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1 MEIC PROGETTO TORINO LA MIA CITTA’ ANNO 2009-2010 INCONTRI DI FORMAZIONE PER INSEGNANTI, VOLONTARIE E OPERATRICI Durata dal corso: 16 ore Sede: Biblioteca civica Primo Levi, Via Leoncavallo 17 Temi: 1. Insegnare l’italiano a donne maghrebine : accoglienza, principali problemi, principali obiettivi - Docenti: Marinella Mangano, Enrica Boffetta - Lunedì’ 14 settembre ore 15-17 2. Educare alla cittadinanza-Commento ai diari di bordo “Essere cittadini Italiani” – “Andare a scuola”, “La famiglia italiana e il cammino delle donne” Docenti: Marina Cancedda, Margherita Mana e Enrica Gallo- Lunedì 21 settembre – ore 15-17 3. Insegnare l’italiano a donne arabofone analfabete – docente: Elisabetta Libanore - Lunedì 28 settembre ore 15-17 4. L’Islam Maghrebino – Docente. Maria Adele Roggero – Lunedì 5 ottobre, ore 15-17 5. Famiglia e figli nel Maghreb – Docente: Maria Adele Roggero – Lunedì 12 ottobre , ore 15-17 6. La nuova legge italiana sull’immigrazione – Docente: Emiliana Astarita , Lunedì 19 ottobre ore 15-17 7. Dove sta andando il Maghreb – Docente Paola Giani – Lunedì 26 ottobre ore 15-17 8. Educazione interculturale - Docente Paola Giani – Lunedì 2 novembre, ore 15-17 Partecipano: Gruppo di lavoro MEIC,Gruppo di lavoro Progetto Tenda, Operatori di Il Nostro Pianeta Il corso è stato frequentato da 25 operatori. Per alcuni degli incontri sono state elaborate dispense o è stato redatto un verbale. Qui di seguito il materiale di documentazione.

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MEIC

PROGETTO TORINO LA MIA CITTA’

ANNO 2009-2010

INCONTRI DI FORMAZIONE PER INSEGNANTI, VOLONTARIE E OPERATRICI Durata dal corso: 16 ore Sede: Biblioteca civica Primo Levi, Via Leoncavallo 17 Temi:

1. Insegnare l’italiano a donne maghrebine : accoglienza, principali problemi, principali obiettivi - Docenti: Marinella Mangano, Enrica Boffetta - Lunedì’ 14 settembre ore

15-17 2. Educare alla cittadinanza-Commento ai diari di bordo “Essere cittadini Italiani” –

“Andare a scuola”, “La famiglia italiana e il cammino delle donne” Docenti: Marina Cancedda, Margherita Mana e Enrica Gallo- Lunedì 21 settembre – ore 15-17

3. Insegnare l’italiano a donne arabofone analfabete – docente: Elisabetta Libanore - Lunedì 28 settembre ore 15-17

4. L’Islam Maghrebino – Docente. Maria Adele Roggero – Lunedì 5 ottobre, ore 15-17 5. Famiglia e figli nel Maghreb – Docente: Maria Adele Roggero – Lunedì 12 ottobre , ore

15-17 6. La nuova legge italiana sull’immigrazione – Docente: Emiliana Astarita , Lunedì 19

ottobre ore 15-17 7. Dove sta andando il Maghreb – Docente Paola Giani – Lunedì 26 ottobre ore 15-17

8. Educazione interculturale - Docente Paola Giani – Lunedì 2 novembre, ore 15-17

Partecipano: Gruppo di lavoro MEIC,Gruppo di lavoro Progetto Tenda, Operatori di Il Nostro Pianeta Il corso è stato frequentato da 25 operatori. Per alcuni degli incontri sono state elaborate dispense o è stato redatto un verbale. Qui di seguito il materiale di documentazione.

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14 settembre 2009 Insegnare l’italiano alle donne magrebine: problemi e metodi

Relatrici: Marinella Mangano, Enrica Boffetta Prende la parola Enrica Boffetta che spiega le ragioni di un corso di alfabetizzazione rivolto solo alle donne magrebine, che nel contesto delle donne immigrate sono le più isolate, le più legate alle tradizioni ed ai clan familiari, le più dipendenti dai mariti per tutti i problemi extra-casalinghi. I nostri corsi si tengono in orario mattutino, con assistenza ai bambini in un ambiente controllato da parte di baby-sitter di lingua araba, con insegnanti donne per non creare ostilità con i mariti, con volontarie disponibili ad insegnare la lingua ma anche a trasmettere la cultura che è fatta di parole, gesti, sguardi, atteggiamenti del corpo, attenzione verso i problemi degli altri. Si vuole favorire un percorso di “cittadinanza” (Torino è la mia città), non solo di lingua italiana e, pertanto, ci saranno, come negli anni scorsi, in orario scolastico nei giorni previsti per i corsi ordinari, incontri con esperti (ginecologa, pediatra, insegnante di scuola primaria, funzionaria dell’Ufficio Immigrati, etc.) per aiutare le donne ad affrontare con più sicurezza e autonomia i problemi quotidiani di inserimento nella città. Si puntualizza che alle nostre allieve si vuole offrire non solo l’apprendimento della lingua ma anche la possibilità di abbattere il muro delle diffidenza verso il nostro modello di vita, che è diverso dal loro e che talvolta genera chiusure e autodifese.. Infatti, insegnando la lingua si affrontano mille argomenti anche di cultura generale e ci si può aprire reciprocamente alle esperienze personali su cui riflettere insieme. Marinella Mangano chiarisce che le nostre allieve provengono prevalentemente dal Marocco e da centri rurali, poche dalle città. In questi luoghi spesso le scuole sono lontane dalle case, per ciò non tutte le famiglie sono disposte a mandare le figlie a scuola dopo i 10/11 anni. In più le classi sono molto numerose e si impara l’arabo attraverso la lettura e lo studio del Corano. Questo spiega perché le allieve più anziane (30-40 anni!!) sono spesso analfabete e semi-analfabete. Per le più giovani non è così ma i livelli di scolarizzazione restano medio - bassi. Quando arrivano in Italia imparano spontaneamente le poche parole che servono per la spesa quotidiana, ma vivono in contesti chiusi, con qualche componente del clan familiare vicino; se sono sposate si dedicano ai figli (tanti e piccoli) e alla loro salute, senza autonomia personale (la spesa si fa al sabato con il marito) e con pochissimi contatti con altre persone, nemmeno della stessa nazionalità. Per favorire l’integrazione le insegnanti devono essere molto attente a valorizzare le esperienze personali in modo da fare emergere le loro aspettative e i loro bisogni. Marinella Mangano sottolinea la necessità di lasciare un po’ di spazio, ad ogni lezione, alle allieve per farle parlare della loro quotidianità:

• Essere disponibili a leggere con loro ricette mediche, bugiardini dei farmaci, avvisi delle insegnanti dei figli, etc .;

• Aiutare le donne a vincere la paura di comunicare e ovviamente con molto tatto ad essere meno dipendenti (anche psicologicamente) dai mariti.

Amina El Motassime (la mediatrice dei corsi di alfabetizzazione) precisa che nella cultura marocchina il maestro è quasi un profeta, gode di molto prestigio, non va disturbato, per ciò non è normale andare a chiedere notizie dei propri figli. Per altro sottolinea che spesso le mamme marocchine vorrebbero più disciplina e più studio sistematico nella scuola italiana e un po’ se ne lamentano.

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Ancora Marinella Mangano ricorda che un argomento di grande interesse è la cucina, che fa da ponte fra le culture e permette scambi di esperienze alla pari. La frequenza alle lezioni non è troppo continua, giocano le variabili vacanze scolastiche, la salute dei figli, la presenza del marito a casa, l’ostilità verso le aperture a modelli di vita occidentali da parte di suocere, fratelli, etc. Enrica Boffetta ribadisce che questa non è scuola con voti e pagelle, ma è un luogo dove si impara, insieme alla lingua, un modo di vivere nuovo, anche in gruppo con donne sconosciute che però hanno gli stessi problemi. Si deve ripetere molto, soprattutto nelle classi di analfabete e semi-analfabete perché il ritmo è lento, ci sono le assenti a cui spiegare che cosa si è fatto e talvolta la presenza dei bimbi più piccoli insieme alle mamme rallenta ulteriormente il procedere. Ma la programmazione è molto elastica e non ci sono traguardi tassativi da raggiungere. Discussione: L.G: suggerisce di creare occasioni per fare capire alle allieve che i problemi della loro quotidianità sono spesso gli stessi anche per noi donne italiane (i cibi, i figli, i lavori di casa, gli anziani da accudire, …); il parlarne aiuta a capirsi e a integrarsi: AE:dice però, che sta cambiando il modo di rapportarsi delle persone fra di loro: ognuno tende a stare nella propria famiglia, non c’è molto aiuto reciproco fra donne, mentre in Marocco queste tradizioni ci sono ancora, anche se meno di un tempo. Marinella Mangano osserva che comunque nei momenti di disagio per le donne immigrate (e talvolta le nostre allieve i disagi li hanno manifestati, o per incomprensioni o conflitti, anche pesanti, in famiglia, o per motivi di salute ed economici) noi come insegnanti non dovremmo giudicare ma stare accanto loro per aiutarle ad uscire dall’isolamento. E:G. ricorda alcune regole di metodo:

• Scrivere stampatello maiuscolo sulla lavagna • Parlare molto adagio • Avere un atteggiamento paziente e ripetere molte volte le cose dette • Insistere sulla correttezza grafica e sull’uso di un quaderno • Non dare nulla per scontato e controllare i quaderni, soprattutto se si assegnano compiti • Partire da cose e situazioni concrete (feste di matrimonio, ricette delle torte, …) • Programmare ma con molta elasticità • Suggerire la visione di alcuni programmi della TV italiana in cui si usi un linguaggio

semplice (per esempio i cartoni animati di canali specifici).

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28 settembre 2009

Insegnare l’italiano a donne arabofone analfabete

Relatrice: Elisabetta Libanore Il nostro compito è quello di insegnare l’italiano a donne che, con le dovute eccezioni, sono state molto poco scolarizzate nel loro paese d’origine. Non hanno familiarità con il contesto stesso di scuola-insegnante-classi- banchi. Molto spesso provengono dalle campagne del Marocco, ed hanno frequentato poco la scuola. In assenza di studi superiori non hanno avuto esposizione a lingue europee (il francese per le marocchine, l’inglese per le egiziane si studia se si prosegue l’istruzione oltre la scuola elementare). Hanno in media una grande motivazione, mista a curiosità, buona predisposizione mentale, perché sanno che per loro è importante imparare l’italiano per continuare a vivere, per creare un contatto con il paese che le ospita. Anche se a volte la spinta maggiore sta nell’avere finalmente l’occasione di uscire di casa. Questa loro grande attenzione non corrisponde però ad altrettanti progressi. Se una persona è analfabeta totale, anche nella lingua d’origine, è molto difficile trasmettere il concetto che ad un suono corrisponda una lettera. Manca a chi non è minimamente scolarizzato l’idea stessa di alfabeto. Bisogna proprio partire dalle origini, cambiano tempi e ritmi. Occorre seguire due binari paralleli fra lo scritto e l’orale anche se a questi livelli non ci può essere sincronia. Si tende a privilegiare il percorso orale, perché dà riscontri immediati e perché obiettivamente per loro è di maggiore utilità, ma allo stesso tempo bisogna curare la parte scritta e di lettura. La scrittura non è la loro priorità, anche se può essere utile per esempio per compilare un modulo. Con un approccio formale si mira ad abituarle ad un contesto didattico-scolastico. La loro buona disposizione porta ad un assoluto rispetto nei confronti dell’insegnante: la comunicazione verticale verso la figura dell’insegnante prevale su quella orizzontale verso le altre allieve. Non c’è un contesto di amicizia, si mettono in una situazione di debolezza e confronto. E’ grande il timore di farsi trovare impreparate, manca l’abitudine ad esporsi. L’insegnante dovrebbe spronarle a parlare perché dialogando si impara moltissimo, ma non è semplice. Bisogna trovare argomenti che stimolino la conversazione per mantenere alto l’interesse: spesso gli argomenti più coinvolgenti sono quelli che le toccano da vicino nella loro vita di tutti i giorni, e quindi la scuola, la spesa e la cucina, il medico e le cure per i loro bambini. Dal punto di vista didattico ci sono difficoltà oggettive: spesso non sanno proprio trattare carta e penna, hanno l’abitudine a ragionare da sinistra a destra consecutivamente. Anche la conoscenza di una lingua molto diversa come l’arabo aiuta nella percezione del concetto quaderno-penna. E’ importante dare loro un minimo di metodo, con molta cautela e tempi lunghi perché ordine, rigore ed armonia nella forma scritta portano a raggiungere ordine mentale. Per esempio devono imparare a copiare le parole alla lavagna nello stesso ordine e forma, se si controlla il lavoro svolto passando fra i banchi si fa capire che l’ordine aiuta anche loro, sempre senza rimproverare. Il metodo per insegnare l’alfabeto può variare, l’approccio è personale e deve essere elastico. Si può andare nell’ordine a-b-c-d, così come si può iniziare dalle vocali, oppure dalle sillabe. Oppure, ancora meglio, combinare fra di loro i vari metodi senza essere troppo didascalici. Si può anche ricavare la teoria dall’esempio, insegnando una parola per arrivare alle lettere o alle sillabe cha la compongono. All’inizio è utile usare la loro lingua per fare dei paragoni, ma a lungo andare la consapevolezza di essere capite nella loro lingua d’origine demotiva un po’ ed è meglio passare all’italiano, anche perché difficilmente lo usano durante la settimana nel loro contesto familiare, se non in presenza di bambini già in età scolare. Nell’insegnamento dell’italiano, così come di qualunque altra lingua, si incontrano difficoltà, nel momento in cui non ci sono corrispondenze precise di suoni e/o lettere: l’italiano ha cinque suoni vocalici, l’arabo soltanto tre, in compenso ha ben tre suoni corrispondenti alla nostra “T”, e non esiste il

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verbo “essere”. Alcuni suoni che noi diamo per scontati, come la c-g morbida o dura, possono creare problemi, così come le doppie, o altri gruppi di consonanti. A livello di conversazione meglio iniziare dai saluti, anche se in realtà così facendo ci si complica subito la vita: ciao, come ti chiami? Troviamo immediatamente una “c” morbida, una dura ed addirittura un verbo riflessivo! E’ più semplice imparare a dire “io sono…” e se si scrive il proprio nome in stampatello maiuscolo su un cartoncino piegato in due si aiuta anche l’insegnante a memorizzare i nomi delle allieve. (ed è inoltre molto gratificante tornare a casa dopo la prima lezione con il proprio nome scritto per bene). Si privilegia lo stampatello anche se in alcuni casi si utilizza il corsivo, per esempio per quanto riguarda la firma. Senza aspettare di aver completato l’alfabeto si insegna a parte facendola copiare.

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5 ottobre

La religione islamica e l’islam in Italia

Relatrice: Maria Adele Roggero

Vengono fornite le seguenti dispense:

ISLAM I più recenti dati statistici riportano che su una popolazione mondiale di 6 miliardi il 33,4% sono cristiani ed abitano in 270 paesi, il 17,7% sono musulmani in 184 paesi, il 13,4% induisti in 94

paesi, il 5,7% buddhisti in 92 paesi, lo 0,3% ebrei in 134 paesi. La comunità islamica mondiale è dunque composta da più di un miliardo di fedeli, il 22% dei quali sono di lingua araba. La maggior parte dei musulmani, infatti, abita in Asia e si contano tanti musulmani in Pakistan e India quanti nell’insieme dei paesi arabi. Questi dati ci aiutano a comprendere sia la vastità del fenomeno, sia la sua universalità, aiutandoci a sfatare l’errato concetto di un monolitismo islamico. L’Islam si è inculturato nei vari paesi assumendo caratteristiche differenti: occorre perciò essere molto prudenti nell’accostarlo, e disponibili a riconoscerne le mille sfaccettature. Inoltre occorre tenere presente che non avendo più l’Islam un unico punto di riferimento, come nel passato fu il califfo, diventa difficile che esso si pronunci in maniera ufficiale e unitaria, se non a livello di unità territoriale. Non parliamo dunque di un unico Islam, ma di tanti Islam, compreso quello europeo, che sta nascendo proprio in questi anni: sia per effetto della migrazione dai paesi del medio oriente e del Maghreb, sia per effetto della conversione di occidentali a questa fede.

L’Islam europeo, con i suoi 7/10 milioni di fedeli, si configura come figlio di quell’Islam della tradizione che gli immigrati delle prime generazioni portavano con sé, ma anche come un Islam che comincia a confrontarsi con i valori, tipici dell’occidente, relativi alla laicità dello stato, al mito del progresso, alla privatizzazione del religioso, che non hanno pari nei paesi islamici o

comunque vi si configurano in maniera assai diversa. L'Islam si modifica e prende forma anche in base all’esperienza dell’incontro con le altre religioni presenti sul comune territorio europeo. Ciò dovrebbe indurre credenti e non credenti occidentali a una riflessione responsabile sugli spazi del religioso nella società europea, sul senso e sui simbolismi relativi alla vita e alle sue tappe fondamentali, sul diritto all’espressione della cultura religiosa. La sfida del futuro, nell’Europa multiculturale e multireligiosa, sta proprio nella capacità di gestire la coesistenza di tante differenze, che stanno nei nostri anni sostanziandosi nell’esperienza della nostra vita collettiva. Il governo politico del nostro paese e delle nostre città dovrà sapersi confrontare con le differenti rappresentazioni del proprio essere cittadini, uomini, donne, genitori, con modi di intendere il diritto e la vita collettiva differenti. Se si sarà capaci di considerare la differenza come ricchezza, seppure faticosamente acquisibile, allora l’incontro di culture sarà elemento di fecondazione importante per l’Europa, che rischia oggi una certa sterilità culturale. L’alterità rappresentata dall’Islam è per certi versi vicina a noi occidentali, lontana per altri.

