . . . . . . 192.2 Un po’ di geometria differenzile . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2.2.1 Cammini su varietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212.3 Alcuni Lemmi Utili: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

2.3.1 Lemma del binomio lagrangiano: . . . . . . . . . . . . . 222.3.2 Lemma di scambio di cordinate . . . . . . . . . . . . . . 22

2.4 Dimostrazione della Lagrangiana . . . . . . . . . . . . . . . . . 222.5 Paricella vincolata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 242.6 Vincolo di Rigidità e di puro Rotolamento . . . . . . . . . . . . 242.7 Teorema sulla coordinata ciclica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252.8 Teorema sull’energia di Jacobi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

2.8.1 Energia di Jacobi per vincoli fissi e mobili . . . . . . . . 272.8.2 Importanti forme dell’energia cinetica . . . . . . . . . . 28

3 Formalismo Hemiltoniano 293.1 Presentazione delle equazioni di Hamilton . . . . . . . . . . . . 29

3.1.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323.1.2 Nozioni di Geometria Differenziale . . . . . . . . . . . . 323.1.3 Spazio delle fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.1.4 Parentesi di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.1.5 Parentesi di poisson Fondamentali . . . . . . . . . . . . 35

3.2 Gruppi ad un parametro, Flussi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363.3 Trasformazioni canoniche - puntuali estese . . . . . . . . . . . . 363.4 Il moto del pendolo sferico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373.5 Problema di Keplero, Vettore di Laplace-Runge-Lenz . . . . . . 37

3

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4 INDICE

3.6 Scattering particellare - L’esperimento di Rutherford . . . . . . 40

4 Principi variazionali 414.1 Principio di minima azione di Hamilton . . . . . . . . . . . . . 42

4.1.1 Principio di Mopertius . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 444.2 Spazio delle fasi esteso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

5 Crisi della Fisica Classica 495.1 Formalismo matematico della Rielatività Ristretta e Generale . 495.2 Riferimenti Localmente Inerziali . . . . . . . . . . . . . . . . . 495.3 Geometria Affine di dimensione 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . 505.4 Luogo degli eventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545.5 La meccanica relativistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 595.6 Definizione di lunghezza e tempo proprio in V 4 . . . . . . . . . 60

5.6.1 momento - quantità di moto - energia . . . . . . . . . . 615.6.2 Le equazioni del Moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 625.6.3 ENERGIA: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 635.6.4 La struttura della Tetraforza . . . . . . . . . . . . . . . 64

5.7 Costruzione delle basi dell’elettromagnetismo . . . . . . . . . . 645.8 Il tetrapotenziale eletteomagnetico . . . . . . . . . . . . . . . . 665.9 Le equzioni di Maxwell con sorgente . . . . . . . . . . . . . . . 675.10 ASSIOMI DELLA RELATIVITA’ . . . . . . . . . . . . . . . . 71

5.10.1 Deduzione delle trasformazioni di Lorentz . . . . . . . . 715.11 LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO 73

5.11.1 Vettori di tempo tempo - spazio - luce . . . . . . . . . . 745.11.2 Trattazione della particella libera in ambito relativistico 755.11.3 notazioni del tensore metrico inverso . . . . . . . . . . . 785.11.4 Applicazioni multilineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 785.11.5 Analizzando le sue derivate . . . . . . . . . . . . . . . . 79

5.12 Il tensore di Levi-Civita e flusso Q.D.M. . . . . . . . . . . . . . 805.13 Tensore di flusso di quantità di moto . . . . . . . . . . . . . . . 815.14 Leggi di trasformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 815.15 Spigazione del landau pagina 35 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86

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Introduzione

5

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6 INDICE

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Capitolo 1

Equazioni del Moto

1.1 Leggi di NewtonIniziamo a scrivere le leggi della dinamica di Newton per una singola particella:

m · −→a =−→F (1.1)

Questa scrittura è l’ equazione di Newton. Ma se è un’equazione dove è situatal’incognita ? Riscriverndo l’equazione di Newton in forma differenziale ottengoche:

m · d2−→xdt2

= m·..−→x=−→F (1.2)

La forza che compare nell’equazione di Newton è una forza che dipende dallaposizione e dalla velocità della particella in questione, quindi è una F (x,

.−→x ).L’incognita della nostra equazione è il MOTO della particella ! Infatti ho che:

m·..−→x=−→F =⇒ è una eq. diff. del IIo ordine

Dal punto di vista fisico l’eqazione mi dice che ho una classe ben precisa diMOTI, non ho una libertà assoluta di movimento, tutto dipende dalle solu-zioni dell’equazione differenziale → i movimento sono finiti e sono quelli chesoddisfano l’equazione di Newton.Ma quanti sono questi movimenti ? Il che equaivale a rispondere alla doman-da:quante soluzioni ammette la nostra equazione differenziale ?

Per rispondere a questa questione interviene il Determinismo LAPLACIANOUn esempio semplice per spiegare in cosa consiste è quello della caduta di ungrave:Esempio1 :

..−→x= −g (1.3)

questa legge descrive la caduta di un grave: la soluzione che cerchaimo la nostrax(t) in verità è una x(t, xo, vo) Perchè se io fisso x0 e v0 ho la certezza mate-matica di ottenere un’unica soluzione dell’equazione differenziale 1.3 in quanto

7

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8 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO

posso impostare il seguente problema di Cauchy:

.−→x= f(x)x(0) = x0

(1.4)

dove abbiamo che:x : I ⊆ R → Rn ,

−→f : D ⊆ Rn → Rn ,

−→f ∈ C1(D,Rn), imponen-

do queste condizione sono ripettate le ipotesi tl teorema di EISISTENZA EDUNICITA’ LOCALE della soluzione. La soluzione dell’eqauzione differenzialeesiste localmente perchè abbiamo considerato

−→f ∈ C1 la situazione sarebbe

stata GLOBALE se il funzionale fosse stato Lipschitziano. Nonostante a tuttoanche se la nostra soluzione quindi sarà definita in questo modo:

x(t) : [−δ, δ]→ R (1.5)

possiamo comunque estendere il tutto perchè: se ho una unica soluzione di mo-to che mi fa passare la pallina dal punto A al punto B, allora nel punto B possoripetere lo stesso ragionamento impostando un muovo problema di Cauchy conle condizioni al contorno date dalla soluzione del Pb. di C. precedente. A que-sto punto sono ancora in una situazione in cui la soluzione del nuovo problemadi Cauchy ∃ ! allora ho un movimento nello spazio degli stati1 univocamentedeterminato.

Esempio2 :Un secondo esempio potrebbe essere la soluzione dell’equzione di un oscillatorearmonico. La legge del moto che descrive questo stato è la seguente:

..−→x= ω2 · x dove ω =

√k

m(1.6)

Questa equazione differenziale è del secondo ordine, omogenea. Per risolverequesta equzione differenziale, si potrebbero usare i tipici metodi di integrazione(della funzione di Volterra) ma con semplici deduzioni (DA FISICO) possiamoricostruire al soluzione in modo abbastanza semplice del tipo:

1) La cosa più semplice che posso fare è TENTARE se una funzione banale(come un polinomio) è soluzione dell’equazione. Da come è descritta l’eq. dif-ferenziale notiamo subito che è impossibile che una soluzione di questo tipo siaaccettabile perchè se usiamo un polinomio di grado N (quindi finito) al membrodi sinistra avremo sempre un polinomio mi grado N-2 e al membro di destrasempre un polinomio di grado N. Questa osservazione ci fa escudere subito apriori questa soluzione;2)Tentiamo con una serie POLINOMIALE !!!!

Tentare con una serie polinomiale è rischioso in quanto bisogna accertarsi (an-cora prima di consoscerla) che la nostra soluzione sia una funzione Analitica(va bene anche solo Analitica in senso locale, per le questioni citate preceden-temente) quindi dire chè è analitica vuol dire che la mia x(t) ∈ C∞ .... per

1gli stati (−→v ,−→x )

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1.1. LEGGI DI NEWTON 9

dire questo ci vuole un bel coraggio. Però assunta la nostra soluzione Analiticalocalmente possiamo fare dei conti:

Tentiamo con la soluzione:x(t) =∞∑n=0

cntn (1.7)

Abbiam detto che è analitica (per lo meno in un introrno sferico di 0), quindiho tutte le derivate successive posso scrivere la relativa serie di Taylor:

x(t) =∞∑n=0

cntn =

∞∑n=0

f (n)(0)n!

tn (1.8)

Poi dall’equazione differenziale ricavo direttamente quanto valgono le derivatesuccessive:

x(2)(0) = −ω2x(0)...

x(n+2)(0) = −ω2x(n)(0) (1.9)

Ora impongo le mie condizioni al contorno del problema:Se mettessi il mio oscillatore a t = 0 in una posizione iniziale x0 dall posizionedi riposo della molla, con v0 = 0 allora è ovvio notare, (si sostituisce) che avròsolo le derivate PARI!!!

x(2)(0) = −ω2x(0)x(4)(0) = −ω2x(2)(0) = ω4x0

ecc.... (1.10)

Quindi la mia serie di potenze avrà solo i termini pari alternati di segno:

x(n) = (−1)nω2nx0 =⇒ x(t) = x0

∞∑n=0

(−1)n

2n!ω2nt2n (1.11)

Questa scrittura è facilemnte riconoscibile ed è lo sviluppo di taylor del Coseno,quindi la mia x(t) per x0 = x0 e v0 = 0 al tempo t = 0 è la seguente:

x(t) = x0 cos(ω t) (1.12)

Se impostassimo le condizioni al contorno oposte: x0 = 0 e v0 = v0 al tempot = 0 avremo solo le derivate dispari quindi la funzione soluzione sarebbeidentica a quella appena scritta ma con un (2n+1). Questo sviluppo è quellotipico del seno, quindi se ho una condizione iniziale di questo genere la soluzionesarà:

x(t) =v0ω

sin(ω t) (1.13)

La condizione al contorno generale in cui x0 = x0 e v0 = v0 al tempo t = 0darà come soluzione una combinazione linare tra le due soluzioni perchè propriostando al metodo con cui abbiamo ricavato le derivate successive è intuitivo chepossiamo separare le due diverse sommatorie (quella pari e quella con le derivatedispari) quindi la nostra x(t) sarà:

x(t) =v0ω

sin(ω t) + x0 cos(ωt) (1.14)

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10 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO

1.1.1 Equazioni differenziali notevoli

Alcune equazioni differenziali spesso usate nei problemi fisici di questo corso edi cui è bene sapere la soluzione sono le seguenti:

•..−→x= 0 =⇒ x(t) = v0(t− t0) + x0 ho un moto rettiline uniforme;

•..−→x= −g =⇒ x(t) = − g

2

2 (t− t0)2 + v0(t− t0) + x0

•..−→x= −ωx =⇒ x(t) = x(t) = v0

ω sin(ω t) + x0 cos(ωt)

Un’altra equazione differenziale notevole è quella relativa alle forze centrali:

..−→x= − x

||x||3(1.15)

Ma la risoluzione completa verrà trattata in seguito.

1.2 Lavoro ed Energia

Dato il funzionale Newtoniano:

m..−→x=−→F (−→x ,

.−→x ) (1.16)

moltiplico per.−→x ambo i membri:

m..−→x

.−→x=−→F

.−→x=−→F −→v (1.17)

Ma il primo perzzo lo posso vedere come il risultato della derivazione dellafunzione composta:

d

dt

(m

2

.−→x2)

=−→F −→v (1.18)

Da qui otteniamo due definizioni:

La funzione composta trovata m2

.−→x2

viene definita come ENERGIA CINETI-CA e la si identifica con T

T =m

2

.−→x2

(1.19)

Mentre la scritta−→F −→v è un fattore che viene spesso definito come fattore di

potenza della forza. Allora integrando tutto in funzione del tempo dovremmoottenere una definizione di lavoro:

T (t1)− T (t0) =∫ t1

t0

.−→T dt =

∫ t1

t0

.−→P dt =

∫ t1

t0

−→F · −→v dt (1.20)

Che è proprio la definizone di lavoro.

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1.2. LAVORO ED ENERGIA 11

1.2.1 Lavori di forze puramente posizionali

Dire che una forza è di tipo puramente posizionale vuol dire che la nostra−→F

può essere scritta come:

−→F =

−→F (x) (1.21)

Allora l’interpretazione che possiamo dare al lavoro di questa forza è la seguente:∫ t1

t0

−→F −→v dt (1.22)

Se abbiamo una nostra particella che effettua un percorso lungo una linea orien-tata aperta γ allora proprio usando la definizo di integrale mi devo assicurareche la serie:

∞∑n=1

F (x(tn)) · v(tn) ·∆t =∞∑n=1

F (x(tn)) ·∆xn (1.23)

quindi la serie dei lavori elemntari deve convergere.Il lavoro lungo la curva γ non dipende dalla sua parametrizzazione, quindi nondipende dal MOTO della particella a differenza dell’integrazione di T che èstrettamente legata alla parametrizzazione della curva (o prevarieta′ regolarein quanto sono tutti definiti su insiemi normali semplicemente connessi ecc... )su cui si integra.

1.2.2 Forme differenziali esatte

Se stiamo lavorando con un campo di forze descritto da una forma differenzialeesatta allora abbiamo che:

−→F = −∇V =

−∂V∂x−∂V∂y−∂V∂z

=−→F (x) (1.24)

Il lavoro è quindi:∫γ

<−→F , d−→x >=

∫ x1

x0

<−→F ,

−→v||−→v ||

>∣∣∣∣∣∣−→V ∣∣∣∣∣∣ dt = V (γ(x0))− V (γ(x1)) (1.25)

Oppure vedendo direttaemnte così notiamo che la struttura è un differenzialeesatto:

−→F · −→v = −∇V−

.−→x= −(∂V

∂x

dx

dt+∂V

∂y

dy

dt+∂V

∂z

dz

dt

)= −dV

dt=

.−→V (1.26)

in partica quello appena scritto non è altro che il rotore di−→F . Se la forma

differenziale in esame è descritta da un campo irrotazionale in un dominionormale semplicemente connesso =⇒ho che la mia forma differenziale è undifferenziale esatto, esistono i potenziali e posso essere scritti in funzioni aipunti iniziale e finale ella mia parametrizzazione.

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12 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO

1.3 Costanti del moto, “quantità conservata“

Velocemente, partendo dai risultati precedenti possimo esporre quindi il prin-cipio di conservazione dell’energia di un sistema meccanico:

E := T + V

E(t1) = E(t0) (1.27)

Quindi ho che:

T (t1)− T (t0) = −(V (x(t1))− V (x(t1)))T (t0) + V (x(t0)) = T (t1) + V (x(t1)) (1.28)

Quindi è intuitivo notare che l’energia è una grandezza di questo tipo:

E =m−→v 2

2+ V (−→x ) =⇒ E = E(−→v ,−→x ) NOTEV OLE! (1.29)

Quindi io so che l’energia è una grandezza che trova la propria estrinsecazionenello spazio degli stati (−→v ,−→x ) Quindi il dominio di E è un sosttospazio vetto-riale dello spazio degli stati. Con questa osservazione, che ora sembra banalee distaccata dal senso del discorso, nasce una grande idea che ci permette diricollegare il discorso eseguito prima sui criteri di unicità del Pb. di Cauchycon la soluzione dell’equazione di Newton. I ragionamenti fatti precedentemen-te sul problema di Cauchy riguardavano funzianali del prim’ordine, mentre noisappiano che l’equazione differenziale di Newton è una equazione diffirenziale disecond’ordine. Sapere che l’energia si muove nello spazio degli stati ci assicurache conoscendo l’energia e le condizioni al contorno della nostra particella inmoviemnto cioè −→v0 e −→x0 la sua traiettoria è definita univocamente secondo ildeterminismo Laplaciano. Quindi nasce l’idea di risolvere l’eqzione di Newtontramite una funzione più semplice da trattare, cioè introducendo il concetto diHemiltoniana di uno stato meccanico. L’Hemiloniana condensa energia cineti-ca e potenziale del sistema, quindi il suo ordine massimo è 1, perchè troviamocome derivata di ordine massimo, la velocità che compare nell’energia cineti-ca. Quindi essendo una eq. diff del prim’ordine possiamo ricondurci a tutte leconsiderazioni precedenti.

Esempio:Caso di essitenza di un potenziale per spazi monodimensionali.Tipici esempi di questa specie sono la caduta del grave e la determinazione delpotenziale elastico di una molla, vediamo in breve i due casi:

Caduta del grave:

F (x) = −mdV

dx(x) =⇒ V (x) =

∫ x1

x0

F (s)ds

V (x) = −m∫ x1

x0

−g dx = mgh (1.30)

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1.4. FORZE CENTRALI 13

Potenziale elastico della molla:

F (x) = k(x− x0) = −dVdx

(x)

V (x) = −∫ x1

x0

k(x− x0) dx =12k · (∆L)2 (1.31)

1.4 Forze centrali

Se−→F è forza centrale allora vuol dire che:

f(x)−→x||x||

(1.32)

in più abbiamo che :

V (x) = −∫f(r)dr (1.33)

per verificare che una forza conservativa osserviamo che:

−(∂V

∂xdx,

∂V

∂ydy,

∂V

∂zdz

)= −dV (1.34)

Cioè sta a significare che il campo descritto dalla forza è irrotazionale. Lavo-rando in R3 quindi su un insimeme semplicemente connesso possiamo subitodire che la forma differenziale legata al campo gravitazionale è esatta questoimplica che:

W =∫γ

〈−→F |d−→s 〉 = V (γ(b))− V (γ(a)) (1.35)

Esempio:So che:

−→F =

Gm1m2−→r

||−→r ||3(1.36)

allora la mia f(r) è :

f(−→r ) =Gm1m2−→r 2

(1.37)

V (−→r ) =∫Gm1m2−→r 2

dr = −Gm1m2−→r

+ cost (1.38)

1.5 Problema a 2 corpi

Parte tutto dal principio di azione e reazione di Newton. Se A agische su Bcon una forza F , allora anche B asgeste su A con una formza F’ uguale ad Fin modulo, diretta sulla concingente AB, ma opposta in verso. consideriamo 2

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14 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO

corpi, il corpo 1 e il corpo 2, voglaimo vedere se risciamo a trovare un potenzialedi questo sistema meccanico: La forza che 1 applica a 2 è:

F12 = f12

(∣∣∣∣∣∣−→x1−−→x2

∣∣∣∣∣∣) −→x1−−→x2∣∣∣∣∣∣−→x1−−→x2

∣∣∣∣∣∣ (1.39)

Allor stesso modo la forza di 2 su 1 è:

F21 = −f21(∣∣∣∣∣∣−→x1−−→x2

∣∣∣∣∣∣) −→x1−−→x2∣∣∣∣∣∣−→x1−−→x2

∣∣∣∣∣∣ (1.40)

Eisiste il potenziale, quindi una roba fatta così:

F12∇(x2, y2, z2)V (x2, y2, z2) (1.41)

F21∇(x1, y1, z1)V ∼(x1, y1, z1) (1.42)

In pratica voglaimo che esitsta il differenziale esatto di questa forma differen-ziale:

−→F = −∇V =

−→F12d

−→x 2 +−→F12d

−→x 1 = −dV−→F21d

−→x 2 −−→F21d

−→x 1 = −dV(1.43)

Ma questo è verificato perchè per il IIIo principio abbiamo che F12 = −F21

allora:

−→F12d(x1 − x2) = f(|x1 − x2|)

(x1 − x2)d(x1 − x2)|x1 − x2|

(1.44)

Questa forma differenziale sappaimo che è esatta in un semplicemente connessoallora, eisste il fontenziale che è di questa forma:

V (|x1 − x2|) = −∫f(|x1 − x2|)d(x1 − x2) (1.45)

questo potenziale è legato alla coppia di elementi.

