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Tzetzes

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Page 1: Mercati_BZ_Giambi Tzetzes

G I A M B I D I G I O V A N N I T Z E T Z E C O N T R O U N A D O N N A S C H E D O G R A F A

S. G. M E R C A T I / R O M A

La schedografia bizantina (του σχέδους ή τέχνη, lo εύρημα των νεωτέρων και της έφ' ημών γενεάς, come scrive Anna Comnena),1 che ebbe cultori let-terati come Teodoro Prodromo, Niceta Eugeniano, Costantino Manasse (Michele Psello ricorda in una lettera τά χρήσιμα σχέδη, ών ποτε και αύτός σχεδογραφών Ιτυχον. Opera minora, edd. Kurz-Drexl II p. 40), e diversi maestri delle varie scuole costantinopolitane dei Santi Quaranta, di S. Teo-doro di Sforacio, di S. Maria di Chalcopratia, di S. Euplio, di S. Paolo, ecc., produsse senza dubbio buoni frutti nell'insegnamento elementare dell'orto-grafìa e ortoepia, della grammatica e del lessico mediante la lettura e il commento di determinati brani scelti da autori antichi o anche apposita-mente coniati. Se non che, applicata spesso pedantescamente ed esagerata-mente, sia coll'accatastare intorno ad un testo tradizionale una massa in-digesta di commenti lessicali, ortografici, morfologici e sintattici, sia col fabbricare nuovi testi con periodi estremamente lambiccati e contorti per poter accogliere il maggior numero possibile di costrutti, con incisi che si accavallano per mettere alla prova la perspicacia e la pazienza del discente, con predicati e complementi che si ammassano per accogliere il più largo materiale possibile e in certi casi assumono una tale estensione da far per-dere addirittura la forma del periodo (v. N. Festa, Longibardos. Byzan-tion 6 [1931] 107), aveva finito col suscitare in taluni disgusto e avversione, come in tempi anche recenti l'abuso dell'analisi grammaticale e logica e della lessicologia nelle nostre scuole.

Lo attesta la ben nota e discussa espressione di Anna Comnena είτα ρητορικής έπαρηγούσης έμοί κατέγν^ον της [του] πολυπλόκου της σχεδογρα-φίας πλοκής e lo conferma anche Giovanni Tzetze in più luoghi, ad esem-pio nelle Chiliadi, IX 710-712:

Kai γάρ έβαρβαρώθησαν oí πλείους σχεδουργίαις βίβλους άναγινώσκοντες των παλαιών ούδόλως, τών ¿μαθών καπήλων $έ πλοκή λαβυρινθ-ώδει μόνη τόν νουν προσέχοντες καΐ κεκαπηλευμένη,

dove si deplora l'abbandono della lettura dei testi antichi per badare agli intrecci labirintei di indotti contraffatori (v. Longibardos : νοθεία λόγων

1 Anna Comnena, Alexias X V 7. Su tutto il capitolo e sulla schedografia vedi K. Krumbacher, G L B ' p. 590 ss., F . Fuchs, Die höheren Schulen von Konstantinopel im Mittelalter, p. 44 ss., e G. Schirò, La schedografia a Bisanzio nei secoli X I - X I I e la scuola dei SS. X L Martiri. Bollettino della Badia di Grottaferrata 3 (1949) 1 1 ss.

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S. G. Mercati: Giambi di Giovanni Tzetze contro una donna schedografa 417

παλαιών ένασχολησώμεθα, Byzantion, 1. c. p. 104) o di esosi mercanti di schede (v. Cristoforo Mitileneo, Gedichte, ed. E . Kurtz, Leipzig 1903, n. 1 1 v. 9, 14, 16:

9 πωλών ταλάντου τοις μαθηταΐς τά σχέδη 14 άπεμπολεΐ μέν ουχί χαλκού τά σχέδη . . . ι6 χρυσοϋ δέ μάλλον ών φιλόχρυσος φύσει).

