metodologia della critica musicale la musica di miles davis: aspetti
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Metodologia della critica musicale
La musica di Miles Davis: aspetti e problemi critici
Miles Davis
Miles Davis (Alton, IL 1926 – Santa Monica, CA1991)
Studi a East St. Louis
1945, New York: brevemente alla Juilliard School of Music, sideman con Billy Eckstine, Charlie
Parker, Dizzy Gillespie e altri.
1947-48: membro stabile del quintetto di Parker e partecipazione al workshop di Gil Evans che
culmina nel
1949-50: registrazioni, firmate come leader di Birth of the Cool con Gerry Mulligan, Johnny Carisi,
John Lewis, Lee Konitz…
1949-54: varia attività con musicisti bebop (a parte Parker e Gillespie, J.J. Johnson, Horace Silver,
Sonny Rollins, Thelonius Monk, Milt Jackson) e dipendenza dall’eroina
1955-57: I quintetto con John Coltrane (ts), Red Garland (p), Paul Chambers (b), Philly Joe Jones
(d)
Relaxin’, Steamin’, Workin’, Cookin’,’Round Midnight (tutti del 1956)
1957: a Parigi, musiche per Ascenseur pour l’échafaud di Louis Malle
Ancora con Gil Evans: Miles Ahead (1957)
1957-59: il quintetto è ampliato a sestetto con Julian Cannonball Adderley (ts, as), a Red Garland
succedono Wynton Kelly e Bill Evans (p), e a Philly Joe Jones succede Jimmy Cobb (d)
Milestones (1958), Porgy and Bess (1958), Kind of Blue (1959), Sketches of Spain (1959-60)
Lasciano Miles per formare gruppi propri: Bill Evans (1958), Julian Cannonball Adderley (1959),
John Coltrane (1960), Kelly con Chambers e Cobb (1962) e nei primi anni Sessanta Miles impiega
nelle sue formazioni diversi musicisti tra cui Victor Feldman (p), George Coleman e Sam Rivers
(ts)
1963-68: II quintetto con Wayne Shorter (1964-70), Herbie Hancock (1963-68), Ron Carter (1963-
68), Tony Williams (1963-69)
1968-69: popolarizzazione del jazz-rock o della fusion, inizio del periodo elettrico
In A Silent Way, Bitches Brew (1969)
Fine anni Sessanta-inizio anni Settanta, numerosi musicisti entrano nella – ed escono dalla – band di
Miles: Chick Corea, Joe Zawinul, Keith Jarrett (p/k), John McLaughlin (g), Miroslav Vitous, Dave
Holland, Michael Henderson (b), Jack DeJohnette, Billy Cobham, Al Foster, Airto Moreira (d/p),
Bennie Maupin, Steve Grossman, Gary Bartz, Dave Liebman (s)
1975-80: ritiro dalle scene, malattie, depressione
1981: ritorno con nuovi gruppi
Giovani nuovi musicisti che entrano nella band: i saxofonisti Bill Evans (1980-84), Branford
Marsalis (1984-85), Bob Berg (1985-87) e Kenny Garrett (dal 1987), i chitarristi Mike Stern (1981-
83), John Scofield (1982-85), il tastierista Bobby Irving III (1980 e dal 1983). Negli anni Ottanta
molti musicisti che suonano con Miles non provengono più dal jazz ma piuttosto dal rock o da altri
tipi di musica.
- La musica di Miles: continuo rinnovamento, apertura a sollecitazioni diverse nel corso dei
decenni, cambi di direzione che spesso hanno disorientato la critica (Duke Ellington: Miles Davis è
“il Picasso del jazz”). Dal bop al cool (1949-50) allo hard bop (anni Cinquanta) al jazz modale
(1958-59) alla fusion (1969) sino al pop (1980-91): percorso che attraversa la storia del jazz
moderno, ne anticipa e ne segna alcune svolte essenziali
- Miles talent scout e il rapporto complesso e controverso con i suoi sidemen
- Miles compositore: aspetto multiforme e problematico, spesso non chiarito da quanto dichiarato
nelle registrazioni:
1) Autore di temi come Boplicity, Milestones, So What, All Blues, Freddie Freeloader, Nardis
2) Leader che si appropria di brani composti in realtà dai suoi sidemen come Blue in Green (di Bill
Evans) e forse anche Solar (in origine Sonny di Chuck Wayne)
3) Leader che sviluppa, modifica e amplia idee dei suoi sidemen come Flamenco Sketches (da Bill
Evans) o In A Silent Way (da Joe Zawinul), prassi di appropriazione-collaborazione creativa poi
diventata comune nel periodo fusion
4) Personalità complessa, contraddittoria, controversa tanto nell’attività musicale quanto nella vita:
egocentrico e insicuro, carismatico e sensitivo, orgoglioso e autodistruttivo, irascibile e scontroso e
ironioco e giocoso…Gli aggettivi per definirlo potrebbero essere infiniti.
* The Miles Davis Story DVD Video, Mike Dibb Producer/Director Legacy 82876898679, 2001
Sin dagli esordi ricerca di una via alternativa allo stile dell’improvvisazione bop negli anni
Quaranta definito per la tromba da Dizzy Gillespie sia per una tecnica strumentale limitata – e in
ogni caso non paragonabile a quella di virtuosi come Gillespie e Roy Eldridge – sia per interessi
diversi. Definizione invece di alcune caratteristiche che rimarranno essenziali nel modo di suonare
di Miles anche nei decenni a venire:
- melodie liriche e distese imperniate attorno al registro medio
- repertorio di licks limitato e ripetitivo al punto da far apparire molti assoli tanto “composti”
quanto “improvvisati”
- armonia conservatrice, in stretto accordo con l’accompagnamento (fino al II quintetto)
- sottile senso della distribuzione ritmica e delle sfumature espressive
- sordina harmon (dal 1954), suono divenuto una sorta di marchio distintivo di Miles
- impiego del flicorno in alternativa alla tromba (nelle registrazioni con Gil Evans)
Birth of the Cool (1949-50)
Serie di 12 registrazioni realizzate nel 1949-50 per la Capitol da Miles Davis come leader con un
nonetto e soltanto in seguito raccolte con il titolo editoriale Birth of the Cool (1957). In origine i
pezzi furono pubblicati su 78 giri e per questo durano all’incirca 3’ ciascuno (poi in LP, 1964, 1957,
1971) Le registrazioni si avvalgono di musicisti di grande valore, utilizzano un organico inusuale,
arrangiamenti innovativi influenzati dalla musica eurocolta e sono considerate in genere come uno
sviluppo molto significativo del post-bebop e come l’inizio del cosiddetto cool jazz.
All’origine ci sono gli incontri informali dei musicisti nell’appartamento di Gil Evans nella 55a
strada (non lontano dai jazz club dalla 52a): Evans aveva acquistato grande reputazione come
orchestratore dell’orchestra di Claude Thornhill e agiva da catalizzatore nella ricerca di un nuovo
tipo di musica e sonorità. Come scrive Ted Gioia: “[The salon members] were developing a range
of tools that would change the sound of contemporary music. In their work together, they relied on
a rich palette of harmonies, many of them drawn from European impressionist composers. They
explored new instrumental textures, preferring to blend the voices of the horns like a choir rather
than pit them against each other as the big bands had traditionally done with their thrusting
[ambiziose] and parrying [combattive] sections. They brought down the tempos of their music . . .
they adopted a more lyrical approach to improvisation…” (Ted Gioia, The Birth (And Death) of the
Cool. Golden, Colo.: Speck Press, 2009, p. 83).
Evans all’inizio sperava che al progetto potesse lavorare Charlie Parker, poi comprese che Parker
non poteva essere interessato a un progetto collettivo anziché individuale, al suono di un ensemble;
l’incontro con Miles nell’estate del 1947 fu decisivo. Sarebbe stato Miles a dirigere il progetto; e fu
anche l’inizio di una lunga, fruttuosa collaborazione e amicizia. Decisiva fu anche l’ingresso nel
gruppo di Gerry Mulligan, che contribuì attivamente con Evans alla definizione dell’ensemble,
ampliando il consueto quintetto bop a un nonetto con l’aggiunta di sax baritono, trombone, corno,
tuba, accoppiando i fiati così da creare – come ricorda Mulligan – tre diversi registri per gli
strumenti melodici (omettendo, tra l’altro, in modo piuttosto inusuale il sax tenore in favore del
contralto) e una sorta di orchestra in miniatura, ricca di colori diversi, con 6 fiati e 3 strumenti per la
sezione ritmica:
Quintetto bop Nonetto Birth of the Cool Tromba Sax contralto
Tromba Registro acuto Sax contralto + Sax baritono Registro medio Trombone + Corno Registro grave Tuba
Sezione ritmica Pianoforte Basso Batteria
Sezione ritmica Pianoforte Basso Batteria
Le idee sonore che ispirarono questa formazione derivavano in larga misura dall’orchestra di
Claude Thornhill (da cui provenivano Gerry Mulligan e Lee Konitz), famosa per le sue sonorità
impressionistiche, la raffinatezza delle dinamiche e delle armonie e per un particolare uso della
strumentazione (con corni e tuba), nonché per uno stile esecutivo senza vibrato. Gil Evans ricorda
che “Miles had liked some of what Gerry and I had written for Claude. The instrumentation for the
Miles session was caused by the fact that this was the smallest number of instruments that could get
the sound and still express all the harmonies the Thornhill band used. Miles wanted to his idiom
with that kind of sound”(Stephanie Crease, “Gil Evans: Forever Cool." Down Beat, May 2012. p.
33).
Davis, Evans e Mulligan iniziarono poi a chiamare i musicisti; Davis era alla tromba e Mulligan al
sax baritono; per il sax contralto Miles pensava a Sonny Stitt, il cui suono molto bop s’avvicinava a
quello di Charlie Parker, per cui poi fu ingaggiato per il suo suono leggero Lee Konitz,
dell’orchestra di Thornhill, da cui furono chiamati anche molti altri sidemen. Altri musicisti furono
chiamati dai gruppi bop attivi a New York in quel periodo: il trombonista J.J. Johnson, i pianisti
John Lewis e Al Haig, i batteristi Max Roach e Kenny Clarke.
Ingaggio al Royal Roost per due settimane nel settembre 1948, dove Pete Rugolo ascolta il gruppo e
gli propone di realizzare alcune registrazioni per la Capitol: tre sessioni tra il 1949 e il 1950 con soli
quattro musicisti presenti a tutte e tre (Miles, Mulligan, Konitz e il suonatore di tuba John Barber);
altri musicisti di rilievo a prendere parte alla registrazione furono Kai Winding al trombone e
Gunther Schuller al corno.
Fonte generativa di successive esperienze per Davis e molti degli altri partecipanti alla registrazione
a dispetto del fatto che il nonetto suonò poco dal vivo prima della registrazione stessa e che questa
rimase unica. Rapporto dialettico con il bop – da cui peraltro l’esperienza in questione
indubitabilmente nasce – per cercare di superarne alcuni aspetti: in particolare gli arrangiamenti
elementari, le sonorità aggressive e le strutture esecutive dei piccoli gruppi.
1. Approccio alla scrittura per ensemble che conserva la freschezza e immediatezza
della musica improvvisata con fusione di elementi bop con altri aspetti: suono senza
vibrato, sottili sfumature ritmiche, tentativo di ottenere una ricchezza di colori e
varietà nella tessitura simile a quella di una grande orchestra usando però un numero
limitato di strumenti.
2. Integrazione più equilibrata e più fluida tra scrittura e improvvisazione di quanto non
avvenisse nel bop: da un lato l’arrangiamento guida e vincola il solista che d’altro
lato restituisce e risolve l’improvvisazione in riferimento alla sezione scritta che
segue.
Certo musica non cool nel senso di musica “fredda”, ma musica lucida, controllata, precisa questo
sì. Tessitura trasparente e spaziosa, articolata con sottigliezza nella compresenza di linee diverse
(dimensione polifonica) e concezione coerente in tutti gli aspetti: presentazione e sviluppo dei
materiali tematici attraverso una sequenza organizzata di sezioni dei pezzi o parti strumentali scritte
e improvvisate. Al di là della qualità degli assoli, ciò che più connota la musica del nonetto è
appunto l’integrazione, l’equilibrio tra lo scritto (ciò che è prearrangiato, predeterminato) e
l’improvvisato.
La registrazione reca il segno soprattutto di Miles, Mulligan, Evans e John Lewis come compositori
e arrangiatori: per quanto riguarda gli arrangiamenti Mulligan contribuisce con 6 brani, Lewis con
3, Evans con 2, Johnny Carisi con 1.
Track list
Arrangements by the composer unless otherwise noted.
1. Move (Denzil Best, arranged by John Lewis) – 2:32 2. Jeru (Gerry Mulligan) – 3:10 3. Moon Dreams (Chummy MacGregor, Johnny Mercer, arranged by Gil Evans) – 3:17
4. Venus de Milo (Mulligan) – 3:10 5. Budo (Miles Davis, Bud Powell, arranged by Lewis) – 2:32 6. Deception (Davis, arranged by Mulligan) – 2:45 7. Godchild (George Wallington, arranged by Mulligan) – 3:07 8. Boplicity (Cleo Henry, i.e. Davis and Gil Evans, arranged by Evans) – 2:59 9. Rocker (Mulligan) – 3:03 10. Israel (Johnny Carisi) – 2:15 11. Rouge (John Lewis) – 3:13 12. Darn That Dream (Eddie DeLange, James Van Heusen, arranged by Mulligan) – 3:26
Recording dates
• Tracks 1, 2, 5, and 7 –- January 21, 1949 • Tracks 4, 8, 10, and 11 –- April 22, 1949 • Tracks 3, 6, 9, and 12—March 9, 1950
Recorded at WOR Studios, New York, New York.
Una delle caratteristiche del nonetto è l’uso degli accoppiamenti tra gli strumenti. Per esempio in
Move John Lewis affida:
- melodia principale a tromba e alto sax;
- contrappunto melodico a sax baritono e tuba
- note d’armonia a corno e trombone.
In Jeru Mulligan manifesta un altro tratto tipico: l’impiego dell’unisono e di una ricca armonia dei
fiati. D’altro canto altri brani come Budo (con gli assoli di Miles, Mulligan, Konitz e Winding simili
a un head arrangement del bop). Moon Dreams è l’esempio di un pezzo scritto (arrangiato) per
intero, senza pianoforte.
Scarse ma generalmente positive reazioni al debutto del nonetto dal vivo al Royal Roost, per
esempio da parte di Count Basie. Winthrop Sargeant, critico di classica di The New Yorker,
paragonò il suono della band al lavoro di un “impressionist composer with a great sense of aural
poetry and a very fastidious feeling for tone color. . . The music sounds more like that of a new
Maurice Ravel than it does like jazz . . . it is not really jazz”, pur giudicandone la musica “charming
and exciting”. Tuttavia ampia influenza nel tempo delle registrazioni nel considerate come una via
nuova e percorribile, alternativa al bop.
All’inizio la Capitol pubblicò in 78 giri soltanto alcuni dei pezzi; 8 furono raccolti nel 1954, 11
(tranne Darn That Dream) nel 1957, tutti e 12 soltanto nel 1971.
Caratteri generali:
- vocabolario gestuale e linguaggio armonico del bop ma ripensati in una dimensione di attenuazione e smussamento delle punte, di moderazione;
- senso di rilassatezza che prevale sul movimento frenetico e sulla turbinosa turbolenza del bop;
- alla brillantezza virtuosistica del bop succede un lirismo acuto e penetrante; - al protagonismo spinto dei solisti del bop succede la precisione collettiva caratteristica delle
big bands; - rispetto al bop: toni dai profili morbidi e soffusi, espressione più raffinata e discreta; - ricerca di un modello più flessibile per integrare l’improvvisazione solistica con passaggi
d’insieme: intreccio simbiotico di linee scritte e linee improvvisate che si distaccano sia dalla prassi convenzionale delle big bands (i solisti suonano soltanto quando accompagnati dalla sezione ritmica oppure con riffs d’accompagnamento) sia da quella del bop (scritto è o può essere soltanto il tema);
- levigatezza espressiva e delle tessiture strumentali, dinamiche contenute; - ricerca di nuove soluzioni e di nuovi modelli formali (in questo Davis si avvicina al Modern
Jazz Quartet e a Dave Brubeck).
Nascita e morte del cool jazz? È la tesi di Ted Gioia; senz’altro dopo questa esperienza di rapporto
dialettico con il bop e che lo vede per la prima volta nelle vesti di leader, Miles prende altre strade,
soprattutto quella dello hard bop e poi del jazz modale, anche se tornerà a collaborare ripetutamente
con Gil Evans in progetti che risentono in misura significativa di Birth of the Cool. Numerosi
membri del nonetto intraprenderanno poi carriere di successo con formazioni proprie (Gerry
Mulligan col quartetto con Chet Baker, John Lewis con il Modern Jazz Quartet).
Moon Dreams (Chummy MacGregor – Johnny Mercer) [3:18] Forma: Chorus ABA’CC’ (40 bb.) + Coda 00:00 A - Tutti i fiati suonano insieme la melodia (re maggiore) con lunghe note tenute del tema,
condotta dalla tromba, generando armonie intricate, semidissonanti. La sonorità dell’insieme è dominata dal registro grave (sax baritono, corno, tuba).
00:25 B - Il sax contralto assume la condotta melodica, mentre gli altri fiati suonano un accompagnamento ritmicamente distinto; poi l’insieme ritorna a una tessitura per blocchi accordali.
00:51 A’ - Ritorno variato del periodo iniziale; la melodia ora è raddoppiata dal sax baritono; poi nei passaggi più mossi la tuba aggiunge un’indipendente linea melodica.
01:17 C - Il sax contralto assume la guida melodica; mentre la linea del basso si muove rapidamente, il sax contralto, ora mescolato agli altri fiati, accelera in una melodia quasi bop sino a che, insieme con la tromba, tiene una nota lunga sotto alla quale gli altri fiati suonano un modulo ritmico più veloce.
01:44 C’ - La guida melodica passa al sax baritono, poi alla tromba. 02:04 Coda. Alla cadenza finale del chorus, tutte le linee si bloccano e finiscono per intonare un’unica nota tenuta (fa diesis) che poi viene lasciata alla sola tromba sull’accompagnamento della batteria (piatto). 02:14 Mentre la tromba continua a tenere la sua nota, entra il resto dell’insieme con armonie che scivolano cromaticamente di accordo in accordo. Dopo che la tromba ha lasciato sua nota, si ascoltano alcuni motivi: un frammento di melodia (sax contralto), un motivo balbettante con la
ripetizione di una singola nota (corno, tromba, trombone), una scala discendente (sax contralto e baritono) fino a raggiungere l’accordo di si bemolle maggiore.
