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MORALE,DIRITTO,STORIA E RELIGIONE IN
KANT
Autore: Giusy Tomiri
CRITICA DELLA RAGION PRATICA: GENESI
DELL’OPERA
Kant aveva tenuto le sue lezioni di filosofia pratica presso l’università di Konisberg nel 1756-57.
egli non era soddisfatto delle tesi correnti,e giudica la condizione in cui versa la filosofia
pratica,perché i principi della morale non erano capaci dell’evidenza richiesta.
Per comprendere il concetto di obbligatorietà,fondamentale per ogni dottrina morale,era necessario
distinguere tra
1. regole che obbligano sotto una certa condizione = necessitas problematica
2. regole che obbligano senza condizione(devi necessariamente) = necessitas legalis
Kant espone la sua filosofia morale
L’errore delle filosofie morali del suo tempo era quello di confondere i principi della prudenza,o
fronesis che indicano il comportamento conveniente rispetto a qualsiasi fine come corretta scelta di
mezzi per raggiungere fini soggettivi,con i principi della moralità. Le dottrine morali che prende in
considerazione sono:
1. La dottrina di Wolff,il cui principio supremo è promuovere la perfezione totale
2. la dottrina di Crusius,il cui ….è agire in conformità al volere di dio
3. la dottrina di Hutcheson del sentimento morale.
È d’accordo con Wolff per quanto riguarda il principio formale dell’obbligatorietà,cioè la regola di
fare la cosa più perfetta possibile per il proprio mezzo. Ma anche il sentimento è la facoltà che
consente di sentire il bene.
Vi è una duplice attenzione,in Kant,per il razionale e il sensibile,da un lato l’esigenza di trovare un
principio incondizionato per fondare l’obbligazione morale,dall’altro comprendere la specificità
dell’ambito pratico rispetto a quello teoretico. È ancora in discussione il fatto che la facoltà che
deve giudicare l’azione morale sia quella razionale o il sentimento.
Ma decisivo fu l’incontro con L’emile di Rousseau,che ispira a Kant una morale fondata sulla
ragione,ma non quella speculativa di Wolff quanto quella principio dell’universalità e
negazione del particolare.
Dopo tali letture affronta una disamina critica delle filosofie morali degli antichi e moderni,in
riferimento al modello di Rousseau. Se gli antichi subordinano la moralità alla felicità,il criterio del
sommo bene deve essere mantenuto contro i moderni,concentrati solo sul problema del giudizio
morale.
La dottrina che contiene la coordinazione tra virtù e felicità è il cristianesimo,in cui vi è il primato
dell’intenzione. Esso è una morale dell’autonomia,secondo cui l’uomo,anche con i suoi limiti,può
attuare la virtù.
Il problema del principio della moralità venne formulato nel 1772,un dovere che non dovesse
dipendere da nulla e la volontà viene indicata come l’unico soggetto che possa meritare attributo di
buono. Il passaggio dall’idea del bene alla sua attuazione è possibile solo tramite la volontà,che
deve essere libera, non causata metafisicamente da altro,perché essa sia origine e questo inizio
deve essere libero.
Il fondamento delle proposizioni morali è l’universalità,come applicabilità a tutti i soggetti.
La sede di fondazione della moralità è la filosofia,come scienza razionale dei principi,non una
casistica di comportamenti umani. La morale non è una questione di pratica o di
apprendimento empirico per evitare i mali e perseguire i beni,ma deve stabilire i principi
dell’agire.
La prima sintesi organica di questi temi si trova nella CRpura nel capitolo sul canone della ragion
pura. Infatti la ragione pura,nel suo uso a priori, può definire i principi morali,il canone è l’insieme
dei principi puri che regolano il retto uso della ragione,definendo le caratteristiche di questa facoltà.
La ragione pura non possiede alcun principio sintetico conoscitivo e non può produrre
conoscenza,ma organizza,ordine e struttura con i suoi principi regolativi,idee ciò che la sintesi, già
operata sui fenomeni dall’intelletto e della sensibilità, le fornisce.
Invece nell’uso pratico la ragione possiede i principi che fondano l’esperienza morale,essa ha un
canone, contiene i principi della possibilità dell’esperienza che fondano le azioni morali. La ragione
ha una sua causalità nel produrre azioni libere in base ai suoi principi che sono le leggi morali,con
la distinzione tra obbligazioni assolute e relative. Queste leggi sono evidenti all’intelletto e sono
proprie della ragione pura.
LA FONDAZIONE DELLA METAFISICA DEI COSTUMI 1785
Assolve la stessa funzione del canone della ragion pura,in cui venivano affrontati i problemi irrisolti
in esso come la possibilità di leggi morali pure e la definizione di queste leggi. In essa vi è la ricerca
e la definizione del supremo principio della moralità(fondazione). Distinta dalla dottrina morale o
metafisica dei costumi,suddivisione tra filosofia pratica ed etica precettistica.
In essa introduce la nozione di critica della ragion pura pratica,per mostrare l’unità di ragione
speculativa e pratica. Egli deve individuare il principio che fondi l’autonomia della ragione
pratica,la capacità di enunciare una regola che dia un fondamento alla possibilità di attuare il bene.
buona senza limitazioni è solo la volontà,quindi il bene sta nella motivazione del soggetto
morale(non in qualità sua naturali come la temperanza o in uno stato di cose come la ricchezza) ma
per produrre il bene la volontà deve essere sottoposta a una regola,che è il supremo principio della
moralità.
Esso deve avere la forma di un imperativo categorico,dovere incondizionato che obbliga per se
stesso.
come è possibile l’imperativo categorico?
Come è possibile la volontà buona?
Il più importante concetto della moralità è quello di dovere:
Un modo è quello di conformarsi esternamente all’obbligo ma avendo per motivazioni
qlcs di diverso da dovere(paura,calcolo,consuetudine)
Compiere un azione esclusivamente per dovere,ciò è morale,perché è la necessità di un
azione per rispetto della legge. Agire avendo come motivo la rappresentazione della
legge.
Gli esseri razionali sono in grado di pensare un dovere incondizionato e agire in base a esso,in
grado di formulare principi che sorpassano ogni istinto,inclinazione,interesse,agendo in base a
tali principi.
Ricerca della formula dell’imperativo categorico.
Definizione del concetto di autonomia della volontà,in cui la volontà è legge a se stessa. Ciò implica
la libertà,la libertà è autonoma perché non sottoposta all’eteronomia di cause efficienti e
l’imperativo cat. è l’espressione di tale autonomia,volontà libera e volontà sono leggi morali sono lo
stesso. la domanda sulla possibilità dell’imperativo equivale a quella sulla possibilità della libertà.
La terza sezione della fondazione deve spiegare la possibilità dell’imperativo e la deduzione della
libertà. La libertà non è più possibile solo come possibilità,come nella Ragion pura,ma deve essere
proprietà della volontà. Punto di vista di un mondo non sottoposto a causalità naturale ma alla
causalità della libertà,questo mondo è detto intelligibile,pensabile dalla ragione ma non intuibile.
Necessità di pensare la libertà come presupposto legge morale ma non deduzione della libertà
stessa,si deve pensare l’idea di un mondo intelligibile ma non si può spiegare come la libertà sia
possibile. Deduzione cercata ma affermata come impossibile,quindi l’opera non risolve il rapporto
tra la fondazione del principio dell’autonomia,principio della moralità,e la libertà.
L’IMPERATIVO CATEGORICO
Imperativi sono le regole pratiche oggettive che contrastano con le inclinazioni,ed hanno
validità per esseri la cui volontà non è assolutamente buona,perché può avere come
fondamento stimoli sensibili. Gli imperativi affermano la necessità di un azione senza tenere
conto delle inclinazioni del soggetto.
Ipotetici,affermano la necessità oggettiva del comando in base a una condizione. Se A devo
fare B, B è necessario sotto la condizione che A sia il fine. La connessione che esprimono è
necessaria ma non sono morali(posso fare del bene a una persona col fine della mia
convenienza). Sono analitici,dato un certo fine l’azione necessaria per conseguirlo è
contenuta nel fine stesso,derivabile dal fine. Il dovere è concepibile grazie alla
condizione,senza essa nessun dovere.
Categorico,espressione di un dovere incondizionato,l’azione è buona in sé.
Incondizionatezza assoluta del comando. Esso è una proposizione sintetica a priori.
apoditticità del suo comando perché espressione dell’obbligazione assoluta per se e in
sé,unico modo per esprimere il dovere senza alcuna considerazione per qualsiasi finalità.
Conformità alla forma della legge,che è l’espressione concettuale dell’imperativo. Ma la sua
incondizionatezza sta nel fatto che la volontà possa essere determinata dalla ragione
pura,come fondamento di determinazione dell’azione.
L’enunciato che definisce l’imperativo cat. per la determinazione volontà sotto forma di
regola pratica per esprimere il concetto di obbligatorietà assoluta e la legge,con i suoi
caratteri di connessione universale e necessaria. Devi agire secondo un principio universale e
necessario. La condizione della massima è il concetto di legge,dove alla assunzione soggettiva
della conformità alla legge in realtà si assume l’universalità e necessità della legge.
Il carattere della legge morale è nella mancanza di materia,di una finalità che sia sua
condizione,quindi la ragione impone alla volontà la pura universalità e necessità della legge,e la
volontà o massima come necessità di conformarsi a tale legge.
L’IC nella sua prima formula suona:
1. agisci secondo quella massima che esprima una legge universale
2. agisci come se la massima della tua azione dovesse diventare per mezzo della tua volontà
una legge universale della natura.
significa universalizzare e pensare come legge la propria massima soggettiva e provare con
esperimento mentale se questa universalizzazione è possibile o no. Il contrario di ciò che non è
universalizzabile è legge. Se la massima è : mentire quando fa comodo,e non posso elevare a legge
ciò, non mentire è imperativo categorico.
Gli esempi sono suddivisi secondo una classificazione dei doveri:
doveri perfetti,non ammettono eccezione a vantaggio dell’inclinazione,incompatibili col
fine della felicità verso se stessi e altri. L massima non può nemmeno essere pensata
come legge,perché contraddittoria.
1. dovere perfetto verso se stessi: suicidio per sfuggire ai propri mali. La massima che
esprime questa scelta è quella dell’amore di sé elevata a legge,ma ciò sarebbe
contraddittorio perché la natura non può spingere a distruggere la vita e al contempo
spingere al suo promuovimento.
2. dovere perfetto verso altri: un uomo vuole ottenere prestito con intento di non
restituirlo. Massima della convenienza ma ciò renderebbe impossibile il promettere
stesso e il fine che si potrebbe ottenere. Annullamento del concetto di
prestito,implicito un dovere e un rapporto di obbligazione senza i quali perdono
significato.
doveri imperfetti,compatibili col fine felicità. Impossibile volere che la massima diventi
legge
1. dovere imperfetto verso se stessi: uomo dotato di talenti decide di
trascurarli,impossibile volere che diventi legge universale,che vuole invece che le
facoltà vengano sviluppate.
2. dovere imperfetto verso altri: non aiutare chi si trova in difficoltà, chi decide di far
così si priverebbe di ogni speranza di aiuto.
L’amore di sé è il principio generale di tutte le massime cattive,ma non è autocontradditoria
se elevata a legge,perché un universo di egoisti è possibile. la massima cattiva è pensata come
eccezione,non si vorrebbe una natura costruita sull’egoismo,anche se la sia ammette a proprio
vantaggio.
CRITICA DELLA RAGION PRATICA 1787-88 In essa risolve gli esiti aporetici della Fondazione riguardo la possibilità di pensare il
soprasensibile,questioni di cui si occupava anche il Canone della ragion pura. La fondazione non
aveva affrontato il problema dell’uso delle categorie non rivolto alla determinazione conoscitiva di
oggetti ma al semplice pensare oggetti non intuibili,come le 3 idee. Questo uso era stato dichiarato
legittimo e nella seconda edizione della Pura queste tesi furono rafforzate.
I concetti intelligibili hanno legittimità dal punto di vista pratico,dimostrando l’unita tra la ragione
teoretica e quella pratica. Le idee di dio e di immortalità sono le condizioni dell’applicazione della
volontà determinata moralmente all’oggetto che le è dato a priori,il sommo bene.
Bisogna dimostrare che la ragione pura è pratica,si tratta di affermare la possibilità dell’uso
della ragione pura come pratica. Bisogna distinguere,all’interno dell’intera facoltà della
ragione,ciò che è puro da ciò che è empirico. La volontà deve essere determinata solo dalla
ragion pura,le azioni devono avere fondamento e causa la ragione e le sue leggi,non istinti e
desideri.
la ragione pratica agisce in base a un principio,un calcolo,la non è detto che il principio dell’azione
venga dalla ragion pura. La ragione non deve operare facendosi strumento della
sensibilità(Hutchson,sensismo).
La critica presuppone la Fondazione perché essa da la prima conoscenza del principio del dovere e
alla sua formula. Essa permette di pensare positivamente al concetto di libertà in quanto la pratica
procura realtà al pensiero del soprasensibile,mentre con la speculazione ciò può essere solo pensato.
La ragione pura pensa il concetto di causa,che è una categoria,ma non può riferire ad essa un
oggetto. ma nella ragion pratica la libertà è legata alla legge morale e la sua realtà sta nel darsi
stesso della legge. Nella seconda Critica Kant sottopone ad esame i concetti e principi della ragione
speculativa.
ANALITICA DELLA RAGION PURA PRATICA
Definizione dei veri principi della moralità. Nella teoretica l’analitica trascendentale era la
risoluzione della conoscenza a priori negli elementi della conoscenza pura intellettuale. Nella
pratica,invece,si tratta di analizzare i principi della ragione,gli oggetti e i moventi,cioè la
costituzione oggettiva della ragion pratica.
La ragione pratica,come già nella Fondazione,è il compiere azioni in base a un principio,né istintive
né inconsapevoli. Un principio pratico è una regola generale che implica una serie di possibili
azioni,quindi regole subordinate.(principio pratico è conservare la propria vita,regole pratiche per
seguire quel principio potrebbero essere curarsi quando malati). Non sono principi morali ma la
forma generale della regola con cui una ragione pratica come facoltà agisce.
Questi principi si distinguono in 2 classi:
1. soggettivi = massime,validi solo per la volontà del soggetto,regole con cui il sogg. agisce
con motivazioni esclusivamente proprie (autonomia del soggetto)
2. oggettivi = leggi,principi validi per tutti i soggetti razionali,validità per la ragione come tale.
Se la ragione contiene in se stessa leggi pratiche essa può determinare la volontà e la
ragione pura è pratica. L’imperativo esprime un dovere con necessità oggettiva per l’azione.
I principi pratici sono regole in cui si esprime un rapporto necessario tra fine e mezzo e,per esseri
razionali la cui volontà è determinata da desideri e passioni,le regole prendono forma costrittiva.
Ogni regola che contrasti con le inclinazioni soggettive,per obbedire ad altre inclinazioni,produce
imperativi. Anche gli imperativi ipotetici esprimono una connessione oggettiva,anche se sotto una
certa condizione. I soggetti agiscono sempre e comunque adottando una massima,in cui si esprime
la loro regola d’azione,ma non tutte le regole pratiche sono massime.,inerenti alla motivazione
propria del soggetto. Tutti gli imperativi invece,contenendo un nesso oggettivo,costringono il
soggetto a confrontare la sua massima con tale nesso,ad adeguare la sua personale motivazione a
una connessione oggettiva. La ragione enuncia le leggi per se stessa con la loro universalità
oggettiva perché è identica a tutti i soggetti razionali,non tendendo conto delle condizioni
accidentali e soggettive che distinguono i soggetti.
La legge pratica non si può trarre dalla materia dell’agire,dagli oggetti in quanto producano piacere
o si desiderano.
La facoltà di desiderare caratterizza l’uomo perché esso ha dei moventi e agisce per
realizzarli,in essa nascono le motivazioni per agire. Si mette in connessione detta facoltà con
sentimenti di piacere e dispiacere e la facoltà del desiderare produce gli oggetti che non
possono essere propri della ragion pratica. L’oggetto desiderato,anche se presente in ogni
azione,non può essere il fondamento della legge pratica. Il piacere non si può determinare a
priori,fa parte dell’accidentale e soggettivo,non può essere universale e necessario. È sempre
un certo piacere,vale per uno ma non per altro e non può essere motivo determinante la
volontà.