1.6 Conservazione del momento della quantità dimoto L

definiamo:

−→p = m−→v = m

.−−−−−−−−−−−−−−→x Quantità di Moto (1.46)

Definiamo il momento della quantità di moto:

L = −→x ×m.−→x (1.47)

Definiamo il momento della forza−→F agente, come:

.−→L= M = −→x ×

−→F (1.48)

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1.7. EQUAZIONI DI NEWTON PER N PUNTI 15

Se F è centrale notiamo che tutto si semplifica molto perchè:

−→x ×−→F =

f(r)r−→x ×−→x = 0 (1.49)

allora il momento della forza è nullo quindi.−→L= 0 =⇒ L = costL è una costante del moto (1.50)

Quindi il momento della quantità di moto si conserva ed è una costante delsistema meccanico soggetto ad una forza centrale. Come possiamo notare L èdefinito in questo modo:

L(x,.−→x ) = −→x ×m

.−→x (1.51)

Quindi L è una funzione il cui dominio è un sottoinsieme dello spazio deglistati. Un esempio per vedere la correlazione tra potenziale e spazio delle fasi èil seguente:Data una particella che si muove in un campo con potenziale oscillario V (x) =cos(x) definire lo spazio delle fasi: si può andare a gradi, verificando poco allavolta la traeittoria che definisce una certa variazioni di potenziale. Il seguentedisegno chiarisce il concetto:

INSERIRE DISEGNO

Il punto L è detto il lagrangiano del sistema ed è un punto di equilibrio instabile.La nostra particella per percorrere il braccio AB del nostro diagramma dellefasi ci impiega un tempo t → ∞ questo lo si deduce dal teorema di esistenzaed unicità locale, infatti una volta arrivata in L la nostra particella che stradaprende ? (ha 4 possibili strade, tra le quali nessuna è preferenziale).

1.7 Equazioni di Newton per N punti

m1

..−→xN=−→F1(x1,

.−→x1, · · · , xN ,.−→xN )

...mN

..−→xN=−→FN (x1,

.−→x1, · · · , xN ,.−→xN )

(1.52)

Ho un sistema di eq. differenzieali del secondo ordine accoppiate. Per risolverequesto problema di meccanica si usano le due ”leggi cardinali“ della dinamicache sono:a)Ammettiamo che la forza che agisce sulla particella j − esima è :

−→F j =

−→F extj +

∑k 6=k

−→F intjk (|xj − xk|)

xj − xk|xj − xk|

=⇒ F intjk = −F intkj (1.53)

Prima legge cardinale:

mv =∑J

mj−→x b =

∑j

mj · xjmtot

(1.54)

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16 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO

quindi posso definire come si muove il baricentro del mio sistema di punti:

m..−→x= Rext (1.55)

Questa legge è vera in quanto possimao vederla in questo modo:

m..−→x=

∑j

F extj +∑j

∑k 6=j

F intj,k =∑j

F extj −∑k

∑j 6=k

F intk,j

=∑j

F extj +∑j

∑k 6=j

F intk,j (1.56)

Per la proprietà antisimmetrica delle sommatorie il temrine∑j

∑k 6=j

F intj,k = 0 (1.57)

quindi rimane solo:

m..−→x=

∑j

F extj (1.58)

Seconda legge cardinale:

.−→L=−→Mext (1.59)

infatti svolgendo i conti:.−→L=

∑j

xj×.−→p j=

∑j

xj × F extj +∑j

xj ×∑j

F intj (1.60)

Ma si dimostra ancora che la seconda parte è una sommatoria antisimmetrica eil termine con le forze interne va a zero rimanendo solo la somma dei momenti.

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Capitolo 2

Meccanica Lagrangiana

Le equazione del moto di Newton abbiam visto che possiamo scriverle come:

m..−→x=−→F (x) = −∂V

∂x(2.1)

oppure scriverla come quazione nello spazio degli stati: .−→x= −→vm

.−→v = −∂V∂x(2.2)

Assumendo che :

m−→v =∂

∂v

(12m−→v2

)(2.3)

Allora il sistema 2.2 possiamo riscriverlo come:

m.−→v = −∂V

∂x=⇒ d

dt

∂T

∂v= −∂V

∂x(2.4)

Definisco come Lagrangiana la funzione:

L = T (v)− V )(x) (2.5)

Allora: .−→x= −→v

ddt

(∂L

∂.−→x

)= ∂L

∂x

(2.6)

Vediamo la soluzione di un problema meccaico complicato, in modo normale(disaccoppiando le equazioni differenziali) e infine usando la meccanica lagran-giana. Si noterà che l’utilizzo della meccanica lagrangiana, è molto vantaggiosoin questo tipo di problemi.

DISACCOPPIANDO LE EQ.Studiare il modo di una particella immersa in un campo generato da una forzacentrale.

17

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18 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA

Ho il mio potenziale: V = V (||−→x ||)La mia forza: F (r) = f(r) · x

||x||l’equazione di newton diventa (separando le componenti cartesiane): m

..−→x= f(||r||) · x||r||

m..−→y = f(||r||) · y

||r||

(2.7)

Però queste equazioni sono poco esressive, sono difficili da disaccoppiare le mievariabili. Per disaccoppiarle potrei agire in questo modo:Per prima cosa definisco un sistema ri riferimento nuovo, che si muove colpunto. avrò come basi del mio sitema un er ed un eθ. il mio er è definito inquesto modo:

er =(

cos θsin θ

)(2.8)

la mia.−→x=

.−→r er + r ddter differenziando il versore risulta:

d

dter =

− .−→θ sin θ

.−→θ cos θ

=.−→θ

(− sin θcos θ

)=

.−→θ eθ (2.9)

quindi ottenuamo che:.−→x=

.−→r er + r

.−→θ eθ (2.10)

derivo:..−→x =

..−→r er+.−→r

.−→θ eθ+

.−→r.−→θ eθ + r

..−→θ eθ + r

.−→θ

.−→θ (−er)

= er(..−→r −−→r

.−→θ2) + eθ(2

.−→r.−→θ +r

..−→θ ) (2.11)

Le due parti,rappresentano ripettivamente l’accelerazione radiale e quella tan-genziale. io devo trovare una cosa del tipo (proprio perchè sto ipotizzando chestiamo lavorando con una forza centrale) ..−→x θ= 0

..−→x r= f(r)(2.12)

quindi ottengo che: 2.−→r

.−→θ +r

..−→θ = 0

..−→r −−→r.−→θ2= f(r)

(2.13)

Se sono molto bravo mi accorgo che 2.−→r

.−→θ +r

..−→θ = d

dt (mr2

.−→θ ) che altro non è

che la derivata del momento angolare L !!! Quindi ricavo che L si conserva, lemie equazioni diventano: mr2

.−→θ = l0

m..−→r −mrl20

m2r4 = f(r)=⇒

.−→θ = l0

mr2

m..−→r = −∂V∂r −

l20mr3

(2.14)

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2.1. DIMOSTRAZIONE DELLE EQUAZIONI DI LAGRANGE 19

Dove vediamo risultare un termine molto particolare:

Vc(r) = − ∂

∂r

(l20mr3

)(2.15)

Che è noto come potenzile centrifugo. Ed è un potenziale semifittizzio cherisulta dall’aver considerato il nostro sistema di riferimento inierziale, quandoinvece non lo è affatto.

Meccanica Lagrangiana:Impostando il problema con le tipiche equazioni di lagrange possiamo notareche il tutto si riduce di molto.Sappiamo che L=T-V allora scriviamo tutto quello che entra in gioco:

T =12m

.−→x.−→x=

12m(

.−→r2

+r2.−→θ

2

) (2.16)

Imposto il sistema di equazioni di lagrange: ddt (m

.−→r ) = mr2θ − ∂rV (r)ddt (mr

2

.−→θ ) = 0

(2.17)

Quindi il risultato notevole lagrangiano è che mi mette subito in evidenzaqual è la quantità che si conserva. infatti mi esce subito nel sistema un:

d

dt(mr2

.−→θ ) = 0 (2.18)

che mi dice subito che il momento angolare, si conserva. Nel caso precedentedovevamo essere bravi ad accorgerci a priori che l’espressione era proprio losviluppo della deirivata della funzione composta del momento angolare.

2.1 Dimostrazione delle equazioni di Lagrange

Data la definizione di lagrangiana come:

L = T − V (2.19)

Possimao dire che effettivamente i sistemi di equazione lagrangiana corrispondoalle equzioni di Newton. Per la dimostrazione sarà necessario l’ausilio di alcunicenni topologici e alcuni cenni di geometria differenziale inparticolar modo sultrattamento di pre-varietà e varità differenziabili.Il postulato che vogliamo raggiungere sono le equazioni di Elero-Lagrange, chenella loro forma standard sono espresse come:

d

dt

(∂L

∂.−→qi

)=∂L

∂qi(2.20)

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20 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA

Vincoli Olonomi

Per esempio il moto, di puro rotolamento, di una sfera è guidato da vincoli benprecisi. Alcuni di questi vincoli sono per esempio i seguenti:

• d(C, piano) = cost.;

• Vsfera + Vpiano = 0;

Quindi un vincolo olonomo è un vincolo che applica una forza che può esseredefinita nel seguente modo:

−→F 1(−→x 1, · · · ,−→x N ) = 0

...−→F k(−→x 1, · · · ,−→x N ) = 0

(2.21)

Se sono in R3 Un sistema di due vincoli così descritti: −→F (−→x ) = 0−→G(−→x ) = 0

(2.22)

Di 3 DoF iniziale, il sistema mi blocca due piani, quindi mi costringe la particel-la a muoversi lungo il punto di intersezione che è un retta. Quindi imponendodue vincolo olonomi in R3 che definiscono ripettivamente 2 piani ho un motodella particella che è monodimensionale e avviene in pratica su una retta.

2.2 Un po’ di geometria differenzileSia data S una varietà differenziabile di dimensione 3. Supponiamo che descrivauna sfera, e che rappresenti un vincolo olonomo: −→

F 1(−→x 1, · · · ,−→x N ) = 0x2 + y2 + z2 −R2 = 0

(2.23)

Ciò che si fa in queste situazione è effettuare un cambiamento di variabili epassare quindi ad una carta della mia varietà differenziale. L’insieme di tuttele carte che definiscono la mia varietà differenziale è detto Atlante e rappresentala topologia usata per ambientare la mia varità differenziale. Parametrizziamola nostra varietà nel modo seguente:

x = q1y = q2

z =√R2 − (q21 + q22)

(2.24)

In questo modo ho effettuato una parametriazzazione della mia varietà. Quindiora dato un aperto V1 di partenza, ho una mappa x1(q) che fa corrisponderepunti dell’aperto V alla mia varietà. e poi ho una mappa x2(q) che fa corri-spondere punti sulla mia varietà a quelli dell’aperto U2. Tutto questo funzionabene se x1 e x2 sono rappresentate da una matrice associata con determiantediverso da zero, quindi autovalori diversi da zero, quindi possibilità di invertirele mie mappature.

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2.2. UN PO’ DI GEOMETRIA DIFFERENZILE 21

2.2.1 Cammini su varietà

Definire un cammino su una varietà, data la parametrizzazione non è difficile,il punto sta nel definire in modo corretto la formula di immersione e poi quindicapire dove vanno cercate le grandezze fisiche rilevanti e come interpretare irisultati geometrici. Se abbiamo un cammino γ sulla varietà S la velocità comesappiamo rappresenta il vettore tangente a P ∈ S. L’insimeme dei vettori chesoddisfano questa proprietà possono essere sono ortogonali e definiscono le de-rivate direzionali lungo i vettori coordinati. Le due derivate direzionali quindiidentificano due vettori che formano la base del piano tangente alla varietà chefisicamente va interpretato come lo spazio delle velocità in P ∈ S . Ma qualisono le basi del mio piano? Sono le seguenti:Chiamo φ la parametrizzazione (o formula di immersione) di S secondo le va-riabili q1 e q2 quindi avrò una parametrizzazione così descritta: φ(q1, q2) le basiche mi creano il campo vettoriale delle velocità sono le seguenti:

e1 =∂φ(q1, q2)

∂q1e la sua ortonormale e2 =

∂φ(q1, q2)∂q1

(2.25)

Per dire che esiste il piano tangente e che esso ha le seguenti basi, dobbiamoimporre che e1 ed e2 siano almeno linearmente indipendenti (già la condizionedi ortonormalità sarebbe un lusso indescrivibile). Questa condizione si presen-ta quando la matrice Jacobiana della nostra varietà differenziabile ha rangomassimo quindi:

Se rankJac−→x φ(q1, q2) è massimo =⇒ ∂φ(q1, q2)∂q1

,∂φ(q1, q2)

∂q2lin.indip (2.26)

Quindi ora è facile vedere la velocità di un qualunque punto appartente alcammino γ infatti la vedo come composizione lineare:

−→v (t) =.−→x=

2∑i=1

∂φ(q1, q2)∂qi

.−→qi (2.27)

Anche l’energia cinetica può essere scritta in funzione delle q e delle.−→q .

Sviluppando un po’ di conti:

12m(−→v )2 =

12m〈−→v |−→v 〉 =

12m〈

2∑i=1

∂φ(q1, q2)∂qi

.−→qi |2∑k=1

∂φ(q1, q2)∂qk

.−→qk〉 =

=m

2

2∑i=1

2∑k=1

〈∂φ(q1, q2)∂qi

|∂φ(q1, q2)∂qk

〉.−→qi

.−→qk=

=12m

2∑k,i=1

ai,k.−→qi

.−→qk=12m

.−→q At.−→q (2.28)

In quasto caso la matrice A = ai,k è la matrice di trasferimento della for-ma quadratica associata. E’ una matrice molto importante e viene chiamatamatrice cinetica

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22 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA

2.3 Alcuni Lemmi Utili:

2.3.1 Lemma del binomio lagrangiano:

Dimostriamo rigorosamente che la struttura del binomio lagrangiano corri-sponde veramente ad una riscrizione nello spazio proiettivo, delle equazionidi newton.

m−→a ∂φ(q1, q2)∂qi

=d

dt

∂T

∂.−→qi− ∂T

∂qi(2.29)

Questa scrittura delle equazioni di newton sono molto potenti perchè ci per-mettono di capire buona parte dei parametri del nostro sistema meccanico dallasola energia cinetica. Ed in più come abbiamo visto le velocità appartengonoad uno spazio vettoriale esterno alla nostra varietà, quindi noi dalla varietàpossiamo dire cose che non appartengono alla nostra varietà. Tipo, un esempiobanale è quello di verificare la curvatura dello spazio − tempo di Minkowsky,all’interno dello spazio − tempo stesso senza la necessità di guardare ”dal difuori“ la nostra varietà differenziabile.

2.3.2 Lemma di scambio di cordinate

Abbiamo che:

−→a ∂x

∂qi=

d

dt(−→v )

∂x

∂qi=

d

dt

(−→v ∂x

∂qi

)−−→v d

dt

∂x

∂qi=

d

dt

(−→v d−→v.−→q

)−(−→v d

dt

∂qi

−→v)(2.30)

so che −→v =∑qiui dove u = ∂v

∂.−→qQuindi continuando a riscrivere vediamo che

possiamo scambiare le coordinate:

−→a ∂φ(qi, qk)∂qi

=d

dt(−→v )

∂φ(qi, qk)∂qi

=d

dt

(−→v ∂φ(qi, qk)

∂qi

)−−→v d

dt

∂φ(qi, qk)∂qi

=

=d

dt

(−→v d−→v.−→q

)−(−→v d

dt

∂qi

−→v)

(2.31)

so che −→v =∑qiui dove u = ∂v

∂.−→q

Quindi continuando a riscrivere vediamo

che possiamo scambiare le coordinate: Quindi ricordando a come è definita lavelocità otteniamo che:

−→a ∂−→φ (qi, qk)∂qi

=d

dt

(∂

∂.−→q i

v2

2

)− ∂

∂qi

(v2

2

)(2.32)

se moltiplico per la massa ho il binomio lagrangiano.

2.4 Dimostrazione della Lagrangiana

Ora facciamo vedere che effettivamente le equazioni di lagrange sono una proie-zione di quelle di newton sui vottori cordinati della nostra varietà. Supponiamo

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2.4. DIMOSTRAZIONE DELLA LAGRANGIANA 23

si avere una varietà regolare1 Ω ∈ Rn. Essendo regolare è sempre possibile de-finire con continuità la normale uscente. Ora considero un punto massivo dimassa m vincolato alla superficie. Le equzioni che descrivono il moto del puntovincolato alla superficie sono le eq. di Newton in forma vettoriale:

m..−→x=−→F +

−→R (2.33)

Dove−→R è la reazione del vincolo imposto dalla varietà. La direzione della

rezione vincolare è diretta come la normale uscente dalla varietà ed è sempreortogonale alla superficie.Proietto le equazioni di newton sulla varietà regolare facendo semplicemnte ilprodotto scalare col vettore coordinato:

(m..−→x) ·∂φ(qi, qk)qi

∂ =

(−→F +

−→R)· ∂φ∂qi

(2.34)

Come detto prededentemente, la reazione vincolare−→R è sempre ortogonale alla

superficie ed è quindi diretta come la normale uscente. Quindi il prodottoscalare tra la reazione vincolare e il vettore coordinato darà risultato nullo!Quindi posso semplificare la scrittura:

(m..−→x) ·∂φ(qi, qk)qi

∂ =−→F · ∂φ

∂qi(2.35)

Questo aspetto è molto importante. Sono partito con delle eqazuini in cuiera presente la reazione vincolare. Ma io non la conosco la reazione vincolare,per conoscerla dovrei conoscere il moto quindi è un problema che si mangiala coda. Passando in coordinate generalizzate, come visto il termine legatoalla reazione vincolare sparisce, rendendo risolvibile il problema di determinareil moto. Per far uscire le eq. di Eulero-Lagrange ora uso i lemmi presentatiprecedentemente, in particolare dal lemma del binomio lagrangiano otteniamoche:

d

dt

∂T

∂.−→qi− ∂T

∂qi=∑K

∂V

∂φk

∂φk∂qi

(2.36)

Per definizione sappiamo che:

−→F = −∇V = −

∂V∂x1...∂V∂xn

(2.37)

Ma so che la mia funzione potenziale è una V = V (φ(−→q )) quindi sapendo che:

∂φ

∂qi= −

∂φ1∂qi...

∂φn∂qi

(2.38)

1Una varietà, o più in generale dato un insisme Ω ∈ Rn allora ∂Ω è una superficie didimensione n − 1, questa superficie è regolare se posso definire sempre in modo continuo lanormale uscnete.

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24 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA

Allor posso scrivere al lagrangiana:

d

dt

∂T

∂.−→qi

=∂T

∂.−→qi− ∂V

∂qi=∂L∂qi

(2.39)

ma come detto precedentemnte T e V sono funzioni di φ allora posso sommare:

d

dt

∂T − V

∂.−→qi

=d

dt

∂L

∂.−→qi

=∂L∂qi

(2.40)

che è l’equazione di Lagrange.

2.5 Paricella vincolataSe vincolo la mia particella, considerando vincoli olonomi perfetti, allora avrocome risultati delle fore vincolari descritte in modo tale che:

〈−→R (v)|−→v 〉 = 0 (2.41)

quindi avremo che tutti i muovimento compatibili col vincolo devono soddisfareil fatto che:

n∑i

−→R (v) · −→v = 0 (2.42)

Quindi deduco che R(v)⊥−→v . In più notiamo che priettando le equazioni suivettori coordianti, otteniamo ancora le equazioni di Lagrange, quindi di New-ton:

m−→a =−→R +

−→F ∼

(∂φ

∂qi

)m−→a =

[−→R +

−→F]( ∂φ

∂qi

)(2.43)

da qui ottengo:

d

dt

∂T

∂.−→q i− ∂T

∂.−→q i

= − ∂V

∂.−→q i

(2.44)

d

dt

∂T

∂.−→q i− ∂T

∂.−→q i

= − ∂V

∂.−→q i

(2.45)

e ottengo ancora la lagrangiana.

