migranti crimini romanzi

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PERUGIA IN GIALLO 2009 Indagine sul poliziesco italiano a cura di Maurizio Pistelli e Norberto Cacciaglia DONZELLI EDITORE Pistelli_imp7.qxp:Layout 1 14-02-2012 19:22 Pagina iii

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Migranti Crimini Romanzi

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PERUGIA IN GIALLO 2009

Indagine sul poliziesco italiano

a cura di Maurizio Pistelli e Norberto Cacciaglia

DONZELLI EDITORE

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Questo volume è stato pubblicato con il contributo di:Dipartimento di Culture comparate dell’Università per Stranieri di Perugia

Assessorato alle Attività culturali e Politiche giovanili del Comune di Perugia

© 2012 Donzelli editore, RomaVia Mentana 2b

INTERNET www.donzelli.itE-MAIL [email protected]

ISBN 978-88-6036-708-2

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Introduzionedi Maurizio Pistelli

«Questo giallo non s’ha da scrivere».Pregiudizi estetici e censure morali nel romanzo d’indagine italianodi Maurizio Pistelli

Un «noir» per la provincia che cambiadi Elvio Guagnini

Fra caponatine e anolini: il cibo nei gialli di Camilleri e Varesidi Alberto Sorbini

Giallo come Milano. Quattro generazioni della scrittura poliziescaper la città lombardadi Bruno Brunetti

«Un mistero simile non può rimanere inesplorato»: indagini, colpi di scenae qualche parodia nel teatro poliziesco di Guglielmo Gianninidi Paolo Quazzolo

Perché la letteratura gialla ha tanto successo?Norberto Cacciaglia

Sciascia e il «giallo pirandelliano»: l’investigatore nel labirinto del contestodi Giovanni Capecchi

Che nessuno tocchi Salieri! Riflessioni sull’«assassinio» di Mozartdi Stefano Ragni

«Non mi pigli per il gomito, Principessa!», esclamò il palicaro…L’impasto linguistico nel Sette bello di Alessandro Varaldodi Patrizia Bertini Malgarini e Ugo Vignuzzi

Indice

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Il set della morte. Le diverse e complicate declinazionidel giallo «storico»di Giulio Leoni

Scrivere fiction nell’epoca dei telegiornali noirdi Piero Colaprico

La Storia come coautrice nei thriller storicidi Lorenzo Beccati

Verità vo cercandodi Alessandro Perissinotto

Gocce di sangue sul pentagrammadi Fabio Melelli

Note d’Argentodi Antonio Tentori

«Profondo giallo». La musica nel nuovo film di Argentodi Marco Werba

Appendice«Io dico che chillo albanese è il vero assassino».Migranti, crimini, romanzidi Fulvio Pezzarossa

Gli autori

VI PERUGIA IN GIALLO 2009

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Appendice

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«Io dico che chillo albanese è il vero assassino».Migranti, crimini, romanzi

di Fulvio Pezzarossa

«Gli immigrati irregolari normalmente delinquono».Letizia Moratti, 10 maggio 2010

Abbiamo altrove sviluppato considerazioni su alcuni testi della produzione giallisti-ca come territorio per esplorare tracce significative della condizione migrante e dellaletteratura che ne scaturisce, sottomessa a una condizione di clandestinità sia come pro-dotto di autori autoctoni che di nuovi italofoni, e condizionata dal ruolo criminale at-tribuito alle figure dell’alterità, secondo l’inattaccabile costruzione del reale offerta dalsistema mediatico1. Di fatto, anche il noir italiano, sensibile alle problematiche sociali,conferma tale prospettiva, a partire dall’attenta introduzione di Giancarlo De Cataldoalla raccolta Crimini, dove la tagliente rappresentazione del degrado della società na-zionale richiama la centralità strumentale che vi gioca

il tema dello straniero. Questi racconti pullulano di figure di malavitosi, lavoranti, donne di facilicostumi, assassini, ladri, vagabondi, disperati e persino di qualche deus-ex-machina, tutti accomu-nati dall’appartenere a un’ondata migratoria dialetticamente percepita sia come minaccia che comeimperdibile occasione di palingenesi per un paese vecchio, stanco e inacidito. Gli immigrati sonola nuova realtà con cui fare i conti. Fra i primi, e con maggiore sensibilità, gli autori del noir italia-no l’hanno capito2.

In realtà l’alone negativo che circonda l’altro non appare dissolto nemmeno a operadell’autore stesso3, o da Carlo Lucarelli, che nel racconto Il terzo sparo4 finisce per impu-tare un ruolo corrosivo e di disfacimento a feroci bande di albanesi e marocchini che do-minano la scena urbana di Bologna, corrompendo i responsabili stessi del corpo di poli-zia. Pare che anche chi invoca l’investigazione narrativa a disvelare i misteri della realtàitaliana5 non riesca poi a elaborare una posizione realmente alternativa per il clandestinodi carta6, confermando il grave ritardo della nostra produzione nei confronti delle multi-ple soluzioni narrative offerte a livello internazionale attraverso il poliziesco postcolo-niale. Al suo interno il punto chiave, sensibile indicatore di una percezione assolutamen-te capovolta della catena di stereotipi subordinanti e ostili che raffigurano e stigmatizza-

1 F. Pezzarossa, «Hanno ammazzato un senegalese, hanno ammazzato uno di noi». Delitti fra gialli e neri, inL’omicidio nella letteratura italiana del XX secolo, a cura di S. Jurisic, Pescara 2011 in c.d.s.

2 G. De Cataldo (a cura di), Crimini, Einaudi, Torino 2005, dalla sua Prefazione, pp. V-VII: VI.3 Non supera la marginalità sociale il lituano Vitas, portatore di energie positive ma tutte naturali e muscolari,

pur risolvendo il caso de Il bambino rapito dalla Befana (Una fiaba noir) di G. De Cataldo, ibid., pp. 305-55.4 C. Lucarelli, Il terzo sparo, ibid., pp. 359-85.5 E. Mondello, Il noir «made in Italy». Oltre il «genere», in Roma Noir 2006. Modelli a confronto: l’Italia,

l’Europa, l’America, a cura di Id., Robin, Roma 2007, pp. 17-41.6 G. Pagliano, Clandestini di carta. Avventure letterarie di donne, bambini, stranieri, Aracne, Roma 2006.

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7 Per un utile approccio, P. Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcolo-niale, in «Scritture Migranti», 2008, 2, pp. 83-105. Più ampiamente, sugli aspetti letterari e sociali del genere, cfr. al-meno Y. Reuter, Il romanzo poliziesco, Armando, Roma 2007; Splendori e misteri del romanzo poliziesco, a cura diA. Castoldi, F. Fiorentino e G. S. Santangelo, Bruno Mondadori, Milano 2010.

8 C. Lucarelli, Febbre gialla, Edizioni EL, San Dorigo della Valle 1997 (poi 2001).9 Sul tema insondato, cfr. il fondamentale lavoro di L. Luatti, E noi? Il «posto» degli scrittori migranti nella

narrativa per ragazzi, Sinnos, Roma 2010.10 Il che rafforza la catena di marcatura stigmatizzante straniero-corruzione-invasione virale-contaminazione;

cfr. E. Goffman, Stigma. L’identità negata, Laterza, Bari 1970, ma soprattutto i saggi in Aspettando il nemico. Per-corsi dell’immaginario e del corpo, a cura di S. Giordano e S. Mizzella, Meltemi, Roma 2006.

11 Sull’esotismo erotizzato della rappresentazione dell’alterità femminile, cfr. L. Ellena, White Women Listen!La linea del genere negli studi postcoloniali, in Gli studi postcoloniali. Un’introduzione, a cura di S. Bassi e A. Sirot-ti, Le Lettere, Firenze 2010, pp. 125-45.

12 Con riferimento al fortunato noir di L. Macchiavelli, I sotterranei di Bologna, Mondadori, Milano 2002.13 R. Oriani - R. Staglianò, I cinesi non muoiono mai, Chiarelettere, Milano 2005; da vedere anche R. Barbolini,

I cinesi non muoiono, in G. Pederiali - R. Barbolini, Giallo in città, Aliberti, Reggio Emilia 2005, pp. 63-121.14 G. Turnaturi, Immaginazione sociologica e immaginazione letteraria, Laterza, Roma-Bari 2003.

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no lo straniero, sta nel conferirgli il ruolo centrale nel racconto di indagine, assegnandoperciò al detective etnico la capacità di interpretare e affermare la norma sociale7.

L’incertezza della realtà italiana si misura con l’esperimento dello stesso Lucarelli,che sceglie per Febbre gialla8 un piccolo editore e il territorio decentrato della letteratu-ra per ragazzi9. A una categoria di margine sociale appartiene anche il protagonista, unpoliziotto quasi coetaneo ai lettori adolescenti, privo di reale competenza, dato che è alsuo primo giorno di lavoro in questura, in uno stato di coscienza ambiguo a causa di unmalessere (scontato il gioco linguistico del titolo)10, bisognoso perciò del soccorso ri-flessivo della sorella decenne, che si affianca all’immancabile spalla dell’investigatore,rappresentata in questo caso dalla fascinosa Sui. La conturbante bellezza orientale11, giàpoliziotta in Cina, funge da rimedio omeopatico, sconfiggendo la Triade alleata conl’imprenditoria in nero locale nello sfruttamento spietato dell’infanzia proveniente dalpaese asiatico. Il target del pubblico impone l’adozione di una traccia hard boiled ele-mentare, e l’avventura amorosa inter-razziale che nasce suscita tenerezza e non scanda-losa trasgressione, mentre la missione ideale, che muove il moderno cavaliere solitario,si carica di generica commozione per le sofferenze infantili, relegate negli onnivori sot-terranei di Bologna12. Siamo di fronte insomma all’affacciarsi timido di un’idea sedu-cente, l’attribuzione di un ruolo primario e solutivo affidato a una figura di straniero,appartenente a una comunità estesa e separata, avvolta da una marea di misteri virati inpregiudizi da leggenda urbana13, ma incapace di decollare, perché penalizzata dal gustodi rincorrere le sedimentazioni narrative più trite, evidenti nella foto di copertina, doveuno scooter (allusivo al fortunato motivo dei Luna Pop di Cesare Cremonini) occupal’ambigua oscurità degli immancabili portici.

Non è riconoscibile una proposta pedagogica innovativa, ma piuttosto l’incertezzadegli autori italiani che, intercettando istanze e sensibilità nell’orizzonte d’attesa del pro-prio pubblico, azzardano timide aperture di credito verso categorie estremamente pena-lizzate ideologicamente e sanzionate civilmente, ritenute incapaci di vita autonoma, di-gnitosa e interessante nel pieno del consorzio sociale, e perciò anche nella sua proiezionenel territorio immaginario definito dal canone letterario14, limitandosi a collocare perso-naggi fascinosi e ambigui nella periferia della paraletteratura. In particolare il giallo, oltreche essere spazio di elezione per una configurazione ambigua e sospettosa dello stranie-

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15 J. Burns, Frontiere nel testo: autori, collaborazioni e mediazioni nella scrittura italofona della migrazione, inBorderlines. Scrittura e identità nel Novecento, a cura di J. Burns e L. Polezzi, C. Iannone, Isernia 2003, pp. 203-11.

16 M. Bortolotti, Questo è il mio sangue, Colorado noir, Milano 2005.17 Ibid., p. 227.18 Simile la conclusione del racconto di I. Mubiayi, Concorso, in Pecore nere. Racconti, a cura di F. Capitani e E.

Coen, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 109-38, dove una giovane di colore, respinta di fatto dall’accesso alla polizia, ècoinvolta in un’indagine fortunata su un bambino scomparso, che la riconcilia però solo con la sorella.

19 Bortolotti, Questo è il mio sangue cit., p. 228. Sul tema metaforico dell’abitazione, cfr. F. Pezzarossa. Una ca-sa tutta per sé. Generazioni migranti e spazi abitativi, in Certi confini. Sulla letteratura italiana dell’immigrazione,a cura di L. Quaquarelli, Morellini, Milano 2010, pp. 59-117.

20 R. Casadio, Uno di meno. Bologna 1994: un clandestino indaga, A. Perdisa, Bologna 2004, quarta di copertina.21 Cfr. Rapporto sul razzismo in Italia, a cura di G. Naletto e Ass. Lunaria, Manifestolibri, Roma 2009; A. Ri-

vera, Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo in Italia, Dedalo, Bari 2009; P. Basso (a cura di), Razzismo di Stato.Stati Uniti, Europa, Italia, Franco Angeli, Milano 2010.

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ro, attribuisce all’aiuto investigatore funzioni ancillari, con aspetti caricaturali, grotte-schi, irrazionali. E non è un caso che in tale sdoppiamento subordinante ripeta la logicadi ambiguo assistenzialismo culturale che ha accompagnato l’avvio della narrativa in ita-liano da parte di stranieri, per lungo tratto assistiti e sorvegliati, quando addirittura nonsovrastati in un luogo sensibile, come il frontespizio, da un intellettuale autoctono15.

