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Sanitanova Srl – Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA Edizione 2015 – Modulo 2 1 Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA Edizione 2016 Responsabile scientifico: Dr Claudio Castello, Responsabile del Centro Fisiopatologia della Riproduzione, Ospedale Maria Vittoria, Torino Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 7/2/2013) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni. Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività ECM. Data inizio svolgimento: 30/06/2016; ID evento: 12-160288 Modulo 2. Il ruolo del laboratorio nel “Time to Pregnancy” Autore: Dr.ssa Giovanna Orlando, Biologa esperta in embriologia presso G.EN.E.R.A - Reparto di Procreazione Medicalmente Assistita della Clinica Valle Giulia, Roma Obiettivi formativi Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di: conoscere le principali tecniche utilizzare per ottimizzare il time to pregnancy; comprendere vantaggi e svantaggi delle tecnologie; conoscere limiti e sviluppi delle nuove tecnologie. Introduzione Le tecniche di riproduzione assistita sono delle procedure a beneficio delle coppie incapaci di concepire naturalmente o mediante forme di trattamenti medici meno invasivi. Un percorso convenzionale di IVF prevede: 1) stimolazione ormonale, finalizzata alla produzione di un numero adeguato di ovociti, 2) raccolta degli ovociti stessi, 3) inseminazione con spermatozoi selezionati, 4) coltura embrionale, 5) trasferimento in utero. Quando l’embrione trasferito si impianta, il ciclo volge a buon fine con una gravidanza clinica.

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Sanitanova Srl – Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA Edizione 2015 – Modulo 2 1

Fertilità a 360°? Spunti e nuove riflessioni sulla PMA – Edizione 2016 Responsabile scientifico: Dr Claudio Castello, Responsabile del Centro Fisiopatologia della Riproduzione,

Ospedale Maria Vittoria, Torino

Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del 7/2/2013) a fornire

programmi di formazione continua per tutte le professioni.

Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa attività

ECM.

Data inizio svolgimento: 30/06/2016; ID evento: 12-160288

Modulo 2. Il ruolo del laboratorio nel “Time to Pregnancy” Autore: Dr.ssa Giovanna Orlando, Biologa esperta in embriologia presso G.EN.E.R.A - Reparto di

Procreazione Medicalmente Assistita della Clinica Valle Giulia, Roma

Obiettivi formativi

Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di:

conoscere le principali tecniche utilizzare per ottimizzare il time to pregnancy;

comprendere vantaggi e svantaggi delle tecnologie;

conoscere limiti e sviluppi delle nuove tecnologie.

Introduzione

Le tecniche di riproduzione assistita sono delle procedure a beneficio delle coppie incapaci di concepire

naturalmente o mediante forme di trattamenti medici meno invasivi.

Un percorso convenzionale di IVF prevede:

1) stimolazione ormonale, finalizzata alla produzione di un numero adeguato di ovociti,

2) raccolta degli ovociti stessi,

3) inseminazione con spermatozoi selezionati,

4) coltura embrionale,

5) trasferimento in utero.

Quando l’embrione trasferito si impianta, il ciclo volge a buon fine con una gravidanza clinica.

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In Italia, secondo l’ultimo report stilato dall’Istituto Superiore di Sanità, sono 200 i centri attivi nella pratica

di tecniche di PMA di II e III livello. Nel 2014, sono state trattate 55.654 coppie e dei corrispettivi cicli iniziati

il 91,2% è giunto al prelievo di ovociti e il 71,4% al trasferimento di embrioni1. Dalla nascita della prima

bambina nel 1978 fino alla metà degli anni ’90, la pratica della fecondazione in vitro è stata caratterizzata

da una percentuale di gravidanza costantemente intorno al 20%. Nella scorsa decade i miglioramenti nei

protocolli di stimolazione ovarica e nelle tecniche di coltura cellulare hanno determinato un significativo

incremento della percentuale di successo, ciononostante a oggi meno della metà degli embrioni trasferiti

evolve in una gravidanza. È stato riferito che solo il 7% degli ovociti recuperati in una procedura di IVF esita

nella nascita di un bambino2. Dunque molti pazienti non riescono a realizzare il loro sogno e gli altri spesso

necessitano di diversi tentativi per raggiungere la genitorialità.

L’attuale sfida dell’IVF clinica consiste quindi nel limitare il tempo necessario per ottenere una gravidanza

(Time To Pregnancy). Un ruolo cruciale in tal senso è svolto dal biologo della riproduzione, il quale ha il

compito di identificare in maniera affidabile gli ovociti e gli embrioni maggiormente competenti allo

sviluppo. Il fine ultimo è quello di garantire il successo minimizzando aborti e gravidanze

cromosomicamente anomale, riducendo al contempo anche gli sforzi e i costi.

L’obiettivo di questo corso è quello di analizzare le tecniche e le tecnologie a oggi disponibili in un

laboratorio di PMA per ottimizzare il Time To Pregnancy:

metodi di selezione e conservazione gameti;

metodi di selezione e conservazione embrionale (invasivi e non);

coltura a blastocisti;

sistemi di time-lapse;

gestione della qualità.

Metodi di selezione e conservazione gameti

Il destino di un embrione è principalmente determinato dalla competenza dei gameti di origine. La

selezione di ovociti e spermatozoi gioca dunque un ruolo cruciale nella determinazione dello sviluppo

dell’embrione che ne deriva.

Selezione ovocitaria Nella pratica clinica dei laboratori di PMA, la selezione di un ovocita è compiuta mediante la valutazione

della morfologia. È una metodica non invasiva, rapida e poco costosa, basata su una semplice osservazione

al microscopio invertito. Anni di studi hanno consentito di identificare differenti alterazioni a carico della

cellula uovo: anomalie della zona pellucida e dello spazio perivetellino, frammentazione del corpo polare,

presenza di vacuoli e granulazioni citoplasmatiche (vedi Figura 1).

