my shit #2

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NUMERO 2 - ANNO 1 APRILE/MAGGIO 2012 JOE R. LANSDALE M1 DEAD PREZ PAGAZ&STELLAMAN RETRAZ LA GRANDE FUGA MARTINI&JOPPARELLI CINEMA LIBRI RACCONTO: NEAR WEST MISC FULVO IL LUPO IN QUESTO NUMERO:

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ecco il nuovo numero, finalmente! a presto anche - e soprattutto direi - in formato cartaceo!

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nUmero 2 - anno 1aprile/maGGio 2012

J o e r . l a n s D a l e m 1 D e a D p r e Z p a G a Z & s t e l l a m a n r e t r a Z l a G r a n D e F U G am a r t i n i & J o p p a r e l l i c i n e m a l i b r i r a c c o n t o : n e a r W e s t m i s c F U l V o i l l U p o

i n Q U e s t o n U m e r o :

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La GraNDe FUGasiamo partiti in molti, poi, lUnGo la straDa

alcUni li abbiamo persi, altri si sono persi......altri ancora hanno preso un’altra strada che li ha portati

lontano, pur mantenendo legami con la casa-base.In questo secondo numero di MYSHIT, racconteremo tra le altre anche le storie di persone, fratelli e sorelle sparsi qua e là per il globo, tuttavia in questo editoriale vogliamo spendere due parole su chi è rimasto.Chi è rimasto per pigrizia, chi per giustizia, chi perchè un po’ fesso, chi perchè codardo, chi per coraggio e determinazione, chi per opportunità, chi per volontà, chi per un legame indissolubile col territorio. É rimasto chi aveva delle buone ragioni, chi non ne aveva nessuna, chi non aveva coraggio e determinazione, chi per opportunità, chi per volontà, chi per un legame indissolubile col territorio. É rimasto chi aveva delle buone ragioni, chi non ne aveva nessuna, chi non aveva coraggio e determinazione, chi per opportunità, chi per volontà, chi per un legame indissolubile

vie di scampo e infi ne qualcuno è rimasto perchè è così che van le cose, punto. Scelta, sfi ga, necessità, prospettive, importano poco, importa invece se abbiamo migliorato la nostra e altrui condizione in un contesto oscurantista, in declino. Vogliamo dare un cinque alto a chi ha provato e prova a muovere qualcosa, a chi resiste in questa città, in questa regione, in questo paese, sudando ogni centimetro quadrato di spazio (fi sico, mentale e culturale).La nostra grande depressione, quella italiana e occidentale intendiamo, sembra volgere da un lato al suo inesorabile compimento, dall’altro invece pare indirizzarsi verso un punto non ben defi nito, ci spingiamo non si sa dove accompagnati da una brezza leggera, fresca, che cresce di potenza e diviene vento, soffi a da sud mischiando rabbia e cultura, gioventù e politica, somos viento si estamos huntos somos uracan... recita una bella canzone.

(...) ognuno ha il suo ruolo in tutto questo, chi non ce l’ha se lo dovrà immaginare senza perder troppo tempo a farsi venire il sangue cattivo. Da Bilbao a Berlino, dal Chiapas alla Cambogia, da Bali a Londra, dalla Palestina all’Irlanda, ovunque voi siate...

(...) Noi siamo qua, noi vi aspettiamo, in ogni momento, se vorrete tornare, che sia per un giorno o per il resto della vostra vita ci troverete qui, a cercare di prepararvi un posto migliore di quello che avete per tante buone ragioni lasciato.

Il bello della fuga sta nel ritorno

Veniteci a troVare ancHe sUl Web:contenUti extra, interViste, ViDeo e altro, in Formato extralarGe!

www.myshit.it

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c U l t U r a

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JOE R.LANSDALE

Joe Lansdale è nato il 28 Ottobre 1951 a Gladewater, Texas.Si trasferì ancora bambino nella vicina Nacogdoches, cittadina che sarebbe stata protagonista di alcuni suoi romanzi futuri e dove attualmente ancora vive. Lansdale confessa di essere stato infl uenzato da Edgar Rice Burroughs, Mark Twain e Jack London, ma anche dalla fantascienza di Ray Bradbury e di Fredric Brown. Senza dimenticare fumetti, B-movie e letteratura

“pulp”. Pubblicò il primo racconto a 21 anni, poi per tutti gli anni settanta su varie riviste numerosi uscirono suoi racconti gialli e di fantascienza. Intanto svolgeva i lavori più disparati: da contadino a buttafuori in locali pubblici, da bidello a operaio in fabbrica. Nell’80 il suo primo romanzo, Atto d’amore (Act of Love). Lansdale è chiamato Champion Joe dai suoi fan, a causa della sua pratica delle arti marziali: sin da bambino apprese dal padre i primi

rudimenti di boxe, wrestling e ju-jitsu, in seguito iniziò a studiare seriamente il Judo e il Tae Kwon Do. Nel gennaio del 1997 aprì la sua scuola e il Lansdale’s Self-Defense Systems è uno stile riconosciuto a livello internazionale. Lansdale è anche un assiduo frequentatore dei festival letterari italiani. Dalle nostre parti è riuscito a costruirsi una popolarità straordinaria e l’Italia, dopo gli Stati Uniti, è il paese dove vende più libri.

A cura di Karletto e DavideIn Italia sei molto conosciuto e seguito, diventando un autore di culto. Come ti spieghi questo successo nel nostro Paese? Onestamente non ho idea del perché di questo successo, sicuramente ne sono molto felice e grato. Mi piace pensare che una buona storia e dei buoni personaggi siano quel che conta davvero, al di là del linguaggio usato. Ma oltre a questo... non ne ho idea...

Il Texas è sempre presente nei tuoi libri e non è quello stereotipato al quale ci ha abituato la TV: quanto è forte il legame fra la tua narrativa e il Texas? Riesci a costruire una vera e propria epica texana...Ho un rapporto di odio-amore con il Texas. Penso sia un unicum negli USA. Un tipo di stato molto diverso. Inizialmente occupato da gente che scappava dalla legge, o che semplicemente voleva rifarsi una vita, divenne una specie di paradiso per persone grezze ed eccentriche. Col passare del tempo sta perdendo un po’ della sua identità, ma penso che una delle ragioni per cui così tanti texani siano persone ostinate, stia nel fatto che non vogliono perdere quella identità, e per assicurarsi che tutti sappiano cosa vuol dire essere Texani, si aggrappano a quella cocciutaggine. A volte i risultati sono buoni, altre volte no. Ma è dove sono nato e cresciuto, e capisco tutto questo, quasi del tutto. Per conoscere il Texas, conoscerlo davvero, devi necessariamente essere nato qui o almeno esserci vissuto sin dalla prima infanzia. È l’unico modo per comprendere davvero. È uno stato pieno di contraddizioni.

Il Texas è anche terra di confi ne, e in alcuni tuoi romanzi - penso a Cielo di Sabbia - il tema della “frontiera” in senso lato è molto presente...Sì, il texas ha ancora qualche aspetto tipico della frontiera. È un enorme stato e in certi posti hai davvero la sensazione di essere da solo. Le cose stanno cambiando con l’incremento della popolazione, con il vasto utilizzo di Internet e con tutti i mezzi di comunicazione che non esistevano in passato. In ogni caso ci sono ancora aree nel Texas occidentale e in quello settentrionale in cui il telefono cellulare e Internet non funzionano. O funzionano molto poco. Ci sono luoghi in cui tutto ha l’aria di essere abbastanza primitivo.

Fantascienza, giallo, horror, romanzo di formazione, western... si può dire che “mischi” la letteratura cosiddetta “di genere” creando comunque narrazioni di ampio respiro. Da dove nasce questa capacità di miscelare più generi?Non so se sia un’abilità. Sono cresciuto con tutti i tipi di generi, sia nei libri che giornali, fi lm e televisione. Da subito i fumetti mi hanno infl uenzato molto, e per defi nizione sono una mistura di generi. Sono il massimo in questo. Penso che in questo senso siano la mia più grande infl uenza nel mischiare generi.

Se lei fosse un regista, quali attori sceglierebbe per interpretare Hap e Leonard? Non ha mai pensato di fare una trasposizione

cinematografi ca delle sue avventure?Hap e Leonard sono stati vicini ad avere un loro versione cinematografi ca molte volte. Una Stagione Selvaggia è stata opzionata molti anni fa, ma ora sto scrivendo una sceneggiatura delle loro avventure io stesso. Mucho Mojo è stato opzionato e una sceneggiatura è stata scritta da Ted Talley, lo stesso sceneggiatore de Il Silenzio Degli Innocenti. Era una grande sceneggiatura, ma ahimè, non è stato girato.Il Mambo degli Orsi è stato opzionato, e io stesso ho scritto la sceneggiatura, ma la casa produttrice è fallita. Forse questa nuova sceneggiatura di Una Stagione Selvaggia che

sto scrivendo verrà realizzata. Negli anni ho avuto molte idee su Hap e Leonard, ma Hollywood pensava che gli attori che avevo scelto fossero troppo vecchi. Jeff Bridges e Lowrence Fishburn sono le scelte più recenti. A un certo punto si è pensato a Josh Lucas e Don Cheadle, ma alla fi ne non se ne è fatto nulla.Mi piaceva Bill Paxton per Hap, ma anche questa nave è salpata. Ora come ora Josh Brolin per Hap, ma non mi viene in mente nessuno per Leonard. A un certo punto ho pensato che Sam Jackson sarebbe stato grande.Vedo invecchiare i personaggi, ma Hollywood no. Penso che i primi due che avevo in mente potrebbero andar bene. Ma se il film andasse bene e ne volessero fare altri sarebbero davvero troppo vecchi.

Per conoscere il Texas, conoscerlo davvero, devi

necessariamente essere nato qui...È l’unico modo per comprendere

davvero.

Fantascienza, B-movies, Noir, Horror, Western.nella letteratUra Di Joe r.lansDale c’È tUtto QUesto, in maniera mai banale.

Fantascienza, B-movies, Noir, Horror, Western.nella letteratUra Di Joe r.lansDale c’È tUtto QUesto, in maniera mai banale.

Fantascienza, B-movies, Noir, Horror, Western.

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inspiration bY:

Paolo Baraldi

m U s i c a

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1. sound Of NoiseMUsIC FOr ONe

HIGHWaYLoro fanno musica con le cose.

Hanno fatto un fi lm.La classica scena della fuga dagli sbirri,

che di classico in questo caso non ha niente.

2. Luis armstrongGO DOWN MOses

Luis Armstrong suona un vecchio spiritual. Iconografi a biblica, l’esodo

come liberazione e fuga dalla schiavitù.Mitologia egiziana, simbolo di una civiltà africana, capace di dominare il mondo.

Tema che diventerà ricorrente tra illustri jazzisti quali Miles Davis e Sun Ra.

