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MENSILE DELL’ASILO DEI NONNI S. Giovanni Paolo II - Coccolia Anno XI N° 11 Novembre 2018

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MENSILE DELL’ASILO DEI NONNI

S. Giovanni Paolo II - Coccolia

Anno XI N° 11

Novembre 2018

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Cooperativa Sociale a.r.l. - ONLUS

Benedetta Bianchi Porro

Sede: Coccolia (RA) Via Ravegnana 737

Presidente: Luisa Corazza

Vice-Presidente: Francesco Bruni

Consiglieri: Marina Cambiuzzi

Mariasilvia Monterastelli

Giuseppe Russo

“LA VOCE DEI NONNI”

Mensile dell’Asilo dei Nonni - S. Giovanni Paolo IICentro Diurno e Comunità Alloggio

Via Ravegnana, 737 | Coccolia (RA)Tel. 0544 569177 | Fax 0544 239947

e-mail: [email protected] site: www.asilodeinonni.eu

Direttore Responsabile

Giuseppe Russo

Redattori

Laura Bertoni

Luisa Corazza

Daniela Elleri

Clara Mughini

Daniela Ronconi

Giuseppe Russo

Don Paolo Szymusiak

Pubbliche Relazioni

Luciana Guardigli

Stampa e Grafica

Tipografia GE.GRAF srlV.le 2 Agosto, 583 - Bertinoro (FC)

T. 0543 448038 - [email protected]

www.gegraf.it

in questo numero

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀa cura di LUISA CORAZZA

“Ma ecco il mio canale è diventato un fiume...” 31 Novembre - Tutti i Santi 14

L’ANGOLO DEL DIALETTO E DELLE TRADIZIONIa cura di LAUBER

Nuvembar domelaz-dott | Novembre 2018 16Racconti per grandi e piccini 18Il modo di dire del mese 19

L’ANGOLO DELLE NEWSLa preistoria: questa conosciuta, sconosciuta... 20

L’ANGOLO DELL’ARCHEOLOGIAMetri, laser e droni al lavoro a Pompei 22

L’ANGOLO DELLA CULTURALa lettera che costò a Galileo l’accusa di eresia 25

L’ANGOLO DELLA NATURAIl Giuggiolo 26

L’ANGOLO DELL’ALIMENTAZIONECiò che non sappiamo:c’è formaggio e formaggio 30

L’ANGOLO DEL BENESSEREDieta anticellulite, i cibi detox consigliati 32

L’ANGOLO DELLA MEDICINADisturbo bipolare: come si riconosce 34

L’angolo degli aforismi 37

GALLERIA FOTOGRAFICACompleanni 38

L’angolo dell’umorismo 40L’angolo delle testimonianze 42Mercatissimo 43La posta del direttore 46

In copertina: Autunno nel bosco

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Un finale questo che differisce troppo dal re-sto del libro precedente di Marco per provenire dalla stesso autore.Si pensa che: i Cristiani dei primi tempi o me-glio della prima generazione hanno voluto completare l’opera riassumendo le apparizio-ni di Gesù e con una presentazione d’insieme della missione della Chiesa.Pare che abbiano attinto ispirazione dall’ultimo capitolo di Matteo (28,18-20), di Luca (24,10-53), di Giovanni (20,11-23) e dall’inizio del libro degli Atti degli Apostoli (1,4-14).Non c’è che dire, ne è derivata una bella pagina dottrinale, sulla missione della Chiesa. Ai disce-poli increduli, come ben è scritto per tre volte, (vv 11,13,14) viene dato il dono della fede.Gesù li manda in missione ovvero a proclamare in ogni luogo il messaggio gioioso, della sal-vezza: il Risorto, non li ha abbandonati perché

è con loro in tutto l’universo e accompagna tutta la loro attività. Al credente concede di compiere dei segni, doni diversi che contras-segnano la vita della Chiesa primitiva (1Cr,12), e che rivelano la potenza dello Spirito Santo.Gesù, reintegrato nella gloria divina presso il Padre è presente e agisce nell’azione missio-naria dei discepoli: il versetto 20 del libro 16 lo conferma in modo inconfutabile: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confer-mava la Parola con i prodigi che l’accompa-gnavano.»Se crediamo che solo i sacerdoti e religiosi debbano predicare o evangelizzare, siamo fuo-ri strada!I laici battezzati hanno ricevuto tutti questo mandato che si diversifica nei diversi ruoli ma con lo stesso fine.

“Ma ecco il mio canale è diventato un fiume e il mio fiume è diventato un mare” (Sir 24,30-34)

3NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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San Paolo dice ”...Poiché quanti siete stati bat-tezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27; Ef 4,22-24; Col 3,9-10),e ne consegue che «noi pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo» (Rm 12,5).Con il battesimo Gesù, mediante il sacramen-to, unisce il battezzato alla sua morte per unirlo alla sua risurrezione (Rm 6,3-5), spogliandolo dell’«uomo vecchio» e rivestendolo dell’«uo-mo nuovo» ossia di se stesso.Lo Spirito Santo rigenerando e ungendo i bat-tezzati li consacra a formare una dimora spi-rituale (Lumen Gentium, 10) e li costituisce tempio spirituale, ovverosia li riempie della pre-senza di Dio grazie all’unione e alla conferma-zione a Cristo.In tal modo i battezzati partecipando alla me-desima missione di Gesù Cristo, vengono resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Gesù:a) partecipano all’ufficio sacerdotale di Gesù Cristo, unendosi a lui e al suo sacrificio, nell’of-ferta di se stessi e di tutte le loro attività giorna-liere (Rm 12.1-2)b) partecipano all’ufficio profetico di Cristo, accogliendo nella fede il Vangelo che annun-

ziano con la Parola e con le opere nella loro vita quotidiana familiare e sociale.c) partecipano all’ufficio regale, impegnando-si nel servizio del Regno di Dio e nella sua diffu-sione nel mondo. Il che comporta combattere spiritualmente per vincere in se stessi il regno del peccato (Rm 6,12) e per offrire il dono di sé nel servizio dei fratelli specialmente dei più bisognosi (Mt 25,40).Dunque se i battezzati attraverso il Battesimo sono “nuove creature” allora hanno il dovere di vivere ogni giorno come «nuove creature» affinché il «mondo creda» (Gv 17,21). Chio-sando quanto detto trovo pertinente definire il battezzato “pellegrino” perché, se il battezzato è investito della missione di annunciare Cristo risorto, tutta la sua vita è un pellegrinaggio che ha in se stesso, con se stesso, per se stesso e per gli altri o per il mondo “qui e ovunque”, “ora e sempre”.Papa Francesco sin dalla prima benedizione impartita dalla loggia centrale della Basilica Va-ticana, ha presentato la Chiesa come un “po-polo” con cui iniziare un cammino insieme. I battezzati, tutti i battezzati, sono chiamati “popolo”. Questo vocabolo caduto in disuso, forse per-ché privato di senso dalla cultura post-mo-derna e dal diffuso individualismo, con Papa Francesco riprende il suo significato che ci fa visualizzare Papa Francesco (Abramo) che sta alla testa del popolo cristiano per fare un cam-mino verso la Terra Promessa (il cielo).Nella lettera apostolica Evangelii gaudium, il vocabolo “popolo” è ripetuto ben 164 volte; mentre nel viaggio apostolico in America La-tina di fine luglio 2015, il Papa lo cita 135 volte.Nell’esortazione Evangelii Gaudium mette in luce il sensus fidei del «santo popolo fedele di Dio» la cui propria vocazione è missionaria e sottolinea la forza evangelizzatrice della pietà popolare. Con il suo tipico calore italo argentino nel suo primo saluto ha detto: «la comunità diocesa-na di Roma ha il suo vescovo: Grazie...» Dopo aver chiesto di pregare per papa Benedetto XVI, suo predecessore, ha annunciato: «e adesso,

Piero della Francesca, 1450 “Battesimo di Gesù”

4 LA VOCE DEI NONNI | 11

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio cardinale vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizza-zione di questa città tanto bella.» Definendosi vescovo non ha operato una “di-minutio” o ha declassato la sua potestà ma ha ripreso il titolo più antico per descrivere la vo-cazione e la missione del successore di Pietro. Ha voluto mettere in luce come il Papa è tale proprio perché è vescovo di Roma e non vice-versa e, in quanto vescovo di Roma, Chiesa che

guida le altre Chiese nell’amore, provvede con sollecitudine ai bisogni spirituali di queste ulti-me come garante dell’unità. Papa Francesco ha spiegato nelle sue catechesi che popolo di Dio vuol dire che Dio non appartiene in modo pro-prio ad alcun popolo, ma è Lui che ci chiama, ci convoca, ci invita a far parte del suo popolo, e questo invito è rivolto a tutti, senza distinzio-ne, perché la misericordia di Dio «vuole la sal-vezza per tutti» (1Tm 2,4). Poi ha continuato a precisare che Cristo non ha chiesto ai discepoli né a noi «di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite». Gesù dice «andate e fate di-scepoli tutti i pagani.» (Mt 28,19) Nel popolo di Dio, infatti, come conferma San Paolo «non c’è più giudeo né greco poiché tutti voi siete uno

Jacopo Bassano, 1510 - 1592 “Abramo verso la Terra Promessa“

5NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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in Cristo Gesù». (Gal 3,28). Ha spiegato che si diventa popolo di Dio attraverso il battesimo che introduce «in questo popolo, attraverso la fede in Cristo, dono di Dio che deve esse-re alimentato e fatto crescere in tutta la nostra vita». Poi ha spiegato che è popolo di Dio chi vive la legge dell’amore, amore a Dio e amore al prossimo secondo il comandamento che ci ha lasciato il Signore. Ha proseguito che la mis-sione del popolo di Dio è «quella di portare nel mondo la speranza e la salvezza di Dio: essere segno dell’amore di Dio che chiama tutti all’a-micizia con Lui». Ha concluso dicendo che il fine di questo popolo è «il Regno di Dio, inizia-to sulla terra da Dio stesso, e che deve essere ampliato fino al compimento, quando com-parirà Cristo, vita nostra» (Lumen Gentium,9).Questo è quanto ha spiegato nella catechesi sulla Chiesa, del 12 giugno 2013! Allora la meta «è la comunione piena con il Signore, la fami-liarità con il Signore, entrare nella sua stessa vita divina, dove vivremo la gioia del suo amo-re senza misura, una gioia piena». Egli sostie-ne che non si può rimanere «tranquilli e passivi

dentro le nostre Chiese» (DA548) ed è neces-sario passare «da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria». (DA370)Inoltre descrive la trasformazione missionaria della Chiesa, presentando la «Chiesa in usci-ta» come «la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeg-giano.» (EG 24)In tutte le regioni della terra il popolo di Dio, le tante e tante comunità, devono vivere in uno «stato permanente di missione». E poi pro-prio a sottolineare anche lo spirito del pellegri-no che va in terre diverse, dichiara che questo popolo di Dio si incarna nei popoli della terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura. La co-noscenza della cultura porta a capire le diverse espressioni della vita cristiana presenti nel po-polo di Dio. È tenere conto dello stile di vita di una determinata società, dal modo peculiare che hanno i suoi membri per relazionarsi tra e con le altre culture e con Dio. Intesa così, la cultura comprende la totalità della vita di un