Boplicity (Cleo Henry alias Miles Davis e Gil Evans, arr. Gil Evans) [2:58]
00:00 Tema Orchestra A 16 bb. – B 8 bb. – A 8 bb.
00:58 Impro Mulligan (2 chorus) 16 bb.
01:25 Orchestra 6 bb.
01:36 Impro Miles Davis + ensemble 4 bb.
01: 43 Orchestra 8 bb.
01: 57 Impro Miles Davis + ensemble 8 bb.
02:12 Impro Miles Davis 8 bb.
02:26 Impro John Lewis 8 bb.
02:40: Tema Orchestra A 8 bb. + Coda 2 bb.
Relaxin’, Steamin’, Workin’, Cookin’ (1956)
Miles Davis John Coltrane (1926-1967) Red Garland (1923-1984) Paul Chambers (1935-1969) Philly Joe Jones (1923-1985)
Quattro album del I Quintetto registrati nel 1956 per la Prestige in due sessioni (11 maggio e 26
ottobre). Repertorio con mescolanza di brani bebop (Salt Peanuts, Woody’n You, Oleo, Airegin),
pezzi originali di Miles hard bop (Four, Half Nelson) o Red Garland (Blues By Five) e ballads
(When I Fall In Love, It Never Entered My Mind, It Could Happen to You, My Funny Valentine).
Alcuni esempi: Four, brano di Davis in stile hard bop destinato a divenire uno standard; It Could
Happen to You, ballad (1944) eseguita a tempo medio con tocco leggerissimo di Garland e piatti per
l’accompagnamento; My Funny Valentine (1937), ballad sentimentale esempio di intensità lirica e
reinvenzione di uno standard celeberrimo con cambi della pulsazione; Blues For Five (1956) di
gusto hard bop di Red Garland; Airegin (1954) di Sonny Rollins, richiamo hard bop alle radici
africane (il titolo è “Nigeria”scritto al contrario).
Workin’ (1956)
Four (Miles Davis) [7:12]
00:00 Intro (batteria)
00:08 Tema 30 bb. ABAB’ (8+8+8+6)
00:43 Impro Davis (3 chorus)
02:40 Impro Coltrane (3 chorus)
04:32 Impro Garland (2 chorus)
05:48 Impro Davis con ripetuti break della batteria (1 chorus)
06:26 Tema
Relaxin’ (1956)
It Could Happen to You (Jimmy van Heusen – Johnny Burke) [6:37]
00:00 Intro (piano e batteria)
00:10 Tema 32 bb. ABAB’: Davis
00:51 Impro Davis (2 chorus)
02:15 Impro Coltrane (2 chorus)
04:18 Impro Garland ( 2 chorus)
05:39 Tema: Davis
Cookin’ (1956)
My Funny Valentine (Richard Rodgers – Lorenz Hart) [5:59]
00:00 Intro (sezione ritmica)
00.15 Tema-impro AA’BA’’ (8 x 3 + 12) 36 bb. AA’- Davis ballad time feel
01.09 B- Double time feel
01:27 BA’’ - Ballad time feel
02:17 Double time feel passaggio di connessione
02:31 Impro Garland (1 chorus)
04:15 Ballad time feel
04:29 Tema/impro abbreviato BA’’ 16 bb.
05:27 Coda
Blues For Five (Red Garland) [9:59]
00:00 Tema 12 bb. (sezione ritmica)
00:32 Impro Davis (4 chorus)
02:44 Impro Coltrane (4 chorus)
04:36 Impro Garland (3 chorus)
05:58 Impro Chambers (3 chorus)
07:19 Impro Garland con break ripetuti della batteria (4 chorus)
09:15 Tema e chiusa
’Round About Midnight (1955-1956)
Primo album realizzato per la Columbia, la cui pubblicazione (1957) fu ritardata per i vincoli
imposti dagli accordi con la Prestige (era previsto infatti che Miles completasse la registrazione
delle ultime tracce per la Prestige prima che fossero pubblicati dischi della Columbia). Tre sessioni:
26 ottobre 1955, 5 giugno e 10 settembre 1956. Poco prima dell’uscita dell’album, Miles sciolse il
gruppo per i problemi di tossicodipendenza e caratteriali, per poi ricostituirlo alla fine dello stesso
1957 come sestetto con l’aggiunta di Cannonball Adderley.
’Round Midnight (Thelonious Monk - Cootie Williams - Bernie Hanigen) [5:55] Incisione che riprende quella di grande successo al Festival di Newport del 1955, quanto Miles riacquistò visibilità presso pubblico e critica dopo i problemi di droga e salute che lo avevano fatto scomparire dalla ribalta del jazz. Standard celeberrimo (1940 o 1941?), caratterizzato dalla melodia non meno che dalla particolarità del giro armonico, molto cromatico. 00:00 Intro
00:32 Tema-impro AABA 32 bb. Davis, ballad time feel
02:42 Stacco e transizione (rintocchi del piano, riff dei fiati, rullo della batteria)
02:58 Impro Coltrane, double time feel
05:09 Tema-impro Davis e Coltrane abbreviato A b bb. e conclusione, ballad time feel
All of You (Cole Porter) [7:01] Song di Cole Porter (1954). Esempio di impiego della tecnica del turnaround (semplice giro di accordi che ritorna continuamente su se stesso: spesso III-VI-II-I) per estendere il chorus grazie a una struttura semplice e flessibile che consentono al solista di improvvisare con minore preoccupazione per la forma e l’armonia. L’uscita dal chorus e l’ingresso nel turnaround è segnato in genere da un segnale sonoro, così come poi l’uscita dal turnaround e il reingresso nel chorus. Uno dei sue segnali può venire a mancare ed essere sostituito da un cenno. Cfr. ZENNI, p. 208 Il procedimento sarà usato spesso da Miles – e sulla sua scia da molti altri – a partire dalla metà degli anni Cinquanta, in misura anche molto estesa nel decennio successivo. Significativo è il fatto che tale procedimento si pone già nella prospettiva della ricerca di una maggiore libertà improvvisativa melodica che poi sarà prerogativa del jazz modale. S1 S2 ||: chorus :|| → ||: turnaround :||
S1 = Segnale sonoro 1 S2 = Segnale sonoro 2 Uno dei sue segnali può venire a mancare ed essere sostituito da un cenno
00.00 Tema-impro ABA’C (8x 4) 32 bb. Davis
00.47 Impro Davis (1 chorus)
01.27 S1 basato su un elemento del tema (4 battute prima della fine del chorus)
01:51 S2 con breve frase ascendente
01:54 Impro Coltrane (2 chorus)
03:28 Turnaround
03:47 S2
03:49 Impro Garland (2 chorus)
05:21 S1
05:43 S2
05:48 Tema-impro Davis (1 chorus)
06:29 S1
06:47 S2 (che segna anche la sigla conclusiva del pezzo)
Ascenseur pour l’échafaud (1958) Musiche per il film d’esordio di Louis Malle, tratto dal romanzo di Noël Calef, sceneggiatura di Roger Nimier e Louis Malle (1932-1995), fotografia di Henri Decaë, montaggio Léonide Azar con Maurice Ronet: Julien Tavernier Jeanne Moreau: Florence Carala Jean Wall: Simon Carala Georges Poujouly: Louis Yori Bertin: Véronique Lino Ventura: commissario Cherrier Charles Denner: ispettore Ivan Petrovitch: Horst Bencker Elga Andersen: Frieda Bencker Parigi, città del jazz negli anni 1950 - Bud Powell a Parigi e l’amicizia con Francis Paudras, Autour de minuit (1986) di Bertrand Tavernier, protagonista Dexter Gordon, musiche curate da Herbie Hancock (Premio Oscar per la migliore colonna sonora 1987) - Collana discografica Jazz in Paris, etichetta Gitanes che documenta l’intensa vita musicale jazz della città - Altre colonne sonore di film polizieschi, polar, o comunque d’intrigo con musica jazz:
Sait-on jamais… [Appuntamento con il delitto] (1957) di Roger Vadim, con Françoise Arnoul, Christian Marquand e Robert Hossein e le musiche di John Lewis e del Modern Kjazz Quartet Un témoin dans la ville [Appuntamento con il delitto] (1959) di Édouard Molinaro, con Lino Ventura e Sandra Milo e musiche di Barney Wilen, Kenny Dorham e Kenny Clarke Des femmes disparaissent (1959) di Édouard Molinaro, con Robert Hossein e Estella Blain e musiche di Art Blakey e i Jazz Messengers Les liaisons dangereuses (1959) di Roger Vadim, con Jeanne Moreau e Gérard Philipe e musiche di Séverine Allimann, La Nouvelle Vague a-t-elle changé quelque chose à la musique de cinéma ?, «1895. Mille huit cent quatre-vingt-quinze» [En ligne], 38 | 2002, mis en ligne le 28 novembre 2007 http://1895.revues.org/362 Romina Daniele, Ascenseur pour l’échafaud. Il luogo della musica nell’audiovisione, Grisignano (Athena), Edizioni RDM Records, 2011 http://books.google.it/books?id=Ol0P0uHrn7AC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false Alla fine del 1957 Miles Davis si recò a Parigi per una tournée e per un ingaggio al Club Saint-
Germain, locale alla moda di proprietà dello scrittore e musicista Boris Vian. Nella capitale francese
incontrò nuovamente l’attrice Juliette Gréco con la quale aveva instaurato nel 1949 una relazione
che, a fasi alterne, durava da molti anni. Frequentandola Davis entrò in contatto con molti esponenti
del moderno ambiente culturale esistenzialista della Rive Gauche parigina. Scrittori, artisti, filosofi
che avevano come punto di ritrovo i locali e i salotti del quartiere di Saint-Germain-des-Prés. Tra
questi, il regista Louis Malle che aveva da poco terminato le riprese del suo film d’esordio, un noir
a tinte forti che vedeva tra i protagonisti Jeanne Moreau e Maurice Ronet.
Davis era giunto a Parigi grazie al produttore e promoter Marcel Romano il quale aveva da tempo
in progetto la realizzazione di un film sul jazz, proprio con Miles Davis come protagonista. L’idea
era di documentare il processo di creazione musicale tramite una jam session per catturare la
complete communion (“completa comunione”) tra i musicisti, fenomeno descritto come base
dell’improvvisazione colettiva nel jazz. Fu a partire da quest'idea che Romano propose la cosa a
Jean-Claude Rappeneau, amico e assistente di Louis Malle. Rappeneau suggerì di utilizzare Miles
Davis per la colonna sonora del film che Malle stava completando. Già nelle immagini del film il
regista aveva voluto omaggiare Davis in una scena nella quale appare bene evidente la copertina di
un suo disco. Il caso volle che proprio nel periodo in cui si stava finendo il film il trombettista si
trovasse in Francia per l’ingaggio al Club Saint-Germain. Boris Vian, grande appassionato di jazz e
discreto trombettista, era all'epoca il principale contatto francese per i musicisti americani che
transitavano per la Francia. Fu lui, che tra l’altro all’epoca dirigeva il reparto jazzistico della
Philips, a fare da intermediario tra Malle e Davis. Vian aveva in mente come modello quanto aveva
fatto pochi mesi prima Roger Vadim per il suo Un colpo da due miliardi (Sait-on jamais...) le cui
musiche erano state composte da John Lewis e interpretate dal Modern Jazz Quartet.
Malle e Davis, con l’intermediazione di Vian, si incontrarono e, tre giorni dopo l’arrivo del
trombettista a Parigi, fu organizzata una proiezione privata di Ascenseur pour l’échafaud. Malle
spiegò a Davis la storia, l’intreccio tra i personaggi e le loro caratteristiche. Il regista non voleva la
classica registrazione di una colonna sonora, ma una vera seduta d’improvvisazione, una jam
session. Davis fu inizialmente riluttante, perché, pur stimando i musicisti francesi, non era convinto
di poter trovare con loro il feeling adatto. Pensava mancasse il necessario affiatamento che invece
aveva con i suoi abituali collaboratori. Dopo due sole proiezioni però Davis accettò la sfida e si
mise a lavorare alacremente nel suo albergo dove aveva a disposizione un pianoforte.
La sera del 4 dicembre, due settimane dopo l’incontro, Davis non doveva suonare al Club Saint-
Germain e fu così organizzata la registrazione. La produzione affittò lo studio di una radio locale, la
Poste Parisien, dove Davis riunì i musicisti: il pianista René Urtreger, il sassofonista Barney Wilen
il bassista Pierre Michelot e il batterista Kenny Clarke, veterano del bebop e vecchia conoscenza di
Davis che si era stabilito da qualche tempo in via pressoché definitiva a Parigi. Il trombettista aveva
preparato alcuni abbozzi e dopo poche e rudimentali spiegazioni limitate alle sequenze armoniche,
il gruppo iniziò a provare mentre Malle proiettava su uno schermo le scene del film a cui sarebbe
stato aggiunto il commento sonoro. I musicisti iniziarono a lavorare lentamente, ma dopo poche ore
si era creata la giusta atmosfera dettata anche dal modo in cui vennero proiettate le immagini. Malle
aveva preparato una bobina con le sette scene a cui si sarebbe aggiunto il commento che veniva
proiettata di continuo, in una sorta di loop. Ad ogni ciclo seguiva l’analisi di quanto suonato e il
regista forniva indicazioni più precise su quanto voleva. Il lavoro fu completato in una sola notte,
dalle 10 di sera alle 8 del mattino. Alla fine il regista montò la musica sul film, a volte utilizzando
brani pensati per una scena in un’altra (la musica del film dura in tutto circa 18 minuti).
Per Davis si trattò certamente di un’esperienza del tutto nuova. Mai aveva partecipato alla
realizzazione di una colonna sonora. Peraltro la registrazione del commento sonoro di Ascensore
per il patibolo fu un'esperienza del tutto nuova anche per il mondo del cinema e per il jazz. Ad
esempio, nel commento sonoro è presente quello che secondo alcuni è il primo assolo di
contrabbasso senza accompagnamento mai realizzato (i brevi brani Évasion de Julien e Visite du
vigile sono suonati dal solo Pierre Michelot), caratteristica voluta dal regista per meglio sottolineare
alcune sequenze.
Malle definì il lavoro di Davis come fondamentale per la riuscita del film. La musica aggiungeva
secondo il regista una nuova dimensione, in una sorta di contrappunto tra immagini e musica: “Ciò
che Miles Davis riuscì a fare fu eccezionale, il film si trasformò. Ricordo benissimo com’era senza
la musica, ma quando attaccammo il missaggio finale e aggiungemmo al musica, sembrò subito
decollare”.
La colonna sonora del film fu pubblicata nel 1958 dalla Fontana Records, sussidiaria della Philips
molto attiva nel jazz e controparte europea della Columbia Records, in un fortunato album a 10
pollici che conteneva dieci brani ricavati dalle registrazioni effettuate. In sede di post-produzione
alla musica fu aggiunto un effetto di riverbero per enfatizzare la drammaticità del commento sonoro
(effetto pensato per il film ma mantenuto anche sul disco). Alla fine del 1959 la Columbia incluse la
colonna sonora di Ascenseur pour l’échafaud nella prima facciata dell’album Jazz Track distribuito
sul mercato americano. Nel secondo lato furono inseriti tre brani inediti registrati da Davis nel
maggio del 1958 con il suo sestetto in cui all’epoca militavano Bill Evans, John Coltrane e
Connanball Adderley (l’album ottenne una nominationa al Grammy Award del 1961, ma sparì
presto dalla circolazione per essere ristampato solo nel 2013).
Dopo molte ristampe e riedizioni della colonna sonora, nel 1988 la PolyGram, che deteneva il
catalogo Fontana, produsse un CD contenente, oltre ai brani nella versione in cui furono inclusi
nell’album originale, tutte le registrazioni effettuate da Davis e gli altri la notte tra il 4 e il 5
dicembre 1957.
Album Fontana (1958) Lato A
1. Générique - 2:45 2. L’assassinat de Carala - 2:10 3. Sur l’autoroute - 2:15 4. Julien dans l’ascenseur - 2:07 5. Florence sur les Champs-Élysées - 2:50
Lato B
1. Dîner au motel - 3:58 2. Évasion de Julien - 0:53 3. Visite du vigile - 2:00 4. Au bar du Petit Bac - 2:50 5. Chez le photographe du motel - 3:50
Complete Recordings CD (1988)
1. Nuit sur les Champs Élyseés (Take 1) - 2:25 2. Nuit sur les Champs Élyseés (Take 2) - 5:20 3. Nuit sur les Champs Élyseés (Take 3) (Générique) - 2:47 4. Nuit sur les Champs Élyseés (Take 4) (Florence sur les Champs Élyseés) – 2:59
5. Assassinat (Take 1) (Visite du vigile) - 2:02 6. Assassinat (Take 2) (Julien dans l'ascenseur) - 2:10 7. Assassinat (Take 3) (L'assassinat de Carala) - 2:10 8. Motel (Dîner au Motel) - 3:56 9. Final (Take 1) - 3:05 10. Final (Take 2) - 3:00 11. Final (Take 2) (Chez le photographe du motel) - 4:04 12. Ascenseur (Évasion de Julien) - 1:57 13. Le petit bal (Take 1) - 2:40 14. Le petit bal (Take 2) (Au bar du Petit Bac) - 2:53 15. Séquence voiture (Take 1) - 2:56 16. Séquence voiture (Take 2) (Sur l’autoroute) - 2:16 17. Générique - 2:45* 18. L’assassinat de Carala - 2:10* 19. Sour l’autoroute - 2:15* 20. Julien dans l’ascenseur - 2:07* 21. Florence sur les Champs Élyseés - 2:50* 22. Dîner au motel - 3:58* 23. Évasion de Julien - 0:53* 24. Visite du vigile - 2:00* 25. Au bar du Petit Bac - 2:50* 26. Chez le photographe du motel - 3:50*
* Le tracce da 17 a 26 sono quelle contenute nel disco originale. Miles Davis - tromba Barney Wilen - saxofono tenore René Urtreger - pianoforte Pierre Michelot - contrabbasso Kenny Clarke - batteria Proiettare le immagini della registrazione. Pierre Michelot in una testimonianza nel CD edito nel 1988 ricorda come a eccezione di un brano (Sur l’autoroute), basato sugli accordi di Sweet Gerogia Brown, Miles Davis non diede che indicazioni molto vaghe ai musicisti: suonare 2 accordi (re minore e do7), 4 battute ciascuno ad libitum. Sia il vamp sia l’assenza di durata prestabilita erano concetti nuovi per Michelot e gli altri musicisti: strutture semplici e ridotte all’osso, in ogni caso molto diverse da quelle sulle quali essi erano abituati a improvvisare. Quanto a Malle, egli dava indicazioni non musicali ma sul tipo di relazione che la musica doveva instaurare con le immagini: la sua idea era di ottenere un “contrepoint à l’image”, il che spiega perché poi decise di utilizzare alcuni takes per delle sequenze differenti rispetto a quelle cui i takes stessi erano destinati in origine.
