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  • 8/16/2019 Microsoft Word - Capitanspavento

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    da: Le Bravure del Capitano Spavento; divise in molti ragionamenti. Di Francesco Andreinida Pistoia Comico Geloso, Venezia, G.A. Somarco 1607, in F. Marotti, G. Romei, LaCommedia dell’arte e la società barocca. La professione del teatro, Roma, Bulzoni 1991

    RAGIONAMENTO DECIMOQUARTO, Capitano e Trappola

    Capitano. Avend’io una mattina grandissima volontà di far colazzione, me ne andai allaCasa del Sole, mio grandissimo Amico, per Camerata di molti e moh’anni; l dove giunto,trovai che ‘1 Sole s’era levato molto per tempo, ed aveva ordinato alle Ore, sue serve diCasa, che ponessero al FuoCO le quattro Pignatte solite, per cucinare la vivanda a iMortali.

    Trappola. Se il Sole ogni mattina fa bollire quattro Pignatte piene di robba per dar damangiare ad ognuno, vorrò da qua innanzi andar ancor io a far colazzione a casa del Sole;ma ho paura che me toccherà la colazzione de’ furfanti, cioè lo spidocchiarsi alla sfera delgran Pianeta che distingue l’ore.

    Capitano. Erano quattro Pignatte al fuoco che bollivano nella cucina del Sole: la primaera di ferro, la seconda d’argento, la terza di piombo, e la quarta di chiaro e trasparentevetro.

    Trappola. Pignatte fuora dell’uso umano, e Pignatte strasordinarie: ma che bolliva inquelle stravaganti Pignatte?

    Capitano. Nella Pignatta di ferro bolliva il capo di Vulcano, nella Pignatta d’argentobolliva il Riso di Giove, nella Pignatta di piombo bolliva la morte di Saturno, e nellapignatta di vetro bollivano le mammelle di Giunone.

    Trappola. Strane vivande: mi comincia a fuggir la volontà d’andar a far colazzione allaCasa del Sole; ma potrebb’essere che quelle mammelle di Giunone mi vi tirassero,essendo le Poppe della Donne piacevoli da maneggiare e dolcissime nel gustarle.

    Capitano. Cucinate e cotte che furono le delicate vivande, posta la Mensa e portate inTavola dall’Aurora, Fantesca del Sole, cominciammo a mangiare, essendoci noi daprincipio lavate le mani con la rugiada che suoi cader da i matutini Albori, e rasciugate allosciugatoio de i giorni caniculari. Il Sole se ne pigliò quattro bocconi in fretta in fretta,montando da poi sopra il dorato suo Carro per fare il suo viaggio ed io me ne rimasi solosoletto alla Mensa Solare.

    Trappola. Perché non mi chiamate allora, o Padrone, a desinar con voi, ch’io avereispiccato un salto nel Cielo, come fate voi alle volte ed averei ancor io gustato di quellestravaganti vivande. Voi voleste esser solo per meglio empirvi la pancia.

    Capitano. Rimanendo solo alla dorata Mensa, mi posi subito a mangiare il Riso di

    Giove, il quale era ancora tutto bollente.Trappola. Quello doveva esser altro Riso che quello che sogliono mangiare. fatto conlatte, con mele, con zucchero e con botiro, da loro nominato Pilao.

    Capitano. Gustato ch’io ebbi il Riso di Giove, vivanda veramente delicata, dolce esoave, diedi mano alle mammelle di Giunone.

    Trappola. Ancor io averei dato di mano alle poppe di Giunone.Capitano. Le quali furono gustosissime alla bocca. Gustate che io ebbi le due prime

    vivande, mi feci portar da bere. Bevuto ch’io m’ebbi una gran Tazza di Nettare, pigliaiquattro bocconi della morte di Saturno, e da poi mi posi a rodere la Testa di Vulcano.

    Trappola. E forse a buona usanza di testa di Vìtella da latte, ed alla prima doveste darnelle cervella, la seconda ne gli occhi, e la terza nella lingua, come sogliono fare i buoni

    mangiatori.Capitano. Mentre ch’io me ne stava rodendo e scotennando il Capo di Vulcano, mi sifece innanzi Venere, la quale vedendo ch’io ne devoravo il Capo di Vulcano suo Marito,

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    cominciò a chiamarmi fierissimo Ciclope, crudelissimo Lestrigone, ed inumanissimoAntropofago, minacciandomi e giurandomi di farmi uccider da Marte suo Drudo e suoBertone.