Evangelizzazione francescana in Africa

6 LA VOCE DEI NONNI | 11

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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tive che ogni cultura propone arricchiscono la maniera in cui il Vangelo è annunciato, com-preso, vissuto.» (EG 116) Inoltre afferma che quando in un popolo si è inculturato il Vangelo, nel suo processo di trasmissione culturale, tra-smette anche la fede in modi sempre nuovi; da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione. (EG 122)Poi ha spiegato l’importanza della pietà popo-lare che è «autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del popolo di Dio.» Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista. (EG 122)Poi Papa Francesco cita il documento di Apa-recida e riconosce che nel continente latino americano e dei Caraibi (2007) «i tanti cristiani esprimono la loro fede attraverso la pietà po-polare, chiamata dai vescovi, anche “spiritualità popolare” o “mistica popolare”. Si tratta di una vera “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici.»Non è vuota di contenuti, bensì li scopre e li esprime più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione strumentale, e nell’atto di fede accentua maggiormente il credere in Dio che il credere Dio.«È un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari»; porta con sé la grazia della mis-sionarietà, dell’uscire da se stessi e dell’essere pellegrini: «Il camminare insieme verso i san-tuari e il partecipare ad altre manifestazioni

Pellegrini a Lourdes Pellegrini a Fatima

In cammino verso Santiago di Compostela

popolo. Ogni popolo, nel suo divenire storico, sviluppa la propria cultura con legittima auto-nomia (....). L’essere umano è sempre cultural-mente situato: “Natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse”. La grazia suppo-ne la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve. (EG 115) Dice ancora «... perché i valori e le forme posi-

7NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in se stesso un atto di evangelizzazione.»Ha affermato che chi è in grado di leggere que-ste espressioni di pietà popolare, coglierà che esse sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel mo-mento in cui pensiamo alla nuova evangelizza-zione. (EG 126)

Suor Clara Bachiega, di Salto Grande SP, Brasile, è Missionaria Além Fronteira della Congregazione delle Figlie di Maria Missionarie.

Dopo quanto detto per maggior chiarezza spiego che per me, la missione è pellegrinag-gio che come punto di partenza ha il “viaggio lotta” sostenuto dal battezzato dentro di sé per essere autentico testimone della Parola.Ecco sul dizionario italiano il significato del-la parola missionario: «è colui che si impegna a diffondere una religione dove non è ancora diffusa».Oggi come oggi penso alla necessità di essere missionari in Italia, dando così al vocabolo un significato più corrispondente alla nostra realtà storica perché il missionario italiano, qualsiasi cittadino cristiano, onesto, in forza del battesi-mo è impegnato ad affrontare la sfida alla ma-lavita organizzata, alla delinquenza minorile, ai grandi furti allo Stato, alla prostituzione, allo sfruttamento degli immigrati, degli ultimi, degli scarti da parte dei cosiddetti “caporali”; lotta ai salari minimi, alla mancanza di strutture sanita-rie e di igiene in quelle già esistenti, all’edilizia mal realizzata, alle strutture scolastiche perico-lanti, ai ponti e alle strade mal mantenute, ai permessi di costruzione in zone belle ma non sicure ecc... Una missione che tutti hanno dun-

S. Teresa di Calcutta - Fulgido esempio di Missionaria cristiana

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que per combattere i disvalori del denaro, della ricchezza, dell’esaltazione del corpo, dell’emu-lazione di chi ha raggiunto il successo anche a prezzo di perdere la propria dignità, dell’avere tutto e subito e con ogni mezzo, del lasciare che le cose vadano come vadano, della libertà trasgressiva, della religione fai da te e del «così è se vi pare ».Per poter essere luce, o cavalieri della luce, dobbiamo pellegrinare dobbiamo cioè anda-re sempre con la buona Novella anche stando fermi come Santa Teresina di Lisieux che pur essendo, suora claustrale, chiusa in monaste-ro, è stata canonizzata e nominata Patrona del-le Missioni per il suo amore di portare Cristo a tutti e dovunque. Difatti ci si chiede ma c’è contraddizione tra “vita attiva” e vita contem-plativa?Teresina ha dimostrato che con la sua voca-zione carmelitana è sempre stata unita alle sollecitudine apostolica per il mondo «Vorrei essere missionaria, non soltanto per qualche anno, vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo, ed esserlo, fino alla consumazio-ne dei secoli». Perché Teresa desiderava es-serlo? «Per salvare le anime e pregare per i sa-cerdoti» ovvero «amare Gesù e farlo amare».Solo dall’incontro e dall’amore per Gesù na-sce “la sollecitudine apostolica” che per lei è dono di Dio, che si può solo domandare nel-la preghiera. Precisa che senza l’aiuto di Dio è impossibile far del bene alle anime.

Per rafforzare il suo pensiero afferma «impos-sibile quanto far risplendere il sole durante la notte». «Senza di Lui, l’attività di qualsiasi apostolo è inutile, destinata ad essere senza frutto».I primi missionari furono gli 11 apostoli a cui si aggiunse San Paolo di Tarso e furono anche pellegrini sempre in movimento per raggiunge-re la meta o il cielo dopo aver portato ovunque l’annuncio fondamentale della morte e risurre-zione di Gesù in tutte le terre allora conosciute.Altri missionari nella Chiesa sono stati i frati Francescani fondati da San Francesco di Assisi, i Gesuiti fondati da San Ignazio di Loyola e a cui appartenne San Francesco Saverio. Fu un religioso spagnolo che, andando per primo nel continente asiatico, divenne il pioniere dell’e-vangelizzazione. Morì il 7 aprile 1506. Procla-mato santo nel 1692 da Papa Gregorio XV nel 1927 divenne compatrono con Santa Teresa di Lisieux delle Missioni.

S. Teresa di Lisieux S. Francesco Saverio

9NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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Nel mondo ci sono circa 368000 missionari e il loro pellegrinare è pesante, difficile, ostacolato e spesso si conclude con morte violenta, come avviene spesso nell’America del Sud per opera dei narcotrafficanti o nell’Africa ad opera degli stregoni dei villaggi o di affiliati alla politica che vogliono mantenere il popolo nell’ignoranza per meglio sfruttarlo. I missionari, per me sono pellegrini, sempre itineranti anche se si ferma-no in determinate zone presso tribù povere ed abbandonate per costruire pozzi per l’acqua, costruire scuole, infermerie, insegnare a colti-vare la terra ed usufruire dei suoi prodotti.Sempre per avvalorare il mio considerare «il missionario un pellegrino», ripeto che il pel-legrino compie un viaggio per raggiungere una meta e chi va, o parte in pellegrinaggio, diven-ta “straniero” per collegarsi al sacro. Forse che i missionari non fanno cosi? Senza ombra di dubbio! Se è vero che portano la luce di Gesù a chi non la conosce, è altrettanto vero che essi lo incontrano proprio nei poveri, nei derelitti, negli ultimi, autentici tabernacoli viventi di quel figlio di Dio che non conoscono pur portando-lo dentro di sé.Siamo figli dello stesso Padre, tutti fratelli quin-di è dovere dei fratelli riconoscersi tali e rico-noscere il proprio creatore.Sì è vero che il missionario, secondo l’accezio-ne comune, come i pellegrini di un tempo, non abita in città e la sua vita è vissuta in condizio-ni di civilizzazione ridotta per amore di Cristo e dei fratelli ma si è missionari anche stando nella propria città, nelle periferie della propria regione.Oggi si parla di pellegrinaggio anzi ce n’è una esplosione notevole verso i luoghi sacri “Lour-des, Fatima, Santiago de Compostela, Guada-lupe, Terra Santa ecc...”: il cammino sulla via di Francesco: Via del Sud, da Greccio ad Assisi, Via del Nord da La Verna ad Assisi sui passi di Francesco, Via di Francesco - Via di Roma da La Verna a Roma, La Via di Assisi a Gubbio, La Via francigena dalle Alpi a Roma, La Magna Via Francigena in Sicilia, Il Cammino di Sant’Anto-nio da Camposanpiero a Padova, a La Verna, a Dovadola, a Montepaolo, ecc...

Ogni cammino ha le sue tappe, tappe che pre-vedono alla loro fine una sosta per il riposo.Tra le ultime notizie ben 2500 pellegrini si pre-parano a partecipare al Pellegrinaggio ambro-siano la cui meta è la canonizzazione di Paolo VI a Roma, da sabato 13 a lunedì 15 ottobre. Ad esso parteciperanno 7 vescovi della diocesi, tra vescovi ausiliari di Milano e vescovi residen-ti in diocesi, 12 vicari episcopali e 130 tra preti e decani. Tutti in cammino per partecipare alla salita agli altari di Paolo VI il 14 ottobre in Piazza San Pietro. La celebrazione eucaristica presie-duta da Papa Francesco, sarà concelebrata con l’arcivescovo Delpini.Lunedì 15 alle 9:30 i fedeli, pellegrini, ambro-siani e bresciani parteciperanno alla Messa di Ringraziamento nella Basilica di San Paolo fuo-ri le Mura, presieduta dal cardinale Francesco Coccopalmiero, uno degli ultimi sacerdoti or-dinati a Milano da Mantini.Ora il mio associare il pellegrino alla missione, mi fa risalire alla storia della nostra salvezza che inizia con Abramo, vero prototipo di «Arameo Errante» (Dt 26,5), cioè del pellegrino chiama-to da Dio ad uscire dalla sua patria e a soggior-nare, come nomade, senza pensiero di ritorno, in una terra straniera e sconosciuta, che gli è stata promessa in eredità.Così non è anche per i missionari che hanno rice-vuto la promessa di entrare nel Regno dei Cieli?Abramo ha ricevuto la chiamata da un Dio che ha deciso: a) di camminare con il suo servo b)

Eremo di Montepaolo

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che in seguito camminerà con il suo popolo, c) prendendo dimora anch’egli sotto una tenda.Sembra facile a dirsi, ma per continuare il cam-mino proposto da Dio, occorre che egli rompa radicalmente con le sicurezze, casa - campi - bestiame e con un taglio sul vivo «Esci dalla tua terra, dalla patria, dalla casa di tuo padre» (Gn 12,1) e partire!...Abramo parte ma ha sempre la tentazione per-manente di fermarsi, di cercare sicurezze, di attaccarsi alle cose che incontrerà per via, per-sino di tornare indietro.Questa vita, che è via di nomadi delle origini, sempre in cammino, è talmente importante da essere tramandata di generazione in genera-zione, in qualità di «memoria» e una «eredi-tà», che, ricordano nell’identità spirituale quel-la non solo di Israele, ma di tutti i credenti, di cui Abramo è padre.Il vissuto di Abramo pellegrino nella fede, si prolunga ed amplia nell’Esodo del popolo di Israele dall’Egitto e assume la connotazione di liberazione.

