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dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale ANNO XXXV - N. 4 APRILE 1987 MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI Per una Europa a misura della gente appello dei comuni, delle Regioni, degli Enti intermedi Noi non vogliamo - o non vogliamo soltanto - un mercato unico europeo. Noi vogliamo realizzare uno sviluppo uma- no e armonioso della società europea, basato essenzialmente sulla ricerca della piena occupazione, l'eliminazione progres- siva degli squilibri esistenti fra le sue regioni, la protezione dell'ambiente e il miglioramento della qualità di vita, il progres- so scientifico e culturale dei suoi popoli. Noi vogliamo assicurare il progresso economico nel quadro di un mercato interno libero ma anche nel contesto di una moneta comune che rappresenti la convergenza delle economie, e vogliamo favorire l'equilibrio economico internazionale, nella piena consapevolezza - in un mondo ove si affiancano aree di grande agiatez- za a sacche di tragica miseria, di fame e di morte - dell'interdipendenza delle diverse economie continentali. Noi vogliamo promuovere attivamente nelle relazioni internazionali la sicurezza, la distensione, il disarmo e la cooperazione, in una pa- rola la pace, e la libera circolazione delle persone e delle idee. Noi vogliamo contribuire allo sviluppo equilibrato e giusto di tutti i popoli del mondo per permettere loro di uscire una volta per tutte dal sottosviluppo e di esercitare pienamente i propri diritti politici, economici e sociali. Proporsi questi obiettivi significa battersi per il passaggio dalla Comunità Eco- nomica Europea al19Unionepolitica. Dopo trenta anni dal varo dei Trattati di Roma, ai quali sarebbe ingiusto non riconoscere i vantaggi di pace interna e di benessere che hanno fin qui procurato all'Europa occidentale, constatiamo che essi non si mostrano più all'altezza dei problemi, che fronteggiano l'Europa, problemi interni e internazionali. Cernobyl, l'inquinamento del Reno, i negoziati per la pace sulla testa degli europei, la gara affannosa per le tecnologie avanzate, le guerre locali alle nostre porte richiedo- no ben altra coesione fra gli europei. Viceversa minoranze nazionaliste, interessi settoriali e pregiudizi locali, arroganza economica, amministrazione arretrata e di corte vedute condizionano i nostri Governi, che col loro immobilismo nella co- struzione europea rischiano di farci perdere anche i vantaggi acquisiti per le realizzazioni comunitarie. I negoziati intergovernativi non hanno saputo andare oltre l'Atto Unico di Lussemburgo; i Consigli dei Ministri comuni- tari e i Consigli europei si mostrano sempre più incapaci di decisioni concrete. Il Parlamento Europeo ha dimostrato invece in maniera solare, il 14 febbraio 1984, di saper attuare costruttivi e realistici accordi, approvando a larga maggioranza il progetto di Unione politica, che, dopo aver trovato larghi consensi nel Comitato Dooge, è stato poi tranquillamente calpestato da una Conferenza intergovernativa successiva. A questo punto si debbono interrogare gli stessi europei. Il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa promuove una grande riflessione delle nostre popolazioni, alle quali propone poi di partecipare direttamente al processo di unificazione. Le città, le metropoli e i loro quartieri, le decine di migliaia di Comuni medi e piccoli, con l'appoggio delle Regioni e dei Poteri locali intermedi, sono invitati a compilare dei quaderni europei di protesta e di proposta. Noi chiediamo ai nostri consigli comunali e ai nostri cittadini, attraverso le amministrazioni comunali, di esprimere i loro bisogni, le loro critiche e le loro speranze e di precisare cosa si attendono dall'unione europea nei campi del lavoro, dell'avvenire dei giovani, della parità della donna, della tutela dell'ambiente, della ricerca scientifica e tecnologica, della lotta contro i pregiudizi e il razzismo, della lotta contro la fame del mondo, contro le guerre locali, contro le cause del terrorismo; cosa si attendono sul terreno della costruzione effettiva della pace, con pari capacità e dignità delle Superpotenze e nel quadro di un rilancio delle Nazioni Unite e della cooperazione multina- zionale. Questa aperta confessione dei popoli europei e questa grande professione di fede, quando dall'Europa puramente mer- cantile si deve ridare al processo di unificazione i suoi prioritari scopi morali e democratici, è affidata in larga parte alle Sezioni nazionali del CCRE; ma noi chiamiamo al nostro fianco tutti i movimenti europeisti e federalisti, i movimenti democratici che organizzano le forze vive della società europea, le diverse Chiese e tutti i religiosi, gli scienziati, le Univer- sità, la scuola ai diversi livelli, i sindacati, i tecnici, gli imprenditori, gli artigiani, gli agricoltori, i cittadini che comunque vogliono uscire dalla difesa settoriale dei loro interessi e siano disposti a lavorare per l'interesse generale europeo. La campagna dei quaderni si dovrà concludere prima delle prossime elezioni europee del 1989 - i gravi problemi della nostra società non possono aspettare - con una grande Conven:cione del popolo europeo. In quell'occasione potremo ascoltare la parola diretta dell'Europa dei cittadini e dei loro eletti locali. I1 nostro convincimento è che la Convenzione farà in modo che le prossime elezioni europee diano un mandato morale e politico al Parlamento Europeo di riproporre un progetto di Unione europea ai Paesi della Comunità, non perché esso sia nuovamente annullato da una conferenza diplomatica, ma perché al cospetto della pubblica opinione sia sottoposto

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dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale

ANNO XXXV - N. 4 APRILE 1987

MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI

Per una Europa a misura della gente appello dei comuni, delle Regioni, degli Enti intermedi

Noi non vogliamo - o non vogliamo soltanto - un mercato unico europeo. Noi vogliamo realizzare uno sviluppo uma- no e armonioso della società europea, basato essenzialmente sulla ricerca della piena occupazione, l'eliminazione progres- siva degli squilibri esistenti fra le sue regioni, la protezione dell'ambiente e il miglioramento della qualità di vita, il progres- so scientifico e culturale dei suoi popoli. Noi vogliamo assicurare il progresso economico nel quadro di un mercato interno libero ma anche nel contesto di una moneta comune che rappresenti la convergenza delle economie, e vogliamo favorire l'equilibrio economico internazionale, nella piena consapevolezza - in un mondo ove si affiancano aree di grande agiatez- za a sacche di tragica miseria, di fame e di morte - dell'interdipendenza delle diverse economie continentali. Noi vogliamo promuovere attivamente nelle relazioni internazionali la sicurezza, la distensione, il disarmo e la cooperazione, in una pa- rola la pace, e la libera circolazione delle persone e delle idee. Noi vogliamo contribuire allo sviluppo equilibrato e giusto di tutti i popoli del mondo per permettere loro di uscire una volta per tutte dal sottosviluppo e di esercitare pienamente i propri diritti politici, economici e sociali. Proporsi questi obiettivi significa battersi per il passaggio dalla Comunità Eco- nomica Europea al19Unione politica.

Dopo trenta anni dal varo dei Trattati di Roma, ai quali sarebbe ingiusto non riconoscere i vantaggi di pace interna e di benessere che hanno fin qui procurato all'Europa occidentale, constatiamo che essi non si mostrano più all'altezza dei problemi, che fronteggiano l'Europa, problemi interni e internazionali. Cernobyl, l'inquinamento del Reno, i negoziati per la pace sulla testa degli europei, la gara affannosa per le tecnologie avanzate, le guerre locali alle nostre porte richiedo- no ben altra coesione fra gli europei. Viceversa minoranze nazionaliste, interessi settoriali e pregiudizi locali, arroganza economica, amministrazione arretrata e di corte vedute condizionano i nostri Governi, che col loro immobilismo nella co- struzione europea rischiano di farci perdere anche i vantaggi acquisiti per le realizzazioni comunitarie.

I negoziati intergovernativi non hanno saputo andare oltre l'Atto Unico di Lussemburgo; i Consigli dei Ministri comuni- tari e i Consigli europei si mostrano sempre più incapaci di decisioni concrete. Il Parlamento Europeo ha dimostrato invece in maniera solare, il 14 febbraio 1984, di saper attuare costruttivi e realistici accordi, approvando a larga maggioranza il progetto di Unione politica, che, dopo aver trovato larghi consensi nel Comitato Dooge, è stato poi tranquillamente calpestato da una Conferenza intergovernativa successiva. A questo punto si debbono interrogare gli stessi europei.

Il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa promuove una grande riflessione delle nostre popolazioni, alle quali propone poi di partecipare direttamente al processo di unificazione. Le città, le metropoli e i loro quartieri, le decine di migliaia di Comuni medi e piccoli, con l'appoggio delle Regioni e dei Poteri locali intermedi, sono invitati a compilare dei quaderni europei di protesta e di proposta. Noi chiediamo ai nostri consigli comunali e ai nostri cittadini, attraverso le amministrazioni comunali, di esprimere i loro bisogni, le loro critiche e le loro speranze e di precisare cosa si attendono dall'unione europea nei campi del lavoro, dell'avvenire dei giovani, della parità della donna, della tutela dell'ambiente, della ricerca scientifica e tecnologica, della lotta contro i pregiudizi e il razzismo, della lotta contro la fame del mondo, contro le guerre locali, contro le cause del terrorismo; cosa si attendono sul terreno della costruzione effettiva della pace, con pari capacità e dignità delle Superpotenze e nel quadro di un rilancio delle Nazioni Unite e della cooperazione multina- zionale.

Questa aperta confessione dei popoli europei e questa grande professione di fede, quando dall'Europa puramente mer- cantile si deve ridare al processo di unificazione i suoi prioritari scopi morali e democratici, è affidata in larga parte alle Sezioni nazionali del CCRE; ma noi chiamiamo al nostro fianco tutti i movimenti europeisti e federalisti, i movimenti democratici che organizzano le forze vive della società europea, le diverse Chiese e tutti i religiosi, gli scienziati, le Univer- sità, la scuola ai diversi livelli, i sindacati, i tecnici, gli imprenditori, gli artigiani, gli agricoltori, i cittadini che comunque vogliono uscire dalla difesa settoriale dei loro interessi e siano disposti a lavorare per l'interesse generale europeo. La campagna dei quaderni si dovrà concludere prima delle prossime elezioni europee del 1989 - i gravi problemi della nostra società non possono aspettare - con una grande Conven:cione del popolo europeo. In quell'occasione potremo ascoltare la parola diretta dell'Europa dei cittadini e dei loro eletti locali.

I1 nostro convincimento è che la Convenzione farà in modo che le prossime elezioni europee diano un mandato morale e politico al Parlamento Europeo di riproporre un progetto di Unione europea ai Paesi della Comunità, non perché esso sia nuovamente annullato da una conferenza diplomatica, ma perché al cospetto della pubblica opinione sia sottoposto

In ricordo di Rosario Romeo

Un intellettuale nella trincea della ragion pratica

Non avevo dimestichezza con Romeo. Lo conobbi quando Vittorio De Caprariis lo por- tò con sé a piazza Trevi, a una delle riunioni notturne, che abbiamo tenuto - in compagnia di qualche goccio di whisky - agli inizi degli anni sessanta presso la redazione di «Comuni d'Europa», su «la guerra dell'età nucleare e la difesa dell'Europa». Da diversi anni mi occu- pavo dell'argomento - almeno dal 1956, quando agli Stati generali di Francoforte at- taccai Chaban Delmas, che frustrava sul na- scere 1'Euratom e preparava la force de frappe nazionale -: più tardi «Comuni d'Europa» aveva acquisito per l'Italia la pubblicazione di un saggio, ancora «europeo», del generale Gal- lois in fase pre-gollista (prima che entrasse nel consiplio d'amministrazione della fabbrica dei

C.

Mirages). Frattanto mi ero avveduto del matu- rarsi, in materia, di Henry Kissinger, nella sua fase post-harvardiana (Henry era il segretario del Seminario internazionale, d i cui ero stato ospite a Cambridge Mass nel 1953): nel 1961 pubblicammo il suo «L'ora della scelta» nelle edizioni di Comunità, malgrado il mio radica- le dissenso dal gollismo avanti lettera di que- sto studioso di Metternich e di Castlereagh. Mentre si svolgevano i dibattiti a piazza Tre- vi, usciva, sempre per le edizioni di Comuni- tà, quella preziosa antologia ragionata, che fu «La strategia nucleare)) del mio amico Fausto Bacchetti - per un anno, dopo che l'avevo convinto a comporla, ero andato più volte a Parigi per discuterne con Fausto lo sviluppo -. Con De Caprariis e Romeo furono con noi a piazza Trevi Roberto Ducci e l'ambasciato- re Gaja (in arte Roberto Guidi), Achille Al- bonetti, Leopoldo Elia, Ettore Massacesi, l'im- mancabile Chiti-Batelli, a turno alcuni ufficiali dello stato maggiore ed infine Altiero Spinel- li: con Altiero andavo concretando l'appoggio della Fondazione Adriano Olivetti, che pre- siedevo, alla costituzione dell'Istituto per gli Affari internazionali (lo IAI), che appunto, sin dagli inizi, affrontò i problemi del rapporto tra armi nucleari e politica estera.

Queste cose lontane avevamo rievocato re- centemente con Romeo, quando ci siamo ri- visti in riunioni del Movimento Europeo e nel- la sede stessa dell'AICCRE, a piazza Trevi. Ma a me interessava anche sottolineare - ora che egli era il leader dell'Intergruppo federali- sta del Parlamento Europeo - gli interessi eu- ropei deiia sua storiografia: richiamai, a lui sto- rico principe di Cavour, quel meraviglioso li- bro che è «La giovinezza del Conte di Cavour» di Francesco Ruffini (che io avevo letto in In-

dia intorno al 1944, capitato lì chi sa come: poi introvabile, è stato riprodotto in edizione anastatica a cura del comune di Ivrea per le celebrazioni centenarie dell'unità d'Italia) e convenimmo, rievocando il carteggio del Con- te con le cuginette svizzere De Sellon, sulla formazione europea del <(libera Chiesa in libero Stato». Del resto, aggiungo qui, la scelta di Ca- vour da parte di Romeo è stata la scelta - per- donate il paradosso - di un personaggio pie- montese ed europeo prima che italiano: e con Romeo accennammo, per fare un esempio, al- la familiarità di Cavour con i discorsi parla- mentari dei liberali inglesi e in generale ai suoi interessi così largamente transalpini - che non hanno contrastato con la successiva scoperta del Mezzogiorno -. -

Come non pochi intellettuali del Mezzogior- no Romeo ha sempre guardato all'Europa, sen- za cadute in provincialismi nazionali: potrem- mo riandare a questo proposito a quel testo giovanile - che gli valse i sospetti di cripto- marxismo da parte di alcuni zelanti dello sto- ricismo crociano - col quale polemizzò con la tesi gramsciana del Risorgimento italiano (semplifico) come mancata rivoluzione agraria. L'Italia industriale - quale ne sia stato il prez- zo - tra il Mediterraneo e l'Europa scelse l'Europa.

Non ho avuto modo e tempo di discutere con Romeo la tesi del mio lontano maestro li- ceale (1933-'35), Aldo Ferrari, sulla «prepara- zione intellettuale del Risorgimento italiano» che è tutta settecentesca ed europea: anzi, che sta a indicare il rientro tlell'Italia in Europa - dopo lunga separazione -, di cui il Risor- gimento, quello autentico, non sarebbe che un coroiiario. Qui il discorso si sarebbe fatto com- plesso, perché mi hanno spesso lasciato per- plesso talune posizioni di Gobetti, alle quali ho contrapposto fin dagli anni della Scuola Normale (1936-'37) quelle di Calosso («L'anar- chia di Vittorio Alfieri»). Peccato: l'impegno per l'Unione europea e per il mandato costi- tuente al Parlamento Europeo ci ha portato ad altri discorsi.

Ecco: questo «costo» dell'impegno europeo e federalista mi pare vada guardato in tutto il suo aspetto di sofferenza parlando di Romeo, grande intellettuale che è morto nella trincea della ragion pratica. Non so perché scrivendo un ricordo di Romeo mi viene in mente un al- tro «crociano critico», che aveva combattuto, con Scipio Slataper e con gli Stuparich, nella prima guerra mondiale, Carlo Antoni; e con lui Adolfo Omodeo, che - anziano e in non

splendida salute - si arruolò neglj anni qua- ranta nell'ecercito di liberazione. E il diffici- le, talvolta angoscioso rapporto tra pensiero ed azione (e Croce si dispiaceva che Omodeo avesse aderito addirittura al Partito d'Azione): Romeo ha certamente vissuto con coraggio il relativo dilemma - pensiero o azione - e tan- to più ne ha risalto il totale impegno pratico federalista, che era il suo quando è morto.