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Figura 1. Differenti anomalie morfologiche di ovociti umani: (A) granularità citoplasmatica diffusa, (B) area

granulare citoplasmatica localizzata in posizione centrale, (C) cluster di reticolo endoplasmatico liscio, (D)

vacuoli, (E) anomalia nella forma della zona pellucida, (F) ampio spazio perivitellino con frammenti.

Fonte: referenza bibliografica 3

Il valore predittivo di tali parametri è stato valutato in una review sistematica3, la quale ha preso in esame

50 studi che correlano la presenza di una o più delle variazioni morfologiche suddette con le performance

in vitro degli ovociti. Nessuna anomalia ha dimostrato di avere un reale valore prognostico, dunque tali

caratterizzazioni possono essere considerate semplici deviazioni della normalità non sufficienti a scartare

un ovocita. Uniche eccezioni sono gli ovociti giganti, che è stato dimostrato possiedano un assetto

cromosomico diploide, e ovociti con reticolo endoplasmatico liscio, la cui presenza è stata correlata con

un’elevata percentuale di gravidanze biochimiche e aborti precoci4. Considerata la complessità del

meccanismo dell’oogenesi, è facile immaginare come una singola caratteristica morfologica non possa

predire la qualità intrinseca di un ovocita. L’ovocita è una cellula unica e altamente specializzata, capace

sia di creare, attivare e controllare il genoma embrionale sia di supportare i meccanismi base (omeostasi e

metabolismo) del primo sviluppo embrionale. Il meccanismo che porta l’ovocita ad acquisire un’appropriata

competenza allo sviluppo è dunque complesso e multifattoriale. La qualità ovocitaria è determinata da

un’adeguata maturazione nucleare e citoplasmatica, ma è anche influenzata dal microambiente ovarico in

cui l’ovocita si sviluppa. Durante la follicologenesi, tra l’ovocita e le cellule della granulosa si instaura una

stretta comunicazione cellulare, essenziale per indurre e coordinare la differenziazione ovocitaria. Dunque,

la competenza allo sviluppo di un ovocita potrebbe essere determinata da marker espressi nelle cellule

follicolari che lo circondano. Si è quindi pensato che lo studio dell’espressione genica delle cellule del

cumulo potesse offrire l’opportunità di avere un metodo predittivo non invasivo. Una recente metanalisi ha

provato a identificare il complesso network di geni che viene espresso dalle cellule del cumulo e

dall’ovocita quando quest’ultimo si dimostra capace di svilupparsi a seguito della fecondazione. 56 possibili

biomarker di competenza ovocitaria sono stati proposti: 21 correlati positivamente e 35 negativamente5.

Studi mirati hanno dimostrato che il trascrittoma delle cellule follicolari può servire come biomarker per

predire sia la vitalità e la qualità dell'embrione sia l’outcome ultimo della gravidanza6-8.

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Un altro possibile marcatore del potenziale riproduttivo di un ovocita è rappresentato dalla stima del

consumo di ossigeno, da tempo considerato un buon indicatore dell’attività metabolica di una cellula.

Tecnicamente è una valutazione quantitativa della percentuale di ossigeno consumato da un singolo

ovocita prima della fertilizzazione. Le prime misurazioni risalgono al lontano 1986, tuttavia circa 15-20 anni

sono stati necessari per consentire una rilevazione affidabile e riproducibile in un moderno sistema di

cultura. Gli studi effettuati rivelano una relazione tra misura della respirazione, fecondazione e capacità di

sviluppo embrionale fino allo stadio di blastocisti9.

Nonostante i risultati promettenti, le nuove tecnologie illustrate restano non applicabili in programmi di IVF

standard, sia la per mancanza di dispositivi commerciali pronti per l'uso sia per i costi proibitivi.

Selezione spermatica Tradizionalmente la valutazione dei parametri di concentrazione, motilità e morfologia di un campione

seminale è impiegata per fini sia diagnostici sia selettivi in un trattamento IVF. Tali parametri sembrano

essere buoni marker per predire l’outcome clinico in concepimenti naturali10, in cicli di inseminazione

intrauterina11 e di fecondazione in vitro convenzionale12, ma non nei cicli ICSI. La scelta basata sui parametri

convenzionali di un singolo spermatozoo, da parte di un embriologo, non consente di selezionare il gamete

maschile con maggiore competenza allo sviluppo. Negli ultimi anni particolare attenzione è stata rivolta al

deterioramento nucleare dello spermatozoo, in particolare alla frammentazione del DNA. Contrariamente

ai parametri di valutazione standard, la stima del danno al DNA sembra avere un valore prognostico

maggiore. È stato infatti osservato che, sia nel concepimento naturale sia nei programmi di inseminazione

intrauterina, la percentuale di gravidanza tende a decrescere quando il tasso di frammentazione del DNA

(DNA fragmentation index, DFI) supera la soglia del 15% e tende ad azzerarsi quando il valore di DFI supera

il 30%13. L’impatto negativo della frammentazione è stato anche dimostrato in relazione agli esiti clinici dei

cicli ART. La presenza in un campione seminale di un’elevata quota di spermatozoi con cromatina

frammentata è associata alla riduzione del tasso di impianto e gravidanza, oltre che all’aumento della

percentuale di aborto, sia dopo FIVET convenzionale sia dopo ICSI14,15. Tuttavia, a oggi non si conoscono

strumenti capaci di discernere e selezionare spermatozoi con cromatina integra nel corso di una iniezione

intracitoplasmatica, sebbene siano sono state proposte nuove procedure di selezione.