Purtroppo la via della libertà non si presenta fa-cile: i beni illusori della schiavitù vengono ricor-dati con rimpianto e le difficoltà di un deserto arido e selvaggio diventano una prova continua e una tentazione in agguato di ritornare sempre.Qui ricordo un particolare del mosaico pavi-mentale della Basilica di Aquileia che mostra la lotta tra la tartaruga e il gallo. Questo mosai-co è stato realizzato dopo che il cristianesimo si era diffuso e fu realizzato per i catecumeni, cioè per coloro che si preparavano al battesi-mo e che a quei tempi non sapevano leggere.L’ho riportato perché rappresenta la lotta tra il male (tartaruga) e il gallo (la luce Cristo).Certo che do una nuova interpretazione al mo-saico ma è questione solo di secoli per quanto riguarda la cultura religiosa, perché parlando di viaggio dentro di sé e di lotta contro le tenta-zioni, il mosaico calza a pennello anche per i tempi di Abramo dandogli questa connotazio-ne: la tartaruga (male) viene combattuta dalla luce che è Jahvé.Il salmista inneggia a Dio «rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un man-to» (Sal 104,2).Per mezzo del battesimo l’amore di Dio ci ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce (1Pt 2,9) pertanto come figli della luce siamo

Abramo

Giotto, Presentazione di Gesù al Tempio (1303 ca.)

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L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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eternamente lottatori itineranti, pellegrini in questo mondo, missionari che testimoniano Cristo compiendo opere buone, giuste, e ve-ramente sante (Ef 5,8-9) e «ringraziando con gioia il Padre che ci ha messo in grado di parte-cipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1,12).Nel nuovo testamento alla presentazione di Gesù al tempio, il vecchio Simeone lo salutò come «luce che illumina le genti» (Lc 2,34)Ed ecco San Paolo che ricorda ai battezzati «voi non siete più nelle tenebre, ma siete figli della luce e figli del giorno» (1 Ts 5,5), «Get-tate via, perciò le opere delle tenebre (tarta-ruga) e indossate le armi della luce (Cristo)» (Rm 13,12) e ancora per essere più convincenti spiega «I frutti della luce sono: bontà, giusti-zia e verità.» (Ef 5,9)Gesù infine si dichiara «sono la luce del mon-do», completando con «Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce del-la vita» (Gv 8,12)Così è già stato per il vescovo Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, che da buon “mis-sionario pellegrino” nella sua diocesi per stare

con gli ultimi (era chiamato fratello Romero) fu ucciso mentre celebrava la Messa da un co-mando militare, mandato dal regime che go-vernava il paese con apparente democrazia, e che in realtà era espressione della volontà mi-litare. Ebbe il coraggio di rivolgere appelli all’e-sercito perché arrestasse le violenze contro i ceti sociali più oppressi da una economia basa-ta proprio sul loro sfruttamento e sul latifondo.

Domenica 14 ottobre sarà canonizzato in Piaz-za San Pietro con papa Paolo VI. Entrambi pel-legrini-missionari in questo mondo. Paolo VI fu pellegrino anche fisicamente per-ché aprì le porte del Vaticano per uscire, por-tare la Parola di Cristo a tanti stati Giordania, Israele, Libano, India, Stati Uniti d’America, Por-togallo, Turchia, Colombia, Bermuda (Regno Unito), Svizzera, Uganda, Iran, Pakistan, Filip-pine, Samoa Occidentale, Australia, Indonesia, Hong Kong (Regno Unito) e Sri Lanka: 18 paesi e 2 dipendenze visitate.È stato il primo papa ad utilizzare l’aereo e a visitare la Terra Santa e il primo ad uscire dall’I-talia dopo più di un secolo.E sempre come pellegrino e missionario nel mondo emanò l’enciclica Humanae Vitae pubblicata il 25 luglio del 1968 nella quale tratta dell’amore coniugale e della conseguente fe-condità. Papa Francesco nella sua Amoris Lae-titia ne riprende il nucleo fondamentale svilup-pando le indicazioni di Paolo VI, affermando di averle sviluppate non sul piano dottrinale, ma pastorale.Ritornando ad Abramo e ai suoi successori, che considero sempre missionari-pellegrini, erano seguiti dal popolo. Non furono lasciati soli per-ché Dio mai abbandona il suo popolo, ma con fedeltà, che gli è tipica, si fa compagno di viag-gio e moltiplica i segni della sua provvidenza.Dunque l’Esodo diventa il più grande e signi-ficativo pellegrinaggio-missione della storia umana realizzato sotto la guida di Dio il qua-le, vivendo sotto «la tenda» insieme con il suo popolo, ha unito la sua vita con quella di Israe-le, sostenendola e precedendola con la «luce» della sua grazia.

Oscar Romero, Arcivescovo di San Salvador

12 LA VOCE DEI NONNI | 11

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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Ma è con Gesù che la forma di vita pellegrinan-te tocca la perfezione perché in Lui Dio stesso si fa pellegrino e viene incontro all’uomo lungo le sue strade. La sua vita apostolica-missiona-ria, che si è snodata tra i Villaggi della Palestina, dimostra pienamente la sua identità di pelle-grino per eccellenza.

Paolo VI

In Giovanni 8 del testo 23 Cristo è definito pel-legrino senza dimora, perché egli non è di que-sto mondo. Perché è missionario? Ecco la sua spiegazione «Sono uscito dal Padre e sono ve-nuto al mondo; ora lascio il mondo, e ritorno di nuovo al Padre.» (Gv 16,28) Anche i suoi Apostoli, ripeto, sono tutti pelle-grini per predicare il Vangelo: San Pietro arriva a Roma, San Paolo, sempre in movimento, arri-va a Roma: entrambi riceveranno la corona del martirio e così tanti altri. Dunque la Chiesa è un popolo pellegrinante, che cammina verso i traguardi eterni, e noi tutti, come Abramo, dobbiamo ritenerci “viag-giatori stranieri e missionari”, viventi quaggiù come ospiti, perché la vera patria verso cui sia-mo diretti è il Paradiso.Ma il nostro pellegrinaggio terreno è missio-ne perché portando Cristo aiutiamo i fratelli a camminare verso la Terra Promessa dove Dio ci attende.

Non posso non augurare un buon pellegrinag-gio-missione a ciascuno di noi.

Luisa

13NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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Tutti i Santi 1 NovembreL’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

Il mese di novembre inizia con la festa di Ognissanti a cui segue quella dei defunti. Due ricorrenze che apparentemente contrastano quella dei Santi è gioiosa mentre la seconda ci porta alla tristezza nel ricordare chi apparen-temente non c’è più e sopratutto nell’attesa di quel momento che arriverà anche per noi. Festeggiare i Santi significa che questi nostri fratelli più degli altri in maniera eccelsa hanno scoperto, capito e vissuto l’esperienza della paternità di Dio. Cosa implica sentirsi figli di Dio? Implica il riconoscersi poveri e bisognosi del suo aiuto al punto da vivere fino in fondo questa consapevolezza superando la paura più profonda che alberga in ciascuno di noi: quella di fidarsi davvero di Dio.

In questo giorno in tutta la Chiesa vengono festeggiati non solo quelli proclamati tali nel corso della storia, ma anche tanti nostri fratel-li sconosciuti o della porta accanto che han-no vissuto la loro vita cristiana nella pienezza

della fede e dell’amore attraverso un’esistenza semplice e nascosta. Una Santità che, a vol-te, non si manifesta in grandi opere o succes-si straordinari, ma che sa vivere fedelmente e quotidianamente le esigenze del battesimo, una Santità fatta di amore per Dio e per i fra-telli.

Amore fedele fino a dimenticarsi di se stessi e a darsi totalmente agli altri, come ad esempio quei padri e quelle madri che rinunciano vo-lentieri, benché non sia sempre facile, a tanti progetti e programmi personali.

Ma i Santi hanno una caratteristica comune mentre i carismi li differenziano l’uno dall’al-tro: hanno scoperto la felicità autentica, che sta in fondo alla loro anima e ha la sua origine nell’amore di Dio. I Santi dunque sono chia-mati Beati perché hanno vissuto le beatitudini di cui Gesù parla e che Lui per primo ha vis-suto. Le beatitudini sono la strada che il Si-

14 LA VOCE DEI NONNI | 11

Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono “ovunque noi siamo”.

S. Agostino

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L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

gnore ci indica per seguire le sue orme. Sono pertanto un punto di arrivo, non di partenza. Ci si arriva giorno dopo giorno se ci lasciamo illuminare dalla Grazia di Dio, che sempre ci accompagna nel nostro cammino.

I Santi, che noi cattolici preghiamo, sono i no-stri fratelli maggiori che ci incoraggiano con la loro vita e la loro intercessione presso Dio, e noi abbiamo bisogno gli uni degli altri per diventare Santi.

I protestanti criticano questo nostro affidarci a loro perché affermano che solo Gesù Cristo va pregato e non c’è bisogno di mediatori, uo-mini come noi, che ci aiutino a pregare.

Sì noi cattolici insieme a loro «chiediamo la grazia di accogliere questa chiamata e lavora-re uniti per portarla a compimento». Questo è il messaggio che Papa Francesco ci ha tra-smesso il 1° Novembre del 2016.

A TUTTI I SANTI

O Dio, Padre buono e misericordioso, ti rin-graziamo perché in ogni tempo tu rinnovi e vivifichi la tua Chiesa, suscitando nel suo seno i Santi: attraverso di essi tu fai risplendere la varietà e la ricchezza dei doni del tuo Spirito di amore. Noi sappiamo che i Santi, deboli e fra-gili come noi, hanno capito il vero senso della vita, sono vissuti nell’eroismo della fede, della speranza e della carità, hanno imitato perfet-tamente il Figlio tuo, e ora, vicini a Gesù nella gloria, sono nostri modelli e intercessori.