U.S.

Appello senz'altro ai Parlamenti nazionali e agli istitu- ti, che in ciascun Paese sono preposti alla ra- tifica dei Trattati. Coloro che vorranno potran- no gettar subito le fondamenta dell'unione eu- ropea: la porta rimarrà aperta a quei Paesi, che ancora non si rendono conto che solo dall'U- nione avremo la soluzione anche dei nostri contingenti o storici problemi interni.

Frattanto il CCRE si rivolge ai Comuni ge- melli, perché offrano l'esempio e diano jnizio alla grande campagna europea: da loro ci at- tendiamo quaderni ricchi di esperienza e re- datti insieme a livello trasnazionale. Noi pro- poniamo dunque per due anni di contribuire alla costruzione dell'Europa unita, con gran- de impegno, giorno per giorno. Non è un'u- topia, è un'impresa a portata di mano.

(progetto di Manifesto proposto dallJAICCRE a Bordeaux come orientamento e guida della

campagna di quaderni europei di protesta e rli proposta, in vista delle prossime elezioni

europee e di un ragionato appoggio popolare al mandato costituente, da conferire al

Parlamento Europeo).

som ma rio

1 - Il manifesto proposto dall'AICCRE a Bordeaux 3 - Il congresso dei comuni gemellati a Bordeaux 9 - Il Movimento Europeo stenta a dar vita al fronte democratico e federalista

11 - L'idea d'Europa nel movimento di liberazione 12 - Cronaca delle istituzioni europee 15 - I libri

COMUNI D'EUROPA

A Bordeaux il quinto congresso dei comuni gemellati

Mille eletti locali per l'Unione europea e per un mandato costituente

al Parlamento Europeo di Gianfranco Martini

Le città, i Comuni, gli altri enti locali sono chiamati a partecipare al processo di crescente interdipendenza tra i popoli e alla realizzazione di nuove forme di organizzazione politica della convivenza umana

Nella vita di un'Associazione politica qua- le è I'AICCRE, le numerose iniziative che ven- gono promosse e che pur vanno valutate per le loro specifiche caratteristiche, acquistano un maggior significato se riferite anche ad altre attività precedenti o successive. Infatti la ca- pacità di un'Associazione di elaborare una stra- tegia e di rimanervi fedele presuppone che i convegni, le conferenze, i seminari, l'iniziati- va in genere che essa promuove non costitui- scano altrettanti spezzoni indipendenti ma si ricolleghino con una prospettiva più generale, ad un piano coerente.

I1 V Congresso europeo dei gemellaggi che si è svolto a Bordeaux nei giorni 20 e 21 mar- zo scorso si presta senza difficoltà ad una ve- rifica di questo genere: esso si colloca ad un mese di distanza dalla precedente Conferen- za europea di Comuni, Province e Regioni pro- mossa del CCRE a Parigi alla fine di febbraio e, a sua volta, precede di alcuni giorni le so- lenni celebrazioni del trentennio della firma dei Trattati comunitari ai quali anche il CCRE ha dato il suo apporto.

Queste due scadenze a cavallo del Congresso di Bordeaux ci sembrano in un certo senso em- blematiche dei due percorsi convergenti sui quali si muove da sempre la nostra Associa- zione. Da un lato i problemi delle autonomie territoriali, del loro rafforzamento, in prospet- tiva europea, e non solo nazionale, dall'arti- colazione del governo del territorio in una plu- ralità di livelli che devono agire in modo uni- tario, come «sistema delle autonomie» al fine di rendere più efficace e penetrante il loro ruolo.

L'altra linea di sviluppo è costituita dal più diretto impegno a far progredire la costruzio- ne europea verso una vera e propria Unione, superando le attuali strlltture comunitarie che, pur con i loro innegabili risultati appaiono, do- po trenta anni, del tutto inidonee a far fronte ai problemi di questo scorcio di secolo e a ga- rantire agli europei un peso politico adeguato sul piano internazionale.

I1 Congresso di Bordeaux mutua dai due versanti sopra ricordati - le autonomie col-

locate in campo europeo e l'urgenza di una Unione politica dell'Europa - il proprio au- tentico significato e la propria importanza. I1 Congresso di Bordeaux ha alcuni precedenti: dal congresso sui gemellaggi che si tenne a Strasburgo nell'anno 1970, a quello di Magon- za (1978), di Brighton (1983). Tappe diverse di un cammino nori facile ed influenzato ov- viamente dalle vicende della Comunità euro- pea, dal clima politico in cui essa operava, e dal progressivo suo allargamento ad altri Sta- ti destinato ad incidere proprio sulle scelte dei «partners» dei gemellaggi e sulla loro moltipli- cazione.

I1 tema generale clei lavori di Bordeaux, sin- tetizzato nella formula «I gemellaggi per 1'U- nione europea e per una società pacifica soli- dale», sottolineava di per sé l'obiettivo prio- ritario, politico ed istituzionale dell'unione eu- ropea e, al tempo stesso, la concezione dei ge- mellaggi come strumento al servizio di una convivenza umana che privilegia i valori - in- dissolubili - della pace e della solidarietà. Non quindi un Congresso ispirato ad esigen- ze puramente organizzative, anche se queste sono destinate a pesare all'atto della promo- zione dei gemellaggi, sulla loro riuscita e sulla loro capacità di radicarsi efficacemente nelle varie strutture della società.

Bordeaux è stato invece un Congresso poli- tico destinato ad aprirsi prioritariamente ai grandi temi dell'Europa dei cittadini nell'am- bito della Comunità, della cooperazione tra Città ed Enti territoriali di Paesi diversi (spe- cie con l'Est europeo e con i Paesi del Terzo Mondo firmatari della Convenzione di Lomé) attento alle esigenze che oggi emergono con particolare insistenza dalla società quali, ad

esempio, una migliore qualità della vita e la creazione di un ambiente naturale ed umano più vivibile.

Non intendiamo certamente ripercorrere lo svolgimento dei lavori articolatisi in due Ses- sioni plenarie di apertura e di conclusione ed in cinque Commissioni. Su queste ultime e sui documenti finali da esse predisposte si potran- no leggere alcune puntuali considerazioni nel- le pagine che seguono.

Ci sembra che le due sedute plenarie si pre- stino invece ad una riflessione di ordine più politico. Vi hanno preso la parola complessi- vamente varie personalità investite di cariche istituzionali a livello europeo e nazionale e nel CCRE: il Presidente dell'assemblea naziona- le francese Jacques Chaban-Delmas, Sindaco di Bordeaux, Presidente della Regione Aqui- tania e Presidente della Sezione francese del CCRE; il Presidente europeo del CCRE, Jo- seph Hofmann; due dei Vicepresidenti del Par- lamento Europeo, Musso e Pery; il Ministro Galland in rappresentanza del governo fran- cese; il collaboratore del Commissario delle Comunità europee Carlo Ripa di Meana e Schampers delegato del Presidente della CPLRE.

La relazione generale introduttiva di Tho- mas Philippovich, Segretario generale del CCRE è stata svolta pure nella seduta inau- gurale.

Qual'è l'impressione generale che si può trarre dall'insieme dei lavori e dei documenti approvati?

Innanzitutto una chiara smentita a valuta- zioni preconcette e superficiali dei gemellaggi che di tanto in tanto ancora si manifestano, specie sulla. stampa di opinione che si diletta

COMUNI D'EUROPA

ad evidenziare gli aspetti folcloristici e più pit- toreschi di questi incontri tra Comuni e tra i loro cittadini, ignorando i contenuti più co- struttivi di questa solidarietà permanente tra popolazioni e lo spirito che li anima secondo la linea sempre seguita dal Consiglio dei Co- muni e delle Regioni d'Europa. In secondo luo- go, a Bordeaux, si è avuto un rinnovato im- pulso a considerare i gemellaggi vere e proprie iniziative politiche senza per questo ignorare un forte richiamo alla concretezza che ne fac- cia uno strumento di collaborazione tra Comu- nità territoriali e di verifica della loro realtà (dal punto di vista della storia, della cultura, dellespecifiche esperienze) concretezzache deve però alimentarsi della sensibilità di chi si ren- de conto ogni giorno di più che le Città, i Co- muni e gli altri Enti non sono microcosmi avul- si da un quadro più generale o componenti solo di una realtà nazionale ma sono chiamati or- mai a partecipare al grande processo di crescen-

'

te interdipendenza tra i popoli; questa recla- ma a sua volta nuove forme di organizzazione politica della convivenza umana, in Europa co- me prima fase, nel mondo, come prospettiva conseguente. Anche per questo, a Bordeaux i mille partecipanti hanno molto insistito sul- l'indispensabile azione di informazione che de- ve precedere ed accompagnare i gemellaggi per farne realmente un'occasione di confronto e di convergenza. Nel Congresso sono state po- ste anche le condizioni per un ulteriore svilup- po e moltiplicazione dei gemellaggi: i nume- rosi incontri verificatisi a margine dei lavori, gli «stands» promossi dalle singole Sezioni na- zionali del CCRE hanno posto le premesse per una crescita quantitativa e qualitativa dei ge- mellaggi; di essa si vanno constatando, anche in Italia, già ad un mese di distanza dalla chiu- sura del Congresso, alcuni effetti positivi.

Particolare interesse ha suscitato l'appello - che è stato recepito nella Dichiarazione po- litica generale approvata alla fine dei lavori - a promuovere la redazione dei «quaderni di protesta e di proposta» (cahiers de doléances) utilizzando in particolare i collegamenti e la collaborazione esistente tra enti gemellati. In sostanza il Consiglio dei Comuni e delle Re- gioni d'Europa non intende mobilitare gli eu- ropei in nome di ideali vaghi: esso chiede ai Consigli elettivi e ai cittadini di esprimere le loro esigenze, le loro critiche, le loro speranze e le loro attese nei confronti dell'unione eu- ropea sui gandi temi dell'occupazione, dell'av- venire dei giovani, della parità della donna, della tutela dell'ambiente, della ricerca scien- tifica e tecnologica, soprattutto della pace con- tro i pregiudizi, il razzismo, il sottosviluppo, il terrorismo. Temi questi che non passano so- pra o di fianco all'Europa: essi si inseriscono naturalmente nel processo di unificazione po- litica vista appunto come condizione per po- ter più efficacemente rispondere a queste gran- di sfide. Del resto - lo si è constatato a Bor- deaux soprattuto nella Commissione n.2, cer- tamente la più politicizzata, ma anche nelle al- tre sia pure in forma diversa - non ha signi- ficato voler costruire un'«Europa dei cittadi- ni» se poi non si vuole che gli europei, pro- prio perché cittadini di una nuova grande co- munità sovranazionale, possano realmente e pienamente esercitare i loro diritti; questi non sono mere etichette astratte ma comportano la capacità giuridica e politica di influenzare

il corso del loro destino, di animare le istitu- zioni destinate a rappresentarli, di esprimere le loro esigenze nella certezza che il Parlamen- to che essi eleggono non sarà un elemento se- condario dell'architettura costituzionale del- l'Unione europea ma la radice da cui questa architettura prenderà vita seguendo un proces- SO costituente.

Proprio per questo ci saremmo aspettato da- gli interventi di alcune personalità politiche in- vestite di alta responsabilità in istituzioni eu- ropee e nazionali presenti a Bordeaux, un im- pegno e un linguaggio europeo meno vago, e una più rigorosa convinzioile nel sostenere I'ur- genza di passi avanti decisivi verso l'Unione europea. Non è più tempo di appelli generici e di affermazioni astratte di cui è lastricata la via verso l'Europa unita. ],o hanno sottolinea- to in alcuni interventi particolarmente i dele- gati italiani rilevando che l'appoggio che il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Euro- pa ha sempre dato e darà al Parlamento Euro- peo in questa lunga vigilia della terza elezione

che avrà luogo nel 1989, deve trovare a sua volta nel Parlamento e nei suoi membri com- portamenti coerenti, dentro e fuori detta isti- tuzione, per farne il punto di forza del rilan- cio politico dell'unione. I cittadini sono più europeisti dei loro governi: lo ha implicitamen- te ricordato il rappresentante del Commissa- rio della CEE Ripa di Meana, quando ha ri- chiamato i risultati di sondaggi pubblicati nel marzo 1987. Essi quindi costituiscono un pun- to efficace di leva per ii CCRE; i gemellaggi possono ulteriormente saldare e precisare al di là delle frontiere una consapevolezza positiva in tal senso; Comuni, Province e Regioni, a loro volta, costituiscono il quadro istituziona- le in cui questa coscienza europea della Comu- nità può maturare e trasformarsi in impegno con buona pace di coloro che ancora si doman- dano (in nome di una concezione obsoleta e circoscritta) perché mai gli Enti territoriali do- vrebbero perdere il loro tempo coi gemellaggi!

G.M.

Allà iiplenaria>> e nelle commissioni: problemi di indi&o e organi'ativi

I1 Congresso di Bordeaux, nella sua seduta plenaria di apertura, ha ascoltato anzitutto i saluti delle Autorità locali e nazionali (france- si) e quello del Parlamento Europeo, portato da uno dei suoi Vice-Presidenti, il còrso Fran- qois Musso (del Rassemblement pour la Répu- blique), che ha quasi giustificato lo sferzante giudizio dato recentemente da Diego Novelli in una intervista a «EuropaRegioni» («L'80 per cento dei parlamentari di Strasburgo sono i peggiori nemici dell'Europa»). Musso ha com- pletamente ignorato i problemi politici posti, nei suoi momenti felici, dal Parlamento Euro- peo e ha fatto agli europeisti del CCRE l'elo- gio acritico del «topolino» di Lussemburgo. I1 discorso di apertura è stato tenuto da Joseph Hofmann, presidente del CCRE, una «asso- ciazione sovranazionale)~, come egli ha detto, unitaria di tutte le autonomie territoriali (ivi comprese, naturalmente, le Regioni): politica- mente il discorso è stato scarsamente impegna- tivo, in sede storica si è rifatto anche troppo a un hinterland franco-tedesco. Poi Thomas Philippovich, segretario europeo del CCRE ha svolto la sua relazione generale introduttiva. Questa è stata di non eccelso volo e piuttosto di routine: tuttavia non vi sono mancate alcu- ne riserve sull'Atto Unico (il «grande mercato unico», previsto per il 1992, mette il luce gli scarsi progressi del Sistema monetario euro- peo e implicherà una rilevante riforma fisca- le, il che richiama l'esigenza dell'unione poli- tica e la bontà del progetto a suo tempo pre- sentato dal Parlamento Europeo). Philippovich ha inaspettatamente ripreso la proposta, che corre in Francia, di una elezione a suffragio diretto del Presidente del Consiglio Europeo, cioé del Vertice dei Capi di Stato e di Gover- no nazionali (Presidente che per altro non ha poteri), osservando prudentemente che forse questa elezione sarebbe meglio proporla per il Presidente della Commissione Esecutiva (il go- verno europeo), mentre il Consiglio europeo

è piuttosto da prefigurare come un Senato eu- ropeo. I1 relatore ha poi sostenuto una mag- giore politicizzazione dei gemellaggi e l'orga- nizzazione di questa tramite una preliminare «lettera europea», da diffondere fra coloro che parteciperanno poi al gemellaggio: su questa premessa si potranno articolare successivamen- te i «quaderni di protesta e di proposta» (ca- hiers de doléances) e le petizioni firmate dai Consigli comunali dei Comuni gemellati, dai Consigli provinciali e regionali o addirittura dalla massa dei cittadini, e rivolte al Parlamen- to Europeo perché porti avanti l'elaborazione di uno Statuto politico dell'Europa. Philippo- vich ha quindi correttamente affermato che il CCRE deve sostenere al massimo delle sue possibilità il Parlamento Europeo e <<organiz- zare una campagna, in vista delle elezioni eu- ropee del 1989, per l'affidamento allo stesso Parlamento dell'elaborazione del Trattato di Unione europea, a partire dal progetto già adottato».