3. Francis LalesCaPaDe

Dritto dalle casse di vinile più nascostedel Bronx, un break mozzafi ato con un

notevole impatto cinematico ed una progressione di accordi decisamente epica.

Anche questo è Hip Hop.

4. showbiz & aGrUNaWaY sLaVe

Canzone che da’ il titolo al primo album di Showbiz & Ag. Siamo nei primi anni novanta

e il duo del Bronx confeziona un classico. Fuggire dal ghetto, dalla brutalità della

polizia, dalla vita di strada priva di speranze. Nel testo c’è tutta l’estetica della golden age.

5. al GreenI’D FLY aWaY

Ballata soul di stampo classico come Al Green comanda. Perfetta per scappare su una cadillac

con Pam Grier alla volta di Los Angeles.

6. alice ColtraneJOUrNeY tO

satCHIDaNaNDaFuga spirituale e mentale

della signora Coltrane. Accompagnata da Pharoah Sanders, ci conduce in un viaggio

mistico che muove dalla tradizione jazzistica americana alle sonorità orientali.

7. Lalo schifrinesCaPe FrOMtOMOrrOW

Uno dei brani della colonna sonora della serie Tv “Il pianeta delle scimmie”, andata in onda negli anni 70. È possibile scappare

dal domani? Lalo ci prova con un vertiginoso groove che ci lancia verso nuovi orizzonti.

8. Gregory IsaacstHe FUGItIVe

Chi non ha mai pensato di mollare tutto e trasferirsi in Jamaica?

Gregory Isaacs è qui a ricordarcelo.

9. KulturestePPIN OUtta BaBYLONDal pupillo di Skream, un suggestivo dubplate che campiona un vecchio classico di Marcia Griffi ths. Quanto pezzi sono stati fatti sulla

fuga da babilonia? Mai abbastanza.IN BASS WE TRUST.

10. John CarpenteresCaPe FrOM

NeW YOrKBeh, questo fi lm non ha bisogno di

presentazione. Un regista che compone la propria colonna sonora, e la compone così.

Ah si, e poi c’era il Duca di New York che era Isaac Hayes. Che fi lm.

11. Prince BusterWINGs OF a DOVeClassicone SKA, in una versioneche si sente meno spesso in giro.

“I would fl y, fl y away...”

12. Outkaste.t. (extraterrestrial)

Pezzo di incredibile atmosfera e intensità lirica. Outkast signifi ca reietti, esclusi,

emarginati. Vi siete mai sentiti degli alieni in fuga da questo mondo?

13. alessandro alessandronisBIrrO IN FUGa

Inseguimenti, sparatorie, sbirri e criminali che si fronteggiano nell’Italia degli anni 70. Chi non ha amato il cruento fi lone poliziesco

italiano, colonne sonore comprese,inizi a scappare.

14. Johnny ClarkeNONe sHaLL esCaPe

tHe JUDGeMeNtKingston, 1974. Il pezzo che ha dato

il successo alla voce magica di Johhny Clarke. Un avvertimento a tutta l’umanità...

15. Pete rock & C.L smoothesCaPe

Sessant’anni dopo “Go Down Moses”,tornano i temi biblici dell’esodo.

16. Giorgio MoroderMIDNIGHt eXPress

tHeMeFuga di mezzanotte, akaReturn Of The Gangsta...

chi capisce, capisce.

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Il DJ piu’ raffi nato e consapevole delle nostrelande ci regala una Selection a tema.

riGorosamente Di spessore e, come sempre, mai scontata...

JOPPareLLI

Martini&Jopparelli, due appassionati di musica che ormai 6 anni fa hanno deciso di aprire un blog per diffondere recensioni, consigli musicali, e un po’ di musica da scaricare “sottobanco”.Il blog ha avuto un certo successo, il nome è girato e presto hanno avuto il supporto di parecchi appassionati.Insomma, con loro grande soddisfazione sono entrati in contatto

con una nicchia di malati di mente che condivide le stesse manie musicali. Strada facendo hanno realizzato mix e selezioni, ampliato i propri orizzonti musicali, indagato e scoperto breaks assurdi, hanno iniziato una collaborazione annuale alla rivista Superfl y, e nauralmente portano in giro i loro DJ Set con una certa regolarità.

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m U s i c a

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è uno dei due fondatori deiDEAD PREZ

una delle combo Hip Hop americani più importanti della storia.

Ma M1 è soprattutto un militante,

un attIVIsta per i DIRITTI CIVILI,

militante delle Black Panthers,

sostenitore della Causa Palestinese.

M1, al secolo Mutulu Olugbala ne ha macinata di strada e dimostra in ogni cosa che fa di essere non solo un artista e un musicista completo, ma di essere innanzitutto persona politicamente estremamente matura che riesce a dare pienezza a quello che ancora oggi può voler dire “Hip Hop politico”. E non c’è forse neanche bisogno di dire che qui ci troviamo lontano anni luce dalla piega disimpegnata e a tratti nichilista che invece ha preso gran parte dell’Hip Hop di maggior successo degli ultimi anni. Dopo aver messo in fi la una serie di dischi storici con il socio STIC.MAN sotto la sigla DEAD PREZ (in particolare Let’s Get Free nel 2000 e Revolutionary But Gangsta nel 2004, oltre ai quattro mixtape di Turn Off the Radio), un paio di celebri singoli (Hell Yeah con persino un featuring di Jay Z e It’s Bigger than Hip Hip) e un album solista (Confi dential, uscito nel 2006) ora M1 si è imbarcato in un’impresa ambiziosa: mettere insieme - non solo idealmente - l’Hip Hop militante d’Oltreoceano con la tradizione di attivismo di casa nostra e il collegamento più naturale non poteva essere che Bonnot, produttore di Assalti Frontali, musicista poliedrico e vero e proprio vulcano di idee. È così che è nato AP2P, All Power To The People, concept album realizzato fra New York e Bergamo che riporta con prepotenza i temi caldi dell’Hip Hop più impegnato sulle basi prodotte da Bonnot, senza indugiare in nostalgie o militanza di maniera ma con un’urgenza comunicativa spietata, per riprendersi la parola nei confl itti qui ed ora. Abbiamo incontrato M1 a Bergamo in studio da Bonnot (che ringraziamo per l’ospitalità) durante le ultime registrazioni del disco. Ne è nata una chiacchierata dal clima amichevole ma anche dall’indubbio spessore politico: si è passati dal parlare delle sorti dell’Hip Hop contemporaneo a Occupy Wall Street, dai proletari afroamericani ad un sorprendente elogio dell’ autodisciplina(!). Questo è ciò che ne è venuto fuori.

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(K) Innanzitutto, anche per presentare M1 e Dead Prez ad un pubblico italiano, raccontaci come è iniziato il tuo rapporto con il rap e la cultura Hip Hop.M-1: Oh man, ho cominciato a dodici anni! All’inizio ho cominciato come break-dancer. Era la mia vita…

(P) Eri a New York?M-1: Sì, ero a New York ma passavo il mio tempo tra New York e la North Carolina. Tra i miei 12 e 15 anni erano gli anni in cui il rap stava esplodendo. A 14 anni volevo diventare un artista di graffi ti e stavo cominciando ad imparare. Quindi me ne andavo in giro per New York City, graffi ti e bombolette ogni notte insieme ad un sacco di ottime crew. Ma naturalmente mi sono cacciato nei guai perché comunque rischi sempre di essere arrestato, devi stare in giro tutta la notte, e a mia mamma non piaceva. Quindi mia mamma mi ha mandato in North Carolina. Ma quando sono arrivato in North Carolina tutti mi dicevano “Oh! Tu vieni da New York?!!” E New York in quegli anni voleva dire Hip Hop. Quindi ho cominciato a mettere dischi perché avevo un sacco di musica che nessuno aveva mai sentito in North Carolina. E così sono diventato un DJ. Quindi sono passato dalla break-dance, ai graffi ti ad essere un DJ nell’arco di 3 o 4 anni. A 15 anni questo era quello che facevo, il DJ. Quando mi sono diplomato alle scuole superiori non avevo altre scelte, quindi – per fortuna - mi sono iscritto all’università. E lì ho incontrato Stic. E Stic in quegli anni era un MC di grandissimo talento. Già a quell’età, molto giovane (lui è più giovane di me di un anno, io l’ho incontrato che avevo 16 anni e lui ne aveva 15) era un rapper molto maturo.

Era molto bravo, aveva ottime canzoni. Ed è lui che mi ha motivato a scrivere e a diventare un MC. Sapevo tutto dell’Hip Hop, avevo tutti i dischi etc. ma non avevo mai scritto rap. Ho cominciato a scrivere i miei primi versi quando avevo 16 anni e lui, con il suo stile, è stato per me una grande infl uenza. Ed è per questo che non ho mai avuto nemmeno l’occasione di fare rap parlando di cose materiali, macchine etc. perché quando ho incontrato Stic lui era già molto dentro le questione del Black Power, i movimenti radicali. E già dai miei primissimi rap ho sempre scritto riguardo a questioni politiche. Questo è stato il mio inizio.

(K) Ora che stai collaborando con un produttore europeo come Bonnot per il progetto di AP2P. Quali sono le differenze che hai trovato non solo per quanto riguarda la scena Hip Hop ma nell’underground in generale, tra l’Europa (e l’Italia in specifi co) e gli Stati Uniti?M-1: Non ci sono molte differenze. Non è tanto diverso. La differenza sta nel fatto che il rap commerciale mainstream fa schifo. Fa schifo qui e fa schifo allo stesso modo negli Stati Uniti. Mentre la scena underground è legata alla gente che la porta avanti e alla lotte, e questo anche negli Stati Uniti. Per me è stato un passaggio molto facile venendo dagli Stati Uniti lavorare con Bonnot e gli Assalti Frontali perché stiamo facendo la stessa cosa. Quindi mi sento a casa con questa crew. Ma credo che ci sia qualcosa in più di molto importante con AP2P: e questa cosa è che ha una ramifi cazione mondiale e globale. Ogni punto del movimento è connesso e noi vogliamo fare un sound globale. Non è solo Hip Hop, è African,

all poWer to tHe people!A cura di Karletto e Pito

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è Dance, è Punk Rock, e credo che tutti questi elementi messi insieme, forse – dobbiamo ancora vedere quale sarà la reazione della gente – riuscirà a sfuggire l’underground per portarci a un livello globale. O forse di un underground globale. Ad esempio in America c’è gente che conosce i Dead Prez, ma qui in Italia in pochi ci conoscono. Invece credo che AP2P abbia le potenzialità per avere una dimensione globale. Questo anche per il sound che è stato costruito da Bonnot ma anche grazie alle tentissime connessioni del movimento a cui ci leghiamo. Proprio ieri scrivevamo per presentare il nostro progetto “l’AP2P Alliance continua la tradizione della, minoritaria ma non scomparsa, cultura rivoluzionaria. In un mondo dove gli artisti sono costretti ad arrendersi ad ogni richiesta e gli viene imposto di scrivere party songs stupide con la paura in caso contrario di non riuscirsi a mantenere. Bonnot (Assalti Frontali) ed M1 (Dead Prez) hanno unito le loro forze per dare vita a una coalizione internazionale per combattere i poteri costituiti... All Power to the People!”