Ti ringraziamo perché hai voluto che con-tinuasse tra noi e Santi la comunione di vita nell’unità dello stesso corpo mistico di Cristo. Ti chiediamo, o Signore, la grazia e la forza di poter seguire il cammino che essi ci hanno tracciato, affinché alla fine della nostra esi-stenza terrena possiamo giungere con loro al beatificante possesso della luce e della tua gloria. Amen.

2 NOVEMBRE

Ai Santi fa seguito la liturgia che commemo-ra i fedeli defunti. La parola defunto significa la persona che ha cessato le sue funzioni o compiti di vivente.

Le due ricorrenze sono intimamente legate fra loro, parimenti la gioia e lacrime trovano in Gesù “una sintesi” sulla quale si fonda la nostra fede e la nostra speranza.

La Chiesa, pellegrina nella storia, gioisce per l’intercessione dei Santi e dei Beati che la sor-reggono nella missione di annunciare il Van-gelo, dall’altra, essa come Gesù, condivide il pianto di chi soffre il distacco dalle persone care e come Lui e grazie a Lui diffonde il rin-graziamento al Padre che ci ha liberato dal dominio del peccato e della morte.

Sì, andremo a fare una visita al cimitero che è “il luogo del riposo” in attesa del risveglio finale e sostando su una tomba mediteremo come la vita sia fugace ma ... Gesù ci verrà a risvegliare tutti perché è Lui che ci ha rivelato che la morte del corpo è come un sonno dal quale Lui ci risveglia.

Non basta ricordare i nostri cari, fratelli, ami-ci, conoscenti ma tutti fratelli vittime delle guerre, delle violenze, della calamità naturali e quelle provocate dall’uomo. Ricordiamo gli uccisi perché cristiani e quanti hanno sacrifi-cato la loro vita per servire gli altri.

Il ricordo dei defunti, la cura dei sepolcri e i suffragi, per chi crede, sono testimonianza di speranza fiduciosa che ha le sue radici nella certezza che la morte non è l’ultima parola sul destino dell’uomo: «l’uomo è destinato all’e-ternità, ad una vita senza limiti, che ha la sua radice e il suo compimento in Dio». Questo è quanto ha detto Papa Francesco all’Ange-lus del 2 Novembre 2014 e noi condividiamo il suo messaggio di vita eterna.

Luisa

15NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLA SPIRITUALITÀ

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NUVEMBAR DOMELAZ-DOTTNovembre 2018

L’ANGOLO DEL DIALETTO E DELLE TRADIZIONI

Gli alberi non si lasciano ingannare dal sole tiepido e, quasi all’improvviso, sono “invecchiati” e si sono vestiti dei colori dell’autunno.

Siamo già a novembre e un altro anno sta per finire, il sole si alza tardi e va a dormire presto, dormono i prati ormai senza fiori, non canta-no i grilli sul far della sera, tace dai rami il frinir delle cicale, sparite sono le allegre farfalle, ma il cielo a volte è di un azzurro così intenso con giornate così tiepide che quasi quasi hai già vo-glia di primavera, di albicocchi in fiore, di bian-che siepi di biancospino…

Gemmea l’aria, il sole cosi chiaro

che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,

e del prunalbo l’odorino amaro

senti nel cuore...

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante

di nere trame segnano il sereno,

e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante

sembra il terreno.

Silenzio intorno: solo, alle ventate,

odi lontano, da giardini ed orti,

di foglie un cader fragile. È l’estate

fredda dei morti.

Giovanni Pascoli

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L’ANGOLO DEL DIALETTO E DELLE TRADIZIONI

Cominciano ad apparire le prime nebbie:

Nebbia furfante che rubi i colori

dove li hai messi, tirali fuori,

nebbia fumante che fiati nel vetro ,

tanto lo so che c’è il mondo là dietro.

Fata d’inverno col velo da sposa

dentro di te la mia casa riposa.

Vola un uccello e buca quel velo,

tanto lo so che dietro c’è il cielo!

Da: RIMA RIMANI di Bruno Tognolini

Il primo novembre è giorno di pronostici:

Se È dè di sent È sol ui stae sarà bon l’inveran cl’avnirà,se e piov dala matena tot l’inveran ui sarà la paciarena

Se il giorno dei santi il sole splenderàun buon inverno ci sarà;se piove dalla mattina saranno piogge e brina.

Altro noto proverbio di questa giornata

Per i santi manicotti e guanti.

Il 2 di novembre, a casa mia, ci si doveva alzare presto e subito fare il letto, perché si diceva che i morti tornassero per un po’ a riposare nella vecchia loro dimora.

La sera si lasciava la tavola apparecchiata e sulla tovaglia non venivano tolte le briciole di pane né il fiasco del vino, perché nella notte i nostri cari defunti ci venivano a fare una visita segreta. Era una festa e non si andava a scuola .

In alcune zone del Veneto alle porte dei cimi-teri c’era la donnina che vendeva le castagne cotte. I bambini raccoglievano la cera che co-lava dai ceri che rallegravano le tombe e ne fa-cevano delle palline che scambiavano con le caldarroste.

Novembre è il mese del vino nuovo e molti sono i motti e i detti:

Par San Marten (l’11 ) nespul e bon ven Per San Martino nespole e buon vino

Per san martino ogni mosto è vino

Al boti pini ad ven par san marten agl’imbarie-ga grend e znen Le botti piene di vino per san martino ubriaca-no il grande e il piccino.

17NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DEL DIALETTO E DELLE TRADIZIONI

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Famosa è a Sant’Arcangelo la Fiera di San Martino, che è anche detta “La fira di bech = la fiera dei becchi o cornuti” e dura un settimana intera. All’arco all’entrata della piazza vengono appese due poderose corna che segnalano, con il loro dondolio il passaggio di un cornuto.Per fortuna il continuo passare della folla fa sì che sia difficile individuare a quale passante si riferisca il segnale. Comunque se quel giorno tira il vento sembrano tutti più sereni.

Par Sam Marten zira e rizira tot i bech i va ala fira.Per San Martino gira e rigira tutti i becchi vanno alla fiera.

RACCONTI PER GRANDI E PICCINI

A Sant’Arcangelo c’è da molti anni anche il RA-DUNO dei CANTASTORIE che ricordano tempi passati e raccontano con ironia i fatti recenti.

Erano una volta i giornali ambulanti e portava-no nelle piazze notizie e fatti accaduti sia nei paesi vicini che in quelli lontani. Salivano su una sedia e li raccontavano con un linguaggio semplice; le strofe in rima erano orecchiabili e facili da memorizzare.

Alcuni nonni ne ricordano ancora.Bruchin, un famoso cantastorie di Cesena, ri-chiamava gli astanti con una trombetta e sulla sedia così esordiva: “La mia eloquenza dialet-tal si spande. Sopra una sedia anch’io divento grande.”

Così poi si presentava:Us presenta a qua bruchin,né mincion, né birichin,né istruito, né ignurantné sumar né inteligent.Un umet ad meza taiafra la pula e fra la paia.fra i mei e fra i pez fra È sanzves e l’aquadez.

Si presenta qui Bruchino, né minchione, né bi-richino, né istruito, né ignorante, né somaro, né intelligente. Un ometto di mezza taglia, fra la pula e fra la paglia, fra i migliori e fra i peg-giori fra il sangiovese e fra il vinello.

Un’altra nonna ricorda che andava al merca-to con un paniere pieno di uova, un pollo, un tacchino, 2 o 3 formaggi e col ricavato aveva comprato il corredo alle figlie e aveva anche portato a casa un foglietto che così diceva:

18 LA VOCE DEI NONNI | 11

L’ANGOLO DEL DIALETTO E DELLE TRADIZIONI

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Tot cal doni cun la sporta al to so la galena morta, un po’ d’ovi, de furmai,du galet cun un gapon..Al turoia un pac ad cuton?chi oman i dis che a sem dal pioli!mo cum as fal? Avem dal fioli!

Tutte le donne con la sporta prendon su una gallina morta, due uova, del formaggio, due galletti con un cappone. Prenderò un pacco di coton. Gli uomini dicono che siamo delle piole, ma come si fa... abbiamo delle figliole!

IL MODO DI DIRE DEL MESE

Al don a gli ha da fê fugh ala pignatale donne devono fare fuoco alla pentola

Così gli uomini di un tempo, bruschi e sbriga-tivi liquidavano la voglia delle donne di interes-sarsi ad altro che non riguardasse le faccende della casa. Naturalmente il “fê fugh ala pignata” comprendeva non solo il far da mangiare, ma tutte le altre faccende domestiche rese assai pesanti dalla primitività dei mezzi a disposizio-ne, ma oltre la casa la donna doveva curare il pollaio, l’aia, il porcile, la conigliera, con attività che richiedevano cure attente e molto faticose.Le fotografie di mezzo secolo fa ci mostrano queste donne, già vecchie a quarant’anni, la cui femminilità, forse non del tutto spenta, scom-pariva nella tetraggine dei neri e informi abiti, delle lunghe sottane, sempre protette sul da-vanti dai grembiali molto ampi, da cui la donna, tenendone in mano le punte inferiori, formava la Faldè, un grembo atto a contenere tutto ciò che dal campo e dall’orto dovesse essere por-tato a casa: verdura, frutta, erbe per gli animali.E che dire dei fazzoletti, non colorati e leggeri come quelli di oggi, ma pesanti e scuri, anno-dati sotto il mento a proteggere , ma anche a nascondere la massa dei lunghi capelli intrec-ciati e tenuti fermi con forcelle di ferro o di osso in un nodo alto sulla nuca: È cucai - la crocchia.

Poche cedevano alla tentazione, tutta femmi-nile di ornarsi poiché si diceva gata inguanteda la’n ciapa i sorgh - gatta inguantata non pren-de i topi (non sa fare il suo dovere), o dalla pau-ra vivissima del ridicolo, di essere paragonata alla Rosaura di buraten o alla Bambuzèna ad Santa Catarena - Rosanna dei burattini o alla Bambolina di Santa Caterina, quelle bambolet-te schiacciate di pasta dolce con ricami bianchi di zucchero e palline d’argento che, insieme ai galletti di zucchero rossi, che si vendevano sul-le bancarelle il 25 novembre, giorno di Santa Caterina (la festa delle belle spose).Ecco una novelletta in cui sono prese in giro tre donne vanitose che fanno quasi tenerezza tan-to sono ingenue e maldestre nelle ostentazio-ne dei loro “tesori”. Aveva una un anello su cui desiderava attirare l’attenzione, allungò perciò il dito e fingendo un improvviso spavento, gri-dò: «Oh una bessa!» (Oh una biscia!). «Ch’a l’amaza?» (Che l’ammazzi?) fece l’altra allungando il piede calzato con scarpe nuove.«No, no che non lo faccia!» supplicò la terza accompagnando la protesta con un energi-co scuotimento del capo che fece brillare gli orecchini pendenti che proprio in quel giorno indossava per la prima volta.

