meccanica respiratoria e del polmone

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Lezione 34 Meccanica Respiratoria figura 1 Il polmone e la gabbia toracica li vedete schematizzati qua: questa fuori è la gabbia toracica, quello dentro è il polmone, ovviamente schematizzati. Quando si parla di meccanica respiratoria, per gabbia toracica non si intende solamente quella che conoscete dal punto di vista osseo e scheletrico (quella è lei), ma dal punto di vista funzionale includiamo nel termine tutto ciò che è l’involucro esterno del sistema respiratorio, quindi: la gabbia toracica nella sua struttura ossea, i muscoli intercostali e il diaframma. Quindi includiamo tutte quelle strutture che fanno parte di quell’involucro esterno che è la gabbia toracica, pensate alla gabbia toracica come una scatola esterna e dentro qui c’è il polmone. Le due strutture sono poste in serie, li c’è scritto che occupano lo stesso volume, in realtà non è esattamente vero che occupano lo stesso volume, la differenza tra i due consiste in uno spaziettino sottilissimo che è il cavo pleurico, il quale è uno spazio cosiddetto virtuale (definito virtuale per identificare uno spazio molto sottile), in realtà non è affatto virtuale, è occupato da un liquido, liquido 1

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Page 1: Meccanica respiratoria e del polmone

Lezione 34

Meccanica Respiratoria

figura 1

Il polmone e la gabbia toracica li vedete schematizzati qua: questa fuori è la gabbia toracica, quello dentro è il polmone, ovviamente schematizzati. Quando si parla di meccanica respiratoria, per gabbia toracica non si intende solamente quella che conoscete dal punto di vista osseo e scheletrico (quella è lei), ma dal punto di vista funzionale includiamo nel termine tutto ciò che è l’involucro esterno del sistema respiratorio, quindi: la gabbia toracica nella sua struttura ossea, i muscoli intercostali e il diaframma. Quindi includiamo tutte quelle strutture che fanno parte di quell’involucro esterno che è la gabbia toracica, pensate alla gabbia toracica come una scatola esterna e dentro qui c’è il polmone. Le due strutture sono poste in serie, li c’è scritto che occupano lo stesso volume, in realtà non è esattamente vero che occupano lo stesso volume, la differenza tra i due consiste in uno spaziettino sottilissimo che è il cavo pleurico, il quale è uno spazio cosiddetto virtuale (definito virtuale per identificare uno spazio molto sottile), in realtà non è affatto virtuale, è occupato da un liquido, liquido pleurico, il cui volume nei mammiferi con piccole variazioni è nell’ordine di 0.3 ml/Kg (quindi un soggetto di 70 Kg avrà circa 2 ml di liquido pleurico). Il liquido pleurico si trova in questa zona (rosa, ndr) all’esterno del polmone e all’interno della gabbia toracica formando uno spessore di circa 10 μm. E’ un elemento molto importante nella respirazione e tra un momento quando avremo capito il funzionamento di questo strano sistema respiratorio che c’è qui sulla cattedra capirete il perché. Il liquido pleurico viene filtrato dalla pleura parietale, sia da quella parietale toracica, sia da quella mediastinica e da quella diaframmatica, grazie alla solita legge di Starling (che abbiamo già visto per i capillari): le forze in gioco sono sempre quelle, idrauliche ed osmotiche che si generano tra i capillari che irrorano la pleura parietale e il cavo pleurico. Quindi la differenza di pressione che c’è tra i capillari che irrorano la pleura parietale e l’interno del cavo pleurico è a favore di una filtrazione del liquido. Questo liquido viene filtrato con un turn-over che è di circa 0.2-0.3 ml/h (quindi viene continuamente filtrato così come tutti gli altri liquidi interstiziali) e siccome il volume totale del liquido pleurico rimane uguale, il liquido filtrato

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deve essere riassorbito, ed è riassorbito dai linfatici che anche in questo caso funzionano come sistema drenante. I linfatici che drenano il liquido pleurico sono localizzati tutti sulla pleura parietale, non esistono sulla pleura viscerale, che invece è continua, non esistono stomi (i quali, vi ricordo sono quella specie di buchi attraverso cui il liquido interstiziale entra nel sistema linfatico) sulla pleura viscerale. Quindi abbiamo un volume molto ridotto di liquido qui intorno e il liquido è molto importante perché fa sì che il polmone e la gabbia toracica rimangano ben attaccati l’uno all’altro, ma non incollati, [attenzione, voi potete immaginare di incollare il polmone e la gabbia toracica, questo in effetti è un fenomeno che si nota, tra i mammiferi, solo nell’elefante: questo è l’unico tra i mammiferi ad avere il cavo pleurico parzialmente obliterato, quindi ad avere la pleura parietale parzialmente adesa alla viscerale. Questo comporta che non ci possa essere pressione tra la pleura parietale, cioè il torace, e il polmone. Se sono attaccate non possono scivolare le une sulle altre, infatti per l’elefante la maggior parte della ventilazione si basa sull’attività del diaframma. Quindi anche se c’è questa fusione, la respirazione si mantiene comunque]. Invece in tutti gli altri mammiferi di taglia inferiore la respirazione è sia diaframmatica sia a carico dei muscoli intercostali, quindi c’è anche un innalzamento delle coste e un’espansione in avanti. Durante l’attività respiratoria il polmone e la gabbia toracica scivolano continuamente l’uno sull’altro: quindi il liquido pleurico da una parte garantisce il fatto che le due superfici, quella interna del torace e quella esterna del polmone, rimangano il più vicino possibile, dall’altra consente alle due superfici di scivolare senza flessione le une sulle altre. Stavamo parlando del fatto che le due strutture occupano lo stesso volume, adesso sapete che è vero a meno di quello spazio sottile di 10 μm che c’è qui intorno (che ovviamente qui è stato esagerato per mostrarvi bene le due strutture), in realtà le variazioni di volume sono uguali.Ognuna delle due strutture esercita una pressione (questo è molto importante).Questo (figura 2, ndr.), è un modello di sistema respiratorio:

figura 2 (ndr)

abbiamo la gabbia toracica che è questa (=cilindro in vetro, ndr), questo piattello di gomma nera rappresenta il diaframma (che ha un pomello in modo che può essere mosso a simulare l’attività del diaframma), il palloncino verde che è dentro ovviamente è il polmone, quello intorno al palloncino verde dentro la gabbia toracica è il cavo pleurico. La grossa differenza di questo sistema rispetto al polmone reale è che nel cavo pleurico qui abbiamo dell’aria, in quello reale no. Perché è importante avere l’acqua e non l’aria? Perché adesso vedremo che l’attività inspiratoria è legata ad una serie di fasi che adesso vi propongo così vi faccio il quadro globale e poi andiamo a vedere nel dettaglio. Dal centro del tronco encefalico, che si chiama centro respiratorio parte una scarica di impulsi che tramite il nervo frenico va giù ad innervare il diaframma, che si contrae. Contraendosi il diaframma anche alcuni neuroni motori che vanno agli intercostali si eccitano, diciamo che si eccitano tutti i motoneuroni che innervano i muscoli inspiratori, questi vengono fatti contrarre, la gabbia toracica si espande in avanti e il diaframma va giù. Quando il diaframma va giù è come se questo (piattello di gomma nera del modello respiratorio, ndr) venisse fuori in qua. Ora nel momento in cui il diaframma scende, succede che il volume della gabbia toracica si espande, il volume del liquido