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L’Islam ci è vicino perché professa - come i credenti ebrei e cristiani - l’unicità di Dio; riconosce che Egli ha donato agli uomini la sua parola attraverso i suoi profeti; induce a una vita rispettosa dei fratelli; invita alla preghiera, al digiuno, all’elemosina. Più lontano dalla nostra sensibilità l’Islam appare quando fonda il diritto sul testo sacro e legittima una disparità giuridica tra uomo e donna, quando nega la libertà di cambiare religione, o fatica ad analizzare il Corano come parola di Dio espressa in linguaggio umano e dunque suscettibile di un lavoro esegetico, quando contestualmente al dirsi religione si proclama cultura, politica, stato. L’Islam profitterà dell’incontro con l’occidente, essendo costretto a confrontarsi con la modernità e a dare risposte agli uomini del nostro tempo e della nostra cultura. Dovrà coniugare la sua intransigente certezza di essere criterio di verità delle religioni ebraica e cristiana - con le quali ritiene di porsi in continuità come messaggio ultimo e dunque completo e definitivo - con la pretesa di salvezza di altri messaggi religiosi, dovrà rivedere alcuni aspetti del suo dire i legami familiari facendo i conti con secolarizzazione, consumismo, relativismo etico.

Muhammad, il Corano, la Sunna Nato intorno alla vicenda personale e all’attività di predicazione del profeta Muhammad nel VI - VII secolo dopo Cristo, l’Islam si organizza in comunità-stato a Medina. Dal Profeta, considerato dai musulmani come Inviato di Dio, da Lui incaricato di trasmettere il messaggio coranico a tutta l’umanità, la comunità islamica erediterà dopo la sua morte il desiderio di espandersi al di là della penisola araba. In poco più di un secolo l’Islam giungerà a estendersi da Samarcanda all’Andalusia, espandendosi con un’intensità inaspettata. Guida della comunità saranno i primi califfi, rappresentanti qualificati del profeta. E’ questo il tempo in cui il Corano viene redatto nella sua forma letteraria. Esso regola la fede, le pratiche cultuali, le attitudini morali e il comportamento sociale dei musulmani ed è venerato dai fedeli come Parola di Dio, fatta libro e destinata a tutta l’umanità. Trasmessa fedelmente dall’arcangelo Gabriele al profeta Muhammad attraverso successive rivelazioni nell’arco di 22 anni (dal 610 d.C. alla morte del Profeta, avvenuta nel 632 d.C.) questa Parola di Dio è raccolta in un libro sacro la cui forma letteraria araba è ritenuta inimitabile e insuperabile. Il Corano deve essere scritto e letto in lingua araba, recitato in modo salmodiato, trascritto in scrittura calligrafica. E’ costituito di 114 sure (capitoli) messi in ordine dal più lungo al più breve, eccezion fatta per la Fatiha, la sura dell’ingresso, recitando la quale il buon musulmano esprime la sua adesione di fede durante la preghiera quotidiana. La teologia islamica ama spiegare che esiste da sempre presso Dio una scrittura sacra (Umm al -

kitâb), che è stata rivelata all’umanità gradualmente, rispettando il grado di maturità degli uomini: a Mosè fu rivelata la Torah, a Davide il salterio, a Gesù il Vangelo e infine, quando l’umanità è giunta alla sua maturità, a Muhammad fu affidata l’ultima e definitiva Parola di Dio, che racchiude tutte le precedenti: il Corano. Ciò spiega l’assoluta centralità nell'Islam del Corano, Parola di Dio fatta libro, paragonabile alla centralità di Gesù, Parola di Dio fatta uomo, nel Cristianesimo. Il contenuto dell’insegnamento coranico si articola intorno all’unicità di Dio, la quale si manifesta attraverso segni espliciti, dà agli uomini una legge religiosa che traccia per loro il cammino di vita e giudicherà e retribuirà secondo la sua giustizia e misericordia l'umanità… Dopo il Corano, la seconda fonte dell’Islam è rappresentata dagli hadith, una raccolta di racconti, insegnamenti e pratiche religiose attribuiti al Profeta, che costituiscono la Sunna e che sono

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complementari al Corano, perché specificano come le norme coraniche debbano essere intese e vissute. La Legge religiosa E’ dal Corano e dalla Sunna, cioè dal testo dettato da Dio e dalle regole di condotta che discendono dall’esempio del Profeta, che l’Islam ha tratto la legge religiosa, la shari’a, che può essere interpretata secondo cinque differenti scuole giuridiche (hambalita, malikita, shafiita,

hanafita, shiita). Il diritto religioso islamico è costituito di cinque parti, che riguardano rispettivamente la definizione dogmatica delle credenze, gli usi, i principi etici, le pratiche cultuali e le regole sociali. L’islam è una religione che prescrive osservanze, che sono state codificate e classificate come obblighi e divieti. Tra gli obblighi più pressanti troviamo da un lato i cinque pilastri dell’islam - cioè il dovere dell’attestazione della fede nell’unità e unicità di Dio e nel carisma profetico di Muhammad, della preghiera quotidiana ripetuta cinque volte, dell’elemosina, del digiuno nel mese di Ramadan, del pellegrinaggio alla Ka’ba - e dall’altro le regole di purità rituale e quelle legate ai doveri di giustizia, solidarietà e pace. L’islam comporta anche divieti, che ineriscono credenze, relazioni interpersonali di tipo sociale, sessuale, commerciale, tradizioni alimentari. Per le trasgressioni ritenute più gravi - dal sommo peccato costituito dal politeismo di chi associa qualcuno a Dio, fino all’omicidio, all’adulterio, al furto, all’ingiustizia - l’Islam prevede pene che vanno dal biasimo all’amputazione della mano, alla lapidazione, alla pena capitale. Occorre tener conto dello scarto esistente tra pene previste e loro applicazione, e sapere che è prevista l’applicazione di queste pene legali in molti paesi islamici, quali ad esempio Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iran, Kuwait, Libia, Mauritania, Oman, Pakistan, Qatar, Sudan, Yemen.

Il culto I cinque pilastri rappresentano la via privilegiata attraverso cui il buon musulmano persegue l’obiettivo della sua esistenza, cioè apparire bello e buono agli occhi di Dio. La professione di fede, recitata all’orecchio del bimbo che nasce e ultima frase sulla bocca dei morenti o di chi li assiste, scorre sulle labbra dei musulmani in ogni momento importante della vita. La preghiera rituale è recitata assumendo con tutto il corpo posizioni che dicono la sottomissione scelta e ricercata nei confronti di Dio; si presenta come recitazione del Corano e come lode, adorazione, implorazione della misericordia di Dio per tutti gli uomini. La preghiera avviene cinque volte al giorno, orientandosi verso la città santa di Mecca dopo essersi purificati e può aver luogo ovunque il musulmano si trovi nell’ora prevista dal calendario. Nella giornata del venerdì, la comunità islamica si riunisce alla moschea per la preghiera comunitaria, che prevede un sermone da parte del predicatore. Non è prevista nell’organizzazione della comunità islamica sunnita la gerarchia, solo sono identificati dei ruoli, come quello dell’imâm che guida la preghiera. L’elemosina e il digiuno occupano un grande spazio nell’Islam: entrambi esprimono la sottomissione alla volontà di Dio e il suo esplicitarsi attraverso solidarietà e attenzione nei

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confronti dei più deboli. Per elemosina, l’Islam intende sia ogni gesto di solidarietà nei confronti dei bisognosi, sia l’imposta sui beni che rappresenta il diritto dei poveri sui beni di chi ha risorse. Il digiuno, che aiuta a diventare più sensibili nei confronti di chi ha fame perché vive in condizione di indigenza, può essere praticato per ottenere il perdono dei peccati, volontariamente e periodicamente in certi giorni della settimana; è poi obbligatorio nel mese di Ramadan, nono del calendario islamico (basato sul ciclo lunare), come astensione diurna dal cibo e dalle relazioni sessuali. Ogni musulmano, uomo e donna dopo la pubertà, è tenuto a praticarlo; ne sono dispensati coloro che sono in viaggio, i malati, le donne incinte o in allattamento e gli anziani. Il mese di digiuno rappresenta per la comunità islamica un’occasione di meditazione, di intensificazione del suo senso di appartenenza religiosa e sociale alla “migliore di tutte le comunità”, come il Corano definisce la comunità islamica. Nel corso del Ramadan hanno luogo festività importanti, come il ricordo della discesa sul Profeta della rivelazione coranica e la festa della rottura del digiuno =‘id al-fitr (o piccola festa =’id as

saghir). Un’altra festività importante per l’Islam è l’’id al-adhâ = festa del sacrificio (detta anche ‘id al

kebir = grande festa), che si celebra circa due mesi dopo la rottura del digiuno, il decimo giorno del mese del pellegrinaggio, a ricordo del sacrificio di Abramo. Durante la festa, ogni capofamiglia sgozza un montone, che sarà poi cucinato e consumato in famiglia. Per i musulmani Mecca, Medina e Gerusalemme sono tre città sacre, perché ad esse sono legati momenti della vita di Abramo, Agar, Ismaele, Muhammad. A Mecca e Medina può accedere solo chi è musulmano e in stato di purità rituale. A Mecca si trova la moschea che contiene i luoghi più importanti dell’Islam, tra cui la Ka’ba, costruita da Abramo e Ismaele sul luogo dove Abramo innalzò, secondo la tradizione islamica, il primo tempio. A Medina i musulmani venerano la tomba del Profeta, delle sue spose e dei primi califfi.

Gerusalemme, chiamata “il luogo santo”, contiene tra l’altro la “cupola della roccia” da cui il Profeta salì al cielo.

Sono tutti luoghi meta di pellegrinaggio, ma quando del pellegrinaggio l'Islam fa il quinto pilastro allude in particolare al pellegrinaggio a Mecca, nei primi dieci giorni del dodicesimo mese del calendario islamico. Mecca è considerata mozzo della ruota del mondo islamico e i riti del pellegrinaggio inducono nei fedeli un rinnovamento spirituale profondo, consentono di vivere un’esperienza di fraternità e uguaglianza tra credenti di ogni condizione e cultura e permettono un ritorno alle fonti dell’Islam. Ogni anno si recano a Mecca da due a tre milioni di musulmani, provenienti da tutti i paesi. La fede La fede musulmana, espressa attraverso la convinta adesione ai cinque pilastri, consiste nel credere all’unicità di Dio, agli angeli, ai libri rivelati, agli inviati di Dio, al giorno ultimo e alla predestinazione. Dio nel Corano si rivela come Allah, nome arabo per indicare la divinità assoluta e rivelata e di Lui, attraverso la recitazione della preghiera “dei 99 più bei nomi di Dio” la tradizione islamica dice la misericordia, la potenza, la sovranità, la santità, la pace. Gli angeli sono esseri soprannaturali fatti di luce, che si dedicano a vari compiti loro assegnati da Dio; a Gabriele è per esempio affidata la parola da portare ai Profeti. I libri divini sono scritture rivelate e l’Islam riconosce quattro libri: la Torah rivelata a Mosè, il salterio di Davide, il Vangelo rivelato a Gesù, il Corano rivelato a Muhammad.

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Sono venticinque i profeti inviati da Dio citati nel Corano a cui i musulmani credono; la maggior parte di loro appartiene anche alla tradizione biblica. I principali profeti venerati dai musulmani sono Abramo, Mosé, Gesù, sua madre Maria e in ultimo, sigillo e suggello della profezia, Muhammad. La credenza nel giorno ultimo, con l’avvento del quale il mondo terminerà, rappresenta la fede nel giudizio finale, al momento della resurrezione, quando gli uomini saranno premiati con il paradiso o castigati con l’inferno in conseguenza del comportamento tenuto in vita. Secondo la dottrina islamica della predestinazione, tutto ciò che accade è conosciuto e voluto da Dio, dal quale occorre ricevere sia il bene sia il male con atteggiamento di fattiva e consapevole sottomissione, riconoscendo la straordinaria grandezza di Dio e contestualmente la piccolezza dell’uomo. La comunità islamica Pur accettando le inevitabili differenze - prima fra tutte l’originaria scissione fra sunniti, shî’iti e

khârijiti - vi è nell’Islam una vocazione originaria all’unità, che tende ad assorbire le divergenze, a trovare un denominatore comune per quanto riguarda sia la fede, sia l’organizzazione della società. Con un forte legame ideale e affettivo, ogni musulmano si sente parte della umma (termine che ha la stessa radice della parola madre), la comunità di coloro che fanno professione di Islam, pregano rivolti verso Mecca, conoscono e meditano il Corano e vogliono osservarne le leggi. Recita il Corano “Voi siete la migliore comunità sorta per gli uomini. Voi ordinate il bene e proibite il male” (sura 3,110). L’Islam come religione costituita è dunque umma, e in quanto tale gli è assegnato il compito e la responsabilità morale di impegnarsi per il bene, difendere i diritti di Dio e lottare contro il male. Da questa responsabilità morale nasce il senso di sacralità che avvolge tutti gli atti della vita del musulmano e anche la sua caratteristica fierezza per tutto quanto si vive in comune. La Umma riconosce il potere legislativo esclusivamente a Dio e attribuisce all’imâm il potere esecutivo e giudiziario, sicché l’imâm sorveglia affinché si applichino sanzioni e pene legali, in base ai due principi coranici che regolano l’organizzazione politica della comunità: il principio di autorità (hukm), ovvero l’obbedienza a chi detiene il comando (“Obbedite a quelli fra voi che detengono il comando” sura 4,59) e il principio della consultazione (shûra) della comunità (“Consultali nelle decisioni” sura 3,159). Il Corano e la Sunna non prescrivono particolari forme di governo, per cui il mondo islamico conosce molte differenti forme costituzionali di governo dopo l’abolizione del califfato, all’inizio del XX secolo, e la conseguente suddivisione in tanti stati-nazione. La comunità islamica vede l’uguaglianza dei credenti uomini e donne rispetto alla totalità delle prescrizioni cultuali, morali e religiose; prescrive invece una disparità rispetto alla capacità giuridica sui terreni di testimonianza, eredità, numero di congiunti, separazione, scelta dello sposo.

Infatti, se un uomo può sposare fino a quattro donne, anche non musulmane - purché appartenenti alle genti del Libro, ebree o cristiane - le donne musulmane possono sposare solo un

uomo e in ogni caso musulmano o per origine o per conversione. Alle donne poi è consigliato di vestire il velo, sia per dire la propria identità islamica, sia per proteggersi da sguardi indelicati. L’Islam ha voluto dare alla donna uno statuto a parte, per sottolineare il suo ruolo di portatrice di valori religiosi e di trasmettitrice della vita. Il Corano, in effetti, sottolinea nella donna il suo essere credente, sposa, madre, e su questa condizione della donna islamica molto si discute, sia in occidente, sia nello stesso mondo islamico.

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L'Islam, peraltro, per affrontare le sfide dell'era moderna sta vivendo evoluzioni che comportano una riflessione e un ripensamento: vediamo correnti differenti animare questa revisione. Alcuni ritengono che si debba ripensare l'Islam delle origini, per riviverlo oggi modernizzandolo, altri ritengono si debba tornare semplicemente alla tradizione degli antichi, altri ancora decidono di muovere guerra all'empietà e cercano di introdurre ovunque l'applicazione della shari'a.

Sono numerosi gli intellettuali, contrari al radicalismo dottrinale, che nei paesi islamici e in Europa militano per la modernizzazione dell’Islam. Dal dialogo con l’occidente essi potranno trarre un incoraggiamento sul cammino intrapreso e la loro partecipazione al dibattito culturale sarà un prezioso contributo per gli europei.

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MUSULMANI IN ITALIA

Dal punto di vista storico l’Italia è entrata in contatto con il mondo dell’Islam sin dal settimo secolo, cioè dalle origini dell’era musulmana, prima attraverso qualche isolata scorreria poi con la presenza di conquistatori musulmani in Sicilia e nell’Italia meridionale. Con i suoi mercanti, viaggiatori, prigionieri e razziatori, in tutto il Medioevo l’Islam lasciò tracce importanti del suo passaggio in Italia dal punto di vista dei commerci, della lingua, della cultura. Anche in tempi più recenti questo contatto si è rinnovato attraverso le avventure coloniali dell’Italia in terre musulmane fra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Ma l’Islam di cui ci occuperemo in queste pagine è collegato ad un fenomeno che interessa tutti i paesi europei a partire dagli anni postbellici : mi riferisco alla presenza di immigrati provenienti da vari paesi dell’universo islamico, presenza che negli ultimi vent’anni ha assunto un peso significativo anche in Italia sia dal punto di vista numerico sia per le interrelazioni che i musulmani via via stanno instaurando con il contesto in cui sono inseriti, nei campi più diversi: religioso, sociale, lavorativo, istituzionale, culturale.. senza trascurare l’influenza che l’Islam della migrazione ha sul numero e sulla tipologia dei convertiti italiani. Analisi dei flussi migratori in Europa

La presenza di immigrati musulmani in Italia si configura con caratteristiche e dinamiche interne differenziate rispetto agli altri paesi europei, in quanto l’Italia diventa paese di accoglienza di immigrati soltanto a partire dalla metà degli anni ottanta quando in Europa si era già strutturato un islam europeo formatosi attraverso i vari cicli migratori che si erano susseguiti dalla fine della seconda guerra mondiale1. Il flusso di migrazione dai paesi musulmani si innesta in Europa negli anni ’50 richiamato dalla ricostruzione post-bellica e prosegue negli anni ’60 grazie al forte sviluppo economico dei paesi europei. Giungevano generalmente nei paesi europei migranti provenienti dalle ex-colonie. Così in Francia affluivano immigrati dall’Algeria, dal Marocco e dall’Africa Occidentale, mentre in Gran Bretagna giungevano immigrati dal Pakistan e da altri paesi del Commonwealth. La Germania è stata invece meta di una fortissima immigrazione turca organizzata attraverso accordi bilaterali. Questo spiega perché molti paesi europei di più antica immigrazione siano caratterizzati da una presenza più omogenea di immigrati provenienti da una o due nazionalità specifiche. E’ opportuno notare che in questa fase l’immigrazione è vissuta come un’esperienza temporanea, motivata esclusivamente da ragioni economiche. Pertanto le strategie di inserimento degli immigrati nella società di accoglienza sono minime. L’appartenenza islamica si manifesta in modo assai debole ed è vissuta soprattutto come tradizione e lingua. Verso la metà degli anni ’70, con l’esplodere dalla crisi petrolifera e la conseguente forte recessione economica in tutti i paesi europei, il panorama migratorio cambia radicalmente. Gli immigrati si trovano a fare i conti con la disoccupazione interna e quindi con il crescere di una ostilità diffusa nei loro confronti. Nello stesso tempo la chiusura delle frontiere a nuovi flussi migratori li rende consapevoli che il loro insediamento in Europa è definitivo. Cadono rapidamente i sogni di ritorno al paese d’origine (non si è fatta fortuna come si sperava, nei paesi d’origine la crisi economica è grave e la chiusura delle frontiere impedirebbe nuove

