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''Ho conosciuto mio marito nel 1976, quando eravamo a scuola a Calcutta e credo che l'Italia fosse nel nostro karma. Entrambi abbiamo studiato in una scuola privata (...)'' Dall'India a Milano per amore per poi scoprire una città dal cuore grande, dallo spirito attivo e positivo, dalle tante storie che con pazienza l'autrice ha raccolto e raccontato in Milano 4Ever. http://www.givemeachance.it/autori/urmila-chakraborty/GMC-urmila-chakraborty-milano-4ever.php

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Page 1: Milano 4Ever
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GiveMeAChance Editoria Online

Milano 4Ever

Urmila Chakraborty

Page 3: Milano 4Ever

GiveMeAChance Editoria Online

Tutti i diritti riservati La riproduzione parziale o totale del presente libro è sog-getta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore. La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate con scrupolosa attenzione, non possono comportare spe-cifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per eventuali inesattezze. GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online Viale Regina Margherita, 41 – Milano 1° edizione Dicembre 2013

www.givemeachance.it

Page 4: Milano 4Ever

Indice Indice Indice Indice

ACKNOWLEDGEMENT .............................................................................. 5

PREFAZIONE DELL’AUTORE.................................................................... 7

L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA ........................................................... 14

SENSO DI APPARTENENZA ................................................................... 21

VEDERE NON VUOL DIRE CAPIRE ........................................................ 29

PIAZZA CORDUSIO – LA POSTA CENTRALE ........................................ 36

SOLO CAFFE? ......................................................................................... 43

SEI STRANO? .......................................................................................... 50

NON E’ UNA FAVOLA .............................................................................. 57

PIU’ DI UN CAPPOTTO VERDE ............................................................... 63

PESCE ALLA METROPOLITANA MILANESE .......................................... 69

INNOVAZIONE ......................................................................................... 77

UNA MANCIATA DI LIRE ......................................................................... 82

IL MIO EDITORE ...................................................................................... 88

MEDAGLIA D’ORO ................................................................................... 99

IL NOSTRO CONDOMINIO .................................................................... 101

RICOMINCIARE NEL ‘99 ........................................................................ 104

COSI’ LONTANI, COSI’ VICINI ............................................................... 109

COME GUARDARE ALLA VITA ............................................................. 114

OGNUNO HA LA SUA MILANO IN TESTA ............................................. 118

UN DONO INASPETTATO ..................................................................... 123

MILAN TO CAIRO ................................................................................... 129

IL POSTINO ............................................................................................ 136

UN TEMPO PER COMUNICARE ........................................................... 139

IL DRAGO ............................................................................................... 144

NOTE MILANESI .................................................................................... 149

MILANO = VERGINE .............................................................................. 152

EPILOGO ................................................................................................ 159

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Contents Contents Contents Contents

ACKNOWLEDGEMENTS ....................................................................... 177

PREFACE ............................................................................................... 179

ANTEO AND MY PINK PEARLS ............................................................ 186

A SENSE OF BELONGING .................................................................... 192

SEEING IS BELIEVING? ........................................................................ 199

PIAZZA CORDUSIO: POST OFFICE ..................................................... 205

JUST COFFEE? ..................................................................................... 211

ARE YOU STRANGE? ........................................................................... 218

NOT A FAIRY TALE ............................................................................... 224

MORE THAN A GREEN COAT .............................................................. 231

MILAN METRO FISH .............................................................................. 237

INNOVATION ......................................................................................... 245

A HANDFUL OF LIRAS .......................................................................... 250

MY PUBLISHER ..................................................................................... 256

GOLD MEDAL ........................................................................................ 267

OUR CONDOMINIUM ............................................................................ 270

RESTARTING IN 1999 ........................................................................... 274

SO NEAR BUT YET SO FAR? ............................................................... 280

LOOKING AT LIFE ................................................................................. 286

EVERYBODY HAS HIS OWN MILAN ..................................................... 290

AN UNEXPECTED GIFT ........................................................................ 296

MILAN TO CAIRO .................................................................................. 302

OUR POSTMAN ..................................................................................... 309

A TIME TO TALK .................................................................................... 312

THE DRAGON ........................................................................................ 317

MILANESE NOTES ................................................................................ 323

MILAN=VIRGO ....................................................................................... 326

EPILOGUE ............................................................................................. 332

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AcknowledgementAcknowledgementAcknowledgementAcknowledgement

Questo libro ha richiesto circa due anni dal concepimen-

to alla nascita ed è il risultato del contributo e dello sforzo

congiunto di numerose persone. Vorrei ringraziare tutti co-

loro che hanno generosamente condiviso i loro pensieri ed

esperienze e mi hanno aiutato a realizzarlo: sono davvero

grata agli amici per il loro sostegno e incoraggiamento.