(P) Vorremmo farti ora una domanda più politica: qual è la tua impressione riguardo a quanto sta accadendo a New York in questi giorni [Occupy Wall Street]. Perché da un lato c’è un movimento con una certa radicalità di parole d’ordine riguardo al capitalismo fi nanziario, lo strapotere capitalistico etc., ma queste stesse persone sono anche quelle che quattro anni fa avevano sostenuto la campagna di Obama, che - ora sappiamo - è stato anche colui che ha dovuto usare una quantità abnorme di soldi pubblici per salvare il settore fi nanziario di Wall Street. Qual è la tua opinione riguardo a questa contraddizione? M-1: Io credo, riguardo a Obama, che non ci sia stata abbastanza chiarezza riguardo agli obiettivi. Perché molti pensavano di poter raggiungere un evento quasi-rivoluzionario eleggendo un leader afroamericano, ma in realtà stiamo assistendo ad un vero e proprio neocolonialismo dentro l’America. E l’America è nuova rispetto al neocolonialismo, anche se

l’abbiamo avuto a un livello locale più limitato con sindaci etc., ma per quanto riguarda la leadership nazionale non l’abbiamo mai visto così in alto. E un po’ di educazione politica - se ad esempio leggiamo Franz Fanon o di altre lotte rivoluzionarie - mostrerebbe come un neocolonialismo possa avvenire anche dentro gli Stati Uniti anche se non l’abbiamo mai visto in questo modo. É una cosa nuova. Quindi riuscire a far eleggere Obama e scoprire che supporta quello stesso sistema che tu stai combattendo (dà i soldi pubblici a Wall Street etc.), tutte le persone progressiste dicono “Wow, ma perché? Perché deve dare 7,1 miliardi di dollari appena viene eletto”. E adesso, quattro anni dopo è chiaro. Credo che questa lotta di Wall Street stia diventando un punto cruciale e che abbia portato molte persone ad avere posizione rivoluzionarie mentre prima il massimo che

si poteva avere erano proteste, manifestazioni, presidi etc. mentre ora abbiamo un totale disprezzo nei confronti dell’autorità e della polizia. E non ho mai visto un livello di intensità delle lotte così alto all’interno degli Stati Uniti come in questo periodo nella mia vita. Forse è accaduto negli anni Sessanta quando ancora non ero nato dove il livello di confl itto era molto alto. Ma poi c’è stata la paura perché gente come Mumia Abu-Jamal, Mutulu Shakur, Assata Shakur sbattuta in carcere per trent’anni c’ha fatto venire paura di combattere il sistema in modo fi sico. Ma adesso la gente dice: “abbiamo fatto eleggere un presidente,

abbiamo fatto questo… ora non abbiamo nient’altro da perdere”. E questa è la ragione per cui sono nate esperienze come Occupy Wall Street. Oggi il sindaco di New York Bloomberg sta tentando di ripulire la piazza, ma è stato contestato e credo che dovrà rimandare ed è un esempio formidabile del fatto che in questo momento ci sia un problema negli Stati Uniti. Sarà interessante vedere quale sarà la prossima mossa del movimento.

(P) Quando tra la fi ne degli anni Ottanta e i primi anni Novanta vennero fuori gruppi come N.W.A. o Public Enemy si creò una sorta di divisione nella scena Hip Hop tra l’approccio più materialistico e a volte persino nichilistico e autodistruttivo del gangsta rap, e un approccio invece politicamente più cosciente

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e confl ittuale. É abbastanza chiaro a posteriori vedere chi abbia vinto tra i due, e basta fare un giro a Watts o in certi parti di Brooklyn per capire quali siano i motivi. Ciò che ho sempre trovato affascinante dei Dead Prez è la capacità di riuscire a creare un ponte tra queste sensibilità e a non dimenticare le ragioni sociali che hanno portato al successo di un Hip Hop più materialistico e meno politicizzato. M-1: Nella mia analisi, le ragioni per cui un certo Hip Hop più materialistico e nichilista abbia vinto è legato al supporto diretto che ha avuto dal governo. Le imprese che rispondono al nome di Sony, Universal etc. si sono accordate insieme. E tieni presente che stiamo parlando di imprese che non fanno la maggior parte dei loro profi tti con la musica. Sono imprese come Vivendi che possiede la Universal e che non fanno investimenti nella musica per la musica. Sarà al massimo il 10% la parte dei loro profi tti che proviene dalla musica. L’idea è piuttosto quella di controllare la cultura. Se vuoi essere un rapper di successo e vieni come me da un quartiere povero, o da un project[Ndr: case popolari statali, solitamente abitate da sottoproletariato urbano] - posti dove ancora adesso avere un computer è un miraggio -, se vuoi poterti permettere un computer o quant’altro devi andare da queste persone! E quindi per avere successo dici “che cazzo me ne frega” e parli di Maybach, Bentley, Mercedes e cose materiali, perché sai che questo farà in modo di potertele permettere. Su questo tipo di competizione questo Hip Hop ha certamente vinto e ha reso meno rilevanti progetti musicali come il nostro. Dead Prez invece mostra una via che si basa sull’analisi politica e le rivendicazioni sociali perché siamo estremamente radicati nel movimento. Ma la maggioranza delle persone non lo è. Il movimento all’interno degli Stati Uniti è piccolo, ed è stato enormemente indebolito. Non mi piace ammetterlo, ma siamo deboli, siamo senza risorse. I nostri leader sono in prigione e molti sono stati per lo più dimenticati. La gente non li conosce più. Se nomino questi leader a Lil Wayne, non sa neanche chi siano. Lil Wayne non ha idea di chi sia Assata Shakur. Credo che questa sia una delle cause principali per cui questo processo sia avvenuto in questo modo.

(P) Se penso a un pezzo come “Hell Yeah” o alle tracce dei Dead Prez che hanno un approccio maggiormente narrativo colpisce il fatto che il punto di vista sia per lo più individuale. Ma se invece penso a una delle collaborazioni che tu hai fatto per il disco solista di Bonnot Intergalactic Arena che si chiama “Let’s Get Organized” vi è una presa di coscienza di un problema politico assolutamente attuale che è quello dell’organizzazione: ovvero quale possa essere il livello organizzativo più effi cace per raggiungere alcuni obiettivi politici. Quali sono i tuoi pensieri riguardo al problema dell’organizzazione. M-1: É diffi cile parlare dell’organizzazione senza avere qualcuno che ti dica “oh, ma queste sono solo idee utopiche”, “questo è irraggiungibile”, “stai solo sognando”. É diffi cile parlarne perché non ci si immagina un nuovo mondo. Non ci si riesce a immaginare un mondo senza crack, senza povertà. Dobbiamo immaginarcelo per provare a ottenerlo.

Parlare di organizzazione è importante perché molte volte ci piace invece pensare alla libertà come a un’idea astratta, ma non c’è nessuna cosa concreta che ti possa far dire “ah, ecco, questa è la libertà!” Per molte persone libertà vuol dire avere tutti i soldi che vuoi, o comprare tutte le cose che vuoi. Quando nella realtà invece libertà vuol dire avere accesso alla risorse necessarie per poterti autodeterminare nella tua vita. E non riguarda i soldi, che sono invece uno strumento di controllo. Questa è una delle ragioni per cui abbiamo dovuto fare “Hell Yeah”, che è un pezzo per il quale abbiamo ricevuto molte critiche, perché ne abbiamo parlato da un punto di vista personale, mentre Dead Prez è un progetto che parla dal punto di vista organizzativo o collettivo. Ma un punto di vista organizzativo non parla della vita delle persone che non si pongono questo problema e che non riesco a immaginarsi una libertà. Che cosa è la libertà? Con quel pezzo noi abbiamo detto “la libertà è il contrario di questo”: la libertà è il contrario di essere povero; la libertà è il contrario di lavorare in condizioni pessime; la libertà è il contrario di essere in prigione. E in questo modo la gente lo capisce. Perché se parliamo di libertà del punto di vista di Huey P. Newton, del socialismo o di un sistema dove la gente può condividere l’accesso alle risorse etc., ti rispondono “Eh? Ma cosa vuol dire?” É troppo astratto.E questo è anche uno dei motivi per cui Jay-Z è stato invitato a fare la canzone. E Jay-Z è l’antitesi dell’essere povero. Anche a quel tempo, quando la canzone è uscita sette o otto anni fa, era già un rapper famoso, e parlava già di avere tutto etc. Ma con lui, c’era la possibilità di potersi riferire a quella condizione - e a noi serviva quello - perché anche lui viene da una condizione sociale che è la stessa da cui veniamo noi. Molta gente ci ha accusato di essere stati degli irresponsabili per quella canzone, ma se pensiamo al senso generale di quel pezzo fi nisce con l’essere un brutto incubo. Alla fi ne del video, ci svegliamo in Africa e diciamo “Che incubo, eravamo in America, eravamo poveri, c’era gente

è il contrario di questo”: la libertà è il contrario di essere povero; la libertà è il contrario di lavorare in condizioni pessime; la libertà è il contrario di essere in prigione. E in questo modo la gente lo capisce. Perché se parliamo di libertà del punto di vista di Huey P. Newton, del socialismo o di un sistema dove la gente può condividere l’accesso alle risorse etc., ti rispondono “Eh? Ma cosa vuol dire?” É

E questo è anche uno dei motivi per cui Jay-Z è stato invitato a fare la canzone. E Jay-Z è l’antitesi dell’essere povero. Anche a quel tempo, quando la canzone è uscita sette o otto anni fa, era già un rapper

diciamo “Che incubo, eravamo in America, eravamo poveri, c’era gente

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Discography:2000LET’S GET FREE2002Turn off the Radio Vol. 1:THE MIXTAPE2003Turn off the Radio Vol. 2:GET FREE OR DIE TRYIN’2004REVOLUTIONARY BUT GANGSTA2006CAN’T SELL DOPE FOREVER2008LIVE IN SAN FRANCISCO2009Turn off the Radio Vol. 3:PULSE OF THE PEOPLE2010Turn Off the Radio Vol. 4:REVOLUTIONARY BUT GANGSTA GRILL

DEAD PREZ

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in carcere etc.” Organizzarsi vuol dire innanzitutto mettere nelle teste della gente degli obiettivi concreti che possono raggiungere e da cui poter ricavare il meglio che si riesce. Quindi, per ritornare molto brevemente a Occupy Wall Street, lì non c’è nessuna organizzazione. É un movimento anarchico. C’è tutta questa gente diversissima e nessuno comunica con nessun altro. Alcuni sono contro le banche, altri contro il razzismo, ma nessuno comunica per quello che è l’obiettivo comune. Tutti si fermano a “non ne posso più”, “sono stanco”, “che se ne vadano a quel paese”: ma l’idea dell’organizzazione è mettere insieme tutte queste idee in un’unica idea che possa rappresentare tutti. E per me è questo ciò che dobbiamo fare ora. E forse è il motivo anche per cui Occupy Wall Street non sarà così effi cace. Nell’ultima canzone che io e Bonnot abbiamo scritto, proprio ieri sera, che si chiama “99%”, dico “There is price to pay / For taken’ it all from me / Me and my army/ We taken’ it back! / They know, / its not about money / Dinaro / We takin’ it back!” [ndr: c’è un prezzo da pagare per avermi tolto tutto, io e il mio esercito ora ce lo veniamo a riprendere. Ma loro sanno che non è una questione soldi, e ora ce lo veniamo a riprendere]. Ciò che voglio dire riguardo all’organizzazione è che il problema è che non ci possiamo organizzarci attorno ai soldi, dobbiamo organizzarci per il potere. Solo in questa forma possiamo ottenere qualcosa.