    Trappola. Io mi maravigliava che ‘E mangiare vi facesse pro; sempre si trova qualcheintoppo, ed il più delle volte da poi il mangiare e da poi il bere sogliono succeder de’ pazzi

    avenimenti.Capitano. Sentendom’io minacciare da quella putta sfacciata di Venere, subitom’accesi d’ira e di furore, e quivi pigliandola per le treccie la slanciai nel Bordello, là dovepervenuta fu fatta Regina di tutte le Meretrici: e di qui nasce che le Meretrici sono moltopiù calde ne i piaceri di Venere, e più scaltrite che non sono le altre Donne.

    Trappola. Talmente che Venere è la Regina delle meretrici; io per me credo ch’ella siala Priora di tutti i Bordelli del Mondo. Padrone mio, la vostra fu una pazza colazzione. Oraguardatevi dal desinare, dalla merenda e dalla cena, perché v’interveniranno de’ pazzischerzi e de’ stranissimi accidenti.

    Capitano. Trappola, va’ alla Posta, e vedi se vi sono mie Lettere.Trappola. Da chi l’aspettate voi?

    Capitano. Dal Cielo, dal Mare e dall’Inferno.Trappola. So che i Corrieri stanno freschi con voi. Ma ora ch’io mi ricordo, mi trovo a

    canto una Lettera datami da un certo Barbaccia, il quale m’aveva effigie di Filosofo, diPoeta, e quasi ch’io non dissi di Graziano, Dottor de i Comedianti.

    Capitano. Mostra qua, lasciami vedere il soprascritto della Lettera: A1- lo Strenuo edArciterribile Capitano, il Capitano Spavento, Fulmine di guerra. Buono, viene a mesenz’altro: ed ecco ch’io l’apro ed ecco ch’io la leggo sotto chiave di silenzio. Ah, ah, ah,ah

    Trappola. Padrone, voi fate un gran ridere, che sì che questa sarà qualche Lettera diquelle del Dottor Graziano, come dianzi vi dissi. Certo ch’ella sarà, e sarà di quel famosoGraziano de i Comici Gelosi.

    Capitano. L’ho conosciuto, ma non è sua Lettera. E non solo ho conosciuto lui,nominato Lodovico da Bologna, ma ho conosciuto insieme Giulio Pasquati da Padova, chefaceva da Pantalone; Simone da Bologna, che faceva da Zanne; Gabrielle da Bologna chefaceva da Francatrippe; Orazio Padovano, che faceva da Innamorato; Adriano Valerini daVerona, che faceva l’istesso; Girolamo Salimbeni da Fiorenza, che faceva da VecchioFiorentino detto Zanobio, e da Piombino; la Signora Isabella Andreini Padovana. chefaceva la prima Donna Innamorata; la Signora Prudenzia Veronese, che faceva laseconda Donna; la Signora Silvia Roncagli Bergamasca, che faceva da Franceschina; edun certo Francesco Andreini, marito della detta Signora Isabella, che rappresentava laparte d’un Capitano superbo e vantatore che, se bene mi ricordo, dal nome mio si faceva

    chiamare il Capitano Spavento da Vall’Inferna.Trappola. Me ne ricordo ancor io, Padrone, e giurerei d’averlo sentito in Milano a PortaTosa recitare insieme con tutti quei Personaggi che raccontati avete, nella Casa degl’Incarnatini e di più mi ricordo ch’egli recitava la parte d’un Dottor Siciliano, moltoridicolosa: faceva ancora la parte d’un Negromante (detto Falsirone), molto stupenda perle molte Lingue ch’egli possedeva come la Francese, la Spagnuola, la Schiava, la Greca ela Turchesca. E maravigliosamente poi, la parte d’un Pastore nominato Corinto nellePastorali, suonando vani e diversi stromenti da fiato, composti di molti Flauti, cantandovìsopra Versi boscarecci e sdruccioli ad imitazione del Sannazaro, detto Azio Sincero,Pastor Napolitano.

    Capitano. È vero, me ne ricordo, e questi tali Comici uniti insieme si nominavano i

    Comici Gelosi, quali avevano un Giano con due Faccie per Impresa, con un Molto chediceva: «Virtù, Fama ed Onor ne fer Gelosi’. Trappola mio, di quelle Compagnie non se netrovano più, e ciò sia detto con pace di quelle che oggidì vivono.

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    Trappola. Noi siamo usciti fuora del primo ragionamento, e la digressione è stataalquanto lunghetta, per non dir prolissa; però torniamo alla Lettera datavi: chi ve lamanda?