L’impiego di marker della maturazione spermatica, quali acido ialuronico e recettori della zona pellucida,

unite a nuove tecniche di immagine potrebbero complessivamente favorire la selezione dello spermatozoo

competente16 (vedi Figura 2).

Figura 2. Spermatozoi sottoposti a metodica per la valutazione dell’integrità del DNA: spermatozoi normali

(formazione di un alone per dispersione della cromatina spermatica) e frammentati (assenza di alone per

mancata dispersione della cromatina spermatica).

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Crioconservazione gameti Qualora la selezione dei gameti diventi maggiormente efficiente, sarà possibile ridurre il numero di ovociti

da inseminare per produrre embrioni competenti; ciò favorirà il successo dei trattamenti IVF, soprattutto in

paesi in cui la legge limita il numero di ovociti da inseminare. In tal caso è necessario che i laboratori di PMA

dispongano di un adeguato sistema per la conservazione dei gameti. Allo stato attuale, l’unica realistica

opzione per la conservazione dei gameti è la crioconservazione, modalità che consente la preservazione

della vitalità cellulare per lunghi periodi attraverso il mantenimento alla temperatura dell’azoto liquido

(-196 °C). In relazione alla modalità di raffreddamento, si identificano due approcci: il congelamento lento e

la vitrificazione. Il primo metodo prevede un lento e controllato abbassamento della temperatura il quale

consente una graduale disidratazione della cellula; il secondo metodo, invece, si fonda su un abbassamento

quasi istantaneo della temperatura, facendo in modo che il tempo richiesto per la transizione termica sia

così breve che le molecole di acqua non possano organizzarsi in un reticolo cristallino.

La sfida più impegnativa di un laboratorio è rappresentata dal congelamento dell’ovocita. Diversi sono i

fattori che possono spiegare questa difficoltà: dimensioni e forma, presenza di una struttura molto

sensibile come il fuso meiotico e composizione lipidica delle membrane cellulari. Negli anni vi è stata molta

riluttanza nell’accettare la crioconservazione ovocitaria come trattamento standard. Tuttavia, dopo un

lungo processo di validazione, le più importanti società scientifiche (ASRM, ASCO, ESHRE) nel 2013 ne

hanno riconosciuto l’importanza clinica. In una recente metanalisi17, sono stati esaminati i dati relativi a

2.265 cicli di crioconservazione ovocitaria. Il lavoro ha stabilito la superiorità della vitrificazione rispetto al

congelamento lento sia in termini di sopravvivenza sia di fertilizzazione e di impianto. Inoltre ha stimato

che, indipendentemente dal tipo di metodica di congelamento impiegata, la probabilità di una gravidanza

diminuisce in modo significativo con l’aumentare dell’età, in particolare al di sopra dei 36 anni.

Ciononostante, sono state riportate gravidanze a termine in pazienti fino a 42 anni di età per protocolli di

congelamento lento e fino a 44 anni per la vitrificazione. Sebbene quindi non sia possibile stabilire un cut-

off di età per l’applicabilità di tali procedure, si consiglia un approccio cautelativo nell’indirizzare verso tale

strategia le pazienti di età superiore ai 40 anni. In donne con età <30 anni, invece, si stima una percentuale

di nati pari al 30% con l’utilizzo di almeno 6 ovociti vitrificati e al 15% con 6 ovociti congelati con metodo

lento (slow-freezing).

La vitrificazione ovocitaria si dimostra una tecnica efficiente capace di implementare il successo di un

trattamento di IVF. Il congelamento di ovociti si rende necessario quando:

a) il recupero di ovociti è superiore a quello necessario per ottenere un numero idoneo di embrioni

per la paziente;

b) il recupero dei gameti maschili risulta difficile o inadeguato.

Disporre di una tecnica consolidata offre la possibilità di tentare successive fecondazioni in caso di

fallimento nell’applicazione delle tecniche a fresco.

Metodi di selezione e conservazione embrionale (invasivi e non)

Come per i gameti, anche per gli embrioni la valutazione morfologica è stato il primo metodo impiegato per

la selezione e, a dispetto dei suoi limiti18, rappresenta a oggi la metodica più comunemente adoperata.

Si basa essenzialmente su osservazioni statiche (osservazioni di routine al microscopio) che prevedono la

verifica del numero e delle dimensioni cellulari, la presenza di multinucleazioni e la percentuale di

frammentazione cellulare. Negli anni è stato dimostrato che le caratteristiche morfologiche dell’embrione

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hanno una debole correlazione con l’outcome clinico (AUC ≈0,6) e forniscono solo delle blande

indicazioni sulle potenzialità di impianto19,20. È ben noto, infatti, che lo sviluppo embrionale è un processo

dinamico e il numero delle cellule, così come il grado di frammentazione, possono cambiare rapidamente;

ad esempio i frammenti sono estrusi e riassorbiti continuamente durante lo sviluppo.

Negli ultimi 10 anni, altri metodi di selezione sono stati sperimentati; si identificano due categorie

principali:

metodiche invasive (preimplantation genetic diagnosis o PGS);

metodiche non invasive (morfocinetica, proteomica, metabolomica).

Metodiche invasive Con il termine “metodiche invasive”, si identificano quelle procedure che richiedono la rimozione di una

porzione dell’embrione per la sua analisi; la più nota e diffusa è lo screening genetico pre-impianto (Pre-

Implantation Genetic Screening, PGS).

Il PGS è una tecnica innovativa che consente di analizzare il profilo genetico di un embrione: rappresenta la

forma più precoce di diagnosi prenatale, in quanto permette di conoscere lo stato di salute di un embrione

prima del suo trasferimento in utero.