Milestones (1958)
Primo e unico album del sestetto con Cannonball Adderley realizzato in studio. Ultima sessione con
la sezione ritmica con Red Garland, Paul Chambers e Philly Joe Jones (Garland e Jones
abbandonarono la formazione subito dopo la registrazione: saranno sostituiti rispettivamente da
Wynton Kelly e Bill Evans e da Jimmy Cobb). Nel brano che dà il titolo all’album, registrato
nell’aprile 1958, c’è il primo esempio di jazz modale.
Milestones (Miles Davis) [5:42] In origine e nella prima edizione dell’album il brano si chiamava Miles (per distinguerlo da un precedente brano bop chiamato appunto Milestones), poi il nome fu corretto in Milestones nelle successive edizioni. Secondo la maggior parte delle interpretazioni, il tema è basato non su una successione di accordi funzionali ma sull’alternanza di due modi (sol dorico, la eolio) secondo lo schema: Sezione Modo Accordi di riferimento Battute A + A sol dorico Sol-7/Do 8 + 8 = 16 B + B la eolio La-7 (o La-9) 8 + 8 = 16 A sol dorico Sol-7/Do 8 In realtà la struttura così com’è realizzata nella registrazione pone notevoli problemi di trascrizione e interpretazione. Questa semplificazione non tiene conto del fatto che la sezione A si svolge inizialmente (bb. 1-4) su un pedale di do (quindi sol7/do) e che la conclusione di ogni sezione A (bb. 7-8) implica da parte del basso una risoluzione a fa (FA7), per non parlare. Si può dire che il tema si svolge in un ambito modale con 1 bemolle, ma la definizione sol dorico non appare appropriata riguardo al senso di risoluzione a fa alla fine delle sezioni A. Anche il riferimento ad un ambito modale con 1 bemolle in chiave non funziona se si considera il rapporto del tema con gli assoli: nelle prime 16 bb. del suo assolo Miles si allontana sensibilmente da questo ambito, negando l’idea di un singolo modo a controllare la sezione A del pezzo; in particolare in tutti i takes registrati, alla fine della seconda sezione A della sua impro risolve su un si naturale che contraddice la risoluzione a fa proposta dal tema. Nel rapporto tra i due modi si pone comunque in evidenza l’intervallo di tritono fa-si, al centro della teoria modale elaborata da George Russell. L’anticipazione dell’armonia modale comporta il passaggio dalla densità alla semplificazione accordale e a un ritmo armonico lento che serve a proiettare e liberare l’improvvisazione anzitutto melodica ma anche armonica dai vincoli della struttura metrica. Per ora si tratta ancora di impro relativamente brevi (il pezzo dura ‘soltanto’ poco più di 5’). Altri aspetti caratterizzanti del tema:
- struttura a riff che mima gli accordi di una sezione orchestrale; - incrinatura della quadratura ritmica nella sezione B del tema, con effetti di sfasatura tra gli
strumenti melodici (i due sax rispetto alla tromba), poi sovrapposizioni poliritmiche e giochi che mettono in discussione la coincidenza metrica delle parti (fiati, piano, basso, batteria)
- senso circolare, ipnotico dato dall’alternanza pendolare tra i modi
00:00 Tema
00:39 Impro Adderley (2 chorus), tra i licks c’è una citazione di Fascinating Rhythm
02:00 Impro Davis (2 chorus)
03:21 Impro Coltrane (2 chorus)
04:42 Tema (a sfumare)
Kind of Blue (1959)
Kind of Blue basato sul concetto di modalità: punto di svolta rispetto allo stile precedente hard bop con la sua complessa successione di accordi e l’improvvisazione ad essa correlata. Intero album composto di una serie di abbozzi modali, in cui ogni solista si basa per l’improvvisazione su una serie di scale. Punto di svolta e al contempo punti di arrivo di un processo: Miles aveva già usato questo metodo nelle musiche per Ascenseur pour l’échafaud (1957), in alcuni pezzi di Milestones (1958) e di Porgy and Bess (1958). L’idea originaria deriva dal metodo elaborato da George Russell (1923-2009) in The Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization (1953, 2/1959), che aveva indicato la possibilità di spostare l’accento della composizione e improvvisazione jazzistica dalle successioni funzionali degli accordi alle scale e ai modi, così da ottenere una sorta di pantonalità o tonalità allargata. Miles intravede nel metodo di Russell – e nella collaborazione con Gil Evans - la possibilità di superare il criterio strutturale tradizionale della successione di accordi funzionali liberando la libertà dell’improvvisazione melodica. La composizione modale, basata su scale e modi anziché sugli accordi, è intesa come “a return to melody”. Nell’intervista con Nat Hentoff in The Jazz Review (dicembre 1958) An Afternoon with Miles Davis, Davis elabora questa forma di composizione/improvvisazione in constrasto con la successione di accordi affermando “No chords ... gives you a lot more freedom and space to hear things. When you go this way, you can go on forever. You don't have to worry about changes and you can do more with the [melody] line. It becomes a challenge to see how melodically innovative you can be. When you're based on chords, you know at the end of 32 bars that the chords have run out and there's nothing to do but repeat what you've just done--with variations. I think a movement in jazz is beginning away from the conventional string of chords... there will be fewer chords but infinite possibilities as to what to do with them.”
Opening sequence of Davis's So What
Kind of Blue sestetto (2 marzo e 22 aprile 1959) con Bill Evans/Wynton Kelly, John Coltrane, Julian Cannonball Adderley, Paul Chambers, James Cobb: esperienza decisiva e liberatoria per i musicisti degli anni Sessanta. Jazz modale caratterizzato da:
1) impiego dei modi come riferimento per il materiale 2) rallentamento del ritmo armonico
La rapida successione funzionale di accordi tipica del bebop è sostituita da ostinati diatonici (vamps), pedali, oscillazioni di semitono, alternanza I-V al basso. “Allontanamento dalle convenzionali successioni di accordi e ritorno all’enfasi sulla variazione melodica piuttosto che armonica”, tipo di jazz basato più sugli assolo individuali che su parti pre-arrangiate e possibilità di costruire gli assoli utilizzando modi specifici sopra una struttura armonica sottostante radicalmente semplificata anziché su una prestabilita successione di accordi. La possibilità di assumere come materiale per l’improvvisazione una struttura modale nasce dalle istanze di semplificazione del jazz del periodo post-bop che tentava di trovare nuove strade rispetto ai limiti vincolanti di una grande complessità accordale. Davis: “La musica si è fatta densa [thick]. I
ragazzi mi danno temi ed essi sono pieni di accordi. Non li posso suonare… Immagino un movimento nel jazz che inizia a distaccarsi dalle convenzionali sequenze di accordi e un ritorno sull’enfasi della variazione melodica piuttosto che armonica. Ci saranno meno accordi ma infinite possibilità di cosa farne” (The Jazz Review, 1958). Tutti i pezzi composti effettivamente da Miles come dichiarato nel disco? Blue in Green e Flamenco Sketches sono di Evans o perlomeno nascono da sue idee… Blue in Green nella versione di Portrait in Jazz di Bill Evans (1959) è attribuito a Davis-Evans, ma in interviste successive il pianista dichiarò di aver composto lui il pezzo. Note di copertina di Bill Evans (richiamato per l’occasione da Miles dopo che aveva lasciato il quintetto l’anno precedente), che richiamano l’arte giapponese di dipingere pergamene in modo spontaneo, senza interruzioni e ripensamenti. Le strutture musicali utilizzate qui per l’improvvisazione sono qualcosa di simile: nella loro semplicità contengono tutto ciò che è necessario per sollecitare la performance. Miles concepì queste strutture soltanto poche ore prima la registrazione e diede ai musicisti soltanto degli abbozzi su che cosa suonare. I musicisti perciò non avevano mai suonato prima questi pezzi e senza eccezioni la prima performance completa di ogni pezzo fu un take [una prima registrazione assoluta] (il che non è peraltro vero perché ad esempio la versione pubblicata nell’LP originale di Flamenco Sketches è il secondo take). Accento sulla dimensione della sfida e della spontaneità di questa performance. Nell’album sono soprattutto So What, Blue in Green e Flamenco Sketches a formulare la nuova tendenza, mentre Freddie Freeloader e All Blues restano piuttosto legati alla forma del blues. So What [9:22] So What, struttura basata su due modi (re e mi bemolle dorico). Introduzione “in libero stile ritmico” poi struttura ‘tematica’ modale basata su due scale: 16 bb. (Scala 1: re minore dorico) – 8 bb. (Scala 2: mi bemolle dorico) – 8 bb. (Scala 1). Funzioni intro, tema, assoli che sono conservate ma al tempo stesso ripensate in modo piuttosto radicale. Sezioni Modo Battute A re dorico 8 A re dorico 8 B mi bemolle dorico 8 A re dorico 8 Alla fine della sezione B, l'improvvisatore ha a disposizione ben 24 battute in re minore dorico senza alcun cambio di accordo. Il tema, normalmente esposto dal basso, è in forma antifonale con la funzione della risposta assunta in dagli ottoni e consiste, per la parte di basso, di una frase della durata di sei quarti che viene ripetuta, con variazioni, quattro volte per sezione, trasposta di un semitono nella sezione B. L'esposizione del tema è preceduta da un'introduzione di basso e pianoforte. Intro
00:00 Introduzione ritmicamente libera (Bill Evans, Paul Chambers)
Esposizione del tema (tutti)
00:32 AA Modo 1, 16 bb.
01:02 B Modo 2, 8 bb.
01:16 A Modo 1, 8 bb.
Assoli
01:30 Miles Davis (2 chorus)
03:26 John Coltrane (2 chorus)
05:17 Cannonball Adderley (2 chorus)
07:07 Bill Evans (1 chorus) [riff dei fiati, poi vamp di ritransizione alla ripresa del tema del piano]
Ripresa finale del tema (tutti)
08:15 AA Modo 1
08:30 B Modo 2
08:42 A Modo 1 → vamp a sfumare
Freddie Freeloader [9:46] Wynton Kelly (considerato uno specialista del blues) sostituisce Bill Evans. Blues di 12 battute in SIb (ma con l’accordo di LAb7 che nelle ultime due battute di ciascun chorus sostituisce quello di SIb7 seguito da FA7 per ricominciare il giro o da una conclusione). Il titolo Freddie Freeloader (“Freddie lo scroccone”), sembra si riferisca a Fred Tolbert, un barista di Philadelphia, amico di Miles Davis oppure a un personaggio del comico Red Skelton. Tema (tutti)
00:00 A (chorus) 12 bb.
00:22 A ripetizione 12 bb.
Assoli
00:45 Wynton Kelly (4 chorus)
02:13 Miles Davis (6 chorus)
04:30 John Coltrane (5 chorus)
06:23 Cannonball Adderley (5 chorus)
08:16 Paul Chambers (2 chorus)
Tema (tutti)
08:55 A
08:19 A ripetizione
Blue in Green [5:37] Quintetto senza Adderley. Bill Evans: “Blue in Green è una forma circolare di 10 battute che segue una introduzione di 4 battute ed è suonata dai solisti con una varia aumentazione ovvero diminuzione dei valori di tempo”. Pezzo di un lirismo struggente e dall’andamento ipnotico per la forma circolare e spiraliforme in cui i chorus hanno durata variabile; suono di Miles con la sordina. La nota di Evans è stata variamente interpretata per la difficoltà di leggerla in modo univoco. Il problema riguarda se la forma circolare su cui si basa il pezzo sia da intendersi effettivamente di 10 battute come scrive Evans nelle note originali. Alcuni commentatori e trascrittori hanno interpretato le variazioni dei valori di tempo come procedimenti di double time feel (usare valori ritmici il doppio più veloci di prima ma senza cambiare il ritmo armonico della successione accordale, quindi raddoppiare il modulo ritmico all’interno dell’originale struttura di battuta) o al contrario di half time feel (i valori ritmici diventano il doppio più lenti di prima pur in riferimento a un ritmo armonico invariato). Procedimenti espliciti di double time con la variazione della pulsazione metrica ci sono nell’incisione di Blue in Green di Evans in Portrait in Jazz, mentre qui la ritmica della batteria resta costante dall’inizio alla fine (ballad time feel). Ciò che cambia qui nel corso del pezzo non è la pulsazione ritmica, bensì il ritmo armonico e della melodia Se è chiaro che l’idea a fondamento del pezzo è l’oscillazione della lunghezza dei chorus (l’impressione di chorus che si allungano e si accorciano per così dire), le modalità con cui l’obiettivo si realizza possono essere interpretate in modo diverso. Nei fake books la forma del tema (in cui si intrecciano inflessioni doriche, misolidie e lidie) è in 10 bb. seguendo l’indicazione di Evans. Così facendo il pezzo appare così articolato: Sezioni Solista Battute Ritmo armonico Timing Intro Evans 4 (= 3-10 della forma) in double time metà 00:00 Solo 1 Davis 20 – 2 chorus in ballad time intero 00:19 Solo 2 Evans 10 – 2 chorus in double time metà 01:48 Solo 3 Coltrane 10 – 2 chorus in double time metà 02:27 Solo 4 Evans 5 – 2 chorus in quadruple time quarto 03:10 Solo 5 Davis 20 – 2 chorus in ballad time intero 03:32 Fine e coda Evans 5 – 2 chorus in quadruple time quarto 04:55 Quindi: se il tema è di 10 bb. il ritmo armonico di base è l’intero. Ciascun solista percorre la forma 2 volte (2 chorus). Soli 1 e 5 di Miles: ritmo armonico di base (intero) Solo 2 di Evans e Solo 3 di Coltrane: “diminuzione” del ritmo armonico (metà) Soli 4 e fine di Evans: “diminuzione della diminuzione” del ritmo armonico (quarto) Questa interpretazione, tuttavia, se spiega il riferimento che Evans fa nelle note alla “diminuzione” non spiega quello all’ “aumentazione”. Quest’ultimo si spiega soltanto se si intende la forma di 5 anziché di 10 bb. Nel libro di Ashley Kahn Kind of Blue: The Making of Miles Davis Masterpiece ci sono fotografie che riproducono la carta con le annotazioni di Bill Evans che sarebbero poi servite per le note di copertina e contengono alcune correzioni riguardo alla descrizione di Blue in Green: indicata dapprima come “a five measure circular form”, poi il “five” è mezzo cancellato e corretto in “four”, e il “four” è poi
cancellato del tutto. Questo spiegherebbe il fatto che il ritmo armonico di base del pezzo è la metà e non l’intero, così come viene suonato nell’introduzione (bb. 2-5 della forma). Quindi: i Soli 1 e 5 di Miles sarebbero un’“aumentazione” (sempre il doppio del ritmo armonico di base: un intero), i Soli 2 e 3 seguirebbero il ritmo armonico di base mentre il Solo 4 e e la finesarebbero una “diminuzione” (sempre la metà del ritmo armonico di base: quarto). Non è chiaro come mai le note di copertina indichino che la forma è di 10 anziché di battute, ma certo non è questo il solo errore che esse contengono (l’inversione della descrizione di Flamenco Sketches con quella di All Blues). All Blues [11:33] Blues in SOL maggiore di 12 battute e in 6/4 che produce il suo mood grazie soltanto ad alcuni cambiamenti modali e alla libertà della concezione melodica di Miles. La sequenza di accordi è quella tipica del blues ed è tutta costituita da accordi di 7 con l’accordo di 7 sul VI abbassato come turnaround invece del più banale V. Caratteristici del pezzo e della sua impronta modale sono inoltre:
- il vamp del basso e del tremolo del piano che si ripete per quasi tutto il corso del pezzo stesso (e interrotto soltanto quanto il tema raggiunge il V e il VI abbassato, bb. 9-10): 4 bb.
- il vamp dei saxofoni con disegno melodico per gradi congiunti: 4 bb. I due vamp costituiscono l’introduzione del pezzo; il vamp dei saxofoni serve da introduzione-interpunzione nel corso del pezzo: accompagna il disegno melodico del tema, ritorna tra la presentazione del tema e la sua ripetizione, poi la pianoforte nell’accompagnamento degli assoli e quindi tra un assolo e l’altro (come passaggio-introduzione al solo successivo). Intro
00:00 Vamp 1 (Chambers e Evans) e Vamp 2 (Adderley e Coltrane)
Tema (tutti)
00:10 AA
Assoli
01:45 Miles Davis (4 chorus)
04:01 Cannonball Adderley (4 chorus)
06:14 John Coltrane (4 chorus)
08:27 Bill Evans (2 chorus)
Tema (tutti)
09:28 AA → vamp a sfumare
Flamenco Sketches [9:26]
Bill Evans: “Serie di cinque scale, ciascuna da suonarsi a piacimento da parte del solista sino a quando ha completato la serie”. Pezzo senza una melodia scritta. La struttura è definita da chorus di lunghezza variabile nella forma abcde (preceduta da una introduzione), in cui ciascuna sezione è identificata da una diversa scala e tonalità in cui il solista improvvisa, a sua discrezione, per 4 o 8 bb. Da ciò sortisce l’importanza dell’ambito, dell’atmosfera e del colore modale come struttura portante in luogo dell’unità e della scansione armonico-metrica di una successione di accordi. 5 sezioni: la prima e la terza sono in statiche tonalità maggiori (o in modo ionico), mentre la seconda e la quinta alludono a dei modi. La quarta sezione, che dà il titolo al pezzo, è basata su una scala di flamenco: re – mi bemolle – fa diesis – sol – la – si bemolle – do/ do diesis (- re) sottolineata dall’oscillazione tra gli accordi di re maggiore e mi bemolle maggiore al pianoforte. La scala in questione è una variante del cosiddetto modo frigio “spagnolo”, caratterizzato dalla seconda eccedente tra il II e il III ed eventualmente anche tra il VI e il VII grado mi – fa – sol diesis – la – si – do – re (/re diesis) – mi Nell’improvvisazione i solisti ora aderiscono alla struttura scalare ora sostituiscono il fa al fa diesis, in urto con l’accompagnamento, delineando alla melodia un modo frigio puro. A quanto pare l’introduzione (4 battute di vamp su Cmaj7 e G9sus4: sol-la-do-fa) è di Bill Evans (è l’intro di Peace Piece da Everybody Digs Bill Evans, 1958) Il pezzo è caratterizzato da 5 scale modali per l’improvvisazione e da una serie di accordi che fanno da tappeto sonoro. I modi utilizzati sono i seguenti:
• Modo ionico di DO, scala maggiore naturale (accordo DOmaj7): do-re-mi-fa-sol-la-si-do • Modo misolidio di LAb, scala maggiore con settima minore (accordo LAb7sus4): lab-sib-
do-reb-mib-fa-solb-lab • Modo ionico di SIb, scala maggiore naturale (accordo di SIbmaj7): sib-do-re-mib-fa-sol-la-
sib • Scala minore armonica di SOL su scala alterata frigia o scala frigia spagnola di RE
(chiamata anche Phrigian dominant perché è il modo costruito sul V grado della scala minore armonica ed è ottenuta innalzando il III grado del modo frigio) (accordo di RE7 con 6 e 9 bemolle), alternanza su note del basso RE / MIb: sol-la-sib- do- re-mib-fa #-sol che si sovrappone a re-mib-fa #-sol-la-sib-do-re
• Modo dorico di SOL (accordo SOL-7): sol-la-sib- do- re-mib-fa -sol
Nel libro Kind of Blue: The Making of the Miles Davis Masterpiece di Ashley Kahn c’è una fotografia che risale al giorno dell’incisione di Flamenco Sketches e che ritrae il leggio di Cannonball Adderley: sopra c’è della carta da musica con le scale scritte da Bill Evans, sulle quali egli scrisse qualcosa del tipo “play in the sound of these scales” senza denominare in qualche modo le scale stesse e senza far riferimento ad accordi precisi. Purtroppo due delle scale sono oscurate nel mezzo dalla custodia del bocchino del sax e il testo a quanto pare definisce in modo scorretto due delle scale. Ingrandendo l’immagine, considerando la trasposizione del sax contralto (in mi bemolle) e ascoltando l’incisione si possono estrapolare i seguenti accordi base in relazione alla serie di scale utilizzate:
|: Cma7 G7sus :| ... C D E F G A B C
|: Ab9sus :| ... Eb F Gb Ab Bb C Db Eb |: Bbma7 F7sus :| ... Bb C D Eb F G A Bb |: D Eb/D (Dsusb9) :| ... D Eb F# G A Bb C D (soloists sometimes play F instead of F#) |: G-9 :| ... G A Bb C D Eb F G
00:00 Introduzione
4 bb. Modo #1, indicato dalle note del basso e dai voicings che richiamano Peace Piece di Evans (la parte già alla mano sinistra di Evans ora passa a Paul Chambers, che suona soltanto sul primo e sul quarto tempo di ogni misura, mentre gli accordi del pianoforte arricchiscono il colore del modo).