    Capitano. La Lettera è del Petrarca, Poeta famosissimo ed il primo de i Poeti Toscani.Trappola. Come il Petrarca scrive, intenderemo del bello e del buono. Ma che cosa vi

    scriv’egli?Capitano.  Scrive il Petrarca, Poeta celeberrimo, che ‘I Monte Parnaso si lamenta eduole di me, perch’io abbia carnalmente usato con la Poesia Epica sua Moglie, e fattolocornuto; laonde per tal effetto vien da tutti chiamato il Monte Bicorne.

    Trappola. Che vuoi dire con due corna. Padrone, avendo voi ingravidata la PoesiaEpica, bisogner ingravidare ancora la Drammatica e la Lirica, sue sorelle, con patto peròch’elleno non debbino partorire se non buoni Poeti.

    Capitano. Farollo per certo, poiché ‘1 Mondo ha grandissimo bisogno di Poeti tali, esopra tutto d’un Poeta che canti gli onori miei, e le mie glorie.

    Trappola. Oh, questo è quello ch’importa, acciò che la fama vostra duri per molti emolti secoli, come vivono coloro che sono cantati da Omero, da Virgilio e da tutti gli altri

    famosi Poeti.

    RAGIONAMENTO VENTESIMOPRIMO. Capitano e Trappola

    Capitano. Dicono i Naturalisti che di natura rugge il Leone, di natura fischia il Serpente,di natura freme l’Orso, di natura mugghia il Toro, di natura nitrisce il Cavallo, di natura urlail Lupo, di natura abbaia il Cane, e che di natura sempre brava e sempre minaccia ilCapitano Spavento.

    Trappola. Io credevo che loro dicessero che voi eravate una pianta piantata allaroverscia, come vien chiamato l’uomo che di natura sempre produce i suoi frutti alcontrario.

    Capitano. E seguitando il loro filosofico ragionamento, dicono ancora che di naturascintilla il Zaffiro, che di natura luce il Diamante, di natura fiammeggia il Carbonchio, dinatura ride il Smeraldo, e che di natura sempre ferisce, sempre uccide, e sempre squartail Capitano Spavento.

    Trappola. S’a questi tempi fussero vivi quei Muzii, quegli Orazi, quei Decii, quei Curzii,quei Fabii, quei Scipioni e quei Marcelli, la passerebbono molto male con voi, o Padrone,perché la gloria sarebbe tutta vostra, loro se ne rimanerebbono sepolti nell’oblio, ch’è laseconda morte de i mortali.

    Capitano. Ora, che vuoi dire spirito pellegrino, eroico e marziale? Voglio dire

    ch’essend’io di natura bravatore, feritore, ammazzatore e trucidato- re, bisogna ch’ognigiorno io ferisca, uccida, squarti e faccia in pezzi qualche umana creatura.Trappola. Se voi ogni giorno dovete uccidere una persona, a trecento sessantacinque

    persone l’anno, il numero dell’umano genere finirà presto; ma quanto ci è di buono si èche subito muore una persona ne nasce un’altra, a tale che la cosa anderà fallace.

    Capitano. E questo perché Caronte, Infernal Nocchiero, se ne sta su la ripa del FiumeAcheronte gridando ad alta voce, e chiedendo il solito tributo a questa mia tagliente,pungente e fulminante Spada. Ed ecco ch’io metto all’ordine, ed ecco ch’io m’accingoall’opera funerale, ed ecco ch’io pongo mano alla tagliente Balisarda. Ora qual è quello divoi che voglia morire ed andar per tributo alle squalide npe d’Acheronte?

    Trappola. Niuno, nullo, cred’io; perché ognuno brama di viver più che sia possibile,

    dicendo come Xenofilo filosofo, il quale usava di dire di non aver mai avuta in odio la vitaper quanti stenti e per quanti travagli egli s’avesse sostenuti al Mondo.

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    Capitano. Niuno non risponde? Nullo non vuoI morire? Orsù, per questa volta ed inquesto giorno sia perdonata la vita a colui che doveva morire, con questo patto però,ch’egli se ne vada dalla Donna mia, dalla Signora Isabella dico, a ringraziarla d’un tantodono, poich’ella in questo giorno Fatale mi tiene il braccio, ritiene il colpo, leva il taglio erintuzza la punta a questo mio tagliente e fulminante Brando.