Il prelievo del materiale genetico da analizzare, definito biopsia, può essere effettuato su (vedi Figura 3):

ovociti prima e dopo la fecondazione: l’analisi è operata sul primo e secondo globulo polare e

fornisce informazioni unicamente sul DNA materno; non evidenzia errori di derivazione paterna o

mitotici che possono verificarsi durante le fasi post-zigotiche; è elevato il tasso di falsi diagnostici:

47,6% di falsi negativi (aneuploidie non evidenziabili sui globuli polari confermate allo stadio di

blastocisti) e 20% di falsi positivi (aneuploidie riscontrate sui corpi polari non più evidenziabili allo

stadio di blastocisti);

embrioni in terza giornata di sviluppo: la biopsia è effettuata su embrioni allo stadio di 6-10

cellule: dopo apertura della zona pellucida vengono prelevati uno o due blastomeri sottoposti poi

ad analisi genetica; fornisce informazioni sull'assetto cromosomico embrionale, tuttavia non

rappresenta in maniera accurata lo stato di ploidia dell'embrione a causa del fenomeno del

mosaicismo, una condizione che si verifica quando le cellule appartenenti allo stesso embrione

presentano complementi cromosomici differenti;

embrioni in quinta/sesta giornata di sviluppo: la biopsia è effettuata allo stadio di blastocisti: dopo

apertura della zona pellucida vengono prelevate circa cinque cellule del trofoectoderma (dal quale

avranno origine la placenta e gli altri annessi embrionali) in una posizione distante dalla massa

cellulare interna (che darà origine all’embrione). Non sembra presentare effetti deleteri per la

sopravvivenza embrionale e il rischio di mosaicismo è ridotto21.

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A- Biopsia del primo globulo polare B- Biopsia del secondo globulo polare

C- Biopsia dell’embrione D- Biopsia della blastocisti

Figura 3. Tecniche di prelievo per praticare la diagnosi genetica pre-impianto: (A) prelievo del primo e (B)

del secondo globulo polare, (C) prelievo di un blastomero in un embrione al terzo giorno di sviluppo, (D)

prelievo di alcune cellule del trofoectoderma in una blastocisti

La biopsia del trofoectoderma si configura come l'approccio più promettente e consono per identificare

embrioni euploidi da trasferire in utero22,23.

Effettuare un PGS significa quindi identificare gli embrioni con anomalie numeriche cromosomiche. La

presenza di tali anomalie si verifica in una percentuale sorprendentemente alta di embrioni umani

preimpianto: 70-80% per le donne di 40 anni24 e 30% nella fascia di età compresa tra i 30 e i 35 anni. Il

trasferimento inconsapevole di questi embrioni esita in un fallimento d’impianto, in un aborto o in una

gravidanza in cui il feto è portatore di un’anomalia cromosomica alla nascita.

La prima gravidanza in seguito a PGS risale al 1995; da allora il suo uso clinico è cresciuto in modo

esponenziale; attualmente trova largo impiego in percorsi IVF per differenti indicazioni quali: AMA

(advanced maternal age), RIF (repeated implantation failure), poliabortività, severo fattore maschile. Una

recente pubblicazione riporta i risultati clinici ottenuti mediante analisi retrospettiva su 1.660 pazienti con

età superiore ai 35 anni sottoposte a un trattamento di fecondazione in vitro25. Il tasso di gravidanza per

transfer aumenta dal 25,8% in un convenzionale ciclo di IVF al 51,2% in un ciclo con PGS; in parallelo si

assiste alla netta riduzione del tasso di aborto, dal 30,3 al 9,1%. Il tutto si traduce in un tasso di gravidanza a

termine per trasferimento di singoli embrioni euploidi del 45,0%, rispetto al 10,5% osservato nel gruppo

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controllo che non ha effettuato la diagnosi. A supporto dei dati riportati, una recente meta-analisi su 29

studi ha concluso che, a discapito della diversità di tecniche impiegate e del target di pazienti sottoposti a

screening, il PGS aumenta la possibilità di ottenere una gravidanza evolutiva26. Inoltre, la sicurezza del suo

procedimento sembra essere confermata dai dati del registro europeo ESHRE27, i quali non evidenziano un

aumento delle anomalie alla nascita in relazione all’uso della biopsia embrionale.

Ovviamente, essendo una tecnica di screening, la sua applicazione non è capace di migliorare la qualità di

gameti ed embrioni e il tasso di nascita per ciclo di stimolazione resta invariato. È tuttavia necessario

evidenziare che i casi in cui, a seguito dell’analisi cromosomica, si identificano embrioni euploidi trasferibili

corrispondono solo al 43,6%. Dunque l’obiettivo del PGS è quello di ridurre il tempo investito in transfer

vani e potenzialmente dannosi, investendo il tempo recuperato in altri trattamenti alla ricerca di embrioni

euploidi potenzialmente risultanti in una gravidanza. Il PGS potrebbe offrire un’opportunità reale di

ottimizzare il time to pregnancy. Ciononostante resta una procedura invasiva, con un costo proibitivo; la

sua applicazione rimane pertanto ancora oggetto di dibattito.

Metodiche non invasive Con il termine di metodiche non invasive si fa riferimento a tutte le procedure analitiche che non

richiedono manipolazioni aggiuntive degli embrioni, prevenendo il rischio di un possibile impatto dovuto

all’analisi stessa. Durante gli ultimi 15 anni sono stati proposti nuovi e differenti approcci; essi includono:

Proteomica: identifica, quantifica e caratterizza i cambiamenti dell’espressione proteica di un

singolo genoma. La sua analisi richiede l’estrazione cellulare; per tale motivo l’attenzione dei

ricercatori è stata rivolta al secretoma, ossia all’ampio numero di proteine e peptidi secreti da ogni

singolo embrione nel terreno di coltura circostante. È una tecnica molto attraente, in quanto

l’analisi viene effettuata su materiale di scarto. L’avvento della spettroscopia di massa ha permesso

di individuare proteine strettamente correlate al potenziale evolutivo e d’impianto dell’embrione.