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pleurico tende ad espandersi, ma siccome per un gas e soprattutto per un fluido vale la legge PV=K, se il volume del liquido pleurico tende ad espandersi perché il polmone è lì fermo la gabbia toracica l’abbiamo espansa, quindi se ho il polmone e intorno la gabbia toracica e io espando questa la prima cosa che succede è che lo spazio in mezzo si espande, ma se si espande il volume del cavo pleurico la sua pressione diminuirà; se diminuisce la pressione intorno al polmone la pressione transmurale, che distende il polmone, aumenta e di conseguenza anche il polmone aumenterà di volume. Quindi la sequela è questa. Ora, la situazione è molto più complessa di così perché il polmone e la gabbia toracica hanno delle caratteristiche di elasticità e meccaniche diverse.Chiameremo Ppolmone la pressione esercitata dal polmone. Allora il polmone è come quel palloncino lì (verde, ndr) vedete che qui c’è un tappo che va messo in un buchino che c’è qua (vd figura 2, ndr), se lo chiudo ho un cavo pleurico chiuso (come è normalmente). Se io tengo la gabbia toracica aperta, tramite il buco, il palloncino è collegato tramite questo tubo che è aperto (vd figura 2, ndr) all’esterno; vedete che il palloncino ha dentro un certo volume di aria e però è floscio, non è espanso, perché dentro il palloncino la pressione è quella atmosferica, fuori dal palloncino è quella atmosferica perché la gabbia toracica è collegata con l’esterno, quindi la pressione transmurale che distende il palloncino è zero, non c’è nessuna pressione transmurale, quindi la nostra P (del palloncino-polmone) in questo caso è uguale a zero. Se però io adesso prendo la siringa e lo espando, faccio dentro la pressione positiva, fuori la pressione è zero; quindi ho che il palloncino è gonfio, ma è gonfio finché tengo premuto lo stantuffo della siringa, se stacco il tubo dalla siringa voi sapete già che il palloncino si svuota, se fosse il polmone diremmo che il polmone collassa. La pressione con cui il polmone tende a collassare viene chiamata pressione di recoil (recoil pressure) o pressione di retrazione. Il polmone è come il nostro palloncino, il volume del palloncino quando la pressione transmurale è uguale a zero costituisce il volume del palloncino quando lui è al suo punto di riposo meccanico, vuol dire che è lì a quel volume cui il palloncino tende ad andare. Punto di riposo meccanico vuol dire che la pressione transmurale è uguale a zero. La pressione di retrazione del palloncino Pp, la pressione che il polmone sviluppa, ha una direzione che è diretta verso il centro del palloncino, perché è una pressione che tende a sgonfiare il palloncino qualunque sia il volume a cui lo gonfiamo: se invece di gonfiare il palloncino poco lo gonfio di più, la pressione transmurale sarà più grande perciò sarà più grande la sua pressione di retrazione: lui vorrà scendere verso il suo valore di volume zero quasi più di prima, aumenta la pressione di retrazione. Allora quando si arriva ad un punto di riposo meccanico il palloncino ha quel volume lì, la gabbia toracica non ha lo stesso volume di riposo meccanico del palloncino. Se voi prendete una gabbia toracica isolata, questa ha un volume che dipende dalla conformazione ossea della gabbia toracica, non va a zero, ha un suo volume di aria dentro che voi potete aumentare se gonfiate aria dentro o diminuire se tirate via dell’aria. Quindi mentre il palloncino tende sempre ad andare al suo volume minimo, il polmone a collassate, invece la gabbia toracica no, ha una struttura meccanica diversa e ha un suo volume di riposo che è diverso, più elevato, di quello del polmone (come è identificato grossolanamente qua -figura 1, ndr-). La somma di gabbia toracica + il volume (?polmone?, ndr) compone quello che in fisiologia è chiamato sistema respiratorio, intendendo queste due unità elastiche. Quindi avremo una pressione del polmone, una pressione della gabbia toracica, e la pressione nella parete pleurica. Dobbiamo ricordarci bene queste 3 equazioni:

prima vi parlavo di pressione transmurale, che è la pressione che c’è dentro meno la pressione che c’è fuori. Dunque qui abbiamo due strutture messe una dentro l’altra, una è il polmone, l’altra è la gabbia toracica, allora capite che la pressione che distende il polmone, Pp, sarà la pressione che c’è dentro, che è la pressione alveolare, meno la pressione che c’è fuori, quella del cavo pleurico (Pp=Palv-Ppl);

invece la pressione che distende la gabbia toracica sarà la pressione che c’è dentro la gabbia toracica, cioè la pressione che c’è nel cavo pleurico, meno la pressione che c’è fuori che è la pressione barometrica (Pgt=Ppl-Pb);

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se adesso andiamo a vedere le due strutture insieme, siccome sono in serie, possiamo scrivere che Pp+Pgt=Palv-Ppl+Ppl-Pb. Le due Ppl se ne vanno, e allora vedrete che la pressione che distende il sistema respiratorio in toto è la Palv, perché la Pb la consideriamo sempre uguale a zero.

La pressione del polmone + la pressione della gabbia toracica, cioè quella che io ho chiamato pressione del sistema respiratorio, qui (in figura 1, ndr) è chiamata Ptot, è uguale alla Palv. La Palv può essere misurata a zero flusso a bocca chiusa dalla pressione esercitata alla bocca. Qui (espressione n.2, figura 1, ndr) possiamo scrivere che la pressione del polmone è uguale alla Palv meno la pressione che c’è fuori e quindi sostituendo questa espressione nella 1, cioè se al posto di Pp mettiamo Palv-Ppl otterremo che: se la Palv=0 intanto otteniamo questa roba qua (in blu, ndr) che è quella che abbiamo detto prima, ma attenzione a questa relazione, se dico che Pp=Palv-Ppl, se io ho Palv=0 allora Pp è uguale e contraria alla Ppl (Ppl=-Pp). Quando Palv=0? Quando non c’è flusso nelle vie aeree e la bocca è aperta: se io sto così (ferma a bocca aperta, ndr), non ispiro non espiro e apro la bocca quindi metto tutto il sistema in equilibrio con l’ambiente esterno, in questo caso Palv=0, quindi a vie aeree aperte e a zero flusso la Ppl è un indice della pressione di retrazione del polmone. Se invece la Palv≠0 allora possiamo dire che la pressione che c’è nel cavo pleurico è uguale alla pressione esercitata dalla gabbia toracica: guardate questa riga qua (in blu, ndr), Palv e Palv possono essere tolte e quindi possiamo dire che Pgt=Ppl. Quindi c’è un’eccezione che è il caso in cui Palv≠0 e allora Pgt=Ppl. Perché vi sto facendo queste cose complicate? Perché in meccanica respiratoria si può misurare la Ppl per avere un indice di qual è la pressione di retrazione del polmone oppure qual è il recoil della gabbia toracica. Si possono misurare se riusciamo a misurare la pressione pleurica, io posso fare delle manovre e in parte a come viene fatta questa manovra, cioè vie aeree aperte, zero flusso oppure pressione negativa o positiva nelle vie aeree con zero flusso, a seconda di come viene fatta la manovra io posso misurando la pressione pleurica avere un’indicazione sulla pressione di retrazione del polmone oppure sulla pressione sviluppata dalla gabbia toracica. Ma come si misura la pressione pleurica?