    Trappola. Or sia per mille e mille volte lodata la Signora Isabella ed Amore, poichésalvano la vita a quel meschino che doveva morire. Grazia, grazia, grazia, che ilpover’uomo è liberato dalla Forca e dalle mani del Boia: ora sì ch’io conosco comecommandamento di Prencipe e Bellezza di Donna (…)

    Isabella Andreini, da Le rime, 1601

    «S’alcun fia mai che i versi miei neglettilegga, non creda a questi finti ardori;che nelle scene immaginati amoriusa a trattar con non leali affetti,con bugiardi non men con finti detti

    de le Muse spiegai gl’alti furoritalor piangendo i falsi miei doloritalor cantando i falsi miei diletti».

    ISABELLA ANDREINI, Lettere, 1607.

    Del Signor Torquato Tasso alla Signora Isabella Andreini, Comica Gelosa ed academicaIntenta, detta l’Accesa

    Quando v’ordiva il prezioso veloL’alma Natura e le mortali spoglie,Il bel cogliea sì come fior si coglie,Togliendo gemme in terra e lumi in cielo,

    E spargea fresche rose in vivo gieloChe l’Aura e ‘I Sol mai non disperde o scioglie,E quanti odori l’Oriente accoglie;E perché non v’asconda invidia e zelo,

    Ella, che fece il bel sembiante imprima,Poscia il nome formò ch’i vostri onoriPorti e rimbombi e sol bellezza esprima,

    Felici l’alme e fortunati i cori,Ove con lettre d’oro Amor l’imprimaNell’imagine vostra e ‘n cui s’adori.

    Del signor Giovan Battista Marini

    Piangete, orbi Teatri: invan s’attendePiù la vostra tra voi bella Sirena;

    Ella orecchio mortal, vista terrenaSdegna, e colà donde pria scese, ascende.

    Quivi, ACCESA d’amor, d’amor accende

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    L’eterno Amante; e ne l’empirea Scena,Che d’angelici lumi è tutta piena,Dolce canta, arde dolce e dolce splende.

    Splendono or qui le vostre faci intanto,Pompa a le belle esequie; e non più liete

    Voci esprima di festa il vostro canto.Piangete voi, voi che pietosi aveteAl suo tragico stil più volte pianto;Il suo tragico caso, orbi, piangete.

    Del Signor Giovan Paolo Fabri, comico

    Quella che gi così faconda espresseDetti sublimi, ed ornamento alteroFu de le scene, d’appressarsi al veroLasciando l’ombra e di bearsi elesse;

    Onde, poich’ehbe di virtute impresseBelle vestigia, a l’alma aprì ‘l sentiero,E spedita volò dove il pensieroFermo col ben oprar la scorse e resse.

    Pregò: l’udì chi sempre ascolta pio.Noi, perché in guerra noi medesmi ognoraTener, se ‘n pace ella contenta or siede?

    Non è morta ISABELLA, è viva in Dio.Del mio carcer terreno uscito fuora,Là su di rivederla ho speme e fede.

    Della bellezza umana

    Se è segno d’amore un parlar interrotto, un non poter affisar gli occhi nel volto amato, unsospirar parlando, un pallido colore, un arder sempre senza mai consumarsi, un esser piùdell’usato mesta, melanconica e solitaria: se è segno d’amore un volar continuamente perl’aria delle speranze, un figurarsi ognora vane contentezze, un fondar i suoi pensieri nellenubi, un cercar la notte a mezzogiorno, un bramar il Sole quando la notte è apparsa e,finalmente, se è segno d’amore il sopportar una grandissima doglia ed un disprezzar se

    stessa per riverir altrui, come potete, Signore mio, dubitar ch’io non v’ami? Atteso che allapresenza vostra, occorrendomi alcuna volta parlare, parlo con voce interrotta e m’esconopiù sospiri del petto che parole della bocca, non posso e non oso affisar gli occhi nelvostro volto, divengo pallida e tremante, sento nel cuore una fiamma che l’arde e non lostrugge; l’allegrezza è da me fuggita e la melanconia in sua vece v’ha preso albergo: nonm’è più cara la conversazione delle genti, mi lascio portar dalla speranza volo in questa e‘n quella parte, le imaginate mie contentezze mi vengor sempre meno, i miei pensieri conle nubi si disperdono. Per le qual cose, fatta impaziente, bramo la notte il giorno e ‘l giornola notte, sopporto una passione estrema e disprezzo me stessa per osservar voi solo;dunque bisogna che voi crediate ch’io v’amo, o che questi non siano segni d’amore. Maquesti son veri segni d’amore: dunque è vero ch’io v’amo. Né v’amo io perché voi mi

    mostriate quasi in lucidissimo specchio l’imagine mia, ma v’amo sol per rispetto di voi: chéquando per cagione della mia sembianza io v’amassi voi non avereste occasione d’avermiobligo alcuno (se pur dovete aver obligo a chi v’ama), poiché non v’amerei come N., ma io