Al termine della relazione di Philippovich si è aperto un breve dibattito, fermo rimanen- do che i discorsi più analitici erano lasciati ai gruppi di lavoro. Primo a intervenire è stato il presidente dell'AICCRE, Serafini, che ha contestato duramente il Vice-Presidente del Parlamento Europeo, sottolineando che la «prospettiva 1 9 9 2 ~ costituisce un altro gran- de inganno se non si prevedono due fatti poli- tici, accuratamente ignorati nella loro difficoltà decisionale, dal «topolino» di Lussemburgo: una fiscalità comune e una finanza comune (a partire da una evoluzione onesta, secondo quanto previsto a suo tempo, del Sistema Mo- netario Europeo, a cui viceversa neanche ade- riscono ancora ben 4 dei 12 partners). L'Atto Unico, ha esclamato Serafini, è la santificazio- ne dello statu qtlo, che è di crisi netta della Co- munità, mentre gli europei - malgrado i Go- verni - vogliono progredire. Louis Chateaux, Maire-Adjoint di Joué-les-Tours (Francia) ha

COMUNI D'EUROPA

sostenuto che i gemellaggi debbono proporre ai giovani una cultura europea, mentre il Maire-Adjoint di Rambouillet ha informato sulle iniziative possibili attraverso la Maison di Jean Monnet, che si inaugurerà il 13 giu- gno. I1 Segretario generale dell'AICCRE, Mar- tini, ha sostenuto l'esigenza prioritaria di far partecipare attivamente i cittadini europei a un «movimento di base»: l'Europa non sta fer- ma, se non progredisce regredirà, e ormai I'i- dea europea deve incarnarsi in una Costitiizio- ne europea, senza la quale si ha l'Europa del- l'indecisione. Il collega francese di Martini, Lucien Sergent, ha constatato che dal 1979 non c'è stato progresso rilevante in fatto di in- tegrazione monetaria, mentre «l'Europa si fa- rà con la moneta o non si farà»: ma fare 1'Eu- ropa vuol dire salvaguardare la sua indipenden- za sia di fronte alle Superpotenze sia di fron- te alle Nazioni emergenti. Christian Glockner, segretario generale dell'IR1 (cooperazione tran- sfrontaliera), si è detto convinto che solo il Par- lamento Europeo può permettere un vero pro- gresso in sede di integrazione politica: «ma questo Parlamento non è sempre pienamente cosciente del suo dovere». Josette Soulier, Maire-Adjoint di Livry Gargan (Francia), si è lamentata della poca Europa dei programmi scolastici, mentre il tedesco Hoffschulte (Steinfurt) si è posto un problema fondamen- tale: «come facciamo a far prendere in consi- derazione quanto affermiamo in questo con- gresso?» (in fondo si è riallacciato a Martini). Il tedesco Lowenberg, presidente dell'Union intemationale des Maives, ha chiesto un «uffi- cio dei cittadini europei» collegato alla rete dei gemellaggi, mentre il belga Robert Urbain, Sindaco di Boussu, ha sottolineato che tutta la forza - da adoperare? - dell'europeismo è nelle comunità locali e regionali. La tedesca Edith Viehmeister, di Bielefeld (il Comune di uno dei fondatori del CCRE, il borgomastro Ladebeck) ha sottolineato il ruolo delle don- ne: «Noi parliamo dell'Europa dei cittadini, ma c'è anche una Europa delle cittadine!». Pic- cinini, consigliere provinciale di Firenze, ha affermato il suo personale favore a una elezio- ne a suffragio universale di un Presidente del- l'Europa o della Commissione esecutiva della CEE, ma poi ha sottolineato che l'obiettivo prioritario è dotare il Parlamento Europeo di poteri reali: «Alla prossima scadenza elettora- le, nel 1989, occorre conferirgli un mandato costituente».

Ha replicato, seccato, il Vice-Presidente del Parlamento Europeo, tornando a celebrare l'Atto Unico (il «topolino»), ma concedendo al belga Urbain che è necessaria una stretta col- laborazione fra i Poteri locali e le istituzioni europee.

Organizzazione di un gemellaggio e problemi di finanziamento

La relazione di Casagrande, Sindaco di Etréchy e responsabile dei gemellaggi di tutto il CCRE, non ha presentato molto di più di quanto i Soci dell'AICCRE conoscano attra- verso una vasta letteratura ad hoc: sono sem- brate per altro giudiziose le sue osservazioni sulla formazione e i compiti dei Comitati (per- manenti) dei gemellaggi, sui quali - specie in Italia - non si basano tutti i Comuni.

Nel dibattito la tedesca Liselotte Gasiorour-

ski (Norderstedt) ha informato come nel suo Comune ognuno dei 60.000 abitanti pagano allo scopo 50 Pfennig l'anno, mentre Pierre Martin, delegato del CCRE a Lilla, si è riferi- to ad esperienze dell'ufficio franco-tedesco per la gioventù. L'inglese Ronald Nixon (Stowport on Severn) ha espresso il suo disaccordo col relatore circa l'opportunità di non offrire ai giovani viaggi del tutto gratuiti. L'italiano Dra- go Stoka (Trieste -- della minoranza slovena) ha evocato le difficoltà incontrate da una Com- missione di gemellaggio della Regione Friuli- Venezia Giulia, chi: aveva redatto un rappor- to mirante al ravvicinamento delle minoranze linguistiche europee: lo Stato italiano ha riu- fiutato di realizzare questo progetto, atteggia- mento probabilmente dovuto a motivi stori- ci, cioé la riunificazione tardiva dell'Italia. La tedesca Karola Sartor (Gifhorn) ha lamentato la difficoltà di trovare un pavtnev di gemellag- gio, mentre l'italiano Pietro Falagiani (Mon- tevarchi) ha insistito sull'esigenza di mobili- tare di più e meglio i giovani; analogamente l'inglese Bill Smith (clubs di amicizia sporti- va). I1 tedesco Adolf Kappes (Erfstadt) ha toc- cato il tasto dolente delle difficoltà linguisti- che, mentre Franqois Landré (Jargeau) ha ana- lizzato le tecniche del Comitato del gemellag- gio del suo Comune per far soldi. Edith Vieh- meister ha informato sulle iniziative della sua regione, la Westfalia, ove programmi a lungo termine sono organizzati per disoccupati pro- venienti da diversi Paesi. Baldur Ubbelphde, Bezirksburgermeister a Berlino, ha riferito di iniziative che possono essere lanciate sul ter- reno della pubblica sanità e del servizio socia- le: il distretto di Charlottenburg a Berlino ha promosso un programma di scambi di ragazzi handicappati con una Città italiana gemella. L'inglese Laurie Harrison (Wakefield) ha la- mentato che costi più un volo per la Germa- nia che per l'America con un chavtev e chiede sconti aerei per giovani e poveri, mentre Mo- nique Waeselynck (Saint Germain en Laye) ha chiesto in merito un intervento al CCRE. Il belga Miche1 Debanque, borgomastro di La Louvière, ha affermato che in Vallonia I'au-

torità tutoria ha ordinato di sopprimere le spe- se per i gemellaggi dal bilancio. A sua volta il portoghese Losia Feria Laurentina ha atte- stato che molti Comuni del suo Paese vorreb- bero gemellarsi, ma rinunciano di fronte alle spese. Pierrette Cahay (Vise, in Belgio) ha de- nunciato che il suo Comune ha rinunciato ad un gemellaggio con una Città tedesca per preoccupazioni linguistiche: il problema dello studio delle lingue è un problema chiave del- l'unità europea.

Dal dibattito è scaturita logicamente la ri- soluzione relativa, approvata poi dal Congres- so: da sottolineare qui la richiesta di un Uffi- cio europeo per la gioventù, a somiglianza del- l'ufficio franco-tedesco; e il plauso ai program- mi Erasmus (purtroppo noi sappiamo l'acco- glienza negativa del governo tedesco) e «Yes per l'Europa», con l'invito alle sezioni nazio- nali del CCRE a battersi per essi.

L'Europa dei cittadini ed il sostegno attivo all'Unione europea

La relazione Serafini è già nota ai nostri let- tori (inserto del n.2 febbrariol87 di ((Comuni d'Europa»): essa del resto non conteneva, nelle proposte operative (campagna organica di qua- derni di proposta e di protesta, alleanza con le forze vive della società europea, Convenzio- ne del popolo europeo e fronte democratico europeo), nulla che non fosse già esaminato e approvato dagli organi statutari dell'AICCRE e pubblicato dalla nostra rivista. Se mai essa insisteva particolarmente sulla esigenza di de- nunciare chiaramente agli europei, onde mo- bilitarli, la meccanica della incapacità dei go- verni nazionali di progredire verso l'unità; sulla disponibilità dell'opinione pubblica dei Paesi comunitari (non tutti, ~robabilmente); sull'o- rientamento - scoordinato - di varii settori sociali e di varii movimenti ideali verso la so- vranazionalità; sull'audacia verso progetti uni- tari (moneta, sicurezza) di statisti «in libera uscita»; sulla tragedia che può rappresentare la perdurante irresponsabilità dei governi na- zionali, tanto miopi quanto quelli, sedicenti de-

Nicole Pery, Chaban-Delmas, Philippovich e Hofmann

mocratici, degli anni trenta. Al termine della relazione Serafini ha letto ed illustrato un pro- getto di Manifesto, che pubblichiamo in pri- ma pagina e che è frutto collegiale degli orga- ni dell'AICCRE.

Naturalmente nel dibattito si sono tenuti presenti anche gli aspetti politici della relazio- ne Philippovich e un progetto di risoluzione che l'ha accompagnata. I1 francese Pierre Chantran, Sindaco di Brie, ha rilevato che la ruralità rappresenta la grande maggioranza dei Comuni europei: per essa si passa dunque se si vuole creare una spinta popolare attraverso Comuni e Regioni. Gino Cesaroni, Sindaco di Genzano, ha espresso il suo disaccordo sull'e- lezione diretta del Presidente d'Europa, che è e rimarrà senza potere: urge piuttosto, col- legialmente e democraticamente, affrontare i due problemi essenziali, quello nucleare e quel- lo dell'assetto, giusto e ragionevole, del Ter- zo Mondo. I1 tedesco Lowenberg ha battuto sul tasto della lotta contro i reciproci pregiu- dizi e sulla scarsa conoscenza del punto di vi- sta altrui, mentre André Petit, Sindaco d'Eau- bonne, richiama la lingua comune che si usa in entrambe le Superpotenze, di fronte alla Ba- bele europea. Daniel Crawford, consigliere municipale di Glasgow, ha ammesso che 1'U- nione politica europea conosce alti e bassi, se la si guarda dal Regno Unito: eppure essa, pri- ma o poi, ci porterebbe tutti ad un migliora- mento anche economico, particolarmente a be- neficio della disoccupazione. Gabriele Paniz- zi, vice-presidente del Consiglio regionale del Lazio, ha proposto emendamenti al progetto di risoluzione, che circola, soprattutto per col- locare al giusto posto la prospettiva del «mer- cato unico», che al massimo può essere consi- derato un obiettivo parziale: inoltre propone la redazione di un preambolo ispirato al pro- getto di Manifesto letto da Serafini. I1 Sinda- co francese di Libry Gargan, Vincent, è parso spaventato dall'obiettivo di un «fronte demo- cratico europeo» prospettato dal relatore (ep- pure non è certo un obiettivo nuovo per il CCRE, che ne parla almeno dal 1964). I1 bel-

ga Urbain ha ritenuto che su certe questioni di alta strategia politica (per esempio l'elezio- ne diretta del Presidente dell'Europa) sareb- be presuntuoso voler prendere posizione nei limiti di una semplice riunione di commissio- ne congressuale. Vittorio Castellazzi, segreta- rio della Federazione piemontese dell1AIC- CRE, ha sostenuto che la redazione di un ca- hieu de doléances è relativamente semplice per un piccolo Comune: basta creare una «piccola commissione» che si incarichi di distinguere i problemi più specificamente locali da quelli europei, e questi ultimi forniranno la materia che favorirà la ricerca di soluzioni interstatali (O meglio, sovranazionali); Castellazzi ha con- cluso che non bastano più né la semplice coo- perazione politica né il semplice mercato uni- co. Marce1 Rieul Paisant, Sindaco di Monto- livet, ha chiesto che la «lettera europea» (rela- zione Philippovich) sia diffusa prima di ogni riunione di gemellaggio, mentre Ennio Pierot- ti, assessore comunale di Camaiore, ha propo- sto che il progetto di manifesto, in una ver- sione abbreviata, sia diffuso in tutta Europa sotto forma di buochuue. Alain Réguillon, de- legato regionale aggiunto (Rhone-Alpes), ha chiesto ai colleghi di spiegare quotidianama-- te ai loro concittadini l'occasione che rappre- senta l'Europa per le generazioni future, af- finché l'impegno delle popolazioni divenga un riflesso naturale; egli ha chiesto altresì che i cahieus de doléances siano oggetto di una vasta campagna di informazione per spiegarne le fi- nalità; infine ha lanciato un appello affinché il CCRE intervenga presso gli eletti locali, af- finché le elezioni europee del 1989 non si svol- gano col metro miope dei partiti (nazionali).

La Dichiarazione politica finale, che pub- blichiamo integralmente, è stata la conclusio- ne del dibattito e dell'ulteriore discussione nel- la Commissione delle risoluzioni, presieduta dal l'residente del CCRE Hofmann, mentre il Progetto di Manifesto è stato demandato, visto l'impegno che si vorrebbe su di esso da parte di tutto il CCRE, ad una prossima riu- nione della presidenza del CCRE.

Jacques Chaban-Delmas, sindaco di Bordeaux e presidente della sezione francese del CCRE

I gemellaggi- cooperazione (solidarietà negli atti)

La relazione von Lennep - sulla coopera- zione socio-economica - riguardava solo in- cidentalmente la cooperazione fua Comuni ge- mellati ed estesamente quella dei Comuni ge- mellati col Terzo Mondo. La cosiddetta Soli- darietà nellJAzione è stata particolarmente promossa dal Presidente Hofmann (e può ave- re effetti educativi di maggiore entità su colo- ro che la portano avanti che non pratici su co- loro che - nel Terzo Mondo - ne debbono godere i modesti benefici). Interessante è la rilevante operazione Solidarietà-acqua.

I1 francese Philippe Rovire (Marly le Roi) e il tedesco Rolf Gerich (Weingarten) hanno descritto due esperienze fatte col Terzo Mon- do, il secondo chiarendo il lavoro in équipe col Comune gemello, che ha dato il suo contribu- to. I1 portoghese Antonio Simoes Saraiva ha insistito sulla necessità, anzitutto all'interno della Comunità, di una perequazione di ric- chezza: l'attuazione di una Europa integrata, unita, deve provocare un equilibrio fra tutti i membri della Comunità. Di nuovo esperien- za di azione solidale di due Comuni gemelli - il francese di Feytiat ed il tedesco di Ma- gonza - verso il Terzo Mondo, in base all'in- tervento di André Périgord, Maiue-Adjoint di Feytiat. Ancora sul Terzo Mondo un interven- to di Robert Neame, councillou Kent County (Selling Faversham), e una serie di quesiti «or- ganizzativi» di Jean Marie Duval, Maiue- Adjoint di Rambouillet: poi Daniel Hulas, Maiue-Adjoint di Feyzin, ha parlato della tec- nica finanziaria per aiutare un villaggio afri- cano, seguito da Ot to Maier, austriaco e uno dei Vice-Presidenti del CCRE. L'inglese Ce- sar Deben ha attirato l'attenzione sul modo di avere la collaborazione della Commissione ese- cutiva della CEE, mentre Gunter Niersten- hofer, consigliere del Comune di Bochurn (Re- pubblica federale di Germania), ha sottolinea- to l'inconveniente che può creare l'aiuto co- stante di un Paese ricco a un Paese (o zona) in via di sviluppo, cioé la dipendenza dal Pae- se ricco del Paese povero: egli ha suggerito che dunque il problema sia evocato nelle assem- blee comuni ai 12 membri della CEE. Maria- Maddalena Lang di Crosue (Francia), ha de- scritto i diversi impegni del suo Comitato di gemellaggio, specie in materia finanziaria, mentre Heinrich Hoffschulte (Steinfurt, Ger- mania federale) ha richiamato l'incoraggiamen- to anche finanziario della CEE, specie per ope- razioni di solidarietà nel Terzo Mondo. Nico- las Camphuis (Francia) ha sottolineato la ri- cettività dell'ambiente >colastico circa i pro- blemi del sottosviluppo e della fame: del re- sto nella stretta cooperazione fra Europa e Ter- zo Mondo è l'avvenire che bisogna costruire insieme. Di esperienze esclusivamente femmi- nili in merito ha parlato la francese Irene de Lipkowski, mentre Paul Bongers, della Segre- teria della Sezione britannica del CCRE, ha precisato che il programma «solidarietà acqua» non è che un punto di partenza, laddove oc- corre mettere l'accento sulle associazioni lo- cali, che creano maggiori possibilità. Seguono Andrée Bonnaud, della Città di Mérignac (Francia), che sottolinea alcuni eccezionali con- tributi individuali, e il presidente Josef Hof- mann, che conclude con l'annuncio della messa

COMUNI D'EUROPA

in funzione di un ordinatore, che permetterà di registrare le azioni umanitarie realizzate dai Comuni della Comunità europea.