Credo che questo libro non sia solo mio, ma NOSTRO.

Un grazie a:

Antonella Scott,

Barbara Sella

Caty Musci

Luigi Ambrosi

Marta Colombo

Marinella Campagnoli

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Martino Pillitteri

Silvia Ongaro

Silvia Staurengo e

Tullia Gianoncelli

per il loro diretto contribuito .

Un ringraziamento speciale a Isabella Pierantoni per il suo

prezioso contributo, a Daniela Cattaneo per il meraviglioso

dipinto creato appositamente e a Katia Tosini per la sua

interpretazione astrologica.

Ho molto apprezzato anche il sostegno e l'incoraggiamen-

to di Bernardo Ruggiero, Angelina Caria, Emanuela Pla-

no, Fiammetta del'Osso, Gretchen Romig, Laura Notaro,

Laura Tosini, Paolo Iachetti, Umberto Buffa e della mia

editrice Carola Goglio.

Grazie e grazie ancora a Mirella Caumo per il suo soste-

gno senza riserve ed entusiasmo per tutti i miei progetti:

senza di lei, questo libro non avrebbe visto la luce e, ulti-

mo ma non meno importante, un grazie ai miei due uomi-

ni, Sumanta e Rudra.

Page 8: Milano 4Ever

7

PrefazionePrefazionePrefazionePrefazione dell’autoredell’autoredell’autoredell’autore

Sono atterrata a Linate in una giornata fredda, grigia e

cupa. Non sono rimasta affatto impressionata dall'aeropor-

to, che non mi era sembrato l'aeroporto della capitale

economica di un Paese del G8 . In realtà mi sembrava

piuttosto provinciale e un po’ troppo pretenzioso. Beh, or-

mai ero qui e sapevo che ci sarei dovuta restare per un

po’, ma a dir poco ero rimasta piuttosto delusa. Una volta

fuori dall’aeroporto le cose mi sembrarono un po’ migliori:

un breve viaggio in una bella Mercedes verso Milano Due.

L’ufficio di mio marito era a Vimodrone e la sua società ci

aveva fornito alloggio, come a tutti i suoi dipendenti pro-

venienti dall'estero, presso il Jolly Residence. Certo, il re-

sidence era bello, ma niente di eccezionale e davvero non

molto diverso da, per esempio, Le Cristal a Jakarta o da

qualunque buon residence in qualsiasi parte del mondo!

Quindi il mio rapporto con Milano non è proprio iniziato

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con il piede giusto e non è stato certamente amore a pri-

ma vista, ma nel corso degli anni mi sono innamorata di

questa città. Un amore maturo e profondo fondato sulla

sua comprensione.

Ho capito col tempo che la mia delusione iniziale non era

dovuta a carenze della città, ma era causata delle mie

aspettative basate su alcune idee preconcette. Appena

ho iniziato a girare per Milano, sono stata impressionata

dal Duomo, affascinata dal Castello, lasciata senza fiato

da Brera, ma anche allora ero ancora una banale turista

conquistata dalle attrazioni più evidenti, quelle di cui si

parla nelle guide turistiche. Quando ho avuto modo di co-

noscere meglio la città, essa mi ha lentamente dispiegato

la sua miriade di segreti. Una bella ed elegante signora,

un po’ riservata, che lentamente ma inesorabilmente ha

teso le sue braccia verso di me in un abbraccio caldo e

forte .

Sono nata nella lontana India e mai avrei immaginato che

la città che avrei conosciuto e amato di più in questo

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PREFAZIONE DELL’AUTORE

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grande, grande mondo sarebbe stata proprio Milano! Og-

gi, quando atterro a Malpensa, la mia sensazione è di tor-

nare a casa; e quando le autorità di frontiera mi chiedono:

"Perché è qui e dove sta andando?", la mia risposta è: "Io

vivo qui e sto solo andando a casa" restano un po’ spiaz-

zati! Questa città mi ha dato tanto e qui ho conosciuto

molte persone che hanno condiviso la loro vita con me,

perché ogni volta che si incontra una persona, si condivide

un momento della propria vita e in questo incontro c’è

sempre uno scambio più o meno percepibile. Si ritiene che

Milano sia una città fredda e i milanesi non sono certo

famosi per il loro calore e la loro cordialità, ma ho sempre

percepito questa città come positiva e dinamica con una

buona volontà e un’intrinseca tolleranza. In questo periodo

di recessione e crisi finanziaria noi milanesi continuiamo

ad essere attivi come prima e a lavorare sodo come sem-

pre, ma siamo anche consapevoli del fatto che abbiamo

bisogno di qualcosa di NUOVO, di qualche CAMBIAMEN-

TO e, naturalmente, che dobbiamo trovare le soluzioni in

noi stessi.