figura 3

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La pressione pleurica si misura con un palloncino esofageo, il quale è un palloncino, un affarino di lattice lungo un dito indice, è un palloncino allungato di lattice dentro il quale si mette un cateterino

sottile che viene collegato ad un tradsuttore di pressione. Il palloncino esofageo viene spinto nel terzo superiore del torace, primo terzo del torace, ovviamente nell’esofago, qui si risente della

pressione di retrazione sviluppata dal polmone, il polmone tende a ritrarsi e questa retrazione viene avvertita non soltanto sulla superficie del polmone che tende ad andare verso l’interno, ma su tutte

le strutture intratoraciche, compreso il cuore, compreso l’atrio destro. Vi ricordate quando si parlava di pressione atriale destra? Vi dicevo in circolo è uguale a zero ma può diventare anche negativa,

ecco è negativa perché in effetti la tendenza del polmone a collassare e la contemporanea tendenza della gabbia toracica ad espandersi fanno nel cavo pleurico una depressione che si chiama

depressione intrapleurica, cioè all’interno del cavo pleurico la pressione è negativa, è inferiore a quella atmosferica. Quindi, come vedremo, tiene espanso il polmone, molto importante (comincio a

darvi questo concetto che poi rivedremo molte volte). Il palloncino esofageo viene inserito o dal naso, ma fa un male dell’accidente, o dalla gola, lateralmente (in entrambi i casi fa vomitare); in questo modo collegando il palloncino ad un trasduttore di pressione si hanno le oscillazioni della

pressione intrapleurica.

figura 4

Ritorniamo al nostro palloncino: questo (figura 4, a zig-zag, ndr) è un palloncino, un soffietto e ne voglio aumentare il volume, voglio passare da V0 a V1, come faccio? Ho 2 possibilità per gonfiare il palloncino: 1) è prendere una siringa attaccarla ad un tubino, spingere lo stantuffo della siringa dentro il palloncino e il palloncino si gonfia perché all’interno io ho spinto dell’aria, ho creato una pressione positiva, la pressione transmurale è aumentata, quindi ho un aumento del volume legata al fatto che all’interno del palloncino c’è una pressione positiva e fuori dal palloncino ho una pressione zero, quindi la pressione transmurale è positiva e il palloncino si gonfia. 2) Un’altra possibilità, più complicata (ed è quella che ha scelto il sistema respiratorio dei mammiferi), è quella di avere intorno un box, una scatola rigida, cioè la gabbia toracica; lascio aperta la via, non metto nessun tubo, metto in comunicazione l’ambiente con l’esterno, dentro c’è zero fuori c’è zero, però

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attacco ad una siringa il mio box e aspiro l’aria dalla siringa, così creo una depressione nella scatola. Allora capite che in questo caso ho zero dentro, negativo fuori, 0-(-5) fa ancora +5, quindi in questi 2 esempi ho la stessa pressione transmurale e quindi il palloncino si gonfia aumentando dello stesso volume. L’ho fatto però in modo diverso: da un lato ho spinto con la siringa, ho fatto una pressione positiva dentro (fuori è zero), dall’altro invece ho lasciato che dentro la pressione fosse zero e fuori la pressione è negativa. Ora ve lo dimostro (esperimento pratico, ndr): questo è un rubinetto a 3 vie, ha una parte dove c’è lo stantuffino con scritto off, poi ha una via qui (verso l’interno del cilindro, ndr), una via qua (verso l’esterno del cilindro, ndr), se tengo il rubinetto in questa posizione il palloncino è collegato con l’interno della scatola, se io invece faccio così l’interno della scatola è collegato con l’esterno. Se io lo giro così il palloncino risente delle variazioni di pressione che ci sono nella scatola, allora guardate cosa succede. Così (non mettendo lo stantuffo, ndr) la scatola è aperta, per gonfiare il palloncino devo soffiare dentro, il palloncino (verde, ndr) si gonfierà un pochino perchè quando io soffio nel palloncino verde, questo si espande, comprime l’aria che c’è nella scatola e quindi questa lo risente, poi però siccome qua (buco per lo stantuffino, ndr) è aperto, l’aria esce e il palloncino si risgonfia. Proviamo, (dopo aver gonfiato il palloncino verde, ndr) vedete che, in queste condizioni, il palloncino si è gonfiato (io lo sto tendendo chiuso) perché gli ho fatto una pressione positiva, dentro invece, l’avete visto dal palloncino giallo che non si è mosso, la pressione è zero. Adesso lo gonfio ancora un po’ poi col tappo chiudo l’uscita (il solito buco per lo stantuffo, ndr), è tutto chiuso: dentro nel box la pressione è ancora zero, dentro al palloncino la pressione è positiva, se io adesso stacco la mano qua (toglie il dito dal tubo dal quale ha soffiato, ndr) cosa succede? Dentro il palloncino la pressione è positiva, qui dove stacco la pressione è zero, c’è un gradiente di pressione, mi aspetto che ci sia un flussettino di aria che esce. (Dopo aver staccato il dito, ndr) vedete che il palloncino è ancora gonfio. Rifacciamo che non avete visto bene, non sono contenta: gonfio, tappo e poi andiamo avanti. Vedete che il palloncino non si sgonfia completamente, perché secondo voi? Questa è la condizione del nostro polmone, non si sgonfia completamente perché adesso la pressione della scatola intorno al palloncino verde è negativa, allora essendo diventata negativa, la pressione transmurale è positiva ed essendo positiva il palloncino non collassa, anche se questo (solito buco, ndr) è aperto e all’interno del palloncino la pressione è zero. Se adesso tiro questo diaframma rigidissimo (vd figura 2, ndr) dovreste vedere che si gonfia. Quindi ci sono 2 modi per gonfiare il polmone: 1) è quello dell’inizio che si prende il palloncino e si gonfia, 2) l’altro è quello di tenere espanso il polmone con una pressione negativa intrapleurica, che è quello che c’è nel nostro polmone. Quindi il polmone viene tenuto espanso da una pressione transmurale positiva realizzata grazie alla presenza di una depressione che si chiama depressione di gondè (non garantisco per il nome, ndr) o depressione intrapleurica che è tipica del polmone normale. Ci sono dei casi in cui non è normale la distensione del polmone, è quello che si chiama pneumotorace: è questo (toglie il tappo e il palloncino verde si sgonfia, ndr). Una ferita impartita nel torace mette in comunicazione il cavo pleurico con l’esterno e il polmone collassa. Anche durante un’operazione chirurgica, appena si apre il torace il polmone collassa come il palloncino. Il polmone viene mantenuto espanso dalla depressione intrapleurica e le variazioni del volume polmonare sono legate a variazioni della pressione intrapleurica. La inspirazione rende più negativa ancora la pressione intrapleurica normale di fine espirazione, rendendola più negativa espande il polmone. La negativizzazione della pressione intrapleurica fa espandere il polmone.