La risoluzione relativa a questo gruppo ha soprattutto sottolineato come la cooperazione col Terzo Mondo ha valore informativo e for- mativo, e anche complementare di quahto si fa ad altri livelli; ha espresso la soddisfazione per l'iniziativa della Commissione esecutiva della CEE di realizzare il programma «solida- rietà acqua»; ha sottolineato l'utilità dell'azio- ne simultanea di tutte le autonomie territoriali, Comuni, Città, Kreise, Province, Dipartimen- ti, Contee e Regioni. L'esigenza di fondo e prioritaria - perequazione interna nella CEE - espressa dal portoghese Simoes Saraiva non ha trovato posto nella risoluzione: il proble- ma Nord-Sud non trova ancora la dovuta, in- tegrale attenzione, e le operazioni verso il Ter- zo Mondo rischiano di essere la copertura ipo- crita del neo-imperialismo economico e del na- zionalismo dei Paesi a forte industrializza- zione.

L'animazione di un gemellaggio: come rilanciarne l'interesse?

L'aspetto più importante della relazione del- lo svizzero Meylan era che essa poteva essere letta in parallelo con la relazione politica, poi- ché dava spunti per la mobilitazione europei- sta della base, e anche suggeriva a livello loca- le «forze vive» interessanti. Per altro 1'Euro- pa dei cittadini vista dal relatore, svizzero, ave- va un quadro europeo evanescente, generico, e vaghe scadenze da considerare, non avendo il riferimento del Parlamento Europeo: con- trariamente alla stessa relazione Philippovich («Si potrebbe obiettare che queste questioni di alta politica non interessano direttamente e concretamente la gente e non è possibile par- larne seriamente nel gemellaggio. Ma permet- tetemi di dire che queste affermazioni sono fal- se. Non si tratta più di alta politica, ma di fat- ti evidenti, che ogni liceale, ogni studente, ogni giovane che si affaccia alla vita attiva deve co- noscere~), Meylan ha poi mostrato perplessi- tà a portare l'«alta politica)>, cioé i problemi concreti, politici, dell'integrazione europea nei gemellaggi.

Nel dibattito Pierre Martin (Lilla) ha rife- rito di Seminari per funzionari di Enti locali di tutta Europa, ed ha anche sottolineato l'im- portanza delle radio (e televisioni?) private e delle audio-cassette. Vittorio Castellazzi, se- gretario della Federazione piemontese del- I'AICCRE, ha collegato l'animazione dei ge- mellaggi coi cahiers de doléances, ottima cana- lizzazione dei problemi e delle speranze comu- ni. Louis Le Calver, Sindaco di Fouesnant (Francia), ha informato sulla esperienza dei «consigli municipali dei giovani)), incalzato dal collega Christophe Chaillon, Maire-Adjoint di Saint Jean de Ruelle, che ha sottolineato l'e- sigenza di associare al massimo i giovani alle decisioni. Ironicamente ha replicato un terzo francese, Jean-Charles Desplan (Caux), che parla molto di gioventù una assemblea di età media piuttosto avanzata. I1 tedesco Peter Da- ners (Grevenbroich) è intervenuto subito a proposito, dicendo che non è un paradosso sug- gerire una partecipazione di massa della terza età (gente che dovrebbe ricordare le crudeltà

La dichiarazione conclusiva

Un impegno per i cccahiers de doIéances>> Il V Congvesso europeo dei Comuni gemellati, organizzato dal Consiglio dei Comuni e delle Re-

gioni d'Europa alla vigilia del 30° anniversario dei Trattati di Roma, ha riunito a Bordeaux, il 20 e 21 marzo 1987, circa mille eletti locali e regionali degli Stati membri della Comunità europea, oltre che dellJAustria e della Svizzera.

I partecipanti hanno adottato la seguente dichiarazione: 1) Consapevoli che il movimento dei gemellagi rappresentrr, come ha anche riconosciuto il Parla-

metzto Europeo, la jòrza popolave cpiù mobilitata e più mobilitubile)) a favore della costruzione europea. 2) Ricordano che ilgemellaggio, offerta d'amicizia e volontà di ravvicinamento tra le popolazioni,

è utzo strumento di comprensiotze universale tra i popoli. 3) Sottolineane) che deve essere ricotzosciuta la più grande importatzza ai gemellagi infra-europei

e che questi debbono avere lo scopo di servire la causa dell'linione europea; che non è fine a se stessa, ma c/3e deve contribuire sempre più alla pace nel mondo.

4) Considerano inoltre che l'obiettivo della riconciliazione tra gli europei è ormai raggiunto, ma che la Federazione degli Stati europei è ben lontana dall'essere realizzata anche se le ragioni che la richiedono sono più urgenti che mai.

5) Dichiarano che spetta soprattutto ai gemelkzgi dimostrare che la costruzione ezwopea è ut2 pro- blema che riguarda tutti i cittadini. È compito dei Conzutzi gemellati essere all'avanguardia nella bat- taglia per l'Europa dei cittadini e preparare attivamente l'avvetzto di una vera ecittaditzanza europea)).

6) Si rallegrano dei progressi simbolici compiuti per la cittadinanza europea: passaporto e patente europei, bandiera ed inno ormai comuni a tutta l'Europa, e aspettano decisioni rapide sulle altre pro- poste concrete ancora da realizzare e per rafforzare l'identità e l'immagine della Comunità.

7) Ricordano il' loro interesse alla ratifica della Carta Europea della Autonomia locale da parte degli Stati membri del Consiglio d'Europa.

8) Non potranno accettare ulteriori ritardi nella realizzazione del Grande Mercato Comune etztvo i l 1992, che dovrà finalmente concretizzare per gli europei una Conzutlità fondata szt quattro libertà: circolazione delle persone, dei beni, dei semizi e dei capitali.

9) IUon dimentkano tuttavia che il Gratzde Mercato Unico è solo un obiettivo parziale e chiedo- no all'Eztropa, fitzalmetzte dotata di propri strumenti di potenza ecotzotnica e di un proprio prestigio sociale e cultuvale, di funzionare meglio, di decidere tneglio, di realizzare meglio, in poche parole vo- gliono la realizzazione dell'Unione europea.

10) Riaffermano la propria fedeltà all'obiettivo del CCRE, di peivetzire ad una Utzione europea dotata di un vero potere esecutivo (Governo) e di un potere legislativo fondato su un sistema bicamera- le formato: - da zzlnJAssenzblea dei Popoli (Parlamento Europeo) eletta a sufiagio universale, diretto; - da una Camera Alta, che sostituisca l'attzzlale Consiglio dei Ministri e rappresentativa degli Stati. l l ) In questo spirito esortano i Comuni genzellati a preparare le prossime elezioni europee: - predisponendo presso le sedi comunali quaderni di protesta e di proposta (cahiers de doléances)

messi a disposizione dei cittadini e tali da permettere loro di esporre le proprie critiche e le loro propo- ste per pervenire ali"Unione europea. - Preparando petizioni comuni degli Enti genzellati che dovrebbero essere firmate dai consigli

comunali, pvovitzci~,li, dipartimentali, regionali, oltre che dai rappresetztunti delle associaziotzi locali e regionali che partecipano ai gemellagi.

12) Questi cahiers de doléances e petizioni in favore delllUnione europea saranno trastizessi dal Consiglio dei Conzut~i e delle Regioni d'Ezzlropa ai Governi e ai Parlanzetzti nazionali, al Consiglio europeo, alla Commissione, e, ovviamente, primo fra tutti, al Parlamento Europeo, che dovrà ricevere il mandato di redigere il nztovo progetto di Trattato.

della guerra e i propositi di una ricostruzione solidale): poi è passato ad osservare che nelle grandi città il gemellaggio deve essere anima- to per quartieri.

I1 francese Alain Reguillon (delegato regio- nale di Rhone-Alpes) ha chiesto la creazione di una banca di dati per uso dei Comuni, men- tre Rieul Paisant, Sindaco di Montolivet (Francia), ha parlato della esperienza, positi- va, di un gemellaggio con un Comune belga in via di agglomerazione in una circoscrizione più vasta (evoluzione che ha destato più inte- resse che imbarazzo). Elisabeth May (Lydo, Regno Unito) è tornata sul tema degli scambi di handicappati, mcntre la tedesca Karola Sar- tor (Gifhorn) ha chiesto una consulenza szzlr pla- ce di carattere per le questioni rela- tive al «diritto all'estero». Tonino Piazzi (Ca- stelnovo ne' Monti), membro della Giunta del-

1'AICCRE ha cercato di ripoliticizzare la di- scussione e ha chiesto di affrontrare (anche nella risoluzione finale) i problemi della mo- bilitazione dei Comuni gemelli in vista delle elezioni europee: a lui ha fatto eco un ancien combattant, che ha sofferto molto dal nazismo ma ama egualmente i tedeschi. Marce1 Le Bihn, Sindaco di Pompey, ha constatato gli ef- fetti culturali e linguistici di un gemellaggio, mentre il Sindaco (e deputato) di Chartres, Georges Lemoine, ha evocato le iniziative pre- se nell'ambito di gemellaggi con Speyer (Ger- mania Federale) e Ravenna - non ancora per- fettamente triangolare, perché è solo in pre- parazione il gemellaggio Speyer-Ravenna -:

si è addirittura arrivati allo scambio per 8 gior- ni dei Sindaci nel rispettivo governo delle lo- ro città. La francese Rollin (Vandoeuvre) è tor- nata sulla terza età, mentre l'inglese Bill Smith

COMUNI D'EUROPA

(Stanford Brook) ha raccomandato di rinver- dire ogni anno i vecchi gemellaggi.

La risoluzione relativa a questo dibattito ha analizzato tutti i modi per rendere un gemel- laggio «popolare», il che è fondamentale, e as- sociarvi i giovani concretamente (si è accen- nato anche a scambi di studenti e di appren- disti, con tirocinio presso imprese situate nel- l'ente territoriale partner); circa i temi dei ge- mellaggi non si sono trascurati la protezione dell'ambiente e la pace, e si è richiesta una in- formazione più ampia e più impegnata sui pro- gressi dell'unione europea (è senz'altro oppor- tuno tener conto della dimensione politica del gemellaggio). E importante stimolare la coo- perazione degli Enti gemellati su progetti da realizzare in comune: l'Anno europeo dell'am- biente, ed in particolare il concorso europeo istituito dal Consiglio dei Comuni e delle Re- gioni d'Europa insieme alla Commissione della Comunità europea, costituiscono un'occasio- ne; un impegno serio saranno la campagna di «quaderni di protesta e di proposta» e le peti- zioni al Parlamento Europeo.

I gemellaggi e l'Anno europeo dell'am bien te

Sulla politica dell'ambiente la relazione del- l'inglese Waterer si è riferita correttamente a documenti storici del CCRE, in primo luogo alla Carta di Bruges del 1974 - a questa si sarebbe potuta aggiungere la «Dichiarazione finale» approvata al termine della gande Con- ferenza sulla politica dell'ambiente nella Co- munità europea (Roma, 28-30 novembre 1974), organizzata dal CCRE col patrocinio della Commissione esecutiva della CEE (oltre che del governo italiano) e con la partecipa- zione di tutte le Sezioni nazionali -. I1 rela- tore si è rimesso anche onestamente alla linea politica portante del CCRE: l'esigenza, cioé, di una autentica Unione europea, dotata di convenienti istituzioni, di adeguate risorse (proprie) e di un Parlamento eletto, con pote- ri reali di co-decisione. Anche l'anno dell'am- biente dovrà essere, per quanto riguarda il CCRE, animato dalla ricerca di questo qua-

dro istituzionale (e quindi decisionale). Wate- rer ha ricordato anche la «Risoluzione sull'ur- banistica e la tutela dell'ambiente)), approva- ta al termine dei XVI Stati generali del CCRE (Berlino, 30 aprile-3 maggio 1986): in questa si ha un passaggio decisivo, che riafferma (pa- ragrafo 19) la «profonda convinzione che ogni analisi dei problemi ambientali ed ogni propo- sta, persino la più saggia ed opportuna, non potranno essere tradotte in misure efficaci e vincolanti nell'interesse dei cittadini europei se non si faranno veri e rapidi progressi verso una autentica Unione europea, che disponga di istituzioni adeguate, di risorse sufficienti e di un Parlamento eletto dotato di un potere reale di co-decisione». Poi ci si è riferiti al Pre- mio europeo del CCRE per la tutela dell'am- biente (da attribuire a 6 categorie di Comuni e di Poteri locali e regionali) - uno dei 4 spon- sorizzati dalla Commissione esecutiva della CEE -. Infine la relazione Waterer ha fatto un utile riferimento ai compiti del Comitato consultivo dei Poteri locaii e regionali dei Paesi membri della Comunità europea, di cui si è oc- cupata la Conferenza tripartita (Comuni, En- ti locali intermedi, Regioni) indetta dal CCRE a Parigi pochi giorni prima del Congresso di Bordeaux: l'unità di azione di tutti i livelli d'autonomia, nel corpo unitario del CCRE, è un'esigenza di chi cura più l'Europa che non meschini interessi corporativi e personali.

Prima del dibattito, ha preso la parola Mi- che1 Wolf, della task force comunitaria, per esporre le intenzioni della CEE circa l'Anno europeo dell'ambiente (1987): a parte la sen- sibilizzazione del cittadino europeo, l'obietti- vo è di favorire il rispetto dell'ambiente nel quadro delle politiche economica, industriale, agricola e sociale, e d i promuovere una presa di coscienza mobilitando i media. Per primo è intervenuto Roland Nixon, della Sezione bri- tannica, concordando con Wolf sull'importan- za di mobilitare (ma seriamente!) i media. Al- fred Vincent, Sindaco di Livry-Gargan (Fran- cia), ha cercato di individuare misure da in- traprendere a livello locale (lotta contro il ru- more, politica degli spazi verdi, stretta rego- lamentazione della ~ubblicità) e soprattutto in-

siste sul problema dei rifiuti. Bill Smith (Re- gno Unito) ha precisato che l'ambiente non si limita ai fiori o agli spazi verdi: il primo com- pito delle autorità locali dovrebbe essere quello di risolvere razionalmente il problema degli al- loggi. Pierre Quintard, Sindaco di Bois Guil- laume (Francia), ha informato i congressisti che apparecchi di detezione della radioattività e dell'ossido di zolfo sono stati messi a punto in Normandia. In un quadro più generale si è svolto l'intervento di Gabriele Panizzi (Vice- presidente del Consiglio della Regione Lazio), membro della Giunta dell'AICCRE: egli spe- ra che la questione dell'ambiente non soffrirà alcun ripiegamento nazionale, anzi è un'occa- sione per portare nuovi mattoni d a costruzio- ne dell'unione Europea; chiede poi che nella risoluzione finale non si faccia cadere il con- tenuto del paragrafo 6 della relazione Wate- rer (evoluzione delle istituzioni europee, Unio- ne politica, potere di co-decisione al Parlamen- to Europeo, ecc., come condizione per un'ef- ficace ed effettiva politica sovranazionale in difesa dell'ambiente): l'assemblea ha concor- dato con la richiesta di Panizzi. La belga Pier- rette Cahy (Vise) ha esposto alcuni interventi operati in difesa dell'ambiente fisico (e con- tro l'inquinamento atmosferico) che si sono im- battuti nell'opposizione - questo è un tasto estremamente problematico della questione - non solo degli imprenditori ma degli stessi la- voratori e dei loro sindacati (paura di perdita di posti di lavoro): ci vorrebbero cogenti nor- me europee. I1 consigliere Osvaldo Pavese (Ge- nova) si è interessato della protezione della fau- na e particolarmente dei volatili: le norme con- cernenti la caccia non sono applicate dal go- verno italiano; egli invoca una decisione co- munitaria per evitare la sparizione progressi- va della selvaggina italiana. Mentre Monique Comband, Adjoint al Sindaco di Saint Jean de Brie (Francia), ha parlato di questionari per le scuole onde attrarre gli studenti a questi pro- blemi, Rudolf Stemmler, Borgomastro di Rot- tenburg sul Neckar (Germania federale), ha chiesto misure della CEE per interdire l'espor- tazione dei rifiuti tossici e il loro deposito in mare. Sui rifiuti e sui danni di una incinera- zione incontrollata si è intrattenuto André Pe- tit (Francia), mentre la collega Josette Soulier, di Livry-Gargan, ha toccato ancora il tasto del- l'opinione pubblica.