Page 11: Milano 4Ever

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Diverse persone stanno focalizzando i propri sforzi e le

proprie energie in svariati campi per trovare quel "qualco-

sa". Non possiamo solamente lamentarci o semplice-

mente rinunciare. Milano è una città che è nata secoli fa e

deve aver attraversato e superato ben altre crisi nel corso

della sua lunga e vitale esistenza .

L'idea di questo libro nasce dal mio amore per Milano.

Nella mia professione ho la fortuna di poter incontrare e

interagire con un sacco di persone e durante le mie lezioni

posso davvero ascoltare quello che hanno da dire. So per

certo che la mia Milano non fa notizia, non è la Milano del-

la moda, del calcio o della finanza, ma è piena di gente

laboriosa, onesta e propositiva e allora perché non rac-

contare le loro storie? Una ventata di positività in un pe-

riodo in cui tutto e tutti sembrano essere immersi nella

negatività. Dopotutto queste persone sono la città e la città

è la loro. Naturalmente la vita ha molti problemi, talvolta

piccoli, altre volte grandi e forse anche insormontabili, ma

troppo spesso lasciamo che la nostra visione delle cose

sia talmente oscurata dagli eventi negativi che non riu-

Page 12: Milano 4Ever

PREFAZIONE DELL’AUTORE

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sciamo nemmeno ad apprezzare le cose positive che ci

circondano.

Le nostre vite sono piene di tante piccole gioie e di bei

piccoli gesti, quindi perché non condividerli con gli altri e

cercare di diffondere un po’di pensiero positivo e di ener-

gia? Spero che queste storie sulla città scaldino il cuore,

strappino un sorriso e magari riportino alla memoria qual-

che piacevole momento della vostra vita. La mia idea non

è quella né di dare insegnamenti, né di fare prediche, ma

solo di condividere con voi alcuni frammenti di vita quoti-

diana , belli e commoventi, nella nostra amata Milano.

TUTTI gli episodi narrati in questo volume sono reali: ho

dovuto talvolta cambiare alcuni nomi e luoghi, ma gli even-

ti non sono stati in alcun modo modificati o alterati.

Ho diviso il libro in due sezioni principali: Docu stories e

Crowd sourcing . La prima parte è basata sulle mie espe-

rienze a Milano e la seconda è una raccolta di contributi

mandati da diverse persone. Il libro è scritto nelle due lin-

gue ma la parte in italiano non è la traduzione letteraria di

quella inglese, ognuna è una versione indipendente.

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Spero che la lettura di questo libro vi piaccia quanto a me

è piaciuto scriverlo.

13 Luglio 2013

Bubbiano, Milano

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Docu Stories

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L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSAL’ANTEO E LE MIE PERLE ROSAL’ANTEO E LE MIE PERLE ROSAL’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA

Ho conosciuto mio marito nel 1976, quando eravamo a

scuola a Calcutta e credo che l'Italia fosse nel nostro kar-

ma. Entrambi abbiamo studiato in una scuola privata a

Calcutta e il nostro corso di "English Debate e Drama" ge-

neralmente sceglieva di mettere in scena, per il nostro

spettacolo annuale, opere teatrali inglesi classiche - Wilde,

Shaw, Shakespeare e così via.

Ma nel 1975 la nostra scuola aveva assunto un giovane e

affascinante insegnante di Lingua Inglese che intendeva

cambiare tutto e che ci ripeteva spesso, con convinzione:

"Tutto ciò che è nuovo è buono", certamente un’idea opi-

nabile, ma di fatto è così che ha condotto il corso!

Quell'anno propose di mettere in scena una delle opere di

Morris Maeterlinck. Ci lesse un certo numero di brani di

opere teatrali famose come The Intruder, The Blind, The

Bluebird ma alla fine, quello scelto fu A Miracle of Saint

Page 16: Milano 4Ever

L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA

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Anotony, inutile dire, ambientato a Padova, in Italia . È co-

sì che ho conosciuto mio marito, io recitavo il ruolo di Vir-

ginia, la cameriera, e mio marito quello di Gustavo, il pa-

drone. Da allora l'Italia è sempre stata presente nella no-

stra vita e nei nostri sogni ma questa è un'altra storia, oggi

voglio raccontarvi delle mie perle giapponesi.