Che si tratti di sensibilità diffusa, corrispondente a una sedimentazione inconscia, lodimostrano altre voci del giallo bolognese. Quasi lo stesso schema restituisce alla scritturaper adulti Questo è il mio sangue16: Maggio(rani Walter) è stato costretto ad abbandonarelo status religioso dopo aver commesso un omicidio per ansia incontrollata di giustiziaterrena. Relegato a una vita borderline, prolunga la solidarietà amicale con Milan Cusic,l’albanese già compagno di cella, che nel riprendere l’attività di protettore interferisce colvero crimine che soffoca Bologna. L’indagine svela lo scenario di corruzione dell’umanitàstanziale, dove persino l’apparato ecclesiastico e quello giornalistico alimentano la delin-quenza e coprono vizi e perversioni borghesi, intervenendo con modi sottili o brutali perdeviare un’attenzione scomoda, motivata dal sacro furore rivendicativo del detective im-provvisato. Sarà però necessario l’intervento risolutivo de «La provvidenza. Non quelladivina, quella albanese»17, per trarre d’impaccio l’ex religioso nell’immancabile duello fi-nale col malefico avversario, riscattando l’errore precedente con la coerenza delle inten-zioni e la generosa solidarietà fra marginali. Questo tuttavia risarcisce solo parzialmente lesituazioni individuali, e non vale a sommuovere assetti generali18, così che permane ostilitàpregiudiziale all’accoglienza dello straniero, costretto a guardare «il mondo come un ran-dagio, pensando a casa sua. La casa che non aveva mai avuto e che stava nella sua testa»19.

Questi segnali contraddittori, che non sanno tramutarsi in una scelta decisa, coeren-temente sviluppata sul piano del reale o della sua rappresentazione, hanno penalizzatouna doverosa valutazione dell’unica proposta di forte innovazione, che indica qualeprotagonista dell’avventura investigativa il rumeno Ronny, trascinato da

piccoli e grandi drammi umani, ignorati dalla sonnolenta Bologna dei primi anni Novanta, che ini-zia faticosamente a confrontarsi con il problema dell’immigrazione20.

La distanza temporale aiuta a rendere di attualità meno bruciante il problema dell’ac-coglienza, anche letteraria, dello straniero; questa traslazione del narrato in una situazio-ne non ancora esasperata da un razzismo istituzionale e di profitto politico21 favorisce lacostruzione di una figura alternativa, che può rivestire un ruolo di grande delicatezza,impossessandosi della funzione restaurativa degli equilibri cittadini attraverso l’emergere

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22 Casadio, Uno di meno cit., quarta di copertina: «uno strano investigatore straccione, arrivato da chissà dovecon documenti falsi, che sopravvive grazie ad un impegno precario come sguattero».

23 P. Cingolani, Romeni d’Italia. Migrazioni, vita quotidiana e legami transnazionali, il Mulino, Bologna 2009;ma rilevante il ruolo decostruttivo di osservatore romeno assunto da M. M. Butcovan nell’attività giornalistica e nelromanzo Allunaggio di un immigrato innamorato, Besa, Nardò 2006.

24 Casadio, Uno di meno cit., p. 111.25 Ibid., p. 192.26 Ibid., p. 117.27 Ibid., Premessa, p. VI.

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di un eroe positivo dall’umile professione e da una alterità ostile e misteriosa che ospitanemici22. L’ex agente della Securitate rumena Roman Pertescu, travolto dalla fine delladittatura, accetta abusivamente un incarico da indagatore privato, che si svolge entro unorizzonte separato, popolato di figure appartenenti al mondo inquietante della religionemusulmana. A essa fa capo anche Abdel, un nero apparentemente vittima di un banaleincidente, travolto invece da traffici loschi in un dormitorio per stranieri, ospizio di mal-vagità e azioni delinquenziali, nonché di contrapposizioni etniche, alimentate in realtàdagli interessi del proprietario della società di vigilanza. Perciò lo scioglimento dell’enig-ma, e l’individuazione della vera fonte di corruzione, può solo avvenire da parte di unavoce esterna e coraggiosa, scardinando ruoli sociali etnicamente profilati, che non posso-no ammettere (alla luce dell’immagine di violenta bestialità costruita mediaticamente)23

di attribuire a un rumeno la funzione di «un poliziotto dilettante che indaga sulla mortedi un senegalese investito da un camion»24. Lo stesso agente italiano, che ne diviene ami-co e collaboratore, spiazzato da strategie e azioni impreviste, esprime disagio e sorpresa,invocando «qualcosa di più sicuro delle deduzioni di un barbone che gioca a fare Sher-lock Holmes»25, perplesso davanti alla decostruzione di una figura cardine dell’attualeimmaginario mediatico e alla difficile accettazione di un personaggio che mostra corag-gio sulla pericolosa scena cittadina e spirito deduttivo nella risoluzione degli enigmi. Latrama si complica per un continuo cambio di ruoli e identità, indotti dalla condizione diclandestinità marginale e dalla necessità di mascherature strategiche, che coinvolgono ilprotagonista e il fantomatico Abdel, costretto addirittura a simulare la morte come uni-co espediente di salvezza. Questo turbine di equivoci rende fragili e sfuggenti le figuredegli stranieri, mossi da pure esigenze vitali, e costretti a situazioni sempre transitorie,che non consentono di offrire personalità definite e mature, come eviterebbe una stabilecollocazione sociale. La dialettica tra raffigurazione della piena individualità del soggettooccidentale, di contro alla indistinta massificazione delle collettività esotiche, sembra dinuovo proporsi, nonostante il romanzo punti alla sua smentita, rifiutando l’atteggiamen-to di noncuranza liquidatoria espressa dai mezzi di comunicazione e dal senso comune,pronti a esasperare clamori roboanti di vicende a parti invertite, di fronte a tragiche noti-zie che coinvolgono l’altra umanità: «In fondo solo uno di meno»26.

Questo romanzo rappresenta un punto rilevante di sviluppo lungo un percorso inverità non completato, se guardiamo a una focalizzazione tutta esterna rispetto alla pre-senza di culture altre. Pur essendo sincera la motivazione che porta Casadio a esprimere«comprensione e solidarietà»27, tuttavia non sempre traspare un atteggiamento non pre-giudiziale e curioso verso la diversità, con un modo di osservazione estraneo e diffiden-te, come nella lunga sequenza sui riti interni alla improvvisata moschea. Mancano ele-menti che possano caratterizzare nel dettaglio altre sensibilità, mentalità e linguaggi, e ne

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28 Ibid.29 Roma Noir 2007. Luoghi e nonluoghi nel romanzo nero contemporaneo, a cura di E. Mondello, Robin, Ro-

ma 2008.30 Casadio, Uno di meno cit., Premessa, pp. V-VI.31 M. Mongai, La memoria di Ras Tafari Diredawa, Robin, Roma 2006.32 Ibid., p. 17.33 Senza attenzione alle soluzioni di genere, M. C. Mauceri - M. G. Negro, Nuovo immaginario italiano. Italiani

e stranieri a confronto nella letteratura italiana contemporanea, Sinnos, Roma 2009. Variamente utili E. Mondello,Luoghi e nonluoghi nel romanzo nero contemporaneo, in Roma Noir 2007. Luoghi e nonluoghi nel romanzo nerocontemporaneo cit., pp. 15-46, e, in part., il cap. «Il tema dello straniero: “effetto realtà” e/o “effetto cronaca nera”»,

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emerge ciò che il punto di vista occidentale reputa «tipico», con la necessità di adeguarsial modello imposto da «un fatuo romanzetto di genere, un “giallo” come si usa dire»28.

Sappiamo tuttavia, attraverso l’interesse espresso dal sistema editoriale e accademi-co, come questo filone abbia consentito l’affermarsi di punti di esplorazione e di moda-lità rappresentative che spesso precorrono la letteratura di alto livello, alla quale si pos-sono fattivamente applicare anche spunti ecdotici elaborati per testi di consumo, comecapita a proposito della dimensione narrativa della spazialità29. Se è indubitabile l’atten-zione che gli autori bolognesi riservano alle trasformazioni dell’ambiente e del tessutosociale della loro città, non si può dire che sempre la struttura urbana assuma peso de-terminante nella traccia noir, se la stessa premessa di Casadio si appella alla libertà fan-tastica di reinterpretare il contesto cittadino, in contraddizione col richiamo spazio-temporale dichiarato nel sottotitolo, e anche la sua nuova popolazione:

I personaggi principali e quelli marginali ed emarginati, le situazioni, le strade, le aziende, i ne-gozi e locali pubblici, persino gli aneddoti raccontati in questo romanzo sono interamente fruttodi fantasia; anche l’ambientazione scelta e i riferimenti socio-politici sono immaginari, anche seBologna esiste […].

In particolare, i gruppi etnici citati nel romanzo possono corrispondere solo casualmente a quellirealmente presenti nel territorio emiliano […]. L’unica cosa reale in questo caso, è che gruppi di di-versa provenienza e differente cultura fanno parte della nostra realtà quotidiana: per tale motivo pos-sono essere, anzi in genere lo sono, coinvolti in tutti gli aspetti della vita, compresi quelli negativi30.

Ben diverso appare l’impianto di due testi della collana «I luoghi del delitto», cheruotano attorno alle inattese gesta di un profugo eritreo nel quartiere romano dellaGarbatella, dove problemi di integrazione e dinamiche della globalizzazione dal bassoimpattano con le vecchie figure di insediamento autoctono. Massimo Mongai proponeuna lettura innovativa e dinamica del rione popolare novecentesco, investito dalle pre-senze multietniche: fra queste, all’ultimo gradino, il protagonista, che però del raccontooccupa il titolo e l’incipit con la forza piena del proprio nome31, inversa alla debolezzaesistenziale e psicologica, e nella corporeità diversa, spregevole e ripugnante, che svelalacune che la storia dovrà colmare:

Tafari Diredawa si era ormai scordato molte cose. Ad esempio aveva dimenticato quasi com-pletamente chi fosse. Ricordava il suo nome, certo, ma poco altro di sé.

Tafari era un etiope di quaranta, forse cinquant’anni, difficile dirlo, quasi sempre di stanza neigiardini di Colle Oppio, a Roma, vicino alla mensa della Caritas. Ed era quasi sempre ubriaco32.

Anche in questo caso la volontà di attribuire un ruolo centrale a una figura carica distigmi negativi finisce per incanalarsi nella modalità narrativa del racconto di indagine,inevitabile perché marginalità e non integrazione evocano la dimensione criminale,consentendone di riflesso processi di svelamento33. Da notare come emergano compo-

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pp. 28-31; G. Pagliano, Contesti e corpi, anche stranieri, a passo reale, in Roma Noir 2008. «Hannibal the Cannibalc’est moi?». Realismo e finzione nel romanzo noir italiano, a cura E. Mondello, Robin, Roma 2009, pp. 59-74; G. Pa-gliano, Stranieri del nero e del giallo, in «Narrativa», n.s., 2006, 28, Altri stranieri, a cura di S. Contarini, pp. 151-62.

34 A. Portelli, Le origini della letteratura afroitaliana e l’esempio afroamericano, in «L’ospite ingrato», 2000, 3,Globalizzazione e identità, pp. 69-86; S. Martelli, La scrittura dell’emigrazione, in Aa.Vv., Italiani e stranieri nellatradizione letteraria, Atti del Convegno di Montepulciano (8-10 ottobre 2007), Salerno editrice, Roma 2009, pp.283-340. Cfr. J. Campbell, L’eroe dai mille volti, Feltrinelli, Milano 1958.

35 Mongai, La memoria di Ras Tafari Diredawa cit., p. 62.36 Ibid., p. 125.37 Ibid., p. 143.

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nenti diegetiche profonde, dato che il transito migratorio ricalca il tracciato iniziaticodell’eroe dai mille volti34. sprofondato con la partenza nel buio totale della morte perprepararsi a una complessa rinascita in veste matura e integrata, per quanto consentanole condizioni dell’ambientazione narrativa.

Nel caso specifico, l’essere informe che balbetta nell’incomprensibile amarico avviail riscatto attraverso la scena perturbante del massacro della volontaria che nella mensapubblica l’ha preso a ben volere, anche se quella di un homeless rifugiato in un cartonenon può divenire espressione di verità testimoniale. Il percorso riabilitativo, mentre glisi aprono squarci di una dolorosa condizione personale rimossa, lo conduce da poten-ziale colpevole incarcerato, attraverso una titanica battaglia con l’alcol, a riacquistareuna condizione di normalità presentabile a partire da una doccia improvvisata, carica divalori simbolici che gli consentono di intravedere la «sua salvezza tramite l’acqua. Glisembrava un nuovo battesimo, un lavacro di peccati, un trionfo della vita»35. Ciò lo ac-costa alla chiesa, almeno come luogo di caritatevole ospitalità, incardinata nel sentimen-to popolare del quartiere che diventa il mondo da esplorare e interrogare per svelare iltorbido retroterra di modesta e colpevole umanità, dal quale s’è generato l’incompren-sibile delitto, e che può solo affiorare attraverso la disponibilità profondamente umanaall’ascolto dignitoso dell’altro:

Tafari […] era un buon ascoltatore. Questo accadeva perché era una persona curiosa. A Tafaripiaceva ascoltare le storie che la gente aveva da raccontare, da sempre, fin da bambino. […] Per darforza a una persona non serve parlargli, basta starla ad ascoltare. Tafari lo faceva naturalmente, ilche lo rendeva simpatico36.