La risoluzione sull'ambiente ha rispecchia- to l'andamento del dibattito riportato, ivi in- clusa la richiesta di Panizzi.

La Commissione delle risoluzioni

La Commissione delle risoluzioni, presiedu- ta da Josef Hofmann, ha avuto momenti di burrasca, anche per la verifica un po' sbriga- tiva dela sua composizione. Comunque la Di- chiarazione politica finale è accettabile: riman- gono da approfondire il senso di una campa- gna europea, a tappeto, di ~ ~ u a d e r n i di prote- sta e di proposta», il ruolo di incentivazione e guida della campagna da parte degli organi sovranazionali del CCRE, l'alleanza con altre «forze vive», la strategia della campagna resa esplicita da un Manifesto, il punto di riferi- mento della campagna - spaziale e tempora- le - in una Convenzione del popolo europeo (O Congresso per l'Unione dell'Europa dei cittadini).

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FORZA FEDERALISTA E FRONTE DEMOCRATICO EUROPEO

I1 Movimento Europeo stenta a coordinare le forze vive e a dar vita

al fronte democratico e federalista Mentre l'opinione pubblica è genericamente favorevole all'Europa, eminenti statisti in libera uscita vanno ben al di là dell'Atto unico e varii movimenti e gruppi settoriali pensano sovranazionale ma scoordinati tra loro, i governi nazionali sono incapaci di muoversi e riflettono l'abulia democratica degli anni '30

11 Movimento Europeo - che i profani con- fondono talora con l'Unione europea dei fe- deralisti (UEF) - è l'associazione (internazio- nale o sovranazionale: dipende dalle diverse valutazioni e dai diversi momenti della sua sto- ria) di tutti i movimenti federalisti o anche va- gamente europeisti e dei partiti e sindacati, che pongano tra i loro obiettivi, comunque, quel- lo dell'unità europea. Ha avuto momenti di ini- ziativa unitaria delle sue componenti e di rea- le incidenza sugli avvenimenti di solito quan- do i federalisti in senso stretto ne hanno pre- so la guida: tipico il congresso dell'Aja del 1953, quando Spaak - che aveva dato pole- miche dimissioni dalla presidenza dell'accade- mica Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa - ne prese la leadeuship e i federali- sti gli fecero assumere l'obiettivo di collegare la Comunità europea di difesa (CED) a una Comunità politica democratica. Gli Stati ge- nerali del CCRE di Roma (1964) propugnaro- no l'idea di un fronte democratico europeo - idea prima lanciata nel CCE da Serafini e poi, in una sua relazione (v. «Comuni d'Europa», settembre 1963 - «Prospettive politiche del federalismo europeo»: relazione ritenuta per altro da Serafini di scarsa fondazione analiti- ca -), dal presidente del Comitato centrale del Mouuement Fédéualiste euuopéen, Rifflet (Rifflet rappresentava l'ala maggioritaria del MFE, con Hirsch quale leader, accanto a Spi- nelli, Marc, Serafini - il MFE rappresenta- va a sua volta uno dei due tronconi in cui si era spaccata I'TIEF, l'altro, quello moderato e che non proponeva la Costituente europea, si chiamava Action euuopéenne fédéualiste -: le due correnti minoritarie del MFE erano poi quella del Partito federalista e quella di Auto- nomia federalista - leader Mario Albertini -, di cui spesso si confonde oggi la storia setto- riale e minoritaria con quella di tutto il MFE) -: solo che a Roma il congresso del CCRE, cui erano stati invitati tutti i movimenti euro- peisti, si divise tra coloro che volevano costrui- re un fronte democratico europeo a tavolino e, nello stesso tempo, in tutta autonomia e co- loro che volevano crearlo dalla trasformazio-

ne - riforma - del Movimento Europeo. Si discusse il da farsi anche successivamente in una riunione convocata, ancora a Roma, dal- I'AICCRE, riunione a cui parteciparono, ol- tre i dirigenti delllAICCRE, Jean Bareth per conto di tutto il CCE, Koppe per I'Euuopa Union tedesca, I'AEDE e lo stesso Consiglio italiano del ME (col suo segretario Lotti), i sin- dacati europei «liberi» (Buiter) e quelli cristiani (Kulakowski), Paillet per i Clubs francesi, la maggioranza del MFE ed altri: dall'albergo in cui si tennero le riunioni l'incontro si chiamò anche in seguito «Pace-Helvetia». Per la par- te tedesca un punto di riferimento, indicato da Koppe, furono le «Dodici tesi per 1'Euro- pa» (v. «Comuni d'Europa», gennaio 1965). Frattanto Serafini, constatato l'avvicinarsi del- la minoranza di «Autonomia federalista» alle posizioni di maggioranza (accettazione critica dei Trattati di Roma, fermo rimanendo l'obiet- tivo essenziale della Costituente europea), ope- rò per la riunificazione delle diverse correnti del MFE e poi dei due tronconi dell'UEF - entrambi presenti agli Stati generali di Roma -, ma soprattuto riuscì a persuadere il Movi- mento Europeo (e, per cominciare, il suo Con- siglio italiano) a non fare una leva di soci in- dividuali, lasciando l'esclusiva dei soci indivi- duali al federalismo organizzato (Serafini, pur criticandone alcune scelte politiche, riteneva di grande importanza il patrimonio culturale di «Autonomia federalista», che riteneva il gruppo più qualificato per formare i nuovi qua- dri federalisti). Qui incorniciò il lungo tenta- tivo di riforma del h4ovimento Europeo - che quindi coincise con un atteggiamento costrut- tivo ma fortemente critico e insieme propulsi- vo dei Trattati di lioma (per questo ne scri- viamo qui) e che ebbe una tappa decisiva nel- la costituzione del «gruppo di Milano» (v. <Lo- muni d'Europa», ottobre 1980) e nella elezio- ne di Petrilli a presidente di tutto il Movimen- to. La lunga presidenza di Petrilli ha tenuto il M.E. su una corretta linea federalista, uni- taria e di collaborazione critica con la Comu- nità europea: si è conclusa tuttavia senza che, purtroppo, il Movimento mutasse le sue strut- ture e le sue componenti socio-politiche e rap- presentasse autenticamnete le «forze vive» sca- tenate dal progresso e dagli stessi insuccessi del mercato comune e dalle cocenti delusioni da esso provocate; soprattutto senza che esso rap- presentasse le forze latenti di una Europa «che cambia». E a questo punto - mentre la stes- sa UEF è stata per qualche tempo incerta se promuovere senza riserve una battaglia per la «democrazia europea» e appoggiare pienamen- te 1'Intergruppo federalista del Parlamento Eu- ropeo - sorto per la stessa forza d'inerzia della grande iniziativa spinelliana e per l'infatica- bile e intelligente iniziativa dello «scudiero»

di Altiero, Pier Virgilio Dastoli - il Movimen- to Europeo, cogliendo l'occasione del «tren- termale» e stimolato dal suo Consiglio nazio- nale più vitale, quello italiano, ha riunito a Ro- ma il suo Consiglio federale, facendolo prece- dere da un Seminario, per un serrato scambio di idee sui suoi compiti e il suo stesso ruolo. Ciò non poteva non interessare il CCKE nel momento in cui - tra il congresso dei gemel- laggi a Bordeaux (in marzo) e una Presidenza europea a Firenze (in maggio) - esso deve mettere a punto la campagna dei «quaderni eu- ropei di protesta e di proposta» e la Conven- zione del popolo europeo (o Congresso delllEu-. ropa dei cittadini).

I1 Seminario (26-27 marzo) è stato introdot- to da Maurice Faure e Giuseppe Petrilli. Fau- re, che pure ha giuocato un ruolo positivo nel Comitato Dooge (il Comitato, formato di rap- presentanti dei Capi di Stato e di Governo del- la Comunità, che esaminò il Progetto di Unio- ne del Parlamento Europeo prima del vertice di Milano del giugno 1985, trovando nel suo seno una maggioranza favorevole), ha detto po- co più di alcune parole d'occasione, lasciando così a Petrilli tutto l'onere dell'introduzione: che è stata ampia e ricca di considerazioni.

Petrilli ha cominciato con la storia, che tut- tora continua, delle promesse e degli insuces- si della politica comunitaria intergovernativa, che fissò a suo tempo l'obiettivo dell'unione europea ma non ne seppe far niente: nel frat- tempo si era già avuto un indebolimento isti- tuzionale assai grave della Comunità, con l'am- missione dei veti dopo il compromesso di Lus- semburgo e con la sempre maggiore potenza del COREPER, complesso dei burocrati na- zionali al servizio a Bruxelles del Consiglio dei Ministri, e tale da tendere ad annullare l'au- tonomia della Commissione esecutiva. L'ora- tore ha poi spiegato l'appoggio dato dal M.E., sotto la sua presidenza, al progetto di Unione del Parlamento Europeo non tanto per moti- vi ideologici federalisti quanto come appoggio a una iniziativa sostitutiva della carenza asso- luta dei governi, proprio in un momento in cui è evidente il costo enorme della non Europa e in cui è pressante la richiesta di Europa nel quadro internazionale. Petrilli ha fatto una cri- tica realistica dell'Atto Unico, che promette il mercato unico entro il 1992, ma non offre strumenti essenziali per arrivarvi. Comunque accanto ai problemi economici e monetari, la richiesta d'Europa viene dall'offensiva terro- ristica, dai problemi della sicurezza, da quelli ecologici: voci prestigiose si levano a favore di una autentica moneta europea (e della secon- da tappa dello SME) e di una difesa europea integrata, che permetta di intervenire positi- vamente nel negoziato per la pace, che invece corre sulle nostre teste. Democrazia europea

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ed efficacia decisionale richiedono l'Unione politica: non si può impedire che coloro che ora lo vogliano si uniscano, senza essere bloc- cati da una minoranza contraria.

Petrilli infine, di fronte ad alcune proposte di ridurre la capacità di iniziativa unitaria del M.E. e di farne al massimo un movimento con- federale, ha a sua volta proposto di organiz- zarlo, con maggiore equilibrio, al modo degli Stati federali, rilanciando lo strapotere dei Consigli nazionali con un maggior potere, in esso, delle associazioni a vocazione europeista e - almeno a parole - di struttura sovrana- zionale.

I1 dibattito è stato di valore diseguale e ha visto lo scontro - sia pure in termini ovatta- ti - delle posizioni dure e federaliste con le posizioni di fatto rinunciatarie. Ricorderemo gli interventi di Dastoli, segretario dell1Inter- gruppo federalista del Parlameno Europeo, del catalano Gironella, per la sinistra europea (per la quale ha parlato anche Zagari), della sinda- calista Cassina (CISL), di Barbi (AEDE), del- lo spagnolo Garcia (per una effettiva Europa dei cittadini, intesa in senso federalista, e per un grande congresso di questi cittadini, nel senso della Convenzione del popolo europeo proposta dall'AICCRE). Ci vorremmo soffer- mare un momento sugli interventi di Eickorn (Europa Union tedesca) e, per il CCRE, di Se- rafini e di Philippovich.

Eickorn era atteso per il momento che at- traversa la Germania, sensibile agli ammoni- menti severi di Weizsacker ma anche, appa- rentemente, ad alcuni richiami nazionalisti (ma spesso dimentichiamo cosa vuol dire una na- zione spaccata in due). In sostanza il rappre- sentante dell'Europa Union ha ammesso l'in- sufficienza dell'Atto Unico, pur chiedendo che non si impieghi tutto il tempo a polemizzare contro di esso quanto a «collaborare spingen- do oltre», lottando giorno per giorno. Circa la Costituente europea è sembrato ammettere in pieno che il Parlmanto Europeo torni a redi- gere un progetto di Unione europea, ma ha in- sistito perché esso lavori in stretto collegamen- to con i parlamenti nazionali, senza chiarire se il collegamneto dovrebbe essere un vero im- brigliamento istituzionale oppure soltanto un collegamento politico. Circa il referendum eu-

ropeo ha chiarito che l'avversione tedesca per un referendum nasce da buoni sentimenti, cioé dall'avversione contro ogni strumento plebi- scitario (così si affermò la dittatura). Sull'In- tergruppo federalista del I'arlamento Europeo ha osservato che egli si preoccuperebbe prima e anzitutto della europeizzazione dei Gruppi politici, che viceversa rispecchiano ora una somma di posizioni nazionali, vanamente me- diate. Infine Eickorn si è espresso in favore di una posizione unitaria del M.E., a condi- zione che non si pretenda di ottenere l'unità ai due estremi del massinialismo federalista e del moderatismo opportunistico: lui è un fe- deralista, ma come M.E. difende una posizio- ne «centrista».

Serafini ha esordito dicendo che di fronte a tanti europessimisti egli si sente del tutto ot- timista: un rivoluzionario (e fare l'Europa è una rivoluzione) non guarda a breve termine: il 14 febbraio 1984 noi abbiamo constatato una grande vittoria - vittoria della validità della nostra ipotesi di elezioni a suffragio uni- versale diretto di un Parla.mento Europeo sen- za poteri -: poi abbiamo commesso errori pre- vedibili (l'abdica estate 1085, mentre una con- ferenza intergovernativa preparava l'affossa- mento del cosiddetto Progetto Spinelli e de- gli stessi risultati del Comitato Dooge) e an- che abbiamo visto di fronte al pericolo tutti i nazionalisti rialzare la testa. Viceversa l'opi- nione pubblica è genericamente favorevole al- l'Europa (almeno in un gruppo di Paesi), emi- nenti statisti in libera uscita vanno bene al di là dell'Atto unico (vogliono la moneta euro- pea, l'esercito europeo, ecc. ecc.), varii movi- menti e gruppi settoriali (ecologisti, pacifisti, scienziati e tecnici) pensano sovranazionale ma scoordinati fra di loro: in questa situazione i governi nazionali, blocca.ti al loro interno da minoranze corporative, sono incapaci di muo- versi e ripetono l'abulia democratica dei go- verni nazionali degli anni trenta, che favori- rono fascismo e nazismo e che noi, di fronte all'opinione pubblica, dobbiamo svergognare, proprio per suscitare un'azione di massa. Non si avrà mercato unico né nel 1992 né mai sen- za fiscalità e moneta europee, cioé senza vo- lontà politica: ma allora non si avrà mercato unico senza la volontà di fare l'Unione politi-

ca. I1 progetto Spinelli era tutt'altro che mas- simalista, era federal-confederale, con possi- bilità di evoluzione e molto pragmatismo: quel- la è tutt'ora la via da battere, passando dun- que di necessità per il Parlamento Europeo e orientando le prossime elezioni europee. Qui si vede anche il senso di una campagna di «qua- derni europei di protesta e di proposta (cahieus de doléances)~, di cui si discute nel CCRE: la campagna si dovrà concludere 6-7 mesi prima delle elezioni europee de11'89 con una conven- zione del popolo europeo (o, come propongo- no taluni spagnoli, con un congresso dell'Eu- ropa dei cittadini). Di fronte a queste prospet- tive il M.E. ha l'esigenza di rinnovarsi e di cer- care di rappresentare veramente le «forze vi- ve» europee.

Philippovich ha dichiarato di consentire con la relazione di Petrilli e ribadito che il CCRE tende a richiedere per il prossimo Parlamento Europeo un mandato costituente o - è erro- neo far sempre questione di parole - una «missione» - negoziata anche coi parlamenti nazionali - di redigere la Carta costituziona- le dell'unione europea. Non sa prendere po- sizione sul referendum europeo, ma certo può promettere da parte del CCRE dei referendum esplorativi, dei sondaggi locali e regionali, delle petizioni di consigli comunali e di altri poteri locali e regionali per spingere il Parlamento Eu- ropeo a non desistere dai suoi obiettivi istitu- zionali.