Nel 1980 abitavamo a New Delhi, mio marito lavorava nel-

la più grande azienda energetica indiana ed era stato

coinvolto in un progetto che aveva partner giapponesi. Sto

parlando di più di 30 anni fa, cioè molto prima dell'epoca

della globalizzazione. Viaggiare all'estero era ancora

qualcosa d’insolito e soprattutto in Giappone perché in

quel periodo, per l'India, i pochi legami d'affari internazio-

nali erano principalmente con il Regno Unito, gli Stati Uniti

e l'allora Unione Sovietica.

Mio marito era un membro fondamentale del team del

progetto, ma anche il più giovane, gli venne comunque

chiesto di prepararsi per un viaggio di lavoro a Tokyo.

Eravamo poco più che ventenni e ricordo quanto fossimo

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eccitati all'idea; ho chiesto a mio marito di comprarmi, du-

rante il suo viaggio, una collana di perle rosa giapponesi .

E invece quel viaggio non lo fece, andarono in Giappone

solo i i dirigenti che lasciarono “a casa” tutto il personale

junior. Eravamo arrabbiati e delusi, ma avevamo capito

sche dovevamo uscire dal nostro mondo di ideali e comin-

ciare ad affrontare la realtà della vita. Comunque sia, chi

se ne importa ....

Dopo il successo del tour giapponese la società organizzò

una grande festa presso l'Hyatt Regency per celebrare

l'affare invitando, questa volta, tutta la squadra, assieme

alla società giapponese. Uno dei direttori, che era andato

a Tokyo al posto di mio marito mi si avvicinò, cominciando

a parlarmi in modo condiscendente, dicendomi frasi come

“spero tuo marito non sia rimasto troppo deluso, sai cose

come queste possono succedere...” e accanto a lui c'era

la sorridente moglie, con uno splendido filo di perle giap-

ponesi .

Sono una persona molto indipendente, in India sono tal-

volta considerata troppo aggressiva per essere una don-

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L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA

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na, in ogni caso non posso sopportare qualsiasi tipo di

condiscendenza e, naturalmente, a quel tempo ero davve-

ro molto giovane e non ho neanche provato a essere di-

plomatica e politicamente corretta così ho detto: "No, per-

ché dovrebbe essere deluso? Sono sicura che nei prossi-

mi anni viaggerà spesso in tutto il mondo ,spero invece

che Lei abbia fatto un viaggio di successo". Certamente si

era trattato di un commento molto avventato e sfacciato,

ma ormai l’avevo detto e non potevo rimangiarmi le paro-

le. Ma, in qualche modo, è diventato realtà: mio marito ha

viaggiato da Bangalore a Berlino e da Milano a Città del

Messico, proprio come avevo inconsapevolmente detto

molte volte.

E naturalmente, come avrete indovinato, dal suo primo

viaggio all'estero mi portò il mio filo di perle rosa, autenti-

che perle giapponesi certificate, anche se comprate a Pa-

rigi! Non ho mai saputo quanto fossero costate, ma per

me quelle perle non hanno prezzo. Significano molto l'a-

more, la giovinezza e l'orgoglio. Questa collana è il mio

bene più prezioso e per questo motivo non la indosso

quasi mai. Ricordo una domenica pomeriggio che decisi di

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indossarla, non so neanche io perché. Siamo andati al no-

stro cinema preferito, l’Anteo di via Milazzo: un cinema

che da sempre affianca a una programmazione sceltissi-

ma, “impegnata” si potrebbe dire, e comunque di qualità,

una serie di spazi ed attività culturali; quella volta proiet-

tavano il film di Ken Loach " Il vento che accarezza l’erba".

È un film potente e a tratti inquietante, che ti lascia scon-

certato, per cui al termine della proiezione ci siamo in-

camminati, in silenzio, verso un bar, dove ci siamo fermati

a bere qualcosa e a pensarci su.