Motivo determinante è ogni elemento (sensibile o razionale) che produca una
determinazione della volontà. Se è fornito dal desiderio che un certo oggetto procura è
empirico.
Movente è l’elemento che determina soggettivamente la volontà,ciò di cui il sogg, ha
bisogno per compiere un azione.
La felicità si riferisce alla materia,oggetto del desiderio,tutta la materia dell’agire si raccoglie sotto
il concetto di felicità,cioè di amor proprio. Il piacere determina la volontà solo per via sensibile non
intellettuale(come piacere percepito intellettualmente delle dottrine del sentimento morale.
Soddisfare il principio dell’amor proprio. La facoltà di desiderare non si divide in superiore e
inferiore (Baumgarten),riferita all’intelletto o ai senso,la differenza stava negli oggetti a cui la
facoltà appetitiva si rivolgeva. Oggetti intellettuali,come virtù o conoscenza,oggetti sensibili per
quella inferiore. Kant vuole separare la facoltà di desiderare superiore,identificata con la
rappresentazione ,e ascrivendo alla seconda anche le forme intellettuali di piacere. Se ci ri rivolge a
un oggetto qualsiasi si rivolge ad esso solo perché piace,Epicuro è più coerente di Wolff
nell’unificazione dei piaceri in unico genere.
La felicità però è motivo determinante inevitabile per ogni essere razionale finito,anche se ogni
essere razionale ripone la sua felicità in qualcosa di differente. La volontà agisce in base a motivi
determinanti empirici,connessi al sentimento di piacere e dispiacer. Essa può dare luogo solo a
massime,non a un principio universale.
Il motivo determinante deve avere origine nella forma. Le massime devono avere la forma di
leggi,cioè il movente delle massime non sia soggettivo ma oggettivo,la legge. La volontà deve
essere determinata dalla semplice forma della legge,di universalità e necessità. La legge è nella
forma come determinazione universale e necessaria,cioè lo stesso concetto di legge.
La massima di “aumentare con tutti i mezzi sicuri le mie sostanze”,nel caso in cui ci si detenga un
deposito di qualcuno che è scomparso e che nessuno reclamerebbe,tale massima non potrebbe
essere legge perché non vi sarebbe più alcun deposito,il motivo determinante di tale massima,la
cupidigia,non è compatibile con la forma della legge. Ciò che deve essere presupposto affinchè ci
siano depositi sono certe obbligazioni o doveri,verso questi oggetti di obbligazione la ragione può
definire doveri assoluti,se vi sono obblighi non si può pensare la massima che li nega come legge né
darle validità oggettiva,onde negare il concetto di dovere.
Neanche la felicità può essere legge,perché ognuno ha come obiettivo il proprio benessere
negherebbe quello altrui.
La volontà è determinabile sono dalla forma della legge essa è libera,indipendente dalla legge di
causalità che regola i fenomeni. La libertà è identificata con la coscienza di sé di una ragione pura
pratica. Ma da dove si trae il concetto di liberta? Essa non è intuibile in modo diretto come dato di
esperienza ma la sua conoscenza viene dal fatto che il motivo determinate che viene dalla ragione
pura prevale sulle condizioni sensibili. La legge morale si presenta come causa che può determinare
per sé la volontà. Si diviene consapevoli della legge perché essa si presenta con carattere di
necessità e separazione da ogni inclinazione,come comando assoluto che prevale su esse e su tutti i
moventi fondati sull’amore di sé. La legge deve farsi essa stessa movente.
La legge ha la struttura di una massima (agisci in modo che la massima della tua volontà possa
valere come principio di legislazione universale),esprime necessità assoluta perché riferita a un
soggetto finito e con le sue inclinazioni.
La formula della legge e la massima generale del soggetto finito.
Ma la volontà ,che è facoltà di determinare se stessa all’agire in conformità alla rappresentazione di
leggi,per attuare questa determinazione ha bisogno di un fine. Il fine deve essere oggettivo e la
seconda formula è
Agisci in modo da trattare l’umanità,nella tua persona e in quella di ogni altro,sempre come fine e
mai come mezzo.
Il presupposto è che la natura razionale esiste come fine in sé e il fine oggettivo della legge è
l’umanità,la qualità che lo rende essere razionale.
La terza formula sintetizza il concetto di legge,quello dell’universalità,e il fine in sé. Il fine in
sé,diversamente da altri che sono soggettivi,vale incondizionatamente per ogni essere razionale. La
volontà del soggetto che agisce moralmente deve essere pensata come
una volontà universalmente legislatrice mediante le sue massime.
E contenuto il concetto di adeguamento della massima alla legge e dell’essere razionale come fine
in sé e soggetto universalmente legislatore. Esprime il concetto di autonomia,il regno dei fino in cui
le leggi sono definite dai rapporti tra i suoi membri.
Nelle tre formula abbiamo:
Una forma,universalità della legge
Una materia,il fine che è l’essere razionale
Una determinazione di tutte le massime che è la volontà universalmente legislatrice
La volontà quindi può avere come motivo determinante la forma della legge,un prodotto che è
proprio della ragion pura. Kant non deduce la legge della ragione da un nuovo principio ma essa è
un fatto di ragione,un principio sintetico a priori.
Non intuizione della legge,o dedotto da un argomentazione tramite sillogismo,ma la ragione è in
grado di concepire un motivo di determinazione non sensibile alle massime e può essere motivo
determinante la volontà. Mentre il pensare idee e organizzare le conoscenze non sono fatti
attraverso cui la ragione determina realmente qualcosa,la ragione pura è pratica,può determinare
con i suoi principi la volontà,attraverso la forma della legge. L’uso della categoria di causalità
permette di pensare la realtà della determinazione razionale della volontà.
La libertà è la condizione formale di tutte le massime,ogni massima che non si accorda con la legge
morale nega la libertà. All’autonomia si oppone l’eteronomia,la dipendenza ad un impulso e ka
volontà non si dà essa stessa la legge. Qualsiasi concezione in cui non sia la ragione pura pratica
stessa a stabile le leggi in base alle quali si deve agire si affida a un eteronomia,la ragione crede di
poter trovare il fondamento fuori di lei e non in sé medesima.
I MOTIVI DETERMINANTI
L’agire ha un oggetto o materia,ma bisogna agire in base a massime il cui motivo determinante non
sia la materia,la legge. Anche nel caso in cui si ha un oggetto moralmente valido,come la felicità di
altri,il motivo determinante non è questo oggetto ma l’universalità della legge. La felicità è il genere
di tutti i fini materiali. La materia compare nella massima ma non deve essere motivo.
I motivi determinanti dell’agire materiali si dividono in
Soggettivi,empirici e derivati dall’esperienza
1. esterni,collettivi = educazione(Montaigne)costrizione politica(Mendeville)
2. interni,individuali = benessere (Epicuro), sentimento morale
Oggettivi,di origine razionale.
1. la perfezione,Wolff e stoici
2. la volontà di dio (Crusius,teologi)
Questi motivi sono tutti materiali ed eteronomi,oggetti precostituiti rispetto alla volontà,non auto-
fondati dalla ragione
LA LIBERTA’
Il raggiungimento di un concetto positivo della libertà risultava dalla possibilità di usare la categoria
della causalità in modo non conoscitivo. L’oggetto della causalità è la determinazione della volontà
da parte della ragione e la determinazione della volontà da parte della ragione può essere mostrata.
Non si tratta di dedurre o spiegare la volontà o indicarne il fondamento ma quali siano le condizioni
per cui il soggetto morale si pensa libero. La volontà non può essere pensata se non come libera.
La determinazione della volontà viene pensata come causalità. Nella pura la causalità era una
categoria a priori dell’intelletto che unificava secondo un rapporto necessario di causa ed effetto il
molteplice dell’intuizione. La categoria aveva significato solo in riferimento a oggetti di intuizione
empiriche,di dio non è possibile dire che è causa perché manca la sua intuizione. Ma le categorie
hanno significato per se stesse anche se non producono alcuna conoscenza. Pensare la categoria di
causa è indispensabile per concepire enti intelligibili,come l’ente che rappresenta quell’unità
sistematica della natura,l’idea di dio come principio regolativo della ragione. Significa usare le
categorie in senso analogico,come la categoria di causa assume il significato di fondamento,anche
se non è possibile conoscenza alcuna.(rende solo pensabile il rapporto di dio con il mondo). Il
significato analogico della categoria di causa e di sostanza permette di pensare la libertà e il
soggetto di essa. La libertà non è oggetto di intuizione né lo è la legge morale,l’ordine intelligibile
delle cose dove avviene la determinazione pratica della libertà,è pensabile solo secondo la categoria
della causalità. Il soggetto pensa se stesso come causa grazie alla possibilità dell’uso non
conoscitivo delle categorie. È possibile pensare la causalità libera per la determinazione della
ragione,che equivale al fatto della determinazione della volontà per mezzo della legge. Il soggetto è
legislatore,agisce secondo la costituzione stessa della ragione,universalità e necessità in base alla
categoria di causalità. Essere coscienti della ragione pura come legislatore universale significa fare
uso non conoscitivo della categoria della causalità.
Pensare un intero mondo adeguato alla legge morale,che è il mondo intelligibile,perché l’azione
libera è possibile solo nell’ordine dei noumeni,come determinazione razionale della volontà che
deve avere effetto sui fenomeni. Se la natura è la totalità strutturata da leggi,come connessione di
oggetti secondo regole universali e necessarie. Nel mondo soprasensibile le leggi che regolano la
natura non valgono,perché gli autori sono gli stessi esseri razionali. L natura soprasensibile è sotto
l’autonomia della ragione pura pratica,come causa noumeno di tale mondo,ragione come causa
pratica libera. La natura soprasensibile è la natura archetipa,cioè il modello originario,la natura è
l’effetto dell’idea come natura modellata. La natura è l’effetto della natura archetipa se questa è
motivo determinante la volontà. Il mondo sensibile modellato su quello intelligibile è la comunità
degli esseri razionali. A fondamento delle leggi morali vi è l’esistenza delle categorie nel mondo
intelligibile della libertà,essa dimostra la sua realtà non con spiegazioni ma nel suo operare,così
come non si possono spiegare l’esistenza dell’intelletto puro. La ragione pura pratica si dà come
fatto,perché determina la volontà, si tratta di partire dal suo darsi,di fondarlo,non c’è deduzione. Il
fatto della ragion pura è apoditticamente certo,per la capacità della ragione di determinare la
volontà attraverso un principio formale,la legge che è caratteristica della ragione soltanto. Alla
critica spetta solo di mostrare le condizioni oggettive in base alla quali la ragione pratica si dà. La
legge morale è una legge della causalità mediante la libertà,che esige in sé la libertà. Fatto della
ragione = alla libertà,la deduzione consiste nel mostrare tale identità,non si tratta di risalire dal dato
alla sua condizione ma di comprendere come la libertà sia una realtà oggettiva. Se nella
Fondazione la libertà era un idea con realtà incerta,nella critica essa è determinabile solo in
relazione alla legge,come determinazione razionale della volontà. La realtà oggettiva della libertà è
la sua natura soprasensibile,la ragione è causa efficiente nell’esperienza tramite idee,essa rende
possibile l’esperienza pratica. Mondo soprasensibile come mondo di leggi morali indipendenti dalla
sensibilità,come motivo determinante pratico. Nella critica della pura la ragione poteva pensare la
libertà come pura possibilità,in base alla distinzione tra fenomeni e noumeni,ma non poteva
realizzare tale pensiero,dargli realtà. La ragione poteva pensare un concetto di causa prima,come
dio,ma pensarla come fondamento del mondo e conoscerla era illusorio. La ragione pratica non
estende il concetto di causalità,applicabile solo ai fenomeni,oltre l’esperienza,perché in tal caso si
avrebbe intuizione intellettuale che scavalchi le forme a priori di spazio e tempo. L’uso
schematizzato della categoria di causa ha come oggetto le intuizioni determinate. Pensarla come
riferita a oggetti in genere significa pensarla come tale,e il fatto della ragione fornisce oggetto alla
categoria di causa,che ha come oggetto,quindi,la determinazione della volontà per mezzo della
legge morale. Causa è il fatto che la ragione si pensi come causa noumenon ,in grado di
determinare praticamente la volontà,ciò era vietato nell’uso conoscitivo che si rivelava nel concetto
di dio come causa prima. La causa trova il suo oggetto non in dio ma nelle massime in cui la
ragione esprime il suo essere causa,nell’assumere come movente la legge. È un estensione della
ragion pura,n base alla quale è possibile pensare la ragione pratica. La causalità è la categoria con la
quale si pensa la volontà,che agisce solo in base alla forma della legge. Essa agisce realmente
avente come motivo determinato la legge. Per l’idea di libertà non è da compiere analogia,perché
essa ha come oggetto soprasensibile il fatto della ragione,mentre le categorie producono gli oggetti
per analogia.
DELUCIDAZIONE CRITICA DELL’ANALITICA DELLA RAGION PURA PRATICA
Le categorie dinamiche,come la causalità,riguardano il modo e la relazione secondo cui è unificato
il molteplice,quindi la connessione con l’oggetto può anche esser solo pensata e non intuita come
per le categorie matematiche. Esse possono essere riferite a un oggetto intelligibile pensato,anche
senza sfociare nella pretesa della conoscenza di una causa prima. Il fatto di ragione permette alla
categoria di causalità di trasformare il realtà ciò che era solo una possibilità,perché fornisce un
oggetto alla categoria non schematizzata di causalità. La causalità permette di pensare dal punto di
vista pratico la determinazione libera della volontà e il mondo intelligibile ottiene realtà,che entra in
azione quando la ragione determina la volontà. Il fatto della ragione permette di pensare in modo
positivo il contenuto della seconda idea dinamica,quella di essere necessario,riferendola al soggetto
morale. Solo la mediazione dell’idea di causa,risalire di causa in causa,permetteva di giungere a una
causa prima e necessaria. Si aveva l’idea di causa prima ma non di un essere necessario. Nel campo
pratico non si deve utilizzare in senso analogico le categorie per dare contenuto all’idea di dio,ma
l’idea di dio come esterno al mondo e causa di esso è traslazione del concetto di ragione pura
pratica, il soggetto morale agisce liberamente ma nel mondo sensibile.
L’OGGETTO DELLA RAGION PRATICA
La ragione pura pratica è principio supremo dell’agire. Nella fondazione l’unica cosa assolutamente
buona era la volontà,il bene sta nel Gesinnung,l’intenzione, come rapporto soggettivo che il
soggetto
morale ha con la sua motivazione all’agire. Ogni azione ha un oggetto,un fine o materia. Se
l’intenzione qualifica il rapporto soggettivo tra motivo determinante e volontà(può essere buona o
derivar dal principio dell’amore di sé),il fine è sempre particolare,fondamento oggettivo della
volontà nel compiere l’azione. Ma se si danno intenzioni buone deve anche darsi un fine oggettivo
che valga universalmente,che non si riduca a uno scopo particolare. Deve avere un oggetto che
valga per tutti gli esseri razionali,fine universale e necessario.
Nella Critica parte dal concetto di oggetto della ragion pratica,questo concetto consiste nella
rappresentazione della cosa che si pensa di ottenere con la ragione. Non si tratta di definire il bene
ma come la ragione pensa il suo oggetto.
Gegenstand = la rappresentazione di un oggetto come effetto possibile mediante la libertà
Objekt,la cosa determinata come risultato dell’azione. Anche l’oggetto della ragione pratica
può essere ricondotto a quello della pura,pensato nei suoi caratteri universali come il 1
termine. Altrimenti non si darebbe alcuna ragione pura pratica,ma solo fini soggettivi
determinanti l’azione.
L’intenzione è buona se ci è la determinazione della volontà da parte della ragione pura,cattiva se
determinazione da parte di un oggetto della facoltà del desiderare.
Tutte le concezioni morali che si fondano sulla concezione di bene hanno proposto diverse
concezioni del piacere,di ciò cge rende felici e hanno come oggetto qualocsa della facoltà di
desiderare. Il piacer è indeterminabile in senso oggettivo e universale,perché è una forma di
piacere,impossibile determinare a priori.