In particolare Katz-Jaff e coll.28 hanno identificato l’ubiquitina come fattore di rilievo: la sua

crescente presenza nel secretoma di embrioni evolutivi correla con la capacità di sviluppo di un

embrione.

Un recente studio pioneristico29 ha correlato il secretoma anche all’aneuploidia, evidenziando la

presenza di una concentrazione crescente di lipocalina-1 nel secretoma di blastocisti

cromosomicamente anomale. Tuttavia la possibile e desiderabile correlazione tra cariotipo e

secrezione resta a oggi irrisolta.

Metabolomica: è definita come lo studio sistematico che l’impronta chimica di uno specifico

processo cellulare lascia. Nel caso specifico dell’applicazione del campo dell’IVF, consta della misura

dell’assorbimento e della produzione di differenti substrati da parte di un embrione evolutivo. Le

ricerche si sono focalizzate su candidati noti, quali piruvato, glucosio o aminoacidi30. I primi studi

riportano una stretta relazione tra il metabolismo, in particolare il turn-over degli amminoacidi, e la

qualità degli embrioni. In particolare, il consumo di glucosio degli embrioni dopo la compattazione

ha una correlazione positiva con la nascita31, mentre il turn-over degli aminoacidi sembra essere

correlato con l’impianto32. Interessante è stata l’identificazione di spettri metabolici differenti in

embrioni invece morfologicamente identici. Coerentemente con i dati ottenuti negli studi di

proteomica si conferma che la morfologia di un embrione non è correlata alla sua fisiologia.

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Le tecniche proposte si sono mostrate promettenti; tuttavia nessuno degli approcci sopra descritti è

sufficientemente affidabile per l’identificazione di anomalie cromosomiche. Inoltre la loro efficienza,

disponibilità e abbordabilità economica devono essere ancora provate prima di un impiego diffuso. In

futuro l’insieme di diverse tecnologie non invasive potrebbe essere impiegato per la valutazione del

potenziale d’impianto di un embrione.

Crioconservazione embrionale Come per i gameti, per sfruttare appieno i vantaggi delle tecniche di selezione, un efficiente laboratorio

deve disporre anche di un robusto programma di crioconservazione embrionale. Attualmente la

crioconservazione di embrioni trova largo impiego nei trattamenti di IVF: consente di ridurre il numero di

embrioni trasferiti in fresco, è cruciale nei casi di cancellazione del transfer embrionale e permette di

effettuare l’analisi genetica pre-impianto con tempi e modi più consoni per ciascun laboratorio. Diversi

protocolli sono stati sviluppati per embrioni a tutti gli stadi di sviluppo. Storicamente il congelamento lento

è stato scelto come tecnologia per la crioconservazione; a oggi la vitrificazione è la procedura più diffusa ed

efficace33,34. I dati nazionali riportano che nel 2013 in Italia sono stati svolti 6.818 trasferimenti a seguito

dello scongelamento di embrioni. La percentuale di gravidanza calcolata è pari al 25,9%, del tutto

sovrapponibile con quella delle tecniche a fresco, pari al 26,3%. Il successo della crioconservazione

embrionale è indiscutibile, in quanto ha largamente aumentato i benefici clinici e la percentuale di

gravidanza possibile per le coppie a seguito di un singolo ciclo di stimolazione ovarica. Risultati presenti in

letteratura mostrano che donne che hanno trasferito embrioni sia freschi sia congelati ottengono un 8% di

gravidanza in più35. Un efficiente programma di vitrificazione è necessario per raggiungere alti tassi di

successo. Nessun sistema di vitrificazione si è dimostrato superiore agli altri e la scelta sia del dispositivo sia

del protocollo può variare tra i laboratori e dipendere dai tassi di successo individuali raggiunti; tuttavia

l’automatizzazione del sistema potrebbe sicuramente limitare la variabilità36.

Coltura a blastocisti

Il trasferimento in utero degli embrioni per molti anni è stato convenzionalmente praticato al giorno 2-3 di

coltura in vitro, corrispondente a uno stadio evolutivo di 2-8 cellule, in quanto l’utero era considerato

l’ambiente ideale per la sopravvivenza embrionale. Tuttavia lo studio delle differenze tra il concepimento

naturale e le procedure artificiali ha aperto un dibattito sul timing ottimale per il transfer embrionale.

Infatti, nonostante la propensione degli embrioni umani a sopravvivere in utero quando trasferiti

prematuramente, in vivo gli embrioni non raggiungono l’utero prima dello stadio di morula che equivale al

quarto giorno di coltura in vitro. Dunque negli ultimi dieci anni si è pensato di traslare la pratica del transfer

ai giorni 5 o 6, quando gli embrioni sono allo stadio di blastocisti, offrendo così una maggiore sincronia tra

embrione ed endometrio (vedi Figura 4).

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Figura 4 – Percorso di sviluppo di un embrione in vivo

Tuttavia prolungare la coltura embrionale in vitro ha richiesto anni di ricerche sul metabolismo embrionale,

al fine di identificare e ottenere un assetto di laboratorio idoneo. Una scelta accurata di terreno di coltura e

incubatore e uno stringente controllo di qualità sono necessari per consentire la vitalità embrionale in un

sistema di coltura così prolungato. Ciononostante, non tutti gli embrioni sono capaci di svilupparsi fino allo

stadio di blastocisti. A oggi, sulla base di un’ampia casistica, la percentuale di blastulazione varia

ampiamente tra il 28 e il 60% e ha una forte dipendenza dal setting di laboratorio. Prolungare una coltura

embrionale significa dunque offrire un meccanismo di selezione: ridurre il numero di embrioni utilizzabili

aumentando la potenzialità d’impianto.