00:18 Assolo Miles Davis (con accompagnamento di piano e basso)
• modo #1 – 4 bb. • modo #2 – 4 bb. • modo #3 – 4 bb. • modo #4 – 8 bb. • modo #5 - 4 bb.
02:02 Assolo di John Coltrane (con accompagnamento di piano, basso e piatto ride)
• modo #1 – 4 bb. • modo #2 - 4 bb. • modo #3 – 4 bb. • modo #4 – 8 bb. • modo #5 – 4 bb.
03:47 Assolo di Julian Cannonball Adderley (con accompagnamento di piano, basso e piatti)
• (introduzione 1 b. di piano e basso modo #5) • modo#1 – 8 bb. • modo#2 – 4 bb. • modo #3 – 8 bb. • modo #4 – 8 bb. (Jimmy Cobb suona in double time e aggiunge chiusure di hit-hat
(charleston) nel mezzo della sezione) • mode #5 – 4 bb.
05:56 Assolo di Bill Evans (con accompagnamento di basso e piatto ride)
• modo #1 – 8 bb. • modo #2 – 4 bb. • modo #3 – 8 bb. • modo #4 – 4 bb. • modo #5 – 4 bb.
07:48 Assolo di Miles Davis (con accompagnamento di piano, basso e piatto ride)
• modo #1 – 4 bb. • modo #2 – 4 bb. • modo #3 – 4 bb. • modo #4 – 8 bb. • modo #5 – 2 bb.
Somedays My Prince Will Come (1961)
Sestetto con John Coltrane e Hank Mobley ai sax tenori, Wynton Kelly al piano, Paul
Chambers al basso e Jimmy Cobb, anche se gran parte dell’album è eseguita da un quintetto
(Coltrane aveva già lasciato il gruppo).
Somedays My Prince Will Come (Frank Church – Larry Morrey) [9:02] Valzer lento, canzone da Biancaneve e i sette nani (1937) di Walt Disney e raro standard in metro ternario. Esempio di ripensamento di uno standard alla luce delle esperienze del jazz “modale”, utilizzate nell’introduzione e nella conclusione e a mo’ di stacco e articolazione interna. 00:00 Intro, sezione ritmica: vamp e pedale 36 bb. 00:39 Davis: tema ABAC (32 bb.) e 3 chorus 03:10 Impro Mobley (2 chorus) 04:25 Impro Kelly (1 ½ chorus) 05:22 Davis: tema sezioni AC ( ½ chorus) 05:42 Intro, sezione ritmica 8 bb. 05:51 Impro Coltrane (2 chorus) 07:10 Intro, sezione ritmica 8 bb. 07:21 Davis: tema sezioni AC ( ½ chorus) 07:41 Vamp: sezione ritmica… Seven Steps to Heaven (1963) Nel 1962: sessioni non terminate per Quiet Nights, problemi di salute, scarsi ingaggi e guadagni che portano allo scioglimento del quintetto (Coltrane come detto aveva già lasciato il gruppo): Hank Mobley intraprende una carriera solistica mentre la sezione ritmica con Paul Chambers e Jimmy Cobb va a costituire il trio di Wynton Kelly. L’addio di Cobb particolarmente doloroso, per la sua lingua militanza con Davis dalla metà degli anni Cinquanta. A questo punto Davis prova diversi musicisti (Frank Strozier, as; Harold Mabern, p; George Coleman, ts; Ron Carter, b; Frank Butler, d), alla fine per tenere soltanto Coleman e Butler e cerca di ingaggiare stabilmente Victor Feldman, che tuttavia declina l’offerta per non rinunciare a una ricca carriera come session man. Una volta rientrato a New York, Miles ingaggia anche Herbie Hancock e Tony Williams, destinati a formare, con Ron Carter e quindi dalla fine del 1964 con Wayne Shorter, il nuovo quintetto stabile.
All’epoca Tony Williams aveva soltanto 17 anni e aveva suonato con Jackie McLean, Herbie Hancock aveva già scritto uno hit come Watermelon Man, mentre Ron Carter aveva inciso con Eric Dolphy e Mal Waldron. Album di transizione verso il nuovo quintetto, realizzato in due sessioni tra: Los Angeles, 16-16 aprile 1963 Quartetto con Victor Feldman, Ron Carter, Frank Butler Session di standard Basin Street Blues (Spencer Williams) 10:227 I Fall in Love too Easily (Sammy Cahn - Jule Styne) 6:44 Baby Won’t You Please Come Home (Clarence Warfield - Charles Williams) 8:25 Summer Night (Harry Warren – Al Dubin) 6:02 New York, 14 maggio 1963 Quintetto con George Coleman, Herbie Hancock (al posto di Victor Feldman), Ron Carter, Tony Williams (al posto di Frank Butler) Session con 2 composizioni originali Seven Steps to Heaven (Victor Feldman - Miles Davis ) 6:23 So Near, So Far (Tony Crombie - Benny Green) 6:56 Joshua (Victor Feldman) 6:58 Il gruppo riunito ad aprile in California registrò materiale a sufficienza per un intero album
ma Davis decise di non pubblicare i pezzi in tempo veloce per rifarli a maggio con il nuovo
gruppo, a New York. Due degli standard erano piuttosto vecchi, Baby Won’t You Please Come
Home (1919, hit di Bessie Smith nel 1923) e Basin Street Blues (realizzato nel 1928 da Louis
Armstrong). Resa molto lirica delle ballads, specialmente di I Fall in Love so Easily.
I brani veloci, tra cui due pezzi scritti da Victor Feldman, Seven Steps to Heaven e Joshua,
rimarranno nel repertorio di Davis per tutti gli anni Sessanta. L’album è l’ultimo realizzato in
studio da Davis a includere standards piuttosto che pezzi originali della band; con l’arrivo di
Wayne Shorter nel quintetto al posto di Coleman, il quintetto registrerà infatti album in studio
con un repertorio esclusivo di pezzi originali composti dai membri della band.
Seven Steps to Heaven (Victor Feldman - Miles Davis) [6:23] 00:00 Intro-stacco 00:10 Tema ABA 32 bb. (16 + 8 + 8 bb.) 00:37 Intro-stacco 00:43 Impro Miles Davis (4 chorus)
02:32 Break Tony Williams 02:57 Intro-stacco 03:03 Impro George Coleman (3 chorus) 04:24 Intro-stacco 04:30 Impro Herbie Hancock (2 chorus) 05:24 Intro-stacco 05:31 Tema 06:05 Intro-stacco: vamp e chiusa Tema fast bop, con elementi del jazz modale. Intro costituita da moduli, riff ripetitivi (4 + 8 battute, alternanza di due soli accordi Fa13 e Mi bemolle13), con funzione anche di stacco tra gli assoli e quindi di chiusa del pezzo. Senso di progressiva stretta dato dal fatto che il numero di chorus degli assoli è in progressivo diminuendo. II Quintetto Miles Davis (1926-1991) Wayne Shorter (1933), 1964-70 Herbie Hancock (1940), 1963-68 Ron Carter (1937), 1963-68 Tony Williams (1945-1997), 1963-69
Keith Waters, The Studio Recordings of the Miles Davis Quintet, 1965-68, New York, Oxford University Press, 2011. Sino al 1964 il gruppo di Miles suonava un piccolo repertorio costituito da pezzi bop,
standard, blues e pezzi costruiti su ostinato. Con l’arrivo in pianta stabile di Wayne Shorter,
che incomincia ad agire come condirettore del quintetto si delinea – a partire da E.S.P. (1965)
– un nuovo repertorio di pezzi inediti, composti principalmente da Shorter e dagli altri
membri del quintetto: questi pezzi impiegano improvvisazioni riferite a un strutture basate su
ostinati (con la sezione ritmica che articola con straordinaria flessibilità e fantasia il metro di
4/4 peraltro non l’unico adottato), in cui gli accordi in quanto tali tendono a perdere di
importanza e l’armonia diviene totalmente molto ambigua e sfuggente. Notevole espansione
della gamma tecnica ed espressiva del II quintetto, il cui linguaggio sarà determinato in buona
misura dalla personalità di Shorter, che pur ispirato da Coltrane, porterà nel gruppo un
elemento di introspezione, raffinatezza armonica, attenzione al silenzio e all’impiego delle
pause. Atmosfera lunare, sospesa. Tipico dello stile compositivo di Shorter è il ricorso a
concatenazioni accordali che non sono riconducibili ai principi dell’armonia funzionale, a
finali imprevisti. Notevole sperimentazione formale, oltre che linguistica del II quintetto,
forse portato peraltro con passare degli anni verso uno stile – e con questo un sound – molto
astratto, compiaciuto e ricercatamente manieristico, specie in Sorcerer e Nefertiti, che alla
fine sarà tra le principali cause dell’implosione del gruppo (come accadde quasi sempre per i
gruppi di Miles, la sezione ritmica a un certo momento si staccò dal quintetto e si mise in
proprio: cosa che farà per ultimo anche Wayne Shorter).
Il jazz degli album in studio del II quintetto è molto “cameristico”, aperto a una
sperimentazione che spesso conduce il discorso alle soglie della dissoluzione dell’impianto
tonale può risultare a tratti anche intellettualistico – o troppo intellettualistico, al punto da
suonare ostico al grande pubblico (le vendite degli album del II quintetto, non a caso, furono
di molto inferiori a quelle dei grandi successi di Davis degli anni 1950, evidentemente non
soltanto per ragioni di più ampia portata culturale e generazionale). Il II quintetto come vero e
proprio laboratorio sonoro in cui le fantasiose, sperimentali idee compositive-performative
potevano essere lavorate, sviluppate e alla fine registrate
Differenziazione tra gli album registrati in studio e quelli che documentano performances dal
vivo (in cui il gruppo continuava a suonare pezzi del repertorio di Miles e un numero ristretto
di ballads), ma comunque ruolo e contributo molto preciso svolto da ciascun membro del
quintetto.
My Funny Valentine (1964) Concerto 12 febbraio 1964, Lincoln Center New York (l’altra parte del programma pubblicata anche come Four & More). Album di grande successo, anche grazie a un programma costituito di celebri standard. Reinvenzione degli standard attraverso un processo molto sofisticato di estensione dell’improvvisazione, ripensamento della struttura formale del pezzo, complessità dell’interplay eccetera Cfr. BRAGALINI (1997)
1. Impiego di segnali sonori per segnalare cambiamenti nella modalità di accompagnamento alla sezione ritmica e creare un nuovo mood (motivi diatonici oppure frasi cromatiche)
2. Suddivisione della struttura dello standard in sezioni di diverso metro e accompagnamento (per es. passaggi dal base time al double time feel)
3. Varietà nell’interplay tra i musicisti 4. Frammentazione dello standard in mood differenziati e inusuali 5. Apporto di Tony Williams 6. Estensione irregolare dell’improvvisazione grazie a tag e turnaround
My Funny Valentine [15:01] Cfr. con la versione del 1956. Esemplare per flessibilità della sezione ritmica e fantasia nell’interplay. Impiego di segnali per cambiamenti nelle modalità di accompagnamento, di
pedali, ruolo di Tony Williams nella flessibilità della condotta della pulsazione, anche se nell’ultima parte del pezzo non suona o quasi. 00:00 Intro Hancock 00:37 Tema-impro Davis, sezione A: tempo libero 01:06 Tema-impro Davis, sezioni A’BA’’: ballad time; seguono 2 chorus impro 02:41 Segnale S1 (nota acuta seguita da 2 note gravi): passaggio al double time feeling, sezione A’’ (b. 9)
02:56 – 02:58 Segnale S2 (rapida figura cromatica ascendente): passaggio a una sezione con 4 beat x battuta e walking bass 04:04 Ritmo di bossa nova e pedale del basso (si bemolle), sezione B 04: 35 Double time feeling 05: 09 S1 ripetuto 05:12 Ritmo di bossa nota e pedale del basso 05:17 – 05:19 S2 05:20 Double time feeling
05:30 Impro Coleman (3 chorus) 06:20 cambio ritmo di bossa nova, pedale del basso 06: 50 Double time feeling
08:34 cambio ritmo con semplice scansione dei beat (poi la batteria tace), pedale del basso 08:58 Ballad time
09:55 Impro Hancock (2 chorus), accompagnato soltanto da Carter 10:58 pedale del basso 11:33 semplici tocchi del tamburo e dei piatti 13:26 Tema-impro Davis, sezioni BA’’, e chiusa
All of You [14.54] Versione aggiornata e ampliata, dal vivo, della registrazione dello standard di Cole Porter del 1956. Intensificazione della tecnica del turnaround per espandere gli assoli: circa il 60% del pezzo è occupato dal turnaround, che quindi diviene una parte costitutiva della forma e non solo più un’appendice decorativa degli assolo. Turnaround di 4 battute (vedi sotto lo schema).
Cfr. ZENNI p. 209 e analisi di BRAGALINI (1997)
Because of its extraordinary way of treating the form of Cole Porter's composition, this tune deserves particular attention. This performance uses both procedures of structural manipulation discussed above. Points (A)-(F) discussed in the context of Group 1 are relevant, and as with "All Blues," the base structure of the piece is elaborated with turnarounds (Group 2). I won't offer detailed analyses of the points discussed for Group 1; but I'll make several quick observations apropos of (A)-(F) above:
A. sound signals of both types A and B, which didn't appear in "All Blues," are used throughout "All of You";
B. the subdivision of the standard into sections of different meters and accompaniment sections is very complex;
C. as a result, the interplay among the musicians reaches a level rarely heard before; D. the standard moves through several unusual and expressive moods, and the quintet combines
dramatic and dissonant sections -- often including complex polyrhythms (as in the beginning of Hancock's solo, 10:06-10:39) and relaxed moments (as when from Davis' trumpet come the refined notes of Porter's theme);
E. Williams shows his surest command of pauses and space in this piece; F. the improvisations are irregularly extended throughout, particularly by the use of
turnarounds.
Consider an especially novel device in the quintet's interpretation of "All of You": in the last two measures of the C section, a harmonic substitution for the tonic chord allows a turnaround of four chords in the last four measures of the base structure.
"All of You," (a) tonic chord; (b) turnaround, II-V-I substitution S1 e S2 per l’ingresso e l’uscita dal turnaround S1 = figura discendente S2 = parafrasi della conclusione del tema (ultime 2 battute) 00:00 Tema-impro Davis (2 chorus + 28 turnaround)
01:28 – 01:43 S1
04:45 – 04:49 S2
04:57 Impro Coleman ( 2 chorus + 14 turnaround)
06:30 – 06:32 S1
08:00 – 08:03 S2
08:10 Impro Hancock (2 chorus + 22 turnaround)
(09:36 S1)
012:04 – 12:07 S2
12.10 Impro Davis (1 chorus + 15 turnaround)
13:02 – 13:05 S1
14:33 – 14:36 S2
6 album dal vivo E.S.P. (1965), Miles Smiles (1966), Sorcerer (1962, 1967), Nefertiti (1967), Miles in the Sky
(1968), Filles de Kilimanjaro (1968)
E.S.P. (1965)
Registrato nel gennaio 1965 è il primo, straordinario album in studio del secondo quintetto e
consiste interamente di pezzi originali composti dai membri del gruppo. Little One fu inciso
due mesi più tardi dal quintetto di Herbie Hancock (con Freddie Hubbard, George Coleman,
Ron Carter e Tony Williams) nell’album Maiden Voyage, dove il brano che dà il titolo
all’album è prefigurato nel finale di Eighty-One. Per la sua durata (oltre 48’), E.S.P. è uno dei
più lunghi album di jazz del periodo (ma gli album successivi del II quintetto saranno anche
più lunghi) e comprende 7 pezzi. L’album segna l’inizio della divaricazione tra album
registati in studio e performaces dal vivo; il titolo, tratto da uno dei pezzi, E.S.P., allude alla
ricerca di nuove sensazioni e percezioni
Rispetto al grande successo di My Funny Valentine, imperniato sul lato più accessibile della
musica di Miles, quello romantico e delle ballad, l’album disorientò e confuse il pubblico. Tra
l’altro, primo album di Miles in cui compaiono elementi funk e ritmi rock. Secondo Ian Carr,
E.S.P. è il miglior album in studio di Miles da A Kind of Blue e in esso tutti i brani, a
eccezione di Eighty One, un blues, recano inflessioni funk (affermazione sorprendente: ma
non è piuttosto che invece proprio Eighty One è il brano che più prefigura la svolta fusion di
là da venire?...)