Piuttosto a questa sua avversione per la schedografia che ad ostilità verso la donna letterata crediamo sia ispirata una poesia giambica dello stesso Tzetze che si trova nel codice Vallicellano 103 (F 68) f. 22or (cfr. E. Mar-tini, Catalogo di manoscritti greci I parte II p. 183 ss.). È stata scritta nel margine esterno dalla stessa mano del secolo X I V , che ha vergato i fogli 210 ss. e a f. 2 l9 v -220 r ha aggiunto nel margine inferiore gli „Στίχοι (politici X V I I ) γραμματικού του Τζέτζου (fort. Johannis) Ίξίων καθαιρό-μενος." Questi versi sono senza dubbio di Giovanni Tzetze, perchè sono estratti dalle Chiliadi (VII 31-47). Non c'è ragione plausibile per escludere, a favore di Isacco Tzetze, che i dieci στίχοι του Τζέτζου κατά γυναικός σχεδογραφούσης appartengano, come i precedenti, allo stesso Giovanni, che già altre volte sfogò in giambi il suo malumore : v. S. Pétridès, Vers inédits de Jean Tzetzès. Β. Z. 12 (1903) 568-570: ine. ' E x των τραγίσκων ούκ άμέλγεται γάλα. Qui però egli usa un linguaggio più garbato e meno arruffato.

« Invece del telaio, porti in mano il tomo, e invece della spola il calamo. Servi ad Ermes e sacrifichi a Calliope, ponendo in secondo luogo Afrodite. Che fai ? Non lo so, per i libri ! Svolgi il fuso, ordisci la trama, trai la conoc-chia e intreccia i fili.»

Non può sembrare che Tzetze abbia voluto svolgere garbatamente uno σχέδος sulla nomenclatura dell'arte tessile ? Quando poi afferma che «le lettere e la scienza si addicono ai maschi », fa appello all'autorità di Eschilo : « Te ne persuada il buono e bravo Eschilo che dice : Se ne occuperà l'uomo, la donna non ci pensi ».

Questa citazione, che coli'epiteto di καλός dato al poeta tragico viene a confermare l'ipotesi di C. Dahlen, Zu Johannes Tzetzes' Exegesis der Hesiodeischen Erga, Uppsala 1933, p. 56: Aischylus scheint dem Tzetzes mehr als Euripides gefallen zu haben, si riferisce al verso 200 s. dei Sette contro Tebe, dramma che Tzetze nomina espressamente nelle Chiliadi IV 982:

Ό παις του Εύφορίονος, δ τραγικός Αισχύλος έν δράματι δ λέγεται 'Επτά οί επί Θήβας.

Dal confronto dei due versi di Eschilo:

μέλει γαρ άνδρί· μή γυνή βουλευέτω, τχξωθεν· ένδον δ' οδσα μή βλάβην τίθ«ι,

col verso nono della poesia di Tzetze

μέλλει γάρ άνήρ· μή γυνή βουλευέτω, 27 Byzant . Zeitschrift 44 (1951)

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418 S. G. Mercati: Giambi di Giovanni Tzetze contro una donna schedografa

sorgerebbe subito l'idea di restituire in questo la lezione che si trova in Eschilo. Ma non si può pensar che Tzetze abbia proprio mutato il μέλει. - άνδρί in μέλλει - άνήρ per dare al verbo il soggetto venuto a mancare con l'omissione di τάξωθεν che non poteva essere contenuto nel verso? Che poi non si debba scartare il μέλλει considerandolo dovuto al solito raddoppia-mento della liquida, lo consiglia la costruzione di μέλλω con l'omissione, per brachilogia, del verbo dipendente, che facilmente si può ricavare dal contesto: cioè μέλλει γάρ άνήρ βουλεύειν, μή γυνή βουλευέτω. Cfr. Tucidide VII 45 τι μέλλετε ευθύς πράττετε e Kühner-Gerth II § 597h.

Ecco infine il testo (dal codice Vallicellano gr. 103 [F. 68] f. 220):

Στίχοι του Τζέτζου κατά γυναικός σχεδογραφούσης

1 'Αντί μεν ίστοϋ τί»ν τόμον χερσί φέρεις, τον κάλαμον δ' αύ άντί κερκίδος, γύναι· Έρμη λατρεύεις και θ-ύεις Καλλιόπη έν δευτέρω τιθ-εΐσα τήν Άφροδίτην.

5 τί χρήμα σύ δρας ; άπορώ μα τάς βίβλους· άτρακτον άφέλισσε, μηρύου κρόκην, ήλακάτην μέτελθε καί μίτους πλέκε, λόγοι δέ καί μάθησις άνδράσι πρέπει, 'μέλλει γάρ άνήρ, μή γυνή βουλευέτω*

ΙΟ ó καλός Αισχύλος σε πει&έτω λέγων.

5 άπορων in textu: άπορώ in marg. emend. Cfr. Aeschyli Septem contra Thebas v. 200.

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