1 Per un’analisi dettagliata dei cicli migratori europei rimando ai due volumi: F. Dassetto, A. Bastenier, Europa: Nuova frontiera dell’Islam, edizioni Lavoro, Roma, 1988 e S. Allievi, F. Dassetto, Il ritorno dell’Islam- I musulmani in Italia, Edizioni Lavoro, Roma 1993

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migrazioni). Il processo di insediamento si accelera. Avvengono i ricongiungimenti familiari. Con la ricostituzione dei nuclei familiari, la presenza delle donne, la crescita delle nuove generazioni, sorgono problemi e bisogni nuovi, attinenti ai vari ambiti della vita che diventano altrettante occasioni per avviare relazioni più ampie e diversificate con i diversi settori della società e con le istituzioni. I padri di famiglia temono di perdere i riferimenti religiosi e culturali originari ed iniziano così a costruire luoghi di socializzazione religiosa per trasmettere la fede islamica alle giovani generazioni. Si autotassano per aprire sale di preghiera e scuole coraniche. Essi sperano così di poter mantenere la loro autorità e preservare i figli dalle contaminazioni della società occidentale. E’ questo il periodo in cui nei paesi arabi si assiste al cosiddetto “risveglio islamico”, con il formarsi di movimenti islamisti che appoggiano finanziariamente i centri islamici europei con l’obiettivo della reislamizzazione dei musulmani d’Europa. Su queste dinamiche si innesta, a partire dagli anni ottanta una nuova ondata migratoria, molto più destrutturata e frammentata, di persone spinte da motivi economici e politici. Si tratta di flussi che spesso sono di tipo irregolare o clandestino e per questo si dirigono verso paesi accessibili, o perché privi di legislazione riguardante l’immigrazione (almeno in fase iniziale) o perché meno severi in fatto di controlli. L’Italia, assieme alla Spagna ed alla Grecia, è una delle mete privilegiate di questo tipo di immigrazione. Al contrario dell’immigrazione del passato composta per la maggior parte da popolazione rurale e analfabeta, la nuova immigrazione è composta da popolazione prevalentemente giovane, urbana e alfabetizzata (anche se di livello culturale modesto). Inoltre, per quanto riguarda l’area dei paesi arabi, si tratta di persone cresciute nel periodo del “risveglio islamico”. Diversità fra l’islam europeo e l’islam dei paesi d’origine L’Islam europeo ha molteplici sfaccettature ed è un fenomeno con aspetti di novità rispetto ai paesi di origine: - Convive in una varietà di espressioni rispetto alla monocultura dei paesi di provenienza (la stessa che sperimentano i musulmani nel momento del Pellegrinaggio a Mecca). Islam sunnita ma con differenze di tradizioni culturali e linguistiche (arabo maghrebina, turca, indiana , balcanica, africa nera che si aggiungono a quelle tipiche dell’islam sunnita: il malekismo nel Maghreb, l’hanefismo in Turchia Pakistan e India) + islam shi’ita. Altra novità: le differenti connotazioni di riferimento che emergono dopo la nascita degli stati nazionali (Marocco, Algeria, Turchia, Pakistan,...) - si trova in situazione di minoranza - si trova in situazione di pluralismo culturale Come si insedierà l’islam in Europa? Alcune ipotesi (cfr. Felice Dassetto): � Assimilazione al modello occidentale con nascita di un Islam privato e spirituale , elaborato in

un’autonomia della sfera religiosa. � Integrazione cosmopolita: I musulmani cercano di integrarsi istituzionalmente nello spazio

europeo ma conservano referenze e ispirazioni culturali e normative proprie del mondo musulmano nel suo complesso. Potrebbe sorgere allora una sorta di tensione fra i due referenti, le due legislazioni. Fra la strategia di inserimento nello spazio europeo e il mantenimento dei propri punti di riferimento negli spazi pulsanti dell’Islam.

� Insediamento di contestazione: l’islam come strumento di protesta sociale che rifiuta l’occidente e i suoi modelli.

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� Diaspora-rete: la preoccupazione principale è quella di creare una rete di connessione fra i gruppi, movimenti e associazioni di estrazione islamica senza porsi il problema dell’insediamento nel contesto europeo

� geopoliticizzazione dipendente: i musulmani europei vengono considerati un’espressione ed uno strumento delle strategie geopolitiche elaborate dai centri politici e religiosi dell’Islam.

I musulmani in Italia- Analisi dei dati statistici In Italia dunque la presenza islamica si è progressivamente costituita in termini significativi a partire dalla metà degli anni ottanta. Nel 1992 gli immigrati musulmani erano 304.200 (pari al 29% dell’intera popolazione immigrata residente regolarmente in Italia) mentre alla fine del 1998 il loro numero raggiungeva le 544.000 unità (pari al 36,5% della totalità degli immigrati)

Secondo le stime del Dossier Immigrazione Caritas 2003 alla fine del 2003 gli immigrati regolarizzati presenti nel nostro paese sono 2.395.000 pari al 4,2% della popolazione. Di questi circa il 36% (800.000) provengono da paesi di religione islamica. La comunità più consistente è quella marocchina con 250.000 presenze. A Torino gli stranieri immigrati sono circa 88.000 di cui circa 30.000 provengono da paesi di religione islamica. L’Islam è dunque di fatto la seconda religione italiana dopo il Cattolicesimo, anche se per il momento è ancora prevalentemente religione di stranieri residenti e non di cittadini2. La pluralità dei paesi di provenienza è uno dei tratti che contraddistingue la popolazione musulmana in Italia rispetto a quella degli altri paesi Europei dove al massimo due o tre nazionalità sono nettamente prevalenti. In Italia invece i principali paesi di provenienza sono almeno nove: Marocco, Albania, Tunisia, Senegal, Egitto, Algeria, Pakistan, Bangladesh e Somalia a cui bisogna aggiungere una molteplicità di gruppi di minore consistenza. Le popolazioni provenienti da Marocco, Tunisia e Albania sembrano essere le più interessate al radicamento in Italia se si considera che sono i tre paesi che hanno richiesto il maggior numero di ricongiungimenti familiari ed anche quelli che fanno registrare l’aumento numerico più consistente di minori inseriti nel sistema scolastico italiano. Una tendenza ben diversa presenta invece la popolazione immigrata senegalese che pur registrando un notevole incremento annuo di presenze è composta quasi esclusivamente da uomini. Questi dati demografici ci presentano quindi una situazione molto variegata sia dal punto di vista dell’esperienza migratoria sia dal punto di vista della appartenenza musulmana: accanto a coloro che perseguono progetti di stabilizzazione, altri considerano ancora l’immigrazione un’esperienza non definitiva. Diverso è l’Islam tradizionale professato dalla popolazione

2 In Italia la legge n. 91 del 5/2/92 che regola l’acquisizione della cittadinanza stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di coppie in cui uno dei genitori sia italiano. Acquista la cittadinanza per beneficio di legge il coniuge straniero di cittadino italiano che risieda legalmente in Italia da almeno 6 mesi oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se nel frattempo non vi è stato scioglimento, annullamento o separazione legale. Inoltre può acquisire la cittadinanza per beneficio di legge lo straniero nato in Italia che abbia risieduto ininterrottamente in Italia fino alla maggiore età , purché dichiari il suo desiderio entro un anno dalla maggiore età. La legge prevede inoltre che la cittadinanza possa venire concessa a discrezione del Presidente della Repubblica a cittadini stranieri residenti stabilmente in Italia da almeno 10 anni.

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marocchina, rispetto all’Islam delle confraternite muride o tiggiane dei senegalesi o rispetto all’Islam profondamente secolarizzato degli albanesi. Dobbiamo inoltre considerare che il fatto di vivere in una società pluralistica permette di esprimere con più libertà che nei paesi di origine le differenti tipologie di relazione individuale all’Islam. Una tipologia dei musulmani italiani L’Islam in Italia è dunque una presenza molto recente, quindi ancora in fase di assestamento e di modificazione continua. Difficile quindi fare una tipologia che tenga conto di tutte le dinamiche interne alla comunità dei musulmani italiani che stanno man mano emergendo e che sono influenzate sia dalla diversità delle origini sociali, etniche e nazionali dei soggetti interessati, sia dalla varietà delle loro identità e pratiche religiose sia dalla molteplicità di relazioni che essi stabiliscono con la dimensione religiosa3. Le linee di tendenza possono comunque essere individuate nelle seguenti: a) appartenenza di tipo laico e secolarizzato, che sottolinea principalmente il riferimento alla

nazione o alla cultura araba (è il caso di molti algerini, tunisini e mediorientali), caratterizzata da una adesione religiosa assai superficiale se non addirittura inesistente (è il caso dei musulmani albanesi che a causa di cinquant’anni di regime marxista hanno perso quasi completamente le loro radici religiose e appaiono totalmente secolarizzati).

b) Appartenenza di tipo privatistico e devozionale, che sottolinea la dimensione casalinga e familiare della pratica religiosa. E’ l’Islam dei padri e della madri di famiglia caratterizzato da un atteggiamento personale pio, devoto e a sfondo etico, con un rispetto rigoroso degli obblighi e dei divieti alimentari. Questa categoria di musulmani è generalmente interessata ad un’integrazione armonica nella società italiana, cerca di essere fedele alla propria identità religiosa, che viene però vissuta a livello privatistico. Non è raro il caso in cui gli obblighi religiosi vengono adattati in forme più o meno elaborate concettualmente ai ritmi e alle esigenze delle società di accoglienza. La frequentazione delle moschee è irregolare e strumentale, posizione questa accentuata dal fatto che un numero consistente di moschee italiane è gestito da imam che predicano un Islam di stampo integralista e tradizionalista. A questa tipologia appartengono molte famiglie marocchine.

c) Appartenenza di tipo ortodosso e comunitario: sono i musulmani che frequentano regolarmente le moschee, che tendono a un ripiegamento difensivo di stampo comunitario in cui la dimensione religiosa gioca un ruolo di identificazione simbolica, di trasmissione dei valori e di riproduzione familiare. Considerando la rilevazione della frequentazione delle moschee si può ipotizzare che appartengono a questa categoria il 10-15% dei musulmani italiani, generalmente dell’area maghrebina.

d) Appartenenza militante che esige una sintesi islamica di religione, società e politica, che si struttura intorno ai gruppi fondamentalisti o neo-fondamentalisti con piccolissime frange di stampo rivoluzionario. Dal punto di vista numerico si tratta di una minoranza che tuttavia non è priva di influenza sull’insieme dei musulmani, poiché, come prima detto, ad essa appartiene un certo numero di responsabili delle moschee.

e) Islam delle confraternite: è il caso dei senegalesi che vivono la loro appartenenza ad un Islam profondamente religioso all’interno delle confraternite dei muridi e dei tiggiani e non cercano altre forme di espressione religiosa collettiva. Anche i convertiti di nazionalità italiana appartengono spesso all’islam spirituale praticato dalle confraternite4.

3 Cfr. Ch. Saint-Blancat, L’Islam della dispora, Edizioni Lavoro, Roma, 1995, pagg. 105-107 4 Per approfondire questo tema si possono consultare oltre al già citato volume L’Islam della diaspora,: F. Dassetto, L’Islam in Europa, Edizioni Fondazione Agnelli, Torino 1994, A. Pacini, I musulmani in Italia, Dinamiche

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Come l’Islam si rende visibile nella società italiana Le moschee sunnite La moschea è il luogo centrale dell’Islam praticato . Pur non essendo spazio sacro nel senso cristiano del termine, intorno ad essa si definisce il territorio marcato islamicamente. E’ anche il segno principale di un processo di visibilizzazione dell’Islam nello spazio pubblico ed è infine il luogo topico delle battaglie simboliche intorno all’Islam, tanto dei suoi fautori, tanto dei suoi oppositori5. Dal punto di vista dell’organizzazione religiosa l’Islam italiano sta percorrendo lo stesso iter degli altri paesi europei ma con una rapidità decisamente più elevata. Il ritmo di apertura delle moschee ne è l’indice più evidente. Fino agli anni 70 non esisteva in Italia che una sola moschea, a Roma. Oggi si possono contare oltre 60 moschee in tutta Italia e complessivamente non meno di 120/150 sale di preghiera. E opportuno precisare che si intende per moschea la jami’a, cioè la sala di preghiera con più di 40 posti, quindi abilitata al sermone del venerdì a mezzogiorno, e con altre sale usate per attività religiose quali la scuola coranica, per la vendita di cibi coranicamente leciti ed altre merci, la libreria e la biblioteca. Per sala di preghiera si intende invece la masjid cioè uno spazio con meno di 40 posti usato esclusivamente per la preghiera. Solo tre sono invece le moschee vere e proprie costruite e concepite come tali: la grande moschea di Monte Antenne a Roma (la più grande d’Europa) costruita su iniziativa delle ambasciate dei paesi arabi e inaugurata nel giugno 1995; la moschea del Misericordioso (al-Rahman) di Milano, attiva dal 1988 e gestita del Centro islamico di Milano, uno dei più importanti e influenti d’Italia e la moschea di Omar a Catania, inaugurata già nel 1980 e costruita per iniziativa di un avvocato non musulmano e con finanziamenti di origine libica. Nella grande maggioranza dei casi gli imam preposti alla guida delle moschee appartengono alla categoria degli imam autoproclamatisi, vale a dire non inviati dagli Stati né dalle istituzioni religiose tradizionali e ufficiali (come scuole e università islamiche, che in Italia ancora non esistono). Non hanno quindi una formazione specifica nelle scienze islamiche. Sono piuttosto dei leaders espressi da una cerchia di emigranti che sentono fortemente il bisogno, di fronte alla situazione culturale nuova, di salvaguardare la tradizione d’origine. Questi leaders sono soprattutto garanti delle idee tradizionali riguardo alla donna, alla famiglia, all’educazione, alla società, allo stato. Non possedendo strumenti per fare scienza islamica sono spesso in difficoltà nella reinterpretazione delle norme in contesto di modernità. Diventano tuttavia sovente i portavoce ufficiali della comunità nei confronti delle istituzioni locali. Le Dahire senegalesi Sono i luoghi di riunione stabile dei senegalesi muridi (alla confraternita murida appartiene alla maggior parte dei senegalesi italiani)6. Particolarmente frequentate sono le dahire di Milano, Brescia, Quercianella, Genova, ma altre dahire sono attive a Torino, Roma, Napoli, Riccione, Cagliari ed in altri centri minori in cui vi sia una presenza senegalese di una certa consistenza. I muridi conservano legami stretti con i centri senegalesi della confraternita e a più riprese hanno organizzato visite di famosi marabuti in Italia per ravvivare spiritualmente la vita dei propri affiliati.

organizzative e processi di interazione con la società e le istituzioni italiane, in S. Ferrari (a cura di), Musulmani in Italia,la condizione giuridica delle comunità islamiche, Il Mulino, Bologna, 2000. 5 Cfr. S. Allievi, L’Islam in Italia: Profili storici e sociologici, in S. Ferrari (a cura di), L’Islam in Europa, lo statuto giuridico delle comunità musulmane, Il Mulino, Bologna, 1996 6 O. Schmidt di Friedberg, Islam, solidarietà e lavoro. I muridi senegalesi in Italia, Torino, Edizioni Fondazione Agnelli, 1994

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I cimiteri musulmani Li troviamo nelle principali città del Nord e del Centro Italia, talvolta anche nella provincia. Si tratta di spazi separati nei cimiteri locali, dati in uso ai musulmani per la sepoltura secondo il rito islamico. Le regole dell’inumazione sono comunque oggetto per il momento di trattative a livello locale. Le macellerie di carne halal

Esistono numerose nelle principali città del Nord Italia, a Roma e a Napoli. Molte città importano la carne dalla Francia. Ma in alcuni capoluoghi, come ad esempio a Torino, si sono fatti accordi per poter macellare gli animali secondo il rito islamico nei macelli pubblici. Sorgono a volte polemiche e problemi sollevati dalle associazioni di ambientalisti e nei quartieri urbani a causa dello sgozzamento dei montoni per la festa dell’Aid. Visitatori islamici nelle carceri e negli ospedali Si tratta di figure nuove per l’islam che imitano l’analoga cappellania cristiana negli Stati Europei. Il loro numero aumenta. Il Velo L’uso del velo islamico nei luoghi pubblici, nelle scuole, sul posto di lavoro, nelle fotografie dei documenti anagrafici non incontra di per sé ostacoli nell’ordinamento italiano, a condizione che il volto sia riconoscibile. E’ quindi possibile portare sia il chador che l’hijab, il quale tra l’altro è il velo in uso nel Maghreb, zona da cui proviene la maggior parte delle immigrate musulmane. Non risulta infatti che a causa del velo vi siano mai state discriminazioni delle donne musulmane né sul posto di lavoro, né in ambito scolastico o altrove. Scuole Sono in crescente aumento le scuole coraniche presso le moschee. Di solito sono organizzate la domenica mattina e destinate alla formazione religiosa sia dei bambini che degli adulti. In alcune città sono inoltre nate scuole “parallele” in lingua araba che adottano i programmi scolastici della madrepatria per i figli dei musulmani il cui progetto di vita è il rientro al paese di origine e che vengono frequentate nelle ore libere dagli impegni scolastici regolari. Esiste ad esempio una scuola egiziana a Milano e a Torino ed una tunisina a Mazara del Vallo in Sicilia. Per quanto riguarda la presenza di ragazzi musulmani nelle scuola italiane, essa ha dato luogo, in attesa di un’intesa ufficiale con lo Stato italiano, a contrattazioni a livello locale per quanto riguarda problemi quali la mensa scolastica, le assenze per le festività islamiche, l’uso del velo in classe, la separazione dei sessi durante le ore di educazione fisica. A causa del numero sempre crescente di alunni stranieri, la scuola italiana sta in questi anni compiendo grandi sforzi per adeguare programmi, insegnanti e strutture alla nuova realtà multiculturale e si dimostra generalmente elastica e disponibile ad adattarsi alle esigenze degli utenti di cultura e religione diversa. Editoria Quello della stampa è un settore curato particolarmente dai convertiti italiani all’Islam, più preparati culturalmente e capaci di districarsi tra le norme e le esigenze dell’editoria e dei media. Le riviste sono quasi tutte espressione delle varie associazioni e centri culturali islamici. Per lo più sono pubblicate in lingua italiana e contengono articoli a carattere religioso ma anche politico, oltre a funzionare come notiziario della vita delle comunità islamiche. La loro diffusione e reperibilità e tuttavia alquanto frammentaria.