1. E.S.P. (Wayne Shorter) – 5:27 2. Eighty-One (Ron Carter - Miles Davis) – 6:11 3. Little One (Herbie Hancock) – 7:21 4. R.J. (Ron Carter) – 3:56 5. Agitation (Miles Davis) – 7:46 6. Iris (Wayne Shorter) – 8:29 7. Mood (Ron Carter - Miles Davis) – 8:50
Liner notes di notevole valore di Bob Belden per la versione in cd (1999). L’ambum si
caratterizza per alcuni aspetti di sperimentazione formale e ritmica, che il quintetto stava
sviluppando in quel periodo dall’esperienza della performance live in una struttura
“compositiva”:
- impiego nei temi di melodie sempre più indipendenti dalla struttura armonica che le
sottende
- tecnica dello “stop-and-go”, guidata anzitutto da Carter e Williams (R.J., Agitation)
- lunghi pedali (Little One, Mood)
- creazione di una direzione “armonica” sulla base di suggestioni e implicazioni date dal
tema ma in contrasto rispetto a queste (E.S.P.)
- sospensione ritmica (R.J., Eighty-One)
- criteri di “modulazione formale”, cioè trattamento della forma e della struttura
metrico-armonica come entità distinte (Iris)
E.S.P. (Wayne Shorter) [5.27] E.S.P. ovvero Extra sensorial perceptions. Tema di 32 bb. (ABAB’) basato sull’intervallo melodico di quarta, per sua natura ambiguo: l’armonia ha un andamento parallelo per concludersi nelle ultime 4 battute (bb. 13-16 e 29-32) con una chiusa cadenzale tradizionale. La struttura melodica e armonica del tema rivela l’idea che l’andamento che può essere implicato dall’armonia (in questo caso si tratta di accordi paralleli che si muovono cromaticamente) influisce sulla direzione melodica presa dai solisti sino a determinarla. Qui il tema è “neutro”, tende a collocarsi in un “non luogo” tonale (intervallo di quarta della melodia), così da favorire l’invenzione di un’improvvisazione melodica lineare, libera da eccessivi vincoli armonici: le improvvisazioni sono in effetti molto libere e le nuove idee dei solisti tendono a contrastare e a suonare “contro” il movimento circolare – ma si tratta di un movimento che daà il senso di girare a vuoto – dell’armonia (la radici degli accordi sino alla chiusa cadenzarle sono: mi, fa, mi, mi bemolle, re, mi bemolle, mi, fa). Ricorda Shorter: “[Il brano] sembra oscilli su e giù, come un pendolo […] La musica contiene questo senso di allontanamento da un punto di riferimento, che invece abitualmente ricerca nelle composizioni – come gli standard e i brani legati a esperienze umane – del passato. Io cercavo invece qualcosa di diverso. Perché scrivere cose simili a quelle già fatte? Ecco quindi la sfida. Scrivendo E.S.P. decisi che non dovesse suonare accademico e terapeutico ma – come l’avremmo eseguito con Miles e gli altri – avventuroso”. 00:00 Tema 32 bb. (ABAB’) 00:29 Impro Wayne Shorter (2 chorus) 01:23 Impro Miles Davis (5 chorus) 04:04 Impro Herbie Hancock (2 chorus) 04:53 Tema Eighty-One (Ron Carter – Miles Davis) [6:11] Esempio di tema altrui, “editato” da Miles: blues di 24 bb. (12+12) nello spirito del boogaloo (fusion di rhythm & blues e generi cubani come mambo e son). Alla fine, prefigurazione del tema di Maiden Voyage. Prefigurazione dell’indirizzo fusion preso da Miles e dal suo gruppo di là a qualche anno. 00:00 Tema 24 bb. (12+12) 00:41 Impro Miles Davis (3 chorus) 02:49 Impro Wayne Shorter (3 chorus) 04:33 Impro Herbie Hancock (1 chorus) 05:18 Tema Little One (Herbie Hancock) [7:21] Valzer di 24 bb. che in questa realizzazione fa riferimento al modo con cui il quartetto suonava all’epoca dal vivo ballads come Stella By Starlight o Mu Funny Valentine. Il pezzo esplora le possibilità date dall’impiego di lunghi pedali del basso per creare effetti di tensione/distensione (FA che risolve in pedale di SI bemolle, talvolta sostituito da MI bemolle). Il tema è suonato interamente rubato, come se fosse un’introduzione, poi la sezione ritmica dà l’avvio al pulse con un interludio di 8 bb. [01:07]: seguono gli assoli di Miles Davis [01:19], Wayne
Shorter [03:11] e Herbie Hancock [04:53]. Ritornano il tema rubato [05:45] e l’interludio [06:38], quest’ultimo utilizzato come vamp conclusivo; ma in sede di montaggio epilogo che riprende l’inizio del tema rubato [07:05]. R.J. (Ron Carter) [3:56] R.J. è il nome del figlio di Ron Carter. Tecniche dello “stop and go” e della sospensione ritmica implicate dalla struttura stessa del tema, asimmetrica: A 11 bb. B 4 bb. A abbreviato o tronco 6 bb. In questo schema le diverse sezioni spingono il solista a creare un pulse differente; in particolare le 4 bb. centrali fungono da sospensione ritmica e al contempo da catapulta dinamica per rilanciare il movimento in avanti. La struttura asimmetrica è sottolineata dalla sucessione degli accordi della sezione A, mentre il senso di sospensione della sezione centrale B è accresciuto dal fatto di svolgersi su un pedale. Assoli: Miles Davis [00.22], Wayne Shorter [01:32], Herbie Hancock [02:56] Ripresa del tema [03:28] Agitation (Miles Davis) [7:46] Pezzo destinato a essere suonato molto spesso anche dal vivo ed elaborato negli anni seguenti, tanto da diventare la sigla del gruppo (sostituito da Directions di Zawinul nel 1969). Come struttura, il pezzo è apparentato a So What e a Joshua, basandosi essenzialmente su una serie di modi: do frigio (do-reb-mib-fa-sol-lab-sib-do), re bemolle lidio (reb-mib-fa-sol-lab-sib-do-reb) e sol misolidio (sol-la-si-do-re-mi-fa-sol). Largo uso di pedali per imprimere tensione/distensione e direzionalità al flusso della musica. Assolo di batteria [00:00], Impro Miles Davis melodia principale [01:58], Impro Wayne Shorter [04:12], Impro Herbie Hancock [05:56], Ripresa melodia principale Miles Davis [07:08] Iris (Wayne Shorter) [8:29] Tema di ballad AA di 16 + 16 battute in 3/4 che si riflette sulla struttura delle improvvisazioni: “modulazione formale” o “modulazione metrica” che consente di modellare armonia e forma del pezzo come unità distinte. Infatti negli assoli (chorus solistici):
- I sezione: la struttura delle prime 16 battute resta intatta - II sezione: nelle seconde 16 battute, invece, il ritmo armonico è dimezzato, per cui la II
sezione dura soltanto 7/8 battute (proporzione 2:1 ½ tra head chorus e solo chorus) D’altro canto il criterio non è applicato in maniera rigida. Nella sua impro Wayne Shorter finisce l’assolo dopo la I sezione e lascia perciò Hancock e Carter per un po’ sospesi, incerti se stanno suonando la II seconda sezione abbreviata o se invece un nuovo chorus, finché Hancock insiste a un certo punto, facendo capire con il fraseggio, l’uso delle pause e il tipo di accordi che si tratta dell’inizio della I sezione [05:26], dopodiché rientra nello schema del chorus solistico. 00:00 Intro e tema AA 16 + 16 bb.: Wayne Shorter 01:11 Impro Miles Davis (3 chorus solistici) 01:11 Chorus solistico 1 01:58 Chorus solistico 2 02:47 Chorus solistico 3
03:36 Impro Wayne Shorter (1 ½ chorus solistico) 03:36 Chorus solistico 1 04:20 Chorus solistico 2: s’interrompe dopo la I sezione (soltanto 16 bb.) 04:52 Impro Herbie Hancock
04:51 Chorus solistico 1: s’interrompe dopo la I sezione (soltanto 16 bb. + 3 bb. tag)
05:26 Chorus solistico 2 06:13 Chorus solistico 3 06:56 Tema Mood (Ron Carter - Miles Davis) [8:50] Ulteriore esplorazione dell’impiego del pedale e della sospensione ritmica. Il “mood” evocato dal titolo è un’atmosfera di misteriosa, notturna e romantica tenerezza (Miles suona con la sordina Harmon): senso di circolare e ipnotica fissità, di variazioni intorno a un elemento che ritorna sempre su se stesso. Questo è appunto il “mood”, una struttura armonico-metrica, esposta da Carter, Williams e Hancock che serve da struttura “tematica” in 3/4. Il pezzo assume quasi le fattezze di una serie di variazioni su basso ostinato, sulla base della sezione ritmica: basso, batterie (spazzole) e piano procedono infatti con moduli ripetitivi. 00:00 Struttura “tematica” modulo di 12 bb: sezione ritmica 00:26 Impro Miles Davis Chorus 1 (quasi tema)
00:56 Impro Miles Davis Chorus 2 01:24 Impro Miles Davis + Wayne Shorter 1
01: 52 Impro Miles Davis + Wayne Shorter 2 02:19 Impro Miles Davis + Wayne Shorter 3 02:48 Impro Miles Davis + Wayne Shorter 4
03:16 Impro Wayne Shorter 1 03:44 Impro Wayne Shorter 2 04:11 Impro Wayne Shorter 3 04:39 Impro Wayne Shorter 4
05:07 Impro Herbie Hancock 1 05:36 Impro Herbie Hancock 2 06:05 Impro Herbie Hancock 3 06:33 Impro Herbie Hancock 4 07:02 Impro Miles Davis + Wayne Shorter Chorus 1 (quasi tema) 07:32 Miles Davis + Wayne Shorter Chorus 2 08:00 Struttura tematica modulo di 12 bb: sezione ritmica e vamp a sfumare
Miles Smiles (1966)
Circle (Miles Davis) [5:52] Sofisticata ballad in tempo di valzer. Pezzo derivato da Dread Dog dall’album Someday My Prince Will Come (1961). Come racconta Hancock, il pezzo nacque dall’accostamento di alcuni accordi di Dread Dog (le bb. 21-28 diventano le bb. 1-9 di Circle). Forma circolare del tema:
A B A Coda 18 bb. 30 bb. 18 bb. - - - La forma circolare del tema (ABA e la forma può essere ripetuta ad libitum sino a concludere nella coda) si riflette nella sequenza delle improvvisazioni 00:00 Tema e impro Miles Davis A B A (18 + 30 + 18) 01:26 Impro Wayne Shorter (30 + 18) 02:37 Impro Herbie Hancock (30 + 18 + 30) 04:38 Ripresta tema Miles (18) e poi coda su vamp Nefertiti (1967) Nefertiti (Wayne Shorter) [7:52] Pezzo che segna un approccio particolare del laboratorio compositivo-performativo del quintetto: capovolgimento dei tradizionali ruoli che nel jazz hanno i fiati (la cosiddetta front line) e la sezione ritmica. A fondamento del pezzo c’è un tema di 16 battute (AB: 8 + 8 bb.), dunque di taglio tradizionale, ma la performance registrata è di fatto la vera “composizione”. La melodia tema è incessantemente ripetuto dai fiati come un ostinato (o un mantra, verrebbe da dire), mentre alla sezione ritmica è affidata la vera e propria improvvisazione: la linea del basso, i voicings del pianoforte e, soprattutto forse, le invenzioni della batteria (effetti di spostamenti degli accenti ritmici, di allungamento del tempo e ampio spettro dinamico ed emozionale). Uso della forma come ostinato e della melodia – e non già della struttura metrico-armonica – come veicolo e spunto per l’improvvisazione. Questa performance fu scoperta dai musicisti durante le prove (il master take che si ascolta è il second take). Fall (Wayne Shorter) [6:39] Un criterio analogo eppure diverso a quello di Nefertiti si ritrova in Fall, ballad basata su un tema di 16 battute. Anche qui la melodia dei fiati è trattata come un ostinato, per sollecitare l’improvvisazione e l’interplay: la forma e la melodia del tema divengono la cornice entro cui si dispiegano e sono per così dire “orchestrate” le improvvisazioni. A differenza che in Nefertiti, tuttavia, anche i fiati partecipano al processo improvvisativo, non limitandosi a ripetere la melodia o frammenti di essa. Si delinea così una cangiante multifunzionalità degli strumenti nella performance che possono di volta in volta suonare la melodia, accompagnare con figure di secondo piano la melodia, condurre l’improvvisazione, interagire con gli altri strumenti secondo varie modalità. In particolare il lavoro sulla melodia consiste nel suonare sulla, intorno alla e tra le frasi della melodia (tra le frasi della melodia iniziano a suonare Herbie Hancock e Wayne Shorter). Si segnalano alcuni punti in questo contesto: 02:20 Impro Herbie Hancock 03:55 Impro Wayne Shorter 05:33 Impro Ron Carter Prodromi del periodo elettrico
Nefertiti (1967) ultimo album interamente acustico, cui succede la mescolanza di strumenti
acustici ed elettrici, iniziata in Stuff di Miles in the Sky (1968), dove Herbie Hancock e Ron
Carter suonano rispettivamente il piano e il basso elettrico (ma già nel dicembre 1967 Miles
aveva convinto Hancock e Carter a suonare gli strumenti elettrici) e proseguita in Filles de
Kilimanjaro (1968), dove Herbie Hancock o Chick Corea suonano il piano elettrico e Ron
Carter il basso.
Questi album mostrano già la tendenza ad accogliere suggestioni, sonorità e andamenti del
rock, del funk del rhythm and blues di musicisti come James Brown, Jimi Hendrix e Sly Stone
del gruppo Sly and the Family Stone. Al di là dell’impiego del pianoforte e del basso elettrico
e della chitarra, Cambia decisamente il clima, l’atmosfera e il tipo di musica prodotto dal
quintetto, cui iniziano ad aggiungersi musicisti che poi prenderanno il posto dei suoi membri
(se in Miles in the Sky fa la sua apparizione George Benson, in Filles du Kilimanjaro suonano
Chick Corea e Dave Holland)
Funk (e aggettivo funky), termine coniato negli anni Cinquanta per indicare caratteri ritmici e
sonori presenti in diversi generi musicali. Il termine indica un odore forte, l’odore di un corpo
eccitato e per estensione poteva significare sexy, sporco, attraente ma anche vero, autentico,
libero da inibizioni. Moduli ritmici sincopati e interconnessi basati su una costante scansione
di quarti e ottavi che produce un incedere ritmico incalzante, stile vocale improntato al soul,
prolungati vamps basati su un’unica e spesso complessa armonia, forte sottolineatura della
linea del basso.
Negli anni 1968-1970 si delineano alcune tendenze di fondo nella musica, in costante
evoluzione, di Miles:
- temi con struttura metrica libera
- improvvisazioni con importanza secondaria attribuita alla melodia in quanto tale
(spesso cromatica o con inflessioni modali su un impianto armonico ambiguo)
- armonizzazioni ambigue, con sovrapposizioni di accordi tonali e accordi non tonali
- ancoraggio alla linea di basso, costituita da brevi ostinati di chiara connotazione e
riconoscibilità tonale
- impiego di ritmi rock, funky, pop della ritmica della batteria.
Miles in the Sky (1968) Album di transizione (registrato tra gennaio e maggio 1968), occupato da tre lunghi brani, Stuff, Paraphernalia e Country Son, che guardano per così dire al futuro della fusion tra jazz, rock e funky e uno, Black Comedy, che si rifa invece alla tradizione del II quintetto. Si tratta del quinto ed ultimo album registrato dal II quintetto al completo. La copertina più consona ad un gruppo
psichedelico della West Coast che a un gruppo jazz, fece presagire gli importanti cambiamenti di stile musicale che di lì a qualche anno troveranno completa realizzazione in album come In a Silent Way e soprattutto Bitches Brew. La particolare tendenza all’inversione di stile si nota fin dal titolo del disco, evidente riferimento alla traccia Lucy in the Sky with Diamonds presente sull’lp dei Beatles Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967). Le tracce provengono da sessioni di diversi periodi temporali e illustrano l’evoluzione della musica di Davis da un jazz prettamente acustico alla fusion elettrica che tanto influenzerà il jazz anni Settanta. Paraphernalia (incisa il 16 gennaio 1968) contiene il suono della chitarra elettrica di George Benson, anche se in maniera più lieve e maggiormente tradizionale rispetto alla precedente Circle in the Round (che vedrà la luce soltanto a fine anni Settanta). Black Comedy e Country Son (15 e maggio 1968 rispettivamente) costituiscono l’ultimo ritorno in studio di Davis alla classica formazione acustica. Stuff (registrata il 17 maggio 1968), con il suo basso electrico, il pianoforte Fender Rhodes, e il suo tempo raddoppiato, possiede uno stile a venire, che si concretizzerà nel successivo Filles de Kilimanjaro. Paraphernalia è l’unica composizione dell’album ad essere stata eseguita dal vivo in concerto da Davis. In ogni caso per cogliere il cambiamento di direzione preso con quest’album dal gruppo di Davis basta ascoltare anche soltanto i primi minuti di Stuff e di Paraphernalia con le loro sonorità elettriche; ma soprattutto diverso rispetto al passato è il trattamento della forma musicale. Album concepito sotto l’influenza di Gil Evans. Stuff (Miles Davis) [16:58] Pezzo soul-jazz o funky. Il master è realizzato col montaggio, all’inizio, di parte di un altro take [perfettamente percepibile il taglio a 1:50] nel first take integrale. Melodia che è costituita da brevi frammenti che galleggiano sopra armonie che richiamano il soul o il pop. Struttura del tema: ABC (16 + 8 + 16) dove la sezione centrale è costituita da una sospensione ritmica e armonica che potrebbe condurre da qualsiasi parte mentre quella conclusiva ha il senso di una ripresa variata più per la gestualità frammentaria che non per il concreto ricorrere di motivi. Oltre al piano e al basso elettrici, Shorter suona amplificato da un microfono collegato a un amplificatore in studio dal quale esce il suono registrato. 00:00 Intro 00:30 Tema 01:50 Taglio del montaggio, ancora intro 01:58 Tema seguito da una serie di parafrasi del tema stesso sino a 05:47 05:47 Impro Miles Davis 09:06 Impro Wayne Shorter 12:14 Impro Herbie Hancock 14:35 Tema e coda, con vamp a sfumare Country Son (Miles Davis) [13:49] Il quintetto acustico realizza un pezzo che dal punto di vista della struttura prefigura la musica che la band di Miles farà nella prima metà degli anni Settanta: pezzo che non è basato su una struttura melodico-armonica, ma costituito semplicemente da un’ossatura in tre parti, di diversa natura, che s’incatenano l’una nell’altra. Tecnica dello “stop and go” (momenti di stop che servono da trampolino di lancio per le parti dinamiche successive) e di quella del “sound over groove” che caratterizzerà la musica di Davis nei primi anni Settanta, con l’allineamento di sezioni diverse e quindi di musiche di differente carattere in un pezzo che impiega tuttavia ancora soltanto acustici. Pezzo, dunque, sospeso tra passato e futuro.