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    v’amo come N. pieno d’ogni merito. Abbiate dunque obligo al vostro merito ed a voi stessodell’infinito amor ch’io vi porto, a cui prego che sia premio la vostra lealtà e la vostraperseveranza, promettendov’io all’incontro di farmene meritevole quanto più potrò; e s’ionon avrò quel tesoro di bellezza, onde molt’altre donne vanno ricche ed altere, n’averòuno almeno, ch’assai più vale, ch’è molto più d’apprezzarsi, che non verrà meno e che

    non mi rubberà il tempo: e questo sarà il tesoro incorruttibile della mia fede, che verràmeco sin nel sepolcro.

    Della disperazione

    In virtù di quella fede con la quale, infedelissima donna, v’ho gran tempo amata,credei così fermamente al vostro mentito amore, che mi parea che voi nelle mie propriepene vi struggeste, onde molte volte m’ingegnai di chiuder il mio dolor nel seno per nonvedervi turbata; ma ora conosco che gli atti vostri, a guisa del cuore, furono simulati e finti.

    Ah, che maladetto sia quando mi venne pensiero di credervi, poiché credendovidovea uccider me stesso! Godete, lusinghiera. gioite della mia vicina morte, la quale so

    che vi sarà di sommo contento.Forse direte ch’io sperai o tentai tropp’alte cose; è vero ch’io sperai la grazia vostra,

    è vero ch’io sperai da voi esser cambievolmente amato, cose veramente ch’io non potevané desiderar né pensar più degne appresso di me: ma ricordatevi, ingrata, che voi sola mifaceste sperar e credere tanta felicità. Voi sola mi diceste di voler esser mia, senz’aspettarch’io di ciò vi pregassi, conoscendo ch’io non avrei avuto tanto ardire, sapend’io di nonmeritar grazia così segnalata.

    Ora mi vi siete tolta, senza mia colpa, e pur voleva ragione che non vi mutaste, senon per altro, almeno per non mostrar d’aver fatto male. Ohimè, che disprezzandomi avetefatto in amore mancamento grandissimo!

    Ah, crudele, non sapete che chi perde la fede non ha che più oltre perdere? Lapassione ch’io sento per questo vostr’errore è intolerabile; pur mi conforto col sapere chequant’è più grande il male, tanto più tosto finisce, o tanto più tosto uccide: sì che, o tostofiniran le mie angosce, o tosto farò voi della mia morte contenta.

    Scherzi amorosi ed onorati

    Se ognuno per natura fugge la morte, com’esser può ch’io contra l’istinto  di naturasegua continuamente voi che la mia morte siete? E, se ognuno ama il suo simile,com’esser può ch’io ami voi che tutto siete contrario alle mie voglie? Dunque, perché i’ sia

    essempio d’infelicità si confondono per me gli ordini di Natura?E’ si dice che duo contrarii in un medesimo suggetto star insieme non possono, epure, mal mio grado, sono sforzata a conoscere, anzi con mio danno a provare,quest’impossibile.

    Non sono al parer mio cose più contrarie del mal e del bene, onde non sidovrebbono in un medesimo tempo e ‘n un medesimo luogo insieme ritrovare: e pur in untempo medesimo trovo esser voi solo la vera cagione del mio bene e del mio male.

    Dicono che la similitudine è cagion d’amore: ora tra noi non solo non ci èsimilitudine ma dissimilitudine, e grandissima, essendo che io son per voi tutta amore e voiper me tutt’odio; io a voi leale, voi a me disleale; io l’i- stessa fermezza, voi l’istessaincostanza; io per voi piango, voi di me ridete; io vi bramo pace, voi mi desiderate guerra;

    io voglio il vostr’utile, voi volete il mio danno; io vorrei la vostra felicità, voi la mia infelicità;io la vostra vita, voi la mia morte; io in somma vorrei poter mettervi nell’altezza del Cielo, e

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    voi vorreste poter precipitarmi nella bassezza dell’inferno. Con tutto ciò pur è nato amor tranoi, e se non dal canto vostro, almen dal mio.