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figura 5

Questo è uno schemino che vi dice quello che succede a vie aeree aperte, cioè nella respirazione normale: partiamo da questa condizione, il polmone è espanso a fine espirazione e vedrete il flusso respiratorio=0, non c’è flusso di aria nelle vie aeree. L’attivazione dei muscoli inspiratori tende ad espandere la gabbia toracica (si parte dalla condizione in cui la gabbia toracica si espande), la pressione pleurica si riduce, da -3 passa ad esempio a -5. Questa diminuzione della pressione a livello pleurico viene risentita a livello alveolare perché l’alveolo viene espanso anche lui: se l’alveolo viene espanso, perché si espande il polmone, l’aria che c’è nell’alveolo tende ad espandersi. Quindi anche l’aria alveolare tende ad espandersi e la sua pressione a diminuire. Quindi la diminuzione della pressione pleurica causa la diminuzione della pressione alveolare, non della stessa entità: mentre la pressione intrapleurica può variare durante la inspirazione fino a 4-5mmHg, la pressione alveolare diminuisce di 1-1.5 al massimo 2mmHg, ma questo 1mmHg di diminuzione è quella pressione utile necessaria e sufficiente per creare un gradiente di pressione tra l’aria atmosferica dove la pressione è zero e l’interno dell’alveolo dove la pressione è diventata -1. Questa variazione di pressione è quella che sostiene il flusso di aria dall’esterno all’interno dell’alveolo, basta 1-1.5mmHg, non di più. Alla fine della inspirazione, la pressione pleurica si è negativizzata di molto, ad esempio diventa -7, il polmone si è espanso per bene, però siccome l’aria è entrata a distendere il polmone se io rimango a fine inspirazione e tengo le vie aeree aperte, sono in questa situazione, la pressione pleurica -7 la pressione alveolare 0. Attenzione! Sono passata dalla fine espirazione alla fine inspirazione, il flusso è zero in entrambi i casi, c’è flusso inspiratorio soltanto nella fase di transizione, durante l’inspirazione, all’inizio e alla fine il flusso è zero. Guardate, qui ho un volume di fine espirazione ottenuto con una pressione transpolmonare di 3mmHg, qui invece ho ottenuto un volume superiore con una pressione transpolmonare di 7mmHg, il polmone è più espanso, zero flusso perché il flusso si è completato e ho le vie aeree aperte. Secondo voi, qual è la condizione in cui il polmone ha più voglia di tornare al suo volume normale? A fine inspirazione, perché il recoil è maggiore quindi la tendenza al collasso del polmone in queste condizioni è maggiore. Questo è un elemento molto importante perché aiuta il polmone, o meglio, tutto il sistema respiratorio a ritornare passivamente verso il volume di fine espirazione. L’avevo già detto

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ma lo ripeto: l’attività muscolare è sempre richiesta solamente nella fase inspiratoria, mentre i muscoli espiratori possono essere reclutati, attivati o durante una espirazione volontaria forzata, oppure se c’è un’iperventilazione; in genere invece nella respirazione normale l’espirazione è passiva, perché il polmone ha così tanta voglia di tornare al suo volume più basso che tutto il sistema segue passivamente il ritorno elastico del polmone. Durante la espirazione basta rilasciare il diaframma e i muscoli inspiratori, questi si rilasciano (come prima facevo per il diaframma, dopo averlo tirato, bastava lasciarlo, questo tornava al suo valore e il polmoncino si sgonfiava). La stessa cosa succede qua, durante la espirazione la pressione pleurica torna a valori più normali, passerà da -5/-4 e poi tornerà a -3, questo aumento della pressione pleurica viene risentito a livello alveolare, la pressione alveolare diventa leggermente più positiva, circa +1/+1.5, e questa differenza di pressione tra l’interno dell’alveolo e l’esterno è quello che promuove il flusso di aria verso l’esterno, finché si ritorna nella condizione di fine espirazione. Questo non è un volume casuale, vedremo che è chiamato volume di riposo meccanico del sistema respiratorio ed è condizionato dalle caratteristiche meccano-elastiche del polmone e della gabbia toracica. Ognuno di noi ha il suo volume di fine espirazione, la sua modificazione è un sintomo di patologia. Adesso che abbiamo parlato in generale andiamo nel dettaglio: parleremo prima del polmone, poi della gabbia toracica e poi li metteremo insieme.

POLMONECominciamo a parlare del polmone e consideriamolo come fosse un palloncino elastico, nella sua struttura più semplice.

figura 6

Quella che vedete qui è un’immagine ottenuta col microscopio elettronico a scansione del polmone, si vedono bene gli alveoli: notate la parete alveolo-capillare che è fatta dall’epitelio polmonare, c’è un interstizio sotto, poi la parete del capillare, che ha uno spessore di circa 0.1 μm, molto molto sottile, mentre la superficie totale del polmone varia tra i 70 e i 100 mq (metri quadrati). La parete alveolare è composta da :

Cellule alveolari o pneumociti di I tipo

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Cellule alveolari o pneumociti di II tipoEntrambi producono un liquido che è il liquido che bagna la parete dell’alveolo. Abbiamo detto già dall’inizio che nel momento in cui l’aria entra nelle vie aeree viene subito umidificata, questo vale per le vie aeree superiori e permane giù nell’alveolo. Capite che è una struttura talmente delicata che è soggetta all’evaporazione, per evitare l’evaporazione delle superfici alveolari il tutto (qui non si vede, ma c’è) è rivestito da uno strato di liquido che si chiama liquido alveolare che ha la caratteristica di contenere una sostanza del tutto particolare che si chiama surfattante polmonare. E’ un insieme di fosfolipidi, a base soprattutto di fosfatidilcolina (dipalmoilfosfatidilcolina), che è quella sostanza contenuta in quei corpuscoli, che sono i corpi lamellari (fatti a lamelle concentriche), presenti nelle cellule alveolari di II tipo, che sono strutture apposite per la formazione di questa sostanza a carattere lipidico, la dipalmoilfosfatidilcolina, fosfolipide che ha funzione di tensioattivo. Questo schemino qua vi dice semplicemente che l’alveolo (immaginiamo che l’interno polmone sia riconducibile ad un alveolo) è rivestito dal liquido alveolare che contiene surfattante e l’alveolo tende sempre a collassare grazie al fatto che, quando è espanso, la pressione polmonare che espande l’alveolo determina anche la tendenza dell’alveolo stesso a collassare.