Fior di crisantemo morbido e biancodi legger “La Voce dei Nonni” non son mai stanco,lo leggo, mi diverto, mi tengo informato.Mi aiuta a ricordare spesso il mio passato.

Cari amici ricordate che…I quatren j è come i dulur, chi che j ha i si ten.I quattrini sono come i dolori: chi li ha se li tiene.

Cari saluti dalla VostraLauber

19NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DEL DIALETTO E DELLE TRADIZIONI

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L’ANGOLO DELLE NEWS

Abbiamo studiato che i Neanderthal erano di gran lunga inferiori ai Sapiens, meno evoluti e più rozzi. Non è proprio così e ce lo dimostra-no le recenti scoperte.Le pitture rupestri scoperte nelle grotte di La Pasiega, Maltravieso e Ardales in Spagna sot-toposte alla nuova tecnica di datazione, basata sul decadimento radioattivo di uranio e torio, lo dimostrano: risalgono 64.000 anni fa.Sono così le più antiche del mondo perché le hanno disegnate i Neanderthal vissuti 20.000 anni prima dell’Homo Sapiens. Esse rappresen-tano gruppi di animali tratteggiati in ocra e nero, figure geometriche ed impronte delle mani.Perché gli studiosi sono certi che siano ope-ra loro? Per il semplice fatto che a quei tem-pi l’Homo Sapiens non era ancora arrivato in Europa. Inoltre sono state ritrovate le conchi-glie in cui venivano preparati i colori risalenti

a 115.000 anni fa. Non è una “bufala” perché il risultato delle scoperte è stato pubblicato su due riviste serie Scienze e Scienze Advances. Si tratta di due studi di ricerche coordinate dall’I-stituto Max Planck tradotte anche nella nostra lingua dall’Università di Trento. È sconvolgente riconoscere che l’uomo è di-ventato umano prima di quanto immaginato!Le pitture dimostrano che questi predecessori dell’uomo possedevano un’arte e una capacità simbolica e i loro decoratori erano più abili e raffinati di quanto gli storici presumessero. Le pitture sono eccezionali ed i loro colori con-servano tracce degli ossidi di ferro con cui si otteneva l’ocra.Ora è bene saperne di più dei Neanderthal. Per-sonalmente al Museo Preistorico di Altamura (Matera) ho visto i vari ambienti che riproduco-no l’habitat con abitazioni, attrezzi, utensili, cibi

LA PREISTORIA:Questa conosciuta, sconosciuta…

20 LA VOCE DEI NONNI | 11

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L’ANGOLO DELLE NEWS

usati probabilmente dall’uomo di Neanderthal, trovato fossilizzato in una grotta della Murgia. Anche lui stesso è stato rappresentato in un esemplare di manichino o controfigura che lo rispetta nelle sue caratteristiche fisiche. Il Mu-seo inoltre presenta reperti, filmati e la già cita-ta ricostruzione. Si trova al centro di Altamura nel Palazzo Baldassarre.Ricordo anche che presso la straordinaria grotta di Lamalunga è stata ristrutturata una masseria nella quale ci si può documentare sulla grotta e sul prezioso tesoro. Offre la possibilità, per la gioia dei buongustai affamati, la possibilità di un piatto locale condito con salsa al pomodo-ro e ai famosi peperoni del posto, piccanti ma al punto giusto. Non parliamo del formaggio, dell’ottimo olio e profumato pane.Sì, l’uomo di Altamura, o meglio il suo schele-tro, ha una data ricavata dal suo DNA! 150.000 anni fa!Forse quell’uomo trovato in una grotta ad 8 metri sotto la superficie del terreno, vi si era ri-fugiato, o caduto, o travolto da acqua e fango, che nel tempo ha continuato a portare ossa di animali ed altro, chiudendo l’apertura e seppel-lendo la grotta che è diventata così una vera e propria cassaforte.I secoli passati hanno fossilizzato il corpo di quell’uomo di cui i suoi scopritori il 3 ottobre 1993 hanno trovato lo scheletro nella grotta Lamalunga nei pressi di Altamura datandolo tra il 128.000 e 187.000 mila anni fa. La posizione

del corpo dell’uomo fa pensare a un suo pro-teggersi da qualcosa. A scoprirlo sono stati Lo-renzo di Liso, Marco Milillo e Walter Scaramuz-zi di Bari. Questo reperto umano è ritenuto un unicum come la grotta e la paleosuperficie con ossa di animali. La grotta appartiene al feno-meno carsico tipico della Murgia di Altamura.L’esemplare, è quello di un umano adulto che nel tempo è stato inglobato tra stalattiti e sta-lagmiti cresciutegli attorno con il risultato di mantenerlo intatto.Secondo l’ipotesi dell’équipe diretta da Vittorio Pesce dell’Università di Bari, si tratterebbe di un soggetto appartenente alle forme più antiche di Neanderthal classici e alle fasi successive corrispondenti all’Homo Erectus.Impossibile estrarre lo scheletro perché l’am-biente carsico ha concretizzato le sue par-ti saldandole strettamente fra loro al punto di renderle fisse, assicurando così la completez-za dello scheletro con tutte le caratteristiche morfologiche.Secondo gli studiosi l’uomo di Altamura do-vrebbe appartenere ad uno dei tre gruppi delle popolazioni Neanderthaliane distribuite in Eu-ropa Occidentale, Europa Meridionale e Asia Occidentale e precisamente a quello dell’Eu-ropa Meridionale.Lo hanno dedotto comparando il suo DNA con quello di altri reperti trovati in Spagna (El Si-dron) ed anche in Croazia.

L.C.

21NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLE NEWS

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Anni fa la pubblicità Cirio assicurava “Ciò che Natura crea, Cirio conserva”.Nella fattispecie di Pompei si può azzardare “ Ciò che l’uomo ha costruito, edificato, lava vulcanica conserva.”Dove? A Pompei. Perché lo si può afferma-re? Perché i metri laser e droni volanti hanno denunciato la presenza di un quartiere a nord dell’antica città che gli archeologi con estrema attenzione e curiosità stanno portando alla luce.Quell’area dell’antica città sconosciuta fino ad ora, è stata scoperta grazie all’ultima tecnolo-gia che l’ha individuata. Di preciso non si sa quel che c’è sotto ancora, ma senza dubbio i reperti seppelliti e portati alla luce racconteranno qual-cosa in più di come si viveva in questa città. La sua storia ha inizio dal IX secolo a.C.Era un luogo di vacanza, fiorente e sofisticato, per antiche famiglie romane ricche e anche ter-ra fertile per l’agricoltura data la presenza di ma-

teriale lavico: un paese di medie dimensioni sul golfo di Napoli, posto di traffici commerciali, e via vai di navi provenienti dai paesi sul Mediter-raneo. Se la lava incandescente con l’eruzione del 79 d.C. l’ha seppellita è altrettanto vero che ha mantenuto case, botteghe e persone intente nelle attività di ogni giorno. I primi a scoprirle furono gli archeologi nel 1748 che, entusiasti e sorpresi, trovarono scavando, i suoi resti ben conservati come se il tempo si fosse fermato. Chi la visita trova i calchi delle vittime dell’e-ruzione ottenuti riempiendo di gesso le ceneri pietrificate. Dalla postura dei corpi, sembrano statue, si può risalire agli ultimi movimenti delle vittime al momento dell’eruzione. Dal lontano ‘800 ad oggi gli scavi hanno continuato a portare alla luce case, strade, negozi ed altro che raccon-tano la vita tipica di una fiorente città antica come era Pompei.

METRI LASER E DRONI al lavoro a Pompei

L’ANGOLO DELL’ARCHEOLOGIA

22 LA VOCE DEI NONNI | 11

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Visitandola constatiamo che erano state co-struite per il popolo case popolari e ville affre-scate con preziosi dipinti e pavimentate in mo-saico per i danarosi. Lungo le strade principali troviamo i negozi dei parrucchieri, fruttivendo-li, calzolai, profumerie le cui insegne sopra la porta li rendono identificabili. Sempre con la sunnominata tecnica e decifrando gli affreschi sulle pareti, che fissano scene di vita di chi vi abitava o faceva lì, gli archeologi hanno regi-strato la presenza di 34 panifici con forno a le-gna e banconote per la vendita.

Il panificio più grande di tutta la città appar-teneva a Modesto, poi c’era quello di Soterico che ha mantenuto la cucina dove si impastava-no i panini.

Le fulloniche erano 18. Oggi noi le chiamiamo lavanderie, contenevano vasche per smacchia-re e risciacquare i vestiti.Unica nella città era l’officina specializzata nel-la vendita del garum, prelibata salsa di pesce molto gradita agli uomini di quel tempo.Esisteva il macellum che vendeva carne e pe-sce mentre i cereali e i legumi si compravano al

Granaio del Foro.Numerosi anche i termopoli o bar, circa un centinaio, che vendevano da bere o da man-giucchiare qualcosa in attesa del pasto più so-stanzioso. Il termopolio di Vetuzio Placido ha conservato un bancone con contenitori per cibi e bevande e in un cassetto, o cassa, sono stati ritrovati 683 sesterzi che il barista aveva in cassa al momento dell’eruzione.Ciò che permette di visualizzare la città con la sua vita vivace e chiassosa sono le informazioni forniteci dai 10.000 graffiti che decoravano i muri di Pompei conservati intatti dalla cenere che li ha seppelliti. I graffiti sono di tutti i tipi: avvisi, annunci di nascite, dichiarazioni amo-rose, poesie, modi di dire, indovinelli ed anche minacce!Ecco un esempio: «Questo luogo non è per i perditempo. Vattene», un’altro, ben diverso, dice: «Giovinetta è nata sabato 2 agosto alla seconda ora della sera.»Ci sono i manifesti per le elezioni cittadine che riportano il nome dei candidati da votare.Anche questi incisi sui muri: anzi ognuno pote-va imbiancare una parete della propria casa ed usarla per fare pubblicità.Si trovano anche schizzi e disegni, famoso

L’ANGOLO DELL’ARCHEOLOGIA

Fullonica (lavanderia) di Stephanus

23NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELL’ARCHEOLOGIA

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quello di un certo poeta chiamato Rufo, che aveva un gran naso, messo alla berlina, per così dire, da secoli sulla parete della Villa dei Misteri.Nei giorni scorsi nelle regno V di Pompei è stata scoperta un’iscrizione a carboncino che, darebbe ragione agli studiosi che mettono in dubbio la data dell’eruzione che non si sarebbe verificata nell’agosto del 79 d.C. bensì nell’ot-tobre di quell’anno (24 ottobre).La scritta è questa XVIKNOV ossia la data del sedicesimo giorno prima delle Calende di no-vembre corrispondente al 17 ottobre.La sala dove è stata trovata fa pensare che la stessero ristrutturando mentre le altre stanze lo erano già. L’anno non è indicato ma a lume di ragione sappiamo che il carboncino è un pigmento deperibile facilmente per cui non avrebbe potuto resistere a lungo nel tempo. Pertanto si deduce, secondo la nuova ipotesi, che trattandosi dell’ottobre79 d.C. una setti-mana prima della catastrofe, che questa sareb-be avvenuta il 24 ottobre.Il direttore generale di Pompei, Massimo Osan-na, afferma che la frase sarebbe stata scritta da un operaio “buontempone” all’interno di una frase scherzosa. La definisce “un pezzo straor-dinario di Pompei”, perché consente finalmen-te di datare in maniera sicura l’eruzione.Ciò che nel passato ottocento aveva fatto pen-sare ad una data diversa dell’agosto fu il ritro-vamento di melagrani carbonizzati e di bracieri con resti. La scritta in carboncino si trova all’in-terno della “base con giardino”, chiamata così per l’ampio spazio aperto con portico.