(P) Per riportare li discorso alla dimensione materiale e quotidiana dei ghetti e dei quartieri proletari, una delle mie canzoni in assoluto preferite dei Dead Prez è “W-4” che è uno dei pochissimi pezzi Hip Hop che parla esplicitamente di lavoro. Il lavoro è uno dei grandi rimossi non solo dell’Hip Hop ma anche del punk rock, dell’underground e in generale di ogni controcultura. Io la trovo una questione cruciale. Che importanza politica tu dai alla questione del lavoro? M-1: É l’espropriazione della ricchezza e in defi nitiva il capitalismo. É l’atto di estorcere il lavoro dal lavoratore senza fornirgli la possibilità di godere di ciò che ha prodotto, di godere dei frutti del proprio lavoro. I lavoratori agricoli migranti degli Stati Uniti, messicani e non solo, vivono in una condizione al di sotto della povertà, e la realtà è che senza questi lavoratori non potremmo nemmeno mangiare in America. E loro non hanno quasi di che

mangiare, mentre è solo grazie a loro che si coltiva e si produce cibo. Questa è la questione centrale, e alla fi ne dobbiamo combattere questo sistema. É il capitalismo che fa in modo che invece di produrre cibo vero (arance, mele, banane, insalata etc.) vengano costruite industrie come McDonald’s dove il cibo fa schifo. E invece di lavorare per poter mangiare

bene, lavoriamo per le industrie di McDonald’s. E alla fi ne, e questo lo vedi con il Partito Comunista negli Stati Uniti o con gli I.W.W., c’è bisogno di un punto di vista della classe lavoratrice: ma a volte quando tenti di spiegarlo alla gente di colore, ai neri, ai messicani, o anche ai bianchi loro ti dicono “Ma tu vuoi soltanto che tutti siano poveri, io non voglio essere povero per tutta la vita”. Ma l’idea di fondo invece non è che vogliamo essere poveri, ma al contrario che tutti possano godere dello stesso livello di risorse: se io ho un sacco di riso, anche tu avrai un sacco di riso; se io ho una macchina, anche tu avrai una macchina; se io ho una casa, anche tu avrai una casa. E se ci mettiamo tutti insieme, forse riusciremo tutti ad avere quello di cui abbiamo bisogno, e ognuno potrà star bene, essere felice, essere in salute. Ma molti non capiscono questo concetto e per questo dobbiamo sforzarci di far capire che cosa vuol dire essere un lavoratore nell’economia capitalistica. La gente pensa che la propria condizione dipende solo dal fatto che è stata sfortunata alla nascita: “non sono nato un padrone”, “non sono nato con una rendita”: ma non è un problema di fortuna o sfortuna, è un problema di cambiamento dei rapporti sociali. La gente pensa di essere nata nella vita sbagliata, e che invece si merita di stare al top, ma proprio per questo dobbiamo cambiare paradigma.

(P) Nei movimenti e nei centri sociali in Italia vi è una forte infl uenza di una sinistra di matrice libertaria molto vicina ad un’idea di godimento individuale della libertà (anche nelle condotte di vita, nel bere, nelle droghe, nella sessualità etc.). Da questo punto d’osservazione colpisce nelle tematiche affrontate da Dead Prez il ricorrente tema della disciplina (essere in forma, fare esercizi ginnici etc.). Io penso che

(P) Per riportare li discorso alla dimensione materiale e quotidiana dei ghetti e dei quartieri proletari, una delle mie canzoni in assoluto preferite dei Dead Prez è “W-4” che è uno dei pochissimi pezzi Hip Hop che parla esplicitamente di lavoro. Il lavoro è uno dei grandi rimossi non solo dell’Hip Hop ma anche del punk rock, dell’underground e in generale di ogni controcultura. Io la trovo una questione cruciale. Che importanza politica tu dai alla questione del lavoro? M-1: É l’espropriazione della ricchezza e in defi nitiva il capitalismo. É l’atto di estorcere il lavoro dal lavoratore senza fornirgli la possibilità di godere di ciò che ha prodotto, di godere dei frutti del proprio lavoro. I lavoratori agricoli migranti degli Stati Uniti, messicani e non solo, vivono in una condizione al di sotto della povertà, e la realtà è che senza questi lavoratori non potremmo nemmeno mangiare in America. E loro non hanno quasi di che

m U s i c a

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sia centrale per ogni prospettiva politica essere in grado di sottostare a una certa idea di autodisciplina, ma credo che per alcune parti del movimento italiano l’idea di disciplina sia ancora un termine problematico. M-1: Molte persone associano la disciplina e l’ordine con il sistema. Quando invece la disciplina è importante per tutti noi ed è necessaria. Molta gente pensa che se sottostai ad una disciplina sei parte dell’autorità o che tenti di prendere il controllo della situazione. Ma in realtà la disciplina è qualcosa che devi fare per te stesso e ti aiuta a partecipare alla società Bonnot: Nel modo che tu vuoi e non nel modo che ti dicono gli altri.M-1: Esatto! Nel modo che tu vuoi e non nel modo che ti è stato imposto. Avere autodisciplina ti permette di prendere parte a una società che dice: “Questo è il nostro mondo” perché ne abbiamo il controllo. É la mia disciplina che mi dice che quando uno ruba a qualcun altro è sbagliato. Perché è chiaro che a nessuno piace rubare a qualcun altro. Ok, “fanculo al capitalismo!”, “fanculo all’imperialismo!”, ma questo non vuol dire

che ogni cosa che accade è indifferente. Non è che si può rubare al proprio compagno o dire “ok, andiamo a stuprare una ragazza”. No! Dobbiamo avere disciplina! Non possiamo andare in giro ubriachi tutto il giorno. Non possiamo fare andare avanti le cose se siamo ubriachi tutto il giorno. É necessario un certo livello di disciplina per tutto. Ho imparato questa lezione dal nostro movimento, dal Movimento di Liberazione Africano degli Stati Uniti. Ed è sempre l’autodisciplina, se ce l’avessimo, che ci aiuterebbe ad eliminare la dipendenza dal crack. Perché è dura. É davvero dura negli Stati Uniti. E soprattutto siamo completamente dipendenti dal loro sistema per uscire da queste dipendenze: dal crack, dalla crystal meth, crack cocaina, ogni cosa. Anche la marijuana se viene abusata può diventare una dipendenza. É per questo che la disciplina è così importante. E su questo devo davvero ringraziare il mio compagno Stic.man. Perché Stic è uno che ha davvero sviluppato una disciplina formidabile. Non aveva alcuna disciplina, ma se l’è dovuta costruire. É l’esempio del fatto che se devi raggiungere un senso più alto di te stesso e una motivazione, lo puoi fare solo con l’autodisciplina.

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Berghèm RAP AllstarsBerghèm RAP Allstars

ROOKIES - m e e t -

VETERANSVETERANSretraZ

A cura di Baro

Berghèm RAP Allstars

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VETERANSpaGaZ & stellaman -

A cura di Baro

Berghèm RAP Allstars

ROOKIES - m e e t -

VETERANS

m U s i c a

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www.honiro.it/album/Retraz/Suono_Parole.phpwww.honiro.it/Pagaz_Stellaman_-_Vita_In_Paranoia_Mixtape.php

Cari giovani leoni, come è iniziata la vostra esperienza?P. Già da bambino ascoltavo un CD masterizzato da un mio compagno delle medie, che ora tralaltro ascolta Metal e Punk, e ci siamo subito presi bene per un genere che allora non contava un cazzo (!!!), periodo di Uomini di Mare, ma anche Caparezzaprima dell’uscita con fuori dal tunnel ect. Finchè... non inizio a conoscere la scena che stava prendendo piede allora, ma mi sono spostato sull’americano in poco tempo, date le continue evoluzioni di un genere che si è sviluppato lì. Finchè 4/5 anni dopo, tramite un professore veramente grande (unico caso in 14 anni di scuola), vengo a conoscenza di quella che è ora la mia Crew, l’Hardens Street Dream, che si era formato proprio in quel periodo. Ricordo la prima immagine della stanza in cui tuttora registriamo, che è un ex spogliatoio, un tavolino con 2 sedie un PC, una scheda audio scrausissima che ogni due per tre saltava e un microfono, in una stanza dove d’inverno ci scaldavamo con la stufa al kerosene per non uscirne congelati. In poco la crew si è moltiplicata, abbiamo iniziato a frequentarci assiduamente fi nchè non abbiamo fatto uscire il primo Demo seguito dall’album Buona la Prima. In quel periodo rappresentavo anche una crew interna all’Hardens, Numero Perfetto (Rospo, ScratchMc) con il quale abbiamo iniziato a metterci in vista seguendo la scena Hip Hop bergamasca allora composta dal Bg’s Team, altra crew che ha puntato su di noi all’inizio del nostro percorso. Tra gli ultimi ad entrare in crew, è stato proprio Stellaman e con lui ho fatto uscire il mio primo mixtape, Vita in Paranoia con le collaborazioni di tutta la crew. Sperando di poterlo considerare un punto di partenza perchè indubbiamente il percorso è lungo e tortuoso.