Considerata l’elevata selettività è stato, infatti, ipotizzato che gli embrioni che raggiungono lo stadio di

blastocisti hanno una capacità d’impianto superiore rispetto agli embrioni allo stadio di clivaggio. L’ipotesi è

stata ampiamente confermata da una recente review Cochrane37: la percentuale di bambini in braccio,

scelta come end-point, si rileva significativamente incrementata nei cicli con transfer a blastocisti rispetto a

quelli con embrioni allo stato di clivaggio (giorno 2-3: 31%; giorno 5-6: 38,8%).

Nonostante gli evidenti benefici, la scelta di protrarre la coltura in vitro per molti resta ancora difficile, in

quanto implica inevitabilmente un aumentato rischio di cancellazione del transfer.

Nei primi studi pubblicati in letteratura, la coltura a blastocisti è stata quindi riservata a pazienti selezionati

con buona prognosi, in particolare con età inferiore ai 37 anni e un numero di embrioni ottenuti al terzo

giorno di coltura maggiore di 7 o un numero di embrioni “top grade” superiore a 5. In tali condizioni, sono

stati riportati tassi di formazione delle blastocisti superiori al 65% e tassi di gravidanza clinica dal 48 al

76%38,39. Sebbene soddisfacenti, tali risultati rimanevano circoscritti a una popolazione ristretta di pazienti a

buona prognosi; è risultato quindi fondamentale definire se si potessero applicare criteri di inclusione meno

selettivi e se tale politica potesse essere impiegata su più larga scala. A tal proposito, uno studio

prospettico osservazionale40 ha dimostrato che l’indicazione a prolungare la crescita a blastocisti sussiste a

prescindere dal numero degli embrioni ottenuti e dalla qualità morfologica degli stessi. Anche in assenza di

embrioni “top grade” nelle prime fasi di sviluppo, il transfer di una singola blastocisti garantisce lo stesso

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tasso di gravidanza clinica di un transfer di due embrioni allo stadio di clivaggio, minimizzando

contestualmente i rischi legati alle gravidanze multiple.

Poiché i parametri morfologici precoci (ottenuti al secondo/terzo giorno di coltura) hanno un valore

predittivo relativo della capacità degli embrioni di raggiungere lo stadio di blastocisti e considerati gli

evidenti benefici clinici, la coltura a blastocisti dovrebbe essere proposta come strategia d’elezione per la

selezione degli embrioni vitali per tutte le pazienti che si sottopongono a un ciclo di PMA. Naturalmente,

in tale contesto un adeguato counseling clinico assume un ruolo di assoluto rilievo: coppie che si

sottopongono alla coltura a blastocisti devono essere adeguatamente informate della probabilità di

cancellazione del transfer.

A oggi, tuttavia l’incapacità della gestione psicologica dei pazienti posti di fronte alla cancellazione di un

transfer embrionale e l’incredulità di molti sulla sicurezza che un embrione al giorno 3 incapace di

svilupparsi a blastocisti in vitro non possa farlo in vivo, ha lasciato aperta la questione sia della tipologia di

pazienti a cui consentire l’accesso a questo programma sia della scelta del giorno.

Sistemi di time-lapse

Come riportato in precedenza, convenzionalmente in un laboratorio di PMA la valutazione morfologica

degli embrioni è praticata mediante l’osservazione al microscopio a distinti time-point. Nonostante l'uso di

criteri standard, tale tipo di selezione è condizionata da un’elevata variabilità intra e inter-osservatore, che

la rende bersaglio di soggettività41.

Negli anni, numerose osservazioni hanno verificato che una larga porzione di embrioni pre-impianto con

uno sviluppo anomalo esibisce alti livelli di frammentazione e asimmetria dei blastomeri e fallisce il time-

line normalmente atteso. Tale considerazione ha fornito il razionale per investigare se valutazioni multiple

delle prime fasi di sviluppo potessero migliorare la selezione. Varie combinazioni sia dei giorni in cui gli

embrioni devono essere valutati sia di sistemi per lo scooring sono state investigate, ma a oggi non è stato

raggiunto un consenso. Comune è invece l’idea che una valutazione quotidiana potrebbe avere effetti

avversi per perturbazioni ambientali causate dalla rimozione dall’incubatore. Questo ha portato alla

creazione di sistemi di immagini adatti per uso clinico che consentono un monitoraggio continuo dello

sviluppo embrionale pre-impianto nell’ambiente di un incubatore. Sono nati così i sistemi time-lapse,

tecnologie che offrono l’opportunità di visualizzare in maniera non-invasiva time-point e aspetti della

morfocinetica embrionale, normalmente non identificabili con le osservazioni statiche in un tradizionale

laboratorio.

È quindi iniziata la difficile ricerca di marcatori morfocinetici da utilizzare come strumenti predittivi per

ottenere maggiori informazioni riguardo alle potenzialità di un embrione di raggiungere lo stadio di

blastocisti e di impiantarsi. La maggior parte degli studi esistenti ha focalizzato l’attenzione su specifici

timing di sviluppo, come i tempi di comparsa e scomparsa dei pronuclei (PN), la singamia e i tempi delle

diverse divisioni cellulari (T2-T3-T4-T5), nonché la durata e la sincronia dei cicli cellulari. Nonostante un

numero crescente di studi abbia proposto parametri morfocinetici quali predittori di impianto42-45, a oggi

non sono ancora emersi indicatori chiave, univoci, che possano aumentare il nostro potere predittivo. Una

recente review sistematica46 suggerisce quindi che la tecnologia time-lapse, pur rappresentando un ottimo

e moderno sistema di coltura, deve essere considerato sperimentale per la selezione embrionale.