figura 7

Vediamo cosa fa il surfattante. Il surfattante serve come tensioattivo, che è una sostanza che tende a far diminuire la tensione superficiale che si esercita tra due interfacce. Per esempio, se voi avete un piatto sporco lo lavate non solo con l’acqua calda ma anche con il sapone, che è un tensioattivo. Vediamo come fa a togliere lo sporco dai piatti e a servirci a livello polmonare. Prendiamo 2 ambienti: acqua e aria (figura 7, ndr). Prendiamo una molecola di acqua che è posta qua (in rosso, ndr) all’interno del nostro liquido: questa interagisce con tutte le molecole di acqua che ci sono intorno (voi sapete che tra molecole attive si esercita una forza di retrazione e attrazione reciproca) sviluppando delle forze elettriche di attrazione, quindi ogni molecola all’interno del nostro compartimento d’acqua è in perfetto equilibrio. Però le molecole che si trovano in superficie sull’interfaccia aria-acqua non sono in questa condizione, perché se interagiscono in maniera equa con tutte le molecole che sono dalla parte della componente liquida, queste forze non vengono sviluppate con le atre molecole che sono nella componente gassosa. Questo significa che le forze di

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attrazione che legano le molecole della superficie con le molecole dell’acqua, cioè con le molecole della stessa fase fisica, sono più forti delle interazioni che si sviluppano tra molecole di fasi diverse. Questo è un problema generale in natura e sta a significare che se voi avete 2 fasi, aria-acqua, l’acqua tenderà a minimizzare la sua superficie, cioè le molecole di acqua alla superficie sono più compatte le une con le altre, tendono a ridurre al minimo la superficie di contatto tra le 2 fasi. (esempio vino-olio).Questo non succede se mettiamo del surfattante, succede invece che insieme alle molecole di acqua che stanno qua sulla superficie si mescolano le molecole di surfattante (in arancione). Allora questa molecola di acqua blu avrà meno interazioni con le molecole di fianco, perché queste di lato vengono a mancare. Essendo minore la forza di attrazione di questa molecola d’acqua con quelle circostanti questa molecola tenderà a passare nell’altra fase, perciò per esempio ad evaporare oppure ad aumentare la superficie qua. Quindi il surfattante è un tensioattivo che viene prodotto dalle cellule alveolari di II tipo e vi assicuro che è indispensabile per la sopravvivenza. Esiste una malattia (ne parleremo dopo) che si chiama morbo della membrana ialina che è legato ad una carenza congenita di surfattante, i bambini che nascono con questa malattia sono destinati a morire, non riescono a respirare. Vediamo perché. Prendiamo una striscia, avete presente le bolle di sapone? Se voi prendete acqua e sapone, mettete dentro un bastoncino e lo sollevate, avrete un velo di acqua e sapone. Il bastoncino è sottoposto ad una forza F e se dividiamo F per la lunghezza del bastoncino possiamo calcolare la tensione che si sviluppa su una superficie di questo tipo data la forza impartita. FT= ----- lNel caso di una sfera, se abbiamo una pressione che distende la nostra sfera elastica, il nostro palloncino, per la ben nota legge di La Place in una struttura elastica: 2TP = ---- rla pressione è uguale a 2 volte la tensione diviso il raggio. Quindi se impartiamo all’interno dell’alveolo una pressione P, che è la pressione che distende l’alveolo, cioè la pressione transpolmonare, si eserciterà nella parete dell’alveolo in senso radiale una tensione, che tenderà a far diminuire la superficie dell’alveolo. Pensate a quest’esempio, se io ho l’interfaccia aria-acqua senza surfattante si sviluppa una tensione superficiale che tende a ridurre la superficie dell’interfaccia. Capita anche con l’acqua, se versate dell’acqua sul tavolo vedete che questa forma una specie di goccia: se prendete un bicchiere molto piccolo e versate dell’acqua, vedrete che questa forma dei menischi sulle pareti, che il menisco guardi in su o in giù dipende dal raggio del bicchiere: se il raggio è grande il menisco è convesso, se è piccolo sarà concavo, risale sulla parete. Quando lavorerete in laboratorio vedrete che un modo per tirar giù il sangue da una provetta è infilare un capillare e il sangue sale per ‘capillarità’ si dice, risale grazie alla tensione superficiale. Quindi è un fenomeno molto vasto. Nel caso di un palloncino cosa vuol dire che si sviluppa una tensione superficiale? Vuol dire che la presenza di un velo di acqua sulle pareti del palloncino, tenderà a far ridurre la superficie del palloncino, quindi tenderà ad aiutare la tendenza del palloncino, che è elastico, a collassare perché oltre alla tendenza del palloncino legata alla sua natura elastica, ci sarà anche questa forza, la tensione superficiale, che tende a ridurre la superficie del palloncino.

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figura 8

Data una certa pressione di retrazione quindi, abbiamo detto che si instaura una tensione, tensione superficiale, che è la tensione che si sviluppa nell’interfaccia aria-acqua o comunque aria-fluido e viene identificata con γ. Quindi possiamo riscrivere la legge di La Place: 2γP = ------ rla pressione è uguale a 2 volte γ diviso r.E’ possibile andare a vedere come varia la tensione superficiale al variare della superficie interessata.

figura 9

Si prende una vaschetta, si chiama bilancia di Willelmy (figura 9, ndr), che è munita di una sbarra che scende nella vaschetta e che può dividerla in 2 compartimenti: questo compartimento ha un’area e noi possiamo mettervi dentro dell’acqua, ad esempio, e poi spostare il separatore e misurare qual è la superficie dell’interfaccia tra l’acqua dentro e l’aria. Prendiamo poi un foglio di alluminio, lo si appoggia sull’acqua, si bagna bene e quando voi cercate di tirarlo su, l’acqua forma un velo intorno al foglio e quindi voi potete misurare tramite un dinamometro (che misura la forza) con quanta forza dovete tirare per staccarlo dalla superficie. Tanto maggiore è la forza con cui dovete staccarlo,