Lì mi sono improvvisamente resa conto che la mia collana

era sparita! Dire che mi sono sentita male, disgustosa-

mente male, è poco. Mio marito, come al solito, aveva

mantenuto la calma e mi aveva detto che saremmo dovuti

tornare all’Anteo a chiedere, così abbiamo lasciato le be-

vande senza averle neanche toccate e siamo andati al

bancone a pagare. Dato che è insolito ordinare da bere e

correre via senza averlo fatto, in risposta allo sguardo in-

terrogativo della cassiera le abbiamo detto quello che era

successo e la sua reazione immediata è stata "Non la tro-

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L’ANTEO E LE MIE PERLE ROSA

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verete mai , ma ... " . Gli altri avventori echeggiarono i loro

commenti, raccontando varie storie , ma in ogni caso ave-

vano ragione, all’Anteo ci dissero che il loro personale di

pulizia non aveva riferito nulla. Ormai ero davvero senza

speranza, ma sono riuscita a chiedere, di botto, “Posso

tornare domani mattina?"; mi risposero "Certamente, ma

non pensiamo che ci siano molte possibilità di trovarla".

Imperterrita, la mattina dopo ero lì e non appena il giovane

cassiere mi ha visto mi ha detto "Signora, lei è incredibil-

mente fortunata, una coppia ha trovato le perle e ce le ha

portate, ma non ha lasciato il nome, né l’indirizzo".

Ero euforica e mi sono immaginata un signore anziano,

nel suo completo elegante, scarpe lucide e occhiali alla

moda a braccetto con la moglie in un bel vestito, trovare la

collana e consegnarla alla cassa; so che si sta per dire

che è quello che tutti dovrebbero fare, ma si sa che in

realtà non funziona così! Il mio unico rammarico è quello

di non aver potuto incontrare la coppia per ringraziarla, ma

forse una volta, in qualche modo, capiterà loro di leggere

questa storia, sapete che sono una inguaribile ottimista!

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La collana che già significava l'amore e l'orgoglio da gio-

vani ha ora un valore aggiunto di fiducia.

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SENSO DI APPARTENENZASENSO DI APPARTENENZASENSO DI APPARTENENZASENSO DI APPARTENENZA

Anita era la seconda di tre sorelle ed era completamente

diversa da loro: lei era chiara, mentre loro erano scure,

aveva lunghi capelli lisci e loro avevano i capelli corti e ric-

ci .... bene le differenze erano senza fine e non solo legate

all’apparenza. Una volta, quando era una bambina, la so-

rella maggiore le aveva detto che lei era stata adottata e

questo l’aveva davvero turbata per molti anni: neanche i

suoi genitori avevano capito che scherzo crudele fosse

stato e quanto l’avesse segnata in profondità. Per la mag-

gior parte delle persone sembrava solo una burla, ma per

Anita era stata una ferita profonda dalla quale non è mai

del tutto guarita. Crebbe diventando una persona solitaria,

mai molto vicina alla sua famiglia e non riuscì a farsi degli

amici veri e propri a scuola o all'università. Avrebbe sem-

pre voluto appartenere a qualche luogo e, forse, a qualcu-

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no, ma in ogni rapporto mancava qualcosa. Si sentiva

sempre un po’ insicura e timorosa di essere giudicata.

Dopo il matrimonio, si trasferì a Milano e si innamorò per-

dutamente di questa città, fu conquistata dalla sua bellez-

za e, cosa da non crederci, ha anche amato il suo clima.

Le fredde, grigie e nebbiose giornate invernali le sembra-

vano romantiche e incantevoli. Si sentiva libera in questa

città.... Una società dove nessuno la conosceva e nessu-

no la giudicava. Lei lì non era la figlia o la sorella di nes-

suno, non aveva tradizioni familiari delle quali essere

all’altezza, lei era solo Anita. Avrebbe potuto incontrare

delle persone alle sue condizioni. Per lei, uno degli aspetti

più belli di Milano era stato il fatto di potersi sentire sia

"chiunque" che "qualcuno". Ciò significava che in alcuni

casi poteva proprio perdersi nella folla della città e con-

fondersi con il resto della gente, e nessuno le avrebbe

prestato molta attenzione o mostrato curiosità. In tal modo

poteva agire, vestirsi e comportarsi come voleva e sentirsi

completamente a suo agio. I suoi vicini non la guardavano

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SENSO DI APPARTENENZA

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con curiosità, né suoi colleghi di lavoro le facevano com-

menti sprezzanti.

Ma lei mi ha anche spiegato che dall'anonimato del sentir-

si una persona "qualsiasi" ha percepito che si potesse im-

provvisamente diventare "qualcuno", perché se hai un

piano, un sogno, un progetto in mente, è qui, proprio a Mi-

lano, che hai tutti i mezzi necessari per realizzarlo, o al-

meno hai a disposizione tutte le infrastrutture necessarie

per perseguirlo. Milano ti dà sempre la possibilità di prova-

re le cose, naturalmente non può garantire il successo che

può o può non arrivare, ma Milano ti dà sempre un tram-

polino da cui saltare.