00:00 Prima parte, sezione “rock” in 4/4, re maggiore 01:01 Stop e rubato 01:34 Go con nuovo groove 02:37 Stop e rubato 02:59 Go con groove di tipo jazzistico 04:58 Stop e rubato 05:48 Go con nuovo groove 07:06 Stop e rubato 07:15 Go con groove di tipo jazzistico
09:06 Stop e rubato 09:15 Seconda parte, ballad in 3/4, sol minore 09:57 Terza parte, ripresa della sezione “rock” in 4/4 in re maggiore (cfr. 01:34)
11:41 Medium swing Filles de Kilimanjaro (1968) Altro album di transizione (registrato tra giugno e settembre 1968), con Chick Corea (piano e RMI
Electra piano) e Dave Holland (basso) he sostituiscono in alcuni brani rispettiavemente Hancock
(piano elettrico Fender Rhodes) e Carter (basso elettrico). Il titolo si riferisce alla Kilimanjaro
African Coffee, una compagnia della Tanzania nella quale Miles aveva fatto degli investimenti, con
un tocco “esotico” dato dal francese del titolo stesso e di tutti i titoli dei singoli brani. Betty Mabry,
sposata da Miles nel settembre 1968 compare in copertina e a lei è dedicato Mademoiselle Mabry.
Album in cui s’intrecciano la sperimentazione formale e l’astrazione di linguaggio degli anni
Sessanta, ritmi e atteggiamenti che saranno poi tipici della fusion prossima ventura. Dal punto di
vista di molti critici “puristi” (per es. Stanley Crouch) fu considerato l’ultimo album importante
jazzistico di Davis. Secondo Jack Chambers qui il gruppo cercò di andare oltre l’impiego di
strutture minimali per cercare un mood comune per sollecitare il pubblico a “scoprire l’unità dei
pezzi anziché semplicemente individuarla, come gli osservatori debbono scoprire l’unità in un
dipinto che possiede molteplici prospettive simultanee”. Gil Evans collaborò in misura sostanziale
all’album, componendo, arrangiando e partecipando alle sessioni di registrazione, anche se il suo
nome non è riportato tra i credits (cosa di cui ovviamente Evans si dispiacque). Di Petit Machins
(Little Stuff) Evans è il coautore (lo registrerà poi come Eleven indicando Davis come coature);
Mademoiselle Mabry (Miss Mabry) è una rielaborazione di Evans di The Winds Cries Mary di Jimi
Hendrix (benché alcuni passaggi assomiglino a On Broadway di Mann, Weil, Lieber e Stoller).
Estrema complessità costruttiva soprattutto di alcuni pezzi, come Petits Machins (Little Stuff).
Reazioni critiche molto positive alla pubblicazione dell’album. John Ephland su Down Beat, per
esempio, sottolineò l’unitarietà di concezione dell’album, “precursore stilsitico del per sempre
popolare In a Silent Way del 1969” “Filles is performed (and edited) like a suite, with a sense of
flow unlike anything Davis had recorded up to that point. That flow is enhanced by a music played
all in one key (F), with only five ‘tunes’, and with a mood and rhythms that change gradually from
start to finish […] In passing, Filles de Kilimanjaro is a turning-point album unlike any other for
Davis: For the first time, his bebop roots were essentially severed, rockier rhythms, electricity and
ostinato-driven bass lines now holding sway”. Jim Santella di All About Jazz scrisse che la musica
dell’album “flows with a lyricism that remains highly regarded in today’s format”.
Petits Machins (Little Stuff) [8:04] Quintetto con Hancock e Carter. Analisi di Keith Waters (p. 257). Tema con due sezioni contrastanti:
- Unità di 15 bb. in metro di 11/4 (4/4 + 4/4 + 3/4) con riff ripetuto e armonie cromatiche di dominante nella prima sezione
- Unità di 10 bb. in metro di 4/4 nella seconda sezione: le prime 6 bb. su pedale di fa su cui scivolano armonie diverse a ogni misura, poi progressione sincopata nelle bb. 7-8 e cambiamento del basso nelle bb. 9-10).
Questa seconda sezione è la base per le improvvisazioni ma alterata nella sua lunghezza da 10 a 9 battute e Keith Waters parla della “pratica di Davis, ormai consumata, dell’elisione metrica”. Il quintetto omette la b. 10 durante le impro e mantiene la successione armonica delle prime 9 bb. La progressione sincopata cade qui nella b. 7 ma Carter non partecipa alla sincope delle bb. 7-8 mentre Hancock la interpreta in modo molto libero. Di fatto i musicisti si relazionano l’uno con l’altro, l’uno cioè segue l’altro in un territorio in larga misura indefinito senza far riferimento a uno schema precostituito; tra l’altro, come in Filles de Kilimanjaro il brano non si conclude con un ritorno al tema ma con una seconda impro di Davis. Mademoiselle Mabry (Miss Mabry) [16:33] Quintetto con Corea e Holland. Pezzo basato su un tema di 18 bb. che si ritorna 18 volte. La struttura è interamente scritta per quanto riguarda i voicings, l’ossatura ritmica per portarli e la stessa condotta del basso: con ciò si ribalta la tradizionale “composizione” jazzistica in cui a essere scritta è soltanto la linea melodica, mentre per la sezione ritmica vi sono soltanto le indicazioni degli accordi. Il pezzo in tempo lento fonde, come scrive Ian Carr, elementi che appartengono alla tradizione delle ballads e della musica soul (le bb. 11-12 sottolineano il riferimento blues), in una dimensione lirica eppure al contempo molto funky. La logica è quella di una libera parafrasi: la libertà consiste nelle varianti cui ogni volta è sottoposta la struttura tematica. Il compito della batteria consiste nel muovere e inventare ritmi, colorando il movimento. Il pezzo ha la seguente articolazione formale e si conclude non con il ritorno del tema ma con una nuova impro di Davis 1-3 4-9 10-14 15-17 18 Sezione ritmica Impro Davis Impro Shorter Impro Corea Impro Davis 3 chorus 6 chorus 5 chorus 3 chorus 1 chorus 00:00 02:58 08:50 12:41 15:27
Dopo Filles de Kilimanjaro, come sottolinea Ian Carr, Miles pensò di riprodurre in studio un
certo modo di suonare del gruppo in concerto, con lunghe arcate musicali senza soluzione di
continuità e svincolate dalla concezione occidentale della forma musicale. Da quel momento
in avanti Miles non entrò più in studio con l’idea di pezzi già definiti ma iniziò a esplorare
alcuni elementi e alcune sezioni del tutto per combinarli poi a posteriori in un insieme. Questo
modo di procedere e di concepire la registrazione – in cui le fasi del montaggio e della post-
produzione diventano decisive per la concezione e configurazione dell’album – è stato
descritto da Teo Macero, l’ingegnere del suono e produttore di Miles dal 1959 al 1983, che
divenne quindi a tutti gli effetti un “membro” delle band e una specie di coautore.Per questo
la svolta stilistica “elettrica” comporta anche un cambiamento radicale della concezione stessa
della registrazione: editing delle registrazioni a partire da lunghe performance realizzate e
catturate a microfoni aperti sia dal vivo sia in studio. “Il registratore non si ferma mai durante
le sedute, non ci sono attimi di sosta, ci sono solo le pause per il playback. Non appena Miles
entra in studio facciamo partire i nastri. Tutto quel che si fa in studio viene così registrato;
abbiamo un fantatico archivio di tutto quel che è accaduto. Non si è perso niente.
Probabilmente Miles è l’unico artista in tutto il globo, dacché ce l’ho io in mano, la cui
musica è intatta, completamente. Di norma facevamo dei masters, dei nastri d’origine, ma con
l’avvento dei registratori a tre, quattro piste e anche più ho deciso di smettere. Non si fanno
più masters, prendo ciò che volgio da quel che abbiamo registrato e ne faccio una copia, e il
nastro originale torna negli archivi, intatto. Se a qualcuno non piace quello che ho fatto,
scaduti i diritti si potrà risalire all’originale e rifare tutto”.
Con In A Silent Way e Bitches Brew (1969) mescolanza di strumenti acustici ed elettrici e di
improvvisazione melodica jazzistica con modalità “aperte” di accompagnamento rock e funk.
Gruppi che impiegano strumenti diversi nel segno della fusion: strumenti acustici, elettrici ed
etnici come il sitar e il tabla indiani, i piatti cinesi, vari tipi di percussioni africane e
sudamericane.
Alle origini della svolta di Miles nella direzione della fusion ci sono alcuni aspetti che vanno
tenuti in considerazione per non cadere in equivoci:
- l’influsso di gruppi di matrice jazzistica che nel 1969 già perseguivano in vari modi un
discorso di fusion: 1) il Cannonball Adderley Quintet (con Nat Adderley alla cornetta,
Joe Zawinul al piano, Walter Brooker al basso e Roy McCurdy alla batteria), grazie a
un mix di jazz, soul e rock sin dall’album 74 Miles Away (1967); 2) Tony Williams
Lifetime (con John McLaughlin alla chitarra, Larry Young all’organo), grazie a un mix
di jazz e rock e a un duplice riferimento allo stesso Miles Davis da una parte e a Jimi
Hendrix dall’altra;
- il rapporto controverso e tutt’altro che generalmente positivo di Miles con il rock, che
in riferimento agli anni intorno al 1970 ebbe a dire: “incominciai a capire che i
musicisti rock non sanno niente di musica. Non la studiano, non sanno suonare stili
differenti, e di leggerla non se ne parla nemmeno. Ma andavano di moda e vendevano
un mucchio di dischi perché davano al pubblico unc erto sound, quello che voleva
ascoltare. Così cominciai a pensare che se potevano farcela loro, a raggiungere tutta
questa gente e vendere tutti quei dischi senza nemmeno sapere cosa stessero facendo,
allora potevo farlo anch’io, soltanto meglio” (Miles Davis con Quincy Troupe,
L’autobiografia, Roma, Minimum fax, 20102, pp. 391);
- volontà di cambiare continuamente direzione e senso alla propria musica unita al desiderio
di raggiungere un ampio pubblico, al di là della nicchia degli appassionati di jazz in un
periodo in cui i giovani si mostrano – specialmente negli USA – sempre più disinteressati al
jazz: atteggiamento indubbiamente ambiguo tra motivazioni estetiche o di poetica e mere
preoccupazioni commerciali (cfr. il ruolo del presidente della Columbia, Clive Davis).
Il problema critico della svolta elettrica di Miles.
Prefazione di David Liebman a Gianfranco Salvatore, Miles Davis. Lo sciamano elettrico,
Viterbo, Stampa alternativa/Nuovi equilibri, 20072.
Quali furono le ragioni che indussero Miles “a passare dall’acustico all’elettrico e a suonare
su un beat rockeggiante sopra statici vamps bassistici?” Secondo Liebman la domanda è tanto
più importante per il fatto che il II quintetto di Miles aveva prodotto un repertorio e un tipo di
musica che è ancor oggi attuale e su cui continuano a lavorare i musicisti. Due aspetti
fondamentali di questo repertorio:
a) in primo piano era il concetto di “tempo senza schemi armonici” che implicava il suonare
senza un struttura armonica predeterminata – a differenza di quanto era accaduto nel jazz
precedente – e l’impiego, molto sofisticato e complesso, di linee cromatiche opposte ad
aggregati armonici dissonanti, linee fluttuanti sopra un sostegno poliritmico;
b) specie nel periodo iniziale del quintetto astrazioni e riarmonizzazioni radicali di standard
come I Fall in Love too Easily,’Round Midnight o My Funny Valentine.
La questione del passaggio di Miles alla fusion resta aperta. Pressione commerciale della
Columbia su Miles per vendere di più? Ego di Miles che lo portava a sovrastare e a
sopravanzare chiunque altro, facendo le cose prima e meglio di chiunque altro? Influenza
della grande popolarità del rock, che aveva ormai preso il posto del jazz nell’interesse dei
giovani? Desiderio di sentirsi giovane, di fare qualcosa di diverso per non annoiarsi? Forse si
trattò di una combinazione di tutti questi aspetti; in ogni caso, la trasformazione elettrica
iniziata da Miles nei tardi anni Sessanta si pose all’origine di un profondo mutamento
musicale.
Tre fasi del periodo fusion di Miles:
1) 1969-72. Atmosfera quasi tribale della musica con Corea, Jarrett, DeJohnette, McLaughlin,
Moreira, e grande energia collettiva. Ancora tre ruoli solistici (tromba, sax, tastiere), ma
accompagnamento molto diverso della tradizione jazzistica. Concorde macchia sonora, con i
musicisti che sembravano suonare ciascuno per conto proprio invece di mettersi in relazione
con il solista: un costante turbinio di testure e di ritmi. Linea del basso e beat della batteria si
mantengono costanti, pur in un contesto molto fluido. Armonia dissonante, spesso con
sfumature d’avanguardia e tratti di prossimità al free jazz, rideclinato in versione elettronica.
2) 1973-75. Beat molto funky prodotto da basso e batteria, influenza del rhythm and blues e
del rock (James Brown e Sly Stone). Ritmo stabile e definito, senza alcuna preoccupazione
per armonie e melodie; anzi, idea di melodia ridotta a brevi frammenti di motivi. Incremento
nell’uso delle percussioni e degli effetti elettronici (pedale wah-wah con la tromba), dure
sonorità delle chitarre. Musica piuttosto dura e non di facile accesso al pubblico.
3) 1981-91. Gruppi costituiti in prevalenza da musicisti non propriamente jazz, esigenza
comunicativa che rende Miles un pop star. Ritorno alla melodia e alle successioni accordali
con forti inflessioni rock e pop.
In A Silent Way (1969)
Album della svolta nel senso della fusion nell’anno che vedrà anche Bitches Brew. In A Silent
Way corrisponde in un certo modo a A Kind of Blue e dunque al lato intimista, romantico,
introspettivo della natura di Miles. Secondo Ian Carr, qui Miles riesce a conciliare in modi
nuovi “sviariati elementi contrastanti della sua esperienza musicale: composizione scritta e
improvvisazione; libertà e controllo; statica e dinamica; vocabolario blues e astrazione
armonica; piccolo gruppo e grande formazione”. Se In A Silent Way corrisponde al lato
appunto intimista, romantico, contemplativo di Miles, Bitches Brew con il suo linguaggio
dissonante e frantumato corrisponde al lato notturno, sciamanico, infernale e demoniaco dello
stesso Miles.
Tecnica della registrazione a microfoni aperti e prime registrazioni in studio di Davis a essere
costruite, montate e rimaneggiate in fase di post-produzione: due ore circa di musica poi
ridotte da Macero a 80’ e quindi da Davis a 18’ in sala di montaggio, poi integrazione dei
pezzi selezionati con ripetizioni. Nel 2001, la Columbia Legacy in collaborazione con Sony
Music ha pubblicato un cofanetto di tre CD intitolato The Complete In A Silent Way Sessions, che
comprende l’album originale, tracce aggiuntive, e le registrazioni integrali utilizzate per produrre In
A Silent Way.
L’organico comprende tromba, sax soprano, 3 tastiere elettriche, chitarra elettrica, basso e batteria:
originalità assoluta della band nel campo del jazz. John McLaughlin era stato invitato da Tony
Williams a suonare nel suo gruppo, The Tony Williams Lifetime, e fu così che fu presentato a
Davis, che rimase così impressionato dal suo modo di suonare da chiedergli di partecipare alla
registrazione di In A Silent Way. A quanto pare in modo altrettanto informale, quasi casuale, fu
coinvolto Joe Zawinul, che durante la registrazione suonò tanto il pianoforte quanto l’organo
elettrico.
L’album è costituito da due lunghe tracce (una per lato nell’LP originale), Shhh/Peaceful e In A
Silent Way/It’s About That Time, entrambe articolate in tre parti distinte che lasciano intendere una
sorta di forma di sonata con esposizione, sviluppo e ripresa, come ha sottolineato Paul Tingen
(Miles Beyond: The Electric Explorations of Miles Davis, 1967-1991, 2001): gli ultimi 6’ del primo
pezzo Shhh/Peaceful sono i primi 6’ ripetuti alla lettera e montati dopo la parte centrale, mentre In
A Silent Way ritorna poi allo stesso modo dopo It’s About That Time. Ciò conferisce ai due pezzi
una struttura chiusa e particolare.
Raggiungendo la posizione numero 134 nella classifica Billboard 200 negli USA, In A Silent Way
divenne il primo album di Davis dai tempi di My Funny Valentine (1965) ad entrare nella classifica
degli LP più venduti. Nonostante il disco si stesse rivelando un successo commerciale la critica si
divise nel recensire l’album. La presenza di strumenti elettronici e la forma sperimentale generarono
non poche controversie presso i critici di jazz, in un epoca in cui critica jazz e critica rock-pop erano
ambiti sostanzialmente separati e non comunicanti. Furono in particolare i processi di registrazione
e di produzione delle tracce realizzati da Davis e Teo Macero, consistenti in un “copia e incolla”
delle diverse registrazioni in un vero e proprio montaggio sonoro di studio, a sconcertare buona
parte della critica jazz, abituata all’idea della performance dal vivo, unica, continua e irripetibile
come archetipo e modello anche della In Running the Voodoo Down: The Electric Music of Miles
Davis (2005) Phil Freeman scrive che i critici rock e jazz ai tempi della pubblicazione dell’album si
guardavano bene dallo sconfinare uno nel campo dell’altro rimandendo all’interno dei rispettivi
ambiti (con i relativi pregiudizi ideologici ed estetici che questo radicamento comportava): fu
proprio In A Silent Way, che suonava quasi rock, a rimettere tutto in discussione. Chi si occupava di
musica rock dovette forzatamente parlare del disco facendo notare la nuova direzione che sembrava
star prendendo la musica di Davis (new directions è il concetto intorno al quale sono scritte le liner
notes originali dell’album di Frank Glenn), mentre i critici di jazz, specialmente quelli non
interessati al rock, pensarono che l’opera fosse un tradimento del “vero” jazz e lo accolsero con
aspre critiche. “It didn’t swing, the solos weren’t even a little bit heroic, and it had electric guitars...
But though In a Silent Way wasn’t exactly jazz, it certainly wasn’t rock. It was the sound of Miles
Davis and Teo Macero feeling their way down an unlit hall at three in the morning. It was the
soundtrack to all the whispered conversations every creative artist has, all the time, with that
doubting, taunting voice that lives in the back of your head, the one asking all the unanswerable
questions” (Freeman, pp. 26-27). In una recensione d’epoca su Rolling Stone, Lester Bangs
descrisse In A Silent Way come “il tipo di album che ti dà fiducia nella musica del futuro. Non è
rock and roll, ma non è nemmeno niente di così stereotipato come il jazz. Il disco riunisce in sé di
fatto tutte le sperimentazioni messe in atto negli ultimi quattro anni dai musicisti rock, e le unisce al
background jazzistico di Davis”. Nel corso degli anni, In A Silent Way ha smesso di dividere i critici
e oggi viene ormai considerato come uno dei migliori lavori di Davis, destinato a influire proprio
per le sue caratteristiche – nonché per le tecniche di registrazione e montaggio impiegate – su
diversi generi musicali come l’ambient, la dance music e l’elettronica, il rock il pop, senza di fatto
essere riconducibile, in senso stretto, ad alcun genere preciso.