Molto interessanti sono stati, a conclusio- ne del seminario, due interventi dei ministri Andreotti (esteri) e Fabbri (affari comunita- ri). Andreotti ha espresso con schiettezza la deluzione provata per quanto è successo dopo il Vertice di Milano del 1985: e ha aggiunto che ora bisogna lavorare per i figli e per i ni- poti (cioé fare presto l'Unione politica e de- mocratica europea). Fabbri, confessando con sincerità le inadempienze italiane delle diret- tive comunitarie, ha spiegato quanto ora da lui proposto per realizzare quanto finora non ab- biamo fatto, finendo così spesso in Corte di Giustizia.

Al termine del Seminario si è aperto il Con- siglio federale, che ha visto Thorn ritirare la sua candidatura a rinnovato presidente del M.E., mentre è stata avanzata la candidatura di Barbi, vicepresidente dell'AEDE: vittoria dunque a metà della tesi federalista, perché l'e- lezione è stata rimandata alla prossima sessio- ne di giugno. In realtà c'è molto da fare per- ché il Movimento Europeo riesca ad esprime- re - e ad esprimere in una forma unitaria, ef- ficace e tempestiva - il punto di vista di tut- ti quei democratici europei, che vogliono sen- za riserve venire incontro alla domanda d'Eu- ropa e di Europa unita e democratica, di cui si è detto. In conclusione il lungo cammino perché il M.E. riformato rappresenti il fronte democratico europeo - così come si comin- ciò a chiedere nel 1964 - è tutt'altro che com- piuto: frattanto resta sulle spalle del CCRE - se possibile con l'aiuto dell'UEF - di perve- nire alla Convenzione del popolo europeo, os- sia al congresso dell'autentica Europa dei cit- tadini. m

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Riflessioni sul convegno ((L'idea di Europa nel movimento di liberazione))

Non poteva esistere la sola libertà del villaggio: la sconfitta del nazkmo era un traguardo europeo

di Giancarlo Zoli

L'invito a fare la propria parte derivava dal non voler più il fascismo in Italia come dal non voler più il dominio di Hitler in Europa. Il nostro ideale era indivisibile; la sorte delle varie regioni, comune

Stamattina sono stato invitato dalla bene- volenza di chi organizza questo convegno a di- re qualche parola. Ne sono grato, e anche un po' lusingato, anche se la richiesta non è do- vuta a miei meriti ma alla amicizia con Lwia- no Bolis che risale a sette lustri e dovrà prose- guire per un periodo ancora più lungo ed alla mia appartenenza all'area culturale-spirituale cattolica. Si gradisce che echeggi qui dentro la mia voce come segno dell'apertura del con- vegno.

H o pensato a quello che avrei potuto dire nell'intervallo fra il pranzo e l'inizio della se- duta pomeridiana. E la prima osservazione, pur fatta con affetto e cordialità, deluderà gli amici.

Critico il titolo: l'idea d'Europa nel movi- mento di liberazione. I1 movimento di libera- zine fu un fatto europeo: e scrivere «movimen- to di liberazione» per parlare solo dell'Italia e non dell'Europa in genere e delle sue varie parti è come se l'Istituto Storico della Resi- stenza in Toscana intitolasse «la Resistenza» uno studio limitato agli avvenimenti nella re- gione Toscana. L'omessa indicazione che si sa- rebbe parlato di quanto era accaduto in Italia sembra ignorare la dimensione europea del fe- nomeno Resistenza e di ogni suo aspetto. È legittimo occuparsi della parte, e non del tut- to, anzi spesso necessario; ma l'indicazione dei limiti del tema deve essere indicata.

H o detto questo anche per coerenza al mio fanatico federalismo europeo. Lo spunto al mio intervento sarà proprio la mia amicizia con Bo- lis che devo al federalismo europeo. Io ho co- nosciuto Bolis, se ben ricordo, nel 1753, pri- ma non ero federalista europeo. Oggi sono Vi- ce Presidente del Consiglio dei Comuni e del- le Regioni d'Europa e Presidente della sezio- ne di Firenze del Movimento Federalista Eu- ropeo. Mi pare utile raccontare come avven- ne che io non ero federalista fino ad allora. Questa confessione chiarisce il rapporto fra Resistenza e idea europea.

Io ero, e sono, democristiano. Nel periodo clandestino nella Democrazia Cristiana, pure accettando la leadership romana, i più colti e profondi fra i militanti impegnati in periferia studiavano ed elaboravano programmi del par- tito. Nel periodo clandestino io conobbi tre programmi della Democrazia Cristiana: «le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana)) redatto da De Gasperi, datato Roma; quello

di Milano, e quello. meno noto, diffuso a Fi- renze dal giungo 1944, opera di Mario Augu- sto Martini. H o letto nella primavera scorsa in un numero monografico (2-1984) della ri- vista genovese «Cioitas» i programmi diffusi a Genova, Vicenza e Padova, che ignoravo. I tre programmi che ignoravo, e quello di Mila- no, indicavano come meta la Federazione Eu- ropea. Niente in quello di Firenze. Nel pro- gramma di De Gasperi vi era una frase che usa- va la formula Comunità Europea, ma non da- va certo indicazione federalista precisa: era va- ga. I1 programma che proveniva dal leader in- discusso e stimatissimo prevalse subito sugli altri. Oggi avrei saputo scegliere per l'aspetto che qui trattiamo il programma di Milano; ma non fui in condizione di pormi nemmeno il problema. La mia attenzione si concentrava sulla scelta repubblicana prima, sullo scontro decisivo del 1948 poi; non mi accorsi quindi dell'indicazione preziosa del programma di Mi- lano e della sua superiorità sulla frase delle Idee ricostruttive.

Né poteva illuminarmi il contatto continuo col Partito d'Azione, cui apparteneva il nucleo dirigente e la mente del Movimento Federali- sta E~~ropeo . A Firenze il Partito d'Azione era vivacissimo, molto attivo e generoso nella Re- sistenza; ma i contatti cogli azionisti non era- no culturali, per dibattiti e confronti ideolo- gici, per porre l'attenzione sul loro appello al- la Federazione Europea, erano per operare. La mia grande amicizia di allora e di oggi per i suoi dirigenti e militanti toscani non mi por- tava a considerarli miei maestri, ma a lavora- re insieme.

Mi sia consentito qui un cenno di attualità: proprio questi ricordi mi fanno notare con di- spiacere che nella diaspora non pochi di loro hanno dimenticato le origini federalistiche.

Una parentesi. Allora ed oggi tutti inseri- scono nel capitolo «politica estera» il progetto d'unificare l'Europa, è un errore difficilmen- te correggibile, ma errore è; si tratta della più sostanziale riforma istituzionale.

Torno al tema. La frase delle «Idee ricostrut- tive», le esperienze politiche di De Gasperi e la nostra formaziorie culturale portarono ne- cessariamente alla scelta federalista europea; ma questo accadde non proprio nelle settima- ne che seguirono la liberazione. Ricordo due circostanze. Nel 1946 si era introdotto nella Costituzione, di cui largamente autori furono i costituenti eletti nelle liste democristiane, l'art. 11 che prevede la rinunzia a parte della sovranità dello stato nazionale a favore di or- ganismi più vasti. E fu al Terzo Congresso del- la Democrazia Cristiana, nel giugno 1949, che venne indicata l'aspirazione alla Federazione Europea, nel discorso d'apertura (non nella re- lazione politica) da parte di Giuseppe Cappi.

In apparente contraddizione con quanto ho

detto sulla mia ignoranza in tema di federali- smo, mi pare importante dichiarare che io fui un resistente europeo. E un momento fonda- mentale del nostro incontro, perché la mia con- fessione ha un senso perché è emblematica. Non sapevo, è vero, che l'Europa ha bisogno dell'unità politica. Ma partecipai alla Resisten- za europea. Come diceva Arfè, vi furono fra i Resistenti coloro che furono mossi da patriot- tismo magari esasperato (la France Eternelle); altri furono spinti dalla fedeltà al Re; alcuni fra i Comunisti speravano di realizzare anche in Italia il regime stalinista. Ma queste tre mo- tivazioni erano di minoranza. La maggior parte di noi agiva per conquistare la libertà. La li- bertà non poteva essere la libertà del villaggio o dell'Italia; era la libertà dell'Europa. Quan- do ci sentivamo solidali col popolo di Londra bombardata o ascoltavamo quello che succe- deva nei vari paesi d'Europa non considera- vamo queste vicende fatti esterni, altrui, ma aspetti dell'unica Resistenza. L'invito a fare la propria parte derivava dal non volere più il fascismo in Italia come dal non volere il do- minio nazista dell'Europa. La libertà, nostro ideale, era indivisibile, europea: la sorte delle varie regioni d'Europa era comune.

C'erano, sì, dall'altra parte, da noi i repub- blichini, il partito fascista repubblicano, come in ogni paese d'Europa analoghe formazioni collaborazioniste; ma allora consideravamo ne- mici, prima dei satelliti, gli oppressori, uso il termine che usavamo allora: i Tedeschi. Allo- ra la nostra interpretazione della realtà era d'u- na lotta in cui da una parte vi erano i Tede- schi, dall'altra gli altri Europei. Così in Italia come in Polonia, in Jugoslavia come in Fran- cia; contro Wehrmacht e S.S. e collaborazio- nisti, i popoli, noi. Avevamo lo stesso scopo, la liberazione dall'oppressore, gli stessi proble- mi, gli stessi strumenti. I1 salvataggio degli Ebrei europei avveniva attraverso l'Europa; la stampa clandestina aveva frontiere talora su- perate, dettate da necessità linguistiche, ma la radio non aveva tale limite. Quasi tutte le for- mazioni avevano una composizione plurinazio- nale, più o meno spiccata. In Italia spesso le formazioni partigiane avevano anche dei com- battenti russi, jugoslavi, altri ex prigionieri, di- sertori e antinazisti tedeschi. Nemmeno gli Ir- landesi, %li Svizzeri sono stati estranei alla Re- sistenza. E in Germania il vero miracolo te- desco fu la vasta e multiforme Resistenza dei Tedeschi, dei prigionieri, dei lavoratori depor- tati. Divenuto federalista, e indotto da stor- ture e aberrazioni nella cultura e nell'opinio- ne pubblica riguardo a questi temi a studiare a fondo la storia, ho modificato la mia inter- pretazione d'allora.

Non penso più che vi fu una Resistenza de- gli Europei non Tedeschi contro i Tedeschi,

(contmua a pug. 16)

COMUNI D'EUROPA

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Approvata la «nuova strategia per l'Unione europea»: , ma quante timidezze, subordinate e condizionali

di Pier Virgilio Dastoli

La Commissione istituzionale del P.E. ha approvato a larga maggioranza il progetto Herman che sarà discusso in Aula nella sessione di giugno. I limiti della sua impostazione richiedono un accresciuto impegno delle forze federaliste

La Commissione istituzionale del Parlamen- to Europeo ha concluso la prima fase delle sue riflessioni sulla «nuova strategia per realizza- re l'Unione europea» approvando a larga mag- gioranza il progetto di rapporto preliminare presentato dal relatore Fernand Herman (PPE- Belgio) e chiedendo all'ufficio di Presidenza allargato del Parlamento Europeo di iscriver- lo all'ordine del giorno della sessione di maggio.

Fra i membri dell'ufficio di Presidenza al- largato ed in particolare fra i presidenti dei gruppi politici (arrogante magna pars di que- st'organo del Parlamento) è prevalsa prima l'o- pinione di iscrivere all'ordine del giorno della sessione di maggio il rapporto della commis- sione speciale sul piano presentato dal presi- dente della Commissione esecutiva Jacques Delors «Atto unico: una nuova frontiera per la Comunità» e poi di accettare la discussione in aula del rapporto Herman durante la ses- sione di giugno in modo da unirlo al dibattito relativo ai risultati (certo non entusiasmanti) del semestre di presidenza belga.

Queste vicende apparentemente procedurali ci consentono di esprimere alcune valutazioni sull'approccio seguito dalla maggioranza della Commissione istituzionale dalla scomparsa di Spinelli (maggio 1986) in poi e sulla situazio- ne all'interno del Parlamento Europeo, prima di sottolineare i vizi piìl gravi del rapporto Herman.

Innanzitutto la priorità attribuita dalla mag- gioranza dei capi-gruppo (ed in primo luogo da Klepsch - PPE - e da Arndt - SOC. -) all'esame del piano Delors rispetto al rilancio della battaglia per l'Unione europea è signifi- cativa, poiché rispecchia la convinzione di que- sta pattuglia di irriducibili realisti che lo svi- luppo della costruzione europea potrà essere avviato verso la «nuova frontiera» di Jacques Delors se le istituzioni comunitarie si impegne- ranno a dare attuazione ad azioni concrete (la realizzazione del mercato interno, la discipli- na di bilancio, ecc.) e lasceranno da parte l'i- nutile retorica europeista e federalista, tutto- ra concentrata sui problemi istituzionali della Comunità.

Sulla base di questa convinzione, i capi- gruppo e la quasi unanimità della commissio- ne speciale sull'«Atto Unico: nuova frontiera* si sono volenterosamente preparati a dare via

libera a Jacques Delors, glissando elegantemen- te sul fatto (gravissimo e essenziale) che la Commissione esecutiva aveva il diritto ed il dovere di presentare delle propostefomzali (cioè delle proposte di regolamento, di direttiva e di modifica dei Trattati) per riformare la poli- tica agricola, rafforzare le politiche struttura- li e ridare autonomia finanziaria alla Comuni- tà; che, seguendo passo dopo passo il cammi- no melanconico percorso nel periodo fra il maggio del 1980 ed il giugno 1982 dalle Com- missioni Jenkins e Thorn, essa ha messo nelle mani del Consiglio europeo, dei Consigli dei Ministri e del Co.Re.Per. una serie di inutili e retorici «memoranda», consentendo così al- le amministrazioni nazionali di porre sotto con- trollo tutto il negoziato avviato con l'appro- vazione dell'Atto Unico; che, in mancanza di proposte formali della Commissione, va a far- si benedire quel (poco) potere che è stato con- cesso al Parlamento Europeo con la c.d. pro- cedura di cooperazione prevista dall'Atto Unico.

Cosicché il Parlamento Europeo (o piutto- sto una parte, importante, di esso) si trasfor- ma rapidamente in un parlatoio, facendo in- tendere al Consiglio e alla Commissione che l'opera di «normalizzazione» nei suoi confronti può essere condotta a termine senza troppe dif- ficoltà.

A questo stato di cose non è estranea - ed è questa la seconda valutazione che deve esse- re svolta - la commissione istituzionale, i cui membri più autorevoli non si sono certamen- te prodigati per sensibilizzare i gruppi politici sulla centralità della questione istituzionale e per raccogliere quindi il necessario consenso in vista del dibattito in sessione plenaria. Le discussioni, spesso ripetitive e confuse, svol- tesi in commissione per oltre un anno (febbraio 1986-marzo 1987) hanno messo in evidenza una scarsa consapevolezza di molti parlamen- tari delle loro specifiche responsabilità, inde- bolendo in definitiva l'autorità acquisita dal- la commissione istituzionale dalla sua costitu- zione (gennaio 1982) fino all'adozione dell'At- to unico europeo.

Un contributo determinante è stato dato proprio da chi è stato chiamato a svolgere non un'opera preventiva di rriediazione al più bas- so livello e di ricerca di compromessi fuorvian- ti, bensì il compito più difficile ma indispen- sabile di definire - con pienezza di pensiero - la nuova strategia per l'unione e porre tut- te le forze politiche di fronte alle loro respon- sabilità. In effetti il democristiano belga Fer- nand Herman ha tessuto per un anno la tela di Penelope della sua relazione, palesemente a disagio fra, gli inviti alla prudenza della di- plomazia belga e gli appelli alla coerenza dei federalisti all'interno e all'esterno del Parla- mento.

È così che il prodotto delle riflessioni della commissione istituzionale e delle proposte del suo relatore, cioè la «relazione interlocutoria sulla strategia del Parlamento Europeo in vi- sta della realizzazione dell'unione europea», mostra evidenti i vizi di origine della mancanza di convinzione (di «impegno partigiano» direb- be Spinelli) da parte di coloro che saranno chiamati a convincere prima il Parlamento e poi le forze politiche nazionali ed i governi pri- ma delle elezioni del 1989.

Basterebbe effettuare un sondaggio di opi- nione fra quei parlamentari che hanno trasfor- mato il tema dell'unione europea in un ritor- nello buono per tutte le musiche, per dimo- strare la fondatezza di questa valutazione.