s. Come ha già detto P. io mi sono avvicinato alla scena Hip Hop solo in seguito, inizialmente - negli anni delle scuole medie - anche io ho divorato un sacco di dischi… La cosa che però ha segnato sin dall’inizio il mio percorso musicale è stato

il Freestyle, prima di poter pensare di fare , prima di poter pensare di fare dei dischi ho sempre pensato al freestyle, dei dischi ho sempre pensato al freestyle, prima ascoltandolo e poi facendolo notte e prima ascoltandolo e poi facendolo notte e giorno. Passavamo e passo tutt’ora (anche giorno. Passavamo e passo tutt’ora (anche se di meno) giornate e notti a far ballotta, a se di meno) giornate e notti a far ballotta, a fumare, a bere e ad improvvisare rime. Piano fumare, a bere e ad improvvisare rime. Piano piano comunque, dopo i primi freestyle in piano comunque, dopo i primi freestyle in giro, sono venuto a conoscenza dell’Hardens giro, sono venuto a conoscenza dell’Hardens grazie a P. e dopo un annetto circa dalla grazie a P. e dopo un annetto circa dalla fondazione del progetto sono entratto anche fondazione del progetto sono entratto anche io in crew. Però ancora non pensavo di poter io in crew. Però ancora non pensavo di poter davvero realizzare qualcosa, fi no a quando è nato il progetto del mixtape con Luca. Quasi inaspettatamente da eterna salita grazie all’Hardens e grazie a P. la strada si è fatta un po meno ripida. Nonostante ciò penso che comunque siamo ancora all’inizio di un viaggio spero il più lungo e bello possibile…

Com’è il viaggio, confortevole? ...come vedete e vi vedete nel mondo del hip hop di oggi?P. Ahaha inizio sorridente perchè sono uno su un milione... Mi spiego: nel 2011, anno che ha portato molti artisti (non rapper) ad uscire sempre più sulla scena nazionale, mi trovo a non essere più lo sfi gato che ascolta rap (yoyobellaziominchiaspacchi) come qualche anno fa, perchè sono arrivati degli stereotipi anche in questo genere, ed è proprio questa la cosa che mi fa piu male, perchè la gente che prendeva per culo, ora si ascolta i più babbi nell’ Hip Hop e si sente fi ga per questo. Nel mondo Hip Hop di oggi, molte fi gure note a noi, si sono messe in mostra con Videoclip che hanno portato migliaia di visualizzazioni acquisendo notorietà nel web. Anche noi abbiamo colto l’occasione per girare due clip (in arrivo si spera il 3°), il primo è uno Street Video, il secondo uffi ciale. Escluso ciò, ripeto di sentirmi una formica ora come ora, ma son contento che sia così, credo che la gente debba apprezzarti soprattuto per quello che sei, non per il personaggio che ti sei costruito, magari anche, ma con una qualche dose di umiltà.

s. Oggi l’Hip Hop e la musica in generale è in continua evoluzione. Nell’Hip Hop

in particolare ci sono un sacco di artisti a livello underground (ma veramente tanti!!) e siamo noi che fondamentalmente alimentiamo quest’evoluzione continua. C’è un sacco di gente forte che è uno stimolo a dare sempre di più sia nei dischi che nelle performance live, però purtroppo in questa musica come in tutti i generi c’è anche la gente poco seria. Non parlo degli artisti mainstream quelli che passano in tv per intenderci, loro sono lì a farlo come un intenderci, loro sono lì a farlo come un lavoro e se è così c’è un motivo: hanno fatto scelte chiaramente discutibili ma non credo che lo facciano in maniera poco seria. Per gente poco seria intendo quelli che parlano e non fanno, quelli che storpiano questo suono facendone una moda, oppure quelli che parlano solo attraverso una tastiera (web rapper venite a prendermi!!). Comunque sia anche se come ambiente ha i suoi elementi negativi, mi trovo bene nel mondo dell’Hip Hop, chiaro non penso che ci faremo mai del guadagno a livello monetario ma credo che se una cosa richiede tanto sbattimento questa cosa a suo tempo ripagherà…

Dove fi nisce il viaggio? Dove volete arrivare, qual’è la meta, qual’è la prospettiva?P. & s. Il futuro è l’unica cosa insicura P. & s. Il futuro è l’unica cosa insicura P. & s.adesso come adesso, perchè alla fi ne dipende anche tutto da noi, dal nostro ripiglio, dalla voglia di spingere con un senso quello che realmente crediamo che sia corretto spingere. Ora come ora siamo parecchio infottati, abbiamo voglia di uscire da quello che è il panorama bergamasco, un po’ chiuso e poco visibile. Per il resto, dopo il mixtape uscito a Luglio (in freedownload da Honiro.it) stiamo lavorando a più progetti in contemporanea, usciranno in modo graduale: 2 EP e un Mixtape, le cui date non sono ancora defi nite per questioni anche di collaborazioni esterne al nostro crew HSD, in quanto stiamo tentando di includere artisti emergenti della nostra età e non, sia Italiani che fuori dall’italia. Ovviamente speriamo che questi lavori escano il più presto possibile, contando gli impegni di tutti i giorni e i relativi componenti del gruppo coi relativi impegni.

Come è iniziata la tua esperienza?r. Il mio approccio con l’Hip Hop risale al r. Il mio approccio con l’Hip Hop risale al r.lontano 1996, quando mi capitò tra le mani la cassetta di Neffa e i Messaggeri della Dopa. Da lì è cominciato il mio percorso; un tragitto non facile per chi, come me, in quegli anni si stava appassionando a questa musica. Oggi grazie ad internet tutti abbiamo accesso immediato a qualsiasi roba, con 2 click senti come rappano in Korea. Invece all’epoca giravano prevalentemente musicassette, e i giravano prevalentemente musicassette, e i primi CD. Per riuscire a star dietro alle uscite discografi che e per farmi una cultura seria decisi di comprarmi una coppia di giradischi, un mixer, e una quintalata di vinili di rap americano che tuttora conservo gelosamente. Ho suonato in parecchi locali a Bergamo, mi sono costruito un nome insomma. Ho sempre avuto la passione per la scrittura e il Freestyle ovviamente, ma ho cominciato ad espormi come rapper solo qualche anno dopo, intorno al 2003. Da allora ho cominciato anche a produrre, naturale conseguenza del mio passato da DJ. Con Freddy Fred e Sitron abbiamo fondato il mio gruppo Vocalamity

nel 2006. Quasi contemporaneamente siamo entrati nella crew del Bg’s Team, intorno al 2007 fi no al 2010, con cui abbiamo condiviso molte esperienze importanti sia a Bergamo (Pacì Paciana, Manipura, Damn) che in molti altri posti nel nord Italia. Con Vocalamity invece abbiamo realizzato principalmente 2 lavori: l’album d’esordio Il Sistema per Sentirlo a Pezzi e un EP Extended Play.

Com’è il viaggio, confortevole? ...come Com’è il viaggio, confortevole? ...come vedi e ti vedi nel mondo del hip hop di vedi e ti vedi nel mondo del hip hop di oggi?r. Recentemente invece ho pubblicato il mio Recentemente invece ho pubblicato il mio r. Recentemente invece ho pubblicato il mio r.primo lavoro solista.primo lavoro solista.Suono ParoleSuono Parole (in freedownload su Honiro.it), 10 tracce tutte prodotte e rappate da me it), 10 tracce tutte prodotte e rappate da me it), 10 tracce tutte prodotte e rappate da me con parecchi featuring (Sitron, Freddy Fred, con parecchi featuring (Sitron, Freddy Fred, con parecchi featuring (Sitron, Freddy Fred, Dj Yodha, Jack The Smoker, Asher Kuno, Dj Yodha, Jack The Smoker, Asher Kuno, Dj Yodha, Jack The Smoker, Asher Kuno, Tizle, Il Baro). Tizle, Il Baro). ÈDj Yodha, Jack The Smoker, Asher Kuno,

ÈDj Yodha, Jack The Smoker, Asher Kuno,

stata un esperienza hip hop incredibile personalmente, in 6 mesi ho hop incredibile personalmente, in 6 mesi ho hop incredibile personalmente, in 6 mesi ho prodotto tutti i beats, ho scritto, ho contattato prodotto tutti i beats, ho scritto, ho contattato prodotto tutti i beats, ho scritto, ho contattato gli ospiti e registrato tutto. Sono molto gli ospiti e registrato tutto. Sono molto gli ospiti e registrato tutto. Sono molto contento, ho ricevuto complimenti inaspettati contento, ho ricevuto complimenti inaspettati contento, ho ricevuto complimenti inaspettati da “rappers” più affermati di me che in da “rappers” più affermati di me che in da “rappers” più affermati di me che in

passato ho ascoltato e studiato, talvolta anche ispirandomi, ed in generale è stato accolto molto positivamente nella scena underground del rap italiano. Inoltre ho creato il mio studio (BOLDONERIA HOME STUDIO, che è aperto a chiunque voglia registrare o mixare le proprie canzoni), e ho prodotto moltissimi beats per tanti artisti di fama nazionale. Nel panorama attuale dell’Hip Hop mi vedo quindi bene, spero che la cosa sia reciproca ;)

Dove fi nisce il viaggio? Dove volete arrivare, qual’è la meta, qual’è la prospettiva?r. Ora l’obiettivo è non fermarmi. A 30 anni r. Ora l’obiettivo è non fermarmi. A 30 anni r.mi sento infottato come un ragazzino. Arrivo da un 2011 pregno di soddisfazioni. Ora sto da un 2011 pregno di soddisfazioni. Ora sto lavorando a dei progetti importanti per questo 2012, che riserverà molte sorprese. Uscirà un mio secondo album, come producer, con ospiti i migliori rapper della scena e probabilmente un mio mixtape, più ovviamente una miriade di collaborazioni. Colgo l’occasione per salutare e ringraziare tutta la redazione di MyShit! per lo spazio e l’intervista!

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tHe GreatesCaPe

La fuga dei cervelli, per dovere o per piacere.Una GeneraZione cHe Volente o nolente si È troVata a Fare la ValiGia, per i piÙ sVariati motiVi. precarietÀ, soGni, stUDi, prospettiVe, occasioni e Un occHio critico sUll’italia.

Una GeneraZione cHe Volente o nolente si È troVata a Fare la ValiGia, per i piÙ sVariati motiVi. precarietÀ, soGni, stUDi, prospettiVe, occasioni e Un occHio critico sUll’italia.

Una GeneraZione cHe Volente o nolente si È troVata a Fare la ValiGia, per i piÙ sVariati

A cura della Redazione. Illustrazioni di Alberto Biffi

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Sono Pietro, negli ultimi anni ho lavorato sostanzialmente come ricercatore in Scienze Umane e fi losofi a in istituzioni accademiche e università, tra l’Italia e fuori. Sono stato due anni in Olanda a Maastricht, un anno a Los Angeles e prima ancora a Santa Cruz in California.

Perchè sei andato via? Le motivazioni possono essere tra le più varie ma è chiaro che per me come per molti altri che hanno avuto a che fare con il mondo dell’università italiana le opportunità sono spesso molto poche e in molti casi seguono criteri informali oscuri che sfociano in forme di precariato e sottomissione pesantemente degradanti. Molti ingoiano il rospo e le accettano lo stesso perchè comunque fare ricerca è un privilegio e perchè a volte 1 su 10, dopo una via crucis di sofferenze e anni senza stipendio o con assegni da fame ce la fa a trovare un posto. Anche se le cose negli ultimi anni stanno rapidamente cambiando e certe forme di auto-sottomissione cominciano a mostrare la corda.Per quanto riguarda chi va all’estero la cosa interessante non sono tanto le singole motivazioni, che possono essere tra le più varie, ma la dimensione aggregata del fenomeno. Ci sono italiani che lavorano nel mondo della ricerca sparsi ovunque nel mondo. Se ne incontrano in ogni paese del mondo. Ma ciò che li spinge, appunto in termini aggregati, è il declino industriale, italiano innanzitutto ma più in generale europeo. E il fatto che stiamo vivendo tutti un livellamento verso il basso della forza lavoro del nostro paese. Un fenomeno che è destinato ad aggravarsi nei prossimi anni.