2.6 Vincolo di Rigidità e di puro RotolamentoIl vincolo di RIGIDITA’ è un vincolo perfetto

Dimostrazione:

Si ricorda la definizione di vincolo perfetto:∑i

F(v)i · vi = 0 (2.46)

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2.7. TEOREMA SULLA COORDINATA CICLICA 25

Se abbiamo un’asta rigida, presi due punti i e k la loro distanza , qualunquecosa succeda (anche se esplode il mondo) rimande costante quindi:

(−→x i −−→x k)2 = di,k = cost (2.47)derivo:

2(−→x i −−→x k) · (.−→x i −

.−→x k) = 0 (2.48)

Questo conto banale inizia a dirmi cose molto sottili per esempio che distanzae velocità relativa sono ortogonali. Tra i punti i e k ci sarà una forza Fi,k cheper il terzo principio di newton è uguale e contraria alla forza che k impone sui quindi ho che Fi,k = −Fk,i. Cerco di esplicitare la forza Fi.k e ottengo che:

Fi.k = fxi − xk|xi − xk|

(2.49)

Parto da Fi,k = −Fk,i e moltiplico per la velocità:

−→F i,k

.−→xi +−→F k,i

.−→xk= F(v)i,k (−→xi −−→xk) = f

︷ ︸︸ ︷(xi − xk)(

.−→xi −.−→xk)

|xi − xk|= 0 (2.50)

La parte con sopra la parentesi graffa, è l’ipotesi inziale che noi abbiamo assuntoper zero ! Quindi il vincolo è Perfetto:

Il vincolo di ROTOLAMENTO è un vincolo integrabile

Dimostrazione:Il mio sistema sarà così descritto:

xi = xc + ri(sin[θ + αi])yi = R+ ri(cos[θ + αi])

(2.51)

derivando e tenendo conto del fatto che: θ+αi = π ottengo che nel punto P hoche deve valere questa condizione affinchè si abbia un moto di puro rotolamento:

−→vp =

ddtxi = R

.−→θ −

.−→xcddtyi = 0

(2.52)

Il vincolo è facilmente integrabile perché:∫I

(d

dtxi

)dt =

∫I

R

(d

dtθi

)dt = Rθ (2.53)

questa equazione integrale è facilmente risolvibile.

2.7 Teorema sulla coordinata ciclica

Se una coordinata è ciclica allora il momento relativo si conserva.

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26 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA

Dimostrazione:La dimostrazione è banale infatti si basa su semplici definizioni:

Se è ciclica la cordianta allora:∂L

∂qi= 0

d

dt

∂L

∂.−→qi

=∂L

∂qi= 0 (2.54)

Per definizione:

pi =∂L

∂qi=⇒ d

dt(pi) = 0 (2.55)

Allora pi si conserva.

2.8 Teorema sull’energia di Jacobi

Se la lagrangiana non dipende dal tempo, l’energia di Jacobi si conserva (è unaconservante del sistema meccanico)

Dimostrazione:Voglio dimostrare un teorema di conservazione dell’energia, allora un passoche potrei fare per iniziare la dimostrazione in modo furbo sarebbe quello dimoltiplicare scalarmente la lagrangiana per la velocità.

N∑i=1

.−→qid

dt

∂L

∂.−→qi

=N∑i=1

∂L

∂qi

.−→qi (2.56)

Usando la notazione di Einstain per semplificare la digtura:

.−→qid

dt

∂L

∂.−→qi

=∂L

∂qi

.−→qi (2.57)

d

dt

(.−→qi

∂L

∂.−→qi

)−

..−→qi∂L

∂.−→qi

=∂L

∂qi

.−→qi (2.58)

d

dt

( .−→qi pi)

=..−→qi

∂L

∂.−→qi

+∂L

∂qi

.−→qi=d

dt(L)− ∂L

∂t(2.59)

Quindi alla fine ottengo una scrittura molto interessante. Raccogliendo tutti itermini d/dt ottengo che:

d

dt

( .−→qi pi − L)

= −∂L∂t

(2.60)

QUINDI se la lagrangiana non dipende dal tempo, il secondo membro diquell’equazione diventa nullo e ottengo che il termine:

ε(q,.−→q ) =

.−→qi pi − L (2.61)

si conserva. Il termine ε(q,.−→q ) è definito come ENERGIA DI JACOBI.

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2.8. TEOREMA SULL’ENERGIA DI JACOBI 27

2.8.1 Energia di Jacobi per vincoli fissi e mobiliCome vedremo qui di seguito, l’energia di Jacobi esprime effettivamente l’ener-gia meccanica del sistema, infatti possiamo scrivere che:

ε(−→q ,.−→q ) = T + V (2.62)

in quasi tutti i casi. Per i vincoli fissi questa scrittura è valida, mentre per ivincoli mobili vedremo si aggiungerà un termine in più:

Vincoli Fissi:L’energia cinetica è esprimibile nel seguente modo (tramite l’usuale formaquadratica):

T =12maj,k

.qj

.qk (2.63)

Svolgendo qualche conto:.qi

∂L∂

.qi

=.qi

∂T

∂.qi

= 2T (2.64)

Sostituisco alla lagrangiana la sola energia cinetica, perchè il potenziale nondipende dalla velocità, quindi quando si deriva per

.qi va tutto a zero.

·.qi

∂T

∂.qi

= 2T =⇒ T (λ.q) = λ2T (

.q)

· f(λx) = λαf(x)⇐⇒ xi∂f(−→x )∂xi

= αf(−→x )

· Pongo λ = 1 xi∂f(−→x )∂xi

=d

dλf(λ−→x ) = αλα−1f(−→x ) =⇒

.qi

∂L∂

.qi

= 2T =⇒

· =⇒ ε = 2T − T + T = T + V (2.65)

Quindi per vincoli fissi, l’energia di Jacobi è effettivamente una energia nelmodo più classico in cui noi lo pensiamo, energia cinetica più potenziale.

Vincoli Mobili:Nel caso di vincoli che dipendono dal tempo, l’energia cinetica non è più unaforma quadratica. Se abbiamo:

• −→x = −→x (q, t)

La velocità è esprimibile come:

−→v =.−→x=

.qi∂−→x∂qi

+∂−→x∂t

(2.66)

Sostituendo nella lagrangiana e derivando ottengo che :

ε = T2 − T0 + V (2.67)

Quindi c’è in più quella componente T0 che si sottrae all’energia cinetica.

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28 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA

2.8.2 Importanti forme dell’energia cineticaL’0energia cinetica possiamo esprimerla in funzione alle diverse coordinate checonsideriamo. Qui di seguito mettiamo il risultato di 3 importanti cambi divariabile: Polare - Cilindrico - Sferico:

Polari: x = r cos θy = r sin θ (2.68)

Derivando si ottiene l’espressione di.y e

.x e poi si determina l’espressione

dell’energia cinetica:

T =m

2(

.−→r2 +r2

.−→θ2) (2.69)

cilindriche: x = r cos θy = r sin θz = z

(2.70)

Derivando si ottiene l’espressione di.y ,

.x e

.z e poi si determina l’espressione

dell’energia cinetica:

T =m

2(

.−→r2 +r2

.−→θ2 +

.−→z2) (2.71)

Sferiche: x = r sinφ cos θy = r sin θ cosφz = r cos θ

(2.72)

Derivando si ottiene l’espressione di.y ,

.x e

.z e poi si determina l’espressione

dell’energia cinetica:

T =m

2(

.−→r2 +r2

.−→θ2 +r2 sin2 θ

.−→φ2) (2.73)

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Capitolo 3

Formalismo Hemiltoniano

La meccanica lagrangiana, come visto nel capitolo precedente, permette di ri-costruire le equazioni di Newton in modo molto più esplicito. Infatti alcuniproblemi che con le equazioni di newton risultavono complicati e contorti, conla meccanica lagrangiana sono risultati lineari e semplici, proprio perchè per-mette esaltare le quantità conservanti del moto. Più di una volta negli esercizie negli esempi soprattutto di meccnica celeste, scrive il lagrangiano del sistemapemette di mettere in luce subito che L si conserva e quindi fare subito le con-siderazioni fisiche del caso. Nel formalismo lagrangiano però la costruzione delmodo nel diagramma degli stati avviene in modo abbastanza grossolano, infattilo spazio degli stati, determinato dalle coppie (q,

.q) non è uno spazio vettoriale.

Noi vogliamo che la rappresentazione in fase ci permetta di defrinire un campovettoriale e quindi utilizzare tutte le proprietà legate a questo campo. Questousando come variabili indipendnenti non più (q,

.q) ma (p, q) qundi posizione

e momento. Per effettuare questo vedremo tra breve che ci sono dei proble-mi, in quanto bisognerà esplicitare una variabile in funzione delal sua derivata,ma questo problema è facilmente risolvibile usando la trasformata di Legendre.Hemilton per costruire le equazioni omonime, partì da degli studi sull’ottica.Infatti lui stava lavornado alla risucrittura delle equazioni dell’ottica, quandosi accorse che le stesse eqazioni che governavano i fenomeni fisici ottici, andavapene pure per descrivere il moto dei pianeti e dei sistemi meccanici. Questascoperta fu sensazionale e cambiò completamente il modo di vedere le cose. So-prattutto in meccanica quantistica la scoperta fu particolarmente importante,tanto che si potè iniziare a costruire una meccanica con idee ondulatorie. Unascrittura che funzionasse sia per una rappresentazione meccanica che ondula-toria. Noi ora tratteremo in modo sistematico l’applicazione delle equzioni diHamilton per i sistemi di meccanica classica iniziando con la loro presentazione.

3.1 Presentazione delle equazioni di HamiltonUn modo standard per introdurre le equazioni di Hamilton è quello di passaredalle equazioni di newton, al formalismo lagrangiano per poi con la trasformatadi Legendre passare alle nuove cordinate (p, q) dove p è la posizione e p èl’impulso, o meglio noto come momento:

m..−→x=−→F (−→x ) (3.1)

29

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30 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO

dall’equazione di Newton, passo alla forma lagrangiana:d

dt

∂L∂

.qi

=∂L∂qi

Derivo:

∂2L∂

.qi ∂

.qk

..qk

+∂2L

∂.qi ∂qk

.qk=∂L∂qi

(3.2)

Si può notare che : ∂2L∂

.qi∂

.qk

è la matrice cinetica Ai,k se voglio invertire lecordinate devo ammettere che quell’essiano sia invertibile quindi che valga laseguente relazione:

A..q= G(q,

.q)

..q= A−1(q,

.q)G(q,

.q) (3.3)

Quindi riscrivendo le eq. di Newton: .−→x=−→pm.−→p =−→F

(3.4)

Se introduco la variabile:.−→pi= ∂L

∂.−→qi

(q,.−→q ) 1 ho troppe variabili !!! Come è definita

la.−→q ? Non lo posso sapere così all’istante, quindi introduco questo formalismo:

Dichiaro indipendenti le variabili p e q e mi ricavo2 la.−→q . Ricavarsi la

.−→q vuoldire trovare una certa funzione f tale che

.−→q = f(p, q). Il sistema di condizionidiventa il seguente:

.−→q = f(p, q).−→pi= ∂L

∂.−→qi

(q,.−→q (p, q))

(3.5)

Per trovare la.−→q devo ricorrere all’ipotesi iniziale che la matrice A sia inverti-

bile. Sotto questa condizione posso facilmente dire:

pi =∂L

∂.−→qi

=⇒ p = A.−→q =⇒

.−→q = A1p (3.6)

Questo conto appena eseguito è completamente giustificato dal fatto chedet(

∂2L∂

.qi∂

.qk

)6= 0 perchè A è definita posiva non degenere, avendo tutti auto-

valori λ 6= 0Con solo queste considerazioni banali posso già dire che il mio scopo inziale dicreare una rappresentazione in fase che sia definita in un campo vettoriale èsulla buona via, perchè posso notare che se definisco con H la funzione costruitanel seguente modo: H = T + V , facendo le derivate parziali ottengo che:

.−→qi= ∂H∂pi.−→

pi= −∂H∂qi(3.7)

1Le p avranno sempre l’indice alto, conferme alla notazione di Einstain. Se lo trovate inbasso è perchè ho fatto un errore di battitura.

2Già inizialmente avevamo detto fosse il nostro obbiettivo in quanto la rappresentazionein fase tramite p e q costituisce uno spazio vettoriale

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3.1. PRESENTAZIONE DELLE EQUAZIONI DI HAMILTON 31

Le due derivate parziali sono del prim’ordine e mi costituiscono quelle che influidomeccnica sono chiamate LINEE DI FLUSSO, in fratica defiscono la tan-gente allo spazio delle fasi. Quindi per ogni punto dello spazio delle fai ho unvettore coordinato che mi indica direzione e verso della linee di equienergiacostituita da un particolare stato meccanico, allora lo psazio delle fasi è unospazio vettoriale. Poi si può verificarlo anche dal punto di vista algebrico, mada quello fisico e che finalmente riusciamo ad aver definite direzione e versodelle linee di flusso. Un’altra fondamentale proprietà dello spazio delle fasi, nelcaso Hemiltoniano, è quello di mantenere inviariate le aree per trasformazioni.Qualsiasi trasformazione temporale subisca una determinata area nello spaziodelle fasi si avrà che Σt0 = Σt1 . Questa importante proprietà scende dal teore-ma di Lioville, che sarà dimostrato in generale più avanti.Come detto precedentemnte per trovare la nostra

.−→q è necessario eseguire unainversione di cordinate un po’ particolare. Lo strumento matematico che cipermette di espremere questo passaggio algebrico è la trasformata di Legendre,prima di passare al caso Hemiltoniano si farà un breve accenno su questo tipodi trasformata.

Trasfomata di Legendre:Se abbiamo una funzione f(x) = u(x) e vogliamo invertirla e trovare la g(u) =x(u) dobbiamo usare la trasformata di legendre.Differenziando la prima equazione:

df = u dx = d(ux)− xdud(f − ux) = −x dud(ux− f) = x du (3.8)

Definiamo Trasformata di Legendre G(u) la funzione:

G(u) = (ux− f(x))|x=x(u) (3.9)

Da cui si ottinene che la nostra x(u) è uguale a:

x(u) =∂G

∂u(3.10)

Applicando il tutto al formalismo Hemiltoniano:

pi =∂L

∂.−→q

(3.11)

Così definisco l’emiltoniana come:

H(p, q) = pi.qi −L(q,

.q, t)| .qi= .

qi(pi,qi)(3.12)

Differenzio:

dH =∂H

∂pidpi +

∂H

∂qidqi +

∂H

∂t=

= dpi.qi +pi d

.qi −

∂L∂qi

dqi −∂L∂

.qi

.qi −

∂L∂tdt =

=.

qidpi − ∂L

∂qidqi −

∂L∂tdt (3.13)

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32 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO

Per il principio di identità escono le equazioni di HAMILTON:

· ∂H

∂t= −∂L

∂t(3.14)

· ∂H

∂qi= − ∂L

∂qi(3.15)

· ∂H

∂pi=

.qi (3.16)

Quindi ho che:

H = 〈−→p |.−→q 〉 − L (3.17)

Dove la.−→q è una funzione di (p, q) quindi ora abbiamo tutto in funzione di p

e q !!! Nel casi particolari dove non si sono vincoli, l’hemiltoniana è definitacome:

H = T + V (3.18)(3.19)

3.1.1 Esempi

ES.1Data la Lagrangiana scrivere l’Hemiltoniana:

L =m

2(.x

2+

.y2)− v(x, y) (3.20)

so che per definizione:

px =∂L∂

.x

= m.x =⇒ .

x=pxm

(3.21)

py =∂L∂

.y

= m.y =⇒

.y=

pym

(3.22)

Riscrivendo l’Hemiltoniana:

H(−→p ,−→q ) =1

2m(p2x + p2

y) + V (−→q ) (3.23)

ES.2Data la Lagrangiana scrivere l’Hemiltoniana:

L =m

2(.r2

+r2.θ2)− v(r) (3.24)

3.1.2 Nozioni di Geometria Differenziale

Il significato che prendono le equzioni di hamilton in Geometria Differenziale èmolto interessante e qui di seguito verrà riassunto in breve:

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3.1. PRESENTAZIONE DELLE EQUAZIONI DI HAMILTON 33

Sia data M la mia varietà, sia.qi→ −→v ∈ TxM conosco bene il significato delle

.qi allora avrò che:

piqi ∈ R quindi ho che −→v → Rn (3.25)

la collezione delle pi ∈ V ∗ è nel duale di V, perchè le mi e p sono funzionalilineari, quindi le p stanno nello spazio duale tangente alla varietà M cioè:p ∈ T ∗xM . A questo punto abbiamo che p e q sono in due spazi molto diversima ISOMORFI !

3.1.3 Spazio delle fasi

Lo spazio delle fasi (−→P ,−→q ) ∈ D ⊂ R2n quindi posso pensarlo come un vettore

nelle componenti p e q. Quindi definisco −→x = (−→p ,−→q ). Lo spazio lo penso comeune vettore bidimensionale di 2 spazi.Detto questo io potrei pesnare di riscrivere le equazioni di Helmilton in unmodo più contratto ed elegante. Un modo potrebbe essere il seguente:Date le eq. di Hamilton:

· −∂H∂qi

=.pi (3.26)

· ∂H

∂pi=

.qi (3.27)

posso notare che:

grad(H) =−→∇H =

∂H∂p1

...∂H∂pn∂H∂q1...∂H∂qn

(3.28)

Ma sono in ordine inverso ! Quindi per riordinare le componenti uso la matricesimplettica:

En =(

0 −IdnIdn 0

)(3.29)

in questo modo vedo che applicando la matrice simplettica al vettore grandienteottengo che:

.−→x= E −→∇H =

(0 −IdnIdn 0

)( .q

−.p

)=

( .p.q

)(3.30)

3.1.4 Parentesi di PoissonSia dato il funzionale lineare f : T ∗M → R che definisce una mia osservabile(o variabile dinamica), supponiamo che sia del tipo: f = f(−→q , t). Per passaresubito ad un esempio concreto, immaginiamo che la mia funzione f descriva

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34 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO

l’energia interna del mio sistema meccanico. Questa grandezza sappiamo che èuna costante del moto quindi se effettuiamo la derivata totale in funzione deltempo questa sarà zero:

df

dt=∂f

∂t+

∂f

∂−→x−→v = 0

∂f

∂t+(∂f

∂pi

.pi +

∂f

∂qi

.qi

)= 0

∂f

∂t+(∂f

∂qi

∂H

∂pi− ∂f

∂pi∂H

∂qi

)= 0

(3.31)

Definiamo parentesi di poisson la scrittura

f,H =∑i

(∂f

∂qi

∂H

∂pi− ∂f

∂pi∂H

∂qi

)(3.32)

In generale prese due funzionali f e g usando la matrice simplettica otteniamoche la definzione delle parentesi di poisson è così definita:

f, g =∑i

(∂f

∂qi

∂g

∂pi− ∂f

∂pi∂g

∂qi

)= (∇xf)En (∇xg) (3.33)

Se ho una generica f : R× T ∗M → R allora psoso scrivere:

df

dt=∂f

∂t+ f,H (3.34)

Si può notare che questa legge è strettamente legata ai commutatori usati inmeccanica quantistica.3

L’algebra delle parentesi di Poisson

Alcune proprietà algebriche fondamentali delle parentesi di Poisson:

1. f, g = −g, f Antisimmetria;

2. αf1 + βf2, g = αf1, g+ βf2, g Bilinearità;

3. f, g1g2 = f, g1g2 + g1f, g2 Regola di Leibnitz;

4. h, f, g+ g, h, f+ f, g, h = 0 Regola di Jacobi;

Le proprietà 1 - 2 e 3 sono facilmentente verificabili, un po’ meno intuitiva èverificare la Regola di Jacobi.La regola di Jacobi ha un senso geometrico molto profondo, che qui di seguitocercheremo di illustrare. Con la scrittura:

g, f (3.35)3Una definiozne veloce di commutatore è la seguente: [A,B] = AB − BA allora [A,B] è

un commutatore e ho che dfdt

= f,H. Anche le parentesi di Poisson possono essere vistecome dei commutatori, l’esempio del proiettore pulsazione e del proiettore posizione è banale,infatti definendo in questo modo un funzionale a cui è associta l’ennupla della pulsazione e

un secondo funzionale a cui è associata la cordianta, alla fine posso scrivere.−→x= −→x ,H

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3.1. PRESENTAZIONE DELLE EQUAZIONI DI HAMILTON 35

mi sta ad indicare che ho il mio campo vettoriale f, nella direzione del campovettoriale faccio la derivata direzione di g, quindi in poche parole, ottengo unD−→v g. Ora con un teorema un po’ particolare ai geometria dfferenziale mostria-mo che quanto detto è vero:

Teorema:l’identità di Jacobi può essere riescritta come:

D−→uD−→v h−D−→v D−→u h = h, f, g (3.36)dove h, f, g = D−→wh (3.37)

Dimostrazione.