Diversi studi retrospettivi hanno trovato invece una correlazione tra il tempo dello sviluppo iniziale e la

formazione della blastocisti47,48. L’impiego di un modello predittivo dello sviluppo a blastocisti potrebbe

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dunque assistere il biologo nella scelta di un embrione da trasferire allo stadio di cleavage, limitando i

presunti effetti epigenetici determinati da una coltura prolungata. Tuttavia, poiché nessun modello è stato

provato essere al 100% specifico e sensibile, elevato resta ancora il rischio di scartare embrioni vitali.

Di contro, nonostante sia stata riscontrata l’esistenza di una lieve correlazione tra aspetto morfologico e

assetto cromosomico, la selezione embrionale fondata su valutazioni morfologiche sia statiche sia

dinamiche non può essere impiegata come alternativa allo screening delle aneuploidie49. Di fatto è ben

documentato che la morfologia è lontana dall’essere un buon rappresentante dell’assetto cromosomico:

embrioni con una buona qualità morfologica possono essere aneupolidi e viceversa50,51. Una spiegazione

all’alta incidenza di aneuploidie in embrioni umani che non si arrestano nello sviluppo potrebbe essere che

nei gameti e negli embrioni nelle fasi iniziali di sviluppo i check-point che minimizzano il rischio di errori

cromosomici e/o la rottura del DNA non sono così ben funzionanti come nelle cellule somatiche. Sembra

che i punti restrittivi di controllo del ciclo cellulare siano stabiliti quando l'embrione comincia a

differenziarsi dopo l'impianto.

Dunque, come per molte tecnologie, nonostante l’iniziale eccitazione che ha seguito i primi promettenti

report che legavano i parametri time-lapse alla vitalità embrionale, la possibilità di definire intervalli di

tempo universalmente applicabili per un ottimale sviluppo embrionale rimane in fase esplorativa. Un

crescente numero di studi riporta, infatti, l’esistenza di fattori relativi alle condizioni di coltura, ai pazienti e

ai trattamenti capaci di influenzare il timing dei parametri morfocinetici. I fattori proposti includono

tensione di ossigeno, metodo in inseminazione, terreni di coltura, fumo, età, livelli basali ormonali e tipo di

gonadotropine usate per la stimolazione52-55. I fattori indicati, in sé confondenti, diventano ancora più

importanti se gli intervalli di tempo tra le divisioni cellulari definiti ottimali sono molto ristretti: una piccola

differenza può determinare il varco del limite per la selezione/deselezione dell’embrione. L’assoluta

univocità di applicazione in qualsiasi setting di laboratorio diventa quindi fondamentale in un modello

impiegato per scegliere degli embrioni piuttosto che classificare l'ordine in cui saranno trasferiti.

La gestione della qualità del laboratorio di PMA

Seppure il più significativo impatto sullo sviluppo embrionale origini dalla qualità dei gameti, condizioni

subottimali di coltura embrionale sono largamente responsabili di una scarsa qualità embrionale in vitro.

Condizioni di coltura ottimali non sono in grado di superare i limiti intrinseci imposti dai gameti, ma

assicurano che la competenza di un embrione sia mantenuta dopo le diverse manipolazioni applicate in un

laboratorio di PMA, limitando così lo stress imposto in vitro all’embrione.

Numerose sono le variabili di un sistema di coltura da tenere sotto controllo. Un ruolo di rilievo è

sicuramente svolto dalla scelta del terreno di coltura, la cui composizione è capace di impattare sulla

biochimica dell’embrione e sul pathway metabolico, influenzando la divisione cellulare e la capacità di

sostenere una normale gravidanza, indipendentemente dall’assetto cromosomico embrionale.

In passato numerosi studi hanno esplorato l’impatto sulla qualità embrionale della variazione nella

composizione di un terreno di coltura in termini di substrato energetico, macromolecole e fattori di

crescita. Oggi ci si attende che le innovazioni tecnologiche e i nuovi approcci di valutazione embrionale

(morfocinetica e metabolismo) ci aiutino nel rifinire e migliorare la formulazione dei terreni. Diversi studi

hanno comparato l’efficienza di vari terreni di coltura al fine di determinare la superiorità di uno di questi

per la crescita degli embrioni umani. Sfortunatamente molti studi non impiegano un disegno sperimentale

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adeguato, fallendo nel controllo delle variabili critiche che condizionano la performance di un terreno di

coltura56; trarre una conclusione resta pertanto a oggi difficile.

Inoltre, l’impiego ormai diffuso di terreni prodotti commercialmente, sebbene abbia sicuramente aiutato a

garantire la consistenza tra i laboratori, ha reso ancora più difficile discernere la causa di una eventuale

superiorità, in quanto le compagnie commerciali non pubblicano le concentrazioni dei componenti

presenti.

Al di là del terreno impiegato, anche le caratteristiche dell’incubatore, strumento che crea l’ambiente

idoneo per lo sviluppo embrionale in vitro, possono impattare drammaticamente sull’efficacia di un

trattamento, risultando in outcome significativamente differenti57. Nello specifico, un’analisi accurata

meritano la tensione di ossigeno e la stabilità della temperatura.

I primi incubatori progettati prevedevano una concentrazione di ossigeno pari a quella atmosferica (21%).

Lo studio dell’apparato riproduttivo femminile ha portato alla progettazione di incubatori con una tensione

di ossigeno del 5-6%, pari a quella fisiologica.