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tanto maggiore è la tensione superficiale che c’è sulla superficie. Sembra banale ma si può andare a misurare qual è la tensione superficiale quando si fa spostare questo inframmezzo, cioè quando si varia la superficie. Se prendete una superficie di acqua potete avere acqua fino a qui, qui o qui (3 punti diversi della vaschetta, ndr) che la tensione superficiale non cambia, l’interfaccia aria-acqua ha una tensione superficiale costante che vale circa 70dine/cm. Quindi se voi ci mettete dell’acqua e provate a far variare l’area, la tensione superficiale non cambia, ce lo aspettiamo, perché è la stessa in un bicchiere da tavola come sulla superficie del mare e vale 70dine/cm. Se mescoliamo un po’ di sapone, un tensioattivo qualsiasi, all’acqua della vaschetta e facciamo una prova variando l’area, vediamo che non è più 70dine/cm, il detergente ha diminuito la tensione superficiale, invece di 70 magari è diventato 35, dipende dal tensioattivo che usiamo. Però anche in questo caso vedete che io posso scandagliare l’area, aumentandola o diminuendola, ma se ci metto un detergente qualsiasi, ha un valore più basso di quello dell’acqua perché è un tensioattivo, però non è modificato col variare della superficie. Tutt’altra cosa è se prendo un omogenato di polmone oppure un estratto di surfattante, lo metto nell’acqua e faccio di nuovo la prova di variare l’area, succede che quando l’area è piccola la tensione superficiale è bassa, se invece espandete l’area la tensione superficiale aumenta; poi tornate a diminuire l’area e la tensione superficiale torna a diminuire. Cioè, se come nel caso dell’alveolo avete alla superficie tra aria e acqua del surfattante polmonare succede che a bassi volumi (quando è bassa la superficie dell’alveolo, cioè è piccolo il volume dell’alveolo), cioè a fine espirazione, il surfattante galleggia sul liquido, si pone all’interfaccia tra aria e acqua, perché è una sostanza anfotera, ha un polo idrofilo e un polo idrofobo. Il polo idrofobo lo mette verso l’aria e quando il volume e la superficie sono bassi, tutte le molecole di surfattante sono avvicinate l’una all’altra, la concentrazione del surfattante è elevata. Questo riduce di molto la tensione superficiale, che quindi è molto bassa. Quando invece siamo a fine inspirazione la superficie del polmone (alveolo) aumenta, perché abbiamo aumentato il volume polmonare, e siccome la quantità totale di surfattante è rimasta la stessa, se la spalmo su una superficie maggiore le molecole di surfattante si allontanano l’una dall’altra e questo diminuisce la capacità tensioattiva del surfattante stesso. Quindi la tensione superficiale è più elevata. Questo è un fenomeno di un’importanza eccezionale, perché quando siamo a fine espirazione la tensione superficiale è bassa e quindi la pressione che i muscoli inspiratori devono poter generare nel cavo pleurico per poter espandere il polmone è bassa. Quando sono a fine inspirazione la tensione superficiale è elevata, questo, sommato alla tendenza del polmone a collassare, facilita la fase espiratoria che per questo motivo è normalmente gratuita; non spendiamo energia nella fine espirazione, grazie all’aumentato recoil polmonare e grazie all’aumentata tensione superficiale. Vi dicevo del morbo della membrana ialina, è una malattia congenita che fa sì che gli pneumoniti di II tipo non siano in grado di sintetizzare surfattante. La non produzione di surfattante può capitare nel caso dei bambini nati prematuri, perché gli pneumoniti di II tipo maturano con un po’ più di lentezza rispetto a quelli di I tipo, e quindi i bambini prematuri non hanno ancora sviluppato la capacità di sintetizzare il tensioattivo. Questi bambini quando passano dalla vita nella pancia all’aria hanno un trauma perché si passa dalla condizione in cui il polmone è pieno d’acqua (nella placenta) alla fase in cui il bambino si trova esposto in un ambiente in cui c’è aria, è un trauma di suo. Però se il bambino ha il tensioattivo adeguato il bambino nel primo atto inspiratorio riesce ad espandere il polmone perché basta una piccola pressione fatta nel cavo pleurico per poter espandere un polmone che richiede di vincere una bassa tensione superficiale. Se il surfattante non c’è invece di vincere una tensione superficiale che è dell’ordine di 4-5mmHg, il bambino deve vincere una pressione di 70mmHg. Una volta i bambini nati così morivano, ora per fortuna ci sono dei sistemi: innanzi tutto le incubatrici, dove vengono messi finché non sono in grado di respirare autonomamente avendo prodotto il surfattante (questo vale per i bambini prematuri), poi ci sono proprio degli spray, degli aerosol che somministrano dei surfattanti sintetici ai bambini di modo che accelerino la fuoriuscita dall’incubatrice. Vedete come è importante questo aspetto ed è importante anche per un altro motivo che è indicato in figura (8, parte sotto, ndr) col nome di stabilità alveolare. Prendiamo ad esempio questo caso

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qua, qui abbiamo 2 alveoli contigui, messi in parallelo (gli alveoli non sono tutti delle stesse dimensioni, lo vedremo bene più avanti): cosa succede? Per la legge di La Place la pressione in 1 sarà: 2γ1 2γ2

P=--------- e lo stesso sarà in 2: P=---------. r1 r2 Provate ad immaginare che la tensione superficiale sia uguale: se questa è uguale allora avremo che, siccome il raggio dell’alveolo 1 è inferiore al raggio dell’alveolo 2 (r1<r2), essendo uguali le tensioni superficiale per forza di cose dovremmo avere che P1>P2. ma se è così si instaura una pressione tra i 2 alveoli e la pressione passa da qui a qui (da 1 verso 2, ndr). Se l’aria passa ottengo un bel casino, perché il volume di aria che c’è nel polmone non cambia, invece di essere in due alveoli sarà in uno solo, però la superficie totale è molto più bassa e quindi avrò una diminuzione della superficie alveolare, cosa che non voglio perché come vedremo lo scambio di gas tra aria alveolare e sangue nei capillari dipende dall’area di scambio. Tanto maggiore è l’area di scambio tanto maggiore è lo scambio stesso, è uno dei parametri fondamentali. Quindi devo evitare che alveoli di misura differente collassino l’uno e l’altro. Lo faccio grazie al surfattante perché il surfattante proprio grazie al fatto che si distribuisce con una concentrazione diversa a seconda della superficie, avrà una concentrazione maggiore dove l’alveolo è piccolo e sarà invece spalmato su una superficie più grande dove l’alveolo ha un bordo maggiore. Ma allora le tensione superficiale qui sarà più bassa di quella che c’è qua, perché dove la concentrazione è maggiore la tensione superficiale è più bassa: qui la tensione superficiale sarà maggiore rispetto a qua. Allora avremo che la situazione reale non è quella in cui la pressione in 1 è maggiore della pressione in 2, ma è quella in cui nell’alveolo più grande avremo un raggio maggiore e una tensione superficiale maggiore. Quindi in ultima analisi le due pressioni saranno uguali. Non le due tensioni superficiali, ma le due pressioni. Quindi avendo in tutti gli alveoli la stessa pressione potranno convivere alveoli di raggio diverso tranquillamente senza nessuno svuotamento l’uno nell’altro. Questo fa sì che ci sia un’omogeneità di pressione ovunque e che tutti gli alveoli, ognuno con il suo volume, siano distesi.

MECCANICA DEL POLMONEAdesso iniziamo ad analizzare un aspetto che è quello della meccanica del polmone: adesso sappiamo che il polmone è formato da questi alveoli che sono come palloncini collassabili, hanno una pressione transmurale e hanno alcune caratteristiche meccaniche.