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E’ interessante notare anche lo sviluppo dell’uso del collegamento Internet da parte delle organizzazioni islamiche che aprono continuamente nuovi siti attraverso cui forniscono notizie ed informazioni sull’attività delle associazioni e sui contenuti della fede islamica. Gli attori sociali Intendiamo per attori sociali quei soggetti collettivi che in qualche modo agiscono pubblicamente a nome di determinati gruppi di musulmani: Associazioni islamiche Le due principali sono a) Il Centro islamico culturale d’Italia (C.I.C.I) . Costituito nel 1969, è l’istituzione all’origine

della monumentale moschea di Monte Antenne a Roma, costruita su un terreno di 30.000 metri quadrati donati dal Comune di Roma. Lo si potrebbe definire un Islam diplomatico-statuale. Infatti il Centro è gestito da un consiglio di ambasciatori dei paesi islamici facente capo, di fatto alla Lega del mondo islamico (Rabita) e quindi all’Arabia Saudita, che già controlla la maggior parte de centri islamici delle capitali europee. E’ l’unico centro islamico in Italia che ha il riconoscimento giuridico di “Ente morale di diritto privato”.

b) L’Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia (UCOII). Fondata del 1990, l’Ucoii è uno dei nuovi attori sociali dell’Islam italiano. Tentativo recente di federare varie esperienze islamiche del paese, trova le sue origini in organismi più consolidati. Tra questi il Centro Islamico di Milano e della Lombardia (C.I.M.L.), fondato nel 1976, uno dei meglio organizzati del paese che rivendica la rappresentanza dell’Islam popolare e l’Usmi (Unione degli studente musulmani in Italia) la più vecchia delle federazioni musulmane italiane (1977), oggi in progressivo declino a causa della diminuzione del numero di studenti rispetto ai lavoratori, ma tuttora uno dei nuclei principali di produzione di leadership in campo musulmano. Appartengono all’Ucoii una decina di centri islamici regionali, da cui dipendono altri centri islamici cittadini che formano una rete di associazioni locali. L’associazione agisce su diversi piani: culturale, formativo sociale e si pone fra gli scopi quello di dirigere la da’wa (missione) verso gli italiani. Organizza il pellegrinaggio a Mecca e pubblica una rivista Il Musulmano diretta da un convertito italiano. L’Ucoii è anche il soggetto islamico più presente nei rapporti con i mass media.

Esistono poi numerose altre associazioni autoreferenti sia locali che nazionali, alcune delle quali sono state fondate nel tentativo di risolvere la difficile questione della rappresentanza dell’Islam nei confronti della Stato Italiano in vista di un’intesa. Ricordiamo: - CO.RE.IS italiana (Comunità Religiosa Islamica italiana)- A.I.I.I. (Associazione italiana per

l’informazione sull’Islam): è una fra le più note associazioni di convertiti italiani. Ha sede a Milano. Svolge ricerche scientifiche sui rapporti fra islam e occidente e propone corsi di formazione islamica. Si oppone all’Ucoii che accusa di posizioni integraliste.

- A.M.I. – I.C.C.I.I. (Associazione Musulmani italiani-Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana). Nata a Napoli nel 1982 per iniziativa di un musulmano somalo appoggiato dall’Arabia Saudita, rivendica la vera rappresentanza dell’islam nei confronti dello Stato italiano per il maggior numero di aderenti cittadini effettivi italiani e la sua diffusione sul territorio nazionale. Si definisce moderata, non fondamentalista, simpatizzante della linea apolitica e morale del Tabligh e della corrente teologica e giuridica wahhabita. Sconfessa la

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pretesa legittimità islamica sia del COREIS (che viene definita setta agnostico sincretista) sia dell’UCOII (considerata un’organizzazione fondamentalista)

- Centro di Studi metafisici Réné Guénon (Milano): associazione di tendenza mistica guidata e formata da convertiti italiani

- Università Islamica di Casamassima (Bari): si tratta del progetto incompiuto di fondare la prima università islamica in Italia. Il promotore è un convertito italiano che ha concepito l’Università come un centro di studi e di spiritualità per formare in loco i dirigenti delle moschee italiane.

In questa fase di insediamento dell’Islam in Italia anche i diversi stati islamici esercitano o cercano di esercitare una qualche influenza sui loro cittadini residenti nel nostro paese, attraverso l’appoggio finanziario ad associazioni che svolgono attività culturali, pubblicano riviste, gestiscono scuole o moschee: La da’wa libica ad esempio ha finanziato la costruzione della moschea di Omar a Catania ed è collegata con l’associazione Unione Islamica in Occidente di Roma. L’Egitto tramite un imam dell’Università di Al-Azar del Cairo controlla l’Istituto Culturale Islamico di Milano che gestisce una scuola “parallela” riconosciuta dal Consolato Egiziano per i ragazzi di quelle famiglie che hanno progetti di rientro in patria La Tunisia, attraverso l’Associazione Culturale Islamica di Palermo, controlla la Moschea di Stato di Palermo affidata dal Governo regionale siciliano al Governo tunisino. Ancora la Tunisia guida la scuola di Mazara del Vallo, dove, i figli degli emigrati tunisini frequentano classi con insegnanti e programmi tunisini (si tratta peraltro di un caso unico in Italia giustificato dall’altissima presenza in questa zona di lavoratori tunisini utilizzati nell’industria della pesca). Il Marocco cerca di controllare i responsabili delle varie moschee spontanee, soprattutto nel Sud dell’Italia, attraverso l’Ambasciata. Le confraternite Sono numerose in Italia. Propongono un islam più interiore – rispetto a quello più giuridico dei sunniti – basato sull’ascetismo, talora l’esoterismo, i rituali estatici, il culto del fondatore e dei santi. Fra esse occorre distinguere: - Le confraternite nazionali: la più importante dal punto di vista numerico è la confraternita dei

Muridi a cui aderisce la maggior parte dei musulmani senegalesi d’Italia. La dottrina è in sostanza una “mistica del lavoro” al quale i muridi attribuiscono lo stesso valore della preghiera. Lo shaykh e il suo gruppo dirigente compiono le obbligazioni della preghiera a nome di tutti, mentre i discepoli si dedicano al lavoro. Il marabutto visita periodicamente i muridi all’estero per raccogliere offerte e fornire un sostegno morale e spirituale, oltre che economico, a chi ne ha bisogno. La tomba del santo fondatore è meta di pellegrinaggio annuale. Hanno dahire (sale di preghiera e centri d’incontro) in tutta Italia.

- Le confraternite a cui aderiscono convertiti italiani. Si tratta di piccoli gruppi che generalmente non amano farsi propaganda. Fra esse ricordiamo: la Naqshabandiyya turca diffusa in Piemonte, Lazio, Sardegna e Liguria, la Ahmadia-Idrissiyya nord-africana, la Shadhiliyya Darqawiyya spagnola, la Jerrahi-Halveti di origine turca guidata da un sufi afgano da molti anni in Italia.

I movimenti Sono un altro tipo di organizzazioni musulmane presenti in Europa. Uniscono strettamente la dimensione religiosa a quella sociopolitica e si propongono di condurre un’azione che miri a

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restaurare la pratica integrale dell’Islam nella società, spesso in opposizione ai governi vigenti nei paesi d’origine. In Italia sono attivi: - La Jama’at al- Tabligh di origine indiana. Ha come scopo la missione verso i musulmani per

rinvigorirne la fede e la pratica islamica. Organizzano la da’wa itinerante e puntano all’osservanza dell’Islam nella vita quotidiana, in famiglia e nelle moschee escludendo l’intervento diretto nella politica. E’ presente in alcune grandi città del Nord-Italia.

- La Jama’at-i Islami famoso movimento politico-religioso pakistano fondato da Al-Mawdudi le cui opere sono state tradotte in italiano dall’USMI. E’ un vero partito religioso sostenitore della rigorosa applicazione della shari-a e dello stato islamico. Ha rapporti con l’Islam wahhabita. Gestisce alcune sale di preghiera nelle principali città italiane

- I Fratelli Musulmani, movimento fondato in Egitto nel 1928 dove è stato perseguitato. E’ composto da un ala moderata e da un frangia più violenta. Molti militanti sono profughi in Europa. In Italia ha un’area di simpatizzanti e qualche gruppo di attivisti nelle principali città.

- Il Milli Gorus, movimento politico-religioso di musulmani turchi, il cui centro europeo è a Koln in Germania. Predica la rigorosa osservanza della shari’a. E’ presente là dove ci sono piccole comunità di turchi nel nord Italia.

Occorre infine notare che fra le forme di Islam organizzato è del tutto assente qualsiasi rappresentanza dell’Islam albanese o dell’est-europeo che pure costituiscono una rilevante percentuale dei musulmani presenti in Italia. Ciò è certamente dovuto al fatto che, come già segnalato, questi immigrati provengono da una realtà di regime marxista totalmente secolarizzato e hanno quindi dei riferimenti religiosi estremamente scarsi. Sarà interessante osservare come questa situazione evolverà e quali rapporti verranno a crearsi fra l’Islam sunnita ortodosso ed i musulmani provenienti da quest’area geografica. La questione dell’Intesa con lo Stato Italiano La costituzione italiana proclama l’uguaglianza fra i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali (art.3) Nell’articolo 19, la nostra costituzione estende la sua tutela, oltre che ai cittadini italiani, a tutti coloro che si trovano sul suolo nazionale. Ogni musulmano in Italia può quindi “professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, farne propaganda ed esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume” Oltre a garantire la libertà religiosa personale, l’articolo 8 della Costituzione italiana prevede che i rapporti delle confessioni religiose con lo Stato siano “regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. Lo Stato Italiano ha finora siglato intese con i Valdesi (1984), gli Avventisti (1988), Le Assemblee di Dio (1988), la Comunità ebraica (1989), l’Unione Buddisti Italiani (2000), i Testimoni di Geova (2000). Le intese con lo Stato hanno una certa rilevanza concreta, per esempio come canale di finanziamento agevolato delle confessioni religiose attraverso l’accesso al sistema di ripartizione dlel’8 per mille dell’Irpef, oltre che ad alcune agevolazioni in materia di disciplina urbanistica, di trattamento dei dati informatici e via dicendo. Nel corso del tempo inoltre le intese hanno acquistato un valore simbolico rilevante, diventando la prova della piena legittimazione giuridica e sociale di una comunità religiosa. Questo spiega l’importanza attribuita dalle organizzazioni musulmane alla stipulazione di un’intesa con lo stato italiano. Per una comunità in gran parte ancora formata da immigrati privi di cittadinanza l’intesa rappresenta una tappa importante nel processo di riconoscimento ufficiale dell’identità culturale musulmana e dei diritti ad essa connessi.

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Al momento tuttavia la strada verso la sigla di un Intesa sembra ancora lunga e piena di ostacoli, fra cui: • il fatto che la comunità islamica è formata ancora in gran parte di stranieri i cui riferimenti

culturali, linguistici, affettivi e anche finanziari sono altrove rispetto al paese d’accoglienza; • il fatto che l’Islam si presenta con una religione in cui aspetti spirituali e aspetti sociali

spesso coincidono ed i cui principi talvolta sembrano incompatibili con l’ordinamento giuridico italiano;

• il fatto che si tratta di una comunità ancora giovane, se non giovanissima e come tale non sufficientemente stabilizzata per poter dare di sé un’immagine chiaramente riconoscibile e omogenea7;

• soprattutto il fatto che non è ancora emersa una rappresentanza ufficiale della comunità islamica italiana. Il problema non è tanto quello della pluralità dei soggetti rappresentativi dell’Islam ( che come è noto è una religione per sua stessa natura plurale e senza vertici) ma semmai della rivalità che li divide e soprattutto della rivendicazione che ciascuno di essi avanza di rappresentare tutti i musulmani italiani. Sarà pertanto opportuno lasciare spazio e tempo al confronto e al dibattito all’interno delle varie correnti e organismi musulmani.

Al momento tre sono le bozze di intesa giacenti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Esse sono state presentate rispettivamente dall’UCOII (1992), dall’A.M.I. (1994) e dal CO.RE.IS. (1996). Nella loro formulazione tutte e tre ricalcano l’intesa siglata con la comunità ebraica e contengono richieste che riguardano: 1) attribuzione di terreni per la costruzione di moschee e luoghi di culto 2) attribuzione di aree dedicate ai cimiteri 3) alimentazione halal in luoghi pubblici (mense, ospedali, ecc.) 4) apertura di macellerie o mattatoi conformi alla legge islamica, controllati da responsabili

religiosi 5) libertà di abbigliamento nei luoghi pubblici, nelle scuole e al lavoro per le donne 6) rispetto del ramadan, cioè del mese di digiuno diurno 7) rispetto degli orari di preghiera 8) rispetto delle festività del venerdì, delle festività per la Festa della rottura del Digiuno, della

festa del sacrificio e di altre festività 9) assistenza religiosa nelle carceri, negli ospedali, nelle caserme (equiparate con le altre

confessioni religiose) 10) separazione dei sessi nella scuola, almeno per quanto riguarda le attività sportive 11) facoltà di impartire, su richiesta, agli studenti musulmani l’istruzione religiosa alternativa

nella scuola pubblica 12) facoltà di aprire scuole private musulmane parificate 13) spazi per esprimere pubblicamente il punto di vista musulmano su questione etiche, sociali e

pubbliche 14) validità degli effetti civili del matrimonio musulmano 15) possibilità di applicare la legge islamica nei rapporti di famiglia: matrimonio,

divorzio/ripudio, tutela dei figli, diritto successorio 16) deduzione della zakat, o elemosina rituale, dalle imposte da destinare alla comunità. Alcune di queste richieste possono essere accolte fin d’ora sulla base della legislazione vigente e di fatto in alcuni casi già lo sono: pensiamo alle mense aziendali e scolastiche, all’assistenza

7 Cfr. S. Allievi, L’Islam in Italia, profili storici e sociologici, in S. Ferrari (a cura di)…..op. cit.

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religiosa negli ospedali e nelle carceri, all’apertura di macellerie islamiche, alla libertà di abbigliamento. Altre richieste possono essere accolte senza eccessivi problemi, ad esempio quello delle festività o dell’inumazione delle salme secondo il rito islamico. Per quanto riguarda il problema dell’istruzione religiosa alternativa nella scuola pubblicata si dovrà chiarire chi formerà gli insegnanti. Appare invece meno complessa la possibilità di creare scuole private islamiche parificate ove si insegnino le materie previste dai programmi ministeriali più le materie confessionali. Il problema principale resta quello dei matrimoni musulmani stipulati in moschea per i quali si vorrebbe il riconoscimento degli effetti civili. Troppi sono infatti i punti di incompatibilità fra il diritto di famiglia islamico ed il nostro ordinamento giuridico (pensiamo alla questione della poligamia, del diritto successorio, della tutela dei figli, del divorzio/ripudio). Il ruolo dei convertiti italiani 8 Nell’attuale fase di costruzione dell’Islam in Italia il ruolo che esercitano i convertiti autoctoni è particolarmente interessante. Ne sono la prova i numerosi convertiti che occupano la scena sociale all’interno del panorama associativo, nelle confraternite o come semplici free-lancers dell’Islam o del suo “indotto” culturale9. La presenza di convertiti nelle reti islamiche accelera e rafforza il processo di radicamento dell’Islam nel mondo occidentale ed in qualche modo lo indirizza, probabilmente in direzioni o almeno con modalità diverse da quanto accadrebbe in loro assenza. Essi esercitano un ruolo insostituibile di mediazione culturale di varia natura. In particolare Stefano Allievi mette in evidenza: a) l’apporto in termini di know-how associativo; il convertito conosce infatti meglio del

musulmano immigrato sia la propria situazione di minoranza sia il tessuto sociale pluralistico in cui si è inseriti.

b) La messa in comune di una rete di rapporti politici, istituzionali, religiosi già esistenti o più facilmente costruibili

c) La capacità di intermediazione intellettuale e di produzione culturale rivolta all’interno della comunità (ad esempio attraverso l’editoria), ma anche all’esterno (rapporti con i media, conferenze, pubblicazione ed anche semplicemente capacità personali di spiegare comportamenti e credenze in categorie comprensibili alla nostra cultura)10

d) Come elemento di confermazione della dignità della comunità islamica. Pensiamo a come può essere gratificante per i membri di questa religione, soprattutto se poco istruiti e comunque inseriti nei gradini bassi della scala sociale vedere degli occidentali, magari colti e benestanti, abbracciare l’Islam. E’ per loro la testimonianza che l’Islam è davvero religione universale e non solo del terzo mondo, di persone dal radicamento instabile in società che non li accolgono volentieri.

e) E’ inoltre importante il ruolo che i convertiti giocano e potranno anche in futuro giocare nella transizione da un Islam ospitato in Europa ed un Islam europeo: ad esempio per quanto riguarda l’accostamento al testo sacro, la rielaborazione teologica e giuridica, l’adattamento delle pratiche religiose alla cultura europea.

8 Le osservazioni riportate in questo paragrafo sono tratte dal recente volume di S. Allievi, I nuovi musulmani, i convertiti all’islam, Edizioni Lavoro, Roma, 1999, a cui rimando per un’analisi più approfondita del tema. 9 Cfr. S. Allievi, I nuovi musulmani…, op.cit. pag. 213. 10 Cfr. A. Allievi, i nuovi musulmani… op.cit., pag. 220 e ss.