    L’esser e ‘l non esser, secondo alcuni, star insieme non possono; il che io nonaffermo perché so ch’io son morta a i diletti e viva a i guai: ecco dunque ch’io son e nonsono, e morta e viva. Non sarà men vero che Amore non possa star senza speranza,

    poich’io son disperata affatto, e non di meno chiudo ardentissimo amor nel seno.Io per me non approvo l’openion di coloro i quali vogliono che ciascun operisecondo la natura sua, poiché voi, cuor mio, siete d’un freddissimo ghiaccio composto, epure, con l’operar vostro, in me accendete fuoco inestinguibile.

    Finalmente, non sarà men vero che l’acqua spenga il fuoco, poiché l’acqua del miocontinuo pianto non ha potuto spegner già mai piccola favilla del mio ardore il quale,quanto più misera piango, tanto più con maraviglia di me medesima cresce.

    Godete dunque, ingratissimo, poiché tutte le cose insolite m’avvengono per farviappieno de’ miei martìri contento.

    Simili

    Solo e sommo contento del cuor mio, voi ier sera così, alla sfuggita, mi diceste nonesser vero quel ch’io di voi essermi stato detto v’accennai, che non potei sentir laconsolazione ch’io desiderava. Ora, se non è vero, io prego Amore che sgombri da mequello sdegno che, a poco a poco pigliando possesso nel mio cuore, cerca di levargli il suoluogo e procura di spegner col suo ghiaccio le amorose sue fiamme.

    Se non è vero, nelle tenebre dell’oscuro abbisso volino i miei ciechi sospetti, equest’ira nemica d’ogni mia pace rimanga dalla ragione abbattuta e vinta; spiri nella miamente vento piacevole e soave, che discacci la densa nebbia de’ miei pur troppo foschimartìri.

    Deh, voglia il cielo, o mia vita, ch’io sia stata dalle altrui false parole ingannata e chesia stato vano il mio credere! Voglia la mia buona fortuna che, sì come io non mi son maipentita d’avervi donato il cuore, così voi non abbiate né a finzione né ad inganno datoricetto! Ma perché bramo d’intender dalla vostra bocca meglio la vostra innocenza, pregoviche vogliate favorirmi di venir questa sera alla solita ora ed al solito luogo, dove spero dirimaner in tutto consolata e fuor di sospetto.

    Della lontananza

    Io vo considerando (se voi, uomo ingrato, foste ad altro che a voi medesimosomigliante) ch’io potrei sperar col tempo, se non in tutto almen in parte, ricompensa dellamia lunga servitù.

    Se voi foste a guisa d’un terreno arido, potrei sperare, per mezzo della mia assiduafatica, d’aver alcun frutto da voi, poiché non v’ha campo così incolto e così selvaggio che,studiosamente coltivato, non renda frutto al suo possessore.

    Se voi foste ad una fredda selce conforme, potrei credere che le percosse delle miepreghiere facessero scintillar da voi alcuna favilla di pietà, se non d’amore.

    Se voi foste come un orso rabbioso, con umiltà non finta, inchinandomi a’ vostripiedi, porterei opinione di vincer l’orgoglio vostro.

    Se voi foste a guisa d’un leone indomito, io non sarei fuor di speranza, per mezzo

    dell’accarezzarvi e del cibarvi, di rendervi mansueto ed umile.Se voi foste un freddo ghiaccio, vorrei tener per cosa certa di mitigar la freddezzavostra, col mezzo dell’amoroso mio fuoco.

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    Se voi foste come una quercia annosa, avrei fede, con l’impeto de’ miei sospiri, disvellervi dalle tenacissime radici della vostra crudeltà.

    Se voi foste simile ad un aspido, non dubiterei di trarvi, col suono delle mie parole,alle ardenti mie voglie.

    Se voi foste conforme ad un marmo, non temerei che non cedeste all’acqua del mio

    continuo pianto.Se voi foste, finalmente, come un crudo crocodilo, o cocodrilo (chiamatelo come vipare), so certo che, dopo la mia morte, vi moverei a compassione e piangereste l’errorvostro.

    Ma non essendo voi né terra, né pietra, né orso, né leone, né ghiaccio, né pianta,né aspido, né marmo, né crocodilo, o cocodrilo, non posso sperare, né per assidua fatica,né per sollecite percosse, né per vera umiltà, né per vezzi o per cibo, né per fuoco, né pervento, né per parole, né per acqua, né per morte, finalmente, di vincervi né di rendervipietoso.

    Converrà dunque, misera me, ch’io m’affatichi, e percuota, e m’inchini, edaccarezzi, e nutrisca, ed arda, e sospiri, e parli, e pianga, e muoia in somma, senza

    speranza d’aver frutto, di trar favilla, di superar orgoglio, di far mansueto, di mitigarfreddezza, di sveller crudeltà, di mover aspido, d’intenerir durezza o di far pietoso un cuor,amando.