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figura 10

Possiamo prendere in esame un alveolo facendo finta che sia davvero un palloncino, l’esempio che dà questa figura (10, ndr) è quella di un palloncino… Prendete una bolla di sapone, l’esempio più calzante è quello della bolla di sapone, un alveolo è paragonabile per tanti versi ad una bolla di sapone. Provate a pensare di avere una bacchettina, che è questa (vd figura 10, ndr), e ci mettete sopra un po’ di acqua e sapone. Andiamo a vedere variando il raggio della bolla di sapone come varia la sua pressione. Nel grafico invece del raggio ho riportato in ordinata il volume, perché si esprime così, quel volume lì adesso è riferito al palloncino, ma dopo sarà riferito ad un polmone. Allora se io metto un velo di liquido sopra il bastoncino per gonfiare la bollicina di acqua e sapone è come se io avessi qui sotto un liquido qua, il raggio è infinito; se il raggio tende ad infinito, per la legge di La Place, la pressione tenderà a zero: quindi questa condizione in cui ho la cannuccia per soffiare con sopra un po’ di acqua e sapone è praticamente questo punto qua (punto A, ndr). Adesso immaginate che io gonfi il mio palloncino, butto aria finché il palloncino si gonfia per arrivare a queste dimensioni qua cioè fino a che il palloncino ha un raggio uguale a quello del cilindro, questo è il raggio minimo che il palloncino può avere d’ora in avanti. Quindi prima passavo da una fase in cui il raggio era infinito verso un raggio minimo, quindi il raggio continua a diminuire, d’ora in avanti il raggio aumenterà di nuovo se vorrò gonfiare il palloncino. In questa condizione essendo il raggio al suo valore minimo, se la tensione superficiale è rimasta costante, la pressione sarà quella massima, siamo qui nel punto B. Se io adesso continuo a soffiare nel mio palloncino di acqua e sapone, passo nella condizione di un palloncino sempre più grande, il raggio aumenta diventa superiore di quello minimo e quindi la pressione tenderà a ridursi, e più lo gonfio e più la pressione tende a ridursi fino a che arriverà ad essere uguale a zero. Però c’è un problema di ordine analitico, perché se vi ricordate cosa dice la matematica, che non fa altro che descrivere la fisica, dice che y=f(x)se io ho una relazione devo sempre fare in modo che y sia una funzione univoca (non garantisco, ndr) di x, dato un valore di x, comunque sia l’equazione che io ho qui sulla destra, verrà fuori per ogni valore di x un solo valore di y, quale che sia la funzione. Qui siamo un po’ nei guai, perché finché io sono in A io do un valore di x e ho un valore di y, ma se io mi sposto di qua (circa a metà

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tra A e B, ndr) e do un valore di x che è questo (valore corrispondente al punto indicato, ndr) il volume è questo (linea blu sotto, ndr) o è questo (linea blu sopra, ndr)? Boh, bel casino! Dal punto di vista fisico come si risolve? Si risolve che da punto di vista fisico una funzione così non esiste, perchè quando io sono nel punto B, il palloncino non torna ad un volume più basso per poi estendersi sempre di più con una pressione minore. Esperienza comune è che arriva al punto B e poi non torna indietro ma scoppia, questo vale per il palloncino elastico e per la bolla di sapone. Allora uno si chiede, ma se il palloncino scoppia allora scoppia anche l’alveolo? Ovviamente no e non scoppia perché intorno alla condizione di palloncino isolato non c’è l’aria ma c’è una matrice interstiziale.

figura 11

Questo è il diagramma di prima, questa riga blu è un’indicazione del comportamento che abbiamo visto prima, in questo punto il palloncino tende a scoppiare portando il suo volume verso infinito, ma non va verso infinito, perché questa curva rossa identifica le caratteristiche elastiche e meccaniche del tessuto polmonare, che sono quelle caratteristiche che si sommano al comportamento del palloncino impedendo che il palloncino scoppi. L’alveolo tenderebbe a scoppiare, tende ad ingrandirsi di colpo, ma non scoppia perché semplicemente l’aumento di volume viene fermato, definito dal fatto che intorno c’è una matrice elastico-connettivale che ne ferma l’espansione. Allora possiamo veder l’analogia col palloncino isolato che abbiamo appena visto se prendiamo un polmone isolato, per poi fare delle considerazioni col polmone intatto. Prendete un polmone, lo tirate fuori dalla gabbia toracica e lo mettete sul tavolo, come se fosse questo palloncino (prende un palloncino normale, ndr), questo è l’esperimento: si prende il polmone lo si attacca ad un siringone, ci lego un trasduttore di pressione e non faccio altro che gonfiare: gonfio e arrivo là in cima (vd grafico, ndr) e poi lascio andare. Allora si parte da qua, il polmone viene insuflato, gonfio il polmone e arrivo fino in alto, poi stacco il polmone dal siringone (non c’è bisogno di tirar via i volumi), il polmone si sgonfia passivamente, come un palloncino. Ci sono tante cose da vedere in questa curva, intanto il polmone parte con un volume che non è uguale a zero, il volume è espresso in % del totale, questo volume si chiama volume di aria minima ed è il volume di aria che rimane intrappolato negli alveoli anche quando il polmone è completamente

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collassato. Se facessi qualche analogia con il palloncino giallo qua (palloncino usato per l’ultimo esperimento, ndr) direi secondo voi il palloncino adesso ha un volume zero (è rimasta un po’ d’aria all’interno, ndr)? No! E’ collassato, vedete che il suo volume non varia, però c’è dentro un po’ d’aria, ecco lo stesso il polmone quando è messo lì sul tavolo collassato completamente fuori dalla gabbia toracica ha dentro un volume che si chiama volume di aria minima e corrisponde al volume di riposo meccanico del polmone, cioè a quel punto il volume non tende né ad aumentare né a diminuire, siamo al volume di riposo meccanico, quella che si ottiene quando il la pressione transpolmonare è zero. Adesso incrementiamo la pressione transpolmonare facendo una pressione positiva (in questo caso siamo noi a fare una pressione positiva nelle vie aeree) e il volume aumenta un pochino, poco, ma ad un certo punto aumenta sempre di più fino ad arrivare ad un valore massimo. Il punto più o meno identificato come 1, identifica un valore di pressione che si chiama pressione di apertura delle vie aeree, riferendosi ovviamente agli alveoli. Quando è tutto espanso lo facciamo collassare spontaneamente, però segue una via diversa da quella dell’andata. Allora l’area compresa tra la fase di insuflazione e quella di esuflazione viene chiamata area di istèresi polmonare. Siccome è un diagramma pressione-volume quell’area lì è un lavoro, rappresenta energia dissipata sotto forma di calore, rappresenta l’energia che si deve spendere durante l’insuflazione per vincere sia le resistenze elastiche sia la tensione superficiale, in particolar modo quest’ultima. La curva che si ottiene al ritorno è una curva che dipende solamente dalle caratteristiche passive della struttura elastica polmonare e viene chiamata curva di rilasciamento polmonare. Questa figura mi dice anche una cosa veramente strana: se riempite il polmone con aria avete una relazione di questo tipo (grafico azzurro, figura 11, ndr), se però prendete lo stesso polmone e invece di riempirlo con aria lo riempite di soluzione fisiologica (grafico rosso, figura 11, ndr) trovate una roba del tutto diversa: trovate che si parte dallo stesso volume di aria minima ma sia in insuflazione sia in desuflazione le curve sono diverse. La cosa più eclatante è che le due curve sono spostate tutte verso sinistra, vuol dire che per arrivare ad un certo volume, ad esempio, per espandere il volume fino al 50% mentre ci vogliono 14cmH2O espandendo con aria, ce ne vogliono solo 2 espandendo con acqua. Allora la differenza orizzontale tra le due curve è legata al fatto che se riempiamo il polmone con l’acqua non c’è più la tensione superficiale, avendo riempito gli alveoli con l’acqua non c’è più l’interfaccia aria-acqua. Quindi questo grafico vi dice quanto pesa la tensione superficiale, vedete che pesa tanto, circa 1/3 della pressione che si deve fare per espandere il polmone è legata alle forze elastiche, alle forza di retrazione elastica del polmone. Nel connettivo polmonare ci sono fibre elastiche e fibre collagene, se voglio espanderle devo tenderle, quindi in parte, 1/3, rappresentato dalla condizione rossa, la pressione che devo fare viene fatta per distendere queste unità elastiche, quindi per vincere la componente di retrazione elastica. I 2/3 della pressione che devo fare per espandere il polmone (la maggior parte, il 70%) devono essere invece fatte per vincere le forze di tensione superficiale, nonostante la tensione superficiale sia molto bassa a volume di fine espirazione. Ricordatevi che però questo grafico si riferisce al polmone ex-situ, messo sul tavolo, isolato.