Come va all’estero?La situazione italiana non è radicalmente diversa dal resto d’europa e neanche dagli Stati Uniti. Discorso diverso andrebbe fatto per l’Asia invece. Ma chiunque abbia girato un po’ negli ultimi anni in Europa sa che il declino degli investimenti (e quindi delle possibilità di lavoro) nell’Università è generale, non è assolutamente un fenomeno italiano. L’istituto dove ho lavorato in Olanda, pubblico e di grande interesse dal punto di vista della ricerca, probabilmente sparirà perchè i rubinetti statali si stanno chiudendo (e sarà sempre peggio con la crisi dei bilanci statali dell’area euro).E così in buona sostanza per tutti i “mercati” accademici europei, dalla Germania al Nord Europa all’Inghilterra. L’Inghilterra in questo è un’avanguardia: non solo ha triplicato le rette universitarie in un anno ma sta in buona sostanza abbracciando il modello di istruzione superiore americano, che è uno dei peggiori al mondo. Perché? In America le Università sono imprese e come tali devono fare profi tti. I liberisti Italiani (che di solito si dicono di sinistra tra l’altro) dicono che con questo modello, che si vorrebbe importare anche in Italia, si entrerebbe in una logica di mercato che porterebbe più effi cenza

pietroRICERCATORE

perchè gli Atenei vorranno fare ricerca di qualità per fare brevetti di cui potranno profi ttare direttamente.La realtà - come sa chiunque sia stato negli Stati Uniti - è molto diversa. Le Università americane fanno profi tti non sui brevetti, ma sulle rette degli studenti - uno dei modi più atroci di fare profi tti - che vengono pagati con indebitamenti crescenti e a volte impossibili da pagare. Qualunque studente americano che esce da un’università di buon livello (e che non è un super-ricco) entra nel mercato del lavoro con 50, 80, 100mila dollari di debito, a 23-25 anni.E le borse di studio di fatto non esistono, neanche per i proletari che vengono dai ghetti (e si parla di multinazionali come UCLA o Stanford, non dei community college di quartiere).É un altro dei tanti modi con cui si sono drenate risorse dalla classe media ai profi tti/mercati fi nanziari. Quindi insomma, la situazione all’estero *non è* tanto meglio di quella che abbiamo in Italia. Chi dipinge la situazione di chi è andato a lavorare all’estero a tratti idilliaci è un irresponsabile. Un buon esempio in questo senso è stata la trasmissione sul precariato di Iacona su Rai3, che faceva vedere gli italiani che sono andati in Spagna come immersi in una specie di paradiso delle opportunità. É pura ideologia.

Come vedi l’italia dall’esterno? l’Italia è in crisi, questo mi pare evidente. Ma lo è anche perchè l’atmosfera di autocommiserazione sembra impossibile da scalfi re. A questo poi si aggiunge il piagnisteo di sinistra per “l’eccezione berlusconiana” che è funzionale solo a nascondere processi ben più strutturali e radicati della superfi cie politico-istituzionale.Se ci liberassimo di questo provincialismo lamentoso che è un fenomeno insopportabile e sul quale bisognerebbe essere spietati, troveremmo un paese che ha ancora molte possibilità. Ad esempio abbiamo uno dei migliori sindacati del mondo, la CGIL, che nelle sue punte politicamente più lucide come la FIOM rappresenta una possibilità politica inimmaginabile per il resto d’Europa o gli Stati Uniti. Abbiamo ancora una socializzazione diffusa della cultura, del dibattito pubblico che tuttavia stenta ad essere valorizzato per quanto meriterebbe. In questo senso è incalcolabile il patrimonio di radicamento sul territorio che è stato disperso colpevolmente dell’ex-PC ma anche da gran parte del cattolicesimo di base. Visto dagli Stati Uniti, dove ogni progetto di supporto alle comunità dei ghetti o delle periferie viene portato avanti nel totale isolamento e con un enorme sforzo sociale, mi pare che abbiamo ancora una struttura di radicamento sociale che quanto meno ci permetterebbe di non cominciare da zero. Ciò che spaventa davvero è tuttavia il declino industriale e l’allontamento politico dalla cultura del lavoro. Questo certamente è grave. Soprattutto se lo guardiamo dalle provincie del Nord, imperniate sulla produzione manufatturiera e in balia politicamente della Lega.

Pensi di tornare in futuro?Questo dipenderà da dove riuscirò a trovare lavoro nei prossimi anni. In questa situazione, in mezzo a una crisi economica e a una recessione mondiale, voler lavorare in Università spesso vuol dire anche essere disposti a muoversi. Bisogna adattarsi. Vedremo. In ogni caso credo che terrò sempre “un piede” in Italia, anche andando a lavorare all’estero. E penso che tutto sommato ce ne sia anche bisogno. Sia che sopravviveremo o meno all’Euro e alla BCE, costruire un’orizzonte europeo di azione politica è la scommessa dei prossimi anni.

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l’italia offre. anche se avessi continuato con la specialistica, visto il ramo di studi che ho scelto, non facevano certo a gara per assumermi.Inoltre in questo momento della mia vita potevo permettermelo, intendo nessun legame, giovane età, una famiglia pronta a sostenere la mia scelta. E non ne potevo davvero più della situazione del mio paese. Volevo provare a vedere come si sta in un paese culturalmente e politicamente avanti anni luce.

Come va all’estero?Il bilancio per ora è neutro. Mi manca molto casa, le mie abitudini, il mio disastrato paese che in fondo amo.D’altro canto vivo in una città splendida, molto libera, piena di eventi e persone interessanti, in una casa che mi piace. Continuo a stupirmi per cose che qui sono totalmente normali: l’effi cienza, la puntualità, gente giovanissima con nidiate di bambini, una rete di trasporti pubblici eccezionale, per esempio. Mi piace stare qui.Per cui direi che non va affatto male.

Come vedi l’Italia dall’esterno?In realtà ho cominciato a vederla dall’esterno anche quando ancora ci vivevo. Ho maturato un certo distacco verso un paese che posso vedere solo come una nave che sta lentamente e inesorabilmente affondando. E non senza colpe. L’italia è un paese marcio nelle fondamenta. Non vedo veramente il modo per poterla salvare o cambiare, nemmeno con tutto l’idealismo dei miei 23 anni.

Pensi di tornare in futuro?Senza dubbio mi piacerebbe molto. Ma tornerei solo se avessi un lavoro sicuro e una qualche prospettiva di vita.Altrimenti, vivere all’estero è sicuramente la scelta migliore.

c U l t U r a

DilettaSTUDENTESSA

enricaSTUDENTE / LAVORATRICE

tommasoBIOLOGO / RICERCATORE

Consolato Generale d’Italia a Hong Kong, sezione Commerciale. Stagista per 3 mesi. Esperienza all’estero maturata: 6 mesi in Belgio come studente.

Perché sei andata via dall’Italia?Volendo svolgere un programma di stage con il Ministero degli Affari Esteri, la mia scelta di espatriare è stata pressoché obbligata. Ad ogni modo, credo che esistano diverse ragioni per le quali i giovani italiani dovrebbero fare almeno un’esperienza di studio o di training all’estero. L’Italia non è un paese che assorbe con facilità altre culture e altri stili di vita, quindi sostanzialmente non è un paese che riesce a trasformare in energia positiva gli stimoli esterni, a differenza invece di molti altri paesi europei e non. Andare all’estero signifi ca quindi raggiungere un certo grado di apertura mentale che l’Italia non può offrire oggi. Per un giovane studente che si immagina un futuro brillante, l’elasticità mentale e la voglia di mettersi in gioco sono caratteristiche fondamentali.

Come va all’estero?Decisamente bene. Hong Kong è una città vivace e brillante, è il principale hub asiatico per molti prodotti europei e americani, con la conseguenza che molte ditte occidentali si sono insediate qui e con esse i loro dipendenti espatriati. Asia e occidente creano quindi una bella commistione, ed è forse proprio il fatto di essere in una città molto occidentalizzata che mi aiuta a non sentirmi così straniera come potrebbe essere invece se mi trovassi a Pechino. Fatto sta che mi piacciono molto sia il lavoro che la città, quindi se solo potessi rimarrei molto più a lungo. Qui mi sento come a casa.Incontro persone sempre nuove che vengono da ogni parte del mondo e hanno mille esperienze da raccontare. Voglio imparare da loro il più possibile, voglio ricordarmi di ogni singolo incontro fatto e portare questo piccolo bagaglio in Italia, al mio rientro.

Come vedi l’Italia dall’esterno?Come un paese in stallo, rovinatosi con le sue stesse mani e incapace di guardare al futuro. Scelte politiche bipartisan sbagliate, un PIL che non cresce più da anni, un futuro lavorativo fumoso e incerto. Vedo l’Italia come un paese riconosciuto all’estero solo per le sue bellezze paesaggistiche e culinarie ma senza altre note di merito, come se mancasse di sostanza. Mi è capitato spesso di sentire battute infelici sull’intera classe politica italiana e, seppur le critiche mosse fossero oggettive e inappellabili, un sentimento di profondo fastidio ha sempre accompagnato i miei cordiali sorrisi di facciata. Lo stesso vale per le volte in cui mi sento dire: “ah, tu parli inglese, non puoi essere italiana”. La mia risposta nei mesi trascorsi all’estero si è affi nata, diventando molto diplomatica: “gli italiani sanno fare anche questo”.

Pensi di tornare in futuro?Io vorrei tornare in Italia, si. A fi ne dicembre il mio tirocinio fi nirà, tornerò a casa, mi laureerò e poi vorrei andare all’estero ancora per un annetto, per maturare un altro po’ di esperienza. Il lavoro ‘stabile’ lo immagino però nel mio paese, possibilmente vicino alla mia città e ai miei affetti. La realizzazione di questo desiderio però dipende dalle opportunità future nei confi ni nazionali, e in questo momento sono abbastanza pessimista.