Se i tasselli compositivi rispondono alla trama del romanzo di indagine, a ben analiz-zare situazioni e ruoli conferiti alla figura dell’estraneo, per quanto il migrante occupi unacentralità esuberante sotto l’aspetto quantitativo nell’economia narrativa, gli rimangonoperò sconosciuti i veri passaggi decisionali. Egli esprime al più curiosità, intuizioni e co-noscenze che non possono poi tradursi in azione autonoma, delegata perciò ai rappresen-tanti del potere ufficiale, simpatiche personalità anch’esse un tempo marginali rispetto alluogo: padre Aldo, prete milanese sanguigno e umanissimo parroco di San Filippo Neri, el’ispettore calabrese Sante Cafuni, ai quali compete la funzione di guida verso una possi-bile integrazione. Il protagonista rivela un comportamento imprevisto e spiazzante, cheallude a un’impossibile collocazione in parti d’autorità dell’estraneo nel contesto specificodella nostra nazione, come sul piano simbolico dell’invenzione letteraria.

Certo, ’sto Tafari era una novità.Diversamente dall’atteggiamento tipico dell’extracomunitario, sempre a metà tra lo spaventato

e l’arrogante, fra il sottomesso e lo sprezzante, questo tizio se ne andava in giro come se nel quar-tiere ci fosse nato. E chiedeva, chiedeva, faceva domande, curiosava37.

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38 Ibid., p. 84.39 Sulle tematiche del nostro postcoloniale, tra le molte proposte recenti, cfr. almeno Fuori centro. Percorsi post-

coloniali nella letteratura italiana, a cura di R. Derobertis, Aracne, Roma 2010; E. Petricola - A. Tappi (a cura di),Brava gente. Memoria e rappresentazioni del colonialismo italiano, in «Zapruder», settembre-dicembre 2010, 23,

40 Mongai, La memoria di Ras Tafari Diredawa cit., pp. 81-2.41 Ibid., pp. 101-2.

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Quella presenza imprevista e conturbante provoca a catena, attraverso la presa diparola, un processo di disvelamento che parte dalla singola individualità e s’allarga dalmicrocosmo di borgata a risarcire l’amnesia dell’intero paese, tanto che in sequenze im-pettite e didascaliche, enfatiche per ansia di completezza informativa, emerge anche ilpassato della colonizzazione africana, dal tardo Ottocento (con l’incredibile partecipa-zione anche «di sua nonna, Alfea, una friulana venuta in Etiopia con i parenti, come co-lona, che per amore era restata, sposandosi con suo nonno»)38 sino agli anni novanta delsecolo scorso, quando il regime dittatoriale rivoluzionario priva lo stimato professoreuniversitario di italiano di ogni possibilità di lavoro e di vita, con lo spietato assassiniodella giovane moglie Fatwa. Lo shock culturale della fuga in Occidente cancella la me-moria personale e il suo contesto storico politico, incomprensibile per una nazione di-stratta e ignorante della vera complessità della politica estera, impossibilitata a praticarela condivisione di un discorso comune39.

Tutti gli elementi che il personaggio viene ricostruendo, seppure svelano fitte connes-sioni con la dimensione biologica e culturale italiana, non gli spalancano tuttavia una pos-sibile assimilazione, frenata dal forte pregiudizio verso la figura aliena, e l’autore, tantoscrupoloso nell’esprimere politica correttezza, finisce per mettere in scena la natura quasiirredimibile di un’identità d’altra d’origine, che informa una doppia personalità lacerata:

Da quando, bambino, aveva cominciato ad andare a scuola era sempre stato combattuto tra duefedeltà: da un lato la comprensione, quasi la condiscendenza, verso le proprie debolezze tipica dellaciviltà occidentale e della cultura borghese, come lui stesso le definiva; dall’altro l’orgoglio tribale eclanico, che riservava ai maschi adulti come lui molti diritti ma soprattutto molti doveri, e primo fratutti quello della forza, della presenza a se stessi, del rispetto del proprio nome e dell’orgoglio40.

È dentro questa incancellabile diversità che affiora un tratto per noi significativo amostrare come l’operazione di apertura dello spazio narrativo arrivi a incrinare le strut-ture all’apparenza invariate della tradizione occidentale, quando la perfetta disponibi-lità dell’altro, il suo ruolo coerente alle procedure e alle regole nostrane, non impediscetentazioni verso una giustizia alternativa e diretta nei confronti dell’assassino, sanziona-bile come «primitiva»:

Aveva pensato alla possibilità di sistemare personalmente la questione uccidendo lui l’uomo.[…] Nessun etiope nasceva omicida, molti lo diventavano per necessità. […]

Comunque era più che una questione di principio. Trovarlo, farlo arrestare e condannare erauno dei fondamenti della sua nuova Weltanschauung [sic!]41.

Su tali contraddizioni vale la pena di insistere, scavalcando le evidenti debolezze diuna trama che finisce per disperdersi in un caotico feuilleton contemporaneo, tra lezion-cine sui pregiudizi criminogeni nei confronti degli stranieri (due polacchi artificiosamen-te incastrati per colpevolezza solo etnica) e meditazioni sul trasformismo nazionale an-che dei militanti degli anni settanta, per culminare nell’astuto agguato teso (come la funi-cella che lo abbatte) alla grigia figura del cognato dell’ingenua benefattrice, assassinata

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42 Ibid., p. 232; cfr. F. Faloppa, Parole contro. La rappresentazione del «diverso» nella lingua italiana e nei suoidialetti, Garzanti, Milano 2004.

43 G. Parise, Roma, in Sillabario n. 2, in Opere, a cura di B. Callagher e M. Portello, Mondadori, Milano 1987-89, II, pp. 315-512; il racconto alle pp. 486-90, la cit. alle pp. 487-8.

44 Ibid., p. 490.45 M. Mongai, Ras Tafari Diredawa e il fiore reciso. Un assassino alla FAO, Robin, Roma 2007.46 Ibid., p. 17.47 Ibid., p. 20; non casualmente costituiscono una scena ricorrente ad apertura della narrazione che connota il

personaggio della modernità, cfr. F. Dragosei, Esproprio di primo grado: la toilette dell’«Ulisse» e la toilette di«American Psycho», in Letteratura e merci. Da Joyce a Cappuccetto Splatter, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 9-25.

48 Mongai, Ras Tafari Diredawa e il fiore reciso cit., p. 125.

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per averne scoperto le pulsioni incestuose. Ma il colpevole, nel momento in cui cade intrappola, ricorre a una potente arma sanzionatoria contro chi pretende di svelare il maleprofondo che investe la realtà italica, penetrato anche nella bonaria e accogliente comu-nità di quartiere, urlando in faccia all’improvvisato restauratore dell’ordine, il grovigliodi valori escludenti che s’annidano nel lessico razzista: «Sporco negro!»42, mantra ricor-rente per chi tenta di arginare il mutamento di lunga durata della realtà sociale.

Il racconto pare quasi un involontario risarcimento di una delle prime, fulminee, mapregnanti, apparizioni letterarie dello straniero: nel 1982 Goffredo Parise ritraeva unaRoma non popolare, anzi stranamente deserta di abitanti locali e figurata nell’immobi-lità astorica dei ruderi monumentali, dai quali balzano soltanto «africani […] donne be-duine […] uomini di varie razze […] gente di colore che camminava e si muoveva comepadrona della città»43, sinché lungo la passeggiata archeologica il contatto con quegli es-seri inquietanti si muta in un immancabile e trasognato agguato mortale:

l’etiope l’aveva colpito con un coltello. […] Lo sentì penetrare ancora nel ventre, nel petto, nel col-lo mentre i denti bianchi dell’etiope gli stavano vicino44.

La storica vocazione internazionale della città, troppo spesso dimenticata per co-struire tendenziose gerarchie etniche fra le migliaia di abitanti di estrazione straniera,evoca più largamente Mongai, chiamando l’etiope Tafari protagonista delle sue Inchie-ste a incastrare Un assassino alla FAO45. Se è la seconda prova che consente di misurare latenuta dell’impianto narrativo, si coglie una forte contraddizione, nonostante sia digrande interesse il tentativo di trasformare la figura emarginata per eccellenza nell’eroedi un riscatto che si fonda proprio sul terreno minato della delinquenza, della violenza,dell’insicurezza urbana, nel quale il filtro mediatico relega lo straniero,

un barbone, ultraquarantenne, etiope, ex alcolizzato e praticamente se non clandestino, irregolare,era riuscito a fare il detective, a Roma, e a trovare assassino e prove46.

Il riscatto dallo status di estraneità ripugnante, ribadito attraverso la ripresa del temadella pulizia personale e dal rituale della rasatura, che avvicinano all’esteriorità dei mo-delli antropologici borghesi occidentali47, in evidente parallelismo con l’adeguarsi aun’accettabilità regolata dal sistema burocratico:

Aveva ottenuto un regolare permesso di soggiorno; in realtà era riuscito ad ottenere un rinno-vo del precedente, di quando era arrivato in Italia anni prima. E con il permesso, tranquillità e do-cumenti. Pezzi di carta. Valgono poco, si dice di solito. Ma forse sono come la salute, se ne sente lamancanza solo se non la si ha più48.

L’intenzione puntata all’interno di un quartiere della capitale si amplia sulle tracce del-la nuova vittima, anch’essa etiope, ma non certo immagine consueta della donna migran-

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49 Ibid., p. 265.50 Ibid., p. 26.51 G. De Cataldo, Nero come il cuore, Interno Giallo, Milano 1989; poi nei Gialli Mondadori, ibid., 2001; e ora

Einaudi, Torino 2006, p. 186.

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te: figlia di padre italiano, la bellezza conturbante si lega a un elevato ambiente internazio-nale, in quanto ex modella e poi hostess di volo. La morte misteriosa andrà lentamente achiarirsi grazie allo scontato artificio della testimonianza diaristica, seppure velata dal mi-stero di un linguaggio esotico, criptico per lo stesso conterraneo, che sfida antiche risorsedi studioso, e l’ex beone si infiltra nella sede dell’organismo alimentare mondiale riallac-ciando amicizie internazionali ed esercitando competenze scientifiche che mascherano laparallela indagine della polizia. Inopinatamente, la tenue traccia giallistica di ambiente pe-riferico si muta nella clamorosa spettacolarità di una spy story, con fantastiche scene d’a-zione degne delle più trite serie televisive, mentre la trama si stringe su occulti legami pa-rentali e costumi tribali che hanno provocato la morte dell’affascinante straniera, vittimadi uno zio cattivaccio, pronto a incrudelire con mutilazioni genitali e violenze ripetute,infine suicida per sfuggire all’infamante accusa, nonostante lo status di diplomatico.

Per quanto si giunga all’esito positivo, non si può dire che ci sia coerenza, special-mente con l’uso disinvolto e scontato di una topica d’effetto, contraddittoria con la pa-lese citazione gaddiana:

E d’improvviso, nel pieno del sogno, Tafari capì.E si svegliò, perfettamente in sé, con gli occhi spalancati come di chi si stupisce per qualcosa

che ha capito d’improvviso, d’intuito, ma che vede e dipana immediatamente come frutto di ragio-namento perfetto e lineare nonostante fino a quel punto sia stato uno gnommero confuso49.

Lo stesso motivo etnico è subordinato a un taglio folkloristico o spettacolarizzato, eanche un passaggio che potrebbe essere di rilievo nell’economia strutturale del giallo et-nico, l’ambiguità verso la giustizia occidentale, che spinge alla soluzione sulla base delladifesa dell’onore tribale, non trova adeguata valorizzazione, perché in fondo consente aun autore sensibile alla correttezza politica di individuare il male e il suo risarcimentoin uno spazio tutto estraneo al tessuto sociale italiano, seppure interno a Roma.

Il detective etiope, pur al centro della scena, gioca un ruolo di contorno, come esprimela sua collocazione ancora sulla soglia di una piena accettazione: continua infatti ad allog-giare presso un ostello religioso, privo del radicamento dignitoso e autonomo di un’abita-zione stabile; e valore metaforico assume il luogo di lavoro occasionale, trasformato daspazio intimo alla vita di quartiere in locale aperto all’etnicità di moda superficiale.

Il Pot Pourri era una possibile integrazione, una integrazione realizzata fra persone di gruppietnici (il che vuol dire razze, si sa) culture e lingue diverse, una trattoria dove tutti i locali da semprecenavano e pranzavano e che da qualche tempo si stava riempiendo di stranieri non italiani, non eu-ropei perfino, di passaggio o residenti. Una bella pentola marcia, ché questo vuol dire davvero ilnome della trattoria […]. Tafari amava le metafore e quella della pentola marcia e puzzolente chediventa un odoroso pot pourri era quella che gli piaceva di più. Perché è una metafora. O no?50

Un ritratto decisamente alternativo della realtà romana di quartiere e della sua po-polazione variegata, che proietta ombre di cupa angoscia, ci aveva invece offerto Gian-carlo De Cataldo in Nero come il cuore:

Ogni sera, al calar del sole, muto coro d’ombre, i neri, gli indiani e i paki si impadronivanodell’Esquilino, e ogni sera la zona si spopolava, perché la vita degli indesiderati stranieri potessecontinuare a scorrere nella solitudine di una moltitudine senza respiro51.