Se dunque l 'invol~~cro del rapporto Herman potrebbe essere considerato, a seguito di un esame superficiale, come il frutto di un rinno- vato impegno del Parlamento a lottare per 1'U- nione europea, i seguenti vizi indeboliscono pericolosamente questo impegno e impongo- no uno sforzo accresciuto da parte delle forze federaliste, in Italia e in Europa.

1. I1 primo vizio concerne le ragioni che spingerebbero il Parlamento a richiedere e ad essere esercitate il ruolo di Assemblea costi- tuente per l'Unione europea. Dice il rapporto Herman:

«considerando che le istituzioni europee so- no ormai dotate di una duplice legittimità de- mocratica: la legittimità nazionale, che si ma- nifesta nell'ambito del Consiglio dei Ministri attraverso governi che dispongono della fidu- cia dei rispettivi parlamenti e la legittimità co- munitaria che si esprime tramite il Parlamen- to eletto a suffragio universale diretto e di fronte al quale la Commissione è responsabi- le» e aggiunge:

«considerando che in quest'ottica il Parla- mento può legittimamente redigere e propor- re il progetto di Unione europea, che deside- rerebbe esercitare tale diritto in stretta colla- borazione con i governi e gli altri organi il cui concorso è necessario per la ratifica del pro- getto da parte dei Parlamenti nazionali». Avendo gettato nel grande calderone della le- gittimità democratica i governi nazionali ed il Consiglio, i parlamenti nazionali, il Parlamento Europeo e la Commissione, perde buona par- te del suo valore la rivendicazione costituente del Parlamento Europeo e riacquista piena li- gittimità la pretesa di governi e amministra- zioni nazionali di sottoporre il processo di tra- sformazione della Comunità in Unione al loro effettivo controllo.

2. I1 secondo vizio è evidentemente una conseguenza del primo. Dice il rapporto Herman:

«I1 Parlamento Europeo ritiene che, per agi- re nel modo migliore, il Consiglio europeo op- pure i governi degli Stati membri dovrebbero

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affidare al Parlamento eletto, e in particolare a quello che uscirà dalle prossime elezioni, il compito di redigere un progetto di Unione eu- ropea, con il concorso delle istituzioni comu- nitarie, da sottoporre alla ratifica delle auto- rità nazionali competenti)) e aggiunge:

«I1 Parlamento Europeo dichiara che, co- munque, è suo dovere nei confronti dei propri elettori continuare la sua azione a favore del- l'Unione europea partendo dal progetto di Trattato approvato il 14 febbraio 1984, dal- l'Atto Unico e da un primo bilancio della sua applicazione, dalle indicazioni che avrà raccol- to presso i parlamenti nazionali ed eventual- mente dai grandi orientamenti espressi nell'at- to del Consiglio o dei governi che attribuirà al Parlamento tale compito». Quante subordi- nate e sotto-subordinate, onorevole Herman! E in quale ginepraio si andrebbe a cacciare il Parlamento Europeo se si avventurasse sul per- corso tortuoso indicato da Herman e dalla Commissione istituzionale. Proviamo a seguir- lo, passo passo.

A. I1 Parlamento ritiene che la via migliore è quella di affidare al Parlamento eletto (su- bordinata) in particolare a quello che usci- rà dalle prossime elezioni il compito di re- digere un progetto di Unione.

B. Questo compito dovrebbe essere affidato: - dal Consiglio europeo o - dai governi degli Stati membri.

C. Il progetto deve essere redatto con il con- corso delle istituzioni comunitarie.

Se la via indicata sub A e specificata sub B e C non potesse essere percorsa, il Parla- mento Europeo:

D. continuerà la sua azione a favore dell'U- nione partendo - dal progetto del 14 febbraio 1984 - dall'Atto Unico - da un primo bilancio della sua appli-

cazione - dalle indicazioni che avrà raccolto pres-

so i Parlamenti nazionali - dai grandi orientamenti espressi - nell'atto del Consiglio - o dei governi.

Resta naturalmente inteso che, se non po- trà essere percorsa la via migliore (sub A) o quella subordinata (sub D), si possano e si deb- bano percorrere altre vie qui non specificate ma ricorrenti nelle riflessioni dei membri del- la commissione istituzionale (una conferenza intergovernativa entro il 1922, una revisione del progetto del 14 febbraio 1984 eventual- mente effettuata da un organo parlamentare sui generis, ecc.).

3 . Il terzo vizio concerne l'indeterminatezza relativa alle procedure di consultazione dell'o- pinione pubblica. Dice il rapporto Herman: «I1 Parlamento Europeo ritiene che potrebbe es- sere opportuno che i cittadini europei potes- sero avere la possibilità di pronunciarsi sulla trasformazione della Comunità in Unione; in- vita la commissione istituzionale a studiare i mezzi tramite i quali i cittadini potrebbero esprimersi direttamente in merito all'adozio-

ne dell'unione europea)). Al vizio dell'indeterminatezza si accompa-

gna il fatto che lo stesso Herrnan si è chiara- mente pronunziato (durante la discussione in commissione sulla proposta di risoluzione di Roelants du Vivier e sul documento di lavoro di Bru Puron, ambedue relativi alla questione del referendum) contro qualunque ipotesi di consultazione popolare europea sul ruolo co-

stituente del Parlamento Europeo e sull'unio- ne europea.

Se dunque i difensori dell'ordine novo nel Parlamento Europeo si battono tepidamente, spetta ora ai federalisti al di fuori del Parla- mento Europeo di impegnarsi partigianamen- te, per rendere meno incerti e malsicuri colo- ro che hanno mostrato così sciocca paura de- gli avversari.

Filo diretto con il Parlamento Europeo

Herman: il Parlamento per la riforma istituzionale della Comunità

I singoli Stati rnembri della CEE non sono più in grado di risolvere da soli il problema della disoccupazione, della protezione dell'ambiente, della sicurezza. Il maggior problema era rappresentato dalle difficoltà di convincere la gente che l'Atto unico non è sufficiente

Il 24 marzo scorso, a Roma, la Commissione istituzionale, ha adottato con 21 voti favorevo- li, l contrario e l as~ensione, la pvoposta di viso- luzione sulla strategia del Parlamento Europeo in vista dell'unione Europea.

Subito dopo il voto abbiamo avvicinato il velatore-coordinatore della proposta di risoluzio- ne, il pavlamentare belga Fvancois Hemzan (PPE) al quale abbiamo chiesto di commentarci gli aspetti piu impovtanti della strategia che la Com- missione istituziona2e intende attuare pev istitui- re una vera Unione Euvopea.

È ormai passato un anno da quando Altiero Spinelli, pvonunciando il suo ultimo discorso il 4 febbario del 1986, davanti ai membri della Commissione istituzionale, ha indicato la nuo- va stvategia del Parlamento Euvopeo per conti- nuare la battaglia per l'Unione europea.

Dopo un anno di lavoro, la strategia della Commissione istituzionale è definita in un do- cumento che dovrà essere adottato dallJAssem- bleu di Strasbuvgo in seduta plenaria.

Quali sono stati i principali pvoblemi affron- tati durante un anno di lavoro?

I1 principale problema è stato quello di ricrea- re all'interno del Parlamento Europeo un con- senso più largo possibile sulla necessità di con- tinuare la lotta per l'Unione europea.

Dopo la firma dell'Atto Unico si è provo- cata, infatti, in seno alllAula, una scissione to- tale: tutti quelli che avevano votato a favore del Progetto di Trattato si sono divisi. Una parte sosteneva che l'Atto Unico era una vit- toria o quantomeno un risultato positivo del quale bisognava sfruttare tutti i fattori di pro- gresso. Una parte sosteneva che l'Atto Unico era assolutamente insufficiente e che era ne-

cessario preparare immediatamente attraver- so le prossime elezioni europee del 1989, la battaglia per l'unità politica europea. Su que- sta seconda opinione è stato molto difficile rac- cogliere un largo consenso. I1 maggior proble- ma era rappresentato dalla difficoltà di con- vincere la gente che l'Atto Unico non è suffi- ciente a dotare la Comunità di quegli strumenti istituzionali capaci di creare finalmente uno spazio economico senza frontiere.

Alla fine, la nostra opinione ha avuto ragio- ne: oggi durante la votazione ci sono stati 21 voti favorevoli contro una sola astensione ed un voto contrario.

Questo vuol dire che all'interno del Parla- mento Europeo è stato nuovamente raggiun- to un consenso sulla necessità di continuare in- sieme la battaglia per la riforma istituzionale della Comunità.

Veniamo ora ai contenuti della proposta di ri- soluzione e alle sue motivazioni. La proposta di visoluzione ricorda che l'Atto Unico non istitui- sce l'Unione europea e che le ragioni di una più stvetta integvazione politica sono divenute più uv- genti. Vuole commentare meglio questo punto?

I singoli Stati membri della CEE non sono più in grado di risolvere da soli i problemi della disoccupazione, della protezione dell'ambien- te, della sicurezza. Questo è un dato oggetti- vo di ordine generale. Non dobbiamo, però, dimenticare che esistono argomenti di ordine particolare che giustificano la necessità e l'ur- genza dell'unione europea. Non fare 1'Euro- pa, per esempio, costa molto ai cittadini euro- pei. Si paga molto di più del bilancio comuni- tario per mantenere i controlli alle frontiere, impedire la libera circolazione dei lavoratori, impedire la libera contrattazione degli appalti pubblici su scala europea. I costi della «non- Europa» stanno divenendo troppo elevati. Vi è anche un'importante argomentazione di or- dine politico che riguarda il «deficit democra- tico europeo». Non si può dire, infatti, che la CEE è una comunità democratica, se la legge europea non rispetta le procedure democrati- che, cioé un processo legislativo nel quale il ruolo centrale è detenuto dal Parlmento Eu- ropeo.

C'è anche un argomento esterno alla CEE

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stessa: il ruolo che l'Europa comunitaria deve svolgere nei rapporti Nord/Sud e nei rapporti Est/Ovest. I problemi della sicurezza e del be- nessere economico sono irrisolvibili senza un'Europa veramente unita che parla con una sola voce.

Tutte quelle che ora ho esposto sono una serie di esigenze alle quali l'Atto Unico non è capace di rispondere. Ecco, in sintesi, le ra- gioni per le quali la necessità dell'unione eu- ropea si fa più urgente agli occhi dell'opinio- ne pubblica.

nità senza tenere conto di questa duplice le- gittimità.

I1 grave errore dell'Atto Unico firmato a Lussemburgo è stato quello di riformare i Trat- tati di Roma attraverso i soli governi nazio- nali. D'altronde, a mio modo di vedere, Spi- nelli commise un errore nel pensare che fosse possibile riformare la CEE attraverso il solo Parlamento Europeo.

La «sintesi» di tutto questo è rappresentata dal rispetto della duplice leggimità comunita- ria nel riformare in senso democratico la CEE in Unione europea.

C'è contraddizione tra la volontà del Parla- mento Europeo di sfruttare al massimo l'Atto Unico e la sua volontà di riprendere il processo In che modo il Parlamento Europeo potrebbe

costituente intewotto dopo a ad or ione del Pro- giocare un ruolo centrale e decisivo in questa nuo-

getto di Trattato di Unione? va iniziativa costituente?

Per noi della Commissione istituzionale non c'è contraddizione. Sappiamo benissimo che il problema della costruzione europea non è soltanto un problema istituzionale. Ci sono, come diceva molto tempo fa Jean Monnet, del- le ragioni molto concrete. Si vuole fare 1'Eu- ropa unita non solamente perché esiste un Par- lamento Europeo eletto a suffragio universale o una Commissione che è il vero esecutivo in in fieri della Comunità.

Si vuole l'Europa unita anche perché si vuo- le creare un grande mercato unico, una mone- ta europea e un sufficiente grado di coesione economica e sociale.

L'Europa unita non è solamente un grande disegno ideale, è anche il perseguimento della «politica di tutti i giorni)).

L'altro argomento richiama la dimensione temporale della lotta per l'Unione europea.

Per fare l'Europa unita è necessario del tem- po, è necessario che si sviluppi un processo po- litico ben determinato. Per sviluppare questo processo politico è, però, necessario utilizza- re gli strumenti che abbiamo a disposizione.

Sfruttare al massimo l'Atto Unico, non è dunque in contraddizione con un'azione a lun- go termine. L'Atto Unico è uno strumento a breve termine, l'Unione europea è un obietti- vo di medio e lungo termine. Dunque non c'è contraddizione nel perseguire gli obiettivi mi- nimalisti delllAtto Unico e continuare la bat- taglia per l'unione.

La proposta di risoluzione parla di rispetto del- la duplice legittimità democratica all'interno della CEE. L'evoluzione e la trasformazione della Co- munità in Unione europea non può che proce- dere nell'ottica di questa doppia legittimità. Ci può spiegare, on. Herman, in che modo la dop- pia legittimità sarebbe garantitu nel processo co- stituente che dovrebbe scatutire dalle prossimi ele- zioni europee?

Se è vero che la Comunità ha una legittimi- tà nazionale - i governi nel Consiglio dei Mi- nistri sono responsabili di fronte ai Parlamenti Nazionali - è altrettanto vero che la CEE ha anche una legittimità comunitaria, la cui espressione più tangibile è costituita dal Par- lamento Europeo che rappresenta gli interes- si dei cittadini europei che d'altronde eleggo- no direttamente i loro rappresentanti. Non può dunque esistere una vera riforma della Comu-

Coinvolgendo nella sua iniziativa l'opinio- ne pubblica europea, i partiti politici, i sinda- cati e tutte le forze vive con argomentazioni nuove, perché le vecchie motivazioni non so- no più sufficienti a giustificare l'esigenza di una più stretta integrazione politica.

Oggi l'opinione pubblica è preoccupata dalla crescente disoccupazione, dall'inquinamento ambientale. È nostro compito dimostrare che per risolvere questi problemi è necessaria un'Europa veramente unita.

Se noi saremo in grado di sensibilizzare l'o- pinione pubblica, quest'ultima sarà in grado, facendo pressione sui governi nazionali, di fa- re svolgere all'Assemblea di Strasburgo un ruo- lo centrale e decisivo.

Nella proposta di risolzrzione, lei ricorda le esperienze del passato. I precedenti errori devo- no essere ben valutati per intraprendere con rin- novato impegno la battaglia per L'Unione euro- pea. In particolare lei ricorda che al di fuori del Parlamento Europeo le forze del movimento e del progresso non hanno avuto la meglio sulle for- ze dell'immobilismo e degli interessi a breve ter- mine. In questa ottica, l'Assemblea deve giocare un ruolo essenziale nel guidare la sua battaglia anche e soprattutto con le forze vive della socie- tà europea. Quali sono i contatti che la Com- missione istituzionale dovrà prendere per cerca- re di raccogliere il necessario consenso esterno?

I1 nostro programma prevede tre tipi di ini- ziative.

La prima, che del resto è già cominciata, pre- vede dei contatti con i diversi Parlamenti na- zionali. I1 17/18 maggio il Presidente del Par- lamento belga convoca i presidenti dei Parla- menti nazionali per discutere con essi le linee strategiche della nostra azione.

La seconda iniziativa prevede dei contatti con il mondo universitario ed accademico. È nostra intenzione organizzare un colloquio in settembre a Bruxelles al quale inviteremo i maggiori specialisti in diritto europeo. Conti- nueremo ad avere dei contatti molto stretti con l'Istituto Universitario Europeo di Firenze, con il Collegio d'Europa di Bruges e con 1'U- niversità Libera di Bruxi:lles. I1 nostro obiet- tivo, in queste sedi, è quello di attuare un ul- teriore approfondimento sulla necessità di avanzare verso una maggiore integrazione po-

litica e sull'approfondimento del fondamento giuridico sul quale basare il nostro progetto.

La terza tappa prevede degli incontri, nel quadro del Comitato Economico e Sociale, tra 1'UNICE e la CES, cioé con le forze econo- miche e sindacali a livello europeo. Ma non è tutto: a Bruxelles, infatti, stiamo organizzan- do dal 28 al 30 giugno una grande manifesta- zione nella quale spiegheremo al pubblico, at- traverso l'uso di grafici e tabelle, i costi della non-Europa e le aberrazioni della politica agri- cola comune.