Anita era una ragazza con molta fantasia, ma era stato

fatto poco per nutrire la sua creatività. Mi ha detto quanto

fosse contenta di vedere piatti quadrati e rettangolari nei

negozi di Milano, che come sapete sono considerati molto

chic. Beh, molto, molto tempo fa, quando lei era una bam-

bina, aveva espresso il suo parere sullo stile delle stovi-

glie, dichiarando che dei piatti quadrati sarebbero stati me-

ravigliosi. Quel commento le era valso un sacco di scher-

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no e l’aveva resa diffidente nell’esprimere la propria opi-

nione! Ma a Milano poteva proporre quello che voleva, la

gente poteva essere in disaccordo, e talvolta lo era, ma

non c'era disprezzo e tutte le sue idee venivano ascoltate

con rispetto. A Milano ha così potuto lavorare con entusia-

smo su progetti culturali nelle scuole e si è resa conto che

cose che tutti sapevano fare nel suo paese qui erano con-

siderate delle abilità speciali. Una volta, in una scuola, ha

insegnato ai bambini come creare stoppini di candela e

lampade a olio, lasciando le persone semplicemente stu-

pefatte, e ricordava come a casa tutto ciò non fosse affat-

to considerate un talento, per cui se non si ricevevano cri-

tiche per non saperlo fare, di certo l’ opposto non suscita-

va lodi. Ha anche imparato che nulla è assoluto, ciò che

viene considerato speciale in un luogo può essere comu-

ne in un altro, bello in un posto e brutto da qualche altra

parte, tutto è relativo. Come si dice, niente è di per sé

buono o cattivo, è il pensarlo a renderlo tale.

Anita, per la prima volta nella sua vita sentiva un senso di

appartenenza oltre che di libertà. Certamente aveva an-

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SENSO DI APPARTENENZA

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che i suoi dubbi occasionali: dopotutto era una straniera e

le cose le sembravano un po’ confuse, perché anche se

lei era considerata “chiara” nel suo paese qui di certo non

era. O, per esempio, quando al suo paese lei andava in un

negozio di alimentari, diceva in un colpo solo tutte le cose

di cui aveva bisogno e così facevano gli altri, ma qui si do-

vevano chiedere le cose una alla volta. Se voleva compra-

re sei uova, cento grammi di prosciutto, un pezzetto di brie

e del pane, allora si devono prima chiedere le uova, una

volta che il commesso le ha preparate chiede "Vuole qual-

cos’altro?", così si dice “Un etto di prosciutto per favore”, e

così via. Per questo a volte si sentiva un po’ disorientata;

ma di certo era sicura che la sua carnagione color miele e

i suoi lunghi capelli scuri erano molto apprezzati a Milano!

Se trovava il droghiere lento e tutto il processo un po’ irri-

tante, beh, non era poi così importante!

Viveva appena fuori Milano e spesso prendeva un auto-

bus intorno alle 9.30, che la portava alla stazione di Bi-

sceglie della metropolitana. Si fermava quasi ogni mattina

in un caffè nelle vicinanze per afferrare una brioche e

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mandar giù un cappuccino. Ultimamente non doveva

nemmeno più ordinarlo, dopotutto era una cliente fissa,

sentiva di appartenere a quel posto. Quando il cameriere

la salutava ogni mattina e diceva “Il solito?” …. era musica

per le sue orecchie. Non si era mai sentita così a suo agio

e benvenuta da nessun’altra parte. Aveva persino preso

l’abitudine di chiacchierare con il cameriere ed i proprieta-

ri, la fermata al caffè era diventata parte integrante della

sua routine quotidiana. Stesso posto, stessa ora, stesse

cose, ma sempre qualcosa di piacevole.

Alcuni mesi fa la sua cara amica Sukanya è venuta a farle

visita da Singapore con il suo bambino di un anno. Le due

amiche avevano deciso di fare una passeggiata e di se-

dersi a un tavolino per una lunga chiacchierata al solito

bar. Erano assorbite dalla loro conversazione mentre il

bambino giocava tranquillo quando vi fu un movimento

brusco e ogni cosa sembrò prendere il volo, tazze, piatti-

ni, bricchi, posacenere, tutto andò in mille pezzi. Mentre le

amiche erano prese dalla chiacchierata, il bambino, an-

noiato, aveva dato uno strattone alla tovaglia colorata.