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52 De Cataldo, Nero come il cuore cit., p. 10.53 Ibid.54 Ibid.55 Ibid., p. 3.56 Ibid., p. 11.57 Ibid., p. 12.58 Ibid., p. 13. Cfr. sul ruolo del detective interculturale, quale esploratore a cavallo di mondi reciprocamente

sconosciuti, P. Plummer, Transcultural British Crime Fiction: Mike Phillips Sam Dean Novel, in Postcolonial Post-mortems. Crime Fiction from a Transcultural Perspective, a cura di C. Matzke e S. Mühleisen, Rodopi, Amster-dam-New York 2006, pp. 255-70: 256.

59 L’autore utilizza la narrativa gialla «presenting the black characters as ordinary human beings with a full ran-ge of human sympathies, and using the issue of crime as an instrument for exploring the immorality of variouskinds of social exclusion», ibid., p. 260.

60 S. Knight, Radical Thrillers, in Watching the Detectives. Essays on Crime Fiction, a cura di I. A. Bell eG. Daldry, Macmillan, Houndmills-London 1990, pp. 172-87: 178-9.

61 De Cataldo, Nero come il cuore cit., p. 11.

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Al suo interno si muove l’avvocato Valentino Bruio, disilluso delle vecchie convinzioniprogressiste, ma intenzionato a resistere all’orizzonte incattivito del razzismo attraversol’amicizia con Rod, proprietario del Sun City, locale che certo non funziona da punto dimediazione e mescolanza feconda, «regno di amori mercenari di immigrati più o meno re-golari, di rivoluzionari senza patria stanchi di complottare contro generali cannibali e im-peratori liberticidi»52. Esso rappresenta invece la condizione separata delle nostre comunitànere, il «mondo concreto della Roma nera»53 fatto di esperienze marginali e disperate comequella «del trentaduenne cittadino sudafricano Anawaspoto Ray»54, «ennesimo sfigato dicolore»55 che si presenta invano a supplicare un patrocinio per risolvere la misteriosa scom-parsa del figlioletto, e subito inghiottito in una nota distratta della cronaca nera, presuntavittima di un comodo «regolamento di conti all’interno della comunità africana»56.

L’avventura dell’indagatore, sotto l’immancabile scorza di ruvidezza e distacco, muo-ve da una volontà diretta di partecipare a un dramma che intuisce essere più profondo ecomplesso, e interpreta l’orgoglio e la rabbiosa determinazione dell’equivoca comunitàdi colore, sull’orlo della ribellione: «Non basta più pensare, amico, si deve agire! Nonpossiamo lasciare che ci ammazzino come cani»57. Però ancora una volta (e per noi ilpassaggio è significativo sul piano della distribuzione narrativa dei ruoli e dei compiti),essa finisce per delegare l’azione, così che risulti legittima la richiesta di assistenza dellaforza pubblica tramite l’ambigua figura del detective, bilanciato su opposte e contrastan-ti fedeltà a mondi conflittuali che lui solo sa attraversare con la sua ricerca: «Sei un bian-co, ma sei anche uno di noi»58.

L’intricata vicenda fa del caso in esame il punto di lettura del trionfante cinismo nazio-nale, dove i dislivelli di classe e di censo maturano anche sullo spietato sfruttamento dellacondizione disperata dei migranti, costretti alla disponibilità più totale, fino a una condi-zione di nuovo schiavismo59. Se la tendenza consueta del plot è alla stabilizzazione sociale,

However some thrillers have been anti-conservative consciously political terms and so mostfully deserve the name of radical: they have been dedicated not just to redirecting the thriller mo-de but to reshaping public opinion, a political pill in the sugar-coating of a popular genre60.

L’inchiesta è carica quindi di un forte impegno sociale, e svela che per salvare il nipoti-no, una potente e spregiudicata figura si affida a un intrico di complici organizzazioni in-ternazionali, che renderanno disponibile il cuore strappato cinicamente al figlio del suda-fricano «Barney […] bellissimo piccolo nero»61, «il suo cuore nero viene trapiantato sul

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62 Ibid., p. 197.63 Ibid., p. 15.64 Ibid.65 Ibid., p. 33.66 Ibid., p. 184.67 Ma si vedano le mie osservazioni in Pezzarossa, «Hanno ammazzato un senegalese, hanno ammazzato uno

di noi» cit.68 A. J. Latiffi, Lo yàtaghan, Controluce, Nardò 2008.

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cucciolo bianco»62. Quella salvezza che nasce dalla morte, esplicita l’ingiustizia totale chedomina la scena italiana, priva di ogni convinzione e certezza di moralità, seppure l’azio-ne di Bruio consente una pausa nel processo di decadenza generale: «Ero felice di non do-vermi vergognare del mio presente»63, avendo saputo immergersi fra quella altra umanità:

I negri che puzzano e portano le cattive malattie. I negri che non son pronti per la democrazia.I negri che sono buoni a cantare, ballare e suonare la tromba. I negri che ci tolgono le donne e illavoro. I negri che corrono veloci e sanno fare bene a pugni. I negri che hanno un senso del ritmoche si vede che sono negri. I negri che scopano da Dio perché ce l’hanno grosso. I negri che hannotutto da imparare perché da soli non sanno cavarsela…64.

Ma proprio su questo passaggio, di nuovo possiamo verificare lo scollamento fra pia-no ideologico e inerzia del modello letterario, se all’interno del racconto si ribadisce pro-prio questa disparità appena sbeffeggiata nel cumulo degli stereotipi, relegando la figuradel negro all’esclusiva funzione di assistenza nel percorso di scoperta e di esplorazione delmale. Il ripristino del bene non attiva comunque un senso di giustizia più largo ed equili-brato per chi è costretto a giocare, nel reale e nella finzione del racconto, sempre due soleparti a fronte dell’evenienza criminale, di vittima o colpevole, mai di solutore a pieno tito-lo. Anzi, evocano nell’immaginario dello scrittore tracce stantie, che di fronte al femmini-le evoca il retroterra selvaggio della «provocante bellezza nera»65; o l’immancabile voca-zione degli uomini alla caccia, una pretesa istintualità vantaggiosa anche nell’attraversareil nostro mondo: «questa città è come una grande foresta, e il Sun City è la sua oasi. […]Grande foresta, tante piste, ma noi sappiamo seguire le tracce della preda»66.

L’inerzia della topica letteraria e sociale marca anche quello che va considerato il pri-mo giallo ufficiale della nostra letteratura di migrazione67, Lo yàtaghan dell’albaneseAnthony J. Latiffi68. L’intento di presentare un supereroe internazionale si scontra conl’acerba esperienza di scrittura, che ricorre con involontaria caricatura al modello dellaspy story. Una dimensione iperrealistica creata da un ingenuo epigono trasforma l’orfa-nello albanese Mark Barleti in agente dei servizi russi, che, avuta la famiglia sterminatadall’indipendentismo ceceno, ne trae vendetta a New York, col supporto dell’Interpol ein dialettica con Fbi e Cia. L’indagine, che pretende di penetrare trasversalmente gruppietnici e aree politico-religiose, coincide con le fasi conclusive dell’attacco alle TwinTowers, che il protagonista non riesce a fermare: gli rimane, se non la capacità di realiz-zare una palingenesi mondiale, la vendetta privata, che nel cuore della modernità utiliz-za uno strumento storico e sacro, la spada tradizionale che domina il titolo e la coperti-na, come l’immaginario del personaggio lungo tutta la vita.

L’ansia di costruire una macchina narrativa ligia alle situazioni più scontate del ro-manzo d’azione, dagli inseguimenti automobilistici, al fascino muliebre, allo sprezzo delpericolo, all’astuzia di simulazione, all’acuta scelta delle armi, all’eccellenza delle forzefisiche, genera un’infilata di stereotipi disinvolti. Lo si scorge proprio sul versante della

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69 L. M. Solivetti, Immigrazione e crimine, in Trattato italiano di psichiatria culturale e delle migrazioni, a curadi P. Bria, E. Caroppo, P. Brogna e M. Colimberti, Società Editrice Universo, Roma 2010, pp. 365-73.

70 Latiffi, Lo yàtaghan cit., p. 45.71 Ibid., p. 367.72 A. Dekhis, I lupi della notte, l’ancora del mediterraneo, Napoli-Roma 2008.73 Ibid., p. 75.

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caratterizzazione etnica, che si potrebbe ritenere frutto di pregiudizi strettamente occi-dentali; mentre il detective-eroe si muove come lupo solitario, fedele a un nucleo di sen-timenti atavici appena accennati nelle valenze simboliche della spada, arma ideale per af-fermare una suprema giustizia, per l’individuo e la nazione. Il goffo tentativo di portarein scena il melting pot della metropoli statunitense si affida a un succedersi di macchiette,dall’amico italiano, ex agente segreto antimafia e ora ristoratore (non pizzaiolo, per for-tuna!), coniugato con una messicana; dai latinos si discende poi la gerarchia delle peggio-ri comunità, da quelle slave, il cui motore è quel Marchenko ex colonnello Kgb col qualeingaggerà la suprema sfida incrociando le lame, per misurarsi ancora con la perfida spie-tatezza di una marea di islamici, accoliti di Osama bin Laden, dediti al disinvolto intrec-cio di riti religiosi e complotti dinamitardi. Esseri tanto estranei e ripugnanti, da compa-rire con maschere tratte da manuali di criminologia razzistica ottocentesca69:

Al-Dhuma era sorridente. Il naso aquilino sembrava che toccasse il labbro inferiore. La barbaappuntita dava alla faccia un’ovalità esagerata, mentre lo sguardo cinico e penetrante metteva in ri-salto i suoi lineamenti da pirata.

L’altro era serio. Aveva un volto tondo e rosso, i capelli, un po’ mossi e tirati in su, erano ca-stani. La fronte rugosa cadeva sporgente sopra gli occhi rossi e gonfi, originando una leggera om-bra che nascondeva le borse. Sembrava uscito da un vodka party70.

Una visione manichea e semplificante si alimenta sommariamente dall’idea delloscontro fra le civiltà, che motiva un destino immancabile per un ceto di esseri superioriche in quella lotta assicurano la purezza di una spazialità incontaminata:

Noi siamo in mezzo, siamo la corazza. Senza di noi questo mondo sarebbe un bordello. Il no-stro umile e santo lavoro dà il giusto equilibrio a questo mondo. Io credo che sia un lavoro sancitoda Dio. […] Noi siamo lo scudo, la nostra onestà è il suo materiale. In questo lavoro ci vogliono imigliori, sennò lo scudo andrebbe in frantumi già al primo colpo71.

Impianto ambizioso, ingenuamente caricato di ideologia, che si innesta sui disagi per-sonali, e sulla condizione politica e geografica del paese di provenienza: gli stessi elementisi rintracciano anche ne I lupi della notte di Amor Dekhis72, che evita un affresco con-temporaneo, e raffigura con un lieve scostamento distopico il tema centrale per l’immagi-nario di ogni scrittore algerino, implicato nelle angoscianti vicende di una sanguinosa ca-tastrofe civile, mai veramente conclusa e che si proietta nell’Italia incombente del 2015.In una Firenze lontana dalla massificazione turistica, raffigurata invece come metropolioccidentale tagliata da ghetti etnici generati dalle pratiche violente specialmente della po-polazione araba, Salè si trova quotidianamente nell’«imbarazzo di stare alle calcagna dellamia gente, di frugare nelle loro vite per scovare qualche crimine e mandarli in galera»73,visto che il clandestino algerino è stato casualmente assunto nella polizia di Stato.

Ma più che sul futuro, lo sviluppo delle indagini porta a fare chiarezza su situazioninazionali e personali dolorosamente sospese, che occupano nel libro lo spazio centrale.Ed ecco affiorare la vera identità di Salah, attraverso l’angosciata ricostruzione della vita

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74 Ibid., quarta di copertina.75 Per un primo orientamento bibliografico, cfr. Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco inter-

culturale e postcoloniale cit.76 Centrale sotto questo aspetto risulta il concetto di mimicry; cfr. H. K. Bhabha, Sull’imitazione e l’uomo. L’am-

bivalenza del discorso coloniale, in I luoghi della cultura, Meltemi, Roma 2001, pp. 123-32: «per poter avere un qual-che effetto, il mimetismo deve continuamente creare il proprio slittamento, il proprio eccesso, la propria differenza.[…] Il mimetismo appare come una rappresentazione della differenza che è essa stessa un processo di ripudio», p. 124.

77 Cfr. M. Purpura, Contro l’identità? Il valore della testimonianza in Pap Khouma, in «Intersezioni», XXVII,2007, L’autobiografia nell’epoca dell’impersonale, a cura di M. Lollini, pp. 461-74.