· D−→u h = 〈−→u |∇h〉 =2n∑i=1

ui∂h

∂xi

· D−→v h = 〈−→v |∇h〉 =2n∑i=1

vi∂h

∂xi

· D−→uD−→v h =

(∑k

uk∂

∂xk

)(∑i

vi∂h

∂xi

)=

∑k,i

ukvi∂2h

∂xk∂xi+∑i,k

uk∂vi∂xk

∂h

∂xi

· D−→v D−→u h =

∑k,i

vkui∂2h

∂xk∂xi+∑h,i

vk∂ui∂xk

∂h

∂xi

(3.38)

Ora sottraggo e ottengo che:

(D−→uD−→v −D−→v D−→u )h =∑i

︷ ︸︸ ︷(∑k

uk∂vi∂xk− vk

∂ui∂uk

)∂h

∂xi(3.39)

La scrittura tra parentesi graffa però è ben evidente che è un’operatore diffe-renziale lungo una linea di campo diversa dalle due precendenti, quindi questoè un campo vettoriale diverso e poso traquillamente scrivere:(∑

k

uk∂vi∂xk− vk

∂ui∂uk

)= D−→wh (3.40)

3.1.5 Parentesi di poisson FondamentaliPer la descrizione delle equazioni del moto ci sono alcune parentesi di poissonfondamentali che vale la pena citare:

• qj , qj = 0 ;

• qj , qk = 0 ;

• pj , pk = 0 ;

• qj , pk = δj,k ;

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36 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO

3.2 Gruppi ad un parametro, Flussi

Sia F lo spazio delle fasi di un relativo sistema meccanico riferito alle coordinate−→x = (−→p ,−→q ) sia assegnata l’Hamiltoniana H = H(x) le soluzioni di questahamiltoniana saranno nella forma:

.−→x= E∇H quindi abbiamo le equazioni dihamilton:

.−→q =∂H

∂pe poi

.−→p = −∂H∂q

(3.41)

In generale possiamo scrivere che se f = f(−→p ,−→q ) allora.f= f,H. Dati

i parametri iniziali al variare del tempo i punti nello spaizo delle fasi F sispostano ma lo fanno con una trasformazione che può essere generalizzata inquesto modo:

Φt : F → F , (t ∈ R) (3.42)

Al variaire di t in R abbiamo quindi una famiglia di trasformazioni rispettoad un parametro (benappunto t), famiglia indotta dalle equazioni del motoindividuate dall’Hamiltoniana. Quindi la mia Hamiltoniana mi genera unafamiglia di flussi nello spazio delle fasi FSe l’Hamiltoniana è indipendente dal tempo allora nello spazio delle fasi i puntinon ”fluiscono” da nessuna parte quindi è intuitivo capire che i flussi ad unparametro, se H è indipendente dal tempo rappresentano un gruppo cioè:

Φt+s = Φs Φt dove Φ0 = Id cioè FMF (Φ0) = 1 (3.43)

in questo modo allora è evididente che fissata una Hamiltoniana H questa generauna famiglia di flussi ad un parametro, dallo spazio delle fasi in se stesso. Però ioposso considerare anche una Variabile dinamica nello spazio delle fasi. Fissareuna variabile dinamica vuol dire avere un funzionale G : F → R tale che midefinisce un moto, quindi una equazione differenziale del tipo:

.−→x= E∇G (3.44)

da cui derivano:

.−→q =∂G

∂pe poi

.−→p = −∂G∂q

(3.45)

A questa G allora posso far corrisponedere un flusso:

ΦtG : F → F (3.46)

allora si definisce G come il generatore del gruppo ad un parametro di trasfo-ramzioni ΦtG nello spazio delle fasi.

3.3 Trasformazioni canoniche - puntuali estese

...completare

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3.4. IL MOTO DEL PENDOLO SFERICO 37

3.4 Il moto del pendolo sferico

Il moto del pendelo sferico è molto semplice. Qui di seguito vedremo di eseguireun ritratto in fase del potenziale effettivo. Per prima cosa valutiamo i gradi dilibertà del sistema meccanico in esame:

VALUTAZIONI GRADI DI LIBERTA’:supponendo che il grave sia considerabile puntiforme allora avrà 3 gradi di li-bertà in R3. L’unico vincolo che agisce è quello relativo al filo, abbiamo quindiun totale di 2 DoF .SCRIVERE LA LAGRANGIANA:Considerando un sistema meccanico fatto in questo modo, è utilissimo consi-derare la lagrangiana scritta in cordinate sferiche.

T =12m(

.r2

+r2.θ +r2

2sin2 θ)

(3.47)

...completare

3.5 Problema di Keplero, Vettore di Laplace-Runge-Lenz

In questa sezione vedremo come Keplero è riuscito ad ottenere le sue equazioniper stilare le effemeridi dei pianeti nonostante non conoscesse minimamente leequazioni del moto, infatti le equazioni del moto si devono a Newton che è po-steriore a Keplero. Il metodo è molto interessante è si basa su una osservazionedi Copernico: Il raggio vettore spazi, in tempi uguali, aree uguali. Vedremocome questa osservazione risulterà fondamentale nel determinare le equzaionidell’orbita4. Una prima osservazione interessante che possiamo fare sin da su-bito riguarda il mancato “scattering“ delle orbite. Perchè le orbite sono chiuse?Perchè sono delle ellissi?Rispondere alla prima domanda non è affatto semplice come si potrebbe pen-sare. Dire che le orbite sono chiuse vuol dire che abbiamo 4 costanti del moto.Le prime tre sono semplici ed è quelle che definiamo noi sin dall’inizio: E, l, θpoi c’è una costante del moto instrinseca che è il così detto VETTORE DILAPLACE che viene denotato come:

−→C

Per prima cosa esplicitiamo la lagrangiana di un sistema sottoposto a forzacentrale, abbiamo che:

T =12m(

.r2 +r2

.θ2), V (x) = − k

|r|2r (3.48)

scrivo la lagrangiana:

L =12m(

.r2 +r2

.θ2) +

k

|r|2r (3.49)

4Trovare le equazioni dell’orbita vuol dire trovare una funzione che esprima r in funzionedi θ

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38 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO

scrivo le equzioni di Lagrange:

ddt∂L∂

.r

= ddt (m

.r) = mr2

.θ −∂rV (r) = ∂L

∂r

ddt∂L∂

= ddt (m

.r2

.θ) = 0 = ∂L

∂θ

(3.50)

Dalla conservazione del momento angolare mi esce direttamente un potenzialedi rotazione:

m.r2

.θ= l0 =⇒

.θ=

l0mr2

(3.51)

quindi l’eq. del moto viene:

m..−→r = −∂rV (r) +

l20mr3

(3.52)

Per trovare il potenziale di rotazione integro:∫− l20mr3

dr =l20

2mr2+ c (3.53)

detto questo per trattare il problema di keplero avremo a che fare con unanostra Lagrangiana fatta in questoa modo:

L =12m

.−→q2

+k

|q|(3.54)

L’energia totoale mi da una informazione diretta sull.r:

E =12m

.r2

+l20

2mr2− k

|r|(3.55)

.r=

√2m

(E +

K

r− l2

2mr2

)(3.56)

A qeusto punto a Keplero non interessava più minimante sapere la legge diNewton, lui si basava sul fatto che:

dr

dθ=dr

dt

dt

dθ=mr2

l

√2m

(E +

K

r− l2

2mr2

)(3.57)

separo le variabili e ottengo che:∫ r

r1

dr

mr2

l

√2m

(E + K

r −l2

2mr2

) =∫ θ

θ0

dθ (3.58)

Dalla risoluzione dell’integrale (La scittura è integrabilissima) e dopo numerosiarrangiamenti risulta che:

r =P

1 + E cos(θ − θ0)(3.59)

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3.5. PROBLEMA DI KEPLERO, VETTORE DI LAPLACE-RUNGE-LENZ39

Dove P = ml2

K e E = CK . Bisogna ora fare il conto per bene e capire in che

modo l’orbita sia perfettaemnte determinata. Riguardo a questo fatto, l’unicoaproposta che ha senso fare è che ci sia, oltre a E, l, θ una quarta costante delmoto che non stiamo considerando. Questa infatti è l’eccentricità o il vettoredi Laplace che permette effettivamente di avere una panoramica completa sultutto. Vediamo ora la sua formalizzazione matematica.Partendo dal presupposto che :

m..−→q = − k

|q|3−→q (3.60)

Osserviamo come si muove il vettore radiale nel tempo:5

d

dt

(q

|q|

)=

( .−→q|q|− q q

.−→q|q|3

)=

.q |q|2 − q(q·

.q)

|q|3=

.q |q|2 − q × (q×

.q)

|q|3=

=.q |q|2

|q|3− q × (q×

.q)

|q|3=

.q

|q|− q × (q×

.q)

|q|3=

.q

|q|−

..q ×L (3.61)

|6 Ora integro e ottengo che:

d

dt

(Kq

|q|−

.q ×L

)= 0 (3.62)

Allora la quantità fra parentesi sarà una costante. Questa costante rappresentala quarta integrante del moto cioè il vettore di Laplace-Lenz-Runge e la indicocon C che identifica la posizione del mio corpo immerso in un campo di forzacentrale.

C =kq

|q|+

.−→q ×L (3.63)

Considero ora C2: |7

C2 = K2 + (.q l)2 +

2kl2

|q|m= K2 +

(2lm

(E −K/ |q|) +2kl2

m |q|

)= K2 +

2El2

m

C2 = K2 +2El2

m(3.64)

Quindi ora partendo dalla definzione del vettore di Laplace-Runge-Lenz datanella formula 3.59 determiniamo l’orbita:

.q ×L = C − kq

|q|(3.65)

Elevo tutto al quadrato,.−→q e L sono ortogonali quindi scrivo direttamente il

prodotto trai moduli: ∣∣∣ .q∣∣∣2 l2 = C2 +K2 − 2KC cos θ

2l2

m(E − K

r) = C2 +K2 − 2KC cos θ (3.66)

5Derivata del modulo: |q| =pq2 =⇒ d

dt

pq2 = − 1

2· (q2)−3/2 · 2q·

.q= − q·

.q

|q|36Perchè q

|q|3 = m..q

7Tenendo presente che q(.q ×L) = L(q×

.−→q ) = l2

m

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40 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO

Ora ho θ in funzione di r, ho l’orbita:

−2ml2kr

=(C2 +K2 − 2lE2

m

)− 2KC cos θ (3.67)

−ml2

rk= 1− C

Kcos θ (3.68)

Quindi chiamando p = ml2/k e E = c/a ho che l’orbita è definita in questomodo:

r =P

1 + E cos θ(3.69)

Ora potrei verificare chq questa è veramente una ellissi. Per esempio riconr-dandone la definizione geometrica posso scrivere che l’equazione di un’ellissi informa canonica è:

(r2 + 4c2 − 4rc cos θ)12 ± r = 2a (3.70)

Quindi ottengo che:

a2 − c2 = ±ar + r cos θ = ar(1 +rc

accos θ) = ar(1 + E cos θ) (3.71)

quindi posso scrivere una equazione per il semiasse !

E2 = 1 + pE − K

E=

P

1− E2= a (3.72)

Quindi osservo una cosa interessante, l’energia del corpo, (che sia una particella,un pianeta ecc..) determina la sua orbita perchè ho la seguente dipendenza:E = −Ka . Molto interessante è descrivere l’orbita in funzione ai punti criticidella stessa orbita quindi in funzione all’afelio e al perielio, infatti posso scrivere:

P

1− E2=

12

(P

1− E− P

1 + E

)= q (3.73)

dove: perielio = P1−E mentre afelio = P

1+E

3.6 Scattering particellare - L’esperimento di Ru-therford

...scriverlo

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Capitolo 4

Principi variazionali

Per capire questo dobbiamo effettuare un postulato. Da osservazioni sperimen-tali possiamo postulare che in natura, i movimenti avvengono su traiettorieper cui l’azione è la minima possibile. Il mio problema si complica, perchèavrò un funzionale definito nello spazio delle curve, che da valori in R quindidovrò trovare dei metodi di analisi che mi permettano di minimizzare questofunzionale. Il mio funzionale L(γ) ha quindi questa apparenza:

L(γ) : U → R (4.1)

Il grande problema dell’analisi che è presente in questo tipo di oggetti è i fattoche dim(U) = ∞ quindi diventa difficile lavorarci. I primi principi di minimaazione sono quelli di Fermat e Mopertius. Fermat lo aveva intuito per i cam-mini ottici, mentre Mopertius lo aveva postulato per la meccanica. Alla finela soluzione di questo grande problema si ha con la stesura delle equazioni diEulero− Lagrange.

La legge della riflessione e le equazioni di Fresnel:

Dimostrare la legge di riflessione cioè che:

θi = θr (4.2)

è molto semplice. Infatti si prede la congiungente della sorgente col puntovirtuale riflesso del ”riflesso“, quel cammino ottico lo so minimizzare perchèsono 2 punti quindi basta che traccio un segmente, poi specchio tutto, ottenndouna banale ugualianza tra tutti gli angoli.Ugualmente semplice è dimostrare la legge di Fresnel infatti, una volta scrittala configurazione geometrica del sistema si deriva tutto e si mette a zero. Dalpunto di vista dell meccanica il principio di Mopertius assume lo stesso valoredi quello di Fermat. L’interpretazione può essere fatta con questo paragone: ècome se ci fosse un indice di rifrazione del MOTO e questo sia equivalente a:

n(x) =√E − V (x) (4.3)

41

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42 CAPITOLO 4. PRINCIPI VARIAZIONALI

4.1 Principio di minima azione di HamiltonSia dato il nostro insieme dei funzionali U definito nel seguente modo:

U = q(t), t ∈ [t0, t1] : q(t0) = q(0), q(t1) = q1 (4.4)

Posso definire il concetto di azione:

S[q(t)] =∫ t1

t0

L(q,.−→q , t) (4.5)

Il principio di minima azione di Hamilton enuncia che i moti presenti in naturasono quelli che minimizzano l’AZIONE quindi il funzionale S[q(t)]. Si dimostrache il funzionale azione è minimizzato quando e solo quando L(q,

.−→q , t) rappre-sentano una soluzione dell’ equazione di Eulero-Lagrange. Il punto complicatoinfatti è proprio ora dimostrare la classe di funzioni de annullano il funzionale.Trovare il minimo di questo operatore non è facile e richede un minimo di conti.Per essere effettivamente certi che il mio q(t) sia una funzione di minimo delmio funzionale prendo una qualsiasi Q(t) definita in U ad estremi fissati. Seq(t) è veramente un minimo allora ho che:

S[Q(t)]− S[q(t)] ≥ 0 (4.6)

Pensando di prendere la mia Q(t) = q(t) + h(t) allora posso scrivere:

S[q(t) + h(t)]− S[q(t)] ≥ 0 (4.7)

ma h(t) è una funzione a valori vettoriali definita in uno spazio∞−dimensionaleallora devo stare attento ma posso ugualmente sviluppare con taylor ottenendo:

S[q(t) + h(t)]− S[q(t)] = S[q(t)] + δS[h(t)]− S[q(t)] + o(h2) = δS[h(t)] + o(h2)(4.8)

Definisco la quantità δS(h) VARIAZIONE. Per minimizzare l’azione, è intuitivopensare che la condizione da impostare sia:

δS[h(t)] = 0 ∀h ∈ U (4.9)

Quindi ora usando la definizione del principio di minima azione dato da Ha-milton posso scrivere:

S[q(t) + h(t)]− S[q(t)] =∫ t1

t0

L(−→q +−→h ,

.−→q +.−→h , t)dt −

∫ t1

t0

L(−→q ,.−→q , t)dt =

=∫ t1

t0

(∂L∂

.qi

.hi −

∂L∂qi

hi

)dt+ o(h2) (4.10)

La parte lineare dell’incremento è detta DIFFERENZIALE di S. Ora da comeè stata scritta è facile notare che quella è proprio la tipica espressione dellalagrangiana. Ora per integrare posso pensare di fare una piccola integrazioneper prati e scrivere la prima parte dell’integrale come:∫ t1

t0

(∂L∂

.qi

.hi −

∂L∂qi

hi

)dt =

(∂L∂

.qihi

)|t1t0 −

∫ t1

t0

(d

dt

∂L∂

.qihi −

∂L∂qi

hi

)dt =

= pihi|t1t0−∫ t1

t0

hi

(d

dt

∂L∂

.qi− ∂L∂qi

)dt (4.11)

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4.1. PRINCIPIO DI MINIMA AZIONE DI HAMILTON 43

In questo modo ho riscritto il tutto in una fomra contratta e ben distinta. Nellaprima parte compaiono i termini che sono in funzione degli estremi, mentrel’integrale rispecchia la parte centrale della curva. Il minimo si ha quando siale condizioni al bordo che quelle centrali si annullano. Ora risvrivo il risultatodella 4.11 in forma variazionale:

δS[q(t)] = −→p δ−→q |t1t0 −∫ t1

t0

dt δ(−→q )

(d

dt

∂L

∂.−→q− ∂L∂q

)(4.12)

Vedere che il δ(−→q ) ha valore nullo agli estremi è molto semplice1. Sapendoquesto, la prima parte della nostra variazione si annulla, rimane solo l’integrale.Dobbiamo decidere quando il nostro funzionale si annulla. Quindi dato un δ(q)il nostro integrale sarà zero quando si annulla:

d

dt

∂L

∂.−→q− ∂L∂q

= 0 (4.13)

cioè quando le soluzioni di questa equazione differenziale sono le equazioni diLagrange. L’integrale che ci fornisce l’equazione differenziale è il seguente:∫ t1

t0

dt δ−→q

(d

dt

∂L

∂.−→q− ∂L∂q

)= 0 (4.14)

questa è la formula di Eulero lagrange per i minimi dei funzionali.

LEMMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE: Sia I = [t0, t1] ⊂R e sia f(t) ∈ C0 su I esiste almeno una g(t) : g(t0) = g(t1) per cui:∫

I

f(t)g(t) dt = 0

allora si ha che:

f(t) ≡ 0 q.o. in I (4.15)

Dimostrazione. Supponiamo f(t) 6= 0 in I =⇒∃t ∈ I : f(t) 6= 0 =⇒∃δ > 0 :∀t ∈ [t−δ, t+delta] ho che f(t) > 0. Usando l’arbitrarietà di la scelgo in modotale che:

g(t) =

0 se t /∈ [t− δ, t+ δ]> 0 se t ∈ [t− δ, t+ δ] (4.16)

∫ t1

t0

f(t)g(t) =∫I

f(t)g(t) > 0 Assurdo ! (4.17)

è in contraddizione con l’ipotesi inziale , per cui l’integrale∫I

f(t)g(t) dt = 0

quindi f ≡ 0 q.o. t ∈ I1Basta sviluppare al prim’ordine con taylor si semplifica tutto.

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44 CAPITOLO 4. PRINCIPI VARIAZIONALI

Con il Lemma appena dimostreato possiamo verificare un teoremino sullevariazioni:

TEOREMA: Se q(t) è stazionario allora soddisfa la condizione per cui:

∂L∂qi− d

dt

∂L∂

.qi

= 0 (4.18)

Dimostrazione. Se abbiamo la nostra azione:∫ t1

t0

∑i

fi(t)gi(t) dt = 0 (4.19)

Dato questo funzionale se gli applico il vettore −→v e poi mi metto nella condi-zione di cercare il suo nucleo allora ho che :

〈α|−→v 〉 = 0 ∀−→v =⇒ α = 0 (4.20)

ottengo l’equazione di un piano. Se impongo che sia nullo l’integrale 4.19 perogni gi allora per il lemma precedentemnte dimostrato ho che le fi = 0 quindifi rappresentano il mio funzionale nucleo ponendo le fi = ∂L

∂qi− ddt∂L∂

.qi

si ottienela proposizone da cui si è partiti.