Enrica Venni, 23 anni, studente/lavoratrice, Berlino

Perché sei andata via dall’Italia?Sono andata via perchè mi sono appena laureata ad una triennale, e non vedevo il senso di rimanere vista la mancanza di prospettive che

Mi chiamo Tommaso - o Tom, o Tommi o Thomas - 33 anni, in Gran Bretagna da circa 7 e ad Edimburgo, Scozia, da 6 e mezzo. Dopo essermi laureato in Biologia Ambientale con una tesi in Ecologia qui ad Edimburgo, mantenendomi con lavori umili ma non umilianti, ho lavorato per circa un anno e mezzo nella stessa Università come assistente di ricerca. Nel frattempo collaboro da circa un anno ad un progetto internazionale tra Università scozzesi e istituzioni kenyane che si occupa di promuovere la pratica di “Paying for Ecosystem Services” in un villaggio vicino al confi ne con la Tanzania, in un’area ricca di mangrovie. L’ottica in cui il progetto cerca di svilupparsi è quella di permettere alle comunità locali di accedere ai fondi internazionali per lo stoccaggio della CO2 che rispondono alle direttive REDD+ (riduzione di deforestazione e promozione della riforestazione) che sono state inserite nella “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” (UNFCCC) del 2007 come ulteriore sviluppo del Protocollo di Kyoto. Praticamente, si cerca di preservare le foreste rimaste e promuovere la rigenerazione di quelle rimosse mentre allo stesso tempo si salvaguardano i benefi ci forniti dagli ecosistemi che ruotano attorno alle foreste e si aiutano le comunità locali. Qualche mese fa ho lasciato il mio lavoro di ricercatore per iniziare un dottorato all’Università di Edimburgo attraverso il quale cerchero’ di determinare con un modello matematico il rischio che eventi climatici estremi possano danneggiare foreste e piantagioni in Amazzonia, sempre in un’ottica legata al REDD+. La situazione internazionale dimostra chiaramente l’impotenza di governi e ONG a promuovere il raggiungimento di accordi internazionali sulle emissioni di gas serra e pratiche di stoccaggio. Sebbene possa far storcere il naso ad alcuni (ricordo che lo fece a me), quello della CO2 è un mercato e come tale risponde a logiche economiche. Il punto è di procurare i metodi scientifi ci per determinare i vari aspetti della questione a coloro che si occupano di queste politiche, mentre allo stesso tempo far capire loro che possono generare profi tto attraverso pratiche ambientali. Sarebbe bello aspettare che il sistema cada e venga sostituito da uno a misura d’uomo e di pianeta (ma sarà poi realizzabile? E in che tempi?) ma il tempo e i risultati scarseggiano…

Perché sei andata via dall’Italia?A: Ho lasciato Bergamo per seguire la ragazza che amavo e che si era trasferita in Gran Bretagna. Era l’unica cosa sensata da fare e non dovetti pensarci a lungo, lo feci con enorme felicità. Sebbene mi rincrescesse lasciare famiglia e amici, lavoravo come commesso in una

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gastronomia e non avevo alcuna prospettiva interessante. Ero stufo della mia routine bergamasca ed avevo lasciato perdere i miei hobbies, in special modo la musica. Il clima politico era uggioso e nauseabondo. C’era il Silvio e la nullità della sinistra si era ormai stabilita come immutabile. Sebbene abbia gravitato intorno a centri sociali e gruppi anarchici sin da ragazzino, ero diventato consapevole che, se qualcosa per il bene comune potevo fare, non sarei riuscito a farlo all’interno di queste realtà, che iniziavano a starmi strette. Tante persone riescono a trovare la loro dimensione attiva all’interno di circuiti antagonisti mentre io non ci riesco. Tutto qua.

Come va all’estero?A: Molto bene! Per anni ho sognato di fare ricerca, fare un dottorato e lavorare in ambito accademico, e sono riuscito e sto riuscendo a realizzare questi sogni, fi no ad ora. Il fatto che qui in Scozia le persone sono in generale più alla mano e veraci, combinato allo stato di salute delle Università scozzesi, ha reso più facile stabilire contatti in ambito accademico, essere coinvolto in progetti volti alla promozione di abientalismo, sostenibilità ed equità. La multietnicità della società scozzese ha fatto si’ che sia entrato a contatto con le culture più disparate e questo mi ha arricchito assai, mi ha fatto rifl ettere sul concetto di italianità e su come questo si realizza in me. Ho fatto esperienze che in Italia non avrei fatto e incontrato ottimi amici. Ho persino ripreso a suonare con passione, e riguardo a questo il vivere in una città più cosmopolita ha fatto si’ che incontrare amici con gusti musicali ampi e vari fosse sicuramente più facile.

Come vedi l’Italia dall’esterno?A: Ammetto di non seguire molto le diatribe italiane. Mi annoiano un po’ ed ho poco tempo da dedicarvi. La mia famiglia e un paio di amici in Italia mi aggiornano saltuariamente sulla situazione. Da quanto ho capito, a livello di macropolitica le cose sono solo peggiorate, e non vedo grandi differenze tra destra e sinistra. Lo stato di salute delle Università italiane è quello che è, come si puo’ vedere nelle graduatorie internazionali della valutazione delle Università in base alla qualità e quantità della ricerca. Mi fa piacere che ci sia fermento nelle varie classi sociali come successo in Grecia e Spagna e, in modo minore, in Gran Bretagna. Spero che tutti questi sforzi si concretizzino come mai successo in passato. Come in altri paesi, l’infl uenza dei media sui comportamenti delle persone ha subito una forte accelerazione in una direzione che mi disturba. Mi riferisco prevalentemente ai modelli da imitare ed a(lla mancanza d)i valori da seguire per una vita “felice”. Ovviamente il modo in cui quest’infl uenza si realizza dipende dalla natura della società di ogni paese, ma mi sembra che il risultato sia abbastanza comune un po’ ovunque. Puo’ darsi che la versione italiana mi infastidisca maggiormente perchè le mie radici sono li’ e mi è più vicina al cuore, volente o nolente.

Pensi di tornare in futuro?A: Manco p’ o’ cazz’. Mi mancano famiglia, alcuni amici, sole, vino e cibo. Mi manca la vita notturna nella „calle”. Ma qua sono più felice di quanto sia mai stato in Italia. Poi non si sa mai, il cambiamento è immanente in ogni cosa!

coKiBLOGGER / CRAFTER

Mi chiamo Coki vivo a Bergamo, mi occupo di SEO, online Marketing e Graphic Design, ma sono anche una blogger e una crafter con il progetto Milk tooth’s rain (milktoothrain.blogspot.com).

Perchè sei andata via?Ho vissuto a Berlino con il mio ragazzo (Winstan) dal gennaio 2010 al giugno 2011. Avevo bisogno di aria nuova e fresca, volevo vedere come fosse camminare con le proprie gambe senza il supporto di genitori, parenti ed amici e volevo vedere come sarebbe stato essere la persona che desideravo essere, senza giudizi e preconcetti. Un cambiamento è sempre sano e non volevo vivere nel rimpianto del non averlo fatto.

Come è andata?È andata bene! Ho fatto quasi tutto quello che volevo e che sentivo il bisogno di fare. Berlino è una città che offre molte possibilità a chi le cerca, non è facile trovare lavoro, quello no, ma è economica, giovane e disponibile. Ho conosciuto persone con le mie stesse passioni per il craft (o handmade) e mi hanno dato l’ispirazione per portare quel mondo qui a Bergamo una volta tornata (vd. Band Loch Markt). Ho riso, ho pianto, ho sudato… ma lo rifarei mille e più volte. Niente è paragonabile al pedalare di notte accanto al canale per andare a ballare, o mangiare un hamburger vegetariano sotto la metropolitana di Schlesische Straße, bere una birra sulla strada sentendo che la città è viva perché ha voglia di vivere e di fare.

Come vedevi l’Italia dall’estero?L’Italia la guardavo e non la guardavo. Forse è meglio chiedersi come gli altri vedano l’Italia, perché la mia opinione non è cambiata vivendo all’estero. A me piace vivere in Italia, con i suoi pregi e difetti, ci si lamenta della

classi sociali come successo in Grecia e Spagna e, in modo minore, in Gran Bretagna. Spero che tutti questi sforzi si concretizzino come mai successo in passato. Come in altri paesi, l’infl uenza dei media sui comportamenti delle persone ha subito una forte accelerazione in una direzione che mi disturba. Mi riferisco prevalentemente ai modelli da imitare ed a(lla mancanza d)i valori da seguire per una vita “felice”. Ovviamente il modo in cui quest’infl uenza si realizza dipende dalla natura della società di ogni paese, ma mi sembra che il risultato sia abbastanza comune un po’ ovunque. Puo’ darsi che la versione italiana mi infastidisca maggiormente perchè le mie radici sono li’ e mi è più vicina al cuore, volente o nolente.

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burocrazia, ma non pensiate che a Berlino sia diverso, tanti sono gli elementi che accomunano i paesi e, a volte, accomunano le metropoli alle città di provincia. Fa ridere pensare che alcuni tedeschi credono che in Italia non ci sia il riscaldamento nelle case, perché è il paese del sole, ti viene un sorriso amaro quando ti chiedono come mai Berlusconi fosse al governo…

Lo rifaresti, andresti via per rimanerci?Lo rifarei? Sì, indubbiamente è un’esperienza che mi ha cambiato la vita.

Lo rifaresti, andresti via per rimanerci?Non lo so, forse lo farei di fronte alla garanzia di un lavoro, che qua posso costruirmi da sola, ma là…non lo so. Si dice che chi vive a Berlino impiega circa tre anni per sentirsi a casa, temo sia vero, quindi dovrei viverci ancora un anno e mezzo prima di essere al 100% a mio agio e decidere di non tornare più indietro.

Paolo Bedoschi, 35 anni, Philadelphia (USA), ingegnere aerospaziale

Perchè sei andato via? Mi si è presentata l’occasione che avrei voluto avere da molto tempo. L’azienda per cui lavoro ha una sede a Philadelphia e mi ha proposto di fare da riferimento per la Direzione Tecnica da li’ per circa tre anni. Dopo aver discusso del progetto con la mia fi danzata che mi ha seguito, ho accettato la proposta.

Come va all’estero?Da un punto di vista lavorativo gli US sono eccezionali, c’è la propensione a lavorare in team e a raggiungere gli obiettivi di squadra. Il sistema è meritocratico e paritario. Ad esempio, le donne ricoprono spesso ruoli manageriali e dirigenziali che non vedrai mai in Italia. Da un punto di vista personale mi trovo altrettanto bene, in America trovi tutto per tutte le tasche e gusti. La cosa che mi stupisce maggiormente è il potere d’acquisto che permette alla stragrande maggioranza delle persone di acquistare con facilita’, senza spendere molto come in Italia, i generi di prima necessita’ quali abbigliamento e cibo. Altro esempio è il carburante, non tanto nel costo assoluto che sappiamo essere basso, ma nell’andamento. Se il prezzo del petrolio sale, sale il costo della benzina; se scende... ebbene si....scende anche il costo della benzina... (strano per l’Italia). Non esiste il concetto di evasione fi scale e vige il concetto di onesta’. I giovani riescono ad uscire di casa presto e a comprarsela (!!!!) e alla mia eta’ hanno gia’ più fi gli. Onestamente avevo dei pregiudizi nei confronti degli USA, molti li ho cancellati. Uno di questi era l’impressione che fosse una societa’ fortemente individualista. mi sono sbagliato alla grande. Tendenzialmente è collettivista ma con una forte propensione alla competizione. oggi l’Italia è purtroppo molto più individualista. Naturalmente c’è anche il rovescio della medaglia. La crisi si è fatta sentire e ai margini delle grandi citta’ la poverta’ è crescente e purtroppo è sempre associata alla popolazione di colore. Aggiungi la diffusione delle armi e il cocktail è pronto. In certi quartieri si ha un omicidio al giorno. Obama sta cercando di cambiare molte cose ma la sensazione è che abbia toccato poteri troppo forti che stanno cercando di distruggerlo politicamente.