Gut= bene in senso morale
Bose =male → relazione alla volontà,tra motivo determinante e volontà,bene e male in sé.
Wohl = bene come vantaggio,interesse → relazioni al nostro stato di piacere e dispiacere
Ubel = male come danno,dispiacere
La qualificazione di bene e male sta nel rapporto che il soggetto ha con la sua intenzione nel
produrre l’oggetto.
L’oggetto della ragione pura pratica non è la cosa che si vuole ottenere con l’azione,ma è la ragione
come motivo determinante la volontà. L’oggetto non è ciò che si desidera,non è una cosa buona ma
l’assunzione di un motivo morale. La volontà buona è quella che ha come motivo determinate la
ragione pura,la legge,bene assoluto. Il bene non è il fondamento del principio dell’agire ma è
determinato solo a partire dalla legge,foriera di universalità e non contingenza come il piacere. Le
filosofie morali precedenti avevano posto il fondamento dell’agire in un oggetto della volontà,la
volontà doveva trarre i suoi motivi determinanti da tale oggetto distinto dalla volontà: 1
1 LE CATEGORIE DELLA LIBERTA
Deve dimostrare che la ragione pratica contiene necessariamente una ragione pura. Bene e male sono i soli oggetti della
pura che non deve avere come oggetti cose,unico oggetto è l’assunzione del movente,il bene per essenza dell’
intenzione buona,la buona volontà. Bene e male non sono categorie della ragione pura pratica che producono oggetti,ma
sono l’affermazione o la negazione della ragione pura pratica nell’agire. La ragione è causa e il bene è l’effetto possibile
di questa causalità riferita a un oggetto in genere. Le azioni da un lato appartengono a una legge della
libertà,intelligibile,ma dall’altro a fenomeni. Problema dell’interazione tra libertà e natura. le categorie della libertà
svolgono una mediazione tra concetti di bene e male e gli oggetti desiderato o aborriti,utilizzando le categorie
dell’intelletto. Le categorie unificano il molteplice dei fenomeni della facoltà del desiderare sotto la ragione pura
pratica,sotto l’unità della legge morale. (comprendere l’azione di aiutare (desiderata o aborrita) come buona. Questa
unificazione permette di formulare massime soggettive come leggi,per subordinare la materia alla legge morale. Queste
La felicità,Epicuro
La perfezione,Wolff
La volontà di dio,Crusius
TIPICA DEL GIUDIZIO PURO PRATICO
Segna la distanza della critica dalla fondazione. Ha per oggetto il problema della concreta
applicazione della legge della ragione attraverso la scelta di massime che abbiano tale legge come
motivo determinante. La legge o imperativo categorico può esprimersi sono in una proposizione che
indichi necessità assoluta e incondizionata,supremazia della ragione su tutti i moventi non razionali.
Esso enuncia il concetto di dovere come tale,ma la conformità di un soggetto alla legge non è
espressa dalla legge stessa. Il concetto di legge fornisce la regola dell’universalità e della necessità
con cui il soggetto deve pensare le sue massime. Con il giudizio pratico bisogna applicare la legge
morale a un azione,ma la legge è legge della libertà,il problema è la possibilità morale dell’oggetto
dell’azione. Come la volontà può riferirsi alla legge,utilizzarla per la sua determinazione. Lo
schema della legge morale è la formula dell’imperativo,cioè l’universalità e necessità,l’unico modo
in cui il comando della ragione può essere compreso in relazione all’azione. La ragione pura per
capire il modo in cui determina la volontà non può ricorrere alla sensibilità,dove non vi è
universalità,ma deve ricorrere all’intelletto e alla categoria di causalità,utilizzandone la forma,cioè
l’universalità.
Giudicare secondo la formula dell’imperativo,che non significa solo universalizzare il proprio
comportamento ma è anche il tipo di giudizio morale. Ma la legge della ragione è frutto di un
procedimento analogico con la legge di natura. chiunque per conoscere e agire pensa una certa
connessione come necessaria e universale,per sapere che da una certa mia azione scaturirà una certa
conseguenza,devo presupporre la legalità naturale del nesso di causa e effetto. La ragione come
facoltà che medi l’applicazione alla natura ha l’intelletto, è obbligata a servirsi della legge naturale
come tipo di giudizio,perché la forma della legge è sempre una forma di causalità.
I MOVENTI
Si deve determinare in che modo la legge morale diventa movente.
Motivo determinante = causa dell’atto di volontà,fondamento in senso oggettivo dell’azione
Movente = fondamento interno dell’atto di volontà,incluso nella massima,causa dell’azione
dal punto di vista soggettivo.
La ragione non è in grado di comprendere come una legge possa farsi motivo determinante,si tratta
solo di dimostrare il modo in cui la legge,facendosi movente,ha un effetto sensibile sulla facoltà di
desiderare. L’unico oggetto in grado di determinare la volontà è una rappresentazione a priori del
bene,assunzione della legge come intenzione.
Moralità = assunzione della legge morale come movente. Assunzione della legge per la
legge,non per il piacere o l’interesse nel fare qualcosa. Valore morale perché immediato
fondarsi della volontà sulla legge,il rapporto dell’azione con il suo motivo determinante,cioè
l’intenzione. Altri moventi che non siano la legge hanno il carattere specifico dell’essere
sensibile e l’effetto della legge morale come morale è percepito come impulso
categorie significano per se stesse,senza aver bisogno di oggetti,riferite al libero arbitrio facoltà di fare e non
fare,scegliendo se compiere o no un azione. La scelta è sempre riferita alla libertà anche se non compiuta in base alla
libertà,perché non hanno come fondamento la legge. Sono conoscenze perché producono il loro oggetto,bene o male,in
riferimento alla legge. Mostrare come i modi di subordinazione del molteplice dei desideri alla volontà implica ordinar
in un certo modo la materia e produrre un preciso significato morale,un modo di metterli in rapporto con la legge.
Le categorie riguardano i concetti di bene e male in senso generale,con il passaggio da massime a leggi,da concetti di
bene e male al bene e male morali determinati.
negativo,perché nega gli impulsi sensibili. La legge morale espelle dal movente l’oggetto
contenuto nella massima e il sentimento connesso a esso. Dolore è la negazione degli
impulsi sensibili da parte della legge e l’amor di sé deve essere negato. Il sentimento
suscitato dalla legge è il rispetto, che è a priori e il suo fondamento è la ragione e non la
sensibilità. A priori perché la legge determina positivamente la libertà e perché la legge
nega le inclinazioni e umilia il nostro amor di sé. È la ragione,per mezzo della
sensibilità,che produce tale sentimento. Il rispetto viene dal giudizio della ragione sulla sua
affermazione sulla sensibilità,rappresentazione della superiorità della legge che la ragione
produce,percepita attraverso la negazione delle passioni,come movente a fare della legge
una massima. L’effetto della legge sul sentimento è quello di un umiliazione del lato
sensibile,come effetto della negazione di un ostacolo alla moralità. Il rispetto è l’unico modo
in cui esseri razionali sensibili,possono mettersi in rapporto concretamente col farsi
movente delle legge morale.
Legalità = l’azione avviene solo per la legge.
Il concetto di rispetto sostituisce quello di interesse della fondazione,ma l’oggetto denotato è lo
stesso,l’assunzione della legge da parte della volontà ma nella critica l’interesse è ciò che è visto da
lato della ragione e non della sensibilità. La ragione pura pratica ha come suo oggetto l’intenzione
buona,interesse morale è la rappresentazione razionale del rispetto. Ma è solo per gli esseri finiti e
sensibili che vale il concetto di dovere,come assoggettamento libero della volontà alla legge,che è
un costringi mento pratico. Il rispetto è il cuore della distinzione tra moralità e legalità,quando vi è
legalità il sentimento non è mail rispetto della legge ma un piacere o dispiacere prodotto da un
oggetto. il rispetto definisce una soggettività moderna che possiede un ambito di decisione morale
proprio,non più riferito a criteri esterni.
La santità rappresenta un ideale non raggiungibile da nessuna creatura,funge da modello.
Dall’illusione che l’uomo compia il dovere volentieri,come pretende l’interpretazione catechistica
del comandamento ama dio sopra ogni cosa e il tuo prossimo come te stesso,viene il fanatismo
religioso e pensare l’attuazione della morale come l’effetto della santità.
Il grado morale dell’uomo è solo quello del rispetto per la legge,negando le inclinazioni,evitando i
fanatismi morali fondati sull’illusione degli uomini superiori e insensibili alle passioni. Contro
l’empirismo morale afferma che l’uomo è capace di concepire l’ideale della santità,ma è anche un
essere sensibile e finito.
Kant chiama la partecipazione dell’uomo come essere finito alla santità attraverso il suo essere
soggetto alla legge morale la personalità,la libertà e indipendenza dal meccanismo della
natura,come soggetto di leggi date dalla sua propria ragione. Attraverso la personalità si ammette la
partecipazione dell’essere finito alla santità attraverso il rispetto,criterio in base al quale è possibile
agire oltre la legalità(osservare le leggi,non ingannare il prossimo…)
Ma la ragione pratica non vuole che si rinunci alla felicità,ma che,nel dovere,non si abbia riguardi
per essa. La felicità non è opposta alla moralità ma è un suo elemento necessario.
FATTO DI RAGIONE
La libertà è trascendentale,a priori alla ragione pratica come condizione del suo poter agire secondo
qualcosa di esclusivamente suo,la forma della legge,che si manifesta attraverso il rispetto. La
determinazione della volontà,se deve essere pensata libera,non può essere pensata come evento che
accade nel tempo,che ha significato solo per i fenomeni e non per le cose in sé. L’oggetto della
polemica è Mendelhsoon,che gli muoveva l’accusa di spinozismo,con la negazione della libertà.
Negazione dovuta al concetto di creazione divina,di dio come causa efficiente del mondo. se si
facesse cadere la libertà nel tempo si cadrebbe nel fatalismo,dove ogni evento sta in una catena
causale necessaria. Anche Leibniz pensava l’agire come prodotto non da una causa esterna ma
interna al soggetto,necessità naturale dell’azione. Le filosofie che ammettono la libertà e poi
attribuiscono la presenza di una necessità esterna o interna sono contraddittorie. Tutte le azioni
dell’uomo sarebbero create e il tempo e spazio apparterebbero all’esistenza delle cose in sé. La
metafisica della creazione di Wolff e Crusius non può uscire da questa impasse. Mendelshon
considera dio fuori dal tempo e spazio ma creatore delle cose finite che sono in essi. Per Kant si
rimetterebbe dio nel tempo e nello spazio,l’unica soluzione,se non si ammette l’idealità di tempo e
spazio,distinzione tra fenomeni e noumeni che è proprio dello spinozismo,secondo cui spazio e
tempo sono determinazioni essenziali di dio. È coerente perché presuppone un'unica sostanza
infinita,facendo delle cose finite suoi attributi.. il concetto di creazione,non essendo possibile di
esperienza,è riferibile solo ai noumeni. Incompatibilità tra la libertà e il concetto di dio come
creatore mondo. dio si definisce solo in base a un essere finito,come idea di santità e perfezione.
IL PRIMATO DELLA PRATICA SULLA PURA
La ragione pura nel suo uso pratico determina la pura nel suo uso speculativo,viene prima. La
ragione speculativa deve ammettere delle proposizioni ,i postulati,perché fungono da presupposti
dell’agire morale,non perché producano conoscenze. Determinati dall’interesse della ragione
pratica,un principio che contiene le condizioni in base alle quali viene promosso l’esercizio di tali
facoltà. L’interesse dell’uso speculativo consiste nella conoscenza dell’oggetto sino ai principi a
priori. l’interesse della pratica nella determinazione della volontà relativamente al fine ultimo,ossia
al sommo bene, ma è sempre una la ragione che giudica sotto principi a priori,e la ragione ha come
suo massimo interesse la sua estensione,e solo la pratica permette questa estensione attraverso
proposizioni conoscitivamente indimostrabili.
LA DIALETTICA
La connessione di concetti suppone l’incondizionato per tutto il condizionato. Incondizionata è la
ragione pura nel suo essere pratica,essa ha già il suo incondizionato,la legge,ma non può cercare la
totalità incondizionata del suo oggetto,il sommo bene. non il bene di una singola azione ma del bene
perfetto,sommo. Il suo principio incondizionato pratico,la legge,esige un oggetto incondizionato ma
non può determinare questo oggetto. ma è sempre la legge a determinare il sommo bene,che non è
motivo determinante della volontà perché il movente è assoluta indipendenza da ogni materia,da
ogni oggetto. il sommo bene è pur sempre un oggetto della ragione pura pratica,l’unico oggetto che
la ragione deve avere.
Il bene supremo è la condizione prima di ogni bene,il bene per essenza o la virtù. La virtù non solo
come sforzo nell’attuazione del movente morale,ma come merito di essere felice. La virtù non è il
sommo bene nella sua compiuta totalità,perché manca la felicità effettivamente ottenuta, la ragione
deve volere anche la felicità. Il sommo bene è virtù e felicità effettivamente ottenuta. Questo
bisogno è il risultato di una rappresentazione necessaria di un essere onnipotente e infinito,come
l’idea di dio
La ragione pura pratica si trova dinnanzi a un antinomia:
Da un lato l’impossibilità di considerare la felicità come qualcosa di identico e
analiticamente contenuto nella virtù
Dall’altro la necessità che la felicità sia la conseguenza della virtù
Autentica alternativa in cui una è vera e l’altra è falsa. Se si considera l’esistenza noumenica del
soggetto,il sommo bene è possibile considerando la virtù come causa e la felicità come effetto del
mondo sensibile. Il conflitto della ragione pratica con se stessa nasce dal, fatto che si illude della
connessione immediata tra moralità e felicità. Senza la distinzione tra fenomeni e noumeni non
sarebbe possibile pensare il sommo bene come qualcosa che sta nel mondo,garantito
dall’osservanza esatta della legge. La felicità non può consistere nella sola virtù,nella contentezza di
sé che viene dall’essere indipendente dalle inclinazioni. La felicità viene ricondotta all’interno
dell’intenzione,a livello individuale. La contentezza non è la felicità ma solo l’attestazione del
merito.
IL TERZO POSTULATO: LA LIBERTA’
La realtà oggettiva delle idee è solo pratica,fondamento del’uso pratico della ragione. L’idea della
libertà tratta dell’idea di un mondo intelligibile,il cui la ragione si pensa come causa noumenon.
Mentre anima e dio sono presupposti dell’attuabilità della virtù e del bene sommo,virtù +
felicità,l’idea del mondo intelligibile non deve essere dimostrata dal concetto di sommo bene, ma è
risultato immediato delle legge morale.
I postulati costituiscono un estensione della ragione,anche speculativa. Legge pratica,attraverso il
fine a priori del sommo bene,afferma la realtà pratica di tali pensieri,fornisce a essi oggetti per l’uso
pratico della ragione. Non è la conoscenza di tali oggetti a essere estesa,ma la conoscenza teoretica
in generale,deve ammettere la ragione la realtà pratica di tali oggetti. Tale legittimità sta nell’uso
analogico delle categorie dinamiche (relazione e modalità),e ciò che fornisce oggetto alle categorie
è la ragione pratica con i postulati. A partire dalla realtà del concetto di libertà è provata anche la
realtà oggettiva di dio e anima. Con il fatto di ragione si può dare realtà oggettiva alla relazione
causale tra intelletto,ragione pura che produce universalità della legge,e la volontà. Il concetto di
dio non appartiene né alla fisica né alla metafisica,come causa del mondo o provare sua esistenza
tramite ragionamenti ma solo concepibile mediante il concetto pratico di sommo bene. non illusione
di conoscere teoreticamente il soprasensibile o vedere dio in veste antropomorfica come paterno e
vendicatore. Ma senza sommo bene verrebbe meno la legge.,necessità soggettiva della ragione di
postularlo ma non di determinarne condizioni fisiche o metafisiche ma solo premessa per ogni
azione morale. La fede non può essere dovere ma solo una soddisfazione di un bisogno della
ragione,riguardo il merito di essere felici. La possibilità per la ragione speculativa di comprendere
l’unità delle leggi di natura e quelle della libertà è la sua finitezza,da qui l’adesione della ragione ai
postulati,come bisogno della ragione . la ragione,condizionata dalla sua finitezza,cerca un principio
che la faccia considerare veri i postulati. La fede è una libera scelta a cui il giudizio da il suo
assenso,sulla base dell’interesse pratico.