4.1.1 Principio di MopertiusSe sostituisco queste espressione:

L = p.q −E pi

∂L∂

.qi

(4.21)

S[γ] =∫ t1

t0

(p.q)dt−

∫ t1

t0

E dt =(∫ t1

t0

(p.q) dt

)− E(t1 − t0) (4.22)

Ora il problema si pone quando devo effettuare la variazione di questo funzio-nale. Il buon senso ci suggerisce il fatto che se effettuiamo una variazione su

.q

effettuiamo una variazione anche sull’energia interna del sistema meccanico, ilche è in contraddizione con il principio di conservazione dell’energia, che ci fapensare ad E = cost. Questo problema in realtà non sussiste, si verifica che unavariazione su

.q non incide su E vedremo ora di seguito, in dettaglio, i passaggi:

p.q= 2T = 2

√T√T so che:

√Tdt =

√m

2vdt =

√m

2dl (4.23)

se considero il funzionale:

A[γ] =∫γ

√E − V (x) dt sostituisco A[γ] = 2

∫ t1

t0

√T√T =

√2m∫ x(t1)

x(t0)

√Tdl

A[γ] lo posso quindi scrivere come: A[γ] = S[γ] + E(t1 − t0) Ora differenzio ilmio funzionale A[γ]

δA[γ] = δS + E(δt1 − δt0) =[∫

dt

(∂L∂q− ∂L∂

.q

)]+ (pδq − Eδt)|t1t0 (4.24)

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4.2. SPAZIO DELLE FASI ESTESO 45

trovare quando si annulla questo funzionale è semplice, come detto prima de-vono annullarsi contemporaneamente la parte centrale della curva da-to dall’integrale e le condizioni al bordo. L’unica soluzione ammissibile è laseguente: ∂L

∂q −∂L∂

.q

= 0pδq − Eδt = 0

(4.25)

Le due parti sono indipendenti e quindi devono annullasrsi contemporaneamen-te.Ora viene spontaneo chiedersi se esiste un funzionale tale che minimizzato midia le equazioni di Hamilton. Questo funzionale esiste ed è il funzionale diHamilton-Jacobi :

S[γ] =∫ t1

t0

(p

.q −H(p, q, t)

)dt (4.26)

infatti scrivendo le equazioni di Eulero-Lagrange per il funzionle scritto:2

∂qi

(p

.q −H(p, q, t)

)− d

dt

(∂

∂.q

(p.q −H(p, q, t))

)= 0

∂pi

(p

.q −H(p, q, t)

)− d

dt

(∂

∂.p

(p.q −H(p, q, t))

)= 0

(4.27)

ottendno in questo modo le equazioni di Hamilton:

−∂H∂qi− d

dtpi = 0

.q −∂H

∂p= 0 (4.28)

4.2 Spazio delle fasi esteso

Lo spazio delle fasi esteso M è definito come M = T ∗M × R in questo modose èprendiamo il funzionale azione descritto nel seguente modo:

S =∫ t1

t0

(p.q −H) dt =

∫γ

−→p d−→q −Hdt (4.29)

Questa è la forma di Poincarè-Cartan, con l’integrale curvilineo di IIo tipo.quindi sono nella situazione di poter scrivere una variazione del tipo:

pidqi −Hdt = Xdx∑

fi(x)dxi =−→F d−→x (4.30)

se ora effettuo un cambio di variabili e passo dalle q → Q avrò che:

aidQi + bidPi + kdt1 + · · ·

E in generale il seguente differenziale non rappresenta più equazioni di Hamil-ton. Quindi effettuata una trasformazione generica, questa non è detto che

2si ricorda che dato un funzionale A[γ] =“Rγ f(x,

.x) dt

”le equazioni di Eulero-Lagrange

per il funzionale sono le seguenti: ∂f∂xi− ddt∂f

∂.x

= 0

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46 CAPITOLO 4. PRINCIPI VARIAZIONALI

porti eq. di Hamilton in eq. di Hamilton.Se prendo del funzionale, l’azione ridotta:∫ t1

t0

p.q dt =

∫ t1

t0

Ldt− E(t1 − t0) (4.31)

come detto prcendnetemente le parti rappresentanti le condizioni al bordo ela parte interna dell’azione devono annullarsi contemporanemente. Questo èfacile da dimsotrare con un semplice ragionamento intuitivo.

Dimostrazione. Ammettiamo di dividere il percorso che separa il punto A dalPunto B3 in 3 parti, la prima: [A 7→ C],la seconda [C 7→ D] e la terza [D 7→ B]dove C e D sono due punti appartenenti al cammino che separa A da B con lacondizione che D,C 6= A,B. Supponiamo che nel primo e nell’ultimo la curvavenga scelta in modo che sia soluzione delle equazioni id lagrange, mentre nelpezzo intermedio, la curva venga scelta in modo tale che non soddisfi alle eq.di Lagrange. Ma se vado a minimizzare il funzionale, io so che posso renderel’azione totale minima (data dalle 3 curve uscenti dai 3 funzionali differenti) setutti e 3 sono minimi. A questo punto è facile ottenere la condizione di Lagrangeanche sull’integrale intermedio, basta applicargli la regola di minimizzazione diEulero-Lagrange.

Lo spazio delle fasi esteso, sostanzialmente isomorfo a R3×R4 non sembraavere una geometria ancora ben definita (infatti ho detto sostanzalmente iso-morfo .. e non ISOMORFO). La definizione della geometria dello spazio dellefasi esteso è un argomento molto ocmplesso e rientra nella trattazione dellecondizioni di Lie, strettamente collegate da un punto di vista della geometriadifferenziale alla trattazione geometrica dello spazio tramite la forma integraledi Poincar − Cartan Un esempio molto usato è quello della rappresentazio-ne dell’oscillaotre armonico. Nello spazio delle fasi gli stadi di un oscillatorearminico sono rappresentati da cerchi concentrici. Nello spazio delle fasi este-so, deventi un elicoide arrotolato intorno all’asse dei tempi. Se prendiamo uncammino γ

S =∫γ

(p.q −H)dt =

∫ t1

t0

p.q dt−Hdt =

∫ S1

S0

(pdq

dt

dt

ds−H dt

ds

)ds =

=∫γ

pdq −Hdt =∫γ

pdq −H(p, q, t)dt (4.32)

considerando ora la trasformazione q = q(P,Q, t) e p = p(P,Q, t) sostituisco:

pdq −Hdt = p(P,Q, t)(∂q

∂QdQ+

∂q

∂PdP +

∂q

∂tdt

)−H(P,Q, t) =

=∫γ

Adq +Bdp+ Cdt (4.33)

Quindi se l’ultimo funzionale scritto soddisfa le equazioni di Eulero-Lagrangeallora minimi vanno mandati in minimi, quindi eq. di Hamilton, (tramite la

3dove A,B ∈ M4scrivo R3 ×R al posto di scrivere R4 per mettere meglio in evidenza il fatto che c’è una

parte spaziale rappresentata da R3 con l’aggiunta di una coordinate temporlare identificatadal cartesiano R

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4.2. SPAZIO DELLE FASI ESTESO 47

trasformazione q = q(P,Q, t) , p = p(P,Q, t)) vengono mandate in equazioni diHamilton. La condizone risulta quindi essere:

A[γ] =∫γ

Adq +Bdp+ Cdt = PdQ−Kdt (4.34)

Dove K rappresenta la nuova Hamiltoniana nelle cordinate trasformate. Questaappena enunciata è la condizione di Lie per le trasformazioni canoniche Inuna forma più estesa la condizione di Lie per le trasformazioni canoniche vienespesso enunciata nel seguente modo:

pdq −Hdt = PdQ−Kdt+ dF (4.35)

In questo modo si può notare che i flussi Hamiltoniani trattati nel capitolo 3.3sono una trasformazione canonica e mandano le eq. di Hamiltonin in eq. diHamilton.

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48 CAPITOLO 4. PRINCIPI VARIAZIONALI

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Capitolo 5

Crisi della Fisica Classica

5.1 Formalismo matematico della Rielatività Ri-stretta e Generale

Nella fisica classica la definizione di punto materiale viene data in funzioni aduna terna di assi cartesiani ortogonali orientati. La posizione di un punto èdefinita univocamente se al pèunto associo 3 coordinate metriche. Il concettodi cordinata nasce da quello di proiezione ortogonale della posizone del puntosui 3 assi orintati, in questo modo definiamo 3 cordinate spaziali che definisconounivocamente la posizione del mio punto in questo caso in un A ⊆ R3. Solita-mente le cordinate sono fuinzioni del tempo perchè di solito il punto materiale simuove nel mio spazio. Non si muove “a caso” ma lo fa seguendo rigorosamentele equazioni di Newton:

m..−→x=−→F (−→x ,

.−→x ) (5.1)

questo se nello spazio c’è un singolo punto, se ci sono N punti allora la−→F sarà

una funzione così descritta:

−→F =

−→F (−→x1,

.−→x1, · · · ,−→xN ,.−→xN ) (5.2)

Come visto dalla meccanica razionale, l’equazione di Newton ci fornisce anchetutte le derivate successive del moto.1

5.2 Riferimenti Localmente InerzialiEsempi tipici di sistemi soggetti a forze e per esempio questo:

−→Fi = m−→g +

−→F (· · · ) (5.3)

questa descrizione è quella tipica di una particella immersa in un campo gra-vitazionale (quindi soggetta alla forza peso) e soggetta anche ad un’altra forza(che può assumere forme variegate) che per esempio è provocata dall’iterazionedella particella con altre N particelle presenti nel sistema. Lavorare con un

1Che è utile se dobbiamo risolvere l’eq differeziale utilizzando gli sviluppi in serie

49

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50 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

sistema di riferimento Localmente inerziale vuol dire che io posso trascurareper esempio, l’effetto della forza perso e quindi avere la possibilità di studiarecon precisione le iterezioni tra le particelle. Detto questo non abbiamo ancoradefinito un sistema localmente inerziale però abbiamo l’idea che questa condi-zione è molto utile e vantaggiosa per studiare determinati effetti fisici.Def: definiamo riferimento localmente inerziale un riferimento in cui le forzeesterne al sistema sono trascurabili, quindi e un ambiente in cui è FACILEprodurre PUNTI IN QUIETE. Poi sui sistemi di riferimento localmente iner-ziali posso sviluppare tutto il formalismo matematico necessario per spiegarele notazioni di misura e più in generale tutte le proprietà geometriche internedel mio spazio. Quindi io definisco una geometria a posteriori dell’ipotesi che ilmio sistema sia localmente inerziale.2 Poi in un secondo tempo posso prenderele mie propeirtà gemetriche locali e tentare di genralizzarle non più solo nellocale e allora si otterranno teorie più generali com ben appunto la RelativitàGenerale Einstaniana.Da un punto di vista classico, il nostro sistema di riferimento di assi cartesianiortogonali rimane invariante per rotazione e traslazione, cioè anche se io cam-bio Origine e Basi del mio spazio vettoriale ho sempre (nelle fisica classica esull’ipotesi di sistemi localmente inerziali) invarianza delle leggi fisiche3 questonon è più vero nella Meccanica Quantisica in cui se noi definiamo per esempioil moto di una particella in una terna cartesiana destra, se effettuiamo un cam-bio di coordinate mettendoci per esempio (con una simmetria assiale) in unaterna cartesiana sinistra CADE LA SIMMETRIA PER PARITA’ !!!!!! Quindibisogna fare attenzione, usando un esempio spinto ma interessante potremmodire: la nostra particella in moto, vedendosi allo specchio non riconosce se stes-so, non vede più la stessa particella, ma una antiparticella, e di questo ci sioccuperà più avanti dopo aver definito i postulati della Meccanica Quantistica.

5.3 Geometria Affine di dimensione 3Sia A l’insieme a cui voglio dare questo formalismo matematico sia V 3 spaziolineare su R di D=3;Voglio trovare il legame tra A e V 3:Dati P1eP2 ∈ A la coppia ordinata P1P2 = v ∈ V 3;Dato P1 e V , è univocamente definito P2

Se aggiungiamo un punto ho le seguenti coppie ordinate:

dati (P1 , P2 , P3) ∈ V 3ho : P1P2 , P2P3 , P1P3 ∈ V 3 (5.4)

Tra le coppie posso stabilire delle relazioni di: 1)P1P2 + P2P3 = P1P3

2)Con (P1P1 = 0) =⇒ (P1P2 + P2P1 = 0) =⇒ (P1P2 = −P2P1)3)Esiste l’elemento neutro v + 0 = v4)Se prendo α ∈ R =⇒ (α1 + α2)v = α1v + α2v5)Se α = 0 =⇒ αv = 0Quindi se valgono queste ipotesi allora ho uno spazio lineare 4 Il fatto che lospazio lineare sia di dimensione D = 3 vuol dire che esiste una base di vettorilinearmente indipendenti:

2Tipico esempio della relatività ristretta3Trasformazioni Galileiane4controllare se sulla sua dispensa ne mette altre.

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5.3. GEOMETRIA AFFINE DI DIMENSIONE 3 51

Data la nostra base e1, e2, e3 ogni elemento di v può essere come combinazionelineare delle basi:

v = v1e1 + v2e2 + v3e3 (5.5)

dove (v1, v2, v3) sono le coordinate di v nella base (e1, e2, e3) La notazione delalcoordinata all’esponente può inizialmente trarre in inganno, ma si vedrà chequando si defineranno strumenti algebrici più complicati, questa notazione diindici sarà molto conveninete.In più possiamo dire che esiste il prodotto scalare 〈v1|v2〉 è:-)Bilineare rispetto al termine di destra e sinistra;-)Simmetrico 〈v1|v2〉 = 〈v2|v1〉;-)Definito positivo: 〈v|v〉 ≥ 0 e ho che 〈v|v〉 = 0⇐⇒ v = 0

Se il nostro spazio è generato da 3 basi qualunque allora abbiamo che il pro-dotto scalare è definito in questo modo:dati due vettori: v1 =

∑31 v

h1 eh e un secondo vettore: v2 =

∑31 v

h2 eh con eh ∈ V

e V h1 ∈ R allora ho che:

〈v1|v2〉 =3∑

h,k=1

vh1 vk2 〈eh|ek〉 (5.6)

Dove 〈eh|ek〉 = gh,k = (G)h,k è il tensore metrico di rango 2. Dato che il pro-docco scalare è definito positivo, il tensore rappresenta una matricie simmetricaquindi:

(gh,k = gk,h) =⇒∑h,k

vhgh,kvh ≥ 0 ed è zero⇐⇒ v = 0 (5.7)

Una matrice simmetrica ha autovalori positivi, quindi det(G) 6= 0Però io posso scegliere delle basi del mio spazio che sono in un qualche modo piùconvenienti delle altre, per esempio se le basi in gioco sono vettori linermenteindipendenti ortonormali allora ho che la mia definizio dei prodotto scalaresi semplifica parecchio perchè il tensore metrico diventa la delta di kroneckerquindi ho che:

〈eh|ek〉 = gh,k = δh,k =⇒ G =

1 0 00 1 00 0 1

= Id (5.8)

Definiamo ora per bene origine distanza dei punti del nostro spazio:Sia O l’origine del nostro sistema di assi ortogonali, se prendo la coppia:

OP ∈ V 3 =⇒ OP =3∑

h=1

xheh (5.9)

xh è la cordinata del punto P rispetto alla base scelta.Se prendo due punti P1P2 allora posso definire la distanza tra P1 e P2 laseguente scrittura: √

〈P1P2|P1P2〉 ≥ 0 (5.10)

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52 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

Scrivendo in forma esplicita la cosa:

P1P2 = P1O +OP2 = OP2 −OP1 =3∑h

(xh2 − xh1 )eh (5.11)

allora sostituendo nell’espressionae trovata precednetemente di prodotto scalareho che: ∑

h,k

(xh2 − xh1 )gh,k(xh2 − xh1 ) (5.12)

Banalmente se la base è ortonormale abbiamo che: il tensore metrico corri-sponde alla delta di kronecker, quindi diventa balmente la norma euclidea:

d(P1, P2)2 = ||P1P2||2 =3∑h,k

(xh2 − xh1 )2 (5.13)

Ora cambiando base e sistema di riferimento, tutto dovrebbe rimanere più omeno invariato, tranne le cordinate dei nostri punti. Però dovrebbe esseresemplice trovare un formalismo matematico per passare dalla visione dei puntinel primo spazio, alla visione dei punti nel secondo spazio.Nel secondo spazio le basi del primo spazio le vedo come combinazioni linearidelle nuove basi:

e′h =3∑l=1

γlhel (5.14)

Questo è un tipico cambio di base dove le coordinate γlh rappresentano glielementi di una matrice (Γ) il cui determinate deve essere 6= 0 in quanto deveessere una trasformazione invertibile. Tra breve vedremo anche che il gruppodelle matrici invertibili rappresenta un Gruppo.Le coordinate del vecchio riferimento, viste nel nuovo sistema saranno:

3∑l=1

blel (5.15)

Ora determino le cordinate punto P, nel nuovo sistema di riferimento:

O′P = O′O +OP = OP −OO′ = † (5.16)

La forma di OO’ so come è fatta, ma OP ce l’ho nelle vecchie cordinate, quindidevo espire tutto nelle nuove:

3∑1

(Γ−1)l,ke′h =3∑1

(Γ−1)l,k(Γ)h,kek = el

OP =3∑1

xlel =3∑

l,h=1

xl(Γ−1)l,he′h (5.17)

Riprendendo la parte sopra:

† =3∑

h=1

−bhe′h +3∑

l,h=1

xl(Γ−1)l,he′h =∑h

[∑l

xl(Γ−1)l,k − bh]e′h (5.18)

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5.3. GEOMETRIA AFFINE DI DIMENSIONE 3 53

Quindi ho trovato le mie nuove coordinate!!

x′h =∑l

xl(Γ−1)l,h − bh =∑l

t(Γ−1)h,lxl − bh (5.19)

Cambierà anche il tensore metrico:

g′h,k = 〈e′h|e′k〉 =∑lf

γlh〈el|ef 〉γfk (5.20)

In modo compatto ho che:

G′ = ΓG tΓ (5.21)

Prendiamo la terna cartesiana ortogonale abbiamo che:

Id = ΓΓt (5.22)

la soluzione di questa equzione è:

det(Id) = det(ΓΓt) = det(Γ)2 =⇒ det(Γ) = ±1 (5.23)

Quindi le possibili trasformazioni hanno determinante o 1 o -1. Le trasforma-zioni con det = 1 sono dette rotqazioni e tutte le matrici di questo tipo formaunun gruppo: SO3 Tutte le matrici con det=-1 che soddisfinino la contizione 1.22sono dette Riflessioni.Esempio:Trovare la matrice R ∈ SO3 che soddisfa la seguente condizione: deve descri-vere una rotazione in senso orario degli assi e1 ed e2 intorno all’asse e3 di unangolo α:

R(α) =

cosα − sinα 0sinα cosα 0

0 0 1

(5.24)

Da cui èp semplice trovare la matrice associata alle cordinate per α piccoliperchè le funzioni trigonometriche si semplificano parecchio

Id+ α

0 −1 01 0 00 0 0

(5.25)

Questa formalizzazione matematica infatti sottolinea le difficoltà che si hannoa passare da una terna destra ad una terna sinistra. Questo discorso genericoperòcon contempla la possibilità che i punti si possano muovere nello spazioquindi il formalismo ora introdotto va leggermente complicato in modo da farrientrare nelle cordinate che descrivono il nostro punto, anche una cordina-ta temporale. Questo problema è necessario risolverlo sin da subito perchèse abbiamo 2 sistemi localmente inerziali e da un sistema osserviamo i puntidell’altro li vediamo muoversi, in particolare si muovono di moto rettilineo uni-forme. Quindi è necessario descrivere sin da subito il nostro punto nel tempo.Per avere un sistema omogeneo sulla cordinata temporale, devo avere orologidistribuiti nello spazio che siano sincoronizzati tra loro. Ma la condizione disincronismo è come potremo vedere nella relatività Einstaniana è un concettodel tutto astratto, questa condizione non si può mai raggiungere.