Lato uno Shhh/Peaceful (Miles Davis) - 18:16
Shhh - 6:14 Peaceful -5:42 Shhh - 6:20
Lato due In a Silent Way/It's About That Time (Joe Zawinul - Miles Davis) - 19:52
In a Silent Way (Joe Zawinul) - 4:11 It's About That Time (Joe Zawinul - Miles Davis) - 11:27 In a Silent Way (Joe Zawinul) - 4:14
Miles Davis, tromba Wayne Shorter, sax soprano Chick Corea, piano elettrico Herbie Hancock, piano elettrico Joe Zawinul, organo elettrico John McLaughlin, chitarra elettrica Dave Holland, basso Tony Williams, batteria
Shhh/Peaceful (Miles Davis) [18:16] I due pezzi, che formano un trittico, si susseguono senza soluzione di continuità. Assenza di una vera struttura tematica ma serie di strati sonori sovrapposti, articolazione nel tempo grazie alla tecnica dello “stop and go”sperimenentata ampiamente dal II quartetto. Tonalità di re maggiore mantenuta lungo l’intera durata del brano, grazie alla scansione incessante la-re del basso. Batteria:regolare ritmo di semicome al charleston. Sfondo su cui le tastiere suonano
brevi figurazioni. La tecnica dello “stop and go” interrompe il flusso regolare della musica prima dell’impro di Miles e a segnare il passaggio al secondo pannello del pezzo. Interplay di grande finezza, in cui la logica è data dalla produzione di figure, moduli iterativi, licks in relazione all’ascolto degli altri. Atmosfera sospesa, in cui sembra che lo scorrere del tempo si fermi (secondo Carr qui la musica “crea una situazione, estranea alla musica occidentale, di assenza di tempo: e sotto un certo profilo è musica entro cui si dovrebbe vivere, più che essere semplicemente ascoltata”). Ssh [6:14] 00:00 Strati sonori sovrapposti: sezione ritmica 01:28 - 01:34 Stop and go 01:43 Impro Miles Davis 05:15 Sezione ritmica 05:55 – 06:13 Stop and go Peaceful [5:42] 06:14 Impro John McLaughlin 09:13 Impro Wayn Shorter 10:48 Impro John McLaughlin Ssh [6:14] 11:56 Ripresa di Ssh In A Silent Way/It’s About That Time (Joe Zawinul – Miles Davis) [19:52] Rispetto a Ssh/Peaceful che delinea uno svolgimento compatto, In A Silent Way/It’s About That Time è un trittico in cui i pannelli estremi sono nettamente diversi per forma e carattere, anzi decisamente contrastanti da quello centrale. In A Silent Way, tema di Joe Zawinul (la versione originale s’ascolta nell’album Zawinul del 1971) ma in una versione radicalmente semplificata dall’editing di Miles. Di fatto, il tema di ballad è suonato su un solo accordo, di mi maggiore, ed è presentato quattro volte, senza assoli, senza una pulsazione precisa e con strumentazione ogni volta leggermente diversa sul pedale del basso: pura melodia accompagnata, in una clima di magica evocazione. It’s About That Time non si basa su alcun tema vero e proprio (le uniche parti composte nel senso di messe per iscritto riguardano basso, batteria e tastiere), bensì su 3 sezioni che si ripetono e si avvidendano: A, 4 bb.: riff del basso di 3 note (mi bemolle-re-mi bemolle) + scansione ritmica regolare della batteria (otto ottavi per battuta sul charleston piatti chiusi e quattro quarti battendo sul metallo del rullante) B, 3 bb.: riff del basso di 3 note (re bemolle-re bequadro-mi bemolle) + accordi contigui per quarte delle tastiere + scansione ritmica regolare della batteria come in A C, 2 bb.: riff del basso (fa-fa-la-la-si bemolle ecc.) + scansione ritmica regolare della batteria come in A In A Silent Way [4:11] 00:00 Tema, 16 bb., poi ripetuto: John Mc Laughlin 02:07 Tema: Wayne Shorter 03:03 Tema: Miles Davis e Wayne Shorter
It’s About That Time [11:27] 04:11 A - Impro Miles Davis 04:57 B- Sezione ritmica 05:42 B- Impro John McLaughlin 08:18 B + C - Impro John McLaughlin 09:10 B - Sezione ritmica 09:31 B- Impro Wayne Shorter 10:27 B + C Impro Wayne Shorter 11:36 A - Sezione ritmica 11:45 B - Impro Miles Davis 12:41 C - Impro Miles Davis
13:09 La batteria accompagna l’assolo 13:43 A - Impro Miles Davis 14:40 C - Impro Miles DAvis In A Silent Way [4:11] 15:38 Ripresa di In A Silent Way
Bitches Brew (1969)
Doppio album, contraltare di In A Silent Way. Enrico Merlin - Veniero Rizzardi, Bitches Brew.
Genesi del capolavoro di Miles Davis, Milano, Il Saggiatore, 2009.
“Non si potrebbe mai scrivere per un’orchestra quello che facemmo in Bitches Brew. Fu per questo
che non misi tutto per iscritto; non perché non sapessi quello che volevo; sapevo che quello che
desideravo non sarebbe mai venuto fuori dalla roba prearrangiata, ma da un processo creativo.
Quelle registrazioni furono improvvisazioni, ed è questo che rende il jazz così favoloso” (Miles
Davis con Quincy Troupe, L’autobiografia, Roma, Minimum fax, 20102, pp. 388). Certo il processo
creativo dell’improvvisazione è importante, ma non meno decisivo è il ruolo della manipolazione in
sede di post-produzione dei nastri registrati.
Copertina e atmosfera dell’album contengono riferimenti all’Africa, per Miles un’Africa mitica e da
sogno alla quale ispirarsi. La celebre copertina pop-surrealista dell’album, opera di Mati Klarwein
(già autore della copertina di Abraxas di Carlos Santana) è anch’essa emblematica del cambiamento
di stile nella musica di Miles contenuta nell’opera. A Klarwein venne commissionata una copertina
incentrata sulla dualità: il disegno raffigura una coppia abbracciata che guarda lontano verso
l’orizzonte oltre il mare e che si fonde con le nubi, un fiore che è anche fuoco, due mani che si
intrecciano e che si tramutano in un volto bifronte, nero e bianco, rivolto verso il cielo azzurro da un
lato e verso la notte stellata dall'altro. Tutti e due i volti sono imperlati di sudore ma sul viso bianco
esso è simile a sangue. Sul retro di copertina vi sono altre due figure, un indigeno (o un’indigena)
Wodaabe in piedi, nell’estasi di una cerimonia religiosa, e in basso a sinistra un’altra figura assorta,
pensosa e avvolta nell’ombra.
Il titolo è un gioco di parole. In inglese esiste l’espressione “witches brew”, che può significare sia
“pozione magica” che “calderone delle streghe”. La parola bitch ha diversi significati. Nell’uso
gergale afroamericano viene usata abitualmente come termine dispregiativo (o di forte
apprezzamento) verso una donna (definita “cagna”, “puttana”), ma è usato anche tra i musicisti per
chiamarsi l’uno con l’altro. Un altro significato è dato dall’espressione bitching, ossia “qualcosa di
pregevole, roba buona”. In questo senso l’autore vorrebbe quindi dire “questa musica è roba
buona”. (Paul Tingen Miles Beyond. The Electric Explorations of Miles Davis, 1967-1991, New
York, Billboard Books, 2001, p. 62) La traduzione letterale, “brodo di cagne” o “sudore di cagne”
che talvolta viene proposta, è fuorviante in italiano nel far comprendere appieno il complesso gioco
di parole voluto da Davis che implica un ampio campo semantico (magia, prostituzione,
apprezzamento, affetto).
Elementi generali caratterizzanti (che in buona parte riprendono ma in misura molto più radicale
tratti degli album precedenti come Filles de Kilimanjaro e In A Silent Way):
- impiego di strumenti acustici ed elettrici in combinazione inusuale (estensione e
arricchimento paraorchestrale dell’organico rispetto a In A Silent Way)
- tecnica di registrazione multitraccia a microfoni aperti
- massiccia elaborazione delle registrazioni in studio in fase di post-produzione, con
introduzione di riverberi, echi ed altri effetti elettronici
- dissoluzione delle forme tipiche del jazz (in particolare quella: tema – assolo/i – tema cioè
head – solo – head) in favore di una libera improvvisazione su frammenti e spunti e strutture
minimali: riff del basso, modi, pedali, grooves, “coded phrases”
- assenza di temi, melodie memorizzabili e linguaggio molto dissonante, associato a sonorità
dure e aspre
- lunga durata dei pezzi
In sostanza si trattò di una messa in discussione complessiva di tutta la musica precedente di Miles
(strumenti, tecniche compositive, metodi di produzione) e di un allontanamento dal pubblico
tradizionale del jazz. Eppure, nonostante la sua complessità, Bitches Brew ebbe un grande successo
di pubblico, sia tra gli amanti del rock sia tra gli appassionati di jazz, anche se fu rifiutato dai
“puristi” del jazz: con la vendita di oltre mezzo milione di copie, l’album rappresenta il secondo
miglior successo commerciale della storia del jazz, dopo Kind of Blue (1959). È piuttosto dubbio
che Bitches Brew possa essere considerato come il primo album di jazz-rock (Emergency! dei Tony
Williams Lifetime uscì nel 1969, mentre Bitches Brew fu pubblicato nel 1970), ma certo è l’opera
con cui Miles prende definitivamente le distanze da un certo modo tradizionale di concepire la
musica e il jazz, aprendo la propria esperienza ad altre musiche e ad altri mondi sonori.
L'ispirazione per l’album giunse a Davis dal Festival di Woodstock (agosto 1969). La prima
sessione per l’album ebbe infatti luogo pochi giorni dopo la conclusione della manifestazione che
aveva fatto conoscere al mondo il popolo del rock con tutte le sue implicazioni sociologiche
connesse. In particolare, le influenze principali nell’ideazione e composizione di Bitches Brew
furono quelle di Sly Stone, Jimi Hendrix, James Brown.
I profondi cambiamenti nello stile e nei concetti musicali di Miles Davis che portarono alla fusione
di jazz e rock, si realizzarono principalmente in studio di registrazione per poi svilupparsi però
anche nelle performances dal vivo. Clive Davis aveva convinto Miles ad esibirsi in grandi spazi
aperti come il Fillmore East di New York, anziché in piccoli club come aveva fatto in precedenza.
Questa apertura verso una fetta di pubblico più ampia, portò a curiose commistioni di artisti
musicali dallo stile differente che si esibirono sullo stesso palco. Nello stesso periodo anche il look
di Davis subì delle modifiche radicali come riflesso delle sue nuove scelte musicali: il musicista
iniziò ad indossare giacche di pelle, vistosi occhialoni neri, camicie dai colori psichedelici, un
abbigliamento eccentrico simile a quello dei musicisti rock dell’epoca.
Bitches Brew è stato registrato in soli tre giorni: il 19, 20 e 21 agosto 1969. nello Studio B della
Columbia sulla 52a Strada di New York In tre giorni di session, Miles e Teo Macero registrarono
tutto il materiale come fosse una lunga, unica jam session – guidata e “orchestrata” da Davis –
senza fermare mai il nastro. L’improvvisazione collettiva in sala di incisione era stata già
sperimentata da altri jazzisti come Ornette Coleman e John Coltrane, ma Davis volle che qui ogni
strumento fosse precisamente integrato in un caleidoscopico insieme collettivo appunto
“orchestrato” nei dettagli. Il gruppo di musicisti impiegati (che può essere considerato come
un’estensione del quintetto archetipico di Miles grazie a una moltiplicazione delle funzioni con in
più 1 batteria, 3 percussionisti, clarinetto basso, 2 tastiere e chitarra) comprende:
- tromba (Miles Davis)
- 2 batterie (Jack DeJohnette e Lenny White)
- 3 percussionisti (Don Alias, Juma Santos e Airto Moreira)
- sax soprano (Wayne Shorter) e clarinetto basso (Bennie Maupin)
- 2/3 pianoforti elettrici (Chick Corea, Joe Zawinul, Larry Young)
- chitarra (John McLaughlin)
- 1/2 due bassi acustico e/o elettrico (Dave Holland e Harvey Brooks)
Per la realizzazione di un’opera così complessa e difficile, Davis utilizzò il copione già
sperimentato per Kind of Blue e In A Silent Way, portando in studio solo semplici sequenze di due,
tre accordi e indicazioni dinamiche e ritmiche, lasciando per il resto carta bianca all’intuizione e
all’improvvisazione dei musicisti, sotto la sua supervisione d’insieme. Processo improvvisativo
basato su un minimo di indicazioni e su un rapporto di interazione non verbale (o quasi del tutto non
verbale) ma piuttosto intuitivo, emozionale con i musicisti; quando impiega le parole per esprimere
ai musicisti le sue intenzioni, Miles usa un linguaggio “in codice”, aforismi o haiku di poche parole
che tuttavia riescono a stimolare nel modo giusto la creatività dei musicisti (secondo quanto
riportato da Mc Laughlin e Holland, mentre Corea avrebbe preferito che Miles esprimesse
chiaramente quel che voleva e non voleva, se le cose andavano bene o potevano essere fatte in altro
modo o in modo migliore). Reticenza a parlare della musica e sulla musica, a concettualizzare le
idee, ma indicazioni sibilline, apparentemente provocatorie che vanno comunque sempre nella
direzione di ciò che non è abituale, banale, prevedibile, legato a pregiudizi e preconcetti per liberare
la fantasia creativa nell’improvvisazione.
Come nota Ian Carr, con Bitches Brew Miles si era completamente disfatto “della vecchia idea per
cui un brano consisteva di una serie di assoli e gli elementi-base venivano a essere la tromba e il
resto del complesso. I diversi modi di porsi, di interagire di quegli elementi (Miles, appunto, e il
complesso) costituiscono il motivo di interesse dell’album e il principale elemento drammatico. Se
c’è un assolo di qualche altro strumento, il sax soprano, per fare un esempio, o il clarinetto basso,
solitamente ciò è parte della trama strumentale d’insieme più che un assolo vero e proprio. Miles
governa lo svolgimento in ogni sua parte”.
La post-produzione
Enrico Merlin - Veniero Rizzardi, Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis, Milano, Il Saggiatore, 2009 L’aspetto della post-produzione fu decisivo nella realizzazione del doppio album, come hanno
illustrato gli studi di Enrico Merlin e la pubblicazione di tutti i materiali della registrazione (1998).
A tale proposito, vale la pena di ricordare che Teo Macero ebbe nell’occasione carta bianca: Macero
non si limitò al tape editing per incollare insieme ampie sezioni musicali (come In A Silent Way) ma
estese il suo operato sino a editare piccoli segmenti musicali per creare temi musicali nuovi di
zecca. Inoltre Macero arricchì il suo kit di strumenti con effetti d’eco, riverberi e tape delay grazie a
una macchina chiamata Teo One, costruita dai tecnici della Columbia: questo effetto si nota alla
tromba all’inizio di Bitches Brew e in Pharaoh’s Dance (8:41). A quanto pare Macero s’ispirò in
parte, per il trattamento in post-produzione dei nastri del doppio album, alla musica colta. Secondo
il compositore e violoncellista inglee Paul Buckmaster (che farà conoscere tra l’altro a Miles la
musica di Stockhausen), in Pharaoh’s Dance e in Bitches Brew – i due pezzi connotati da un
impiego massiccio dell’editing di Macero – l’intenzione fu quella di riprodurre la struttura della
forma sonata (esposizione-sviluppo-ripresa). Ora, l’editing di Macero può essere considerato solo
parzialmente riuscito, come sembra dimostrato dal fatto che i pezzi che non furono editati sono
probabilmente i migliori:
- il breve e concentrato John McLaughlin (4:22) è un esempio di come la musica della session
potesse funzionare anche in formato ridotto;
- Spanish Key e Mile Runs the Voodoo Down sono i pezzi più intensi, tesi e contengono anche
i più convincenti assoli di Miles. Spanish Key è un brano in tempo medio di jazz-rock che si
basa su scale e centri tonali diversi e impiega ciò che Enrico Merlin definisce “coded
phrases” (motivi o elementi musicali grazie ai quali la band è indirizzata verso la sezione
musicale successiva in modo da articolare la forma):
“The method devised by Miles to signal the beginning and end of a number was very simple but
extremely effective.
To uncover the system, I started comparing recordings of the various concerts, identifying musical
situations similar in key, form and rhythm. I discovered that all the ‘similar musical situations’ were
preceded by the same phrase played by Miles Davis on the trumpet.
Having checked this theory carefully, it became clear that these “phrases” were used by the leader
during the course of the long medleys to signal the wish to go on to the next piece. In my analyses I
have discovered three types of what I call ‘coded phrase’ corresponding to particular characteristics
of the relative piece:
1. The first notes of the tune
2. The bass vamp
3. The voicings of the harmonic progressions
For example, in the case of It’s About That Time the coded phrase is taken from the voicings of the
descending chord progressions played by the electric piano (audible at 5:02 of the version published
on In a Silent Way)
As many of the compositions performed in the concerts between 1969 and 1975 were without
themes, being based exclusively on a rhythmic idea or on a bass vamp, the coded phrases help us
also to correctly identify the pieces. In addition, the bass vamps often underwent substantial
changes in the course of the tours (see Directions or It’s About That Time) and not even a
comparison of the keys is enough to help us, as there are several cases of similar or identical keys
(as with It’s About That Time and Miles Runs the Voodoo Down) […]
This device was used for the first time in Flamenco Sketches (on the album Kind of Blue) and again
in Teo (on the album Someday My Prince Will Come). Even in these two pieces the moment of
modulation between the various scales – five in the first and three in the second, whose sequence
was decided beforehand – is changed at will by the soloist or by one of the members of the rhythm
section. Another perhaps more superficial point, but one which should be noted, is the Spanish
inspiration of the titles, which is reflected in the character of the actual performances: in these two
pieces, as in Spanish Key, great use is made of strongly Spanish-sounding phrygian scales and
harmonic minors.
Conceptual continuity or use of a tested formal device? I believe that Davis was trying, and he
succeeded brilliantly, to adapt the idea of Flamenco Sketches to the musical experimentation of that
time. In fact, in the course of his career, Davis was to adopt this type of structure again, albeit using
different modal scales (still Spanish-influenced though), in one of his most-frequently performed
pieces at the beginning of the 1980s: Fat Time”.