L’incertezza soggettiva della ragione riguardo l’esistenza di dio sta nel suo limite,quindi il valore di
verità dei postulati è quello della realtà oggettiva pratica
LA ragione non serve solo a dirigere la conoscenza ma anche l’azione. Kant distingue tra una
ragion pura pratica che opera indipenden. Dall’esperienza e dalla sensibilità e una ragione empirica
pratica che opera sulla base di esse. Si deve dimostrare che la ragione pura ha in quanto tale un uso
pratico.
Poiché la dimensione della morale si identifica con la ragion pura pratica,la critica deve distinguere
tra una ragione pura pratica che obbedisce a una legge universale e non deve essere criticata,e una
ragione non pura ma legata all’esperienza e non legittima dal punto di vista morale.
Questa deve essere sottoposta a critica per la pretesa della ragione di essere legata all’esperienza.
Nella ragion pratica le pretese di andare oltre i limiti legittimi sono i quella empirica che vorrebbe
essa sola determinare la volontà(mentre nella ragione teoretica le pretese della ragione erano di fare
a meno dell’esperienza per conoscere l’oggetto).
Nn è un caso che il titolo non sia critica della ragion pura pratica ma solo pratica perché solo quella
pura è pratica in modo incondizionato,perciò la critica non vale sulla pura ma sulla pratica con
l’obbligo di contestare alla ragione condizionata empiricamente la pretesa di costituire essa sola il
movente determinante della volontà.
Nel campo morale la ragione non è condizionata dai fenomeni come nel mondo della conoscenza
ma è condizionata dall’essere finito dell’uomo e dalla resistenza della natura sensibile che incontra.
Tale resistenza obbliga la legge morale ad assumere la forma del dovere.
Il problema di Kant è se vi siano azioni che abbiano come fondamento,come causa determinante,la
ragione in quanto tale,l’agire secondo il dovere e non secondo motivazioni determinate,come la
compassione,l’interesse, e il desiderio di sembrare in un modo). L’azione non deve essere motivata
dall’oggetto e dalla sensibilità ma dalla ragione pura.
ASSOLUTEZZA DELLA LEGGE MORALE
Il motivo che sta alla base della critica della ragion pratica è la persuasione che esista nell’uomo una
legge morale a priori valida per tutti e per sempre,come nel campo teoretico le forme a priori
dell’intelletto universali e necessarie. Tale legge non deve essere dedotta o inventata ma solo
constatata come un fatto della ragion pura di cui siamo apoditticamente certi e di cui abbiamo
consapevolezza a priori.
Che esiste una legge morale assoluta e incondizionata è qualcosa di cui nn si ha
dubbi,presupponendo una ragion pratica pura capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili e
guidare la condotta in modo stabile.
Essendo indipend. Dagli impulsi sensibili la legge risulterà essere universale e necessaria,cioè
immutabile e uguale a se stessa.
La morale è assoluta,sciolta dai condizionamenti istintuali non perché prescinde da essi ma perché è
in grado di decondizionarsi rispetto a essi,polarità ragione sensibilità.
Questa bidimensionalità fa si che l’agire morale prende la forma del dovere e si concretizzi in una
lotta tra ragione e impulsi egoistici perché la natura dell’uomo è finita,limitata e imperfetta che può
agire pro o contro la legge.
Volontà buona nella Fondazione della metafisica dei costumi
Nella Critica si tratta di indicare i principi paratici della ragione usati per determinare o regolare la
volontà,come facoltà dell’essere razionale finito.
L’uomo,infatti,non agisce secondo le leggi della natura ma secondo la rappresentazione della legge
e nel riconoscimento che le leggi rappresentate devono essere i principi del suo agire.
Se la ragione ci è data come capacità di influenzare la volontà,la sua vera destinazione è quella di
produrre un volere che sia buono non in vista di altro ma di se stesso.
La Fondazione inizia col dire che buona senza limitazioni è la volontà buona,perché i talenti
dello spirito come l’intelligenza,la ricchezza per quanti siano apprezzabili e desiderabili nn
possono essere detti illimitatamente buoni perché possono mutarsi in cose dannose se nn è
buona la volontà che ne fa uso. Il bene non è un carattere metafisico delle cose o del
mondo,perché esso sta nell’intenzione del soggetto con il proprio motivo determinante l’agire.
L’imperativo categorico non riguarda la materia dell’azione ma la forma e il principio che
determina l’azione,in ciò il Bene per essenza,come rapporto tra volontà e motivo determinante,l’
intenzione. Ogni determinazione della volontà ha un fine,e tale fine deve essere oggettivo,che valga
universalmente e non all’ottenimento di fini particolari. Da un lato un oggetto assoluto della
volontà,un fine che valga per tutti gli esseri razionali, da un altro questo fine deve essere contenuto
nei vari risultati particolari che la volontà si prefigge di ottenere. Il fine in se stesso è quello
universale e necessario cioè l’essere razionale.
La buona volontà consiste nella conformità al dovere,la legge morale nella forma del comando che
ha senso solo per quei soggetti la cui volontà non è buona necessariamente perché dipendente da
inclinazioni sensibili. Un comando ha un senso solo se quanto esso richieda non venga compiuto
necessariamente e spontaneamente,non ha senso la dove non vi è possibilità di trasgredirlo.
SANTITA’
Pensare a dio come modello di santità,come l’ideale di un ente perfetto, in contrasto con il rapporto
che con la legge morale intrattiene un ente imperfetto come l’uomo.
La perfezione della volontà di dio significa adeguazione spontanea a quanto prescritto dalla legge
morale, la sua volontà è santa perché non è possibile che violi la legge morale,come impossibilita
logica perché sarebbe contraddittorio che un ente perfetto volesse qlcs in contrasto con la legge
morale. La nozione di un ente perfetto include anche quella di santità (proposizione analitica).
Nulla opera nella sua volontà in contrasto con tale legge perciò dio la segue sempre e
necessariamente. Dio non è un ente morale ma è santo.
Opera secondo la ragione pura perché non trova possibili inclinazioni in contrasto con essa,mentre
negli uomini tale duplicità è presente perciò la ragione deve imporre i suoi comandi alla volontà
reprimendo tali inclinazioni o desideri.
Senza tale antagonismo non si darebbe moralità,che si da solo se vi può essere anche la violazione
della legge pratica,è propria di enti finiti con volontà imperfetta.
La virtù morale è la vittoria nella lotta contro le inclinazioni sensibili e il merito degli enti finiti che
sacrificano le loro inclinazioni sensibili.
L’essenza della moralità è l’imperativo categorico,subordinare la ricerca della propria felicita al
rispetto della legge. La santità è un ideale limite della moralità(agisci in modo da approssimarti
sempre più alla santità) ma tale ideale è irraggiungibile per le creature.
Egli critica chi si crede al di sopra dell’imperativo,perché crede che per essere buoni moralmente nn
si abbia bisogno di alcuna imposizione e lotta contro le inclinazioni dissonanti,di chi si considera
dotato di un inclinazione morale spontanea e disprezzi coloro che compiono con fatica e sforzo
quanto imposto dalla legge morale. Simile atteggiamento narcisistico è proprio dei romanzieri e
pedagogisti sentimentali che presentano personaggi ispirati da una bontà nn bisognosa i sprone o
freno facendo perdere di vista il duro dovere,l’essenza della moralità perché nn si da virtù senza
sacrificio. Si scaglia contro un atteggiamento diffuso ai suoi tempi.
IL DOVERE
Se il concetto primo della morale è quello di obbligazione,(il si deve fare o nn fare tale cosa),cioè il
dovere,allora ogni dovere esprime una necessità di azione.
Ci sono 3 possibilità per adempiere al dovere:
1. si può essere ligi al dovere e tuttavia essere determinati dall’interesse personale;ciò vale per
l’uomo d’affari che per paura di perdere i propri clienti tratta onestamente anche compratori
inesperti.
2. si può agire conformemente al dovere con un inclinazione immediata verso il dovere;per
esempio se si aiuta qualcuno per simpatia.
Entrambe azioni conformi al dovere ma non motivate da esso,azioni legali ma nn morali perchè il
motivo determinate la volontà è un fine soggettivo. Si fa qualcosa come mezzo in vista di un
fine,necessità condizionata dal fine
3. si può agire puramente per dovere,il motivo determinate la volontà è la ragione pura pratica
che esige l’azione assolutamente per se e nn in vista di scopi soggettivi.
L’IMPERATIVI IPOTETICI E CATEGORICI nella FONDAZIONE
Nella Fondazione Kant sosteneva che solo gli enti dotati di ragione possono agire secondo la
rappresentazione di principi e ad agire secondo principi è la volontà. La volontà degli enti razionali
nn è perfetta perché può determinarsi secondo la legge morale ma anche secondo desideri e
inclinazioni sensibili cosi che alla necessita oggettiva nn si accompagna una soggettiva come in dio.
La volontà si trova a un bivio e la scelta secondo la legge nn è automatica ma risultato di una
costrizione ai danni dei desideri,come un comando. La formulazione linguistica di tale comando è
l’imperativo,cosi si presenta agli uomini la legge morale: comando della ragione alla volontà.
Imperativi sono le regole pratiche oggettive che contrastano con le inclinazioni,affermano la
necessità di un azione prescindendo dalle inclinazioni del soggetto.
Gli imperativi si dividono in: ipotetici e categorici
1. Gli imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi(o modi di agire) come buoni in vista di fini
soggettivi ma che possono essere anche cattivi dal punto di vista morale.
Essi si specificano in :
gli imperativi tecnici dell’abilita, illustrano norme tecniche per raggiungere uno scopo
(insieme di norme o procedure per sapere come costruire una macchina.)
consigli della prudenza, prescrivono azioni come mezzi per ottenere il benessere o la
felicità. (manuali della salute o per ottenere il successo)
Sono i. condizionati dalla volontà del fine,se.. allora devi. Imperativi per il devi,ipotetici per il se
vuoi. Il proponimento nn è necessario.(il comandamento sussiste solo quando ci si propone di
diventare ricchi).
Ma anche essi sono oggettivi e categorici, anche se condizionati soggettivamente, perché essi sono
in contrasto con alcune inclinazioni e richiedono il sacrificio di esse a vantaggio di altre. A venire
repressi sono i desideri in conflitto con quelli che senza tali sacrifici nn potrebbero venir soddisfatti.
Se nn vi è sacrificio di nessuna inclinazione l’azione è impulsiva,fuori dall’agire secondo principi.
Invece ogni esercizio che richieda abilita richiede un qualche grado di impegno e fatica,come anche
per i consigli di prudenza,come sacrifici di inclinazioni presenti nella prospettiva di soddisfare
inclinazioni a termine piu lungo.
2. l’imperativo categorico ordina il dovere in modo incondizionato (devi e basta!) a
prescindere da qualsiasi scopo. Rappresenta un azione come in se stessa oggettivamente
necessitante. Solo esso che è indipendente dagli impulsi sensibili ha i caratteri della
moralità e i connotati della legge. Essa è un principio oggettivo avente validità universale e
necessaria, secondo il quale si è obbligati ad agire tutti incondizionatamente anche quando
la natura sensibile contrasta con tale obbligazione. L’imperativo categorico potrebbe
essere:adotta quale massima la legge morale. La legge è inscritta nella razionalità stessa sia
umana che divina che solo per l’uomo assume il carattere di imperativo perché la sua
volontà nn è santa.
La proposizione ipotetica “se vedi qualcuno in necessita aiutalo”è categorico perché impone a tutti
di agire in tale modo. L’assolutezza del comando si fonda sulla forma della legge,cioè sulla sua
universalità. esso si concretizza nella prescrizione di agire secondo una massima che può valere
come legge,per tutti.
Gli imperativi categorici presentano un modo di agire come modo in se stesso (l’unica cosa che sia
buona in se stessa è la volontà buona) e quelli ipotetici come buono in quanto mezzo.
LE MASSIME
Massima significa principio soggettivo del volere e legge oggettivo,ma a determinarsi secondo tali
principi è sempre la volontà che è una facoltà del soggetto,è un atto soggettivo. Quando il soggetto
fa propria una qualsiasi regola pratica come fondamento del suo agire,essa è sempre una massima.
Massima è la proposizione con cui il soggetto si rappresenta il rapporto imperativo con la legge,cioè
con la sua universalità e necessità. Da sola la legge morale nn fa alcun che,siamo noi con la nostra
volontà a determinarci pro o contro essa.
La massima indicherà sempre un principio pratico soggettivo ma
in alcuni casi solo soggettivo e in contrasto con la legge
in altri in accordo con la legge L’imperativo categorico potrebbe essere:adotta quale
massima la legge morale.
Dalla soggettività nn è dato uscire dal momento che si ha a che fare con la volontà. E la moralità o
meno dell’agire consiste proprio nel genere di massime che si fanno proprie.
Le massime hanno per contenuto il modo in cui si conduce la propria vita nella totalità e in rapporto
alla convivenza con gli altri.
IL TEST DI UNIVERSALIZZAZIONE
La forma della legge è l’universalità e la volontà,come massima,ha la necessità di conformarsi a
questa legge.
Se la forma della legge morale è l’universalità,Kant avanza la seguente formulazione dell’i.
categorico: agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere come principio di
legislazione universale.”
L’imperativo categorico è quel comando che prescrive di tenere sempre presenti gli altri e che ricorda
che un comportamento risulta morale solo se supera il test della generalizzabilità,ossia la sua massima
appare universalizzabile per garantire i rapporti di convivenza umani.
Per valutare moralmente una massima soggettiva bisogna porsi tale domanda critica:che accadrebbe
se tutti si comportassero sempre cosi? Propone di trasferire qualsiasi questione morale dal caso
singolo(e lecito questo comportamento?) al caso generale(pensa se tutti si comportassero cosi). Si è
invitati a considerare le conseguenze di un comportamento.
L’universalizzazione esamina se l’orizzonte di vita soggettivo posto in una massima può essere voluto
a una comunità di persone.
Test per controllare se tali massime possono valere o nn come leggi,cioè se un certo comportamento
potrebbe avere le caratteristiche di universalità e necessita proprie della legge.
L’esempio fatto da Kant per illustrare questa massima è quello della promessa. Ci si domanda se sia
lecito in caso di difficoltà,fare una promessa con il proposito segreto di non mantenerla. Applicando il
criterio dell’universalizzabilità della massima,ciò renderebbe impossibile il promettere qualcosa
perché nessuno crederebbe a ciò che viene promesso. A prima vista sembra che Kant pensando alle
conseguenze dannose per l’interesse pubblico e privato che l’universale. Di tale massima
comporterebbe,faccia appello a una specie di utilitarismo sociale.
Ma Kant vuol dire che una tale massima nn può essere voluta come legge universale perché è la
negazione di ogni legge,cioè lungi da instaurare una comunità instaura un ordine contro le leggi.
Tale comportamento può essere adottato di fatto ma nn è pensabile rendere tale comportamento
generalizzabile perché nell’universalizzazione del nn mantenimento delle promesse si estingue la
convivenza razionale. Si tratterebbe di una negazione del senso che sostiene la massima stessa,la
nozione di prestito perde di senso assieme a quella di restituzione. ( l’imperativo categorico nn si
interessa dei motivi per i quali nn si mantiene la promessa,seppur validi).
Nella Fondazione troviamo altre 2 formule. La prima afferma che la natura dell’uomo deve essere
trattata sempre come fine mai come mezzo.
Il rispetto della dignità umana che è in te e in altri evitando di ridurre l’altro a mezzo del proprio
egoismo o passioni,la persona come fine in se è l’uomo considerato come soggetto e nn come
oggetto. L’uomo essendo un essere razionale non può essere impiegato come mezzo e tale
riconoscimento limita l’arbitrio come oggetto di rispetto. Le persone non hanno valore relativo e nn
sono interscambiabili ma hanno un valore assoluto,un intrinseca dignità e come tali devono venir
rispettate.