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di un paesino algerino degli anni novanta, dove anche il cartolaio-giornalaio risulta so-spetto sia alle forze fondamentaliste, sempre più subdole e spietate, sia all’apparato statale,che lentamente si sfalda manifestando pari violenza. Tutto sembra inghiottito da una spi-rale di morte, e le lacerazioni attraversano la stessa famiglia, con due fratelli sul versanteopposto dell’integralismo e dell’esercito. Siamo di fronte a un’interessante raffigurazionedi come un pensiero totalitario condizioni gli atti quotidiani, insinuandosi nel lavoro enelle relazioni di sentimento, portando alla distruzione l’individuo e la comunità, esaltan-do la perversa potenza degli esseri più infimi, e dei quali rimane vittima il giovane intellet-tuale, sinché dalla casa gli viene strappata la sposa Algyida. La sua fuga dall’harem guerri-gliero introduce un incredibile motivo fiabesco, in contrasto con la narrazione che piegaverso un presente alternativo di grande amarezza, quando la donna algerina può raggiun-gere la Toscana, ove il suo uomo ormai convive con un’italiana, senza che questa bigamiatrovi chiara collocazione nella trama, come nella psicologia piena di inammissibili ombreper un poliziotto di improbabile provenienza straniera. Sarà però la sua storia occulta aconsentirgli di rintracciare, mentre conduce un’indagine sull’asfissiante delinquenzialearaba, i suoi antichi persecutori espatriati, che affronta con piglio solitario, sganciato dallafunzione pubblica che gli compete, pervaso dalla vocazione a un gesto personale di sfida.Il successo periglioso, da cui esce con l’immancabile ferita che lo esalta come eroe, final-mente gli consente di trovare vere motivazioni per partecipare alla squadra di poliziottidediti a esercitare ordine e controllo in «un’Italia multietnica e mediterranea»74, che inevi-tabilmente sta generandosi all’incrocio di tutti quei dolenti percorsi individuali.

A questo punto della nostra indagine, si potrebbe dire totalmente delusa una colloca-zione significativa dello straniero quale protagonista di una funzione primaria e positivanella narrazione, nel territorio di massima sensibilità per l’immaginario sociale attinentela sicurezza e l’ordine pubblico, sul quale non incide un aiutante estemporaneo, mai ve-ramente autonomo e attivo sul presente, come anche è rappresentato da Dekhis. Anzi, sesi proietta sui nostri pochi reperti quanto elaborato dalla letteratura critica sviluppata neicontesti culturali dove la svolta è da tempo avvenuta, dando la giusta attenzione a poli-zieschi paradigmatici come quelli di Chraïbi o Arjouni75, si constata l’ennesimo segnaledell’arretratezza italiana. È necessario allora puntare l’attenzione su un paio di testi che,non immediatamente classificabili nella tradizione del poliziesco76, tuttavia propongonoelementi di novità e aspetti di costruzione, oltre a modalità espressive, che offrono spun-ti tutti da valorizzare, in ordine a possibili sviluppi della narrativa uscita dal flusso mi-gratorio. Ci riferiamo ai fortunati secondi romanzi di Pap Khouma e Amara Lakhous.

Il primo, uscito dopo anni dalla dimensione ingombrante di proto migrant writer, edalle condizioni stereotipe di una scrittura nata in chiave collaborativa dentro un pro-getto testimoniale77, di valore assoluto nel momento in cui apriva una via inesplorata

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78 P. Khouma, Nonno Dio e gli spiriti danzanti, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005.79 R. Taddeo, La ferita di Odisseo. Il «ritorno» nella letteratura italiana della migrazione, Salento Books,

Nardò 2010.80 P. Khouma, con O. Pivetta, Io venditore di elefanti, Garzanti, Milano 1990.81 Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale cit., p. 86.82 Khouma, Nonno Dio e gli spiriti danzanti cit., p. 67.83 Da quel punto mediano è consentita «the observation of both the empire and the indigenous culture, the ob-

servation of disparities, of ironies, of hybridities, of contradictions», E. Christian, Introducing the Post-ColonialDetective: Putting Marginality to Work, in The Post-Colonial Detective, a cura di E. Christian, Palgrave, NewYork 2001, pp. 1-16: 13.

84 «He is located at the interstices of two cultures […] being torn beetwin two different signifying systerms thathe has to negotiate according to […] the differing expectations of his sourrondings», K. Kutzbach, The Hard Boiled

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per acquisire all’orizzonte italiano voci completamente nuove, rovescia con Nonno Dioe gli spiriti danzanti78 il vettore fondamentale del racconto, che accompagna all’approdooccidentale il soggetto narrante79. L’avventura si apre anche questa volta in aeroporto,ma non quello romano dove era sbarcato il Venditore di elefanti80, bensì nell’immagina-ria Taag capitale del Sahel (un Senegal trasparente); di nuovo, è un immergersi nel pro-gressivo spaesamento del vivere locale, scandito da corruzione e mancanza di riserva-tezza, ormai insopportabili per chi, agli occhi di tutti, è stato trasformato in un toubabdal soggiorno a Tougal (cioè l’Italia), incapace di adattarsi a un primitivismo tecnologi-co che crea sbalzi di corrente, o catastrofici viaggi su taxi e autobus approssimati. Essioggettivano un senso di disgregazione passiva, affrontata ostinatamente con l’auspiciodell’intervento di forze spirituali elusive, un disambientamento che si svela totale allor-ché il ritornante approda all’abitazione coniugale, divenuta estranea come la moglie,che stanca dell’attesa l’ha sostituito nei propri affetti.

Questa imbarazzante situazione lo riconduce alla condizione di fatto pre-matrimo-niale, aprendogli spazio per avventure con l’italiana Elena; ma il passaggio ripristina lacondizione base del detective, anche nella sua declinazione postcoloniale, dove «la soli-tudine che nel romanzo poliziesco classico caratterizza la figura del detective, solitamen-te tramite il suo celibato, si stempera e acutizza al tempo stesso facendosi “alterità”»81.Quest’atmosfera si esaspera nell’incontro col figlio, nato dopo la partenza fuggitiva, cheprofondamente l’avversa, mentre l’imbarazzante invasività della madre vorrebbe ripor-tarlo al vecchio modello filiale, impossibile dopo le esperienze migratorie. La dimensio-ne più banale della quotidianità metaforizza, in termini si direbbe pedestri, un’estraneitàormai radicata, che si allarga a coprire la totalità del sentire morale, religioso, relazionale:

Dawuda Dem non è più abituato a camminare nella sabbia con le babbucce, ripassa da casa perrimettersi le scarpe82.

Ma la distanza culturale e il tempo intercorso non gli impediscono un’esplorazionenon del tutto estraniata, e perciò più penetrante83, di un mondo che svela aspetti lontanidalla serenità auspicata dopo il lungo intervallo, e mostra lati oscuri e ambigui, comel’inquietante figura del contrabbandiere e guerrafondaio italiano, appellato César Na-poléon, regista di un dominio coloniale non interrotto, che governa il traffico di clande-stini diretti all’Europa, meta sognata dai giovani nativi, in cambio di armi per le banderibelli. Il protagonista finisce per immergersi anziché nella famiglia e nella sua cultura,in avventure svagate da turista, finché un tragico naufragio richiama la dimensione in-combente della nuova patria, che interferisce con l’incertezza del ritorno84, dove ha fini-to per essere elemento perturbatore, e perciò da rimuovere.

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Patterens as Discursive Practice of Ethnic Subalternity in Jakob Arjounis’s Happy Birthday, Turks! and Irene Dische’sEin Job, in Sleuthing Ethnicity. The Detective in Multiethnic Crime Fiction, a cura di D. Fisher-Hornung e M. M.Mueller, Fairleigh University Press-Associated University Presses, Madison-Teaneck-London 2003, pp. 240-59: 243.

85 Plummer, Transcultural British Crime Fiction cit., pp. 265-6: «There are a number of characters who have abackground of migrant like himself […]. Tehese characters represent a continuum of migratory experiences, racialand ethnic affiliation, education, class, gender and sexual preference».

86 D. Fisher-Hornung and M. Mueller, Afterword, in Sleuthing Ethnicity. The Detective in Multiethnic CrimeFiction cit., pp. 320-2: 321: «the intricate interplay of race and ethnicity, ethnicity and gender, class and history, aswell as multitude of combinations of these and other factors, makes for the specific shadings and nuances of thegenre».

87 Le approssimate procedure investigative, come le ambiguità rispetto alle leggi da parte delle forze locali dipolizia e dei rappresentanti della politica, fa sì che la «corruption interfere with the detective’s search for justice»,cfr. Christian, Introducing the Post-Colonial Detective: Putting Marginality to Work cit., p. 3 .

88 S. Tani, The Doomed Detective. The Contribution of the Detectve Novel to Postmodern American and Ita-lian Fiction, Southern Illinois University Press, Carbondale-Edwardsville 1984, p. 151.

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Infatti Øg è partito da Milano, dove lavora come infermiere, dopo un litigio con la con-vivente, consentendo l’incursione e il ferimento da parte di uno spacciatore, convinto diassalire l’africano con il quale s’era scontrato. Non occorre dire come l’ossessiva sindromesecuritaria che pervade la penisola interpreti la sua frettolosa scomparsa: lungo canali tran-snazionali che legano al continente europeo amici e conoscenti, anch’essi interpreti di sva-riate avventure migratorie85, cominciano a circolare les mauvaises langues che lo additanocome responsabile del grave ferimento. La marginalità innescata dall’atto migratorio, chelo marca come estraneo e potenziale colpevole nella nuova patria, lo stigmatizza anche nel-lo spazio antico, seppure si è liberato del vecchio reato di diserzione, motivo della primaprecipitosa fuga, addossandogli la nuova e più minacciosa colpa. Avviatosi in un’atmosferacupa e premonitrice a visitare il fratello detenuto, il carcere si rivela la trappola finale del-l’impossibile rientro all’origine: subisce perciò l’arresto, in un parossistico alternarsi di col-pi di scena. La condizione personale si mescola a un male e a una decadenza ben più lar-ghi86, espressione di una civiltà totalmente corrotta dagli interessi occidentali, dove governiestemporanei e ribelli si equivalgono nell’affermare interessi personali sui valori collettivi87.

Sarà proprio il cognato, divenuto presidente con l’ennesimo golpe, a espellere l’e-straneo Øg Dawuda, imbarcato a forza sull’aereo per la destinazione milanese; non ri-mane, a chi ha maturato un irridente scetticismo per la cultura d’origine intersecata dal-le inutili invocazioni a forze spirituali, che la speranza di un miracoloso ristabilirsi dellacompagna, che consenta l’affermarsi di verità e giustizia, elusive a ogni latitudine.

Percorrendo il testo, si può ben vedere come l’inclusione nella sfera del poliziesconon avvenga solo tangenzialmente, in base alla presenza di un reato e di un presuntocolpevole, perché straniero nell’una e nell’altra patria. Lo svolgimento manifesta parec-chi aspetti della cosiddetta anti-detection novel, evoluzione e riflesso della vecchiastruttura giallistica adattata al caos postmoderno. In essa, ad esempio, affiora l’idea del-l’inutile sforzo cognitivo del reale, che a differenza del passato deve essere comunqueripetuto, non presentandosi mai risolutivo e stabilizzante; il punto sensibile dal finaleprivo di uno scioglimento soddisfacente, in contrasto con la forma classica del polizie-sco, è sostituito da combinazioni molteplici che utilizzano sue parti, o taluni ruoli,«used piece by piece»88.

Ne risulta conseguente anche uno spiazzamento del lettore rispetto alle regole con-suete del genere, che prevedono il suo coinvolgimento, in gara con l’indagatore princi-

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89 Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale cit., pp. 83-4.90 D. Fisher-Hornung - M. Mueller, Afterword, in Sleuthing Ethnicity. The Detective in Multiethnic Crime

Fiction cit., p. 322.91 B. Dejean de la Bâtie, Les romans policiers de Driss Chraïbi. Représentations du féminin et du masculin,

L’Harmattan, Paris 2002, p. 95.92 Ibid.93 Kutzbach, The Hard Boiled Patterens as Discursive Practice of Ethnic Subalternity cit., p. 241.94 Ibid., p. 242.95 Ibid.96 Plummer, Transcultural British Crime Fiction cit., p. 256.97 Tani, The Doomed Detective cit., cap. 6, «The Detective Unbound», pp. 148-51.98 A. Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, e/o, Roma 2006; il presente lavoro non ha

potuto tenere conto dell’ulteriore romanzo Divorzio all’islamica a viale Marconi, e/o, Roma 2010.99 Per la regia di Isotta Toso, Italia, 2010.100 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 123.

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pale, nel processo di svelamento89, mentre la procedura di straniamento, rispetto all’o-rizzonte di attesa prefigurato dal genere, apre nuove finalità:

Ethnic crime fiction in particular provides a forum for the staging of contemporary fears con-cerning ethnic and urban conflict […] in an attempt to solve the crime in the book as well as to ex-plore the mysteries of our increasingly globalized world90.