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figura 12

Questo è quello che vi dicevo, se abbiamo un diagramma pressione-volume, la via corretta per vederlo è questa: l’andamento della pressione in funzione del volume. Invece noi abbiamo un’immagine di questo genere, perciò attenzione, non è una relazione reale, è un costrutto che abbiamo fatto per cercare di ragionare sulle cose, anche perché quello che succede in effetti, a differenza di questo caso, il volume varia al variare della pressione, mentre invece in genere capita un po’ il contrario. Quindi attenti a non confondere l’ordinata con l’ascissa.

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figura 13

Questo è lo stesso grafico che abbiamo appena visto, quello che si riferisce al diagramma pressione-volume del polmone isolato. Questa immagine ripresenta oltre al concetto appena visto qualcosa in più. Rivediamo le analogie con l’immagine di prima, così non vi perdete: qui abbiamo messo la pressione, come al solito, pressione transpolmonare, o pressione alveolare nel caso del polmone isolato; qui c’è il volume, prima era misurato in % senza indicare % di cosa o di chi, adesso abbiamo la terminologia corretta, è la percentuale della capacità polmonare totale (CPT), che abbiamo già visto. Qui abbiamo il volume di aria minima, questa è la fase in cui il polmone viene espanso, quest’altra è la fase in cui il polmone ritorna spontaneamente al suo punto di riposo meccanico. La pendenza della curva di rilasciamento viene definita compliance o distensibilità e sarà il rapporto tra le variazioni di volume e le variazioni di pressione necessarie per ridurre tali variazioni di volume. Quindi graficamente se abbiamo un punto qui la pendenza che mi descrive la compliance è questa e la calcolerò facendo questa distanza ΔV diviso questa distanza ΔP. La compliance polmonare è un parametro importante, io posso calcolare la compliance in ogni punto della curva, quello che si vede bene è che se la misuro qui la pendenza è molto alta, se la misura là in cima la pendenza è molto più bassa. Avete quindi un’idea del fatto che il polmone è distendibile ma con distensibilità particolari: a bassi volumi è molto distensibile, ad alti volumi diventa via via più rigido, perché il parenchima polmonare è formato sia da fibre elastiche sia da fibre connettive. A bassi volumi le fibre elastiche sono folte, via via che aumento il volume tendo non solo le fibre collagene relativamente inestensibili, ma tendo anche le fibre elastiche che arrivate al massimo della loro estensione non potranno più essere ulteriormente tirate, diventano anche queste instensibili come le fibre collagene. Quando arriviamo al punto in cui tutte le fibre sono arrivate alla massima distensibilità non riesco ad allungarle ancora di più, quindi anche se aumento la pressione transpolmonare il volume non aumenta più. Quindi qui la distensibilità è elevata, circa 200ml/mmHg o cmH2O, qui invece è più rigido, quindi il polmone è distendibile qui e diventa rigido qua. Tanto maggiore è la pendenza, tanto maggiore è la distensibilità; tanto minore è la pendenza, tanto maggiore è la rigidità della struttura.

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Il volume di fine espirazione è la capacità funzionale residua (CFR), questa si piazza più o meno qua, a questo volume qui, ed è ad un volume intorno al 35% della capacità polmonare totale, con la pressione transpolmonare di circa 5-6mmHg. Attenzione che la CFR ha un significato se consideriamo il polmone non isolato, ma in situ e vedremo come è la curva di rilasciamento del polmone in situ. Se si parte dalla CFR e si inspira ed espira normalmente, si fa un circuito di questo genere: inspiro-espiro, inspiro-espiro, lo rivedremo poi più avanti.

figura 14

Questa immagine vi accomuna alcune condizioni: le curve rosse sono tutte curve di rilasciamento del polmone. Di nuovo, qui c’è la pressione, qui il volume. In questo caso invece della capacità polmonare totale (CPT) è stata riportata la capacità vitale (CV). Quindi si va a vedere su un range di volume polmonare più ristretto rispetto a prima. La curva di rilasciamento normale sarebbe questa (centrale, ndr), che arriva alla normale CPT. Quindi la capacità polmonare totale è circa 3 litri e mezzo. Poi sono riportati due casi, uno con l’enfisema e uno con la fibrosi. L’enfisema è una malattia degenerativa della matrice interstiziale che comporta la rottura, la degenerazione della componente elastica. Se diminuisce la componente elastica della matrice diminuisce il cosiddetto recoil elastico, cioè quella tendenza del polmone espanso a collassare perché le sue fibre elastiche sono state stirate; diminuendo questa componente elastica, il polmone dell’enfisematoso raggiunge una CPT superiore, è molto più distendibile, ma ha molti più problemi a collassare. Se vedete un soggetto enfisematoso noterete che avrà un torace molto ampio perché aumenta la CPT, la CFR è spostata verso l’alto, lui anche a fine espirazione tende a stare col polmone espanso e se gli chiedete di spegnere una candela non ce la fa, perché essendo degenerata la componente elastica quando espira il suo polmone non ce la fa a buttare fuori tutta l’aria, non è consentita una riduzione sufficiente del volume polmonare, quindi dovrà fare uno sforzo espiratorio notevole per poter spegnere la candelina.Viceversa la fibrosi è una malattia degenerativa che determina la deposizione di materiale collagene inestensibile nella matrice, questo ostacola l’espansione alveolare quindi la CPT è ridotta e il

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polmone diventa meno distendibile perché ha una struttura più rigida, infatti vedete che la compliance è molto diminuita.

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