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54 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

5.4 Luogo degli eventi

Se consideriamo per semplicità di notazione:

xo = ct (5.26)

allora abbiamo anche la quarta cordianta temporale. I nostri punti ora sonodefiniti da un formalismo matematico che nelle cordinate di identificazionetiene conto anche della cordinata temporale. Il luogo degli eventi quindi, lospazio-tempo assume dunque questa forma:

(x0 − x0)2 −3∑

h=1

(xh − xh) = 0 (5.27)

con x0 > x0 (5.28)

Ora aggiungiamodelle specifiche temporali alla costruzione euclidea dello spa-zio. Quindi dobbiamo prendere la terna cartesiana + 1 oraologio. In tutti isistemi di riferimento localmente inerziali però c’è una cosa comune, che ser-vì per ispirare una metrica comune. La velocità della luce c è uguale in ognisistema di riferimento localmente inerziale a cui noi facciam benappunto riferi-mento. Quindi ho una notazione di musura che mi viene suggerita dal campoelettromagnetico, infatti se so che la propagazione di un’onda elettromagneticaavviene per mezzo di una perturbazione oscillatoria ortogonale di un campoelettrico e di un campo magnetico, allora posso prendere come riferimento que-sto numero di oscillazioni, e quindi definire delle lunghezze d’onda ecc... Oraperò bisogna costruire tutta la geometria affine per un campo a 4 dimensio-ni,definire le basi, definire la matrice associata al prodotto scalare, definire iltensore metrico e tutte le nozioni di distanza.Un particolare di cui bisonga tener conto ed è di fondamentale importanza èche per il caso a 3 dimensioni il prodotto scalare che era definito era definitopositivo e non degenere. Questo mi rendeva invariante lo spazio perrotazione,inversione, e traslazione. Questo non posso più accettarlo in una descrizionedello spazio-tempo la cordianta temporale deve in un qualche modo staccarsidalle altre e risaltare maggiormente. Per fare quasto prendo il prodotto scalareche avevo in R3 con tutte le proprietà a meno della sua positività. Il prodottoscalare è non degenere, quindi tutti i suoi autovalori sono diversi da zero, e ra-giono sulla segnatura del prodotto scalare. Ragionare sulla segnatura vuol direragionare sui segni degli autovalori. Se la segnatura della mia matrice associataè del tipo: (+,−,−,−) allora assegndo per esempio il simbolo + all’autovaloreche mi descrive il tempo e il segno meno agli autovalori della terna cartesiana,in qusto modo ho una stuttura di spazio tempo in cui gli assi cartesiani risul-tano ancora omognei tra di loro e la cordianta temporale risulta ben distintadal tutto. quindi selgo gli assi in questo modo:

〈e0|e0〉 = 1〈eh|ek〉 = −δh,k con h = k 6= 0 (5.29)

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5.4. LUOGO DEGLI EVENTI 55

In altri posti abbiamo tutti zero e la matrice è diagonale.Quindi la matrice associata al tensore metrico sarà:

G0 =

1 0 0 00 −1 0 00 0 −1 00 0 0 −1

(5.30)

Definisco il tensore metrico come:

(G)µ,ν = 〈eµ|eν〉 = gµ,ν (5.31)

La matrice metrica quindi può essere acneh scritta come:

G0 =(

1 00 −I

)(5.32)

se effettuo un cambio di base:

e′µ =3∑0

γνµeν (5.33)

Quindi se chiamo con Γ la matrice di cambio di base avrò che:

G′ = ΓGΓt (5.34)

Ma se partiamo da una base lonrentziana allora vogliamo che la matriche Gsoddisfi la seguente scrittura:

G0 = ΓG0Γt (5.35)

Le matrici che soddisfano questa proprietà formano il gruppo di Lorentz. ilmio punto P rispetto ad O avrò questa forma:

OP =∑µ

xµeµ (5.36)

mentre se cambio cordinate e mi metto in O’ avrò che il mio punto P avràqueste cordinate (effettuo un cambio di base). I conti sono identici a quellivisti per caso a tre dimensioni, quindi possimao scrivere subito il risutato chesarà:

O′P =3∑

µ=0

x′µeµ (5.37)

quindi:

x′µ =3∑

ν=0

aµνxν − bµ (5.38)

la distanza tra i due cnetri è sempre la solita:

OO′ =∑µ

bµeµ (5.39)

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56 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

e la mia matrice A di cambio di base sarà:

(A)µ,ν = aµν =⇒ A = (Γ−1)t = (Γt)−1 (5.40)

è simmetrica, diagonale e ha un sacco di proprietà. la matrice G0 è simme-tia cquindi abbiamo anche che: G0 = (G0)−1. Da questo risulta semplicedimostrare che:

AG0At = G0 =⇒ A−1(G0)−1(At)−1 = G0 =⇒ moltiplico per A e At

G0 = AG0At ma detG0 = 1 e detA = detAt =⇒(detA)2 = 1 =⇒ detA = ±1

quindi le matrici di cabio di base che sono ammesse per effettuare cabiamen-ti di coordinate lorentziani sono quelli con determiante ±1 in particolare noiconsidereremo le matrici A strutturate in questo modo

A =(

1 00 R

)(5.41)

Dove A è una matrice 4×4 e R rappresenta il gruppo delle rotazioni. Le matricidi questo tipo definiscono il gruppo proprio delle trasformazioni di Lorentz. Inparticolare si considereranno le matrici con queste caratteristiche:

detA = 1A0,0 ≥ 1 (5.42)

Da qui nascono le trasformate di lorentz infatti:Dimostrazione:

Trascrivendo le trasformazioni di Lorentz speciali lungo l’asse x1 si ottieneche:

x′0 = a0

0x0 + a0

1x1

x′1 = a1

0x0 + a1

1x1

x′2 = x2

x′3 = x3

(5.43)

riscrvimo la seconda equazione: x′1 = a1

1[x1−w∼x0] sistituendo con w∼ = −a10a11

da cui : a10 = −w∼a1

1 sapendo che:

α) (a00)2 − (a0

1)2 = 1 (5.44)β) (a1

0)2 − (a11)2 = −1 (5.45)

γ) (a00a

10)− (a0

1a11) = 0 (5.46)

dalla α segue che a00 = ±1√

1−w∼2 dato che consideriamo le trasfomate proprie dilorentz quindi con A0,0 ≥ 1 escludiamo la soluzione col meno. Da considerazioni

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5.4. LUOGO DEGLI EVENTI 57

simili si ottiene che:

a00 =

1√1− w∼2

(5.47)

a01 =

−w∼√1− w∼2

(5.48)

a11 =

1√1− w∼2

(5.49)

a11 =

−w∼√1− w∼2

(5.50)

Si nota subito che la matriche è simmetrica e sostituendo nel sistema precedentedi trasformazioni abbiamo le prime trasformazioni di Lorentz che descrivono ipassaggi di corrdiante “SPECIALI” cioè solo quelli lingo l’asse x1:

x′0 =1√

1− w∼2[x0 − w∼x1] x′1 =

1√1− w∼2

[−w∼x0 + x1] (5.51)

tenendo conto che x0 è la cordinata temporale descritta nel seguente modo:x0 = ct si possono scrivere le trasformazioni di Lorentz in un modo decisamentepiù fisico:

x′ =1√

1− w2

c2

[x− wt] t′ =1√

1− w2

c2

[t− w x

c2] (5.52)

poi gli altri assi non vengono toccati quindi abbiamo che:

y′ = y z′ = z (5.53)

Quindi se consideriamo due sistemi di riferimeno il primo in moto relativorispetto al secondo di M.R.U. con velotià −→v allora ottengo il risultato notevoleche l’orologio in moto rimane “indietro” rispetto a quello in queiete. Infattiriprendo la parte della trasfozione di lorentz rigurdante la cordinata temporaleabbiamop proprio che i due tempi si trasformano nel seguente modo:

t′ =1√

1− w2

c2

[t− w x

c2] (5.54)

quindi abbiamo un coefficiente di contrazione temporale che possiamo scriverecome:

τw =τ0√

1− w2

c2

(5.55)

infatti la cordinata temporale xo subisce una trasformazione del tipo:

x0 =

√1− w2

c2· x′0 (5.56)

Efetti direttaemnte misurabili della verità delle trasformate di Lorentz è laradiazione cosmica. Infatti noi sappiamo che la terra è continuamente “bom-bardata” da particelle cosmiche (che arrivano da molto lontano) quindi sono

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58 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

particelle stabili come protoni ed elettroni, che a contatto con l’altmosfera sieccitano e danno vita a nuovi tipi di particelle, i pioni (π−) un pione ha una vitamedia di decadimento molto breve e decade in un muone e in un antineutrino(il netrino salta fuori dalla conservazione dello spin).

π− → µ− + νµ (5.57)

i muoni a loro volta sono particelle con una vita media molto breve e tendono adecadere in un protone + un elettrono + un antineutrino legato alla formazionedell’elettrone.

µ− → p+ e− + νe (5.58)

Queste particelle cosmiche viagginao a velocità che sono frazioni di c addirit-tura arrivano anche a c

10 quindi sono velocità estrememente alte. Ovvimenteper un riferimento centrato sul pione (o sul muone), noi siamo un sistema diriferimento localmente ineriziale e lui rispetto a noi è in moto di M.R.U. quindila sua percezione spaziale si contrae e la nosta percezione temporale (nel suoriferimento) si DILATA ! Questo fa si che il muone arrivi sano e salvo a terraprima di decadere nelle suoi prodotti di decadimento. Si può banalmente dimo-strare che due sistemi in moto tra loro di M.R.U. non mantegnono inalteratauna trasformazione per traslazione: in praticolare le figure geomtriche non sonouna conservante.

x′0 =x0 − w

c x1√

1− w2

c2

x′1 =x1 − w

c x0√

1− w2

c2

(5.59)

In R avrò il mio x0 e il mio −→x fissato;In R’ avro il mio x’0 e poi le compoenti di −→x avranno l’espressione tipica dellatrasformata di Lorentz.se esprimo le cordinate del mio punto in R’ in funzione dix0 ottengo che:

So che: x0 =

√1− w2

c2x′0 +

w

cx1 sostituisco in x′1:

x′1 =x1 − w

c

[√1− w2

c2 x′0 + w

c x1

]√

1− w2

c2

=

(√1− w2

c2

)x1 − w

cx′0 (5.60)

Posso definire una metrica e ottengo un risultato molto interessante:Siano A e B due punti con x0 e −→x ben definiti e fissati in R. In R’ si avrà cheil punto e descritto dalle coordinate uscenti dalle trasformazioni Lorentz.

d′(A,B) =((

1− w2

c2

)(x1A − x1

B)2 + (x2A − x2

B)2 + (x3A − x3

B)2) 1

2

(5.61)

Ma il coefficiente(

1− w2

c2

)è sempre minore di 1 !!!!! Quindi abbiamo una

disugualinza importantissima:

d′(A,B) < d(A,B) (5.62)

Le distanze, NON SI CONSERVANO, le figure geometriche euclidee non so-no più invarianti nelle trasformazioni di Lorentz passando da un sistema diriferimento localmente inerziale all’altro.

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5.5. LA MECCANICA RELATIVISTICA 59

5.5 La meccanica relativisticaDefinito il formalismo matematico e definiti i concetti di misura e prodottoscalare, possimao ora pensare a ricostruire la meccanica newtoniana in questospazio, quindi definire le tetravelocit e le tetraaccelerazioni.Consideriamo sempre il nostro punto materiale in R e conmsideriamo l’incre-mentino nelle sue cordinate:

dxh =d

dtxhdt dx0 = cdt (5.63)

allora definiamo il nostro vettore −→v come:

−→v (t) =d

dt−→x (t) (5.64)

quindi la distanza tra due “eventi“ intesi come elementi dello spazio tempo,sarà:

ds2 = c2dt2 −∑h

(dxh)2 = dt2(c2 −−→v (t)2) (5.65)

Questo è valido se il sitema di riferimento è stato preso con basi lorentziane,altirmenti con basi generiche, compare in più solo il termine del tensore metrico(che in questo caso, non sarà più δi,k)

ds2 =∑µ,ν

gµνdxµdxν (5.66)

per trovare il ds ora basta integrare. Nel caso di basi lorentiane l’espressione èparticolarmente semplice:

ds = dt√c2 −−→v 2(t)

s(t) =∫ t

0

dt′√c2 −−→v 2(t) (5.67)

Per un qualsiasi tipo di riferimento avrò che:

s(t) =∫ t

0

∑µ,ν

gµνdxµdxν(ma non manca qualche radice ?????) (5.68)

Un’altra definizione importante che si introduce nella meccanica relativisticaè il concetto di tempo proprio (o tempo invariante). Lo definiamo in questomodo:

τ(t) =s(t)c

=∫ t

0

√1−−→v 2(t)c2

(5.69)

Da questa relazione notiamo infatti che τ(t) < t e bhe banalmente abbiamoche: τ(0) = 0 Ora posso quindi definire una VELOCITA’ A 4 componenti eUNA ACCELERAZIONE A 4 componenti!!! perchè rimetto tutto in funzioneal tempo proprio.

d

dτxµ(τ) = uµ(τ) (5.70)

d2

dτ2xµ(τ) = aµ(τ) (5.71)

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60 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

Per punto in muovimento ho che:

dOPτdτ

=∑µ

eµdxµ

dt(τ) (5.72)

La le cordiante trasformate nel mio sistema riferimento saranno:

x′µ =∑

aµνxν − bµ → Tetravettori

x′µ(τ) =∑

aµνxν(τ)− bµ

u′µ(τ) =dx′µ(τ)dτ

=∑

aµνdxν

dt(τ) =

∑aµνu

ν (5.73)

1

5.6 Definizione di lunghezza e tempo proprio inV 4

La nozione di lunghezza che ci viene suggerita dal prodotto scalare definito dalformalismo matematico in V 4 è la seguente:

ds = dt√c2 − v2(t) da cui: S(t) =

∫ t

0

√c2 − v2(t) dt (5.74)

Posso anche definire un tempo proprio a cui riportare tutti i miei tetravettori:

τ =S(t)c

=∫ t

0

√1− v2(t)

c2dt (5.75)

In questo modo definisco la tetravelocità:

dxµ

dτ= uµ(τ) (5.76)

e la tetraaccelerazione:

d2xµ

dτ2= aµ(τ) (5.77)

Osserviamo ad una trasformazione del sistema di assi come variano le compo-nenti della tetravelocità. In primis bisogna notare che il sistema di coordinateal variaire del riferimento in funzione del tempo questo si trasforma con l’usua-le matrice di trasformazione con la sola differenza che le componenti sono infunzione del tempo proprio.

· x′µ(τ) = aµνxν(τ)− bµ (5.78)

· La tetravelocità varierà con la stessa legge:· u′µ(τ) = aµνu

ν (5.79)

Esplicitando le componenti della tetravelocità:

uµ(τ) =(dxµ(τ)dτ

)τ=τ(t)

=dxµ(τ)dt

dt

dτ=dxµ(τ)dt

1dτdt

= † (5.80)

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5.6. DEFINIZIONE DI LUNGHEZZA E TEMPO PROPRIO IN V 4 61

ma sappiamo bene per come è definito il tempo proprio che:

τ(t) =∫ t

0

dt′√

1− v2/c2 =⇒ dτ

dt=√

1− v2/c2 (5.81)

Quindi sostituendo:

† =dxµ(τ)dt

1√1− v2(t)

c2

(5.82)

esplicitando le componenti:u0

(τ=τ(t)) =(dx0(τ)dτ

)τ=τ(t)

= cq1− v2

c2

uh(t) = vhq1− v2

c2

(5.83)

La condizione che esce dal prodotto scalare è la seguente e vedremo che nellesuccessive trattazioni tornerà molto utile:

〈u|u〉 = (u0)2 −3∑

h=1

(uh)2 = c2 (5.84)

e come visto prima se le trasformazioni che si fanno sono di tipo lorentziano, lecomponenti della tetravelocità e della tetraposizione si trasformano seguendola tipica legge di un cambio di base.

5.6.1 momento - quantità di moto - energia

Lo studio in dettaglio delle compomenti del tetravettore quantità di motoè molto importante perchè dalla definizione della tetraquantità di moto ricavotutte le espressioni legate all’energia di una particella di massam 6= 0 ma anchepoi vedremo che definiremo anche una quantità di energia e una quantità dimoto per particelle di m=0, il che sembra del tutto insensato, ma prende sensonel formalismo postulatorio della meccanica relativistica, e successivamentenella meccanca quantistica di Schrodinger, Heisemberg e Dirac. Notiamo subitoche definendo il tetramomento in questo modo:

pµ = muµ (5.85)

per le proprietà di bilinearità del prodotto scalare, una condiuzione notevoleche risulta subito è la seguente:

〈p|p〉 = m2c2 (5.86)

Questo ci permette di capire eventuali legami tra le varie componneti deltetramomento:

(p0)2 − |−→p |2 = m2c2 (5.87)

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62 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

Quindi la componente temporale del tetramomento è legata al modulo dellesue componenti spaziali come:5

p0 =√|−→p |2 +m2c2 =

mc√1− v2

c2

(5.88)

5.6.2 Le equazioni del MotoAvendo il tetramomento è ora semplice calcolarci le componenti della tetraforzae quindi scrivere un’equazione di newton relativistica:

mduµτdτ

= fµ(x, u) (5.89)

anche la tetraforza si trasforma con la solita matrice di trasformazione dilorentz:

f ′ = µ = aµνfν(x, u) (5.90)

Sfruttando la linearità dell’operazione di derivazione e la bilinearità del pro-dotto scalare otteniamo un risultato interessante:

Dato che: 〈uτ |uτ 〉 = c2 allora questo implica che:

d

dt〈uτ |uτ 〉 = 0 = 〈 d

dtuτ |uτ 〉 = 〈fτ |uτ 〉 = 0 (5.91)

Quindi ottengo il risultato notevole che le componenti della tetraforza e della te-travelocità sono mutualmente ortogonali. Se le componeneti sono mutualmenteortogonali allora possiamo dire che la tetraforza è ortogonale alla tetravelocitàe in generale diciamo che 〈fτ |uτ 〉 = 0Esplicitando il conto ottengo la relazione tra le compomenti della tetraforza:

〈f |uτ 〉 = f0u0 −3∑

h=1

fhuhτ = 0 (5.92)

sapendo che :

u0 =c√

1− v2/c2e poi uh =

vh√1− v2/c2

(5.93)

questo implica che:

f0 =∑ fhvh

c√

1− v2

c2

√1− v2

c2=⇒ f0 =

−→f · −→vc

(5.94)

La legge di trasformazione della tetraforza è sempre la solita legata al cambiobase:

f ′µ = aµνfν(x, u) (5.95)

La f0 dipende dalla velocità quindi ache tutte le altre compoennti dipenderannodalla velocità −→v

5In verità nella trattazione manca una parte quella legata al fatto che p0 dal punto di vista

algebrico non è soloq˛−→p ˛2 +m2c2 ma ci può essere anche un segno negativo e avere una

forma del tipo: p0 = −q˛−→p ˛2 +m2c2 questo risultato viene usato in meccanica quantistica

per spiegare e trattare tutta la teoria sulle antiparticelle, cioè particelle di massa negativa.