La messa in discussione del genere, piegato alla nuova sensibilità ma non distrutto,incide criticamente sulla cultura dominante senza volerla annullare, come è evidente dalfatto che il racconto disegna parallelamente una più larga inchiesta, in quanto la variante

ethnique du policier implique une dimension culturelle, qu’il s’agisse de la situation du récit, del’identité du héros, ou encore de la superposition à l’enquête policière d’une investigation sur desquestions d’ordre ethnico-culturel91.

Come il rilievo del paese africano non è solamente uno sfondo esotico, bensì «consti-tue un contexte indispensabile à l’enigme et au déroulement de l’enquête»92, si può allorasostenere che, seppure con una delineazione ambigua rispetto ai ruoli prevedibili del gene-re, i movimenti del protagonista di Khouma vengano a coincidere con le mosse spiazzantidel detective etnico93. La non linearità delle azioni e delle intenzioni traduce la personalitàframmentata e l’identità sospesa, riflette «their sense of fragmentation and unbelonging»94;«he is located at the interstices of two cultures»95, nella frattura insanabile fra propriomondo etnico e cultura dominante. Assumendosi il compito di risolvere con la dichiaratainnocenza il caso specifico, ma allo stesso modo introducendo il lettore in un ambientesconosciuto e all’interno dei suoi contrasti96, egli esplicita un compito di mediatore cultu-rale, secondo quanto prevede la posizione archetipica sottesa alla figura dell’investigatore,trickster per eccellenza che abita i confini, libero pertanto dei limiti da essi imposti97.

Quella stessa situazione domina il fortunato romanzo di Lakhous98, per il quale è daricordare la trasposizione cinematografica99 quale coronamento del sogno di uno deipersonaggi, aspirante regista attratto nel mondo romano dal fascino del neorealismo.Questo riferimento non è solo uno degli stereotipi che nel libro mostrano il volto im-mobile del nostro paese, ma allude allo schema narrativo generale, dove l’azione è as-sorbita nei monologhi di personaggi-maschera, emersi dalla commedia all’italiana; il ti-tolo stesso riprende l’ipotetica sceneggiatura sulla guerra per l’ascensore100, dimostrandonella mise en abyme una strategia costruttiva articolata sul gioco di rispecchiamenti.Questi aspetti sono rimasti a margine di analisi attente al richiamo dell’incunabolo gad-

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101 Cfr. Tani, The Doomed Detective cit.102 Manca una lettura secondo i parametri del «noir mediterraneo», cfr. G. Turnaturi, Mediterraneo: rappresen-

tazioni in nero, in Roma Noir 2007. Luoghi e nonluoghi nel romanzo nero contemporaneo cit., pp. 47-65; non ri-sulta in G. S. Santangelo, Crimini maghrebini, in Splendori e misteri del romanzo poliziesco cit., pp. 73-97.

103 Ibid., p. 25.104 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 178.105 Ibid., p. 155: «Tanta gente considera il proprio lavoro come una punizione quotidiana. Io, invece, amo il

mio lavoro di traduttore. La traduzione è un viaggio per mare da una riva all’altra. Qualche volta mi considero uncontrabbandiere: attraverso le frontiere della lingua con un bottino di parole, idee, immagini e metafore».

106 Ibid., p. 156: «È meraviglioso potersi liberare delle catene dell’identità che portano alla rovina».107 Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale cit., p. 99.108 Ibid., p. 96.

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diano, operazione ingenua e rischiosa, se ignora le contraddizioni indiziarie affidate allatraccia palese in ogni giallo. Infatti un baratro separa l’orizzonte mentale che dà formaai due testi, a esprimere rispettivamente crisi finale della modernità e transito verso ilpostmoderno101, dove l’inconoscibilità non si lega più solo alla condizione di cecità me-tafisica dell’uomo occidentale, annullato nelle catastrofi della razionalità moderna. En-tra nel libro dello scrittore algerino una fondamentale componente geostorica102, con ilcontorno di riflessi transnazionali tipici dell’attuale stagione postcoloniale, in grado diconferire senso a una struttura giallistica che altrimenti potrebbe apparire esplosa o so-lo caricaturale di vecchie forme, dato che già in preambolo il modello dichiarato risultacapovolto: alla centralità indiscutibile di Ingravallo, si oppone il ruolo irrilevante delcommissario Bettarini, come stabilisce l’immagine di tutti i protagonisti nella copertinadi Chiara Carrer, piazzandolo addirittura fuori scena, celato nel risvolto destro, a mani-festare una funzione laterale, paradossale per l’economia del genere.

Infatti il libro chiama al centro dell’azione, e ne fa reale protagonista dello svelamen-to, colui che in realtà rappresenta l’oggetto dell’inchiesta, con un’inavvertita forza inno-vativa che porta a maturazione taluni aspetti rintracciabili negli ascendenti dell’hardboiled di tradizione statunitense, il quale concede spazio allo sguardo spaesato e biso-gnoso di rivelazione dell’uomo comune, ansioso di sfuggire alla solitudine della massaanonima, seguito nei perigliosi attraversamenti dei luoghi della corruzione e dell’ingiu-stizia metropolitana, al cui interno unici superstiti rimangono i valori dell’individuoprivato, e dove pertanto può verificarsi con estrema facilità lo slittamento dei ruoli tracacciatore e cacciato103.

A rigore, l’azione del protagonista manca del tutto, mentre compare alla ribalta unagalleria di testimoni che sembrano gestire liberamente il proprio discorso, e tuttaviasempre dipendono dalla figura assente, attorno alla quale aumentano misteri e interroga-tivi, mentre si tenta di definirne l’alternanza dilemmatica Amedeo/Ahmed. L’assettospeculare dei capitoli risulta perfettamente consono all’atteggiamento psicologico di unsoggetto che pratica una mediazione instancabile, nei modi che preventivamente lo stes-so commissario conosce104; tessendo continui rapporti verso ogni interlocutore, Amedeoespande nella pratica quotidiana l’attività di traduttore, una risorsa necessaria per chi de-sidera travalicare i confini105 e sogna di liberarsi delle catene delle identità bloccate106. Sipuò affermare che «lo scopo dell’autore appare quello di mostrare al lettore quanto siainutile stabilire categorie fisse legate allo stampo culturale delle persone, e di metterlo adisagio in un ambiente che ritiene suo»107, nel momento in cui «si fa garante della com-prensione tra gli individui tramite una sorta di “sguardo dell’altro dall’interno”»108.

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109 «No innocence […] is ever restored», T. Libretti, Lucha Corpi and the Politics of Detective Fiction, in Multi-cultural Detective Fiction. Murder from the «Other» Side, a cura di A. Johnson Gosselin, Garland, New York-London 1999, pp. 61-81: 78.

110 W. Knepper, Confession, Autopsy and the Postcolonial. Postmortems of Michael Ondaatje’s Anil’s Ghost, inPostcolonial Postmortems. Crime Fiction from a Transcultural Perspective cit., pp. 35-57: 40.

111 Ibid., p. 41.112 Dato che «neither he, […] nor their community have access to “universal” representation», Reitz, Do We

Need Another Hero?, in Multicultural Detective Fiction cit., pp. 213-33: 218.113 Ibid., p. 56.114 Ibid., p. 57.115 Dejean de la Bâtie, Les romans policiers de Driss Chraïbi cit., p. 98.116 Ibid., p. 100.

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La scelta strutturale può essere meglio compresa nel riferimento ad analoghi esempistranieri, che all’interno della dimensione postcoloniale presentano la tendenza allo svi-luppo largo dell’indagine, senza un’obbligata conclusione che consegue riparazione erestauro delle situazioni di danneggiamento109. L’attenzione pertanto si sposta al mo-mento dell’autopsia, ponendo sotto osservazione, tramite dissezione analitica, a untempo la vittima e la società attraverso le procedure di analisi, «enabling the victim tospeak once more […] the narrative itself pursues a fragmentary approach, piecing to-gether the accounts of various witnesses and incorporating various documents to createa text that is a double for the fragmented body on the autopsy table»110; pertanto in pa-rallelo «the role of narration, reassembling the fragments of history through the shardsof testimonial narrative»111. Rivelatore è infatti che ciascuno degli interlocutori appaia arecitare La verità di…, titolo dei singoli frammenti del testo, accentuando la condizio-ne monologante di ogni voce, che rappresenta uno sguardo parziale e arbitrario sul rea-le, come poi si capisce dal puntuale contrappunto offerto per ogni episodio dalla vocedel protagonista, che quelle stesse situazioni ricostruisce con sguardo e verità alternati-va, mettendo ogni volta in scena un’operazione di indagine e di svelamento, sempreparziale112. Tale situazione invece di consentire un chiarimento risultante dalla coerentetessitura dei vari filoni, esaspera la divergenza di tracce e rapporti, in un reticolo labi-rintico di percorsi irrisolti, come raffigurano le linee discontinue che legano i protago-nisti nella copertina. Quella che potrebbe apparire «marginal, fragmented, and digressi-ve narrative»113, discende in realtà dalla necessità di dare voce a personalità mutevoli esfuggenti, figure solitamente mute, le quali pertanto compiono «an act of witnessingthe landscape from another perspective»114, testimoniando anche elementi circostantil’immediato svolgersi della vicenda, e illustrando i punti di una crisi sociale.

Sebbene «il semble que la plupart des polars ethnique doivent leur ethnicité soit aulieu de l’action soit à l’identité du héros. Plus raires sont ceux qui traiten explicitement etsystématiquement de culture et d’identité»115, è proprio il contatto con un mondo estra-neo che spinge a sviluppare una particolare sensibilità per i profili identitari, che emergo-no dalle parole dei testimoni, col rischio di una staticità del plot privo di sviluppo dina-mico. «Mais à l’image d’un quête identitaire, ces romans progressent de façon imprévisi-ble et discontinue. Ils n’aboutissent pas nécessairement à une élucidation claire et defini-tive mais à plusieurs éclaircissement provvisoires. Ils sont porteurs de nouvelles interro-gations»116, convergendo sulla centralità della vita cittadina e sulle sue frizioni sociali,echeggiate nell’intreccio di voci. Questa conversazione a frammenti conduce a una mes-sa in discussione della cultura dominante, nell’ottica di un praticato relativismo rispetto

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117 «The need to assert truth can be a violent impulse and have criminal consequences», Knepper, Confession,Autopsy and the Postcolonial cit., pp. 54-5.

118 Kutzbach, The Hard Boiled Patterens as Discursive Practice of Ethnic Subalternity cit., p. 241.119 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 14: «Amedeo conosce l’italiano meglio

di milioni di italiani sparsi come cavallette ai quattro angoli del mondo».120 Ibid., p. 26.121 Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale cit., p. 99.122 Plummer, Transcultural British Crime Fiction cit., p. 267.123 Ibid., p. 268.124 Cfr. M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001, sul quale G. Iacoli, Il map-

ping fra teoria e geografia. Said, Jameson, De Certeau, raccolto in La percezione narrativa dello spazio. Teorie erappresentazioni contemporanee, Carocci, Roma 2008, pp. 29-60: 50 sgg.

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all’ossessione occidentale della verità117, frutto di una mentalità tutta informata a un pen-siero unico, priva di dubbi rispetto a soluzioni alternative, secondo il paradigma stessoche ha consentito l’affermarsi del poliziesco nella stagione del capitalismo occidentale.

Siamo di fronte a un’ambiguità non metafisica, espressa sulla scorta della crisi dellastagione fenomenologica dalla filosofia occidentale ad apertura del Novecento, e di cuisi faceva portatore il commissario molisano di Gadda, sradicato funzionario statale nel-l’estranea capitale romana. In essa sono forti i movimenti migratori a piccola scala, con-dizionati dall’autarchia del fascismo e dalle caratteristiche di un mercato a dimensioneprovinciale; e da quelli derivano per la borghesia urbana le insidie ai beni concreti dellapersona e degli averi, portati dalle figure seducenti e ambigue degli estranei, che dallaperiferia si insinuano nel cuore sacrale delle abitazioni, varcando soglie e penetrandonele strutture comunicative, scale e non ancora ascensori.