    Pensieri amorosi

    Egli è pur vero ch’io son nata al mondo per non saper già mai ciò che sia felicità eper esser sempre infelice.

    Mentre io vissi nell’ardente fuoco dell’amor vostro, patii, e voi ne godeste, tuttequelle passioni maggiori che possono tormentar un cuor amante; ed ora che, bontà delCielo e bontà della vostra barbara fierezza (ché non voglio dir colpa), son fatta libera,sento nondimeno grave passione solamente nel ricordarmi la passata mia vita. E tuttoch’io cerchi di perder la memoria dell’amore che gran tempo ingiustamente vi portai, etutto ch’io giuri di non voler pensarci, pur è forza che, mal mio grado, ci pensi, e questopensiero continuamente m’afflige. Ma converrà, o voglia o non voglia, che ‘1 mio pensierosi risolva un giorno di pensar ad altro.

    Ah che, se questo mio nemico pensiero vorrà ch’io pensi a quell’amore ch’io v’hoportato, come potrò far di meno, sfortunata ch’io sono, di non pensarci?La morte sola può vietar al pensiero che non pensi a quello ch’egli vuoi pensare; infelicemia sorte, poiché mentre ch’io penso di pensar ad ogn’altra cosa che all’avervi amato

    impensatamente, pensato mi vien di voi, e di voi pensando convien per forza ch’io pensid’avervi amato: il che più mi dispiace e più m’addolora che s’io pensassi alla morte,pensando insieme di dover allora morire.

    O nemico e mortal mio pensiero, quanto mi se’ molesto, poiché facendomi pensarprofondamente alle mie passate miserie, hai tanta forza ch’io penso d’esserci più che maiavvilluppata; ma, benché pensando io pensi di penare, non per ciò peno, e benché ‘1 miopensiero mi faccia pensar d’amare, non per ciò amo, né son mai più per dar ricetto adAmore. E s’io pensassi, pensando, di dover amarvi di nuovo, io darei bando a tutti i miepensieri. Questo contento mi giova, ed è che, mentre il mio pensiero vuol pur pensar divoi, so ch’egli pensa contra mia voglia; e so che del suo pensare io non ho colpa alcunaché, s’io pensassi d’aver parte in questo pensar, impensatamente farei pensiero di levarmi

    pensatamente la vita.

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     da Flaminio Scala, Il teatro delle favole rappresentative, a cura di Ferruccio Marotti,Milano, Il Polifilo 1976

    DIARIO DESCRITTO DA GIUSEPPE PAVONI delle feste celebrate nelle solennissimenozze delli Serenissimi Sposi, il Sig. Don Ferdinando Medici e la Sig. Donna Christina diLoreno Gran Duchi di Toscana 1 

    [...] Sabbato, che fù alli sei, ritrovandosi in Fiorenza li Comici Gelosi con quelle duefamosissime Donne la Vittoria, & l’Isabella, parve al Gran Duca, che per trattenimentofosse buono far, che recitassero una Comedia à gusto loro.

    Così vennero quasi, che à contesa le dette Donne fra di loro, perche la Vittoria volevasi recitasse la Cingana, & l’altra voleva si facesse la sua Pazzia, titolata la Pazziad’Isabella, sendo, che la favorita della Vittoria è la Cingana, & la Pazzia, la favoritad’Isabella. Però s’accordarono in questo, che la prima à recitarsi fusse la Cingana, & che