In una prima fase iniziale dopo la conclusione delle sessioni di registrazione in studio, dopo le
lunghe operazioni di post-produzione, non era ancora ben chiaro se sarebbe stato pubblicato un
album singolo o un doppio LP. Esiste un memorandum della CBS datato 3 novembre 1969 con una
prima revisione dell’album in uscita che avrebbe dovuto intitolarsi Listen to This, un disco singolo
con data di pubblicazione prevista per il febbraio 1970 A questo stadio le tracce presenti nell’album
progettato erano le seguenti:
Lato 1: 1. Listen to This, 2. Starts Here, 3. Ends There
Lato 2: 4. Bitches Brew
I brani presenti sul lato 1 sarebbero poi stati reintitolati Pharaoh’s Dance. Il 14 novembre viene
deciso su espressa volontà di Miles Davis che il titolo dell’album in uscita sia Bitches Brew.
Soltanto il 13 gennaio 1970 viene decisa la forma definitiva nella quale l’album verrà pubblicato,
preceduto dal singolo promozionale Spanish Key / Miles Runs the Voodoo Down (Columbia 4-
45171): sarà un album doppio con l’inserimento anche degli altri titoli registrati durante le sessioni.
La pubblicazione nel maggio del 1970, con il suo titolo shock e la sua copertina psichedelica, non
passò inosservata.
Secondo alcuni, Bitches Brew è l’album di jazz che ha venduto più copie: altri hanno contestato i
dati, e alcuni hanno detto che non si tratta di jazz. Sicuramente vendette più di mezzo milione di
copie, proiettando Miles tra le stelle della scena rock, con i quali, subito dopo, Miles iniziò a
partecipare ai grandi concerti allora in voga (a partire dal concerto al Fillmore di San Francisco con
i Grateful Dead). Partecipò anche a concerti con Carlos Santana e la Steve Miller Band, accettando
ingaggi ridotti pur di poter prendere parte a questo tipo di eventi. Tra gli appassionati di jazz, furono
molti ad accusare Davis di essersi venduto, e i suoi accresciuti guadagni furono addotti come prova.
In questo periodo, Davis diede concerti col cosiddetto “quintetto perduto”, di cui non esistono
registrazioni, con Shorter, Corea, Holland e DeJohnette, suonando materiale tratto da Bitches Brew,
In a Silent Way, e dal repertorio del precedente quintetto. La formazione continuò poi ad evolvere in
direzione funk, con la sostituzione di Shorter con Steve Grossman, l’inserimento di Keith Jarrett
come secondo tastieristae il passaggio definitivo di Holland al basso elettrico. Questi gruppi
produssero diversi album dal vivo: Live at the Fillmore East, March 7, 1970: It’s About That Time
(Marzo 1970; ultima apparizione di Shorter col gruppo), Black Beauty: Miles Davis at Fillmore
West (Aprile 1970 con Steve Grossman) e Miles Davis at Fillmore: Live at the Fillmore East.
Di Bitches Brew:
- Riedizione in cd (1999) con l’inedito Feio (Wayne Shorter) registrato nel gennaio 1970, con note
di Bob Belden
- 2 CD + 1 DVD Bitches Brew 40th Anniversary Legacy Edition (2010)
Punto di svolta epocale nella storia del jazz moderno, comunque la si pensi, Bitches Brew, non
poteva riscuotere un successo unanime: del resto, dopo aver sorpreso i critici con il cool, poi con il
jazz modale, quindi con la musica sofisticata del II quintetto Davis diede vita a un ennesimo
cambiamento stilistico. La musica che inizia con Bitches Brew e prosegue nella prima metà degli
anni Settanta non era fatta per piacere a tutti indistintamente: dall’ambiente jazzistico si levarono
critiche – anche da parte di numerosi musicisti – sull’oscurità, la presunta mancanza di forma e di
direzionalità della musica, lo sconfinamento al di là di ciò che veniva identificato con il jazz, la
propensione a solleticare il gusto del pubblico del rock (anche se, e questo è un aspetto paradossale,
la musica di Bitches Brew e dei primi anni Settanta concepita e realizzata da Davis non è affatto, al
di là della straordinaria carica di energia e della forza delle armosfere sonore, una musica di facile
ascolto, accessibile all’ampio pubblico del rock e del pop per la natura dissonante, la mancanza di
melodie memorabili, l’impegnativa lunghezza dei pezzi). D’altro canto parte della critica e del
pubblico videro l’album come qualcosa di importante e molto innovativo nel panorama musicale –
non soltanto jazzistico – dell’epoca: l’impressione era di una musica inaudita, mai ascoltata prima.
Pharaoh's Dance (Joe Zawinul) [20:05] Il pezzo sviluppa in certo modo il mondo sonoro di In A Silent Way ma arricchito dal timbro oscuro e inquietante del clarinetto basso di Bennie Maupin. La composizione di Zawinul era in origine articolata in 2 sezioni, ma subì l’editing di Miles che la ridusse alla sola prima parte. La traccia contiene ben 19 edits nel corso delle varie sezioni, un imponente opera di “taglia e cuci” messa in atto in studio dal produttore Teo Macero. L’editing è particolarmente complesso e condiziona in misura determinante la musica. Tutta la sezione iniziale fu costruita in post-produzione, usando cicli di ripetizione (loops) di 15” e 31” di nastro, mentre altri interventi di micro-editing intervengono tra 8:53 e 9:00 e un frammento di 1” che appare a 8:39 è ripetuto per 5 volte.
00:00 – 02:31 “Esposizione” 00:00 Figura 1 00:15 Vamp 1 00:46 Figura 2 02:32 “Sviluppo” con assolo di Miles Davis 02:54 Riferimento al materiale dell’“esposizione” 07:55 Riferimento al materiale dell’“esposizione” Vamp 1
08:29 – 08:42 Sezione “drammatica” con effetto di delay alla tromba, poi ripetuta a 08:44-08:53 e seguita dal loop 08:53-09:00 011:47 Assolo di Wayne Shorter 12:53 Assolo di John McLaughlin
16:38 “Ripresa” della Figura 1 di Miles Davis e “Coda” Bitches Brew (Miles Davis) [26:58] Con i suoi 27 minuti di durata, il title track è il pezzo più lungo dell’album. Chick Corea ricorda che Miles gli indicò 3 triadi da impiegare: Mi maggiore, Mi bemolle maggiore e Do maggiore che formano una scala particolare mi – sol – la bemolle – si bemolle – si – do – mi bemolle.Anche qui l’editing è particolarmente complesso e condiziona in misura determinante la musica (15 interventi): brevi loop a 3:01, 3:07, 3:12, 3:17 e 3:27 che “creano” un tema. Un’altra sezione realizzata in post-produzione grazie a una breve frase della tromba che dà l’illusione di un tema precomposto è il loop da 10:32 a 10:52. 00:00 - 03:32 “Esposizione” 00:00 Figura 1: vamp e accordo dissonante 00:41 Figura 1: richiamo con delay e melodia della tromba 2:51 Figura 2: riff del basso e clarinetto basso 03:32-14:36 “Sviluppo” che parte da un vamp con assoli di Davis, McLaughlin, Shorter e Corea 03:53 Assolo Miles Davis 1 06:36 Assolo John McLaughlin 08:55 Assolo Miles Davis 2 11:40 Assolo Wayne Shorter 12:34 Assolo Chick Corea 14:36 “Ripresa” Figura 1 17:20 Secondo “sviluppo” (cfr. 03:32) con assoli di Holland, Davis 17:30 Assolo di Dave Holland 19:23 Assolo di Mile Davis 24:04 “Ricapitolazione” della Figura 1 = 00:00 - 02:50 Secondo Paul Tingen sia il forte intervento di editing in Pharaoh’s Dance e Bitches Brew sia
l’inclusione di John McLaughlin possono spiegarsi col fatto che si tratta di pezzi che non erano stati
precedentemente suonati dal vivo dalla band e dunque non avevano ancora ricevuto una chiara
organizzazione strutturale, al contrario di Spanish Key, Miles Runs the Voodoo Down e Sanctuary,
tutti già sperimentati dalla band in concerto (dei tre pezzi soltanto Sanctuary contiene un edit a 5:13,
dove Macero incollà un altro take). Sembra anche verosimile che nell’editing dei primi due pezzi
dell’album, Macero sia stato influenzato dalla forma che Miles aveva plasmato dai tre pezzi già
eseguiti dal vivo, e nello specifico da Spanish Key, che ha una forma circolare.
Spanish Key (Miles Davis) [17:32] Prima traccia del terzo lato, Spanish Key è caratterizzato da un tempo veloce e da un groove decisamente rock. Il titolo allude alla rivisitazione di moduli del folklore spagnolo (modi frigi, scala armonica minore) che Miles aveva già compiuto con Flamenco Sketches e poi con Sketches of Spain. Il materiale di base del pezzo è costituito da 5 centri/scale modali (mi alterato – re alterato – re frigio – mi frigio – sol misolidio), da un certo numero di sezioni (Intro, A, B, C, D) e di frasi (alcune di queste ultime servono a segnalare il passaggio da una sezione all’altra: sono le cosiddette “coded phrases”). Vedi lead sheet. Intro A Mi alt. Frase 1 Frase 2→
B C Frase 3→
D
Mi alt. Re alt. Re frigio Mi frigio/alt. Sol misolidio Mi alterato: mi – sol - sol diesis – si – do diesis – re – mi (E7#9 = mi – sol# - re – sol) Re alterato: re – fa – fa diesis - sol – la – si – do – re (D7#9 = re – fa# - do – fa) Re frigio: re – mi bemolle – fa – sol – la – si bemolle – do - re Mi frigio: mi – fa – sol – la – si – do – re - mi Sol misolidio: sol – la – si . do – re – mi – fa – sol Le “modulazioni” sono sempre iniziate dal solista che suona una frase nel nuovo centro tonale/modale di riferimento, guidando perciò il corso dell’improvvisazione. Riferimento di Miles al procedimento sperimentato a suo tempo in Flamenco Sketches, dove tuttavia – è bene precisarlo non ci sono “coded phrases” ma il solista indica il cambiamento di modo di riferimento suonando direttamente una frase che determina essa stessa la “modulazione”). Struttura circolare sottolineata dal tema principale (sezione A, frase 1) alla tromba a 00:36, 09:17 e 16:48, mentre anche gli assoli fanno ampio riferimento a questo spunto tematico. Le quattro sezioni sono ripetute continuamente nell’ordine seguente (secondo una certa libertà combinatoria): 1) Introduction 2) A (main theme = phrase 1) 3) Phrase 2 4) B (solo) 5) C (solo) 6) Phrase 3 7) D (solo) 8) Phrase 3 9) C (solo) 10) Phrase 3 11) D (solo) 12) A (main theme) 13) Phrase 2 14) B (solo)
15) C (solo) 16) Phrase 3 17) D (solo) 18) A (main theme) 19) Phrase 2 (Miles plays the phrase and band ends on D7#9).
Da Enrico Merlin, Enrico Merlin, Code MD: Coded Phrases in the First "Electric Period" (1996) nel sito: http://www.plosin.com/MilesAhead/CodeMD.html
APPENDIX 2. Structures and sequence of the solos in Spanish Key:
• INTRO + THEME played by Miles: E (0:36) --> conclusion in A/D (1:06); • Solo by Miles (1:19/3:23): D --> E (2:39) --> break by Corea and modulation: E --> G
(3:11); • Solo by McLaughlin (3:31/5:16): G ; • Break by Corea: G --> E (5:20) followed by THEMATIC extract played by Miles; • Solo by Shorter (5:37/9:13): E --> D (6:47) --> E (7:49) --> break by Corea and modulation:
E --> G (8:41); • THEME played by Miles: E (9:17) --> conclusion in A/D (9:39); • Duet by McLaughlin + Corea: D (9:48/10:45); • Solo by Miles (10:46/13:58): D --> E (11:41) --> break by Corea and modulation: E --> G
(13:49); • Solo by Corea (13:57/15:07): G; • Solo by Maupin (15:07/16:48): G --> E (15:20); • THEME played by Miles: E (16:48) --> conclusion in A/D (17:11).
Three modal scales are used: two of darker character (D phrygian and E phrygian) and one of much brighter character (G mixolydian). In the first two scales there is a certain increased ambiguity caused by the use of alternate thirds (major and minor) and a substantially more chromatic approach by the soloists. The modulation from E to G is always anticipated by Corea (probably prompted by Davis), who performs a call break. Modulations are always initiated by the soloist who performs a phrase in the new key, thus signalling his own wish to change the tonal centre. This device was used for the first time in Flamenco Sketches (on the album Kind of Blue) and again in Teo (on the album Someday My Prince Will Come). Even in these two pieces the moment of modulation between the various scales – five in the first and three in the second, whose sequence was decided beforehand – is changed at will by the soloist or by one of the members of the rhythm section. John McLaughlin (Miles Davis) [4:22] È la traccia più breve, una sorta di intermezzo musicale guidato dal piano elettrico di Chick Corea, nel quale Miles Davis non suona. Sul tappeto sonoro fornito dal pianoforte elettrico, la chitarra solista di John McLaughlin (cui il pezzo è intitolato) ha la possibilità di sbizzarrirsi in improvvisazioni libere da schemi prefissati. Originariamente la traccia era intesa come una sezione del brano Bitches Brew, ed effettivamente venne suonata durante la jam session dalla quale scaturìil brano in questione, per poi essere “estratta” e pubblicata singolarmente. Miles Runs the Voodoo Down (Miles Davis) [14:01]
Ovvero “Miles sparla del voodoo”, riferimento a Voodoo Child (Slight Return) di Jimi Hendrix, pubblicato l’anno precedente nell’album Electric Ladyland. Il materiale qui è ridotto all’essenziale: tonalità di riferimento (Fa), incessante pulsazione lenta e riff di basso: congas e rimuginare nel registro grave del clarinetto basso (una delle sigle sonore di tutto l’album, peraltro). “Clima di invocazione, di danze rituali, di possessione” con la tromba di Miles, che inizia coll’alternare terze maggiori e minori abbracciando così l’intera tradizione blues facendosi quasi voce umana e producendosi in virtuosismi e dando il tono all’intero pezzo (Ian Carr), con impressionante fascinazione melodica: seguono gli assoli di John McLaughlin (04:12), Wayne Shorter (06:14), Joe Zawinul (08:03) e ancora di Miles (10:42). Il brano, preentato dal vivo dal quintetto nell’estate del 1969 resterà un pezzo fisso delle performance live sino all’anno successivo. Sanctuary (Wayne Shorter) [10:56] L’album si conclude con una versione di Sanctuary, una ballad di Wayne Shorter che era stata registrata all’inizio del 1968, ma di cui è data una interpretazione radicalmente diversa in Bitches Brew. Si inizia con Davis e Chick Corea che improvvisano sul tema dello standard I Fall in Love too Easily prima che Miles inizi a suonare il tema vero e proprio di Sanctuary (01:09) che poi passa da una libera pulsazione e un tempo rubato a un tempo di ballad (03:11)
*Miles Electric. A Different Kind of Blue DVD Video, Murray Lerner Producer/Director Eagle Rock EREDV 263, 2003 Call It Anything [38’] Isle of Wight, 29 agosto 1970. Miles Davis, tp Gary Bartz, as, ss Chick Corea, ep Keith Jarrett, org Dave Holland, b Jack DeJohnette, d Airto Moreira, perc Dopo il successo di Bitches Brew (1969), con 500.000 copie vendute e l’album di maggior successo commerciale della storia del jazz (ma si tratta poi in effetti di jazz?) ecco la partecipazione al grande concerto rock e pop dell’isola di Wight. Davanti a 600.000 persone. Eccitazione elettrica. Miles leader nel senso che detta il groove, i tempi, le svolte di un discorso improvvisativo molto fluido e libero in cui tutti sono protagonisti (ma le tastiere suonano sempre con un contributo ritmico). Beat, impulso rock al di sopra del quale si sviluppa l’improvvisazione (quasi free): caleidoscopio di colori e atmosfere con enfasi posta su ritmo e melodia. Interplay basato sull’ascolto e sull’attenzione dell’ascolto degli altri che si trasforma in suono (intuizione, anticipazione, sollecitazione, imitazione e ripresa di gesti, motivi, figure eccetera), cooperazione improvvisativa guidata ma non controllata da Miles che non voleva che i musicisti della band sapessero prima o pensassero a ciò che avrebbero suonato dopo. Inoltre, comunicazione verbale tra Miles e i musicisti ridotta al minimo, spesso a brevi indicazioni allusive. Comunque, a ogni intervento, a ogni entrata di Miles succede qualcosa. L’impressione è che i musicisti della band, tutti di formazione e provenienza jazzistica, partecipino affascinati ma anche un poco spaesati all’impresa a causa di Miles e del suo carisma: musicisti jazz che, sperimentando e mettendosi alla prova ma anche snaturandosi, suonano
rock o funky (emblematico ed estremo il caso di Jarrett, che detestava già da allora gli strumenti elettrici e suonò l’organo elettrico soltanto per compiacere Miles). Finale simbolico: Miles lascia il palco prima della fine del pezzo lasciando alla band il compito di chiedere, a quel punto la musica va avanti ancora per un po’, ma non si sa dove e la conclusione resta sospesa. Il pezzo finisce perché Miles se n’è andato e la sua musica è già da qualche altra aprte. Importanza dell’esperienza per Jarrett: continua tensione innovativa di Miles, libertà nell’organizzazione di grandi arcate musicali sulla base del timing. Il timing costituisce qui infatti il principio primo organizzatore del set e degli eventi sonori che lo sostanziano: alternanza di grooves e sezioni ritmicamente libere, assoli “entrate” e “uscite” degli strumenti 43:20 Groove 1 – Miles 45:51 Bartz (ss), passaggio bebop con i due fiati 47:28 Sezione ritmica senza i fiati – Corea, Jarrett 48:33 Rientra Miles 50:25 Tempo lento, episodio della sezione ritmica 51:53 Groove 2 – Miles 53:50 Break, tempo lento rubato, episodio statico 54:35 Groove 3 – Miles 55:18 Bartz (as) 57:18 Episodio ritmicamente libero 58:18 Groove 4 58:32 Miles 1:00:01 Episodio ritmicamente libero 1:00:38 Groove 5 – Miles. Passaggio di grande tensione ed energia; verso la
conclusione Jarrett in evidenza 1:05:07 Attenuarsi della forza del groove e Miles lirico; poi il groove riprende vigore
e consistenza 1:06:51 Il groove scompare, tempo lento ed episodio contemplativo 1:08:02 Groove 6 – Miles 1:09:03 Bartz (as), poi sezione ritmica sola con Jarrett in evidenza 1:13:04 Miles 1:16:35 Miles prende la borsa e se ne va. La sezione ritmica resta sola: finale aperto?
finale sospeso?