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5.6. DEFINIZIONE DI LUNGHEZZA E TEMPO PROPRIO IN V 4 63

5.6.3 ENERGIA:Il tetramomento da qunto detto fin’ora è quindi definito come:

p0 = mcq1− v2

c2

ph = mvhq1− v2

c2

(5.96)

Se ho −→p del mio punto materiale riesco a risalire alla velocità? Si perchè:

〈u|u〉 = c2 =⇒ 〈p|p〉 = m2c2 =⇒ (p0)2 = m2c2 +∑

(ph)2 (5.97)

L’energia è qundi definita come:

E = cpo = mc2√

1 +|−→p |m2c2

(5.98)

Per il caso Non relativistico posso pensare che |v| c cioè |p| mc quindil’argomento della radice posso pensarlo come un

√1 + E quindi sviluppabile in

serie di Taylor:

E = mc2

[1 +

12|p|2

m2c2− 1

8|p|4

m4c4+ o

(|p|4

m4c4

)](5.99)

Cioè che mi interessano sono le variazioni di energia quindi il termine con mc2si toglie e rimane la solita espressione dell’energia cinetica che ben conosciamo:

∆E =12|p|m

=⇒ 12m |−→v |2 (5.100)

Ma se noi siamo interessati alla dinamica per esempio del campo elettroma-gnetico, allora siamo costretti a pensare di dover lavorare con oggetti la cuimassa ha valore nullo. Se condiseriamo m = 0 possiamo facilmente vedere chenon possiamo più metterci in una condizione non relativistica perchè l’unicavelocità accessibile per oggetti di questo tipo è solo c.

m = 0 =⇒ 〈p|p〉 = 0 (5.101)

allora il tetramomento vrà diverse distinzioni in funzione a 〈u|u〉:

• Se 〈u|u〉 > 0 abbiamo un tetramomento di tipo TEMPO;

• Se 〈u|u〉 = 0 abbiamo un tetramomento di tipo LUCE;

• Se 〈u|u〉 = 0 abbiamo un tetramomento di tipo SPAZIO;

e abbiamo sempre che se x0 = 0 =⇒〈x|x〉 = − |−→x | < 0.Se m = 0 po = |−→p | E = c

√px2 + py2 + pz2

Da cui ottengo insesorabilmente: v = c−→p|−→p | quindi l’unica velocità accessibile

per una particelal di massa nulla è c Se ho un vettore di tipo tempo tale che〈u|u〉 > 0 riesco a trovare una trasformazione di lorentz tale che mi annullitutte le componenti spaziali? Si è possibile

〈u|u〉 > 0 tale che u′k = 0 〈u|u〉 = (u0)2 (5.102)

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64 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

Altro torema importante per i vettori di tipo spazio è il seguente:

TEOREMA:∃ semplre una trasformazione di Lorentz (A)µν tale che un tetravettore di tipospazio si possa scrivere come :

〈u|u〉 < 0 ottengo che u′0 = 0 〈u|u〉 = −∣∣∣−→p′ ∣∣∣2 (5.103)

per un teetravettore di tipo Luce con m>0 posso effetturare le usuali trasfor-mazioni di Lorentz per esempio per mettermi nelle condizioni in cui:

(A)µν :−→p′ = 0

−→v′ = 0 p′0 =

E

c(5.104)

la trasformazione è semplice. Ma se m=0,on riesco più a trovare una condizionedel genere. la mia particella, non è in quiete rispetto a nessun sistema diriferimento ma ha sempre velocità c.

5.6.4 La struttura della TetraforzaAnalizzando la struttura della tetraforza possiamo notare che:

dpµ

dτ= fµ 〈f |u〉 = 0⇐⇒ 〈u|u〉 = c2 (5.105)

Quello che ci proponiamo di fare è di analizzare il legame tra tra tetraforza ela velocità, supponiamo che ci sia un legame lineare, poi si potrà notare chequesto tipo di legame è l’unico che mantiene il formalismo Lagrangiano.Siano u, f ∈ V 4 studiamo la famiglia degli isomorfismi :V 4 → V 4. Assegnatauna base eµ di V 4 le applicazioni lineari saranno:

F (eν) = Fµν eµ (5.106)

se prendo un u ∈ V 4:

F (u) = uνF (eν) = uνFµν eµ =⇒ F (u)µ = uνFµν (5.107)

Se effettuo un cambio di base ottengo che:

e′ν = γµν eµ

u′µ = γµν uν (5.108)

PASSO POCO CHIARO:

F ′µν = γλν aµσF

σλ =⇒ fµ = uνFµν (5.109)

5.7 Costruzione delle basi dell’elettromagnetismoPer definire la tetraforza in questo ambito è necessario introdurre il concettodi carica, secondo la forza di lorentz:

fµ(x) = e [uνFνµ(x)] (5.110)

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5.7. COSTRUZIONE DELLE BASI DELL’ELETTROMAGNETISMO 65

per far tornare tutte le grandezze ed unità di misura definisco la tetraforzaelettormangnetica come la scrittura precedente divisa per c. Alcune considera-zioni importanti sui legami che si sono tra le varie componenti, possiamo farleanalizzando la scrittura:

〈f |u〉 = 0 (5.111)

da cui si ottiene:

〈f |u〉 = fµgµλuλ = uνFµν gµλu

λ = 0 (5.112)

Ottengo una scrittura degna di nota, che mi identifica il campo elettromagne-tico nella sua forma tensoriale:

Fµλ = Fµν gµλ (5.113)

Sostuitendo nello sciluppo del prodotto scalare ottengo:(uνFνλu

λ = 0)

=⇒ Fνλ = −Fλν (5.114)

Dimostro che se vale uνFνλuλ = 0 allora vale Fνλ = −Fλν :

12(uνFνλu

λ + uλFλνuν)

=12uνuλ (Fνλ + Fλν) = 0 (5.115)

Ora mostraimo la legge di trasformazione del tensore di campo, che è una tipicatrasformazione di base di un tensore di rango due.

F ′νλ = γµν γσλFµσ (5.116)

Dato il tensore di campo vado a vedere come è fatta la tetraforza:√1− v2

c2fh(x) = Fh(x) =⇒ d−→p

dt=−→F (x) (5.117)

La tetraforza si trasforma con la solita legge di trasformazione:

f ′µ = uµFµν (5.118)

In riferimenti lorentziani questo diventa:

Fµ′

ν (x)g′µλ = F ′νλ(x) =⇒ Fλ′

ν (x)og′λλ= Fνλ(x) (5.119)

Fλ′

ν (x) =Fνλogλλ

(5.120)

Conogλλ= 1 se λ = 0 e −1 altimenti. Nel caso elettromagnetico la matrice del

tensore di campo è fatta nel segunete modo:

Fνµ =

0 −Ex −Ey −EzEx 0 Bz ByEy −Bz 0 BxEz −By −Bx 0

(5.121)

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66 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

Data la matrice di campo ora posso scrivere tutte le grandezze elettromagne-tiche: √

1− v2

c2fh(x) = Fh(x) (5.122)

dove:

fµ =e

c

∑uνFµν (x) =

e

c

∑uνFνµgµν

(5.123)

L’espressione della forza di Lorentz diventa quindi:

−→F =

e

c

c√1− v2

c2

·√

1− v2

c2−→E (−→x , t) (5.124)

−→F = e

(−→E +

1c−→v ×

−→B

)(5.125)

5.8 Il tetrapotenziale eletteomagneticoOra suppngo che al mio campo tensoriale Fνµ sia associato un potenziale vettore−→A tale che:

Fνµ(x) =∂Aµ(x)∂xν

− ∂Aν(x)xµ

(5.126)

Si può dimostrare che la scruttura appena scritta soddisfa l’equazione differen-ziale:

∂Fµν∂xλ

+∂Fνλ∂xµ

+∂Fλµ∂xν

= 0 (5.127)

E’ facile verificarlo, infatti basta sostituire l’espressione 1.126 nella 1.127 eottengo:

∂2Aµ∂xν∂xλ

− ∂2Aν∂xµ∂xλ

+∂2Aλ∂xµ∂xν

− ∂2Aµ∂xλ∂xν

+∂2Aν∂xλ∂xµ

− ∂2Aλ∂xν∂xµ

= 0 (5.128)

ed è facile vedere che tutto si elide in qanto vale il torema di swartz per lederivate incrociate.Sapendo che il tensore che descrive il mio campo elettromagnetico è fatto come1.121 allora è facile trovare le leggi di Maxwell basta sostituire le espressioni diprima:

∂F1,2

∂x3+∂F2,3

∂x1+∂F3,1

∂x2= 0 (5.129)

cioè:

div−→B = 0 (5.130)

ciclando con µ = 0 , ν = 1 e ρ = 2 ottengo le componenti del rotore di−→E :

∂Ey∂x− ∂Ex

∂y= −1

c

∂Bz∂t

(5.131)

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5.9. LE EQUZIONI DI MAXWELL CON SORGENTE 67

ciclando per tutte le componenti ottengo:

rot(−→E )z = −1

c

∂Bz∂t

(5.132)

allora

−→E = −∇V − 1

c

∂−→A

∂t(5.133)

−→B = rot(

−→A ) (5.134)

5.9 Le equzioni di Maxwell con sorgenteper avere una descrizione compledta della dinamica del campo elettromagneticovariabile è necessario far rientrare nelle equazioni delle onde, le sorgenti comecariche e densità di correnti. Il tutto può essere formalizzato dicendo:∫

ω

d2xρ(−→x , t) = qω(t) (5.135)

Questa scrittura è assolutamente continua secondo la misurara di lebesgue,allora posso formalizzare il tutto:

dqω(t)dt

= −∫σω

−→n dσ−→j (−→x , t) = −∫ω

d3x div(−→j (−→x , t)) (5.136)

risolvendo si ottiene:

∂cρ(x, t)∂t

+∂jh(x, t)∂xh

= 0 (5.137)

Che è la legge di continuità della quantità di carica. Le componenti dellatetradensitàdicorrente sono:

jµ(x) =

j0(x) = cρ(x)jh(x) per h:=1,2,3 (5.138)

∂jµ(x)∂xν

= T νµ (x)

∂ρ(x, t)∂t

= −div(j) (5.139)

integrando:

qω(t) =∫ω

ρ(x, t)d3x =⇒ dω(t)dt

= −∫σ(ω)R

dσ 〈−→j |−→n 〉 (5.140)

Se R → +∞ =⇒La sorgente descresce con un grado di 1r2 ma j è va a zero

ancora più velocemente di 1r2 allora questo mi dice che se il campo è asintotico

j → 0 abbastanza regolarmente da far tendere a zero anche tutto l’integrale,ottenendo:

dQ

dt= 0 (5.141)

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68 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

Che è la legge di conservazione della carica.Ora posso considerare

−→j → o

(1|r2|

)per |−→x | → +∞ penso a j e ρ come due

tetravettori allora posso scrivere le componenti di j

jµ(x) =

j0(x) = cρ(x)jh(x) per h:=1,2,3 (5.142)

e quindi per la conservazione di carica:

∂jµ(x)∂xµ

= 0 (5.143)

In un altro sistema di riferimento avrò ancora la stessa legge che però saràscritta in funzione alla trasformazione di lorentz come:

∂j′µ

∂x′µ= 0 =⇒ j′µ = aµν j

ν(x) (5.144)

quindi quella appena scritta è una legge di variazione della densità di carica infunzionealal trasformazione di lorentz. in particolare le densità si trasformanocon la legge tipica:

j′0 = a0νjν(x) (5.145)

quindi deduco che j′0 6= 0 quindi in un conduttore in moto c’è un fenomeno dimagnetizzazzione.

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Appendici

69

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70 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

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Un altro modo di vedere letrasfomate di Lorentz

partendo da alcuni postulati assiomatici si può comunque arrivare a risultatidi notevole interesse:

5.10 ASSIOMI DELLA RELATIVITA’

Assioma sui sitemi inerziali:Esistono dei sistemi di riferimento che diciamo inerziali, aventi la proprietà ca-ratteristica che i copri non soggetti a forze si muovono rispettivamente ad essidi moto rettilineo uniforme. In sostanza i sistemi di riferimento Localmenteinerziali (che sono quelli che vengono usati nello sviluppo della teoria della re-latività speciale) sono sistemi in cui è paricolarmente semplice innescare motirettilinei uniformi.

Assioma di relatività:Tutti i sistemi di riferimento localmente inerizali che noi andiamo a conside-reare sono sullo stesso piano di importanza, nessuno è privilegiato rispetto aglialtri.

Grande assioma di costanza della velocità della luce:La velocità della luce ′′c′′ è costante per qualsiasi osservatore su un genericosistema di riferimento K. Quindi Osservatori diversi in sistemi di riferimentolocalmente inerziali differenti (K, K’) osservano il propagarsi delle onde elet-tromagnetiche nel vuoto con la medesima velocità limite ′′c′′. Questo principioquindi non coinvolge più soltanto gli aspetti meccanici del sistenza ma da in-formazioni precise anche sulla propagazione delle onde elettromagnetiche.

5.10.1 Deduzione delle trasformazioni di Lorentz

Posti questi assiomi diventa interessante studiare le leggi di trasformazione dicoordinate che sussistono tra i vari sistemi di riferimento localmente inerziali.Viene spontane considerare come legge di trasformazione base una affinità,

71

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72 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

quindi una trasformazione lineare (L) del tipo:

L =

t′ = at+ bxx′ = ct+ dx

(5.146)

Imporre il fatto che la legge di trasformazione deva soddisfare una legge lineareè indotta dalle condizioni in cui stiamo lavorando. Abbiamo a che fare contutti sistemi di riferimento localmente inerziali, quindi moti rettilinei devonoessere mandanti in moti rettilinei, o da un punto di vista geometrico, rette nellospazio K devono essere mandate in rette nello spazio K’, quindi questo gisutificain modo sommario, la scelta di prendere come trasformazione generale una ditipo lineare. Poi uso il principio di costanza della metrica relativistica, infatti ilprodotto scalare 〈X0|X0〉 = 0 = c2t2−x2 questa metrica è idotta dall’obiettivodi far rimanere invariate le equazioni di Maxwell. In modo particolare, noivogliamo scrivere una legge di trasfomazione tale che farria rimanere inalteratele onde luminose. Onde luminose sferiche, devono essere mandate in ondeluminose sferichè. Da un punto di vista dello spazio tempo, significa che il conodi luce dello spazio K viene mandato in un cono di luce PROPORZIONALE,nel sistema K’. Matematicamente vuol dire che:

· c2t2 − x2 = φ(t)[c2t′2 − x′2] (5.147)· [c2t2 − x2]φ(t)−1 = c2t′2 − x′2 (5.148)· [c2t′2 − x′2]φ(t)−1 = c2t2 − x2 (5.149)

da cui si deduce:

φ(t) = φ(t)−1 =⇒ [φ(t)]2 = 1 dato che φ(0) = 1 per continuità considero φ(t) = 1

quindi:

c2t′2 − x′2 = c2t2 − x2 (5.150)

Nonostante siano passaggi banali sono stati applicati delle idee molto paritico-lari. Per passare dalla formula 1.3 alla 1.4 è stato usato il principio di relativitàper cui un sistema di riferimento loc. inzerziale è equivalente a tutti gli altri.Quindi non essendoci un sistema privilegiato, ho potuto scambiare gli indici emette primata la metrica applicata all’antitrasformazione.

Deduzione delle trasformazioni di lorentz:Cme detto prendo la mia trasfomazione lineare L :

L =

t′ = at+ bxx′ = ct+ dx

(5.151)

L’invarianza della metrica mi dice che:

t′2 − x′2 = 0 (5.152)

quindi:

· t2(a2 − c2)− x2(d2 − b2) + 2tx(ab− cd) = 0 (5.153)· =⇒ (a2 − c2) = 1 ; (d2 − b2) = 1 ; (ab− cd) = 0 (5.154)

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5.11. LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO 73

Noto che le condizioni scritte sopra, specie la prima e la seconda, sono restizioneindicate da una iperbole nel piano cartesiano. Per parametrizzare qeuste curvequindi potrebbe essere conviente usare la seguente formula di immersione:Dalla prima e dalla seconda ci dicono che eistono due angoli α e β per cui èpossibile effettuare questo cambio di variabili:

a = coshαc = sinhα

d = coshβb = sinhβ (5.155)

Mentre la seconda pamaterizzazione potrebbe essere:a = − coshαc = sinhα

d = − coshβb = sinhβ (5.156)

Considero la paraemtrizzazione con i segni positivi e verifico che ottengo letrasformazioni di lorentz. Dalla terza condizione (ab− cd) = 0 ottengo che:

coshα sinhβ − sinhα coshβ = sinh(α− β) = 0⇐⇒ α = β (5.157)

Sostituisco ora la parametrizzazione 1.10 nella forma della trasformazione li-neare 1.6:

t′ = (t coshα+ x sinhα) = coshα (t+ x tanhα) = t−xv√

1−v2x′ = t sinhα+ x coshα = coshα (x+ tanhα) = x+tv√

1−v2

Nota: interpretando tanhα = −v otteniamo il tutto. Questa interpretazione èdovuta al fatto che: v è la velocità di traslazione di K’ rispetto a K. Ma la lineadi base dello spazio K’ è x=0 che viene vista nell’altro sistema (stando alletrasformazioni di lorentza appena trovate) nelle coordinate x = (− tanhα)t.Ma questa retta deve coincidere nell’altro sistema di riferimento ad un motorettiline del tipo x=vt , da ciò l’interpretazione di tanhα = −v quindi:(

t′

x′

)= γ

(1 −v−v 1

)(tx

)(5.158)

Da cui:

L =

t′ = γ(t− vx)x′ = γ(x− vt)

y′ = yz′ = z

(5.159)

L rappresenta la forma escplicita delle trasformate di lorentz speciali. OppureL viene definito il boost di lorentz lungo l’asse x

5.11 LAMETRICA PSEUDOEUCLIDEA NEL-LO PSAZIO TEMPO

La metrica discende discende dalla nozione di distanza e di angolo. Infattidei primi rudimenti di metrica possono essere posti fissando una distanza e unangolo quindi un prodotto scalare:

〈x|y〉 = ||x|| ||y|| cosϑ (5.160)

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74 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

ma possiamo anche partire dalle definizioni di prodotto scalare come una ap-plicazione g : V × V → R

1. Bilineare;

2. 〈x|x〉 = ||x|| ≥ 0 ed è nullo ⇐⇒x = 0;

3. Se 〈x|y〉 = 0 =⇒x⊥y ;

Di particolare interesse nella metria dello spazio tempo è quello di considerareuna base del nostro spazio-tempo che sia ortonormale quindi:

g(ei, ej) = δi,j (5.161)

Il prodotto scalare che rappresenta la metrica nello spazio-tempo non è definitopositivi, ma ha indice di inrzia r=1 , ha autovalori tutti negativi tranne 1 e hasegnatura del tipo + , - , - , -. La matrice rappresentativa del prodotto scalareè:

G =

1 0 0 00 −1 0 00 0 −1 00 0 0 −1

(5.162)

5.11.1 Vettori di tempo tempo - spazio - luceIl prodotto scalare definisce una matrica nello spazio tempo. Se dobbiamomisurare una lunghezza nello spazio tempo allora:

〈−→x |−→x 〉 = c2t2 −−→l 2 (5.163)

dove−→l 2 = x2+y2+z2 il luogo dei punti per cui l2 = c2t2 è quello che costruisce

il cono di luce. Quindi tutti i vettori per cui è vera qeusta condizione si diconovettori di tipo luce. I vettori di tipo tempo e spazio inceve si distinguonoper il fatto che nel primo caso s2 > 0 quindi c2t2 − l2 > 0 mentre quellidi tipo spazio : c2t2 − l2 < 0. Vettori di tipo tempo e spazio hanno dellepropeità interessanti, per esempio, per ogni vettore di tipo tempo esiste sempreun sistema di riferimento in cui il vettore presenta solo la componente temporalee annulla quella spaziale, così per il vettori di tipo spazio, esiste sempre unsistema di riferimento in cui la componente temporale è nulla e rimangono soloquelle spaziali. 6

6Immaginare che sistemi di riferimento con queste proprietà esistano sempre per ognivettore di tipo tempo e spazio è abbastanza intuitivo. Secondo le leggi di trasformazionedi lorentz gli assi del sistema in muovimento K’ vengono visti dal sistema K come inclinativerso la bisettrice del primo quadranti di un certo angolo α legato alla velocità v del sistemaK’. Quindi per un vettore di tipo tempo, basta scegliere il sistema K’ in modo tale cheabbia una velocità adeguata che la distorsione delll’asse t passi sopra al nostro vettore, inquesto modo il vettore in quel sistema di riferimento ha ovviamente compomenti spazialinulle, stesso discorso per i vettori di tipo spazio solo che il ragionamento viene fatto al sottola bisettrice. In questo modo scegliendo la velocità del sistema mobile K’ posso annullarecomponenti spaziali di vettori timelike e componenti temporali di vettori spacelike. Tuttoquesto ragionamento viene notevolmente semplificato se il lettore fa un piccolo disegnino dicome il sitema mobile compare nel sistema fisso, scegli un vettore di tipo tempo, e scegli vin modo tale che la distorsione dell’asse ct sia tale da intersecare il punto di applicazione delvettore

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5.11. LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO 75

5.11.2 Trattazione della particella libera in ambito rela-tivistico

La lagrangiana in abito relativistico, a questi livelli consideriamo di postularla.Per fattori di simmetria postuliamo che la nostra lagrangiana della particellalibera sia:

L = −mc2√

1− v2

c2(5.164)

trovo il momento coniugato:

p =∂L∂

.q

=mv√1− v2

c2

(5.165)

Prendo l’espressione dell’energia generalizzata di Jacobi:

E = p · v − L =mv√1− v2

c2

· v +mc2√

1− v2

c2= mc2γ (5.166)

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76 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

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Calcolo Tensoriale

Sia V 4 Lo spazio tempo caratterizzato con la seguente segnatura: V 4(+−−−).Di notevole importanza sono le applicazioni lineari da V → R che possonorappresentare grandezze fisiche continui in intorni di V 4. A questo punto èinteressante andare a studiare anche il duale di V, che solitamente viene indicatocome V ∗ cioè l’insieme di tutti i funzionali lineari su V .Dato F ∈ V ∗ e data una base eh in V, f è univocamete identificato:

fh = f(eh) per h = 1, 2, · · · , n (5.167)

Per un u ∈ V avremo che:

f(u) = fhuh (5.168)

E’ subito intuitivo stabilire una base di V ∗ che sarà costituita dai funzionalilineari ∼eh tali che:

∼eh (ek) = δh,k (5.169)

Gli elemnti di u ∈ V vengono detti Vettori Controvarianti mentre gli elemntif ∈ V ∗ sono detti Vettori Covarianti, uh e fh sono le componenti di questivettori una volta fissata la base (eh). Cambiando la base con una trasformatadi lorentz otteniamo che le componenti cambiano seguendo la tipica legge dicambio di base:

e′k = γhk eh (5.170)

sapendo che f ′k = f(e′k) ho che :

f(e′k) = γhk fh (5.171)

poi le u si trasformeranno con la solita legge:

u′k = akhuh (5.172)

con Γ = (AT )−1 I vettori della base del duale si trasformano in modo analogocon la matrice di trasformazione:

∼e′k= γνk

∼eν (5.173)

Le applicazioni si trasformano nell’usuale modo:

f(e′h) = f ′µ = γνµfν (5.174)

77

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78 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

Le basi del duale si possono dare nel seguente modo una volta fissate quelle suV 4

∼eµ∈ V ∗ =⇒∼e

µ(eν) = δµ,ν = δµν (5.175)

f = fµ∼eµ⇐⇒ f(eν) = fν (5.176)

Per vedere bene il legame di V col suo duale possiamo analizzare la scrittura:

〈u|v〉uhgh,kvk (5.177)f(v)(u) = 〈v|u〉 = vσgσλu

λ = f(v)λ = vσgσλ = f(eλ) (5.178)

quindi note le componenti dell’elemento v, posso costruire il funzionale lineare.