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SENSO DI APPARTENENZA

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Ora, eccitato da tutto quel trambusto e per l’attenzione ri-

chiamata, gorgogliava per il successo ottenuto. Le due ra-

gazze erano veramente imbarazzate: inutile dire che tutti

gli occhi erano puntati su di loro. Il rumore e la confusione

erano troppi per poter essere ignorati. Sukanya non aveva

idea di cosa fare, mentre Anita si profondeva in scuse e si

offriva di rassettare. Il proprietario e sua moglie al contra-

rio non erano per nulla turbati, ripulirono tutto tranquilla-

mente, continuando a conversare, rassicurandole che con

i piccoli certe cose possono capitare. Il loro primo pensiero

fu per il bambino, che non si fosse fatto male. Quando

Anita si offrì di ripagarli per le stoviglie rotte, i proprietari ri-

fiutarono e le dissero: “Tu sei una di noi, non ci sogne-

remmo mai di chiederti del denaro per questo ….”

Anita, che si era sempre fatta dei problemi per la sua sup-

posta non-appartenenza, fu così commossa che quasi non

riuscì a ringraziarli. Era proprio sopraffatta dall’emozione.

Mi confessò che spesso le sembrava di vivere in due

mondi e di non appartenere veramente a nessuno dei due.

Ma ora sentiva di avere un piccolo mondo di cui faceva

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parte. Quello che poteva parere una cosa da poco era im-

portante, molto importante per lei.

Non è ancora riuscita a trovare le parole giuste ed il mo-

mento adatto per ringraziare i proprietari, ma prima o poi

lo farà: magari a Natale, con una copia di questo libro.

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VEDERE NON VUOL DIRE CAPIREVEDERE NON VUOL DIRE CAPIREVEDERE NON VUOL DIRE CAPIREVEDERE NON VUOL DIRE CAPIRE

Spesso quando osserviamo le cose, non vediamo vera-

mente la situazione nel suo insieme, non ce ne rendiamo

conto e giungiamo di frequente a conclusioni distanti dalla

realtà. Molte incomprensioni sono causate dalla nostra in-

capacità di vedere l’intero quadro o anche da una man-

canza di comunicazione.

Vi racconto una storiella sul “vedere e non vedere”. Era in

corso un convegno scientifico e si discuteva sulle distanze

spaziali. Quando qualcuno si rivolse a un politico affer-

mando che la distanza tra luna e terra era molto maggiore

della distanza, diciamo, tra l’Italia e l’Iran, egli scoppiò in

un risata esclamando che non era così sciocco da non

capire lo scherzo: “Anche uno stupido può vedere che la

luna è molto più vicina e si può vedere chiaramente

dall’Italia, mentre l’Iran non è affatto visibile!”Può sembra-

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re incredibile, ma la nostra situazione è molto simile, se

non altrettanto assurda.

Lasciate che vi racconti di Lucia.

Lucia fa la stessa strada da più di venticinque anni. Lavora

come assistente di un legale e ogni giorno prende lo stes-

so autobus alla stessa ora. Abita in un paese a 20 km da

Milano. Dopo venticinque anni conosce la maggior parte

dei passeggeri abituali e degli autisti se non di nome,

senz’altro di faccia. É una persona molto comunicativa,

così spesso si mette a conversare con gli altri. Qualcuno

può trovarla un po’ troppo loquace, beh, non si può dire

che sia riservata, ma non si può nemmeno negare che sia

disponibile ad aiutare la gente.

Paolo e Francesca prendono spesso l’autobus tre fermate

dopo la sua. A volte sono insieme, a volte da soli. Sono

fratello e sorella, entrambi su una sedia a rotelle. La mag-

gior parte degli autobus è equipaggiata per gestire le se-

die a rotelle, come naturalmente dovrebbe essere, ma

sappiamo che c’è spesso un abisso tra ciò che dovrebbe

essere e ciò che effettivamente è!

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VEDERE NON VUOL DIRE CAPIRE

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La scorsa estate per qualche tempo il percorso di Lucia è

stato coperto da autobus non equipaggiati per le sedie a

rotelle. Un giorno l’autista ha visto Francesca in attesa alla

fermata. Chiaramente non poteva lasciarla lì, quindi si è

fermato, ma ha dovuto prendere rapidamente una deci-

sione. Io non conosco esattamente le norme e i regola-

menti, ma so che cosa chiede il senso di solidarietà. An-

che il conducente non ha avuto dubbi sull’azione da com-

piere. Normalmente, su questi autobus la gente sale dalla

porta anteriore e scende da quella posteriore. La regola è

scritta chiaramente e la maggioranza dei conducenti vi si

attiene. Quel giovedì mattina, dopo essersi fermato, il

conducente è saltato giù per spiegare a Francesca che

non poteva salire in autobus con la sedia a rotelle per pro-

blemi tecnici. Lei ha iniziato ad alterarsi e ha risposto che

doveva andare a Milano per un appuntamento e non pote-

va aspettare l’autobus successivo che sarebbe arrivato

un’ora dopo. Il conducente ha preso una decisione veloce

e, ritengo, corretta: quella di mettere la sedia a rotelle nel

bagagliaio e di aiutare la ragazza a salire sull’autobus.