La morale deve istituire un regno dei fini,una comunità di libere persone che vivono secondo le
leggi della moralità. Se il fine della ragion pratica è l’umanità stessa, da un tale fine derivano
tanti doveri quanto sono i rapporti con cui l’uomo viene a trovarsi con se stesso e con altri.
(assegna alla volontà una materia a priori,la dignità umana)
L’AUTONOMIA DELLA VOLONTA’ (come principio supremo della moralità)
La terza formula prescrive di agire in modo che la volontà possa considerare se stessa come
universalmente legislatrice. Questa sottolinea l’autonomia della volontà,chiarendo come il comando
morale nn sia un imperativo esterno e schiavizzante perché della legge morale è autrice la ragione
stessa quindi gli enti razionali finiti sono al contempo sudditi e sovrani,destinatari e autori della legge
morale. Sudditi in quanto soggetti empirici,sovrani perché portatori di ragione.
La volontà è autonoma solo se di determina secondo la forma pura della legge,che ognuno trova in
se stesso in piena indipendenza dalle inclinazioni sensibili. La forma della legge fa tutt’uno con
l’essenza dell’uomo in sé.
Due modi diversi di dare a se stessi la norma.
1. a dare la norma è la ragion pura che la volontà adotta come principio di determinazione
2. a dare la norma è la volontà che si determina secondo le inclinazioni sensibili.
Il compito morale dell’uomo consiste nell’obbedire alla legge morale qual è data dalla ragione
pratica pura.
Nn colui che viene determinato dalla forza degli impulsi o dai sentimenti agisce in modo
assolutamente razionale ma colui che riesce a non fare di questi,pur riconoscendoli come parte di
se,i motivi determinanti del suo agire.
Non vive in modo eteronomo colui che aiuta anche i suoi amici ma colui che serve solo questi e
resta indifferente ai bisogni degli altri. Agisce in modo autonomo colui che si attiene alla massima
della disponibilità anche la dove l’inclinazione sensibile non lo esortano a ciò.
LA LIBERTA’
Essa viene indicata come il presupposto trascendentale della legge morale (IV 446),gli uomini devo
essere pensati come esseri i cui atti siano determinabili solo dalla legge,non condizionati dal mondo
sensibile o fenomenico. Kant giustifica questo concetto nel modo del “terzo conflitto delle idee
trascendentali”,l’ordine causale della natura è compatibile con la pensabilità dell’ordine
intellegibile,l’uomo nelle sue azioni può pensarsi libero sulla base della distinzione tra fenomeno e
noumeno.
L’obbligazione della legge morale viene fondata sulla libertà,l’essere razionale come sensibile viene
subordinato a quello razionale come intelligibile,la determinazione della volontà da parte della
legge morale è reale. Il mondo intellegibile contiene il fondamento di quello sensibile e delle sue
leggi.
Avere un oggetto per il concetto puramente pensabile di causalità incondizionata significa compiere
quel passaggio dalla possibilità alla realtà.
Nella CRpratica,invece,la libertà viene pensata positivamente,perché procura realtà al pensiero del
soprasensibile. Non deve essere spiegata,essa è un fatto,della ragione pura come pratica. Invece
nella fondazione si tentava di dimostrare questa realtà con una fondazione teoretica della libertà.
Affermata la realtà della ragion pura pratica è stabilita anche la libertà trascendentale. La realtà
della libertà sta nello stesso darsi della legge morale.
LA LEGGE MORALE NELLA CRITICA RAGION PRATICA
L’analitica consiste nella definizione dei principi della moralità.
La prima riga dell’opera dice che i principi pratici sn proposizioni che hanno per contenuto
determinazioni generali della volontà,che prescrivono alla volontà regole per agire. Significa il
soggetto di azioni compiute in base a un principio,non istintive.
1. Principi perché regole di carattere generale relative a classi di decisioni e azioni, quelle
meno generali sn specificazioni di quelle piu generali,quelle di generalità massima sn
principi. Gerarchia delle regole a seconda della loro generalita.
P.E. La regola di lavorare e risparmiare in gioventu per nn trovarsi in difficoltà in vecchiaia
Rientra sotto la regola piu generale di seguire un piano oculato di vita
E questa sotto il principio di ricercare il benessere a piu lunga scadenza.
2. Pratici perché si riferiscono a una decisione volontaria in prospettiva dell’agire effettivo. La
volontà è la facoltà degli enti dotati di ragione di determinare il loro agire mediante la
rappresentazione di tali regole.
I principi pratici si dividono in 2 specie:
1. MASSIME
2. LEGGI o IMPERATIVI
1)le prime sn prescrizioni soggettive perché valide per la propria volontà dell’individuo che le fa
proprie,(come quella di vendicarsi per ogni offesa subita), senza pretesa che valgano per altri. Esse
sono:
Particolari
Empiriche
Materiali
2)le leggi sn prescrizioni oggettive perché valide per tutti gli enti razionali. Esse sn:
Necessarie
Universali,
A priori perché la loro origine è nella ragione indipendente dalla sensibilità,
come ciò che è comune e invariabile in ogni soggetto,(soggetto trascendentale in
opposizione ai soggetti empirici)
Formali,funzioni del soggetto pure o a priori perché autonome dalla materia.
Identificazione di formale con a priori.
La differenza rispetto alla conoscenza è che nella natura i principi sono leggi di ciò che accade (la
causalità,se A allora B) mentre nel campo pratico vi è contrasto tra le leggi (principi oggettivi)e le
massime,come nel caso in cui ci si comporta secondo un proprio criterio pur sapendo che ci si
dovrebbe comportare secondo la legge morale.
Nella moralità si da la libertà,nella conoscenza necessita,nel non potere essere diversamente da ciò
che è.
LA TIPICA DEL GUIDIZIO PURO PRATICO
Ha per oggetto il giudizio pratico, concreta applicazione della legge della ragione attraverso
massime che abbiano motivo determinante la legge. L’imperativo categorico può esprimersi solo in
una proposizione che indichi la necessità assoluta e incondizionata come tale su tutti i moventi non
razionali. Enuncia il concetto di dovere come tale,quindi la conformità di un soggetto alla legge
non è espresso dalla legge stessa. Il concetto di legge fornisce la regola dell’universalità con cui il
soggetto deve pensare le sue massime,ma il conformarsi a tale necessità sta nel significato
dell’assoluto dovere che,per la fondazione,è indeducibile.
Le azioni si rivolgono a oggetti della natura,ma avvengono in base a leggi della libertà. Come la
volontà può riferirsi alla legge per la sua determinazione? Essa si può riferire direttamente alla
legge, come fonte del principio di causalità ed è il modello della legge morale.
Tale schema è la formula dell’imperativo categorico,legge della ragione. La ragione non può
ricorrere alla sensibilità ma all’intelletto, utilizzandone solo la forma,universalità e necessità. Il tipo
di legge morale è l’imperativo categorico,unico modo in cui il comando della ragione può essere
compreso in relazione all’azione.
Poiché la forma della legge,che è sempre una legge di causalità, è sempre la stessa,io posso
sostituire la causa con qualsiasi soggetto,sia fenomeno della natura che la mia volontà. In tal modo
la ragione viene preservata dall’empirismo, dal concepire i suoi oggetti come negazione o
affermazione dell’amor proprio,della soddisfazione immediata.
La prima formula dell’imperativo è il tipo del giudizio morale,la stessa legge della ragione è frutto
di una tipica,un procedimento analogico.
RIGORISMO E FORMALITA’ DELLA LEGGE
Un'altra caratteristica strutturale dell’etica è la formalità,in quanto la legge nn ci dice che cosa
dobbiamo fare ma come dobbiamo fare ciò che facciamo. Se fosse materiale e prescrivesse
contenuti concreti sarebbe vincolata a essi e perderebbe universalità,nn potendo qualsiasi precetto
particolare possedere l’universalità della legge.
Non precetti ma una legge formale che afferma di agire tenendo presente gli altri e rispettando la
propria dignità e quella altrui.
La moralità risiede non nell’agire spinti dall’interesse che è il campo della soggettività e
contingenza(perché in tal caso sarebbero gli oggetti a dare legge alla volontà) ma nel dovere
per il dovere,nell’agire per legge solo per ossequio a essa e nn spinto da inclinazioni o risultati
che se ne possono conseguire. La legge pratica non si può trarre dalla materia.
Da ciò il rigorismo che esclude dall’etica emozioni e sentimenti che inquinano la purezza della
morale. Il rigorismo attiene alla motivazione,perché se facessi del bene ad altri per inclinazione
soddisferei un mio desiderio,contributo alla mia felicita. La facoltà di desiderare,di avere pulsioni,
è connessa con i sentimenti di piacere e dispiacere. Essa produce degli oggetti specifici,gli oggetti
del desiderio non possono essere fondamento della legge. Il piacere fa parte dell’accidentale e
soggettivo,non può essere universale e necessario,è un certo piacere e la ragione non può pensarlo a
motivo determinante della volontà,come legge. Motivo determinante o movente e ciò che induce la
volontà ad agire,movente è ciò che determina soggettivamente la volontà.
La sola forma legislativa è il motivo determinante la volontà,non la materia.
IL RISPETTO PER LA LEGGE
L’imperativo categorico comanda di assumere a massima della propria volontà quel che è prescritto
dalla legge morale.
Il problema di come la legge morale possa essere un movente della volontà,cioè funzionare da
principio soggettivo di determinazione,è il problema di come la ragion pura possa essere
effettivamente pratica. La praticità della ragion pura significa che essa operi quale movente della
volontà attraverso la rappresentazione della legge morale in alternativa ai moventi sensibili.
Per Hume solo le passioni erano i moventi della volontà e di fronte ad esse la ragione soccombeva.2
Per Kant,invece,la coscienza soggettiva della legge morale produce un effetto nell’animo umano
esercitando un azione causale in esso.
L’uomo è un essere razionale finito dotato di sensibilità e la legge morale nn può determinare la sua
volontà senza determinare la sua sensibilità.
La volontà può essere determinata dalla coscienza della legge morale a patto che vengano
contrastate le inclinazioni sensibili riportabili tutte all’amor di se nella forma della soddisfazione
per se stessi o nell’orgoglio verso se stessi in conflitto con la legge morale.
2 Kant da per scontato che nn si dia alcun sentimento morale come la simpatia o benevolenza verso gli altri come
sosteneva Hume.
Il dispiacere che la coscienza della legge morale comporta nei confronti delle inclinazioni sensibili è
una forma di umiliazione,ma ad umiliare può essere solo ciò che si presenta come degno di rispetto,
Tale rispetto è prodotto da un principio intellettuale come la coscienza della legge e tale sentimento
è a priori, perché risultato della coscienza della legge morale, dal confronto fra la maestà della legge
morale e l’imperfezione di una volontà condizionata dalle inclinazioni sensibili.
È effetto di un qualcosa di nn sensibile,nn subito come tutti gli altri sentimenti; Il rispetto per la
legge morale opera come un sentimento in quanto agisce su e contro dei sentimenti agendo su quelli
in contrasto con la legge morale come i sentimenti egoistici e perciò a favore dell’accoglimento da
parte dell’uomo della legge.
Esso umilia la nostra sensibilità che vuole subordinare la legge per far valere incondizionatamente
se stessa ma al contempo, il rispetto per tale legge ci innalza al di sopra della natura sensibile come
lo è la legge. L’agire per rispetto alla legge e per nessun altro motivo che la legge stessa,al di la di
ogni inclinazione sensibili,è la possibilità più alta.
Tale coscienza della legge contrastando l’amor di se,è tale da conferire un autorità alla legge nei
confronti della volontà e diviene così motivo determinate dell’azione sia oggettivo che soggettivo.
FELICITA’ Il male morale o vizio consiste in un atto della volontà che opta per la soddisfazione delle
inclinazioni sensibili rendendo inefficace il rispetto per la legge morale.
L’amore di se è il principio della ricerca della propria felicita ma contro di esso si scaglia la
CRpratica ,l’io sensibile avanza le sue pretese come se fosse l’io intero e l’amor di se è fare di se
stessi in base ai nostri desideri il motivo determinante oggettivo della volontà.
La felicita è la soddisfazione di tutti i desideri ma tale unanimità sarebbe accidentale e empirica,nn
vi sarebbe accordo fra uomini ma contrasto, in quanto ognuno ricerca la propria felicita mentre un
principio oggettivo o legge garantisce un accordo fondato. La ragion pratica pura pretende che ogni
volta che entri in gioco il dovere nn si deve avere alcun riguardo per la felicita.
La moralità consiste nel porre limiti alle inclinazioni per il dovere,la ragione deve forgiarsi di
massime pratiche relative alla felicita,cioè di regole di prudenza per nn rimanere schiavi delle
passioni momentanee.
Quindi la ricerca della felicita propria nn può mai essere immediatamente un dovere o il principio di
tutti i doveri perché la dignità del dovere nn ha niente a che fare col godimento della vita.
Tutta la materia dell’agire si può raccogliere sotto il concetto di felicità. Suo obiettivo è separare la
facoltà di desiderare inferiore da quella superiore, tutte le regole materiali ripongono il motivo
determinante della volontà nella facoltà inferiore e non nella forma della ragione,che è quella
superiore. Essa non si determina in base agli oggetti,come in Baumgarteen,se erano sensi o
intelletto perché entrambi sono tipi di piacere,come detto da Epicuro. Le azioni facenti capo alla
felicità non possono che dare vita alle massime soggettivi,a nulla di universale e oggettivo.
L’Interesse della ragione
Nella fondazione Kant parla di interesse della ragione,come quella causalità che si
identificava con l’interesse puro come movente morale della volontà da parte della ragione.
Il fatto di ragione è oggetto della categoria di causalità nella CRpratica,la ragione si pensa
già come causa,mentre nella fondazione si cercava un fondamento ulteriore a qlcs che aveva
già il suo fondamento.
Il concetto di rispetto sostituisce quello di interesse,hanno entrambi lo stesso oggetto,
l’assunzione della legge morale da parte della volontà. Ma nelle CRP interesse è oggetto
visto dal lato della ragione e non sensibilità,mentre il rispetto specifica ciò che ciò che,nella
fondazione,era il lato sensibile dell’interesse. Interesse è un movente della volontà
rappresentato mediante la ragione,massima. È il rapporto che la ragione pratica generale ha
con i suoi oggetti,la massima è sempre espressione di questo interesse,come diventare ricchi
a tutti i costi. Ma l’interesse può anche essere morale,ad avere come oggetto l’intenzione
buona,a essere pura,e quindi rappresentazione razionale del rispetto. La massima è morale
quando si fonda su tale interesse. Dovere è l’azione compiuta per legge,assoggettamento
libero della volontà alla legge,la cui coscienza si manifesta come rispetto,come costringi
mento pratico per esseri finiti. Permette di distinguere tra legalità e moralità,gli esseri
razionali giungono alla legge morale attraverso esso. Quando vi è legalità il sentimento non
è rispetto per la legge ma un sentimento come piacere e dispiacere prodotto dall’oggetto.
CARATTERE NOUMENICO DELLA MORALE
La liberta è pensabile solo in una sfera interamente diversa da quella empirica3.
La divisione del mondo in fenomenico e noumenico ruota attorno all’idealità soggettiva a priori
dello spazio e del tempo che rende fenomeni tutti gli oggetti d’esperienza,ma dato tale
principio,diventa possibile fare astrazione dallo s. e t. e pensare il mondo intelligibile,e diventa
possibile pensare che alcuni enti agiscano liberamente.
L’idea di un auto-causalita,di una fonte spontanea di atti possono essere possibili solo nel regno
della cosa in sé,dove trova posta la libertà non nel determinismo che vige nel mondo fenomenico
che si regge sul principio di causa e effetto,
quindi c’è:
la causalità che si determina secondo la legge della necessita naturale riferita solo al
fenomeno, dove la causalità è effetto di un altro evento
quella che si determina secondo la liberta,che considera l’essere come cosa in se,
noumenico,dove si danno azioni,iniziative incondizionate del soggetto che ad esso sono da
imputare. Anche senza intuizioni,la categoria della causalità ha un oggetto, la
determinazione della volontà. Ragione è causa del determinarsi della volontà. Essa trova il
contenuto e oggetto nelle massime in cui la ragione esprime il suo esser causa. È la
categoria con la quale si può pensare una volontà libera e pura,agente in base alla forma
della legge. La volontà agisce realmente e oggettivamente determinandosi pro legge
morale,incondizionata perché relativa a un oggetto in genere. Il concetto di causa
noumenon è pratico,come dio causa prima e assoluta,di un essere con volontà pura. La
legittimità del suo uso pratico sta nella sua origine intellettuale,a priori. il fatto della ragione
fornisce un oggetto alla categoria della causalità,come determinazione razionale pura della
volontà.