5.11.3 notazioni del tensore metrico inverso

(G)µν = gµν (5.179)(G−1)µν = gµν (5.180)

Questa è la tipica notazione:

vσ = gσλvλ (5.181)

L’indice sotto identifica un funzionale lineare quindi una componente covarian-te, mentre l’indice in alto identifica una componente controvariante quindi unvettore di V 4. Ora analizzando il prodotto scalare si può notare che:

〈v|u〉 = vσgσλuλ = f(v)(u))Vλuλ (5.182)

ma possimao vedere anche con le componernti covarianti:

Vλu = V σgσλ = V σuσ (5.183)uσ = gσλuλ =⇒ 〈v|u〉 = Vσg

σλuλ (5.184)

Dove la matrice gµν è definita come:

gµν =(

1 00 1

)=o

G=o

G−1

(5.185)

5.11.4 Applicazioni multilineariSe sono nel caso di avere una funzione di più variabili u1, u2, · · · , uN alloraentra in gioco il concetto di applicazione MULTILINEARE che verrà chiamataTENSORE. Fissata la base in V (spazio dei miei vettori controvarianti) alloradefinisco il mio funzionale multilineare come:

f(u1, · · · , un) = Th1,··· ,hnuh11 · · ·uhnn (5.186)

Le componenti del tensore f sono date dalla seguente matrice:

Th1,··· ,hn = f(e1, · · · , en) (5.187)

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5.11. LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO 79

se effettuo un cambio di base:

T ′µ1···µn = γν1

µ1· · · γν

n

µnfν1,··· ,νn (5.188)

questa è la tipica legge di trasformazione dei tensori covarianti di rangoquattro .Ora supponiamo sia data l’applicazione V φ−→ R V è il mio spazio tempo allorapreso un x ∈ V ho che x 7→ φ(x). Fissata la base in V eµ allora posso fareuan serie di considerazioni:

x = xµeµ =⇒ φ(x0, x1, x2, x3) =⇒ φ : R4 → R (5.189)

Se cambio la base e passo ad un riferimento comunque lorentziano ottengo che:

x = x′µe′µ =⇒ φ′(x′0, x′1, x′2, x′3) = φ0(x0, x1, x2, x3) (5.190)

la base si trasforma e diventa e′µ = γµν eν quindi le coordinate si trasformano

di conseguenza: x′µ = aµνxν per funzioni a più variabili non è così banale il

cambio di base, è molto complicato. Però fissata la base in V 4 questo videntaisomorfo a R4 quindi potrei scrivere:

(A−1)λσx′σ = (A−1)λν(A−1)νµxµ = xλ (5.191)

Da cui:

φ′(x′0, x′1, x′2, x′3) == φ′

((A−1)0νx′ν , (A−1)1νx′ν , (A−1)2νx′ν , (A−1)3νx′ν

)=

= φ(x0, x1, x2, x3) (5.192)

5.11.5 Analizzando le sue derivateVediamo ora come risultano scritte le derivate parziali:

∂φ′(−→x )∂x′λ

=∂φ(−→x )∂xν

∂xν

∂x′λ=∂φ(−→x )∂xν

(A−1)νλ = (A−1)λν∂φ(−→x )∂xν

=∂φ′(x′)∂x′λ

Se il campo ammette potenziale scalare le derivate parziali identificano lecomponenti covarianti di un campo vettoriale:

T ′µ(x′) =∂φ′

∂x′µ=

∂φ

∂xν(A−1)νµ = γνµ

∂φ

∂xν= γνµTν = T ′µ(x′) (5.193)

questo risultato è concorde col fatto che:

dφ = Tν(x)dxν (5.194)

PEZZO OSCURO:é indipendente dalla base scelta e le dxν sono le componenti controvarianti diun vettore (?). Più in generale le derivate di un campo tensoriale rispetto a xµda luogo ad un nuovo tensore corredato da un ulteriore indice µ di covarianza(?...ma non era controvariante)per uan questione di notazione dico:

φ(x)/ν =∂φ(x)∂xν

(5.195)

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80 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

allora se scrivo:

φ′(x′)/λ = γνλφ(x)/λ (5.196)

Se prendiamo un esempio di campo tensoriale molto simile a quello usato perdescrivere il campo elettromangetico:

Tν1,ν2,··· ,νk(x) (5.197)

7 Il tensore si trasforma segunedo la tipica legge di trasformazione:

T ′ν1,··· ,νn(x) = γµ1ν1 · · · γ

µkνkTµ1,··· ,µk(x) (5.198)

Rifacendo gli stesso passaggi fatti per il campo scalare:

T ′ν1,··· ,νk/λ(x′) =∂T ′ν1,··· ,νk(x′)

∂x′λ= γµ1

ν1 · · · γµkνkTµ1,··· ,µk/σ(x) (5.199)

I cambi di coordinate sono dei diffeomorfismi quindi nel caso generale tensorialela descrizione è molto complicata. Qiuello appena visto vale solo per basilineari. Allora posso scrivere la relazione tra V e V ∗ che risulta:

Fµνgµσgλν = Fσλ (5.200)

5.12 Il tensore di Levi-Civita e flusso Q.D.M.

Il tensore di levi civita è un simbolo matematico usato nel calcolo tensoriale conlo scopo di alleggerire la notazione. La sua definizione completa è la seguente:

εijlmno.. =

1 Per permutazioni pari di 1 2 3 4 5 ...−1 Per permutazioni dispari di 1 2 3 4 5 ...

0 Se due o più indici sono uguali(5.201)

noi analizzeremo solo per il caso a tre indici. In questo caso particolare, quel-lo più usato nella meccanica del continuo, possiamo vedere delle interessantiproprietà:

εijlAhiAkjAml = det(A)εhkm (5.202)

da cui si ricava che :

det(A) =εpqrεijlApiAqjArl

6(5.203)

Relazioni di Kronaker per un indice condensato:

εijlεlkm = εijlεkml = (δikδjm − δimδjk) (5.204)

Relazione di Kronaker per due indici condensati:

εijlεkjl = (δikδjj − δijδjk) = 3δik − δjk = 3δik − δik = 2δik (5.205)

7che è molto simile al tensore di rango due Fµν(x) usato nel campo elettromagnetico

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5.13. TENSORE DI FLUSSO DI QUANTITÀ DI MOTO 81

Relazione di Kronaker per tre indici condensati:

εijlεijl = (δiiδjj − δijδji) = 9− 3 = 6 = 3! (5.206)

Teorema: Sia A matrice generica e sia φ un parametro infinitesimale, allora:

det(1+ φA) = 1 + φTrA (5.207)

Proof.

det(1+ φA) =16

[εijlεhkm(δih + φAih)(δjk + φAjk)(δlm + φAlm)] =

=16εijlεhkm[δihδjkδlm + φ(δihδjkAlm + δihAjkδlm +Aihδjkδlm)] =

=16εijl[εijl + φ(εijmAlm + εiklAjk + εhjlAih) =

=[1 + φ

(δlm3Alm +

δjk3Ajk +

δih3Aih

)]= 1 + φTrA (5.208)

5.13 Tensore di flusso di quantità di moto

Supponendo di aver dimostrato la relazione per le derivate sostanziali ottengoche :

∂t(ρf) + div(ρf−→v ) = ρ

DfDt

(5.209)

∂t(ρvi) + ∂j(ρvivj) = −∂ip+ pgi (5.210)

∂t(ρvi) + ∂j(ρ[vivj +

p

ρδij ]) = pgi (5.211)

definisco la grandezza :

Πij = vivj +p

ρδij (5.212)

5.14 Leggi di trasformazione

Un vettore polare, in un sistema di riferimento ortogonale si trasforma con laseguente legge:

X ′i = RihXh (5.213)

Allor stesso modo si può notare che un tensore di rango 2 passando dal sistemadi rifentimo R a R’ (in cui i sistemi sono strettamente ortogonali) le componentidi matrice si trasfomano con l’usuale legge:

T ′ij = RihRjkThk (5.214)

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82 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

mentre un tensore di rango 3:

T ′ijl = RihRjkRlmThkm (5.215)

e così per qualunque tensore di rango superiore che si trasforma da un sistemaortogonale ad un altro. Queste leggi di trasformazione sono essenziali perchèdato un oggetto che ancora non è ben identificato, osservando la sua legge ditrasformazione possiamo classificarlo come tensore. Quindi da ora in poi defi-niremo tensore un qualunque oggetto geometrico che si trasforma con la leggesopra esposta.Possiamo introdurre ora il concetto di prodotto tensore. Definire in modo ge-nerico il concetto di prodotto tensore è molto complicatoe qui di seguito, percompletezza, se ne darà solo un accenno. Partiremo con la trattazione delproblema banale della trasformazione del tensore T ij inteso come T ij = uivj

applicando la legge di trasformazione dei tensori di rango due se effettivamente(come poi si noterà) il tutto si trasforma con quella legge allora è possibile in-tuire l’esistenza di un’operzione tensoriale che chiamiamo prodotto tensoree che ha la propeità tale che:

Sia T tensore a m indici e Γ un tensore a n indici, allora: T ⊗Γ è un tnesorea n+m indici

DEFINIZIONE:CASO GENERALE: Siano V e W due spazi vettoriali generici. Definiscoquindi prodotto tensoriale tra lo spazio V e lo spazioW la coppia (V ×W,⊗)dove ⊗ è un’applicazione bilineare tale che, data una qualsiasi separazione deltipo: · : V ×W → L deve esistere un unico isomorfirmo ϕ : (V ⊗W )→ L cioè

V,W : dim(V ) = n dim(W ) = m

=⇒ Se (V ×W,⊗) : ∀ V ×W ∃! φ : v · w = φ(V ⊗W ) Allora:(V ×W,⊗) è prodotto tensore e la dimensione dello spazio è n+m

Si può mettere in evidenza che il fatto che lo spazio definito da (V ×W,⊗) haeffettivamente dimensione n+m ed in più si può mettere in luce meglio il ruoloche ha l’unicità dell’isomorfismo ϕ, ma dato che è solo un accenno ..... talerimane.

CASO BREVE-SEMPLICE Mi limito a lavorare in spazi generati da basiortonogonali quindi ho che le leggi di trasformazione sono date dalla usualegeometria:

x′i = Rijxj (5.216)

dove R è una matrice di rotazione ortogonale e quindi d’ora in poi i contisaranno semplificati tenendo conto che:

R−1 = Rt =⇒ RRt = 1 (5.217)

ma detR = detRt e per il th. di Binet det(RRt) = detR detRt = det1 cioè(detR)2 = 1 =⇒detR = ±1 Conosco la legge di trasformazione dei tensori dirango due:

T ′ij = RihRjkThk (5.218)

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5.14. LEGGI DI TRASFORMAZIONE 83

Ora definisco il mio tensore di rango due nel seguente modo:

Siano ui ∈ U e vj ∈ V : Tij = uivj (5.219)

come si trasforma questo oggetto ? Da un punto di vista morale mi aspetto cheun genrico tensore dato da: T ′′ij = u′iv

′j sia effettivamente T ′ij quindi svolgento

i conti:

T ′′ = u′iv′j = RihuhRjkvk = RihRjkuhvk = RihRjkThk = T ′ij (5.220)

quindi u ·v si trasforma nel modo usulae dei tensori ed in particolare raggiongola stesa definizione del tensore di partenza. Allora posso dire che:

Tij ∈ (U ⊗ V ) (5.221)

Questa definizione è bruttissima. E’ molto meglio quella del caso generale.

Regola del QuozienteSia vi ∈ V vettore e sia uj ∈ U vettore allora se vale:

vi = Tijuj ∀uj ∈ U =⇒ Tij è tensore di rango due

Proof: Parto sempre dalla legge di trasformazione:

vi = T ′iju′j (5.222)

tale che:

v′i = Rihvh u′j = Rjkuk (5.223)

allora:

vi = Rhiv′i = TijRkju

′k moltiplico per R−1

il (5.224)

R−1il Rniv

′i = R−1

il TijRkju′k (5.225)

Tenendo conto del fatto che: R−1il Rni = RliRni = RliRni = δln

δnlv′l = RliRkjTiju

′k =⇒ v′l = T ′lku

′k (5.226)

ma la relazione a cui siamo raggiunti : v′l = T ′lku′k deve valere per ipotesi per

ogni u ∈ U allora l’espressione T ′lk dovrà essere sempre possibile scriverla come:

T ′lk = RilRjkTij (5.227)

ma questa è la legge di trasformazione di un tensore di rango due. Allora Tijsotto le ipotesi inziali è sempre un tensore di rango due. q.e.d

La regola del quoziente è di fondamentale importanza nell’analisi tensoria-le. Infatti possiamo subito esplicitare una banale applicazione. Sfruttandosemplicemente il teorema appena esposto è intuitivissimo dimostrare che iltensore degli sforzi è effettivamente un tensore e ha rango due:

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84 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

Si può dimostrare il carattere isotropo della pressione, cioè definendo lo sforzoagente (quindi definendo la normale n) o lo sforzo subito (allora definendon = -n) si era arrivati a definire la seguente grandezza:

fi(−→x ,n) = fi(−→x ) (5.228)

quindi indipendente dalla direzione della normale. La grandezza fi che è unaforza di volume fu definita nel seguente modo:

fi(x,n) = σijvj (5.229)

dove sia definito il mio volume V e vj ∈ ∂V vettore genrico! Allora mi riconducoalle ipotesi del teorema del quoziente appena dimostrato. Ho fi che un vettore,e vi ∈ ∂V un vettore generico, allora per il teorema σij esiste ed è un tensoredi rango due. Lo definisco come Tensore degli sforzi

Tensori Simmetrici ed AntisimmetriciCome sempre partiamo dal presupposto che noi lavoriamo sempre in sistemi or-togonali, quindi aventi tutte le proprietà prima definite. Cercare delle relazionitensoriali, vuol dire cercare delle leggi di trasformazioni la cui forma riman-ga inalterata da un sistema di riferimento all’altro! Questo, in precedenza, ciha permesso addirittura di definire un tensore (in funzione alla sua legge ditrasformazione) e successivamente di calssificarne il rango. La regola del quo-ziente, che in precedenza è stata enunciata per tensori di rango due, è possibilegeneralizzarla a qualsiasi rango, quindi ecco perchè è importante avere delle re-lazioni invarianti nei vari sistemi di riferimento. Un modo diverso ed elegantedi affrontare questo problema sarebbe quello di effettuare le classificazioni inmodo astratto lavorando in modo generale come si è accennato nel primo casodi definizione del prodotto tensoriale.Qui di seguito definiamo un tensore simmetrico usando le leggi invarianti ditrasformazione:

S è tensore di rango due simmetrico se:

S′ij = RihRjkShk (5.230)

h e k sono indici muti e posso rinominarli a piacere. Effettuo questa rinomina-zione: h = k e k = h

S′ij = RikRjhSkh (5.231)

ora uso la simmetria di del tensore Shk per ritornare alla solita legge di trasfor-mazione

S′ij = RikRjhSkh = RikRjhShk = S′ji (5.232)

q.e.d.

S è tensore di rango due anti-simmetrico se:

Aij = −Aji (5.233)

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5.14. LEGGI DI TRASFORMAZIONE 85

Questa proprietà la si mette in evidenza come la precedente:

A′ij = RihRjkAhk = RikRjhAkh = −RikRjhAhk = −Aji (5.234)

q.e.d.

Avere a disposizione le definizioni di tensore simmetrico e antisimmetrico per-mette ora di raggiungere dei risultati di importanza rilevante. Per esempio diseguito è presentata la decomposizione di un tensore di rango due nelle suecomponenti simmetriche e antisimmetriche.

Sia T un tensore del secondo ordine, allora è possibile scrivere:

T = S + A (5.235)

dove S è un tensore del second’ordine simmetrico mentre A è anch’esso untensore del second’ordine però antisimmetrico. Questa decomposizione è uni-ca.

Proof:Possiamo notare che una decomposizione che funziona è la seguente:

Tij =12

[Tij + Tji] +12

[Tij − Tji] (5.236)

Dove la prima parte è simmetrica mentre la seconda parte rappresenta la parteantisimmetrica. Manca la dimostrazione che questa decompiosizione è unica.q.e.d.

Sia T un tensore del secondo ordine, allora è possibile decomportlo in par-te simmetrica , antisimmetrica più una parte isotropa rappresentata da untensore a traccia nulla:

Tij =12

[Tij + Tji −

23Tllδij

]+

12

[Tij − Tji] +13Tllδij (5.237)

Un tensore si dice isotropo se mantiene la stessa forma in qualsiasi siste-ma di riferimento.Proof:I tensori istropi sono quelli multimpli della delta di Kroneker quindi sia a scalareallora:

a(δij) = aRihδhkRjk = aRikRik = a(δij) (5.238)

q.e.d.

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86 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA

5.15 Spigazione del landau pagina 35

L =12mv2 (5.239)

S =∫ t2

t1

12mv2 dt =⇒ δS = pδq|t2t1+

∫ t2

t1

(∂L∂q− d

dt

∂L∂

.qi

)δq dt =

=∫ t2

t1

−m..−→x dt = 0 (5.240)

∫ t1

t2

m..−→x dt =

12m

.−→x |t1t2= 0 = assurdo per m<0 (5.241)