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Quando anche in Italia, come già avviene in altri paesi Europei, saranno attive le seconde e le terze generazioni di musulmani provenienti dall’immigrazione, è facile ipotizzare che la funzione dei convertiti all’interno della comunità islamica si normalizzerà gradualmente. I matrimoni misti Uno degli effetti della stabilizzazione dell’immigrazione è l’aumento dei matrimoni misti. Oggi in Italia sono stimate essere 150.000 le coppie miste di cui circa il 10% è rappresentato da coppie islamo-cristiane. Si tratta quindi di un fenomeno che incomincia ad avere una certa rilevanza. Anche se soltanto una piccola percentuale di essi (il 20%) è celebrato con rito religioso, l’aumento dei matrimoni islamo-cristiani desta una certa preoccupazione presso la chiesa cattolica che teme la conversione all’Islam del coniuge cristiano e l’educazione religiosa islamica dei figli. Recenti dichiarazioni dei vescovi italiani invitano ad essere molto prudenti nel concedere il nulla osta per i matrimoni islamo-cristiani. Analoga diffidenza sembrano avere i responsabili delle sale di preghiera islamiche quando si presentano coppie miste che vogliono celebrare in moschea la loro unione. Questa situazione è indicativa di quanto il dialogo islamo-cristiano incontri ancora in Italia, in questa fase, serie difficoltà. Al di là di istituzioni quali la Comunità di Sant’Egidio o il Pontificio Istituto di Studi Arabo Islamici di Roma che si muovono su un piano internazionale, nelle varie diocesi gli organismi preposti al dialogo sono spesso più preoccupati di fare prevenzione che non di stabilire rapporti amichevoli con i musulmani. Le poche iniziative di dialogo sono portate avanti da gruppi informali, da movimenti o associazioni. D’altro canto anche i musulmani non sembrano al momento ancora interessati al dialogo interreligioso perché troppo occupati a affrontare problemi interni alla propria comunità. Solo alcuni gruppi di convertiti sembrano disponibili a stabilire rapporti di dialogo con il cristianesimo. Conclusioni L’Italia, che è stata fino a ieri paese di emigrazione e in alcuni periodi il più grande serbatoio di mano d’opera dell’occidente, si trova da un paio di decenni ad essere paese di immigrazione. All’interno del popolo degli immigrati, i musulmani occupano una posizione di particolare rilievo. Il processo è in divenire e non è possibile trarre per il momento conclusioni sui suoi esiti. Quello che appare certo è che l’Islam in Italia, come in altri paesi europei, non è una realtà transitoria: è qui per rimanere. Esso farà parte stabilmente del nostro panorama culturale. E’ naturale che negli italiani abituati, forse più di altri cittadini europei, a pensarsi da sempre come un popolo monoculturale e monoreligioso, nasca un grande senso di insicurezza, talvolta addirittura di paura. E’ un passaggio obbligato che è inutile negare. Purtroppo spesso questa paura è alimentata, a livello di mass-media e di attivismo politico locale, da vere e proprie campagne denigratorie che ingigantiscono e generalizzano episodi marginali di devianza e trascurano la stragrande maggioranza di immigrati che lavorano regolarmente, pagano le tasse e desiderano integrarsi nella nostra società. Negli ultimi anni l’Italia sta cercando di attrezzarsi anche dal punto di vista legislativo per regolamentare i flussi migratori (l’ultima legge è del 1998) e controllare l’immigrazione clandestina che spesso alimenta ed è alimentata dalla criminalità organizzata. Ma si è pure consapevoli che, specie in certe regioni del nord-Italia l’utilizzo di mano d’opera straniera è divenuto indispensabile in molti settori dell’industria e dei servizi, fenomeno questo destinato a

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perdurare nel tempo visto che l’Italia è il paese con il tasso di natalità più basso di tutto il mondo (1,4%) La visibilizzazione dell’Islam crea una preoccupazione in più, anch’essa alimentata da un immaginario che tende a identificare l’Islam con il fanatismo, il terrorismo, l’oscurantismo culturale. La scena internazionale con le sue situazioni di attentati, guerre, violenze in paese islamici pesa sui musulmani europei e italiani creando un’atmosfera di sospetto e di dubbio che rischia spesso di funzionare da specchio, facendo nascere fra i musulmani la tentazione di chiudersi, di isolarsi, di difendersi in un ripiegamento identitario. Questa prima generazione di musulmani immigrati ha un livello culturale mediamente modesto, svolge nel 98% dei casi lavori di mano d’opera e deve affrontare quotidianamente problemi di sopravvivenza. Bisognerà quindi aspettare le prossime generazioni perché i musulmani italiani inizino una riflessione approfondita sulla propria identità in situazione di minoranza, di pluralismo culturale e di varietà di riferimenti islamici, tutte cose lontane dalla loro esperienza nei paesi di origine. Tariq Ramadan uno dei leader dei giovani musulmani europei individua per le giovani generazioni di musulmani europei sei piste di lavoro11:

a) Islam e laicità: in che modo la fede e la spiritualità islamica influenzata dalla laicità della società europea? Inizierà anche per l’Islam quel processo di revisione storico-critica delle fonti che tanta influenza ha avuto sul il cristianesimo?

b) Identità islamica europea: la prima generazione porta con sé la sua cultura di origine. Ma chi è il musulmano europeo? Si può essere musulmani europei o bisogna rimanere musulmani egiziani, marocchini…? E’ possibile rivestire l’identità musulmana con l’abito di dove si vive? E’ possibile liberare l’Islam da una cultura di stampo orientale?

c) Pratica religiosa in Europa: se si separa l’identità religiosa dal rivestimento culturale, che cosa resta dei precetti religiosi? Qual è il ruolo della moschea? Quali sono le pratiche fondamentali e come potranno trasformarsi a contatto con la cultura europea?

d) Islam e leggi: che rapporto instaurare con le legislazioni dei paesi europei? Rispetto delle leggi? Pretesa di isolamento? Opposizione?

e) Cittadinanza e partecipazione: con l’acquisizione della cittadinanza si pone il problema di partecipare da protagonisti alla vita sociale e politica, almeno a livello locale.

f) Promozione di una cultura islamica europea: quale è il contributo che i musulmani possono dare all’elaborazione di una nuova cultura europea?

Questi saranno certamente i temi che nel prossimo futuro anche l’Islam italiano si troverà a dover affrontare.

Maria Adele Roggero

Questo testo, nella sua versione in inglese, è stato pubblicato in: Yvonne Yazbeck Haddad (a cura di), Muslim in the West, from sojourners to citizens , Oxford University Press, New York, 2002

11 Cfr. T. Ramadan, Etre musulman en Europe, Ed. Tawhid,Lyon, 1999

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Bibliografia utilizzata: S. Allievi, F. Dassetto, Il ritorno dell’Islam:I musulmani in Italia, Edizioni Lavoro, Roma, 1993 S. Allievi (a cura di), L’Occidente di fronte all’Islam, Franco Angeli, Milano, 1996 S. Allievi, I nuovi musulmani: i convertiti all’islam, Edizioni Lavoro, Roma, 1999 F. Dassetto, A. Bastenier, Europa:nuova frontiera dell’Islam, Edizioni Lavoro, Roma, 1988 F. Dassetto, L’islam in Europa, Edizioni della Fondazione Agnelli, Torino, 1994 S. Ferrari (a cura di), L’Islam in Europa: lo statuto giuridico della comunità musulmane, Il Mulino, Bologna, 1996 S. Ferrari (a cura di), Musulmani in Italia: la condizione giuridica delle comunità islamiche, Il Mulino, Bologna, 2000 T. Ramadan, Etre musulmans en Europe, Editions Tawhid, Lyon,1999 Ch. Saint-Blancat, L’Islam della diaspora, Edizioni Lavoro, Roma, 1995 Ch. Saint-Blancat (a cura di), L’islam in Italia:una presenza plurale, Edizioni Lavoro, Roma 1999 I. Sigillino (a cura di), I bambini dell’islam, Franco Angeli, Milano, 2000 I.Sigillino (a cura di), I luoghi del dialogo, Cristiani e musulmani in Italia, Editrice Cens, Melzo, 1997 O. Schmidt di Friedberg, Islam, solidarietà e lavoro. I muridi senegalesi in Italia, Edizioni Fondazione Agnelli, Torino, 1994

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“Musulmani in Italia o musulmani d’Italia? Ricchezze e sfide di un percorso interculturale”

Relatrice: Maria Adele Valperga Roggero Esperta di dialogo islamo-cristiano, Responsabile dei laboratori “Islam: conoscere per

dialogare” e “Sul dialogo interreligioso”, MEIC, gruppo di Torino

Intervento presso il Centro Culturale San Secondo di Asti Sono stata chiamata a parlare della possibilità di un incontro interculturale tra italiani e musulmani. Lo farò partendo da un’esperienza di cui sono responsabile da una decina d’anni a Torino all’interno del Laboratorio di dialogo islamo-cristiano del MEIC: si tratta di un progetto “Torino la mia città – Percorsi di alfabetizzazione e di cittadinanza per donne maghrebine”. Quest’attività ci sta dando grandi soddisfazioni; siamo arrivati ad avere annualmente centotrenta donne che seguono i nostri percorsi, accompagnate dai loro bimbi in età prescolare. Oltre all’insegnamento della lingua italiana offriamo incontri con esperte per far conoscere le leggi sulla migrazione, i servizi sociali che la nostra società offre agli immigrati, scambi di informazioni sulle cure materno-infantile, sull’educazione dei figli, sulla legislazione familiare, sull’organizzazione scolastica. Inoltre accompagniamo le nostre iscritte a conoscere Torino attraverso la visita a musei e monumenti storici. Alle donne già in grado di esprimersi in lingua italiana proponiamo anche dei laboratori di approfondimento su vari temi quali la storia e la costituzione italiana, l’evoluzione della famiglia ed il ruolo della donna nella società italiana, la scuola italiana e le sue finalità educative… Questo progetto è attivo dall’anno 2000 ed è una realtà ormai conosciuta e consolidata nella città. Grazie ai finanziamenti pubblici e privati che ci sostengono, la stiamo ora estendendo in diversi quartieri là dove sono più numerose le famiglie di immigrati. Pensiamo si tratti di un buon servizio che ha fra le altre sue caratteristiche vincenti quella di essere tutto al femminile: ci tengo a sottolineare questo aspetto perché credo che un’autentica integrazione sia più efficace se passa attraverso le donne: le donne sono le prime mediatrici culturali naturali all’interno della famiglia, fra donne si crea facilmente condivisione e complicità, ci si capisce al volo in quanto si condividono spesso percorsi e fatiche che permettono di far crescere amicizia, sororità, solidarietà. Per realizzare questo progetto è fondamentale avere luoghi attrezzati per accogliere mamme con bimbi in orari e ambienti compatibili con la loro vita, perchè se le mamme sapranno capire e parlare bene la lingua e orientarsi all’interno del paese che le accoglie, trasmetteranno anche sicurezza e fiducia alle future generazioni. Abbiamo ottenuto una buona collaborazione dalle biblioteche civiche di Torino che ci mettono a disposizione le loro sedi per svolgere le varie attività. Abbiamo nel nostro gruppo di lavoro mediatrici e babysitter arabofone per facilitare la comunicazione L’aspetto più importante è quello di saper accogliere queste donne con un atteggiamento di simpatia e di rispetto della loro identità, senza pre-giudizi nei confronti delle differenze di abitudini e di comportamenti. Questa modalità di approccio a parer mio dovrebbe essere adottata anche quando si affronta il tema del dialogo interreligioso: conoscere la religione dell’altro con un atteggiamento di simpatia e di rispetto reciproco, essere cioè interessati a capire dall’interno ciò che l’altro vive sul piano religioso senza pre-giudizi che impediscano un’autentico scambio. Quando questo

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avviene reciprocamente – e non è cosa facile – diventa una preziosissima base per un reale dialogo culturale e religioso. Ciò di cui voglio parlare stasera è proprio il cammino interculturale di conoscenza reciproca e di integrazione delle comunità musulmane, in Italia e in Europa e di quale sia attualmente lo stato della questione. Tutti noi ci ritroviamo, di questi tempi, a vivere dei disagi e delle diffidenze reciproche dovute più che alla realtà, alla rappresentazione che di essa ci viene proposta. Un’immagine che mi piace sempre usare, suggeritami dall’amico Stefano Allievi (1), è che esiste un Islam di carne e un Islam di carta e che questi due mondi non si incontrano quasi mai: l’Islam di carne è fatto di quei 10/15 milioni di persone che vivono in Europa, lavorano, hanno famiglia, seguono le leggi, pagano le tasse; persone che in Europa progettano il loro futuro e quindi sono di fatto integrate. Persone che però non fanno notizia, mentre la rappresentazione che dell’Islam danno i giornali e i media, è di tipo fortemente negativo e inquietante: ossessivamente vengono sottolineati gli aspetti di fondamentalismo o di devianza per cui, quando poi si incontrano gli islamici in carne e ossa li si evita, perché si ha paura di loro. Paradossalmente poi , quando si conosce un musulmano e ci si fida di lui si dice, “vabbè, ma questo è diverso, i musulmani veri sono gli altri.” A me succede di tenere lezioni di educazione interculturale a scolaresche di Torino e sovente incontro ragazzi con un sacco di pregiudizi. Quando poi li faccio ragionare sui coetanei musulmani che sono nelle loro scuole e che conoscono personalmente, la loro risposta è: “si, ma quelli sono nostri amici, quindi non contano”. Per cui bisogna farsi forza da entrambe le parti per uscire dagli stereotipi, operazione estremamente difficile, ma anche estremamente necessaria in quanto ormai, che lo si voglia o no, l’Islam non è una realtà da cui si possa prescindere. Un milione di musulmani residenti stabilmente in Italia con le loro abitudini e i loro abbigliamenti a volte simili, a volte differenti, con le loro sale di preghiera che in Italia si pensa siano circa 730, non si possono non prendere seriamente in considerazione. L’Islam è la seconda religione d’Europa e quindi dall’ex nemico del nostro immaginario collettivo, è diventato un coinquilino con cui dobbiamo e possiamo serenamente fare i conti e i confronti anche perché i temi che suscita, sempre molto animatamente, si incrociano spesso con nostri valori in crisi. Faccio degli esempi: si parla spesso del ruolo della donna nell’Islam e questo crea sempre molti problemi. Ma di fatto quello che si vuole affrontare quando si tocca questo tema è: c’è effettiva parità fra uomo e donna nella nostra società? Così come quando si parla della religione islamica, così forte, così poco laica , così sicura delle proprie ragioni, secondo me, il tema vero è: che ruolo vogliamo dare alla religione all’interno della nostra società? E così via. Quindi, grandi stimoli che ci derivano da una parte di popolazione ormai stabilmente presente tra noi. Anche se poi molti musulmani non vestono, né vivono in maniera diversa da noi, non praticano i pilastri dell’Islam, se non limitatamente ad alcuni aspetti, perché sono ormai secolarizzati dall’incontro con la società europea e dall’acquisizione dei nostri usi e costumi. Una cosa è certa: rispetto ad altri gruppi di migranti, quelli provenienti da società islamiche tendono maggiormente a non “ridursi”, rifiutano un’assimilazione pura e semplice. L’Islam è una cultura fiera di sé, che chiede di essere rispettata e riconosciuta in quanto tale, che rivendica di poter esistere all’interno di un contesto europeo dove la laicità, intesa come rispetto di tutte le culture, è uno dei valori fondanti.

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E questo è certamente un grosso stimolo ed una sfida: sarà possibile per la cultura islamica che fa fatica a scindere fra ciò che è vita civile e vita religiosa inserirsi serenamente all’interno di una società i cui valori di democrazia, laicità e libertà di coscienza hanno uno spessore storico su cui nessuno, almeno per ora, è disposto a tornare indietro? Questo è un nodo importante su cui tutti dovremo lavorare. Una caratteristica dell’Islam europeo è di essere giunto ormai alla terza o quarta generazione di immigrati islamici. E qui bisogna legittimamente domandarsi: è possibile chiamare ancora “immigrati” delle persone quando i veri e soli immigrati erano i loro bisnonni? Questo dimostra che non abbiamo neppure il linguaggio adatto per affrontare la situazione: cosa significa “quarta generazione di immigrati”? Si tratta di persone i cui genitori sono già nati, cresciuti e scolarizzati in Europa; parlano la nostra lingua, condividono gran parte della nostra cultura. Hanno semplicemente una religione diversa, forse un cognome arabo, ma per noi restano ancora “immigrati”. Conosco personalmente molti studenti universitari di origine maghrebina, nati in Italia, che si sentono perfettamente italiani, anche se noi continuiamo a vederli diversamente. Questi ragazzi si sentono assolutamente offesi e depressi quando qualcuno dice loro: “tornatevene a casa vostra”. Ma dov’è casa loro? Casa loro è qui e da nessun’altra parte, loro sono italiani. Bisogna però anche rendersi conto di alcuni fattori: - le prime generazioni islamiche immigrate in Piemonte negli anni ottanta, generalmente provengono dai paesi del Nord Africa, paesi che per la maggior parte pur dicendosi democratici sono retti da monarchie o da regimi presidenziali di tipo quasi dittatoriale, dove il discorso della democrazia così come si è sviluppato in Europa è qualcosa di non ben digerito e nemmeno ben accettato. Nazioni dove è ancora aperta la ferita della colonizzazione, che fa vedere l’Europa come un continente sicuramente attraente per la sua ricchezza e per il suo progresso, ma anche il continente da cui sono venuti i colonizzatori che hanno oppresso i loro paesi. Quindi ecco che c’è un atteggiamento duplice: da un lato il desiderio di venire a cogliere il benessere lì dove c’è, dall’altro la diffidenza verso quelli che sono stati considerati come regimi di oppressione. - Inoltre sono tutte società che hanno ancora una struttura evidentemente patriarcale, da cui si fa difficoltà a staccarsi specie nelle zone rurali da cui provengono molti dei nostri immigrati Società patriarcale non significa solo predominio dell’uomo sulla donna, ma soprattutto una cultura basata sul consenso e sull’obbedienza a norme e a schemi culturali trasmessi autoritariamente di padre in figlio. Anche le modalità educative familiari e scolastiche riflettono questo modello culturale e quindi l’Islam dei padri, di coloro che sono arrivati e non nati qui, è ancora immerso in questa cultura che effettivamente si nutre di valori diversi da quelli che noi consideriamo fondanti come la libertà di coscienza, la libertà di pensiero, la laicità, la parità fra uomo e donna. Tra le 130 donne che quest’anno hanno partecipato ai nostri corsi ne abbiamo circa la metà, di età tra i venti e i trent’anni praticamente analfabete non avendo mai frequentato la scuola. Questo perché la maggior parte di loro viene dal Marocco, uno splendido paese che io conosco e amo moltissimo, ma che ha grossi problemi e uno di questi è l’analfabetismo nelle campagne. In certe zone del Marocco l’analfabetismo femminile è ancora dell’80/90 %. E quindi pensate allo choc culturale di persone che arrivano da una simile realtà con valenze ancora antiche e vengono catapultate a vivere in grandi città. Naturalmente bisogna tener conto che tra quelli che giungono qui ci sono i contadini, ma ci sono anche persone istruite che hanno diplomi o lauree: mettere tutti dentro la stessa cornice fa comodo, ma non rende un buon servizio né a loro, né a noi. Bisogna stare molto attenti nel pronunciare giudizi e crearsi opinioni, perché se si ascoltano tre musulmani che esprimono un’opinione, non è che tutto l’Islam, composto da un miliardo e 200 milioni di persone ragioni