Qui sono state condotte analisi paleobotani-che sui resti vegetali. Nella casa, conservato in buone condizioni, spiccano splendide megalo-grafie e, in una, si riconosce Venere con accan-to una figura maschile e Eros.Le pareti dell’atrio e del corridoio conservano moltissimi graffiti che presentano frasi, in alcu-ni casi di carattere osceno come ancora oggi leggiamo nelle nostre città.È proprio vero che «sotto il cielo non c’è nulla di nuovo!» Tutte le frasi sono in corso di studio. E per con-tinuare a meravigliarci, si sono conservati in buone condizioni, disegni di volti umani trac-ciati con calce o gesso e con carbone. Ma di Pompei c’è ancora tanto da scoprire!Nell’eruzione morì Plinio il Vecchio, famoso personaggio dell’antica cultura romana. Della sua morte ci ha lasciato testimonianza il nipote Plinio il Giovine. Plinio il Vecchio è cono-sciuto con questo nome, ma il suo vero nome è Gaio Plinio Secondo, scrittore, naturalista, filo-sofo naturalista, comandante militare e gover-natore provinciale romano di stanza a Stabia, Pompei, nel periodo dell’eruzione del 79 d.C. Rimase sulla nave ancorata nel porto , per os-servare e prendere appunti sull’eruzione. Le esalazioni venefiche dei gas usciti dal vulcano lo intossicarono soffocandolo. Non era il 25 agosto del ’79, ma il 24 ottobre del ’79, sempre secondo l’ultima testimonianza grafica murale.

(Segue nel prossimo numero)L.C.Z.

Villa dei Misteri Terme del Foro

24 LA VOCE DEI NONNI | 11

L’ANGOLO DELL’ARCHEOLOGIA

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L’ANGOLO DELLA CULTURA

«Non potevo credere di avere scoperto la lettera che tutti gli studiosi di Galileo credeva irrimediabilmente perduta», ha detto Ricciardo a Nature. «È ancora più incredibile - ha aggiunto - perché la lettera non era custodita in un’oscura biblioteca, ma nella biblioteca della Royal Society» È stato lo stesso Ricciardo, con i colleghi Giu-dice e Camerota, ad analizzare la lettera e a descriverla in un articolo in via di pubblicazio-ne sulla rivista Notes and Records, della Royal Society. Al momento, riferisce Nature, molti studiosi si riservano ogni commento in attesa di leggere l’articolo, una volta pubblicato. Sol-tanto lo storico della scienza Allan Chapman, dell’Università di Oxford e presidente della

Royal Society per la storia e l’astronomia, lascia spazio all’entusiasmo: «è così importante - ha detto a Nature - che permetterà nuovi appro-fondimenti in questo periodo critico». 

Della lettera, indirizzata a Benedetto Castelli, esistono diverse copie e due versioni diverse. Di queste ultime, una è custodita negli Archivi Vaticani ed è quella che il 7 febbraio 1615 ven-ne inviata all’Inquisizione, indirizzata al dome-nicano Niccolò Lorini. Poiché finora la versione originale della lettera si credeva perduta, è rimasta aperta la questio-ne se i toni usati da Galileo fossero effettiva-mente duri come l’Inquisizione da secoli.  so-steneva. Il ritrovamento dell’originale potrà ora rispondere a questa domanda aperta da secoli.

Fonte: La Stampa.it

Ritrovata a Londra la lettera che costò a Galileo l’accusa di eresia

25NOVEMBRE | 2018

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L’ANGOLO DELLA NATURA

Quando parliamo di giuggiolo nella nostra struttura tutti facciamo riferimento alla bel-lissima pianta arborea che vegeta rigoglioso davanti alla Residenza Tabor sulla destra guar-dandolo frontalmente.

Un albero originario della Cina ma da moltissimo tempo in Italia. I nomi dialettali che lo differen-ziano da regione a regione sono scicula, zizzo-la, zinzula ecc... Un albero che ama il caldo di-fatti la sua coltivazione abbondava nel sud Italia. È una pianta forte che predilige i terreni poveri.

I romani la portarono in Italia al tempo dell’im-peratore Augusto, però il giuggiolo era già co-nosciuto dai greci che lo chiamavano zizphon.

Oggi è diffuso in Toscana, Veneto, Campania. Ad Arqua Petrarca, piccolo borgo Veneto, pa-tria del grande poeta Petrarca, è molto colti-vato per i suoi frutti gustosi al palato e anche per il tipico liquore dolce e gustoso chiamato “Brodo di giuggiole”.

L’albero arriva all’altezza di 5 metri. Cresce molto lentamente ed ama avere alle spalle una parete in muratura, difatti il nostro esemplare meraviglioso ha sempre avuto una struttura in muratura.

Quando lo estraemmo dal suo sito e lo depo-nemmo in una mastella gigante, temevamo si seccasse perché portato via dal posto dove per circa 100 anni aveva regnato.

Non potevamo far diversamente perché dove-vamo lasciare spazio ai muratori impegnati a demolire e successivamente ricostruire la vec-chia casa fatiscente a due piani, abitata da tanti topolini campagnoli.

La fotocronaca di questa operazione di “tra-sferimento” della pianta, evidenzia la cura e l’attenzione prestata dal giardiniere Marconi, Francesco Bruni e dagli addetti alla delicata manovra di estirpazione e ricollocamento del giuggiolo.

Il Giuggiolo

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L’ANGOLO DELLA NATURA

27NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLA NATURA

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Il nostro giuggiolo non solo non si è seccato ma ben nutrito da Francesco è diventato ri-goglioso e per ringraziarci produce tantissime giuggiole grandi, lucenti, dolci.

Difatti ultimata la costruzione è stato risistema-to davanti al nuovo edificio non più a sinistra ma sulla destra, nella stessa area dove era cre-sciuta, è una meraviglia, sprizza gioia da ogni sua foglia. La chioma è super rigogliosa, i suoi frutti si colorano di un caldo color marrone bruciato e occhieggiano superbi tra l’esube-rante verde lucente.

La sua bellezza sta nel portamento arbustivo e nella sua forma contorta con tante ramifica-zioni fitte e intricate.

È bricconcello perché tra gli internodi dei rami crescono coppie di spine, ma di esse con il tra-scorrere del tempo resterà solo una che è ben robusta e pungente.

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L’ANGOLO DELLA NATURA

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Quando lo prelevammo dal suo sito dove per tantissimi anni era vissuto, temevamo di ro-vinare le radici scese in profondità. Questa è un’altra caratteristica della pianta.

In conclusione tutto andò bene perché Fran-cesco non solo rispettò l’apparato radicale che era in profondità per trovare l’umido, ma con-tinuò a bagnarlo per tutta l’estate. Così l’arbu-sto non soffrì come non soffrì il giuggiolo più piccolo poi messo a dimora nel nostro apprez-zamento di terreno che conta come ospiti ve-getali altri alberi da frutto.

Un incanto ad osservare! La sua corteccia è ru-gosa, segnata, incisa, da profonde crepe che la-sciano intravedere un fondo color ruggine scuro.

Certo che da giovane la sua corteccia più liscia e di color grigio chiaro mentre il tronco da esile si fece più solido, grosso e ramificato.

Mi è impossibile, guardando il giuggiolo, non paragonarlo ai nostri nonni. Quando li osser-vo provo una grande tenerezza e ammirazione proprio come osservando il rigoglioso arbusto. Perché?

Perché i nostri nonni come l’attuale corteccia hanno il volto, le mani, segnate dal tempo, ma la loro mente e il loro cuore ancora producono tanto bene e tanto frutto.

La loro vita sta passando ma si mantengono forti malgrado gli acciacchi. Le loro esperienze sono linfa per i più giovani, ora la loro saggezza porta a considerare che la vita è stato un dono a loro stessi alle famiglie e ora a noi.

I sacrifici, le sofferenze vissute in famiglia e nei duri tempi delle guerre, delle dopo guerre, sono un incoraggiamento e monito a noi di vi-vere con coraggio, perseveranza, generosità e tanta speranza senza mai avvilirsi.

Sì, il giuggiolo perde le foglie in autunno-in-verno come i nostri nonni che, invecchiando

diventano più fragili, più privi di vitalità ma... ba-sta un incoraggiamento, un sorriso, una carez-za, un bacio, una cura mirata, una fisioterapia adatta, giochi sull’attenzione, tombole, tavole rotonde sul loro passato, sulla loro infanzia, per farli diventare rigogliosi psicologicamente e mentalmente proprio come il nostro giuggiolo a primavera inoltrata.

Grazie giuggiolo, perché ci ricordi che per vi-vere abbiamo bisogno di recuperare le nostre radici familiari rispettandole, nutrendole sin dal profondo dei nostri ricordi.

Sì le nostre radici affondano nella storia dei no-stri nonni, bisnonni e non dobbiamo ignorarle ma difenderle dall’oblio inevitabile del passare del tempo fissandole in memorie da regalare a tutti.

L.C.Z.

29NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELLA NATURA

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Chi è intollerante alle proteine animali deve conoscere in quali formaggi si nasconde la carne.

È indubbio che il formaggio non è carne ma ciò che lo rende portatore di proteine animali è il caglio ottenuto dallo stomaco del vitello.

Il Parmigiano Reggiano contiene sempre il ca-glio animale mentre il Grana Padano contiene solo quello vegetale.

Tanto per orientarci nell’acquisto dei formaggi ricordiamo che tutti quelli con marchio D.O.P. (di origine protetta) sono prodotti con il ca-glio di origine animale.