I benefici della coltura di embrioni umani a una concentrazione ridotta di ossigeno sono stati ampiamente

riconosciuti; sebbene l’esatto meccanismo resti sconosciuto, cause probabili includono: ridotta produzione

di specie reattive dell’ossigeno e ridotta formazione di VOC (volatile organic compound).

Certo è che l’impiego di un incubatore a bassa tensione di ossigeno in una coltura prolungata fino allo

stadio di blastocisti impatta positivamente e in maniera significativa su impianto, gravidanza e nascita58,59.

La percentuale di bambini in braccio aumenta da un 30% con una concentrazione atmosferica di ossigeno

fino a un 32-43% con una concentrazione fisiologica. In un moderno laboratorio di PMA, il mancato impiego

di incubatori a bassa tensione di ossigeno può dunque essere definito malpractice.

L’importanza di una scelta adeguata sia del terreno di coltura sia dell’incubatore si riflette nella capacità di

un laboratorio di mantenere stabile il pH dei terreni di coltura. Quest’ultimo è determinato principalmente

dalla concentrazione di bicarbonato del terreno e dalla concentrazione di CO2 dell’incubatore. Sebbene

nessun valore di pH ottimale sia stato individuato per la coltura embrionale, dati preliminari suggeriscono

che la variazione di pH può influenzare lo sviluppo dell'embrione umano60. Pertanto, uno stretto controllo è

prudente come parte di un programma di controllo di qualità rigoroso.

Un’altra variabile di rilievo, caratteristica non solo del sistema di coltura ma anche di tutte le

strumentazioni di lavoro di un laboratorio di PMA, è la temperatura. La sua variabilità ha un impatto

importante su vari aspetti della funzione di gameti e embrioni, in particolar modo sulla stabilità del fuso

meiotico62 e sul metabolismo embrionale.

Ad esempio, una temperatura di microiniezione ovocitaria inferiore ai 37 °C aumenta la percentuale di

fecondazioni anomale. Allo stesso modo, l’incapacità del mantenimento di una temperatura stabile di 37 °C

in un incubatore può influire negativamente sullo sviluppo embrionale provocandone un ritardo. Di

conseguenza, la progettazione e la gestione di un incubatore diventano di primaria importanza.

Usare un incubatore con un controllo e un recupero della temperatura stringenti è importante. A tal fine

incubatori piccoli con camere singole (bencth-top) che consentono di assegnare un paziente a un

compartimento individuale, sono diventati gli incubatori di elezione in molti laboratori. Un approccio

ancora più interessante è rappresentato dalla tecnologia time-lapse, la quale tende ad annullare le

perturbazioni esterne a una coltura.

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In ogni caso, indipendentemente dal tipo incubatore impiegato, è fondamentale in un efficiente laboratorio

di PMA disporre di un numero di incubatori sufficiente in relazione al volume di lavoro, al fine di evitare

ripetute aperture/ chiusure responsabili delle variazioni di temperatura.

Conclusioni

L’impatto biologico dei terreni di coltura e dei parametri di incubazione sullo sviluppo embrionale è ormai

una certezza. L’influenza degli stress chimico e fisico sembra essere inversamente proporzionale allo stadio

di sviluppo; di fatto, lo stress indotto negli stadi iniziali ha un impatto conclamato sullo sviluppo

preimpianto e potrebbe avere conseguenze a lungo termine. Per tale motivo la progettazione di nuove

tecnologie atte a minimizzare lo stress in vitro è una sfida continua. Così come l’applicazione di protocolli

avanzati, l’attività di ricerca e la formazione degli embriologi rappresentano prerequisiti fondamentali di un

efficiente laboratorio di PMA.

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Questionario ECM

1. Qual è la percentuale stimata di ovociti recuperati in un trattamento di IVF capace di esitare in una

gravidanza a termine?

a. 2% b. 7% c. 20% d. 45%

2. Quali tra i parametri della morfologia di un ovocita indicati sono predittori della sua competenza:

a. globulo polare frammentato e presenza di vacuoli b. granulazioni citoplasmatiche e spazio perivitellino aumentato c. zona pellucida ispessita e presenza di vacuoli d. nessuna delle risposte indicate

3. La concentrazione, la motilità e la morfologia di un campione seminale sono buoni marker di predizione

di una gravidanza in:

a. concepimenti naturali b. inseminazioni intrauterine, FIVET e ICSI c. FIVET e ICSI d. concepimenti naturali, inseminazioni intrauterine, FIVET

4. Qual è la percentuale di embrioni aneuploidi in donne con età compresa tra 30 e 35 anni?

a. 10% b. 20% c. 30% d. 40%

5. Le attuali indicazioni a un trattamento di fecondazione in vitro con PGS sono:

a. AMA (advanced maternal age) b. polabortività c. RIF (reteated implantation failure) d. tutte le risposte indicate

6. La concentrazioni di lipocalina-1 nel secretoma di un embrione ha una correlazione con?

a. sviluppo a blastocisti b. aneuploidia c. impianto d. tutte le risposte indicate

7. L’analisi morfocinetica di un embrione è un buon predittore di?

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a. sviluppo a blastocisti b. aneuploidia c. aborto d. nessuna delle risposte indicate

8. Quali fattori possono influenzare il timing di sviluppo di un embrione in vitro?

a. tensione di ossigeno e terreno di coltura b. età e livelli ormonali basali c. gonadotropine impiegate nella stimolazione d. tutte le risposte indicate

9. Quali variabili proprie di un sistema di coltura assicurano il mantenimento della competenza di un

embrione:

a. terreno di coltura e tensione di ossigeno b. pH e temperatura c. tensione di ossigeno, pH, temperatura d. terreno di coltura, tensione di ossigeno, pH, temperatura