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come quei tre signori: c’è una grandissima varietà di culture, di atteggiamenti e di visioni, esattamente come per noi. - Un’altra differenza molto grande è quella di inserirsi in una società multiculturale e di scoprirsi minoranza. Per un musulmano proveniente dal Marocco o dalla Tunisia, questa è una sitauzione mai vissuta e nemmeno ipotizzata. Non c’è abitudine al confronto culturale o religioso. In Italia anche la comunità islamica stessa è eterogenea al suo interno. Si parlano lingue diverse, si è tutti musulmani, ma si è senegalesi, marocchini, pachistani, albanesi e così via. E poi ci sono diverse appartenenze all’Islam che caratterizzano queste comunità: da quella mistica dei Sufi a quella sociologica, cioè delle persone che si definiscono musulmane, ma seguono le regole alimentari e religiose in modo non rigoroso, e che magari vivono il mese del Ramadan con grande fedeltà perché può segnare il momento di ritorno al legame familiare ma per il resto dell’anno frequentano poco la moschea; e poi ci sono altri che appartengono a movimenti religiosi più radicali, che vengono educati religiosamente in maniera rigida e che vogliono quindi riprendere in mano la propria fede. Questo anche perché, quando ci si sperimenta come minoranza c’è chi tende a stringere le fila, a serrarsi sulla propria cultura nel tentativo di preservarla, cosa che crea a volte anche delle difficoltà. A Torino molte famiglie frequentano poco la moschea in quanto, affermano: “noi in moschea ci sentiamo solo e sempre sgridare, dagli imam che ci dicono: dovete tenere le vostre donne in casa, fate attenzione ai vostri figli e a dove vivete perché qui tutto è pericoloso, è peccaminoso ecc. e noi non ne possiamo più”. Questo fa si che molte famiglie vivano il loro Islam in modo privato, casalingo (l’islam permette questa modalità di pratica). Questo però è un guaio, perché in una società complicata come la nostra, vivere senza avere qualcuno con cui confrontarsi, qualcuno che ti faccia capire cos’è bene e cos’è male diventa anche difficile . Allontanandosi dalle pratiche religiose comunitarie, diventa anche difficoltoso trasmettere le tradizioni e la cultura ai figli perchè non sempre si hanno gli strumenti necessari per farlo. Parlando invece della cosiddetta “seconda generazione”, dei giovani sotto i 25 anni, troviamo dei ragazzi figli di genitori di impostazione ancora molto tradizionale, i quali coltivano in alcuni casi il sogno di poter tornare nella loro terra. Magari hanno costruito una casetta là e curano ancora molto i rapporti con il paese di origine: se hanno delle figlie sognano di farle sposare con persone che vengono di là, se hanno dei figli vorrebbero farli sposare con ragazze provenienti dalla cerchia famigliare e trasmettono ai giovani messaggi che suonano come, “ricordati che noi siamo diversi, siamo musulmani marocchini e tu non devi cambiare tanto, non devi perderti, ricordalo”. Al contrario invece, noi ci ritroviamo spesso di fronte a ragazzi che essendo cresciuti qui, si sentono molto poco marocchini e molto italiani e che fanno difficoltà a parlare la lingua di origine e ad accogliere certi aspetti della cultura tradizionale. Non conoscono più l’arabo per leggere il Corano in lingua originale, hanno amici italiani e sognano il loro futuro qui. Io conosco delle ragazze credenti, praticanti, che vedono la loro vita futura qui e si confidano dicendomi: “mia madre dice sempre di scegliere una facoltà universitaria che sia riconosciuta in Marocco, perché io dovrò sposare un marocchino e tornare là, ma io piuttosto di sposare un marocchino scappo di casa. Però a mia mamma non lo dico perché la farei troppo soffrire”. Questo è un problema molto grosso, che hanno vissuto a suo tempo anche gli italiani migranti, è il gap generazionale, dove i genitori sono ancora legati alla realtà di partenza e i giovani camminano in avanti. Ma questo è soprattutto un problema sociale che si tratta di monitorare con molta attenzione, perché spesso ci troviamo di fronte a dei ragazzi che vivono situazioni schizofreniche e non sanno da che parte stare: amano e hanno rispetto per le proprie famiglie e non vogliono farle soffrire, per cui in casa si comportano in un certo modo e fuori casa con gli amici si comportano in un altro modo e questa è una situazione lacerante per chiunque. Questo passaggio va agevolato e aiutato; bisogna aiutare le famiglie a comprendere meglio le situazioni in cui si trovano i loro figli e a conoscere senza troppa diffidenza quali sono i valori

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fondanti della nostra società, a cercare delle mediazioni per permettere un transito sereno verso il cambiamento, perché il cambiamento ci sarà comunque, anche per i musulmani che pensano di restare uguali a se stessi. Molti musulmani hanno sperimentato, tornando in patria dopo due o tre anni che non ci si ritrova più, nemmeno la lingua è più la stessa: il dialetto, gli usi, i costumi sono diversi, tutto cambia continuamente. Proprio l’altro giorno una giovane mamma mi raccontava di sognare tutto l’anno il momento in cui in estate ritorna in Marocco per portare i propri bambini dai nonni e dalla famiglia, ma poi quando è là scopre che i suoi figli sono diversi dai cuginetti e che non c’è più la possibilità di una comunicazione del tutto spontanea. E lei da un lato vorrebbe riportarli in Italia subito, nell’ambiente dove loro vivono, e dall’altra le viene il dubbio di non essere stata capace di educarli adeguatamente. E quando torna qui è sempre piena di paure, perché non è sicura di riuscire a trasmettere abbastanza della sua cultura di origine. Questo è un sentimento che attraversa moltissime persone che vivono queste situazioni, ed è un sentimento che noi italiani dobbiamo saper riconoscere e accompagnare in qualche modo con amicizia, con condivisione, perché i percorsi difficili che vivono le famiglie musulmane con i loro figli adolescenti, li viviamo anche noi, quindi fondamentale sarebbe non creare barriere, ma ponti, aprirsi e mettere i problemi in comune, discuterne insieme per tentare di trovare delle soluzioni, per poterci arricchire reciprocamente e riconoscere dei vissuti comuni. In ogni caso, le giovani generazioni certamente a poco a poco si distaccano da questa mentalità di Islam etnico dei loro genitori, fortemente radicato nel paese di origine, e tendono a sentirsi italiani di religione musulmana, e quindi a spogliare la loro appartenenza religiosa di tutta una serie di appartenenze culturali. Ma qui sorgono altri problemi, perché non è semplice capire che cosa è culturale e che cosa è religioso, visto che nei paesi d’origine tutto è molto intrecciato e quindi questo è un lavoro molto grosso che viene caricato sulle spalle delle famose seconde generazioni: costruire un Islam europeo. E’ possibile? Certo, lo vediamo in tanti paesi; questo Islam europeo sta nascendo, con difficoltà, con fasi contrapposte di irrigidimento e di apertura. Ad esempio, uno dei problemi che stanno sorgendo è questo: Si legge il Corano nella lingua del paese in cui si vive, perché non si hanno più gli strumenti culturali per leggere in arabo. Questa è una novità culturale molto grossa, perché significa comunque aprirsi ad una interpretazione del testo coranico di tipo diverso; e qui si apre il grande tema: è possibile interpretare il testo coranico o no? Poi c’è il discordo di genere: nei paesi d’origine i ragazzi e le ragazze vivono separatamente, mentre qui i due sessi sono abituati a crescere insieme fin dall’infanzia e questo comporta tutta una revisione di ciò che è valore religioso autentico e di ciò che è sovrastruttura culturale. Pensate all’uso del foulard. Le occidentali che vedono una donna con il velo pensano subito a una costrizione, voluta da qualche membro maschio della famiglia e sotto quel velo ipotizzano spontaneamente percorsi di sopraffazione, di incapacità di vivere la propria autonomia. Le ragazze che portano il velo, interrogate, dicono che portarlo è una scelta individuale di libertà, “è un mio modo di sottomettersi alla volontà di Dio”; affermano “sono io che scelgo”. Sarebbe assurdo che in una società come la nostra, europea, laica e dove il diritto individuale alle libere scelte è di tutti, alla fine le donne musulmane fossero costrette a non mettere il velo che hanno scelto liberamente di portare. Quindi, lo stesso velo, può essere una bandiera di libertà per alcuni o un evidente segno di oppressione per altri, si tratta di mettersi d’accordo. E comunque, è vero che il velo connota certe forti caratteristiche culturali. Il fatto è che può succedere che in certi momenti della propria storia, queste caratteristiche le si voglia proprio rivendicare: “parlano tutti male dei musulmani? E io allora voglio proprio vestirmi da

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musulmana e voglio vedere se posso realmente essere libera di essere musulmana in questo paese che grida alla libertà come a uno dei suoi valori fondanti”. La cosa importante mi sembra comunque quella di rendersi conto che siamo in una fase in cui, da entrambe le parti, non c’è niente di fisso; siamo in una fase di grosso cambiamento, cambiamento della società, cambiamento delle comunità immigrate che camminano nella nostra storia, insieme con noi. Cambiamenti che si devono anche al fatto che viviamo in un mondo globalizzato, in cui se c’è la guerra in Palestina o in Irak, o se saltano le Torri Gemelle, è impossibile che qui non ci sia una ripercussione. Tarik Ramadan(2), intellettuale islamico di origine egiziana che vive in Svizzera, filosofo e anche teologo, che lavora molto per portare alla costruzione di un Islam europeo e quindi si rivolge specialmente ai giovani, perché rivendichino il loro diritto ad essere europei di religione islamica, afferma che ci sono molte sfide da affrontare e da risolvere per i musulmani che vivono in Europa. Ad esempio, si chiede: è possibile mantenere la propria religione islamica in un contesto di modernità secolarizzata così come è l’Europa oggi? E’ possibile far coesistere laicità dello stato e religione islamica? Questa è una sfida su cui i musulmani che vivono in Europa devono riflettere insieme a noi che abitiamo queste terre da tanto più tempo: è possibile essere musulmani europei o si è condannati a rimanere musulmani marocchini, egiziani, turchi ecc.? E poi, se si separa la pratica religiosa dal rivestimento culturale che ci è stato trasmesso dai nostri padri, che cosa resta? Cosa resta della lingua araba per leggere il Corano, dell’abbigliamento, dei divieti alimentari, degli orari delle preghiere, delle festività? Che cosa sono le cose proprio importanti, essenziali, che bisogna mantenere ad ogni costo, per sentirci ancora appartenenti a questa grande religione che è l’Islam? E quali sono le cose su cui invece possiamo contrattare, che non sono così fondamentali? Questo discorso, anche il cristianesimo l’ha fatto, per tanti secoli, e continua a farlo. Dal Medio Evo fino ad oggi il cristianesimo è andato avanti a depurare, con fasi alterne, avanzamenti e retrocessioni, togliendo tutto ciò che non era fondamentale, ma che era apparso tale fino a quel momento. E ogni grande religione questo cammino lo deve fare e di fatto lo fa. Così come anche l’Islam l’ha fattoe lo fa con fasi alterne di aprtura e di chiusura: trecento anni fa ad esempio, nei paesi del Magreb le donne non andavano in giro velate e adesso sì, in nome della stessa religione. E poi, si chiede ancora Ramadan, rispetto alle leggi europee, come ci poniamo noi musulmani? Le accettiamo, le contestiamo, vogliamo avere delle legislazioni separate? Pensate alla legislazione famigliare, la monogamia rispetto alla poligamia, ill ripudio rispetto al divorzio: ci irrigidiamo oppure ci adattiamo? La maggioranza dei musulmani presenti in Europa, divenendo cittadini europei, accettano la legislazione vigente, ma ci sono delle piccole frange che ribadiscono la volontà di restare diversi. La comunità islamica nel suo interno e poi tutta la società dovrà affrontare questa serie di nodi per giungere ad un soluzione. E divenuti cittadini, vogliamo divenirlo a tutti gli effetti e partecipare all’elaborazione di un percorso legislativo, economico e politico comune, oppure no? Queste sono tutte piste di lavoro molto grosse che io mi auguro non facciano i musulmani da soli, perché dobbiamo percorrerle tutti insieme fino ad arrivare ad essere cittadini alla pari, a tutti gli effetti al di là delle singole fedi od opinioni. Io credo che in una società come la nostra questa sia un’idea di futuro ipotizzabile e possibile.” Domanda di un giovane presente in sala:

“Io sono uno dei ragazzi di cui parlava prima: mi sento cittadino italiano islamico. Appartengo

ai “Giovani musulmani in Italia”.

E’ stata stipulata una “Carta dei valori” tra lo Stato ed il mondo islamico, ma poi ci sono stati

dei problemi, perché lo Stato si è trovato davanti al problema di chi rappresentasse veramente i

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musulmani in Italia. Inoltre, qualcosa, soprattutto sull’emergenza riguardante i casi di razzismo,

non ha funzionato.”

MAR.” Quello che si respira attualmente è un clima molto pesante, purtroppo: molti giovani musulmani, ma anche molti italiani sono demoralizzati. Proprio pochi giorni fa una ragazza musulmana di Torino mi diceva d’aver appena preso una laurea e di volerne prendere un’altra di indirizzo totalmente diverso, ingegneria gestionale, per poter andarsene dall’Italia, perché, diceva, non è possibile sentirsi tacciare d’essere stranieri in qualsiasi momento, non si può vivere respirando questo continuo clima di diffidenza. Ho provato con lei disagio ed anche un po’ di vergogna per tutti noi. La firma degli accordi con la comunità islamica avrà ancora un percorso lunghissimo perché, così come avviene negli altri paesi europei, non si sa chi è l’interlocutore con cui trattare. Le comunità islamiche sono ancora divise, in bilico tra l’appartenenza etnica e quella religiosa. E poi ci sono i musulmani italiani, i convertiti, che dicono di essere gli unici a poter firmare l’accordo perché la legge di acquisizione della cittadinanza è complicatissima: molti ragazzi nati in Italia, avendo le famiglie non italiane, non riescono ad ottenere la cittadinanza e vivono con l’angoscia che se non continuano a studiare o non trovano subito lavoro, verrà il giorno in cui qualcuno dirà loro “voi siete stranieri, qui non potete stare, non fate niente e quindi fuori”. Ma cosa significa “fuori”, se io sono sempre vissuto qui? Queste sono cose assolutamente destabilizzanti: pensate a cosa vuol dire con i tempi biblici della nostra burocrazia continuare a dover rinnovare il permesso di soggiorno, non poter andare a fare un corso di specializzazione all’estero perché non ti arriva il permesso che ti consente di espatriare e così via: significa vivere sempre con la valigia sotto il letto e con l’idea che non sei sicuro da nessuna parte; e allora i più forti resistono, ma molti si spezzano per l’usura e spezzarsi significa cadere in mille reti diverse. Questo è sicuramente un grosso problema contro cui tutte le persone con un minimo di coscienza civile dovrebbero battersi, come dovrebbero battersi contro questo terribile, fasullo e montato ad arte clima di emergenza e di paura, che provoca ondate di razzismo privo di senso. Non esiste l’emergenza: esiste una stragrande maggioranza di persone inserite, che vivono serenamente nella normalità e poi piccole frange di disadattati, di malavitosi, come in ogni situazione. La maggior parte dei musulmani provenienti dal Maghreb che vivono in Italia, sono famiglie con bambini che cercano di vivere onestamente come tutti noi. I numeri della malavita, fanno parte di realtà completamente diverse, non possono essere identificati con quelli dell’immigrazione che vediamo nelle nostre città. E’ necessario e doveroso scindere il discorso sull’ordine pubblico da quello della vita quotidiana di tante persone.” D.G. “Più di una volta, nel corso di queste serate, abbiamo sentito parlare del senso di scissione

che si crea nelle persone che si trovano a vivere improvvisamente in una realtà completamente

diversa da quella in cui sono nate. D’altronde è una cosa che abbiamo sentito raccontare anche

dai nostri nonni o parenti che sono emigrati in passato verso altri paesi. Cosa si può fare per

colmare questa frattura e farla divenire una risorsa, un’occasione su cui far crescere qualcosa

di nuovo, per chi arriva nel nostro paese, ma anche per noi stessi?”

MAR“Si può fare qualcosa lavorando direttamente sui rapporti interpersonali. Se smettiamo di parlare di Islam in generale e invece ci guardiamo negli occhi e parliamo di uomini e donne, di mamme, di compagni di lavoro, di compagni di scuola, l’atteggiamento cambia, rintracciamo i tratti comuni: siamo tutti esseri umani e poi, all’interno di questa nostra grande appartenenza, siamo tutti lavoratori nella stessa fabbrica, compagni nella stessa scuola e così via.