Anche nell’uomo si distingue un carattere:
empirico,prodotto sulla base della sua storia,delle condizioni esterne in cui si svolge.
intelligibile,risultante da un iniziativa libera,in cui il carattere empirico è manifestazione di esso.
La vita sensibile manifesta empiricamente l’intenzione e il carattere intelligibile di una persona
che nn poteva agire diversamente da come ha agito perché tale è il suo carattere,la sua scelta
originaria e globale. (attribuzione all’uomo di un carattere costante) come conseguenza di
motivi costanti volontariamente assunti,che fissano un carattere intelligibile di cui quello
empirico che si svolge nel tempo è solo l’espressione fenomenica.
3 ma di essa nn si può acquisire alcuna conoscenza di cosa sia in se stessa,ne delle sue condizioni o degli enti a cui si
attribuisca perché solo dei fenomeni è possibile avere tale conoscenza.
Di essa si può asserire solo che esiste realmente nella volontà umana.
Abbiamo due tipi di conoscenza:
la mera conoscenza che qlcs esiste,è reale
la conoscenza di qlcs a cui si è in grado di rispondere nn solo alla domanda se esista o no ma anche su che cosa sia
e su quali siano le condizioni del suo esserci.
Per Kant è imprescindibile il riferimento alla responsabilità morale,secondo cui sono vane
giustificazioni quali commettere delle azioni perché trascinati dagli eventi secondo necessita e
rappresentarsi un comportamento contrario alla legge come involontario e inevitabile. Infatti,al
momento dell’azione,nn si era fuori di se ma si aveva uso della propria liberta.
La concezione che ha Kant della responsabilità morale è da intendere come merito e colpa sulla
base di una liberta auto- determinantesi,costruzione su due mondi e due caratteri.
Se nn si accetta tale costruzione si va verso tali scelte:
sostenere la liberta del volere e ammettere la contingenza della natura
rifiutare la liberta e adottare una concezione nn retribuizionistica della responsabilità
morale,fatalismo come in Spinoza,negava sensatezza del rimorso
sostenere contraddittoriamente la necessita della grazia divina come nei teologi cristiani che
negavano che la volontà dell’uomo fosse capace di autodeterminazione dopo adamo ma
continuavano a consideralo colpevole dei suoi peccati e che sarebbe stato giusto chiamarlo a
rendere conto.
considerare i due mondi come punti di vista alternativi per considerare gli atti umani che
trova appigli nella 3 sezione della F. ma nn nelle CRP.
1. prospettiva della spiegazione o previsione
2. prospettiva della scelta e della decisione
IL FATTO DELLA RAGIONE La Fondazione poneva in esame due questioni:
quale fosse il principio della moralità (nella 1 e 2 sezione dell’opera vi era analizzata la
concezione della moralità che sarebbe propria della ragione umana comune fino
all’imperativo categorico e l’universalizzazione delle massime.)
come accertarne la realtà (si occupava la parte 3) prendeva in esame la domanda Com’è
possibile l’imperativo categorico?
La risposta consisteva in una deduzione trascendentale dell’imperativo categorico che muoveva
dall’individuazione della condizione che lo rende possibile realmente. Per la Fondazione la
condizione è la libertà del volere,se la volontà è libera l’imperativo nn è una chimera.
Nella Critica ragion pura Kant aveva concluso che la libertà è possibile al pari delle sostanze
spirituali e di dio.
Nella Fondazione si prendevano le mosse dalla condizione della libertà per dedurre la realtà del
principio della moralità ma l’aporia era evidente perché : o
si rimaneva fedeli alle conclusioni della ragion pura secondo cui la libertà era un idea la cui
realtà era problematica,ossia solo possibile e in tal caso sarebbe diventato solo possibile
anche il principio della moralità. Ci sarebbe richiesto di agire solo come se la nostra volontà
fosse libera. o
si muoveva dall’asserzione della realtà della libertà deducendo la realtà della legge morale
ma si sconfessavano le conclusioni della ragion pura, facendo della libertà come realtà una
premessa infondata e perciò dogmatica.
Dalla Critica ragion pratica Kant si è avveduto dell’aporia a cui era andato incontro nella
fondazione e dichiara che nessuna deduzione può dimostrare la realtà oggettiva della legge ma che
di tale principio è possibile solo un esposizione. Essa nn ha bisogno di alcun fondamento che la
giustifichi perché ha in se stessa il proprio fondamento,è valida in se.
Esso è un assioma come i principi da cui scaturiscono le dimostrazioni che in quanto tali nn sono
suscettibili di dimostrazione altrimenti si avrebbe un regresso all’infinito,tale è la realtà della legge
morale. Esso è un fatto della ragion pura perché principio di determinazione della volontà che nn si
può ricavare dall’esperienza ma ci si impone da se stessa.
La ragion pratica non dispone dell’oggettività conoscitiva delle categorie,ma pone a fondamento
delle leggi morali il concetto della loro esistenza nel mondo intelligibile,della libertà. Che un
ragione pura pratica si da è qualcosa che si dimostra con il fatto,il fatto che essa determina la
volontà,attraverso u n principio formale che è la legge specifica della ragione. Nn c’è deduzione..
Per il fatto che consideriamo la falsa testimonianza un ingiustizia morale(anche se sotto pena di
morte o per salvare se stessi) il giudizio prova l’innata moralità dell’uomo come fatto di ragione.
Per un verso la legge morale ci obbliga a considerare il mondo intelligibile nn solo come pensabile
ma anche come reale nell’ambito della praticità. Nell’intera facoltà della ragione,solo la facoltà
pratica ci permette di uscire dal mondo fenomenico. La ragione determina il mondo delle leggi
morali indipendentemente dalla sensibilità, non trascendente nel senso di andare oltre l’esperienza
sensibile ma essa rende possibile l’esperienza pratica.
La legge morale è sovrasensibile,appartenente a un mondo eterogeneo rispetto a quello fenomenico.
Ma la legge morale nn ci fa conoscere alcuno degli oggetti sovrasensibili,anima mondo e dio,sui
quali verteva il divieto della ragion pura,ma ci pone davanti a un fatto,la legge morale come
conoscenza nn di un ente ma di un dover essere.
Opposizione fra uso teoretico della ragione volto alla pretesa conoscenza degli enti e un uso pratico
che ci da coscienza della legge ma rivolta solo alla determinazione della volontà, nn alla conoscenza
di un ente sovrasensibile.
Nel caso della moralità si ha a che fare solo con la determinazione della volontà perciò i concetti
pratici a priori diventano subito conoscenze a differenza di quelli teoretici che avevano bisogno
dell’intuizione sensibile,essi ci sono dati e come siano possibili nn è spiegabile. I principi morali si
trovano originariamente nella nostra ragione quali suoi dati a priori.
Ogni ragione umana conosce da se a priori la legge morale che,qualsiasi elemento empirico che si
insinuasse nelle massime quale motivo determinante della volontà si renderebbe immediatamente
riconoscibile per il sentimento di piacere e dolore che l’accompagnerebbe.
Afferma che il concetto metafisico di dio come ente assolutamente necessario,esterno al mondo e
insieme causa è in realtà la traslazione trascendente del concetto di ragion pura pratica,che è di uso
immanente . è il soggetto pratico si costituisce come essere morale che agisce liberamente nel
mondo sensibile. La realtà del mondo intelligibile non è solo pensabile,ma è una realtà pratica. Il
fatto di ragione permette di pensar in modo positivo l’idea dinamica di essere
necessario,riferendola allo stesso soggetto morale. L’idea di essere necessario è legata a alla
connessione causale ,di risalire di causa in causa, che permetteva di giungere al concetto di causa
prima e necessaria. Era illusorio il concetto metafisico di ente necessario,ma non è illusorio se
riferito alla costituzione del soggetto morale.
Mentre la conoscenza comune della natura è una commistione di elementi a priori e a posteriori
discriminati dalla filosofia critica,la conoscenza comune della moralità (di quel che deve essere) è
pura già in se stessa,capace di discriminare gli elementi empirici che operano sulla volontà ma
richiede solo attenzione e riflessione. Il compito della filosofia è riconoscere e salvaguardare ciò
che da sempre è presente nell’animo umano.
Nella Ragion pratica si ha una chiarificazione che la legge morale è un fatto della ragion pratica
pura nn deducibile da altro ma presente a priori nella ragione dell’uomo.
Rispetto al mondo intelligibile Kant circoscrive il nostro sapere alla legge morale,l’unico in se o
noumeno che riconosce accessibile all’uomo e alla libertà.
Mentre le idee di anima mondo e dio sono solo pensabili,la legge morale è un idea di cui abbiamo
coscienza,il sapere dell’uomo come soggetto morale lo innalza infinitamente al di sopra della
natura. Mentre nella Critica ragion pura la libertà era asseribile solo come mera possibilità nelle
Pratica se ne asserisce la realtà.
LA FEDE RAZIONALE
Nell’Analitica rimane acquisito il fatto che la virtù, il rispetto disinteressato per la legge
morale,riamane il bene supremo e incondizionato.
La connessione di concetti,caratteristica della dialettica,di supporre l’incondizionato per il
condizionato,vale anche per la CRpratica. Ma incondizionata è la ragione pura pratica,che cerca il
suo incondizionato al di là delle inclinazioni naturali. La legge morale è il motivo determinante ma
nn può cercare la totalità incondizionata del suo oggetto,il sommo bene. se essa è
incondizionata,anche il suo oggetto deve essere tale,del sommo bene,ma non dispone della garanzia
di poterlo ottenere,non può determinarlo. Il bene non è interamente racchiuso nell’intenzione
morale.
È sempre la legge morale che determina il sommo bene,esso da solo non può comunque costituire il
movente della volontà. Mentre sviluppa una teoria del movente come assoluta indipendenza da ogni
materia,da ogni oggetto,il sommo bene è sempre un oggetto in generale della ragione.
Il capitolo sulla Dialettica della ragion pura nella determinazione del concetto del sommo bene,
parte con la distinzione tra bene supremo e bene perfetto, tra movente morale e fine ultimo della
ragione. Il bene supremo è condizione prima di ogni altro bene, è bene per essenza come virtù.
Ma la virtù non è solo il semplice sforzo nell’attuazione del movente morale ma anche come merito
di essere felice. La virtù non è il sommo bene,compiuto perché manca la felicità. La ragione deve
volere,in quanto pratica,anche la felicità. A questo concetto corrisponde il sommo bene come
oggetto incondizionato,virtù e felicità ottenuta.
Nella dialettica Kant aggiunge che bene morale completo si ha se essa ottiene il compenso che
merita,la felicita,che nn è il movente ma il compimento della moralità,perché e questa a rendere
degni della felicità.
Esigenza di una giustizia retributiva e distributiva,le legge morale comanda di volere una
proporzione esatta fra virtù e felicita e impegnarci per essa. È proprio a partire da un essere
razionale onnipotente che l’uomo esige la soddisfazione della capacità di avere un movente morale
in un oggetto incondizionato.
In un essere razionale perfetto e onnipotente,la connessione di virtù e felicità sarebbe analitica
mentre per quello finito sarebbe sintetica,il concetto di sommo bene è prodotto dal bisogno che la
felicità sia commisurata alla moralità. L’errore di molte etiche antiche e moderne e di non
considerare nella sua realtà la finitezza dell’uomo. Epicurei e stoici ritengono che tutto il sommo
bene consista rispettivamente in felicità e virtù,che l’uomo possa essere ridotto al lato sensibile o al
lato razionale. Virtù e felicita invece sono due cose diverse e perciò caratterizzanti entrambe la
natura umana. In esseri razionali finiti il sommo bene deve consistere in una sintesi perché si deve
produrre il sommo bene mediante la libertà della volontà. La deduzione del concetto di sommo bene
è trascendentale,sulla base del bisogno o necessità soggettiva della ragione,come a priori.
La domanda a cui l’antinomia della ragione deve rispondere è come sia possibile una connessione
necessaria tra virtù e felicità. Rispetto al suo oggetto incondizionato,il sommo bene,la ragione da un
lato si trova di fronte all’impossibilità di considerare la felicità come qlcs di identico alla
virtù,dall’altro la necessità che la felicità sia conseguente alla virtù. Non come falsa alternativa tra
due proposizioni contraddittorie, ma autentica alternativa in cui una è vera e l’altra no. La domanda
è come sia possibile la connessione necessaria tra virtù e felicità.
Antitesi: se la felicità è causa della virtù il sommo bene è assolutamente impossibile
Tesi: se l virtù è causa della felicità, il sommo bene è impossibile ma non assolutamente,solo
le si prende la causalità del soggetto in senso fenomenico. Nessuno ha la certezza che le
catene causali generate dalle sue azioni anche se virtuose producano l’accordo tra il fine
totale e la natura. Solo se si considera l’esistenza noumenica e libera del
soggetto,considerando la virtù come causa e la felicità come effetto a partire da una causalità
intelligibile. La virtù potrebbe connettersi alla felicità riferendosi a una causa ulteriore,che
medi tra sensibile e intelligibile.
La forza critica di tale antinomia è quella di dimostrare che qualsiasi concezione che ponga un
nesso immediato tra virtù e felicità è illusoria. Le concezioni che si fondano sul concetto di felicità
per definire il bene e male nn tengono conto che non si da alcuna connessione tra moralità e natura-
il sommo bene che sta nel mondo non è pensabile e non può essere garantito dall’osservanza della
legge morale.
Che la moralità meriti una ricompensa nn trova alcuna garanzia,da ciò l’antinomia tra ciò che
dovrebbe essere e quel che è di fatto in questo mondo cosi introduce anima e dio per garantire
dovere essere e essere.
Rifiuta :
lo stoicismo,che identifica la felicita con la coscienza della virtuosità,la virtù premio a se
stessa,la felicita coincide con la saggezza,basta essere virtuosi e riconoscersi tali per essere
felici.
per Kant supporre che tale coscienza interiore possa soddisfare tutte le esigenze di un essere
finito sarebbe un illusione. Gli stoici pensano il rapporto virtù felicita come analitico,nei due
termini uno era già compreso nell’altro. Tale rapporto nn può che essere sintetico perché tale
connessione nn può essere ammessa se nn pensando la felicita come conseguenza della
virtù.
Ma siccome nel mondo nn vi è alcuna giusta proporzione tra virtù e felicita egli ritiene che le
condizioni perché il sommo bene si realizzi effettivamente sono che
l’anima sia immortale,in modo che essa possa percorrere all’infinito il traguardo della
santità. Il sommo bene nel mondo ha come prima condizione l’attuazione della virtù,bene
supremo che tenta di avvicinarsi alla santità. La santità è l’obiettivo,la perfetta conformità
della volontà con la legge morale. Kant non postula della durata dell’anima post mortem
dell’individuo o delle sue parti materiali e spirituali ma di ammettere l’esistenza di un
soggetto morale infinito che non produce alcuna conoscenza ma serve come base di ogni
azione morale. Solo tale presupposto trascendentale può spiegare il senso dell’azione
morale. L’azione morale ha senso solo se pensata in un tempo intelligibile,non sensibile.
L’infinito,che ricomprende tutto il progresso verso la santità, si identifica con dio
giudice,per il quale la santità è visibile in un'unica intuizione intellettuale dell’esistenza
degli esseri razionali.
Ma oltre alla moralità v deve essere partecipazione alla felicità come proporzionata alla
moralità. Si presuppone l’esistenza di una causa adeguata a tale effetto, un ente onnisciente
giusto e onnipotente come dio distribuisca alle creature i premi e le punizioni che meritano.
Tale causa deve contenere il principio di connessione tra natura e intenzione morale,come
causa della natura. M tale accordo è soggettivo,ammettere l’esistenza di dio non è un dovere
ma un postulato per soddisfare un bisogno dell’essere razionale finito. Esso non è nemmeno
il fondamento dell’azione morale e dell’obbligazione,perché la legge morale è fondata
sull’autonomia della ragione,e anche il concetto di dio è pensabile solo sul fondamento di
tale autonomia.