Con tranquillità sia gli intolleranti che i ve-getariani possono comprare i prodotti Yomo

perché il caglio animale non è usato se non nei 2 formaggi Belgioioso naturale e Belgio-ioso alle olive.

Ecco un elenco dei formaggi “puri” ottenuti col caglio batterico, mentre il Light, che com-periamo perché crediamo più leggero, è pro-dotto con caglio animale.

Il caglio animale è estratto dallo stomaco del vitello durante la macellazione. Contiene la rennina, un enzima del succo gastrico che, agendo come un acido, provoca la coagula-zione del latte, indispensabile per ottenere il formaggio.

In linea di massima i formaggi prodotti a livello industriale sono preparati con caglio di origine batterica, mentre quelli più artigianali utilizza-

CIÒ CHE NON SAPPIAMO:c’è formaggio e formaggio

L’ANGOLO DELL’ALIMENTAZIONE

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L’ANGOLO DELL’ALIMENTAZIONE

no quello animale. Esistono su scala sempre più vasta aziende che utilizzano enzimi vege-tali per coagulare il latte e quindi i formaggi così ottenuti sono adeguati ad una alimenta-zione vegetariana. Si trovano perciò nei ne-gozi biologici e vegetariani.

Non è facile individuare l’origine del caglio per-ciò informarsi telefonando alle aziende produt-trici oppure rivolgendosi alla AVI (associazio-ne vegetariana italiana) che ha pubblicato un elenco dei prodotti caseari industriali più diffusi e che ho allegato a questa mia ricerca. Certo che se quando gustiamo un formaggio, se non siamo intolleranti, vegetariani, animalisti, pen-sassimo che è stato ottenuto con il caglio ani-male, forse i più sensibili lo gusterebbero meno sapendo le sofferenze degli animali.

Negli allevamenti intensivi le vacche vengono ingravidate continuamente per far nascere più vitelli, destinati alla macellazione.

Oltre a questo ultimo problema dell’uccisione dell’animale va aggiunto quello del distacco dalla mamma perché il cucciolo dovrebbe sta-re con lei un anno almeno per crescere bene nutrendosi del suo latte. Invece non è così!

Negli allevamenti il vitellino viene portato via dalla madre per essere macellato e il latte della vacca viene venduto finché non finisce.Poi vie-ne nuovamente ingravidata e il ciclo continua senza alcun rispetto. Quando la vacca diventa vecchia finisce al macello.

Un’arma per combattere lo sfruttamento negli allevamenti intensivi sta nel non acquistare il loro latte perché il benessere dell’animale pas-sa in secondo piano. O noi siamo così rispet-tosi dei nostri “fratelli minori” o ci manteniamo loro sfruttatori!

Nell’Enciclica “Laudato sì” Papa Francesco chiarisce bene «...Ogni volta che Francesco (San Francesco) guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli la sua reazione era canta-re, coinvolgendo nella sua lode tutte le crea-ture…»

Il suo discepolo S. Bonaventura narrava che lui, «considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello e so-rella».

Poi Papa Francesco prosegue «...se non par-liamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del domi-natore, del consumatore o del mero sfruttato-re delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea».

(Paragrafo 10, 11 dell’Enciclica)

Luisa

31NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELL’ALIMENTAZIONE

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La dieta anticellulite permette di perdere peso attraverso l’uso di cibi detox e di pietanze che allontanano la ritenzione idrica. Qualora que-sto non basti, però, abbiamo la possibilità di utilizzare alcuni apparecchi che possono esse-re utili. Uno di questi è, ad esempio, Vacuum. Conosciamolo nel dettaglio.

La dieta anticellulite è un regime alimentare bilanciato, che permette allo stesso tempo di dimagrire e di migliorare l’aspetto della pel-le a buccia d’arancia. Purtroppo, la cellulite è molto presente nella vita di una donna: sono tantissime coloro che ce l’hanno, sia in carne che magre. A volte si accompagna al sovrap-peso: in questo caso, la dieta è davvero l’ideale. È sempre meglio associare alla dieta una buo-na e corretta attività fisica. Essa è, infatti, l’ar-

ma vincente per eliminare i ristagni di liquidi, che favoriscono la presenza di ritenzione idrica e che, a lungo andare, portano alla compar-sa proprio della cellulite. Evitiamo di trascor-rere lunghi periodi seduti o in piedi. Inoltre, è sempre bene bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno. L’acqua è un rimedio natu-rale per eliminare efficacemente la cellulite e per allontanarne la ricomparsa. È molto impor-tante evitare le bevande zuccherine, l’eccesso di zucchero e, soprattutto, di sale. Il sodio è, infatti, il nemico incontrastato della cellulite. Se vogliamo evitarne la comparsa o diminuire quella già presente dobbiamo evitare di salare troppo i cibi e di consumare alimenti che han-no il sale nascosto, come i formaggi stagionati, gli affettati e i salumi in generale, i cibi affumi-cati e quelli in scatola.

DIETA ANTICELLULITEi cibi detox consigliati

L’ANGOLO DEL BENESSERE

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L’ANGOLO DEL BENESSERE

Ma quali sono, in sostanza, i cibi detox anticel-lulite?

Le verdure crude possono darci una grossa mano, specialmente le melanzane, i peperoni, il cavolo e i porri, il prezzemolo e le cipolle.

Andranno benissimo anche le proteine, quin-di via libera alle carni bianche e alle uova, che sono importanti anche per i nostri muscoli. Inoltre, sono perfetti gli alimenti ricchi in ferro, come le lenticchie. Il ferro, infatti, è implicato nel trasporto dell’ossigeno al sangue.

Via libera al pesce, soprattutto quello ricco di omega 3, ma ricordiamo di consumare anche cibi ricchi di potassio: esso è contenuto so-prattutto nella frutta secca e nel lievito di birra.

Perfetti anche gli alimenti integrali, come pasta, riso, cereali o pane, perché assorbono le tos-sine in eccesso. Importante anche consumare buone dosi di vitamina C. La trovate anche nei frutti rossi, perfetti per migliorare la circolazio-ne del sangue e favorire anche la rigenerazione cellulare.

Via libera anche all’olio extravergine di oliva, mentre si consiglia di consumare con modera-zione gli altri grassi, del calibro di burro, strutto, olio per fritture.

Cerchiamo di limitare anche i dolci in generale, specialmente quelli più grassi, come biscotti, torte e similari.

Fonte: Erika Vettori - Tuoi Benessere

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L’ANGOLO DEL BENESSERE

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Una vita tra altissimi e bassissimi

Recenti studi hanno cominciato a individuare alterazioni nella struttura e nelle funzioni cerebrali

Il 30 marzo, compleanno di Vincent Van Gogh, è la giornata dedicata alla sindrome, di cui il pittore soffriva, in cui si alternano eufo-ria e depressione. Oggi esistono terapie che aiutano a controllarla, ma chi è più esposto può ridurne il rischio cambiando le abitudini

Tutti sperimentano sbalzi dell’umore, più alle-gro in certi giorni, più cupo in altri, ma per al-cune persone queste variazioni sono talmente ampie da diventare un vero disturbo psichico, il cosiddetto Disturbo bipolare, al quale è dedi-cata la giornata mondiale del 30 marzo, com-pleanno di Vincent Van Gogh, il geniale pittore olandese che ne soffriva. È caratterizzato da periodi di eccitazione (fase maniacale) e perio-di di depressione (fase depressiva). Ne esistono due tipi: il tipo 1, nel quale si alternano

fasi maniacali (o ipomaniacali, ossia di eccita-zione moderata) e fasi depressive; il tipo 2, nel quale si alternano fasi ipomaniacali e depressi-ve senza che si presentino fasi maniacali vere e proprie. Recenti studi realizzati con Risonanza Magnetica funzionale hanno mostrato altera-zioni nella struttura e nelle funzioni cerebrali di

DISTURBO BIPOLARE: come si riconosce

L’ANGOLO DELLA MEDICINA

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L’ANGOLO DELLA MEDICINA

chi ne soffre. In particolare è emersa una ridu-zione delle normali connessioni tra l’area pre-frontale della corteccia cerebrale e strutture profonde del sistema limbico, come l’amigdala.

Predisposizione familiare ad ammalarsiL’area prefrontale tiene sotto controllo le emo-zioni e gli impulsi elaborati dal sistema limbi-co, così che, quando tale controllo non fun-ziona, si genererebbero i tipici sbalzi di umore. Questa riduzione delle connessioni è forse conseguenza di un errore nello sviluppo del cervello, in particolare della cosiddetta migra-zione neuronale, che porta i neuroni a collo-carsi proprio là dove devono essere. Ma non è tutto qui. «Anni di ricerche hanno permesso di comprendere il complesso rapporto tra fat-tori biologici, personologici e ambientali che contribuiscono all’insorgenza e alla progres-sione del disturbo - spiega Claudio Mencac-ci, direttore del Dipartimento di neuroscienze degli ospedali Fatebenefratelli-Sacco di Milano -. Per quanto attiene a quelli biologici, è stato osservato come questo disturbo abbia un an-damento familiare, ripresentandosi nel corso delle generazioni nella stessa famiglia, anche se non si eredita la malattia, bensì una predi-sposizione ad ammalare che però necessita di “fattori di attivazione” ambientali o psicologici. Quindi avere un genitore con questo disturbo non significa per forza svilupparlo. L’esposizio-

ne a sostanze d’abuso, cattive abitudini di vita, soprattutto relativamente al sonno, contribui-scono in misura determinante allo sviluppo e alla progressione della malattia».

Una continua interruzione nel percorso vitaleChi soffre di un disturbo bipolare non ha vita facile, dato che gli episodi di mania o depres-sione tendono a ripetersi. Secondo quanto riportato in un recente studio pubblicato sul Journal of Affective Disorders da Michael Gitlin e David Miklowitz del Department of Psychia-try della Geffen School of Medicine at Ucla di Los Angeles, nonostante l’utilizzo di farma-ci stabilizzatori dell’umore, dopo 4 anni da un episodio il rischio di averne un altro è di circa il 50%, e a 5 anni fino al 60-80%. «Il Disturbo bipolare interferisce con la vita - riprende Men-cacci -Spesso l’insorgenza è precoce, anche in adolescenza. Se non curato, l’alternarsi di fasi depressive e maniacali produce una continua interruzione nel percorso vitale, impedendo il raggiungimento di obiettivi formativi, lavorativi e relazionali. Si interrompono studi, carriere e relazioni affettive. L’individuo alterna periodi di euforia e iperprogettualità a fasi di solitudine e disperazione. Se la prima condizione mette a dura prova il sistema di affetti e relazioni per i comportamenti disinibiti, rischiosi o aggres-sivi, la seconda presenta spesso sentimenti di colpa, rovina ed elevato rischio suicidario. Tra

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L’ANGOLO DELLA MEDICINA

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tutte le patologie psichiche è quella che si as-socia alla probabilità più elevata di suicidio. Il sonno diventa un elemento guida nella cura. Ridotto marcatamente nelle fasi che precedo-no l’euforia con una sensazione soggettiva di benessere, è alterato e insoddisfacente nelle fasi depressive».