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Dentro a queste esperienze comuni, il racconto di sè, il sostegno reciproco nelle difficoltà, il darsi una mano tra vicini di casa, permette di creare quei ponti che veramente danno poi la possibilità di comunicazione di esperienze ricche e condivise. Quello che sto dicendo, noi lo sperimentiamo continuamente nel nostro lavoro con le donne: il calore umano, il senso dell’accoglienza, l’onestà profondissima, il senso di amicizia che noi impariamo quotidianamente dalle donne che frequentano i nostri corsi, “allieve” che diventano poi amiche , è qualcosa di preziosissimo, che fa sì che il nostro gruppo di lavoro si arricchisca di anno in anno di volontari entusiasti che si accorgono di come sia bello poter lavorare insieme, imparare nell’incontro con l’altro tante cose inattese. E d’altro canto è fondamentale la possibilità offerta a queste donne, vissute magari per anni isolate nel loro contesto famigliare (ci sono donne che abitano da quattro o cinque anni a Torino e che, quando le portiamo a fare una gita in collina, scoprono che la città è contornata di montagne: non lo sapevano perché non avevano mai avuto occasione di salire in alto, non sapevano che Torino aveva un fiume, il Po, perché, specie se si hanno bambini piccoli, si vive un po’ prigionieri della propria vita) di aprire le porte, di fare amicizia e e condividere esperienze, di raccontarsi e di ascoltare il racconto di altre donne e madri. Noi abbiamo un bel laboratorio che chiamiamo “Della memoria” in cui ognuno racconta come viveva da bambino, quali sono i ricordi dei propri nonni, della vita d’infanzia, dei giochi. Lo facciamo alla pari, donne del Maghreb e donne italiane che si raccontano a vicenda, ed è un tipo di esperienza che alla fine non si vorrebbe mai terminare, perché crea degli ampi e profondi legami di confidenza, con se stessi anche, recuperando il senso della coscienza di sé: perché quando si vive in situazioni di grande difficoltà, di distacco traumatico dai propri affetti, si rischia di non sapere più chi si è. E questo è terribile, doloroso, destabilizzante. Se poi pensiamo che spesso queste giovani donne sono a loro volta educatrici, perché hanno dei bimbi piccoli, ci si rende conto che quest’operazione del ritrovarsi è doppiamente importante, perchè cosa puoi trasmettere ad un bambino se dentro di te hai solo questa tristezza, questa enorme nostalgia e non sai dove ti trovi, non capisci niente di quello che ti circonda, e vivi nella paura, nell’ansia e nella difficoltà continua? Quindi, ecco, mettiamoci nei panni gli uni degli altri, perché l’incontro con una persona, chiunque sia, è un arricchimento indicibile. Una società multiculturale come è ormai la nostra, è una società da cui - se ne usciremo vivi e con le ossa tutte intere ( perché è comunque un enorme impegno) - riemergeremo tutti più ricchi, enormemente più ricchi, perché avremo sperimentato la fiducia che si crea nei confronti di chi ci sembra diverso, avremo costruito dei ponti oltre noi stessi. Non sono parole teoriche, sono la constatazione del nostro lavoro di ogni giorno, ma è essenziale vincere la diffidenza iniziale, questo sì. Ricordo ciò che mi raccontava una mamma marocchina, laureata in fisica come suo marito, che qui però faceva il falegname. Erano venuti a Torino con i loro due bambini e lei era una persona sensibile, colta, gentile e raccontava come ogni mattina vivesse, portando a scuola la sua bambina, il grande disagio che le derivava dal senso di rifiuto che le trasmettevano le altre mamme, le quali, vedendola si chiudevano a capannello, escludendola. “Io e la mia bambina” diceva, “rimaniamo fuori dal cerchio delle altre mamme che chiacchierano e io non so cosa fare per spezzare questo capannello.” Ecco, spezziamoli noi per primi questi cerchi, questi capannelli: tocca a noi che accogliamo farlo, anche pensando a ciò che hanno vissuto i nostri nonni nelle loro migrazioni. Mettiamoci nei panni di chi vive questo enorme choc culturale. La cosa più dura è abbattere i pregiudizi: questa sera noi potremmo dire di tutto, ma se uno è venuto qui con un pregiudizio che gli nasce dalla pancia, esce con il suo pregiudizio, perchè questo purtroppo è un lavoro lungo, anche di autoeducazione.

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Se poi, al contrario, si fa di tutto per alimentarlo questo pregiudizio, magari attraverso la cosiddetta informazione, è la fine. In questo senso, purtroppo, è un guaio che nel mondo musulmano non esista un portavoce, un papa e nemmeno un vescovo che possa parlare a nome di tutti. Ogni musulmano parla per sé, e ognuno ovviamente si pronuncia, sugli attentati, sui fatti di cronaca, ma le voci sono deboli ed il pregiudizio è così grosso che pare che i musulmani non prendano mai posizione. Inoltre noi ragioniamo da maggioranza e da occidentali, ma chi proviene da paesi che hanno visto lo sfacelo del colonialismo, forse ragiona in maniera diversa. Un altro grosso ostacolo nel cammino di comprensione reciproca, è ciò che si sente spesso ripetere, cioè che noi diamo la possibilità ad ognuno di praticare la propria religione, ma che gli islamici nei nostri confronti sono intolleranti. Tutto ciò deriva dal fatto che nel mondo musulmano non esiste la libertà di conversione: non c’è nessun paese musulmano dove non sia proibito cambiare religione. Oggi i teologi musulmani cominciano lentamente a ridiscutere questa posizione, ma ci vorrà tempo, molto tempo. Le conversioni sono proibite, avvengono di nascosto e sono uno choc.” Dal pubblico viene detto che nel Corano non c’è nessuna costrizione, bisogna rivolgersi ai

politici. Quando Maometto ha conquistato La Mecca, non ha costretto nessuno a diventare

musulmano, ma ha detto ai suoi fratelli,” andate in pace, fate come volete”.

MAR “Si è vero, storicamente i musulmani non hanno mai costretto nessuno ad adottare la religione islamica, ma è anche vero che oggi la legislazione dei paesi musulmani non permette la conversione dall’Islam ad un’altra religione. E se voi qui in Europa avete coscienza di questa contraddizione, dovete essere i primi a far sentire la vostra voce unita a quella di tutti coloro che vogliono la libertà di religione, facendo presente che ciò non è coranico. Questo sarebbe un buonissimo esempio contro i pregiudizi. Pregiudizio è dire “questa situazione non cambierà mai”; il giudizio è dire “al momento è così, poi cambierà, cambierò io, cambierai tu”. Tanto è il mondo che cambia, che piaccia o no, allora bisogna prenderne atto e cercare d’intervenire consapevolmente.” Dal pubblico c’è un intervento sulla scarsa frequentazione delle moschee e su come questo sia

disgregante per gli islamici d’Europa.

MAR “In realtà le scuole coraniche a Torino sono molto frequentate. I genitori vi portano i bambini la domenica mattina e in quell’unico giorno in cui si potrebbe dormire, i bambini si alzano alle otto per andare a scuola di arabo coranico. Molto, per quanto riguarda la frequentazione delle singole moschee, dipende dall’imam, dalle cose che lui dice e da come vengono dette. Come nelle parrocchie cattoliche, d’altronde. La formazione degli imam europei comunque, è un grosso problema, perché fino a che gli imam rimangono legati alla cultura del paese di provenienza, senza conoscere i problemi e il modo di vivere del paese in cui si trovano attualmente, rischiano di fare discorsi molto tradizionali o di valutare male i fatti, di non saper rispondere alle persone. In Francia e in Belgio si è sta tentando di aprire scuole europee di formazione degli imam. A me risulta che qui in Piemonte, quando c’è qualche problema grosso che non si sa come affrontare, vengono chiamati degli imam che vengono dalla Danimarca: però io mi chiedo se questi imam conoscano bene le condizioni di vita dei musulmani italiani. Ma se le moschee sono vuote, lo sono anche le chiese, allora forse la domanda è: come mai i luoghi di culto sono vuoti? E le discoteche e i centri commerciali, ad esempio, no? Comune anche nei paesi di origine mi risulta che ci sia una crisi di presenze in moschea.”

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Un intervento dal pubblico ribadisce l’importanza dell’atteggiamento negativo dei media, che

tendono a identificare l’Islam come un pericolo per l’Europa.

MAR “Concluderei così, ribadendo quanto abbiamo già detto: è essenziale la conoscenza personale, la creazione di una fiducia reciproca basata anche sulle esperienze quotidiane di incontro. Un futuro migliore è possibile anche se i tempi sono difficili. Dipende da noi alimentarlo con le buone pratiche.” Note:

(1) Stefano Allievi è professore di Sociologia all’Università di Padova. E’ specializzato in

sociologia delle religioni, nello studio dei fenomeni migratori e del mutamento culturale in Europa, con particolare attenzione alla rilevanza dell’Islam, tema sul quale è uno degli esperti europei più accreditati. Tra i suoi volumi più recenti: Islam italiano. Viaggio nella

seconda religione del paese (2003); Niente di personale, signora Fallaci. Una trilogia

alternativa (2006); Pluralismo (2006); Le trappole dell’immaginario: islam e occidente (2007); I musulmani e la società italiana (2009).

(2) “ (…)Lei si definisce un musulmano europeo: quale ne è l’identità?

«Fondamentalmente, i principi sono quelli dell’Islam, alcuni dei quali sono anche universali. Però la mia cultura è europea. Oggi ci sono milioni di fedeli, uomini e donne, che come me sono di cultura europea. È un certo modo di guardare al mondo, razionale, che, secondo i fondamenti di una fede, potrebbe anche essere considerato critico: un fedele in Europa non potrebbe affidarsi a una fede che non abbia una dimensione critica. Da questo punto di vista, il fatto che esistano critiche è la prova che ormai esse sono ammesse. Ci sono anche elementi legati alla cultura, al gusto, all’arte, a una certa idea dei rapporti interpersonali che compongono una forma specifica, a un modo di essere musulmano, un modo di vivere. Quello oggi lo vedo ovunque in Europa». Suo nonno ha scritto: «Il futuro è l’Islam». Lei dichiara: «Sono profondamente

occidentale». C’è un cambiamento, una contraddizione? «No, c’è il tempo, la storia e anche il fatto che io non sono mio nonno! Lui è nato all’inizio del ‘900 e pensava che per la gente l’avvenire fosse l’Islam e il contributo che poteva dare al mondo. Pensava l’Islam come la soluzione, più che come il futuro. Dal punto di vista personale, la mia soluzione personale resta l’Islam. Dopo di che, la soluzione per tutti risulta essere il dialogo e il rispetto reciproco. È così che vedo le cose».(…)” (estratto dall’intervista a Tariq Ramadan, a cura di Domenico Quirico, pubblicata su

“La Stampa”, del 21 giugno 2009)

Pubblicato in: D.Grassi (a cura di), Il Cerchio Magico, Narrazioni e dialoghi sulla

ricchezza culturale dei popoli, Edizioni Ellin Selae, Murazzano (Cn)2009.

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12 ottobre

Famiglia e educazione tradizionale nei paesi del Maghreb

Il nuovo diritto di famiglia in Marocco

Relatrice: Maria Adele Roggero

Sono state fornite le seguenti dispense:

L’educazione islamica tradizionale

I valori islamici

Per capire i principi di una educazione bisogna conoscere i valori ch’essa vuole trasmette.

Ecco i valori della religione musulmana: unità, giustizia sociale e ordine patriarcale. Questi tre valori sono legati gli uni agli altri.

La giustizia sociale è condizione dell’unità del gruppo e preserva della violenza. La famiglia patriarcale è la cellula fondatrice e riproduttrice della società. Se la nozione di giustizia ci appare evidente, quella di unità e di ordine patriarcale sono fonte di malinteso con l’Occidente che persegue la diversità e l’uguaglianza dei sessi. L’unità della comunità musulmana (umma) è garantita dalle fede comune nel Dio unico, fede che è il cemento del gruppo. La coesione della comunità è in qualche modo il riflesso dell’unità e dell’unità di Dio. Per comprendere l’importanza di questo valore, occorre ricordare che l’islam è nato in un contesto eccessivamente bellicoso, di guerre tribali e di vendette secolari. Il Dio unico annunciato dal Corano riunisce sotto la sua protezione clan dilaniati che rinunciano ai loro interessi meschini per un progetto di società più vasta e universale. La condizione di questa unità è l’adesione a un principio superiore, a una visione comune del mondo (condividere la stessa fede). Questo è il significato della parole ISLAM: sottomissione, adesione ma anche pacificazione perché questa sottomissione a Dio pacifica gli uomini e livella le differenze. La comunità musulmana conserva la memoria di questo passato diviso e coltiva l’orrore per la divisione. Ogni forma di divisione è percepita come un pericolo, ossia un peccato. L’educazione musulmana tende quindi a incoraggiare il consenso e fa del conformismo un valore, poiché i conformisti sacrificano le proprie aspirazioni personali al bene del gruppo. Apostasia, eresia, ribellione, innovazione e soprattutto dubbio che porta a perdere la fede divengono quindi peccati capitali da cui difendersi.

Il dovere della memoria

L’anima del neonato non ha bisogno di essere salvata, è per natura in stato di grazia, di perfezione (fitra), in stato di totale sottomissione a Dio. Il bambino è già musulmano alla nascita. Dalla caduta di Adamo non si eredita che la condizione di vita sulla terra dove le tentazioni sono continuamente in agguato.

Il compito dei genitori non sarà quello di farne un musulmano ma di conservarlo musulmano, proteggendolo dalle tentazioni per evitargli di soccombere come Adamo all’ispirazione del demonio, e per mantenerlo attraverso la fede e la pratica dell’islam in questo stato paradisiaco.

Questa condizione paradisiaca è uno stato di sacralizzazione del quotidiano dove Dio è dentro a tutti i gesti umani, attraverso la sua costante evocazione e il rispetto scrupoloso della legge coranica (la giornale e scandita dalla formula bismillah, in nome di Dio, che segna l’inizio di ogni azione, alzarsi, iniziare il

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pasto, scrivere una lettera, pronunciare un discorso, guidare l’auto, partire per un viaggio..)

Non esistono sacramenti come nel cristianesimo (né misteri, né riti d’iniziazione, né battesimo che salva): l’educazione musulmana si basa sul ricordo. Restare musulmano significa non dimenticare: non dimenticare che Dio esiste, non dimenticare il Corano, non dimenticare la legge, la tradizione, non dimenticare la propria profonda natura musulmana. La memoria è molto valorizzata. Il ruolo della memorizzazione non è funzionale ma affettivo. Perché memorizzare un testo scritto? Per incorporarlo, perché esso ci trasforma.

L’educazione musulmana inizia con l’imitazione dei gesti e delle pratiche quotidiane senza porre quesiti e culmina con la memorizzazione del Corano. La tradizione orale ha molto prestigio, si ammira chi è capace di recitare, di citare versetti o poemi. L’evocazione orale ha un’autorità quasi magica dal momento che la lingua classica è differente dal dialetto quanto il latino dell’italiano. L’arabo classico è a malapena compreso negli ambienti popolari ma è rispettato come una lingua sacra.

La responsabilità genitoriale

I genitori si sentono responsabili davanti a Dio della fede dei loro figli. Questa responsabilità è tanto più forte dal momento che non vi sono né sacramenti né clero. Il sacramento è la vita quotidiana, la pratica dei 5 pilasti, la memorizzazione del Corano. E’ il padre che esegue il rito del montone, che dirige la preghiera in famiglia. E’ lui il simbolo della legge che educa alla pratica religiosa e soprattutto è lui che trasmette l’identità musulmana. Certo questa responsabilità è simbolica poiché la può delegare alla madre specie nei primi anni e all’imam quando questi lo accoglierà alla scuola coranica. L’identificazione fra autorità paterna e autorità religiosa è molto forte. Tradire il padre è come tradire Dio. Tradire Dio è tradire il padre. Il dubbio religioso porta con sé una colpevolizzazione molto forte.

I giovani hanno il sentimento di mandare i propri genitori all’inferno se si allontanano dalla religione, poiché i genitori sono responsabili davanti a Dio di mantenere questa fede intatta.

Il patriarcato

Si comprende così il legame fra l’islam e la famiglia patriarcale. L’islam è una religione trasmessa dai padri. Non è un caso che la nozione di legge vi sia così implicata. Il patriarcato è una struttura sociale molto radicata nel mondo mediterraneo, precede e deborda l’islam, ma il Corano lo sacralizza decretando l’autorità dell’uomo “per diritto divino” e la legge islamica perpetua la disuguaglianza fra i sessi, presentata come necessaria per la pace sociale.

Bisogna che la famiglia abbia un capo, così come vi è un dio ed una fede.

Il potere non si condivide. L’uguaglianza dei sessi, significherebbe dibattito continuo, rinegoziazione perpetua per ogni decisione...quindi il contrario del consenso.

Il patriarcato coranico si fonda sul principio della gerarchia e della differenziazione dei ruoli tra i sessi. Questa differenziazione si nota molto presto nella suddivisione dei compiti educativi. La madre e il padre hanno ciascuno il proprio compito ed il proprio metodo.

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Il valore centrale che cementa la famiglia patriarcale è l’onore, la reputazione, vissuta in modo differente per gli uomini e per le donne.

L’onore dell’uomo è dimostrativo , quello della donna è nel nascondimento (una buona reputazione consiste nel non averne).L’educazione dei ragazzi sarà quindi molto differente da quella delle ragazze ma tutti e due saranno sotto la minaccia della hisma, la vergogna, il contrario dell’onore, la paura del giudizio del gruppo.

Tutta l’educazione sarà centrata sull’apprendimento dei ruoli differenziati: come diventare donna, come diventare uomo. E questo apprendistato sarà costellato di riti iniziatici che segneranno il passaggio al nuovo stato: circoncisione, notte di nozze.. Questi riti che non sono musulmani, fanno più parte del costume che della dottrina. La circoncisione per esempio non è affatto un obbligo. E’ la fede che rende musulmani, così come la pratica dei 5 pilastri. Tuttavia il giorno della circoncisione i genitori hanno il sentimento di praticare un reale sacramento che purifica il bambino e fa di lui un vero musulmano.

Con grande stupore degli occidentali, l’apprendimento della differenziazione sessuale non è distinto dell’educazione religiosa. Diventare un buon musulmano significa diventare un uomo sul modello patriarcale e diventare una buona musulmana significa diventare una buona sposa e una buona madre. Di qui l'importanza della verginità e del velo come criterio di purezza religiosa ed il valore della gelosia maschile come garanzia dell’ordine sociale, del controllo della sessuale femminile. Questa fusione tra educazione sessuale e religiosa può sorprendere i cristiani che hanno a mente le parole di Gesù: nel regno dei cieli non vi è nè uomo né donna. Ma il Corano promette invece un paradiso dove si resta eternamente uomini e donne.