I postulati danno realtà oggettiva a queste idee solo dal punto di vista pratico,come a
fondamento oggettivo dell’uso pratico della ragione,anche se necessarie come bisogni
soggettivi. L’idea di libertà si riferisce all’idea cosmologica di un mondo intelligibile,dove
è possibile l’esistenza della causa noumenon. Mentre i postulati erano presupposti
dell’attuabilità della virtù e del sommo bene come virtù e felicità, l’idea di un mondo
intelligibile è il risultato immediato della legge morale e del concetto positivo di libertà,per
giungere a un mondo intelligibile in cui la libertà è causa efficiente.
L’immortalità e dio sono postulati della ragion pratica pura,proposizioni che nn possono essere
dimostrate teoreticamente ma che si richiede di ammettere per soddisfare un esigenza morale. Ne
scaturisce una fede razionale,perché tali postulati nn risultano asseribili indipendentemente
dall’interesse morale,ma razionale in quanto nn fondata su alcuna rivelazione sovrannaturale ma su
un esigenza della ragion pura.
La legge morale ci autorizza a pensare a una realizzazione piena del sommo bene che nn implica
alcuna compromissione con una morale teologica fondata su promesse e minacce,di una dio di cui
avere timore perché in tal caso verrebbe meno la purezza della morale,le azioni degli uomini si
conformerebbero a quanto fosse loro comandato solo esteriormente,verrebbero compiute per timore
e non per dovere.
Al contrario viene a fondare una teologia morale nel senso che fornisce l’unica prova ammissibile
dell’esistenza di dio,perché di dio si può solo avere fede nn dimostrazioni.
La fede razionale viene presentata da Kant ora come una certezza oggettiva e necessaria ora come
semplice speranza,destinata a rimanere problematica.
Il primato della ragion pratica su quella speculativa e dovuto alla possibilità della prima di
trascendere il mondo empirico e di aprirsi all’intelligibile.
Il conflitto tra i 2 usi diversi della ragione,teoretica e pratica,è evitabile solo se si riconoscono i
diritti dell’altra senza rinunciare ai propri.
Il conflitto si avrebbe se la ragione teoretica nn acconsentisse a quel che la ragion pratica le chiede
legittimamente di ammettere( come la libertà).
La ragione teoretica mantiene un compito di vigilanza critica nei confronti delle richieste della
ragion pratica onde queste nn trapassino in superstizione e fanatismo.
I 3 postulati dell’immortalità dell’anima,dio e libertà del volere vengono asseriti come reali ma di
essi nn ne conosciamo la natura.
La liberta,fra le idee della ragione teoretica,è l’unica di cui conosciamo a priori la possibilità reale
perché condizione della realtà della legge morale,senza conoscere pero le sue determinazioni. I
postulati di dio e anima nn sono condizioni della realtà della legge morale ma solo condizioni del
sommo bene. La fede riguarda solo dio e l’immortalità dell’anima mentre la libertà ha la stessa
realtà della legge morale.
Però secondo Kant con la fede razionale si viene a sapere qlcs della natura di dio perché si procede
a postulare dio in quanto realizzatore del sommo bene e lo si pensa dotato di attributi come
l’essere onnisciente per conoscere la mia condotta fino alle mie intenzioni più intime in ogni
caso possibile e per l’avvenire
onnipotente,per far seguire alla mia condotta le conseguenze,premi e castighi appropriati
eterno.
Questo è il punto massimo che Kant si ritenga in diritto di raggiungere con l’estensione dell’uso
della ragione al di la dei limiti stretti del suo uso semplicemente teoretico.
CONCLUSIONE
Per Kant c’è un sapere autentico, la legge morale,nn limitato alle condizioni dell’esperienza come
sostenuto nell’Analitica.
La deviazione per la ragion pura nel suo uso speculativo consiste nel tentativo di oltrepassare
l’esperienza per attribuire all’uomo un intuizione intellettuale di cui nn è in possesso. Kant criticava
platone accusandolo di dogmatismo per aver attribuito all’uomo l’intuizione intellettuale delle cose,
il suo errore è stato di intendere tale nozione fino a coprire tutto il campo della conoscenza,come se
all’uomo fossero accessibili le cose in sé.
La ragione che sul piano teorico è legata all’esperienza sensibile,sul piano pratico funziona
correttamente solo quando la trascende. Per la ragione pratica la deviazione consiste nello smarrire
la sua purezza mescolando ai suoi principi come motivi determinanti dell’agire inclinazioni
sensibili.
Di conseguenza finisce per delinearsi un dualismo platonizzante che spezza la realtà da un lato in un
mondo fenomenico della scienza e dall’altro in un mondo noumenico dell’etica,da un lato l’uomo
fenomenico delle inclinazioni e dall’altro quello noumenico della libertà.
Richiede all’etica principi validi universalmente e a priori. quella di Kant è un etica in cui il
protagonista è il singolo,nella sua interiorità o di fronte alla sua coscienza,è l’etica
dell’uomo privato. Si muove nel solco della rottura hobbesiana tra uomo come ente
razionale e socievole. L’uomo viene visto come mosso unicamente dai suoi desideri
egoistici e competitivi rivolti al proprio interesse,e per Kant questa è la vera natura
dell’uomo nn una deriva dal peccato originale.
Di valori intrinseci,cioè nn strumentali,c’è solo quello morale, come determinazione della
volontà al rispetto per la legge morale. Sostiene il principio della purezza dell’intenzione
morale in accordo con la morale cristiana in opposizione al legalismo esteriore che
identificava con l’ebraismo. Dice che ogni azione conforme esteriormente alla legge ma nn
compiuta col proposito di rispettarla si può dire buona solo in rapporto alla lettera ma nn in
rapporto allo spirito come sosteneva il vangelo e poi anche s. paolo. Se ci si rivolge al
vangelo di marco al quale Kant accordava preferenza si trova richiesto come sovrappiù
rispetto alla legge anche l’amore. Ma ,invece che l’amore per dio vi è in Kant l’amore o
rispetto per la legge morale e l’unico bene non più dio ma la volontà buona. La moralità a
differenza della legalità e interiore,perché solo do può scrutare nei cuori degli uomini.
Secondo il volontarismo,dio avrebbe potuto comandare qualsiasi cosa e che il bene e male
morali sn cosi perché voluti da dio così. Invece secondo Kant e il razionalismo il bene e
male morali sono anteriori sia alla volontà che all’intelletto di dio,anzi dio giudica in base a
tali criteri eterni e immutabili. Per Kant se dio non fosse razionale,sbagliasse nel giudicare o
nn esistesse le leggi morali conserverebbero intatta la loro validità e la retta ragione
continuerebbe ad imporle alla volontà umana. L’origine della legge morale è al di fuori di
dio perché cosa è moralmente buono lo dice la legge morale e anche dio si attiene a tale
legge. Egli nn è autore della legge ma può solo imporre come legislatore morale il rispetto
della legge con promesse e minacce ma l’unico autore delle legge morale è la ragione stessa.
Locke aveva rifiutato la definizione di una legge naturale quale prescrizione della ragione
dicendo che la ragione scopre la legge naturale ma nn è l’origine,che si trova solo nella
volontà divina perché la ragione,essendo solo una facoltà dell’animo,o parte di noi nn può
dare leggi a noi stessi. Ma Kant rifiuta il concetto che la ragione sia solo una parte di noi o
facoltà ma può dare legge a noi perché è una facoltà sovrasensibile,la ragione è superiore ai
soggetti empirici che partecipano a essa in quanto esseri razionali e può essere autrice di
legge e di comandi
IL CONCETTO RAZIONALE DI DIRITTO NELLA METAFISICA DEI
COSTUMI
LA METAFISICA DEI COSTUMI
Si divide in due parti:
1. La dottrina del diritto indaga il consolidamento dell’eticità nelle istituzioni della
coesistenza umana particolarmente nel diritto e nello stato.
2. la dottrina della virtù tratta tale consolidamento nel soggetto agente e negli atteggiamenti
caratteriali di fondo,le virtù.
Il pensiero giuridico e statuale di Kant si colloca nella tradizione illuministica che conduce, a
partire a Grozio a Hobbes, fino a Rousseau.
La metafisica dei costumi segue la CRPratica e si occupa della fondazione dei principi a priori del
diritto in base ai quali la costituzione e le leggi si dimostrano razionali e giuste. Il diritto nn è un
concetto di esperienza ma uno di ragione, ed è di natura normativa a priori e si ha il dovere morale
di far si che le legislazioni si adeguino il più possibile ad esso.
Il diritto è,secondo il concetto di ragione,l’insieme delle condizioni per mezzo delle quali l’arbitrio
dell’uno può accordarsi con quello dell’altro secondo la legge universale della liberta. La liberta
compatibile con quella di tutti è l’unica unita di misura dei diritti umani, perché la liberta nn è
acquisita ma innata,spetta prima di qualsiasi atto giuridico. Intesa come indipendenza dall’arbitrio
necessitante di altri,la liberta esterna è possibile nella comunità solo quando venga limitata dalla
liberta esteriore di tutti gli altri. Razionali e legittime sono quelle leggi che fanno essere compatibile
la liberta esteriore dell’uno con quella degli altri. Imperativo categorico.
La comunità giuridica deve essere basata sulla liberta di soggetti,in cui il diritto del cittadino è
maggiormente assicurato. Uno stato costituito sul principio della felicita tratta i suoi cittadini come
minorenni e bambini e diverrebbe ingiusto.
Il diritto deve rendere possibile la convivenza delle persone prima di ogni esperienza. Sua
caratteristica è la coattività esercitata da un potere per garantire la convivenza civile. E ammessa
l’autorizzazione alla costrizione come elemento valido a priori di ogni diritto perché senza essa è
impossibile pensare un ordinamento giuridico basato sulla libera convivenza.
Ogni persona che mi impedisce di svolgere le azioni, che mi sono giuridicamente permesse,
commette un ingiustizia,perciò la costrizione che impedisce l’interferenza illegittima è essa stessa
legittima,perché rende possibile la legittima liberta d’azione. La costrizione è di diritto solo nella
misura in cui respinga l’ingiustizia. La coercizione da parte del diritto è giusta se impedisce
sopraffazioni della liberta di qualcuno,garantisce l’uguaglianza di tutti in quanto membri della
società e sottoposti alle stesse leggi e l’indipendenza di ciascuno come cittadino in quanto ad esso
spetta funzione legislativa,cioè voto uguale a ciascuno.
Delle condizioni di applicazione del diritto fa parte il fatto che solo l’azione conta e nn l’intenzione
che ne sta alla base, l’interiorità fatta di impulsi e passioni è rilevante dal punto di vista giuridico
quando è movente dell’azione e si manifesta nella liberta esterna. Ha di mira solo la legalità
esteriore,l’obbedienza a norme indipend. dal motivo per cui si obbedisce
Ogni contratto come lo scambio di merci è giusto se le parti in causa agiscono di propria volontà
senza inganno,che essi nn ingannano perché perderebbero la stima dei loro partner d’affari o per nn
essere puniti,essendo questioni relative all’intenzione nn hanno alcun significato giuridico.
I doveri verso la propria perfezione o verso gli altri come la compassione sono doveri di virtù nn di
diritto.(Ved. Dottrina delle virtù)
Fanno parte dei doveri di diritto solo le obbligazioni sociali la cui nn osservanza,come la rottura di
un contratto,un furto rendono possibile ledere la coesistenza di liberta esterna.
Differenza tra
moralità personale,virtù
e politica,diritto
deduce il diritto dalla ragion pura e dalla legalità universale,nn dall’eticità personale o dalla liberta
interiore.
IL DIRITTO PRIVATO: LA FONDAZIONE DELLA PROPRIETA
La proprietà è giuridicamente legittima,nn è un furto ma è un istituzione necessaria e
imprescindibile di ogni ordinamento giuridico basato sulla liberta,perciò valido a priori. La liberta
esterna nn si può realizzare nella misura in cui nn si può usare qualche oggetto come cose o
prestazioni poste al servizio dei miei scopi.
il possesso esterno si esplica in 3 ambiti:
le cose corporee fuori di me,un pezzo di terra o merci
una prestazione concordata,contratto
io vengo leso nella mia liberta d’azione quando qualcuno mi sottrae un oggetto che mi appartiene o
faccia uso in mia assenza dell’oggetto mio proprio. La proprietà giuridica nn si estende solo sul
fondo in cui io sono sdraiato ma anche quando io nn ci sono. La proprietà nn consiste in possessi
attuali nello spazio e nel tempo ma anche in una relazione nn empirica,di pensiero cioè intelligibile.
Tutti gli oggetti,senza limitazioni,sono possibili titoli di proprietà. Locke sostiene che si acquisisce
la proprietà attraverso il lavoro,con il quale si allestisce l’oggetto per soddisfare i propri bisogni,nn
sorge per trasferimento contrattuale ma per acquisizione originaria.
Ma per Kant nn è sostenibile l’acquisizione per lavoro perché si presuppone un materiale che mi
deve già appartenere per lavorare. Esso è il contrassegno esteriore di una presa di possesso
originaria. Come Grozio anche Kant prende le mosse dalla comunità originaria del suolo e delle
cose su di esso,la base materiale è già data per l’uomo. Il suolo originario non è senza proprietario,il
primo acquisitore non si imbatte nella terra di nessuno ma nel possesso comune e non in oggetti
liberi giuridicamente ma nella comunità di tutti i comproprietari. Altrettanto originario quanto il
possesso comune del suolo è il diritto di utilizzare il suolo con i suoi frutti.
Il passaggio dal possesso comune a quello singolo si attua come presa di possesso si una parte
determinata della proprietà comune solo unilateralmente,come impossessamento o occupazione.
Nell’occupazione nn si tratta di una sottrazione ad altri ma di un acquisizione di un oggetto che nn
appartiene ancora a nessun singolo. Ciò che conta è la precedenza temporale dell’acquisizione. I
rapporti originari di proprietà hanno prima della costituzione dello stato significato solo
provvisorio,il possesso ottiene la definitiva sicurezza di un titolo giuridico solo per mezzo di una
volontà collettiva universale comune che attraverso il proprio potere assicura i rapporti provvisori di
proprietà. Lo stato di natura dispiega già prima dello stato la sua efficacia anche se solo provvisoria
in quanto presuppone di già i rapporti di possesso.
La proprietà,il contratto,il matrimonio sono istituzioni giuridiche valide anteriormente allo
stato,svanisce il potere del Leviatano di Hobbes.
IL DIRITTO PUBBLICO: LO STATO DI DIRITTO
Solo lo stato determina definitivamente i titoli di proprietà,li assicura contro violazioni,costringe a
restituire ciò che viene acquisito in modo contrario al diritto e libera il proprietario dall’incomodo di
difendere ciò che è suo con le proprie forze. Sono necessari secondo ragione la proprietà per la
liberta e lo stato per la proprietà. Kant sviluppa lo stato solo a partire dal diritto
privato,rispecchiando il calcolo e gli interessi della borghesia proprietaria e conferisce al nascente
capitalismo concorrenziale l’apparenza di ragione.
Nella fondazione dello stato segue come modello di pensiero la teoria contrattualistica sostenuta da
Rousseau che prende la mossa dalla considerazione di persone libere che vivono in una condizione
priva di rapporti statuali,stato di natura che può essere superato solo tramite reciproca limitazione
della liberta attraverso un contratto tra persone libero.
Da Hobbes ricava la sua concezione dello stato di natura come motivo razionale della
necessita di uno stato
Da Locke la concezione dei diritti inalienabili
Da Montesquieu l’idea della divisione dei poteri
Da Rousseau la tesi che solo la volontà generale rappresenti il principio critico normativo di
ogni legislazione positiva
Il contratto è un idea della ragion pura a priori indipendente dall’esperienza,non può essere dedotto
dalla natura o storia dell’uomo,non caratterizza l’origine dello stato ma è la regola di come esso
deve essere.