Quel movimento centripeto, dilatato a scala globale nell’attualità della transizione po-stcoloniale, «accomplish a displacement of the subaltern from a marginal to a central per-spective; as representatives of ethnic subalternity the protagonists – along with the vic-tims in the decective plot – are granted a voice of “decentred cultural empowerment”»118.Il trasferimento del subalterno dal margine al cuore della scena, ne comporta parimenti ilpassaggio da oggetto a soggetto, conquistando faticosa autonomia con un’accorta mobili-tazione di tutti i sensi, che aiutano a leggere il paesaggio umano in cui penetra, adottando-ne consuetudini che non annullano potenziali e strategie derivati dalla posizione lateraledi provenienza. Lo si coglie nell’atteggiamento di fondo di Amedeo, verso il quale si eser-cita una reazione ambivalente fra accettazione e sospetto, stimolata da un esibito ipercor-rettismo, senza che poi la conoscenza perfetta dell’italiano119 riesca a scalfire il meccani-smo di interdizione che lo obbliga alla delega della potestà di narrazione, secondo la poli-tica di esclusione che priva l’altro di un possibile protagonismo: «Tu sei a casa mia, nonhai diritto di parlare!»120. Questa pratica attiva di soggettività nel territorio sensibile dellalingua nazionale risulta provocatoria in quanto si esprime «in un sottile e complicato gio-co di rovesciamenti e mimesi»121 rispetto a una larga pratica dei dialetti a sostituire l’in-competenza di base della lingua italiana dei nativi, e gioca a contrasto per chi può ostenta-re l’espressione di «linguistic and visual competence […] he has a perfect ear for dialects,accents and different inflections»122. Questo ruolo di «master reader, listener, observer ofmultiracial»123 Italia deriva da una conoscenza diretta del corpo vivo della città, si alimentada una fondamentale curiosità di esploratore dell’alterità occidentale, dentro la quale simuove con la libertà del camminare a piedi124, rischiando l’assimilazione con l’identitàperturbante di zingaro, esecrata perché priva di uno spessore umano inteso come stabile

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125 «Les héros du polar ethnique est la plupart du temps, un étranger. C’est un marginal […] à deux titres. Toutd’abord parce que ces héros aux origines culturelles minoritaires sont à la base moins banals que ceux qui représen-tent les cultures dominates […]. Ensuite parce que […] sont amnés à éboluer dans des milieux où il sont étrangers[…]», Dejean de la Bâtie, Les romans policiers de Driss Chraïbi cit., p. 96.

126 V. Alexander, Investigating the Motif of Crime as Transcultural Border Crossing: Cinnamon Gardens andThe Sandglass, in Postcolonial Postmortems. Crime Fiction from a Transcultural Perspective cit., pp. 139-59: 147.

127 «Trattando dell’incontro tra culture, il problema linguistico è uno dei punti nodali evidenziati dai romanzipolizieschi interculturali. Spesso gli autori scelgono l’ironia, ridicolizzando eventi generati da malintesi e incom-prensioni», Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale cit., p. 94.

128 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 48.129 Plummer, Transcultural British Crime Fiction cit., p. 269.130 Ibid.131 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 14.132 F. La Cecla, La pasta e la pizza, il Mulino, Bologna 1998.133 Cfr. Pezzarossa, Una casa tutta per sé cit., pp. 65-8.134 Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale cit., p. 96.135 Ibid., pp. 94-5.136 Knight, Radical Thrillers cit.137 Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale cit., p. 103.138 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 36: «Io chiedo a gran voce […]: chi pos-

siede la verità? Anzi, cos’è la verità? […] Oggi il mio odio per la verità è aumentato».

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radicamento. E in questo percorso egli sviluppa naturalmente l’attenzione per il linguag-gio come punto di collisione e confluenza della diversità fra le culture125,

«contact zones», social space where disparate cultures meet, clash, and grapple with each other,often in highly asymmetrical relations of nomination and subordination126,

pertanto pervaso dal gioco fluido dei possibili malintesi127, come l’autore dimostra attra-verso l’uso strategico dell’ironia specie negli spassosi scontri verbali tra l’iraniano Par-viz e la portinaia napoletana Benedetta, la quale fonda sull’equivoca percezione dell’al-tro la drastica e automatica condanna: «Io dico che chillo albanese è il vero assassino»128.

Proprio perché «He is a man of many identities […] an interpreter of dialects and cul-tures, a truly trans cultural investigator […] inhabiting a borderland»129 può innescare unasfida agli elementi che definiscono lo standard del genere, che si sviluppa parallela a quellaverso i basilari «concepts of nation, space and identity»130 elaborati nella stagione dellamodernità, formulando l’interrogativo provocatorio rispetto ai rituali celebrativi in corso:«Ma poi chi è italiano? […] Come vedete la questione è molto complessa»131. Si spiegaperciò come il testo sia fitto di scene che decostruiscono la sequenza scontata degli ste-reotipi che sostanziano il sentimento nazionale, la pizza e la pasta132, o le combinazioni:politica-mafia-cinema-cucina e calcio cappuccino e cornetto, che per l’immaginario delbarista romanista è base sufficiente per procedere all’accettazione di Amedeo come amicoe italiano133. Come per altri eroi del noir postcoloniale, il protagonista ambiguamente sdo-ganato «approfitta di ogni possibile occasione per ironizzare o mettere addirittura in ridi-colo pregiudizi, abitudini o false sicurezze degli uomini occidentali con cui si trova a inte-ragire»134; il sorriso diventa arma strategica a ridisegnare contorni e convinzioni sedimen-tate, in quanto «La molteplicità di voci ha pretesa e diritto alla rappresentazione, indebo-lisce il concetto di autorità nella verità»135, finendo per capovolgere la vocazione alla stabi-lizzazione sociale del plot giallistico136, immerso nella strategia globale dove «tutto è dive-nuto sospetto, la gente, i sentimenti, le ideologie, le parole»137, così che il finale del roman-zo non appare solutivo e appagante, anche se assicura la cattura dell’eventuale colpevole, eil protagonista può proclamare il suo amaro paradossale odio per la verità138, in quanto

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139 Tani, The Doomed Detective cit., p. 10.140 Knepper, Confession, Autopsy and the Postcolonial cit., p. 42, «In fact, rather than role switching, one may

find an elision of roles as one person is both a victim and a perpetrator simultaneously, making it difficult to makea moral judgementa bout “right” and “wrong” actions or even the “nature of justice” itself».

141 Ibid., pp. 41-2: «The voices of the dead continue to trouble the living. […] The novel traces the life of asubject who is haunted by the colonial past».

142 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 81: «È veramente assurdo che insegnia-mo loro l’italiano, diamo alloggio, lavoro, e loro ci ricambiano spacciando la droga nei giardini pubblici e stupran-do le nostre figlie. È veramente troppo!».

143 D. Fisher-Hornung - M. Mueller, Introduction, in Sleuthing Ethnicity. The Detective in Multiethnic CrimeFiction cit., pp. 11-9: 12.

144 V. Romania, Farsi passare per italiani. Strategie di mimetismo sociale, Carocci, Roma 2004.145 Kutzbach, The Hard Boiled Patterens as Discursive Practice of Ethnic Subalternity cit., p. 246.146 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 131: «Amedeo mi ha fatto un’ottima

impressione fin dal primo incontro, però la sua risposta “Sono del sud” mi ha un po’ preoccupato».147 Knepper, Confession, Autopsy and the Postcolonial cit., p. 44: «This person is an alius or (an)Other, perhaps

even adopting an alias as a manifestation of this other identity. […] The postcolonial crime novels play with the

MIGRANTI, CRIMINI, ROMANZI 145

l’attestazione della verità fattuale in nulla agisce come risarcimento di un più profondomalessere.

Il portato del romanzo postcoloniale non è affatto una visione di superficiale conci-liazione, ma piuttosto la verifica di una mancata sublimazione che esaspera polaritàcontraddittorie, in quanto rende disperanti gli sforzi di agire nel reale e di poter soddi-sfare un irrisolto retroterra psicologico, per quanto dissimulato: «Thus the detectiveand the rational operation to which he subjects reality simbolically order an externalchaos that reflects an inner chaos, that of the divided mind»139. Nel caso del nostro pro-tagonista, i dubbi dei coinquilini che formano un alone di incertezza140 si fanno convin-ta inquietudine da parte della moglie, tuttavia impossibilitata ad accedere all’intimità se-cretata di un soggetto tormentato da fantasmi coloniali141, usciti dalla vicenda straziantedella guerra civile algerina che l’ha colpito radicalmente negli affetti, non leniti dall’e-sperienza dolorosa dell’esilio. Se è vero allora che la Storia è ancora senza un finale, lostato di sospensione si riverbera anche nel racconto, nel quale, a differenza dei classiciantefatti del giallo italiano d’autore, irrompe il peso straniante dei pregiudizi razziali alriguardo dei criminali, il senso comune assediato dall’idea mediatica ossessiva di unanaturale vocazione alla criminalità da parte del migrante142.

In questo caso per lo straniero appare impossibile la pacificazione dello sdoppiamentocostitutivo, impedito di rientrare nella propria comunità etnica per smorzare l’inguaribilesolitudine143, con una confidenza inversa all’effettivo grado di integrazione. Ahmed sfuggeintenzionalmente il contatto con l’unico connazionale che lo conosce e lo smaschera, di-mostrando non solo la profondità della frattura fra il proprio mondo e la cultura domi-nante che lo costringe al mimetismo144, ma anche lo smarrimento di fondo di una persona-lità scissa. In effetti «the requirements of his dual cultural location»145 genera una colloca-zione di ambiguità sfuggente che non è solo metafora, perché tutta l’investigazione ruotaattorno alla verifica dei due termini tecnici riferiti nella traccia giallistica al presunto colpe-vole: la collocazione spaziale e la veridicità identitaria. Nel racconto di Lakhous sono for-temente carichi di significato l’alibi, che nel caso di Amedeo è il luogo segreto precedente,che affiora in zone di ambiguità allusiva e spaesante146, unitamente alle tracce residue di uninquietante alias come Ahmed, immerso in un tempo indeterminato e pauroso, da cui allafine affiora la vera identità, che sotto la maschera trasforma e annulla il soggetto147.

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conventions of aliases and alibi, suggesting often that the “perpetrator” of a crime is “elsewhere” or (an)Other, di-splaced as a result of his or her postcolonial perspective or experiences, and thus unable to determine fully what isa right or wrong action».

148 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 167: «Quando hanno scoperto che è im-migrato e non un italiano non hanno esitato ad accusarlo di omicidio».

149 Ibid., p. 177.150 Ibid., p. 182.151 Knepper, Confession, Autopsy and the Postcolonial cit., p. 40: «this narrative postmortem also involves dis-

section and fragmentation in order to figure out the mistery».152 Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio cit., p. 142; come suona l’ed. or. in arabo del

romanzo, Al-ikhtilaf, Algeri 2003.153 Non casualmente anche l’ultimo libro di Pap Khouma, Noi italiani neri. Storie di ordinario razzismo, Baldi-

ni Castoldi Dalai, Milano 2010, è una lunga requisitoria monologante in un tribunale immaginario.154 Del Zoppo, Un’indagine sull’altro: il romanzo poliziesco interculturale e postcoloniale cit., p. 94.

146 FULVIO PEZZAROSSA

Nel momento stesso in cui i giornali rivelano l’effettiva identità, mutata in automati-co capo di accusa148, il romanzo, giunto ormai a un punto avanzato, scopre il suo assettovolutamente ambiguo, e porta finalmente in scena un commissario, mosso però dallaconvinzione della verità quale moneta a due facce149, in contraddizione grottesca col ri-gore apparente del metodo di un’indagine costruita sul pregiudizio, che deriva dalla do-manda trappola: «Chi è Amedeo?»150. Se la duplicità solutiva appare frutto di indiffe-renza un po’ torpida, essa esprime la crisi della strategia conoscitiva dell’Occidente,poiché chi svela la soluzione si presenta privo di qualsiasi positivo strumento, e finisceper accettare un dato esterno che destabilizza il sottinteso modello «legge e ordine» delgenere inteso alla social detection. Solo dopo che la stampa avrà proclamato la più scon-tata delle soluzioni, la seconda faccia della verità emana da un luogo alternativo di ra-zionalità e di pratica della scienza esatta, l’ospedale dove il presunto colpevole giace,potendo certificare l’oggettività dei dati inerenti l’alibi e l’alias.

Se l’impianto esploso e frammentato del poliziesco offertoci da Lakhous pare avvi-cinarsi a modelli che da tempo assicurano un protagonismo di pieno spessore alla di-versità etnica e culturale in altri paesi occidentali151, ci richiama, però, la faticosa transi-zione verso il rinnovamento di modelli mentali e della loro proiezione immaginativanella dimensione della letteratura in italiano. Se è vero infatti che il ruolo del commissa-rio appare annullato dalle scelte preventive della stampa dominata da pregiudizi xe-nofobi, egli non viene veramente sostituito dal personaggio migrante; la sua presenzasegnala una fase di passaggio, assumendo la funzione di catalizzatore per una doverosariflessione sul percorso di incompiuta unità nazionale, carica di cicatrici aperte, sanabiliaffrontando una coraggiosa ripartenza che preveda percorsi di nuova inclusione. Per lostraniero si tratta di sperimentare il difficile esercizio di essere allattato dalla lupa senzaessere morso152 ribadendo il punto chiave di ammissione inclusiva nel territorio sociale,attraverso situazioni che consentano l’ascolto diretto della sua voce153. Infatti, soltanto ivicini del palazzo possono sostenerne l’innocenza, avendone sperimentato l’umanità disentimenti attraverso un dialogo sincero, dove il racconto che se ne sviluppa evita il rat-trappirsi reciproco delle memorie e della forza immaginativa, rende il consorzio umanocapace di sfuggire alla morte, frutto delle incomprensioni che impediscono una vitacondivisa tra culture diverse, che annuncia «una visione più completa degli eventi, e unadistinzione fra bene e male meno schematica e meno legata alla morale occidentale»154.