Questa forte differenziazione è accentuata dalla stretta separazione dei sessi nelle società tradizionali.

Uomini e donne di incontrano poco, non crescono negli stessi luoghi, non si occupano dei bambini alla stessa età.

Il mondo delle donne è quello della casa, dello spazio domestico; il mondo degli uomini è quello dei luoghi pubblici (la madre si occuperà del bambino fino all’età della ragione e della bambina fino al matrimonio). Il rapporto all’autorità sarà quindi molto differente a seconda che si sia donna o uomo.

La relazione madre - figlio

Nelle famiglie tradizionali, i matrimoni d’amore sono rari. Le unioni sono spesso combinate dalle famiglie. I futuri sposi non si conoscono salvo che siano cugini. La passione amorosa è biasimata. La tenerezza viene dopo il matrimonio, in modo tardivo e discreto. E’ piuttosto un rispetto reciproco che unisce la coppia, rispetto mescolato di paure nella donna, sempre minacciata dal ripudio o dalla poligamia. La coppia musulmana esiste soprattutto per la riproduzione e si riunisce attorno all’educazione dei figli. Molto attesa nella famiglia patriarcale, la nascita di un maschio conferisce alla giovane mamma prestigio, onore, riconoscenza del marito, sicurezza coniugale. E’ lo scopo della sua vita.

Per la madre, il figlio e soprattutto il primogenito, è l’uomo della sua vita, il suo vero amore. E’ a lui ch’essa può esprimere il suo affetto, la sua tenerezza, moltiplicare i contatti fisici. I suoi figli sono i soli uomini di cui ha il diritto di attendersi la fedeltà, poiché la poligamia e il ripudio rendono la coppia musulmana relativamente precaria. Si può dire che la madre è in relazione

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fusionale con il figlio. Le madri hanno un ascendente molto forte sui maschi, che ne hanno un’immagine di onnipotenza talvolta minacciosa perché troppo fusionale.

Occorrerà un rito di passaggio radicale per strapparli alla passione divorante della madre, per salvarli dall’incesto affettivo. Questo rito sarà la circoncisione, tra i 3 e i 7 anni, il periodo della risoluzione di Edipo. Specie di vittoria sull’angoscia della castrazione, l’ablazione del prepuzio rappresenta un momento decisivo di differenziazione sessuale dove il ragazzo riceve lo status di uomo, dove entra nella sfera paterna. Si inizia all’universo maschile, frequenta i luoghi degli uomini. Progressivamente gli si fa comprendere che deve passare meno tempo in casa. Alla pubertà raggiungerà definitivamente il mondo degli uomini, lo spazio pubblico, la strada. La casa dove le donne regnano da padrone diventerà un luogo minaccioso per la sua virilità e nell’adolescenza non sopporterà più di restarci a lungo seguendo in questo il modello di suo padre che è il grande assente dello spazio domestico.

All’esterno il ragazzo scopre la rivalità mascolina, la legge, i divieti, il controllo sociale, la necessità di dimostrare la sua virilità davanti ai pari. L’angoscia della castrazione si risveglia nell’adolescenza e il ragazzo sente il bisogno di dimostrare la sua virilità attraverso tutti i comportamenti considerati come mascolini: bravura, forza fisica, aggressività, gelosia, controllo delle sorelle.

La rottura del cordone ombelicale non è mai completa perché nel sistema tradizionale la nuora viene a vivere presso i parenti del marito. E passerà più tempo con la suocera che con suo marito. Essa la inizierà al suo ruolo di sposa e madre. Bisogna quindi che la fidanzata piaccia alla suocera. Spesso è quest’ultima che la sceglie. E’ comunque molto raro che i figli si sposino contro il parere della madre. Il senso di colpa è molto forte e in queste condizioni la costituzione di una coppia è rischiosa. L’uomo è stato allevato nella paura dell’intimità affettiva con la donna che le ricorda l’immagine della madre onnipotente della sua infanzia e risveglia le sue angosce di castrazione. L’uomo risente il bisogno vitale di esercitare un controllo sulle sue passioni che esprime attraverso una certa freddezza e soprattutto attraverso un controllo sulla donna stessa (gelosia, esigenze di abito, ecc); deve provarsi in permanenza sul fatto che domina la situazione, che conserva il suo posto di uomo e deve anche convincere sua madre che non l’ha rimpiazzata. Quest’atteggiamento distante spinge le donne a riportare tutto il loro affetto sui figli e quindi a riprodurre il sistema di cui esse sono le prime a soffrire.

L’educazione delle figlie

Le figlie hanno naturalmente tutt’altro rapporto con la madre, il legame affettivo può essere forte ma non così passionale. La relazione è improntata alla serietà e alla severità, perché la casa è un luogo di apprendimento del suo futuro lavoro. Non è un luogo di protezione e permissività come per il ragazzo ma al contrario un luogo di obblighi, di servizio, di dedizione ai fratelli e sorelle. E’ il luogo del controllo maschile, anche perché pur in assenza del padre i fratelli assumono il ruolo di difendere l’onore della famiglia, che dipende dalla reputazione delle ragazze. Le figlie aspirano a uscire della casa ma, mentre i ragazzi ne sono quasi cacciati via alla pubertà, le figlie ne devono essere strappate molto più tardi da un estraneo, il principe azzurro di cui sognano. Le ragazze vedono quindi il matrimonio come un mezzo di emancipazione, il solo modo di liberarsi dell’autorità paterna, di diventare adulte. Aspettano con impazienza l’accesso allo

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status di madri che darà loro un vero posto nella società, l’ascolto degli adulti, la considerazione delle donne.

Il nuovo Codice di famiglia del Marocco

Voluto dal Re Mohammed V e approvato nel 2004 dal Parlamento nazionale è stato introdotto di recente in Marocco il Nuovo Codice di Famiglia, che consacra l'eguaglianza giuridica tra donne e uomini, prevede il riconoscimento dei diritti delle donne, pur senza contrapporsi allo spirito dell'Islam e alla cultura tradizionale della società marocchina. Grazie al nuovo Codice di Famiglia è in atto "una piccola rivoluzione" nella società marocchina: è stabilita la centralità della famiglia, la pari responsabilità dell’uomo e della donna rispetto ai figli; la donna non è più dichiarata sottomessa all’uomo; le ragazze, per potersi sposare, non dipendono più dall'assenso di un tutore; l'età legale per il matrimonio è stata portata a 18 anni per l’uomo e per la donna; la donna può stipulare un contratto per gestire su basi egualitarie i beni acquisiti durante il matrimonio; il ripudio è stato reso quasi impraticabile; la donna ha il diritto di chiedere che il contratto di matrimonio sia stipulato con clausola di esclusione del ripudio e della poligamia; la donna stessa può richiedere il divorzio. Per i matrimoni celebrati in Italia esiste l’obbligo della trascrizione presso i consolati e le ambasciate questo consentirà una sempre maggiore trasparenza degli atti. Il Marocco sta inoltre formando giudici di famiglia e aprendo le sezioni famigliari di ogni tribunale. Nel paese c’è già una forte presenza femminile in pressoché tutti i settori professionali anche in quelli di alto profilo e la società civile è da anni portatrice di istanze di cambiamento anche a livello politico e giuridico. Il Re Mohammed VI è fortemente intenzionato a promuovere il cambiamento anche in queste due direzioni. Il Nuovo Codice di Famiglia e la promozione della presenza delle donne in politica (che ha fatto si che le donne nel Parlamento del Marocco passassero da poche unità a 47), sono volontà esplicita del sovrano che vuol essere capo di una nazione islamica moderna.

Si elencano a seguire i punti di maggiore rilevanza: 1) responsabilità congiunta dei coniugi: la moglie e il marito sono congiuntamente

responsabili dell’andamento degli affari della casa e della cura dei figli nell’interesse della famiglia.

2): la tutela matrimoniale (wilaya). Il wali è il rappresentante della donna nel matrimonio. la donna maggiorenne può concludere personalmente il contratto di matrimonio , oppure può scegliere di dare mandato a suo padre, se così preferisce per conservare la forma tradizionale. L’art. 24 stabilisce che la wilaya è un diritto della donna che lo esercita secondo la propria scelta e interesse.

3) L’età matrimoniale. Viene introdotta la modifica dell’età matrimoniale;che è ora fissata per l’uomo e per la donna ai 18 anni (prima per la donna era 15).

4) La poligamia. Diventa una regime eccezionale. La moglie infatti può fare includere nel contratto matrimoniale la clausola di monogamia e il marito, accettandola, si impegna a non aggiungere altre mogli alla prima. L’esercizio della poligamia deve

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essere autorizzato giudizialmente e il tribunale non concede l’autorizzazione se non esiste un motivo oggettivo di carattere eccezionale.

5) Matrimonio dei marocchini residenti all’estero. Prima del nuovo codice il Marocco stabiliva che i suoi cittadini che vivevano all’estero dovessero sposare in Marocco o presso i Consolati. Adesso l’art 14 dice che i marocchini residenti all’estero possono concludere il contratto di matrimonio secondo le formalità amministrative del paese di residenza, purché esistano alcuni elementi che vengono considerati necessari affinché l’ordinamento marocchino possa considerare esistente il matrimonio: ad esempio la dote, la presenza di due testimoni musulmani. Dovranno essere rispettati gli impedimenti del diritto italiano (se in Italia) e gli ulteriori impedimenti del diritto marocchino; per esempio la differenza di fede dei coniugi.

6) il ripudio:art 78: si tratta dello scioglimento del vincolo coniugale che può essere esercitato dal marito o dalla moglie sotto il controllo giudiziario. 7) divorzio. La differenza sostanziale tra divorzio e ripudio riguarda la rapidità dell’una e dell’altra procedura, i costi ed il fatto che il ripudio può essere revocato, mentre il divorzio è definitivo. 8) la custodia dei figli (art 163) Ciò che si riferisce alla cura materiale dei figli è comune ai due genitori, fin tanto che persiste il matrimonio; la custodia dei figli dura fino alla maggiore età dei figli, portata ai 18 anni per ambo i sessi sostenendo l’uguaglianza tra maschi e femmine. 9) La filiazione La novità risiede nel nuovo regolamento della filiazione paterna. L’art. 142 supera la distinzione tra filiazione materna e paterna; sia per quanto riguarda la madre che il padre si stabilisce per discendenza e può essere legittima o non legittima. 10) regime patrimoniale (art 369) Il regime vigente è quello della separazione dei beni. E’ prevista dalla legge adesso l’opzione per una comunione dei beni acquistati. 11)La successione : vi è una certa parificazione dei diritti del maschio e della femmina.

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26 ottobre 2009

LA NUOVA NORMATIVA SULL’IMMIGRAZIONE Conduttrice dott.ssa Emiliana Astarita (Il Nostro Pianeta)

L’Italia ha cominciato ad occuparsi di immigrazione in tempi relativamente recenti, in modo particolare a partire da un evento di cronaca che ha suscitato improvvisamente degli interrogativi. Era il 1989 quando è stato trovato un cadavere di un ragazzo africano nella periferia di Caserta. Da subito si è pensato ad un possibile coinvolgimento della Camorra, poi è sorto il pensiero di un'azione a sfondo razzista. In quel momento è stata percepita per la prima volta l' esigenza di formalizzare l’ingresso degli stranieri in Italia. Alcune considerazioni iniziali. Quando si parla di Legge sull’Immigrazione si fa riferimento al TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE, ossia la legge n.286 del 1998 a cui successivamente sono state apportate delle modifiche, come nel caso del pacchetto sicurezza recentemente approvato. Ma come arrivano gli stranieri in Italia? Alcune risposte sono state: attraverso il ricongiungimento familiare, con il visto turistico, con la richiesta di un datore di lavoro, con i flussi. Da qui vengono fatte alcune precisazioni. La maggior parte degli immigrati in Italia accedono regolarmente con un VISTO PER TURISMO. Solo il 10-15% arriva via mare. Da questa considerazione è necessario distinguere: clandestini: soggetti stranieri che entrano in Italia senza visto irregolari: soggetti stranieri che sono entrati in Italia con un visto e che successivamente è scaduto. 2 tipi di VISTO

• a breve durata

• a lunga durata I visto a breve durata sono: il visto turistico, il visto su invito. Durata: 90 giorni. È importante ricordare che il visto turistico non è convertibile in altro tipo di visto, ad esempio in visto di lavoro! Gli stessi stranieri spesso non lo sanno. Sul visto viene scritto il motivo di ingresso che sarà lo stesso del Permesso di Soggiorno (PdS). Il visto a lunga durata principale è il visto di lavoro. Durata: 1 anno. Rinnovabile. Il visto per lavoro è quello maggiormente richiesto. La procedura è quella prevista dai flussi. Il Governo pubblica un decreto sui flussi che stabilisce le quote di ingresso degli stranieri in base ad alcuni parametri:

• tipologia di lavoro (es.120 per lavoro domestico) • provenienza del lavoratore (il Paese: es 15 dal Brasile) • area geografica di destinazione (es.provincia di Torino)

Inoltre la procedura è telematica e prevede che la richiesta sia effettuata in un giorno ed in un’ora precisa. Il T.U. prevede però delle quote riservate, privilegiate, per:

• Cittadini di paesi che hanno firmato con l’Italia degli accordi bilaterali; • Cittadini che hanno frequentato nei loro paesi dei corsi di formazione e istruzione

riconosciuti dal Ministero del lavoro;

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• Cittadini discendenti da famiglie italiane, fino al 3° grado di parentela Quindi la procedura di ingresso avviene se sussistono le seguenti condizioni:

• Il lavoratore è all’estero • Il datore di lavoro richiede del personale dall’estero • Presenza di quote disponibili • Presenza dell’autorizzazione al lavoro (nulla osta): il datore di lavoro è sottoposto a

controlli da parte della Questura, della Direzione Provinciale del Lavoro, del Centro per l’Impiego

Il T.U. fa riferimento a due tipi di richiesta:

• Nominativa (nome e cognome dello straniero richiesto) • Numerica (numero di operai richiesti)

In sintesi, come avviene la procedura?

1. Il datore di lavoro, quando escono i flussi, attiva la procedura di richiesta per via telematica

2. Il datore di lavoro si rivolge allo Sportello Unico per l’Immigrazione (N.B. Lo Sportello Unico per l’Immigrazione è un organo amministrativo che si occupa di assunzione lavoro e ricongiungimento familiare; la Questura invece è un organo di Polizia!)

3. Il datore di lavoro è sottoposto a diversi controlli per accertare la validità della sua richiesta

4. L’agenzia delle entrate rilascia il nulla osta per richiedere il lavoratore straniero 5. L’ambasciata italiana nel Paese dello straniero rilascia il Visto

Una volta che la persona arriva in Italia, cosa succede? Innanzitutto, lo straniero, per entrare nell’area Schengen, non deve essere presente nella Banca Dati SIS (Sistema di Informazione Schengen), in cui vengono raccolti i nome degli stranieri che NON possono essere accolti. Una volta ottenuto il Visto, la persona ha 8 giorni di tempo per richiedere il Permesso di Soggiorno presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione insieme al suo datore di lavoro. Sul PdS sarà presente lo stesso “motivo” del visto; in questo caso “motivo di lavoro”. Il PdS per lavoro subordinato si ottiene solo se si stipula il Contratto di Soggiorno (modello Q). Il PdS è un’autorizzazione che regolarizza la presenza dello straniero in Italia, ha una validità limitata in base alla tipologia, alla durata ed alla rinnovabilità. La condizione di disoccupazione può durare 6 mesi, dopodichè, se non si lascia il Paese, si diventa irregolari. I 6 mesi sono calcolati dal momento del termine del lavoro, non dalla scadenza del PdS! In caso in cui si trovi un altro lavoro, lo straniero deve firmare un nuovo Contratto di Lavoro e inviarlo allo Sportello Unico per l’Immigrazione, conservando la cartolina della ricevuta, di modo da poterla presentare per il successivo rinnovo del PdS. In attesa del PdS rinnovato la ricevuta è equiparabile al PdS; lo straniero può infatti accedere a diversi servizi, come:

• Iscriversi all’anagrafe • Rivolgersi all’ASL • Instaurare un altro rapporto di lavoro • Iscriversi all’università

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Il PdS CE (Comunità Europea) è a tempo indeterminato e può chiederlo chi ha 5 anni di PdS i corso di validità. Inoltre è necessario avere un reddito sufficiente ed un alloggio idoneo. I vantaggi di questo tipo di PdS sono:

• Tempo indeterminato • Rinnovo ogni 5 anni • Possibilità di lavorare, studiare, soggiornare in qualsiasi Paese Schengen • Accessi alle prestazioni di assistenza e previdenza sociale • Accesso ai servizi sanitari, scolastici e sociali

PdS per motivi familiari È a lunga durata. Ha la stessa durata del PdS di chi richiede il ricongiungimento. Ma lo può chiedere solo chi ha già un PdS di lunga durata. Si ottiene:

• Per matrimonio • Per conversione del P • Per ricongiungimento

RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE Il Ricongiungimento Familiare, da poco modificato, ha da una parte preso in considerazione il diritto di unità familiare, tutelandolo maggiormente, dall’altra ha prodotto una maggiore restrizione dei parametri per richiederlo ed una maggiore difficoltà nell’accedervi. Lo può chiedere chi ha un PdS di validità non inferiore a un anno. Possono essere ricongiunti:

• Coniuge, maggiorenne, non legalmente separato • Figli minori di 18 anni • Figli maggiori di 18 anni invalidi • Genitori a carico che non hanno altri figli con loro che possono aiutarli o con figli

invalidi Per ricongiungere i parenti è necessario avere i requisiti di alloggio e di reddito adeguati. Alloggio: la valutazione dell’alloggio è effettuata dall’ASL e dal Comune (Edilizia Pubblica) Reddito minimo: pari all’importo dell’assegno sociale (in Italia: 5.317 E), + la metà per ogni persona adulta; questo non vale se si ricongiungono figli minori di 14 anni. La richiesta di ricongiungimento viene effettuata per via telematica allo Sportello Unico per l’Immigrazione e all’ambasciata del Paese di provenienza. Nota informativa A Torino, lo Sportello Unico per l’Immigrazione è in via Del Carmine, 12. Tel. 011-5221434-5221432 dalle 9.00 alle 12.00 dal lunedì al venerdì.