Nello stato di natura domina la mancanza di diritto non l’ingiustizia,il riconoscimento dei diritti
dipende dall’arbitrio privato e chi si ostini a difendere i propri diritti può farli valere solo con la
violenza,nessuno è assicurato contro la violenza. Nel diritto di natura domina la guerra di tutti
contro tutti.
Il superamento dello stato di natura è necessario secondo ragione perché il diritto è la forma di
relazione tra esseri liberi comandata dalla ragione,nel superamento delle volontà particolari in
quella generale:diritto pubblico.
Stato di diritto come comunità razionale della liberta esterna sulla cui base si decide ciò che è giusto
e non,la ragione lo prescrive perché solo a questa condizione si realizza il diritto comandato dalla
ragione.
Ordine politico consistente nel superamento dei conflitti posto da una volontà comune di tutte le
persone interessate,come un popolo dotato di ragione matura lo prescriverebbe a se stesso.
Critica con il contratto sociale inteso come principio di ragione ogni pregiudizio giuridico secondo
il sesso,confessione,status sociale.
Sebbene riconosca la sovranità alla volontà collettiva nn concede diritti di voto a tutti i cittadini ma
solo a quelli attivi;non alle donne e tutti quei lavoratori che dipendono dai comandi di altri mancano
di personalità civile e di posizione economica sufficiente,deducendo una discriminazione di diritto
pubblico da dati di fatto di diritto privato o si sesso.
L’uguaglianza giuridica è compatibile con le diseguaglianze sociali,di ricchezza perché è garantito a
tutti di accedere alle posizioni per cui ognuno possa elevare i propri talenti e la propria operosità,per
cui sono da escludere privilegi ereditari dovuti alla nascita essendo l’unica eredita legittima la
proprietà.
Restrizione dei cittadini a chi gode i qualche proprietà con esclusione di chi nn disponga di tali
come gli operai che dispongono solo della propria forza lavoro per metterla al servizio di altri come
domestici e braccianti.
Teorizzazione di una società classista anche dal punto di vista politico come uguaglianza solo
giuridica,borghese.
Sarebbe stato giusto mettere in relazione la cittadinanza attiva con la responsabilità giuridica,ma
egli rimane attaccato a pregiudizi del suo tempo.
Con il diritto alla resistenza ogni cittadino otterrebbe il diritto alla validità pubblica della propria
convinzione di diritto che equivalrebbe allo stato di natura e nn a quello di diritto.
La migliore costituzione è quella repubblicana detta stato di diritto,determinata dalla separazione fra
poteri(legislativo,esecutivo,giudiziario).
Essa è contrapposta al dispotismo che si ha se nn si ha tale separazione,come foriera di dispotismo è
l’aristocrazia di stampo rousseaiano,quella diretta .
Il diritto razionale nn stabilisce principi solo sul diritto pubblico,statuale,ma anche sulle relazioni
fra diversi stati,che rimanevano ancora in uno stato di natura nel senso di Hobbes,gli uni contro gli
altri e dominati,nelle loro relazioni,dalla forza e dalla guerra.
Il diritto cosmopolitico sarebbe rivolto all’instaurazione di una federazione mondiale di stati sovrani
per assicurare all’umanità una pace perpetua.
LA STORIA
1784 nel saggio Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico
1793 nel saggio Sopra il detto comune “questo può essere giusto in teoria ma nn vale per la
pratica.
1798 nella II parte del Conflitto delle facoltà intitolata Se il genere umano sia in costante
progresso verso il meglio.
1. La storia della natura comincia nel bene perché essa è opera di dio ma,dopo il peccato la storia della
liberta comincia col male perché essa è opera dell’uomo. il passaggio dalla natura alla cultura è una
caduta,la quale pero nn è del tutto negativa ma necessaria per poter dispiegare e rendere possibile
l’uomo libero e cittadino.
Il progresso storico e presentato come un avanzamento verso una civiltà sempre maggiore,non solo
come sviluppo tecnico,economico ma come miglioramento delle condizioni della convivenza fra gli
uomini: la meta dell’umanità è il carattere giuridico-politico,la costituzione repubblicana nei singoli
stati e la confederazione mondiale fra essi. Questi ideali vengono esposti nel saggio del 1784 prima
della rivoluzione francese e delle riforme prussiane di Hardenberg. Quella kantiana è una storia del
progresso della liberta.
Si mostra fiducioso nel progresso dell’umanità e ricorre alla provvidenza divina per fronteggiare
l’angoscia di una storia senza meta. Questo scritto risulta dominato da un finalismo dogmatico in
contrasto con le posizioni teorizzate nella CRpura.
Kant limita il progresso della storia alla giustizia politica in ambito nazionale e internazionale e
respinge l’idea della sua mancanza di senso,fonda la fede razionale che la ragione nn sia
assolutamente impotente di fronte alla realtà giuridico pratica.
2. nello scritto del ’93 afferma che sulla base della storia nn si potrà mai scoprire un ordine armonico e
progressivo,presumendo a priori che tale progresso. Tale progresso deve essere un dovere morale di
ognuno,un ideale orientativo al quale gli uomini devono ispirare le loro azioni,come nuovo
postulato della ragion pratica pura.
Una divinazione del futuro è da escludere perché l’agire umano è libero e nn prevedibile e neanche
dio,in quanto fuori dal tempo lo vedrebbe ma nn lo prevedrebbe. Il filosofo può solo illustrare tale
possibilità mostrandola come conforme al destino naturale degli uomini.
Nn resta che azzardare una prospettiva profetica cercano nell’esperienza storica che fornisca un
segno che funzioni da pronostico: tale segno è stato dato dalle mobilitazioni entusiastiche avute
nella rivoluzione franc. Che rivelano la tendenza morale dell’umanità.
In essa è stato affermato il diritto di un popolo a darsi una costituzione che creda migliore senza che
forze esterne siano autorizzate ad impediglierlo e che abbia scelto una costituzione adatta a evitare
per principio guerre offensive.
Il vero entusiasmo nella rivoluzione è verso ciò che è ideale o puramente morale, nn oggetto di
interesse personale, perché di tale natura è il concetto di diritto.
Il vantaggio che il progresso apporterà all’umanità nn consiste in una quantità crescente della
moralità dell’intenzione ma in un aumento degli effetti della legalità nelle azioni doverose quale ne
sia il movente che la determina.
Esclude che nella prospettiva storica si possa pensare a un progresso della moralità in senso proprio
perché essa è individuale e interiore mentre la convivenza organizzata giuridicamente è il teatro
dell’agire fenomenico esteriore degli uomini.
I principi morali che si danno nell’organizzazione politica dell’umanità si danno fra i singoli e gli
stati. Divaricazione fra la prospettiva dell’interiorità e quella storica,perciò l’ottimismo di Kant sulla
storia nn tange la dimensione metastorica,sovrasensibile che è propria della moralità.
LA RELIGIONE nei limiti della semplice ragione. 1793
L’opera fu concepita a causa della stretta reazionaria che si ebbe in Prussia contro l’illuminismo con
l’avvento di Federico II dopo la rivoluzione francese.
Ebbe difficoltà con la censura dal momento di pubblicarla con uno scritto minaccioso da parte del
re che lo accusava del male uso che faceva della filosofia per screditare le dottrine del cristianesimo
e delle scritture in contrasto con il dovere di un maestro di gioventù.
Sviluppo una teologia morale elaborata con una dottrina di una religione razionale,l’opera parla del
cristianesimo,del peccato originale e di gesù e secondo Kant tali rappresentazioni possono essere
spiegate in modo puramente filosofico,senza alcun riferimento alla rivelazione. L’esperienza a cui
Kant si richiama nello scritto è la natura umana affetta in parte di buone e in parte di cattive
disposizioni.
Tiene fermo all’idea illuministica secondo la quale ci può essere solo una vera religione e che
questa nn può contraddire la ragione,anche se non esclude che le dottrine religiose provengano da
uomini ispirati in modo sovrannaturale.
Poiché la filosofia non può negare alla rivelazione cristiana la sua pretesa di verità,prende le mosse
da un unita possibile di teologia filosofica e biblica,guidato da questa ipotesi egli riesce a elaborare
una nuova interpretazione dei racconti biblici.
La religione è una critica al cristianesimo con il rifiuto di tutta la dogmatica relativa ad esso seppure
con pretese di interpretazioni simboliche. Considerava la religione cristiana come ogni altra
religione positiva e istituzione tollerata in pro dei deboli,la bibbia come guida per l’istruzione
pubblica del popolo alla religione del paese,Gesù ideale personificato della perfezione morale e nn
figlio di dio o redentore umanità,la preghiera come atto feticistico.
Esige che vengano intese le affermazioni fondamentali della bibbia come proposizioni morali che si
riferiscono alla natura umana carica di predisposizioni in parte buona e in parte cattiva.
La religione e ammessa solo come morale,come considerazione dei doveri morali quali
comandamenti di dio ma nn come decreti emanati da lui arbitrariamente ma in quanto dio essendo
santo vuole ciò che è buono in se.
Opera divisa in 4 parti:
1. nella 1 intitolata “della compresenza del principio del male accanto a quello del bene o del
male radicale della natura umana”sostiene che l’uomo è cattivo per natura perché tutti gli
uomini, essendo finiti,hanno la tendenza a subordinare il rispetto della legge morale alla
soddisfazione delle inclinazioni sensibili,male morale radicato. Ma il male nn proviene per
eredita da adamo perché nessuno è responsabile di ciò che nn compie personalmente. Il
riconoscimento del male e del soffrire senza colpa è un problema religioso primario:perché
dio che nella sua onnipotenza potrebbe impedire ogni sofferenza ha permesso la sofferenza
anche a quelli innocenti e giusti? Una risposta è offerta dal racconto di Giobbe. Kant
respinge la teodicea di Leibniz perché nn ammette il male in tutta la sua acutezza,ogni
ottimismo ontologico che vede gli uomini buoni per natura (Rousseau) e malvagi solo a
causa della civiltà e respinge al contempo ogni pessimismo eroico che afferma la caduta
totale dell’uomo nel male. Tutte queste negano la liberta e la possibilità tramite essa di
superare il male.
2. nella seconda parte dello scritto, “la lotta fra il principio buono e cattivo per il dominio
dell’uomo” Kant sviluppa la sua cristologia filosofica. l’idea di cristo che si assume le colpe
dell’uomo e rifiutata con l’argomento che il male morale nn è trasferibile ad altri essendo
come debiti la più personale delle obbligazioni. Cristo è il modello puro, la personificazione
dell’idea del bene. Egli,figlio di dio,è l’umanità in tutta la sua perfezione morale e fornisce
agli uomini l’esempio della più pura moralità ,dell’uomo moralmente nuovo che compiendo
una rivoluzione interiore dal male al bene espia le sue colpe,quelle dell’uomo vecchio.
L’assoluzione delle colpe consiste nel rivolgersi interiormente al bene per cui tutte le
espiazioni intese come penitenze private e pubbliche e gli atti di culto nn possono sopperire
alla mancanza dell’intenzione buona ne accrescerne il valore.
3. la terza parte dello scritto “ la vittoria del principio buono sul cattivo e la fondazione del
regno di dio sulla terra”, esorta gli uomini ad abbandonare lo stato di natura etico,di costante
ostilità contro il principio buono da parte di quello cattivo. Tale stato viene superato per
mezzo di una comunità nella quale le leggi di virtù vengono riconosciute senza alcuna
costrizione. Poichè la legislazione etica deve favorire la moralità,qualcosa di interiore,nn
può essere compito del legislatore giuridico il superamento dello stato di natura perché le
sue sarebbero leggi giuridiche coercitive. Anche l’idea di un giudice futuro è una
personificazione della coscienza morale individuale rivolta a giudicare la sua vita intera. Se
ci immagina un giudice esterno chiunque cercherà di attirarsene l’indulgenza e penserà di
modificarne il giudizio tentando di rabbonirlo con preghiere o professioni di fede. Sicchè
quando un prete consola un moribondo nn fa che somministrare oppio alla sua coscienza .
Il legislatore morale è dio inteso come signore morale del mondo,una comunità etica è
pensabile solo come un popolo sottostante ai comandi divini,come popolo di dio retto
secondo le leggi della virtù. Il regno di dio è una chiesa invisibile,la comunità di tutti gli
uomini di buona volontà. La chiesa invisibile come popolo di dio è:
universale,numericamente unica,
santa perché retta secondo le leggi di virtù,determinata da completa
integrità morale,
apostolica perché la legislazione morale è immutabile.
4. nella 4 parte dello scritto “ intorno al culto vero e falso sotto il dominio del principio buono”
Kant distingue la religione morale della buona condotta morale da tutte le religioni che si
basano sul propiziamento del favore divino,del mero culto attraverso ordinamenti e
osservanze. L’uomo preferisce costruirsi un concetto di dio antropomorfico,attribuendogli
debolezze come quelle dei sovrani e nella cui indulgenza e bontà,piu che nella giustizia,c’è
da sperare. Ci si da ad ogni sorta di formalità nelle cerimonie, credendo di ostentare rispetto
per i comandi divini anche se ci si esime da osservarli,si pretende che la credenza
nell’intervento di dio è elemento essenziale della religione e s’abbandona nelle mani della
provvidenza la cura di fare di se stessi uomini migliori dedicandosi alla devozione e nn alla
virtù. Gli effetti della grazia divina come sacramenti,preghiere se nn intesi simbolicamente
sono mera taumaturgia,traviamenti della ragione perché significherebbe che l’effetto della
grazia come bene morale nn e opera nostra ma di un altro essere. Ma ogni intenzione
opportunistica che si allontani dall’atteggiamento morale e speculi sulla compiacenza di dio
e sull’effetto della sua grazia contraddice il principio dell’autonomia ed è moralmente da
respingere. Di fatto la morale si basa sul concetto di essere libero che si vincola da se stesso
a leggi incondizionate,non perché si aspetta una giustizia remunerativa o punitiva,l’gire
morale ammette solo l’impulso all’osservanza della legge morale.
Il contenuto razionale del cristianesimo che fa di esso una religione morale è dato da:
rivendicazione della purezza del cuore contro alla lettera della legge,opposizione tra
moralità interiore e legalità esteriore come ebraismo
Contro:
istituzionalizzazione cristianesimo nelle chiese come tradimento dell’ispirazione autentica
de suo fondatore come la superstizione cui si e tenuto incatenato il popolo con presunti
miracoli,la voce terribile di chi si pretendeva il solo interprete autorizzato delle scritture e la
pretesa di un ortodossia ad un’ altra. La mostruosità della teocrazia rivendicata dai papi con
il seguito delle guerre di religione e di oscurantismo. In quanto chiesa invisibile il regno di
dio non è realizzabile in uno stato storico,in un regno temporale messianico,esso è un regno
etico cifra dello scopo morale finale. Kant nn respinge che la chiesa visibile abbia un
compito pedagogico nella rappresentazione sensibile dell’idea morale del regno di
dio,anche se tale rappresentazione nn è la cosa stessa. L’avvicinamento al regno di dio si
annuncia nn attraverso lo splendore di una chiesa visibile ma attraverso il fatto che la fede
ecclesiastica si trasforma in fede di ragione,la fede religiosa morale,ciò in cui tale religione
si risolve.
L’ANIMA
Nella 4 parte dello scritto sulla religione,affronta anche il problema dell’anima. Secondo Kant
l’idea della sopravvivenza dopo la morte nn va trasformata in una supposizione oggettiva perché nn
solo sarebbe dogmatica(cioè priva di fondamenti) e sarebbe tale anche il contrario. In questo campo
all’uomo nn è possibile alcuna certezza e anche se ci fosse sarebbe irrilevante dal punto di vista
morale = agnosticismo sull’immortalità anima anche nell’ambito della praticità.
Nella metafisica dei costumi e nella 2 parte “Principi metafisici della dottrina della virtù” vi è un
ulteriore sviluppo a nn puntare sull’immortalità dell’anima che e legittima ma e solo una speranza.
Come alternativa accede a una posizione stoica,di un autosufficienza della virtù allorchè l’uomo
avendo vinto vizi e conscio di aver compiuto il proprio dovere si trova in uno stato di pace interiore
chiamato felicita nel quale la virtù è ricompensata a se stessa. Con la forza morale e coraggio per
contrastare il vizio l’uomo nn teme nulla perché padrone di se stesso.