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Gli autori

Patrizia Bertini MalgariniÈ professore ordinario di Linguistica italiana presso la Lumsa di Roma. I suoi interessi scien-

tifici si sono concentrati principalmente sul linguaggio filosofico italiano della seconda metà delsecolo XVI; ha poi lavorato alla ricostruzione della storia della letteratura dialettale italiana fra ilSeicento e l’Ottocento e, da ultimo, ha approfondito le problematiche collegate al ruolo svoltodalla Chiesa nella storia linguistica italiana (dalle scrittrici mistiche alla figura di Alfonso Mariade’ Liguori, alle traduzioni letterarie dei Vangeli di Corrado Alvaro e Salvatore Quasimodo, alletraduzioni dei salmi davidici nel periodo della Controriforma).

Lorenzo BeccatiÈ autore di programmi televisivi di grande successo, da Drive In a Lupo solitario, da

Odiens a Paperissima a Striscia la notizia. Ha scritto testi teatrali e sceneggiature di film. Hapubblicato: La notte dei commercialisti viventi (Baldini&Castoldi, 1994), Storie tattoo (Lupet-ti-Fabiani), Delitti d’amore (raccolta Gialli Mondadori, 2004), Il barbiere di maciste (2002), Ilsanto che annusava i treni (2005), e i thriller storici Il guaritore di maiali (2007), Il mistero de-gli incurabili (2008), L’uccisore di seta (2009), tutti per Kowalski editore. Inoltre, per Internòssono usciti il romanzo storico 74 nani russi (2010) e la raccolta di poesie satiriche Niente mo-nete nelle fontane (2011).

Bruno BrunettiÈ professore associato di Storia della critica e della storiografia letteraria presso la Facoltà

di Lingue e letterature straniere dell’Università di Bari. Tra le sue ultime pubblicazioni, si se-gnalano: Il laico imperfetto. Scrittura ed «errore» in Boccaccio, Manzoni, Tozzi, Croce, Gram-sci (Graphis, 2005); Lo spettacolo e l’uomo-massa, premessa ad A. De Angelis, Interviste esensazioni, a cura di B. Brunetti (Graphis, 2006); Tre sguardi su Auguste Dupin, insieme a M.Bonfantini e A. Ponzio (Graphis, 2008). Tra i suoi interessi, la letteratura poliziesca e la scrit-tura creativa. Collabora con la rivista «Delitti di carta», dove ha pubblicato Piccoli delitti sen-za qualità.

Norberto CacciagliaÈ ordinario di Letteratura italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia; attualmente è

direttore del Dipartimento di Culture comparate. Le sue ricerche vertono soprattutto sulla lette-ratura rinascimentale dell’Italia mediana (Alfano Alfani, Olimpo da Sassoferrato, VincenzoOreadini, Cesare Caporali, Giovan Battista Marino) e sulla letteratura italiana moderna e con-temporanea (da Alessandro Manzoni a Italo Svevo e Clemente Rebora; sul versante della lettera-tura meridionale, Giovanni Verga, Federico De Roberto, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimo-do, Carlo Bernari). Si interessa inoltre di studi danteschi.

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148 PERUGIA IN GIALLO 2009

Giovanni CapecchiÈ ricercatore di Letteratura italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia. Si è occupato

dell’opera di Giovanni Pascoli, pubblicando Gli scritti danteschi di Giovanni Pascoli (Longo,1997) e Voci dal «nido» infranto. Studi e documenti pascoliani (Le Lettere, 2011), e curando il vo-lume delle pascoliane Prose disperse (Carabba, 2004) e un’antologia poetica per l’editore LeMonnier (2011). Ha dedicato i suoi studi anche a Palazzeschi (Palazzeschi e la leggerezza, LeCàriti, 2003), a Marcello Venturi (Lo scrittore come cartografo. Saggio su Marcello Venturi, LeLettere, 2007), alla letteratura della Grande guerra. È autore della prima biografia dedicata adAndrea Camilleri (2000).

Piero ColapricoScrittore di gialli e inviato speciale di «Repubblica», ha scritto vari libri, tra cui Trilogia della

Città di M. (premio Scerbanenco, il Saggiatore, 2008), La donna del campione (Bur, 2008) e, nel-l’estate del 2011, Le cene eleganti (Feltrinelli), in cui riscrive, con nomi e cognomi veri, ma conuno stile da giallo, la vera storia dell’inchiesta giudiziaria su Ruby Rubacuori e le notti di Arcore.

Elvio GuagniniÈ professore emerito di Letteratura italiana presso l’Università di Trieste; è condirettore di

«Aghios. Quaderni di Studi sveviani». I suoi interessi scientifici sono concentrati soprattutto sul-l’età dell’Illuminismo, sulla letteratura e il giornalismo, la letteratura di viaggio in Italia nel Sette-cento. Studioso di cultura triestina (Saba, la cultura giuliana tra l’Otto e il Novecento, la lettera-tura di frontiera), ha pubblicato, tra l’altro, saggi sul rapporto tra letteratura e scienza nel Sette-cento italiano e sulla questione del «giallo» italiano e dei generi del mistero.

Giulio LeoniÈ nato e vive a Roma. Laureato in Lettere, è un appassionato di storia della magia e dell’illu-

sionismo, di cui colleziona libri e memorabilia. Nel 2000 ha esordito nella narrativa vincendo ilpremio Tedeschi con il romanzo Dante Alighieri e i delitti della medusa. La figura di Dante Ali-ghieri è al centro anche de I delitti del mosaico (2004), de I delitti della luce (2005) e de La crocia-ta delle tenebre. Dante indaga nei misteri di Roma (2007), tutti pubblicati da Mondadori. Sem-pre per Mondadori sono usciti La donna sulla luna (2001), ambientato nel mondo del cinemamuto tedesco, E trentuno con la morte (2003), sullo sfondo dell’impresa fiumana di D’Annun-zio, La regola delle ombre (2009) nella Roma del Rinascimento, La sequenza mirabile (2010),una caccia grottesca alla formula capace di ingannare la roulette, e nel 2011 La porta di Atlantide,un’originale rivisitazione dell’antichissimo mito.

Fabio MelelliGiornalista, critico cinematografico, è autore da solo e con altri di una ventina di libri, tra i

quali Storie del cinema italiano (Morlacchi, 2002), Le straniere del nostro cinema (Gremese,2005), Claudia Cardinale (Gremese, 2009), 100 caratteristi del cinema americano (Gremese,2010), Il doppiaggio nel cinema italiano (Bulzoni, 2010).

Alessandro PerissinottoScrittore, giornalista, docente presso l’Università di Torino. Esordisce nella narrativa nel

1997 con il romanzo poliziesco L’anno che uccisero Rosetta (Sellerio). Tra i suoi successivi libri,ricordiamo la trilogia avente come protagonista la detective-psicologa Anna Pavesi e il noir epi-stolare Al mio giudice (Rizzoli, 2004). È del 2008 La società dell’indagine (Rcs Libri), riflessione

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GLI AUTORI 149

in forma saggistica sul genere giallo. E, ancora sul poliziesco, ha pubblicato: L’eredità, il futurodel noir è passato, in Noir de noir. Un’indagine pluridisciplinare, a cura di D. Vermandere, M.Jansen e I. Lanslots (Pie Peter Lang, 2010); L’autre et l’ailleurs, in P.-L. Savouret, Polars. En quê-te de… l’Autre (Éditions de l’Université de Savoie, 2010); Il proto-poliziesco italiano, in Splen-dori e miserie del romanzo poliziesco, a cura di A. Castoldi, F. Fiorentino, G. S. Santangelo(Bruno Mondadori, 2010).

Fulvio PezzarossaInsegna Sociologia della letteratura all’Università di Bologna, dove ha studiato temi della sto-

riografia rinascimentale. Ha pubblicato un volume sul pulp italiano (C’era una volta il pulp, Clueb,1999), comparandolo anche con il genere giallo (in «Delitti di carta. Quaderni gialli di racconti, stu-di, storie e cronistorie», 1998). Di recente ha concentrato la sua ricerca sul fenomeno dei testi pro-dotti in lingua italiana da scrittori provenienti dalla migrazione, offrendo plurimi interventi, anchenel volume a sua cura Leggere il testo e il mondo. Vent’anni di scritture della migrazione in Italia(Clueb, 2011). Ha fondato e dirige la rivista accademica specializzata «Scritture migranti».

Maurizio PistelliÈ professore associato di Letteratura italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia. Ha

orientato le proprie ricerche prevalentemente su autori otto-novecenteschi, occupandosi tra glialtri di D’Annunzio, Michelstaedter, Rebora e più in generale della narrativa contemporanea. Ri-guardo in particolare il romanzo d’indagine italiano, ha dato alle stampe Montalbano sono. Sulletracce del più famoso commissario di polizia italiano (Le Càriti, 2003), Un secolo in giallo. Storiadel poliziesco italiano (Donzelli, 2006), Nero perugino. Quattro grandi scrittori, quattro passi nel-la dimensione del giallo (Futura, 2008), di cui ha curato l’introduzione, Perugia in giallo 2007(Donzelli, 2009), in qualità di relatore e curatore.

Paolo QuazzoloÈ ricercatore presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste, ove tiene l’in-

segnamento di Storia del teatro. Si occupa di problematiche inerenti il teatro dell’Ottocento e delNovecento, con particolare riguardo alla nascita della regia, ai rapporti fra teatro e società dimassa e alla produzione drammaturgica degli ultimi cinquant’anni. Studia inoltre il teatro delSettecento, con particolare riguardo all’opera di Carlo Goldoni di cui ha pubblicato, nel contestodell’edizione nazionale, la tragedia Rosmonda (Marsilio, 2009). Studia la drammaturgia polizie-sca italiana: in tale ambito ha pubblicato la monografia Delitti in palcoscenico. La commedia poli-ziesca italiana dal 1927 al 1954 (Campanotto, 2000).

Stefano RagniÈ docente presso l’Università per Stranieri di Perugia e il Conservatorio di musica della stes-

sa città.Il suo manuale Storia della musica italiana per studenti stranieri (Guerra, 2010) è ormai presen-

te in molte biblioteche europee e americane. I suoi studi sulla musica risorgimentale lo portano aessere curatore dell’edizione critica della Filosofia della musica (Domus mazziniana, 1996) di Giu-seppe Mazzini. Membro del Comitato nazionale per le Celebrazioni del terzo centenario della na-scita di Mazzini, cura un progetto di conferenza-concerto dal titolo Viva Italia! Suggestioni sonoredel Risorgimento. Ha pubblicato di recente scritti che legano la musica alle figure di Dante e Giu-seppe Garibaldi. Per la musica del Novecento, ha dato alle stampe saggi su Barbara Alberti, Valen-tino Bucchi, Aldo Capitini, Tito Belati, Gianluca Tocchi e sul movimento di Cantacronache.

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150 PERUGIA IN GIALLO 2009

Alberto SorbiniÈ direttore dell’Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea e insegna Storia e antropo-

logia dell’alimentazione all’Università dei Sapori di Perugia. Fa parte del Comitato di indirizzodel Centro internazionale per gli studi e la cultura della dieta mediterranea con sede a Matera. Sioccupa di alimentazione, emigrazione, pubblicità e letteratura di viaggio su cui ha scritto nume-rosi saggi, come il volume, curato con Giovanni Manetti, Crimini di gola. Il cibo nella letteratu-ra gialla (Zefiro, 1994).

Antonio TentoriSaggista e sceneggiatore, ha pubblicato numerosi volumi dedicati al cinema italiano di genere.

È inoltre autore della novelization del film Inferno di Dario Argento (Newton Compton, 1997)e dell’antologia di racconti Nero Profondo (Cut Up, 2008). Come sceneggiatore ha lavorato, tragli altri, con Lucio Fulci, Aristide Massaccesi, Sergio Stivaletti, Bruno Mattei, Luigi Pastore, EdoTagliavini e Dario Argento.

Ugo VignuzziÈ professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Roma «La Sapienza».

Accademico della Crusca, i suoi interessi scientifici sono concentrati principalmente sulla storiadei dialetti italiani con riferimento soprattutto all’Italia mediana e alla storia linguistica di Roma,alle scritture femminili del tardo medioevo, alle scritture dell’emigrazione e alle letterature dia-lettali dalle origini a oggi. Ha svolto, e tuttora svolge, numerosi corsi presso l’Università perStranieri di Perugia (in particolare il Corso di lingua italiana contemporanea – Clic).

Marco WerbaCompositore tra i più raffinati e importanti della sua generazione, è autore di colonne sonore

per film come Zoo (1989) di Cristina Comencini (premio Colonna sonora dell’Ente dello Spetta-colo per l’Opera prima); Amore e libertà, Masaniello (2006) di Angelo Antonucci; Beast (2008)di Timo Rose; Colour from the Dark (2009) di Ivan Zuccon; Giallo (2009) di Dario Argento; Ladalia nera (2010) di Aurelio Grimaldi. Tra le sue composizioni da camera e sinfoniche: Cantataper i sopravvissuti, L’adagio per le vittime di Auschwitz, La messa solenne in La maggiore, Lasinfonia del deserto, Il Tango sinfonico.

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Finito di stampare il 6 febbraio 2012per conto di Donzelli editore s.r.l.

presso Str Press s.r.l.Via Carpi, 19 - 00040 Pomezia (Roma)

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