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Naturalmente per Francesca è stato difficile e doloroso. è

stata fatta sedere sul sedile anteriore che è un pieghevole

di fronte alla porta: la conclusione è che Francesca era sa-

lita, ma nessun altro sarebbe potuto salire da quella porta

, non rimanendo sufficiente spazio per muoversi.. La

fermata successiva l’autista ha aperto solo la portiera po-

steriore, costringendo i passeggeri a salire e scendere dal-

la stessa porta, il che naturalmente non rappresentava la

procedura abituale. La gente si è risentita ed ha comincia-

to a borbottare.. Nessuno però si è alzato a chiedere spie-

gazioni, si sono limitati a mormorare a bassa voce. “Solo

noi siamo tenuti a rispettare le regole. Gli autisti possono

fare quello che vogliono” “Manderò una mail alla compa-

gnia dei trasporti”. Per fortuna Francesca e il conducente

non potevano udirli perché troppo lontani, ma Lucia li sen-

tiva e capì che doveva fare qualcosa. Si rese anche conto

che se la gente avesse conosciuto la situazione reale,

probabilmente non si sarebbe lamentata. Il loro disagio

non era nulla a paragone del dolore e dei fastidi che Fran-

cesca stava sopportando. Non si era affatto lamentata:

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con una smorfia di sofferenza, era sprofondata nel sedile

ringraziando l’autista per la sua gentilezza.

Lucia era anche dispiaciuta per l’autista, che sembrava

essere il principale bersaglio del malcontento generale. La

signora seduta vicino a lei sentenziò: “Deve essere la sua

ragazza. Oggi i giovani fanno ciò che vogliono, senza al-

cun rispetto per i valori”. Lucia non ne poté più e spiegò al-

la signora esattamente cos’era accaduto, puntualizzando

che le cose erano molto, molto lontane da quello che lei

stava dicendo.

Vi fu un attimo di silenzio, poi, quando la signora parlò sot-

tovoce al suo vicino e la notizia si diffuse velocemente, il

silenzio scese su tutto l’autobus e parecchie persone ap-

parvero decisamente a disagio, probabilmente rimpian-

gendo i loro commenti aspri e precipitosi.

Forse qualche volta, come Lucia, bisognerebbe interveni-

re, invece di preoccuparsi solo dei fatti propri. In questo

caso, per esempio, quando la verità è passata da una

persona all’altra, l’intero autobus si è reso conto della si-

tuazione e l’atmosfera surriscaldata si è trasformata velo-

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cemente in calore umano. Quanto spesso balziamo alle

conclusioni senza vedere l’intero quadro, ma soltanto una

parte, e sfortunatamente - e questo accade dovunque -

quanti sono i pensieri negativi, tante sono le parole nega-

tive pronunciate inutilmente.

Probabilmente a volte, se condividiamo i nostri pensieri,

possiamo aiutare noi stessi e anche gli altri. Se i passeg-

geri avessero saputo di Francesca, sicuramente non si sa-

rebbero sentiti infastiditi e Lucia non si sarebbe inquietata.

Proprio l’altro giorno si è verificata la stessa situazione,

ma appena i passeggeri, che non conoscevano la storia,

hanno incominciato a lamentarsi, la signora della volta

precedente si è affrettata ad informarli. Di fatto, quando

Francesca è dovuta scendere, alcuni di loro si sono

preoccupati di aiutarla. In effetti, ci vuole così poco a spia-

nare le cose.

Il trasporto pubblico rappresenta un’area di conflitto conti-

nuo, gente che non vi lascia salire, gente che non vi lascia

scendere, quelli che spingono, quelli che non cedono mai

il posto agli anziani, o, anche peggio, occupano spudora-

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tamente i posti riservati. Bene, la lista è senza fine, ma

sull’autobus o in metropolitana possono accadere anche

cose positive. Anch’io ne ho raccolte tante e forse un gior-

no potrò condividerle con voi.

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