Terapie per stabilizzare il tono dell’umoreIl trattamento del disturbo bipolare, specie delle fasi maniacali, è reso difficile dalla scar-sa collaborazione di chi ne soffre e dal rischio di mancata aderenza alle prescrizioni. Si basa sull’impiego di farmaci, ma anche di alcune forme di psicoterapia, come quella psicoedu-cazionale, soprattutto nella fase di manteni-mento, quando si cerca di evitare una ricaduta. «I farmaci puntano alla stabilizzazione dell’u-more e al miglioramento del ciclo del sonno, mentre gli interventi sugli stili di vita e di tipo educativo mirano a permettere a paziente e fa-miliari il riconoscimento precoce dei segnali di una prossima ricaduta maniacale o depressiva - conclude Mencacci -. L’obiettivo è stabilizzare il tono dell’umore, fondamentale per la ripresa di un’esistenza progettuale. Il trattamento d’e-lezione è ancora basato sui sali di litio, anche se da alcuni anni sono disponibili antipsicotici di seconda generazione, più efficaci del litio in

certe forme. Alcune di queste molecole han-no sicurezza e tollerabilità superiore. Quando è presente il rischio di suicidio, il litio resta però l’unica molecola di dimostrata efficacia».

La lunga vita del litioUtilizzato già dalla metà del XIX secolo come sonnifero e anticonvulsivante e per gli stati di nervosismo generale, dal 1871 il litio, grazie a William Hammond, professore di Diseases of the Mind and Nervous System al Bellevue Ho-spital Medical College di New York, iniziò a essere impiegato per il trattamento degli sta-ti maniacali. Più o meno nello stesso periodo lo psichiatra danese Frederik Lange provò a usarlo per la profilassi della depressione, ma poi nella prima metà del XX secolo il litio fu dimenticato. L’uso recente per il trattamento della mania risale al 1949, dunque sono ormai quasi settant’anni che è sulla breccia. La sua approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) americana è del 1970, e da allora è stato prescritto a migliaia e migliaia di persone affette da disturbo bipolare. Tuttavia negli ultimi anni sono diventati disponibili altri trattamenti farmacologici, come il valproato e la carbamazepina.

Fonte: Corriere della Sera / Danilo di Diodoro

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L’ANGOLO DELLA MEDICINA

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L’ANGOLO DEGLI

AFORISMIAscoltando le donne in confessione, i preti sono contenti di non essersi sposati Armand Salacrou

Non c’è modestia senza vanità Roberto Gervaso

È meglio diventare imbecilli che vivere una vita di pauraFreeman Dyson

Gli specchi farebbero bene a riflettereprima di rimandarci la nostra immagine Jean Cocteau

Tenerezza e gentilezza non sono segno di disperazione e debolezza, ma esprimono forza e determinazione. Khalil Gibran

Gli uomini invecchiano ma non migliorano (Oscar Wilde)

La diplomazia è l’arte di permetterea qualcun altro di fare a modo tuoDavid Frost

Un uomo che teme di soffrire soffre già quello che teme. Michel de Montaigne

L’essere umano più felice è quello nel cui animo non vi è alcuna traccia di cattiveriaPlatone

La felicità non è qualcosa di già pronto, ma proviene dalle tue azioniDalai Lama

La sola garanzia di una duratura, spensierata felicità, è quella di avere un buon carattereSeneca

l’aforisma del mese

Felicità non è avere ciò che si desidera,

ma desiderare ciò chesi ha.

Oscar Wilde

37NOVEMBRE | 2018

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CRONACA DI VITA QUOTIDIANA ALL’ASILO DEI NONNI

COMPLEANNIBRUNA 91 anni

38 LA VOCE DEI NONNI | 11

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CRONACA DI VITA QUOTIDIANA ALL’ASILO DEI NONNI

JOLANDA 96 anni

CONCETTA 94 anni

39NOVEMBRE | 2018

GALLERIA FOTOGRAFICA

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L’ANGOLO DELL’

UMORISMO

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41NOVEMBRE | 2018

L’ANGOLO DELL’UMORISMO

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L’ANGOLO DELLE

TESTIMONIANZERiceviamo e pubblichiamo con gioia una lettera di ringraziamento di una carissima ospite della nostra Struttura, Maria Luisa M., che ha soggiornato da noi per un breve periodo di convalescenza. Grazie, Maria Luisa, da tutti noi per le tue belle parole. Ricorda che noi tutti e i nonni aspettiamo di rivederti presto!

42 LA VOCE DEI NONNI | 11

Mercatissimo di Beneficenza

l’Associazione di Volontariato GRUPPO DI PREGHIERA DI MONTEPAOLO – FORLÌ

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si terrà nei giorni 8 e 9 DICEMBRE 2018 dalle 8,00 alle 18,30 e

TUTTI I MERCOLEDÌ E GIOVEDÌ dalle 14.00 alle 17.00

Per vendita o ritiro materiali nei locali di V.LE COPERNICO, 85 - AREA TRASPORTUALE - BOX 23 - FORLÌ

l’Associazione di Volontariato GRUPPO DI PREGHIERA DI MONTEPAOLO – FORLÌ

rende noto che il prossimo

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L’ANGOLO DELLE

Mercatissimo di Beneficenza

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mobili - libri - riviste - dischi - giocattolibiancheria - abiti - oggettistica varia - lampadari

tavoli e sedie in legno da giardino - pensili per cucina

vasto assortimento indumenti “vintage”

• ARTIGIANALE E NON •

VASTO ASSORTIMENTO INDUMENTI INVERNALI

si terrà nei giorni 8 e 9 DICEMBRE 2018 dalle 8,00 alle 18,30 e

TUTTI I MERCOLEDÌ E GIOVEDÌ dalle 14.00 alle 17.00

Per vendita o ritiro materiali nei locali di V.LE COPERNICO, 85 - AREA TRASPORTUALE - BOX 23 - FORLÌ

l’Associazione di Volontariato GRUPPO DI PREGHIERA DI MONTEPAOLO – FORLÌ

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Sull’Argine destro del fiume Montone (linea di confine tra la provincia di Ravenna e quella di Forlì), nel cuore rurale della Romagna, da oltre 200 anni sorge l’antica Trattoria da Luciano.

Un tempo osteria di passaggio e luogo di ristoro frequentata da viandanti e birocciai, grazie alla sapiente conduzione famigliare di padre Luciano, madre Mina e le figlie Nadia e Sandra, la trattoria da Luciano è oggi punto di riferimento per tutti gli amanti della miglior cucina della tradizione romagnola.

Unica quanto rara, custode di sapori autentici ormai dimenticati e di una saggia esperienza, la cucina propone i piatti della tradizione con un pizzico di genuina creatività: la sfoglia per la preparazione della pasta si tira ancora a mano e i sughi si preparano con ore ed ore di paziente lavorazione, con materie prime freschissime, pro-venienti esclusivamente dal bacino locale.

La verde campagna antistante, l’orto con le verdure, il pollaio all’aperto, le caprette, le oche e i pulcini sono la cornice di questo angolo di Romagna dove si respira quella famigliarità che fa sentire ogni ospite come a casa propria.

Così, come per incanto, ad ogni piatto ritroverai gli antichi sapori di una volta. Quelli della tua infanzia, quando la nonna in cucina tirava la sfoglia con uova di giornata.

Scritto da MARIO ...un Cliente della Trattoria da Luciano

Trattoria da“Luciano”

Via Fiume Montone, 1 - Ponte Vico - 48026 Russi (RA)Tel./Fax 0544 58 13 14 - Cell. trattoria 340 72 42 771 (dalle 9,00 alle 20,00)

www.trattoriadaluciano.it

• uscita da Ravenna seguire indicazioni Russ-Prada

• da Faenza per Prada (via Provinciale)

• da Forlì per Villafranca (via Lughese) prodeguire fino alla Trattoria

N.B. per i satellitari NON seguire via Montone 1

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Vini DOC, DOCG, classici della RomagnaChardonnay, Sauvignon bianco e Cabernet

Az. Agr. Colombina di Garofoli LucianoVia Trò Meldola, 1541 • 47032 Loc. Fratta Terme • Bertinoro (FC)

tel./fax +39 0543 460658 • mail: [email protected] • www.colombina.it

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LA POSTA DEL DIRETTORE

Carissimi lettrici e lettori,

Come passa il tempo ! La grande festività na-talizia bussa alle porte e, come ogni anno, i nonni tutti profondono il massimo impegno nella preparazione della coreografia del Natale seguendo con amorevole cura i suggerimenti della bravissima Mariasilvia e sono orgogliosi dei loro manufatti!

A disposizione di chi volesse portare a casa al-cuni dei “gadgets” preparati dai nostri amore-voli nonni, sarà allestito un “angolo del Merca-tino di Natale”. L’offerta è libera.

Quest’anno il tradizionale Pranzo di Natale avrà luogo sabato 15 dicembre p.v. e, come ormai prassi consolidata, il nostro “Asilo dei Nonni“ si trasformerà, per un giorno, in una sorta di... “Restaurant Chez Maxim” grazie alla coreogra-fia curata dalla impareggiabile coordinatrice Mariasilvia e alla partecipazione dell’eccezio-

nale “Trio Ted Iftode” che allieterà i commen-sali con i virtuosismi dei suoi violinisti.

I particolari inerenti il menu ed altre informa-zioni saranno presto esposti in bacheca e pub-blicati nel prossimo numero della nostra rivista.

Ringrazio i nostri affettuosi lettori per i com-menti positivi pervenutici in merito alla nuova veste tipografica della nostra rivista “La Voce dei Nonni“ e tengo a ribadire il concetto di “ot-timo“ che per noi all’ “Asilo dei Nonni” non è mai un traguardo ma, in quanto sempre perfet-tibile, rappresenta una base di partenza per far sempre meglio e di più.

Vi aspetto numerosi, come sempre, al “Pranzo di Natale.

Un affettuoso saluto,Giuseppe Russo

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Centro Diurno Assistenziale e Comunità Alloggio

ASILO DEI NONNIS. GIOVANNI PAOLO IIVia Ravegnana, 737 - COCCOLIA (RA)Tel. 0544 569177 - Fax 0544 239947

e-mail: [email protected] site: www.asilodeinonni.eu