    un’altra volta si recitasse la Pazzia. Et così recitarono detta Cingana con gli Intermedijistessi, che furono fatti alla Comedia grande: ma chi non hà sentito la Vittoria contrafar laCingana, non hà visto, ne sentito cosa rara, &. maravigliosa, che certo di questa Comediasono restati tutti sodisfatissimi. Un’altra volta faranno poi la Pazzia, & toccarà à l’Isabella àfar la Pazza; il valor della quale, & la leggiadria nell’esplicare i suoi concetti, non occorrehora esplicarlo, che è già noto, & manifesto, à tutta Italia le sue virtudi.[...] Il Sabbato, che fù alli tredici, il Gran Duca volse, che si recitasse la Pazzia d’Isabella,essendosi molto compiacciuto delle grandi inventioni recitate dalla Vittoria in persona dellaCingana, che gli parve una meraviglia, non che intelletto di donna. Et così havendo il GranDuca fatto sapere alli Comici Gelosi questo suo pensiero, su le vintidoi hore nella Scenaistessa, ove si è recitata la Pellegrina, fecero anco la Pazzia, con quelli istessi Intermedij,che si sono altre volte detti. Il soggetto principale di detta Comedia fù questo, che Isabellafigliuola unica di M. Pantalone de’ Bisognosi s’innamorò di Fileno Gentil’huomo moltovirtuoso, e lui di lei. La serva d’Isabella s’innamorò ancora lei del servitore del Sig. Fileno,& il servitore di lei; per il cui mezo li loro patroni si servivano dell’ambasciate. In questomentre Flavio, studente in detta Città, che Padova per nome si chiamava, s’innamorad’Isabella, ma non trova riscontro, per- che lei era di già presa dell’amore di Fileno.Avenne, che il detto Gentil’huomo la fece da un suo amico domandare al padre permoglie, il vecchio rispose non volerne fare altro, sendo che Fileno era troppo giovanetto,sopra dì che ne passò per mezo d’amici molti ragionamenti, ne mai fù possibile à poterconcluder nulla. Per il che li giovani innamorati vedendo il lor negotio andar tutto al

    contrario, vennero in tanta disperatione, che non sapevano che partito pigliare al fatto loro,e stando le cose in questi termini, Isabella si risolse alla fine di torsi di casa del padre unanotte, & andarsene con Fileno in altri paesi, e così posero l’ordine per la sera, dandosi icenni l’un l’altro del riconoscersi. Simile accordo fece la serva con il servitore di star’ uniti,e seguir la fortuna de i lor patroni.

    Avenne, che mentre ponevano l’ordine di questa fuga, Flavio, che stava in dispartenascosto, udì tutti li ragionamenti passati tra l’amata, & il suo rivale: ne prese tantocordoglio, quanto si può imaginare chi habbi provato simili tormenti. La onde si disposeservirsi di questa occasione, e per tal via conseguire la sua amata Isabella, come fece.Così venuta l’hora dell’accordo: ma un poco prima, comparve Flavio, & con li cenni, cheFileno dovea dare ad Isabella si fece udire: la quale subito n’uscì di casa, & fù raccolta con

    tanto contento di Flavio, che più non si può imaginare; & così alla muta se n’andarono: ne

    1  Bologna, nella Stamperia di Giovanni Rossi, 1589. 

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    appena hebbero volte le spalle, che comparve Fileno col servitore, & fatti li cenni ordinati,non comparve mai nessuno. Alla fine la serva si fece fuori dell’uscio, 8c disse à Fileno,che non trovava la Patrona, & cercando di nuovo per casa, non la seppe mai ritrovare: laonde il misero, & infelice Fileno venne in tal dispiacere, che cominciò à farneticare, coldiscorrere fra se ove se ne potesse essere andata, 8c tanto immerso stette in questi

    pensieri, che come insano, over pazzo divenne, uscendo fuori di se stesso.L’Isabella in tanto trovandosi ingannata dall’insidie di Flavio, ne sapendo pigliar rimedioal suo male, si diede del tutto in preda al dolore, & così vinta dalla passione e lasciandosisuperare alla rabbia, & al furore uscì fuori di se stessa, & come pazza se n’andavascorrendo per la Cittade, fermando hor questo, & hora quello, e parlando hora inSpagnuolo, hora in Greco, hora in Italiano, & molti altri linguaggi, ma tutti fuor di proposito:& tra le altre cose si mise à parlar Francese, & à cantar certe canzonette pure allaFrancese, che diedero tanto diletto alla Sereniss. Sposa, che maggiore non si potriaesprimere. Si mise poi ad imitare li linguaggi di tutti li suoi Comici, come del Pantalone, delGratiano, del Zanni, del Pedrolino, del Francatrippe, del Burattino, del Capitan Cardone, &della Franceschina tanto naturalmente, & con tanti dispropositi, che non è possibile il poter

    con lingua narrare il valore, & la virtù di questa Donna. Finalmente per fintione d’arteMagica, con certe acque, che le furono date à bere, ritornò nel suo primo essere, & quivicon elegante, & dotto stile esplicando le passioni d’amore, & i travagli, che provano quelli,che si ritrovano in simil panie involti, si fece fine alla Comedia; mostrando nel recitarquesta Pazzia il suo sano, e dotto intelletto; lasciando l’Isabella tal mormorio, & meravigliane gli ascoltatori, che mentre durerà il mondo, sempre sarà lodata la sua bella eloquenza,& valore.