La costituzione degli Intergruppi federalisti in seno al Parlamento Europeo e all'interno dei sin- goli Parlamenti nazionali potrebbe avvicinare maggiormente l'opinione pubblica e le forze eco- nomiche e sociali all'esigenza di un più stretto grado di integrazione politica?

Sicuramente, io sono convinto che la costi- tuzione di questo «network» di intergruppi fe- deralisti rappresenta un passo avanti per con- vincere l'opinione pubblica a schierarsi dalla nostra parte nella battaglia per un'Europa uni- ta. Io sono anche favorevole alla creazione di organizzazioni di categoria che sono interes- sate in prima persona ali'unione europea, e mi riferisco soprattutto ai sindacati. Perché l'idea del grande mercato si è rivelata vincente nel- l'Atto Unico?

Perché le grandi lobbies economiche han- no spinto la Conferenza intergovernativa verso questa direzione.

Fino ad ora, i sindacati non hanno preso una posizione chiara nei confronti dell'unione eu- ropea. Essi sono convinti, infatti, che 1'Euro- pa è soprattutto un grande mercato capitali- sta. Bisogna dimostrare loro che solamente unlEuropa unita può conciliare la creazione di uno spazio economico senza frontiere con de- le politiche comuni di solidarietà sociale; che queste ultime non sono più attuabili a livello nazionale, dove l'ondata di neo-liberismo avrebbe facilmente ragione sulle esigenze di as- sistenza e protezione sociale.

In conclusione, quali sono le speranze di vit- toria?

Dopo oggi, (dopo l'adozione del rapporto Herman N.d.R.) io credo che non ci saranno delle difficoltà in sessione plenaria.

La proposta di risoluzione sarà certamente adottata dall'Assemblea. Voglio sottolineare ancora che il nostro problema principale è al- l'esterno dell'Europarlamento. Un momento decisivo sarà rappresentato dall'incontro del 17/18 maggio prossimo tra i presidenti nazio- nali che dovranno sostenere in maniera effi- cace l'iniziativa della Commissione istituzio- nale e dell'Intergruppo federalista.

Tutti insieme dovremo combattere affinché i Parlamenti nazionali dei singoli Stati mem- bri ci siano accanto in questa nostra nuova av- ventura e con essi l'opinione pubblica, i gran- di mezzi di informazione e le forze economi- che e sociali.

Intervista a cura di Roberto Santaniello

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I LIBRI

Una storia cli promesse tradite Paolo Barbi

L'Unione europea da Fontainebleau a Lussem- burgo - Storia di una occasione mancata, Società editrice napoletana - Napoli 1986

Coloro - studiosi, politici e cittadini im- pegnati nella difficile azione per l'Unione eu- ropea - che già ora, o in futuro, vorranno do- cumentarsi su un periodo particolarmente im- portante ed emblematico, nelle sue luci e nel- le sue ombre, del faticoso cammino del pro- cesso unitario del nostro continente, non po- tranno esimersi dalla lettura di questo libro. Non il solo che affronta l'arco degli avveni- menti succedutisi nella Comunità europea dal primo semestre 1984 alla fine del 1985, ma certamente prezioso e attendibile perché vis- suto in prima persona dall'autore, attualmen- te presidente della commissione «Unione eu- ropea» del PPE (la DC europea) e dotato di una lunga esperienza fatta in seno al Parlamen- to Europeo come Presidente del Gruppo eu- ropeo del PPE.

Perché sono importanti ed «emblematici» gli eventi compresi tra il 1984 e la fine del 1985? Paolo Barbi conduce il lettore, anche quello «non addetto ai lavori», a rendersene conto, ponendolo a contatto con vicende riguardanti le istituzioni europee e l'atteggiamento dei go- verni nazionali e delle forze politiche. Sempli- cità di esposizione congiunta con una rigoro- sa precisione di documentazione sono i pregi di quest'opera che può considerarsi la breve e appassionata storia delle speranze e delle de- lusioni, dei successi e delle sconfitte degli eu- ropeisti impegnati nella più recente battaglia per la costruzione dell'unità e della pace dei nostri popoli.

Narrazione non puramente restrospettiva e non semplicemente espositiva, ma analisi del- le cause, delle concatenazioni tra istituzioni e forze, tra livello europeo e realtà nazionale, tra grandi disegni e miopi comportamenti, tra po- litica e diplomazia, tra grandi occasioni stori- che e piccolo cabotaggio.

I lettori di «Comuni d'Europa» conoscono già il filo conduttore che si snoda tra il Consi- glio europeo di Fontainebleau, a chiusura del- la presidenza francese della Comunità europea (giugno 1984), e quello di Lussemburgo (di- cembre 1985): nelle pagine di questa rivista detti avvenimenti, e in particolare, l'anello in- termedio del Vertice di Milano (giugno 1985), sono stati presentati e valutati con tempesti- va assiduità. Non è quindi necessario (né sa- rebbe possibile per ragioni di spazio) riassu- mere il libro di Barbi: vogliamo invece fare al- cuni riferimenti espliciti allo spirito che lo ani- ma, riportando testualmente alcuni passi signi- ficativi del libro.

«L'Unione europea, concepita a Strasburgo, avviata a Fointainebleau, lanciata a Milano,

è stata bloccata a Lussemburgo. E chissà per quanto tempo! De Gasperi nel '54, commen- tando amaramente la caduta della C.E.D. pro- fetizzò che sarebbero passati decenni prima che si ritornasse sulla via dell'unione politica europea. C'è da auspicare che la profezia non debba esser riconfermata anche ora.

L'Atto Unico europeo varato a Lussembur- go certamente non dà vita a quell'unione eu- ropea che era stata progettata dal P.E. e che molti - non solo i federalisti, non solo gli idealisti, ma anche governi e parlamenti na- zionali - avevano considerato necessaria».

«Al vertice di Lussemburgo è prevalsa l'o- pinione che non si dovesse procedere «a me- no di Dodici», cioé all'unanimità. Ci si è ras- segnati a subire l'imposizione della minoran- za: un vero e proprio ricatto politico.

Non si tratta, infatti, solo di un fatto for- male - la mancata trasformazione della d o - munità economica» in «Unione politica» - ma soprattutto della sostanziale rinuncia a far fun- zionare efficacemente anche quel poco di iini- tà che finora gli Europei sono riusciti a met- tere in opera: perché questo è il motivo reali- stico - tutt'altro che utopico, tutt'altro che astratto - che aveva indotto il P.E. ad ela- borare il suo progetto.

Ed è stato giustamente rilevato che quel pro- getto non era né massimalista né intempesti- vo: basti pensare alla moderazione delle pro- poste e alla gradualità prevista per la loro at- tuazione; basti ricordare che il processo di in- tegrazione europea è iniziato almeno 35 anni or sono e l'impegno di trasformare la Comu- nità in Unione europea fu preso solennemen- te da un «vertice» già nel '72 a Parigi; basti considerare che da sei i membri sono diventa- ti dodici e che non c'è paese europeo in cui i sondaggi di opinione non registrino una sem- pre crescente volontà unitaria (ed il recente re- ferendum lo ha confermato persino in Dani- marca).

Non si trattava di assecondare le speranze della «retorica federalista» - come ama espri- mersi la Thatcher -- ma di mettersi in condi- zione di fronteggiare realisticamnete le esigen- ze concretissime dell'economia e della sicurez- za di tutti gli Europei.

Si è creduto di poterlo fare con qualche pic- colo ritocco ad un sistema istituzionale che ha dimostrato, negli ultimi anni, tutta le sua ina- deguatezza e la sua inefficacia.

Così al tanto sbandierato ed atteso «salto di qualità» si è preferita, ancora una volta, la via dei «piccoli passi», perché quasi tutti i ca- pi di governo sulle ragioni politiche hanno la- sciato prevalere le pressioni di quanti - di- plomatici, burocrati, talune «lobbies» banca- rie e finanziarie - esprimevano gli interessi particolari delle amministrazioni nazionali e avevano forti motivi per diffidare, almeno in quel momento, di un'unione politica europea più stretta ed efficiente».

Non è valsa a contrastare questa tendenza la buona volontà e la coerenza del governo ita- liano e, in particolare, del suo Ministro degli esteri, Andreotti.

Libro pessimistico dunque quello di Barbi? Diremo piuttosto «libro politico», che cono- sce i grandi obiettivi, che prende atto degli

scacchi e delle battaglie perdute, ma non vi si rassegna, che sa che in politica (come del re- sto nella vita) bisogna saper continuamente ri- cominciare con tenacia. Nel futuro - così ter- mina il libro - «tutto resterà affidato al com- portamento degli Stati, dei loro governi, dei parlamenti nazionali: e soprattutto delle for- ze culturali, sociali e politiche che li alimenta- no e li sostengono. Solo se queste sapranno tro- vare la ispirazione illuminata e il giusto orien- tamento, solo se queste sapranno dare il vigo- roso impulso d'azione politica, il processo uni- tario riprenderà la sila marcia e giungerà alla sua meta.

È da credere che così sarà: perché nessuno è mai riuscito a bloccare con artifici di proce- dura e con manovre politiche lo slancio vitale dei popoli, specialmente quando è stimolato da una dura realtà economica, sociale e politi- ca com'è quella che preme implacabile sull'Eu- ropa da Ovest, da Sud e da Est».

Gianfranco Martini

Autogoverno e solidarietà in Spagna José M.a Gil Robles, Contro] y autonomias, Editorial Civitas S. A. - Madrid 1986

I1 libro viene recensito per dile motivi: uno riguardante il suo contenuto - e le rapide con- siderazioni che seguono dovrebbero essere suf- ficienti a confermarne l'interesse - e l'altro concernente la persona dell'autore.

José M.a Gil Robles è figlio di una perso- nalità politica ben nota in Spagna, caratteriz- zata da varie esperienze, talvolta anche oggetto di contestazione, pervenuto ad una tenace op- posizione al franchismo, promotore di una del- le componenti di quello che, negli anni '60, aspirava ad essere un vasto movimento di pen-

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siero e di azione di ispirazione democratica cri- stiana e che le vicende successive, ed anche al- cuni errori politici, hanno poi in parte vanifi- cato. José Gil Robles ha vissuto profondamen- te l'esperienza familiare e in essa è cresciuto, con forti interessi per una dimensione anche culturale della politica, più frequente in periodi clandestini o in chi non è investito di dirette responsabilità di partito.

Ma accanto alla dimensione politica si è ag- giunto in Gil Robles un vivissimo interesse per i problemi giuridico-istituzionali, essenziali specie quando, uscendo da una lunga dittatu- ra (e ne sappiamo qualcosa noi italiani) la ri- costruzione della democrazia richiede non so- lo generoso impegno e talvolta eroismi perso- nali, ma anche lucida visione dei nodi costitu- zionali del nuovo assetto, approfondite com- petenze, ricerca del nuovo nella persistenza di alcuni valori irrinunciabili.

A prima vista il titolo, «Contro1 y autono- mia~», sembra riduttivo e specialistico: la stessa presentazione del quarto di copertina dell'e- dizione originale spagnola precisa che l'ogget- to dello studio è l'analisi sistematica degli stru- menti, meccanismi e procedimenti di control- lo riguardanti le «Comunità Autonome» della Spagna democratica. Ma ben presto la lettura recupera la dimensione «politica» e non solo giuridica del testo. La definizione di «control- lo» assunto dall'autore va ben al di là di quel- la tradizionale (nella quale traspare l'idea di supremazia del controllante sul controllato), per ricercare il significato e le condizioni di

un autentico Stato delle autonomie. La tentazione (che l'autore ravvisa nel si-

stema attualmente vigente in Spagna, ma che è ben presente anche in Italia) di attuare i cor- retti principi di uno Stato delle autonomie con- trapponendo autogoverno e solidarietà, oppure coordinamento e rispetto delle competenze, conduce - sottolinea l'autore - ad una iper- giurisdizionalizzazione, spingendo il Tribunale costituzionale spagnolo (più o meno la nostra Corte costituzionale) a risolvere continuamen- te conflitti che dovrebbero trovare soluzioni in via di concertazione preventiva.

Questo risultato ha però bisogno di una par- ticolare sensibilità delle stesse forze politiche che operano sia al centro dello Stato, sia nelle autonomie, nella convinzione che l'ordinamen- to giuridico-politico è unico e che esso inclu- de l'organizzazione proprla della «nazionalità» (ad esempio, Catalogna e Paesi Bassi), delle «regioni» che lo compongono e degli altri enti

territoriali dotato di un grado diverso di au- toqomia.

E emblematica - e segno del diffondersi, in diversi contesti culturali e politici, di una sostanziale convergenza di opinioni - la ri- flessione con la quale si chiude il libro e che testualmente riportiamo.

«Se trata, simplemente, de aplicar a nivel interno las mismas técnicas que han ido per- mitiendo la construccion de la unidad europea, fundada en la diversidad y basada en la tran- sferencia de competencias a una autoridad de ambito mas amplio, en e1 equilibrio y la con- certacion.

Técnicas que parten de una filosofia del con- trol que prima su papel de garantia para e1 ciu- dadano sobre e1 instrumento de lucha por e1 poder. Nuestra Constitucion, responde, como se ha puesto de manifiesto, a esta misma filo- sofia. Queda, por tanto, la esperanzadora ta- rea de traducirla cada dia mas a la pr ic t ica~.

M.G.

L'idea d'Europa nel movimento di liberazione

(continua da pag. I I )

ma che vi fu una lotta comune di tutti gli Eu- ropei, Tedeschi compresi, contro il Nazismo.

Resistente europeo, riprendo il discorso ini- ziale, entrai nel Movimento Federalista Euro- peo invece per un motivo, non disdicevole, di solidarietà di parte. Democristiano volli appog- giare De Gasperi nella sua battaglia per la C.E.D. Ma ben presto capii le ragioni non mo- mentanee ma profonde e validissime della bat- taglia federalista di cui la C.E.D. era impor- tante capitolo e di cui De Gasperi era promo- tore saggio, ma che non si esaurivano certo in quell'episodio. Era ineluttabile che De Gaspe- ri, che io passassimo dalla vaga enunciazione del 1943 a un impegno pieno. Così le ultime giornate della vita di De Gasperi furono spe- se per far progredire l'Europa, per la sua uni- tà, ed io, sentitomi subito in consonanza colle battaglie federaliste, considero trent'anni do- po la morte di De Gasperi uno degli scopi fon- damentali della mia vita la Federazione Euro- pea. L'ineluttabilità del nostro impegno per l'Europa ha radici nella nostra cultura e for- mazione. Quando acquistavo, durante la guer- ra, l'osservatore Romano per i giudizi di Gui- do Gonella sulla guerra, sul nazionalismo, sulla libertà facevo una cosa che molti italiani face- vano allora, cattolici e non cattolici. Ma per me non era solo informazione e spiegazione, ma conferma e integrazione a quanto avevo ca-

pito nella Federazione Universitaria Cattoli- ca Italiana (FUCI), era educazione. Lì, nei Messaggi Pontifici di quel periodo, e prima nei Codici di Malines e di Camaldoli, e così nei Principi di La Pira veniva condannato il con- cetto di sovranità totale, illimitata dello sta- to; veniva respinto in nome della dottrina cri- stiana lo «stato etico». Quando fui a contatto colla dottrina federalista mi resi subito conto che non bastava esser lì per aiutare De Gaspe- ri, ma che bisognava impegnarsi con continuità e dedizione per una battaglia chiaramente giu- sta e importantissima. Di cui considero picco- lo episodio anche questo nostro incontro.

Prima di chiudere sento il dovere di fare una terza affermazione cui tengo molto. H o detto che la Resistenza fu un fatto Europeo; ho detto che i Tedeschi, non meno degli altri popoli, ebbero una vastissima e generosissima Resi- stenza. Un'altra precisazione importantissima (su queste cose sto scrivendo: vorrei che dav- vero uscisse il libro che tento di scrivere) è che non è vero quello che spesso si fa credere, e cioé che la Resistenza fu soprattuto testimo- nianza, e aiuto solo pittoresco e marginale al- la vittoria contro il nazismo.

Se non vi fosse stata la Resistenza, può darsi che Hitler avrebbe vinto. La Resistenza è sta- ta un elemento decisivo per la vittoria. Non posso dilungarmi. Ma ricordo un esempio: le armi segrete decisive per la Germania Nazi- sta non si realizzarono grazie alla Resistenza, che determinò un ritardo decisivo.

Spero che vi aspettaste da me un discorso come quello che ho fatto, e vi ringrazio per avermi ascoltato. Grazie di cuore.

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