Come vedi l’italia dall’esterno? Semplicemente un paese allo sbando senza una strategia verso il futuro, in tutto e per tutto. la cosa che mi preoccupa di più è l’indifferenza della gente. Tutti pensano al proprio orticello, o a mostrarsi in nome e alla corte del Dio Caimano da Arcore. La nostra classe politica ha distrutto un paese. Hanno sfasciato letteralmente la scuola senza accorgersi che è il pilastro su cui poggia il futuro. non vi sono riforme strutturali per dare slancio ad un economia basata su strategie e metodi produttivi ormai obsoleti. L’Italia mi manca, è il paese più bello, per la qualita’ della vita e il patrimonio storico culturale che abbiamo ma che purtroppo non sappiamo valorizzare. Abbiamo un tesoro che stiamo facendo letteralmente marcire e all’esterno non mancano mai di ricordarmelo.

Pensi di tornare in futuro?La mia permanenza all’estero dovrebbe essere limitata, ma chi lo sa’....Col cuore tornerei ma con la mente decisamente no.

paoloING. AEROSPAZIALE

anDreaDESIGNER / DJ

Simone Pieranni, giornalista, Cina

Perchè sei andato via? Perché volevo fare il corrispondente dall’estero, perché mi è arrivata l’occasione, perché in Cina dovevo starci un mese e ci vivo da fi ne 2006

Come va all’estero?Bene, ho fondato un’agenzia, China Files (www.china-fi les.com) che si occupa di produrre reportage e contenuti editoriali dalla Cina. In due anni siamo diventati 10 persone, a tempo pieno e tutte pagate.

Come vedi l’italia dall’esterno? Poco e male. L’Italia è orma il paese degli affetti e di vacanze, sapendo poi di ripartire.

Pensi di tornare in futuro?No.

Sono Andrea, ho 32 anni e molti mi conoscono come Winstan.Sono grafi co/webdesigner freelance e DJ: vivo a Bergamo, di nuovo, da Luglio 2011, lavoro da casa di giorno e metto i dischi in giro la sera.

Perchè sei andato via? Me ne sono andato all’inizio del 2010, principalmente perché in cerca di stimoli. La realtà di provincia mi è sempre stata stretta e poco prima di partire stava diventando soffocante. Arrivato a 30 anni ho sentito la necessità di cambiare aria e di mettermi alla prova. La mia ragazza stava maturando le stesse sensazioni, una sera se n’è parlato, ci siamo dati qualche mese per organizzarci e siamo partiti. Direi che non è stata solo una fuga, è stato anche un arrivo verso una meta che bramavo da qualche anno. Il mio primo viaggio in solitaria fu proprio a Berlino, 7 anni fa, ne rimasi affascinato e mi promisi di andarci a vivere prima o poi.

Come è andata?In un paese straniero ricominci veramente da zero, la lingua, i documenti, le abitudine culinarie, l’interazione con gli spazi e con la società sono una parte delle diversità che pian piano diventano la tua nuova normalità. In una metropoli come Berlino per di più ti ritrovi circondato da gente proveniente da mezzo mondo, quindi è un continuo confrontarsi sui massimi sistemi e sulle piccole cose. È stata una grande esperienza che mi ha fatto crescere molto. Sicuramente porto con me il rimpianto di avere sempre lavorato da casa anche mentre vivevo all’estero, il che ha avuto senz’altro i suoi risvolti positivi ma nel contempo non mi ha permesso di assaporare gli aspetti forse più crudi della vita lontano dall’Italia.

Come vedevi l’italia dall’estero?Più che l’Italia vedevo gli italiani, quelli chiassosi che incroci in metropolitana o all’aeroporto quando torni a Casa. Di cui pensi il peggio e che eviti come la peste. Fai il possibile per mimetizzarti. In verità l’Italia dall’estero ha lo stesso sapore di quando ci vivi, ti lascia comunque l’amaro in bocca.

Lo rifaresti, andresti via per rimanerci?Alcune cose di Berlino mi mancano tantissimo: la bici, i club, i negozi di dischi, il fumo nei locali, le strade vive a qualunque ora, non dover guidare un’auto… Sicuramente se dovessi tornarci ci rimarrei solo a patto di trovare un lavoro compatibile con il mio bagaglio professionale. Non escludo comunque di ripartire nuovamente, ogni tanto ci penso: sono ancora molte le città che non ho visitato in giro per il mondo e la possibilità di innamorarmi di un’altra metropoli non è per niente remota.

simoneGIORNALISTA

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inspiration bY: Christian Cisa

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La Schismogenesi

Paura (VideoMind), Clone (SoulFood), DJ Rash (Lordz of VetraRash (Lordz of VetraRash ( ), Bonnot (AssaltiFrontali), Bonnot (AssaltiFrontali), Bonnot ( ), Ardimann (Mother Inc.Ardimann (Mother Inc.Ardimann ( ) e il veterano dell’HipHop made in Bergamo Willy Valanga sono solo alcuni degli ospiti illustri che animano il primo disco solista di Plaste, MC delle terre orobiche che un passo alla volta, umilmente e senza mai fare il pagliaccio si è costruito attorno tanto rispetto e un disco fatto su misura.Un disco ruspante e coerente nei contenuti, coerente anche nei suoni nonostante diversi produttori abbiano partecipato al progetto; Plaste ha un approccio metrico atipico, sta in bilico sulle barre dando la sensazione di arrivare sempre in ritardo a chiudere le rime ma in realtà è il suo stile che ti confonde, che ti tiene su. I testi testimoniano che lo sguardo sulla realtà del nostro MC è sincero e disincantato, niente bling bling insomma, valori fondamentali presenti, amore per le proprie radici, anche linguistiche (vedi Ghetto Dialetto con Anti l’Onesto) e memoria di quale sia la strada che lo ha portato sin qui.Bene, un punto da cui partire e non un punto d’arrivo, addosso!

A cura di Baro e Karletto

asCOLtI

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PLaste

Suono Parole

Retraz canta e soprattutto produce: produce per sè e moltissimo per altri artisti... tutta roba pregevole e connotata per un suono peculiare, riconoscibile.In questo suo progetto solista ha invitato amici quali Asher Kuno, Jack the Smoker e dj Yoda, oltre ai soliti massici Vocalamity (Freddy Fred e Sitron) e il tutto suona bene, passano parole sensate, rime mai scontate e si sente che Retraz non è nato col culo nel burro. Il disco è in freedownload, (www.honiro . i t /a lbum/Retraz /Suono_Parole .php) cosa non trascurabile, testimonianza che diffondere, prima di tutto, è l’istanza fondamentale dell’underground da cui Retraz proviene.C’è tecnica nella faccenda e trovo giusto che i pezzi siano pochi ma ben curati, con una loro coerenza e un filo rosso che li tiene insieme, a Retraz, le cui parole d’ordine pare proprio che siano “resistere e insistere”, i numerosi semi sparsi in giro cominciano a dare frutti, gli auguriamo un raccolto abbondante.Non perdete l’intervista inedita nelle prime pagine di questo numero!

Ciao Mirella!

I Cornoltis vivono in un mondo fatto di decaden-ti balere per anziani aperte la domenica pome-riggio, traffi co di organi per pagare il conto del carrozziere, Carlo Conti e coltivazioni a magge-se, il tutto condito da giochi di parole, nonsense, calambour linguistici spesso molto fi ni, rappre-sentando un piccolo “caso” nell’asfi ttica scena punk orobica. Il trio (dislocato fra Ponteranica, Sorisole e Pinarella di Cervia presso l’Hotel Mi-ramare) propone un punkrock basilare (basso chitarra e batteria) scanzonato e delirante come una sbronza di sambuca: in questo demo, intito-lato “Ciao Mirella!” mettono in fi la 5 pezzi, fra vecchi classici (“Il mio carrozziere”, in “versio-ne delle giostre”) e nuove hit (la mia preferita “giovani vecchi vs vecchi giovani”) tutte sul fi lo fra il bicchiere di spuma nera all’oratorio e il culto delle MILF, con un’attitudine sempre schietta e scanzonata. I ragazzi - che si presen-tano così: “Pota, come i Ramones che sono i fratelli Ramone con la S alla fi ne noi siamo i fratelli Cornolti...” - ora sono pronti per l’album completo e per l’esame di terza media. Un con-siglio: cercate una data nei dintorni e sperate che il bassista abbia bevuto, dal vivo - fra gag e discorsi fra un pezzo e l’altro - danno il meglio.

retraZ COrNOLtIs

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MIDNIGHt IN ParIsFuga dal tempo presente.di Woody Allen, Spagna USA, 2011, 100 min.

Woody Allen si è innamorato, ma questa volta non sarà il solito matri-monio destinato a fi nir male. Si è infatuato di una città, Parigi, e della sua leggera pioggerellina, regalandoci un fi lm romantico e appassio-nato che sarà senz’altro un punto di svolta nella sua lunghissima fi l-mografi a, tirando le somme di un pensiero sul cinema e sulla vita che da sempre lo ha accompagnato.

Gil (Owen Wilson), sceneggiatore hollywoodiano in crisi che sogna di fare il romanziere, è in vacanza a Parigi con la sua futura moglie Inez. Durante tutto il suo soggiorno cercherà di rivivere l’atmosfera degli anni Venti che fecero di Parigi la capitale mondiale dell’arte, del cinema e della letteratura. Una notte, passeggiando per le stra-dine di Montmartre, verrà invitato da Zelda Fitzgerald a fare baldoria nella città dell’epoca. Per Gil, inizia così un fantastico viaggio per la Ville Lumière di un tempo, dove conoscerà personalmente maestri del calibro di Hemingway, Dalì, Picasso, Buñuel e si innamorerà di una misteriosa ragazza di nome Adriana (Marion Cotillard).Il protagonista della storia è anche un alter-ego del regista, forte-mente deluso dalla banalità dell’esistenza contemporanea e disil-luso dalle brutture di una società che non fa altro che infrangere sogni nel cassetto, vedi i suoi recenti fi lm londinesi Matchpoint e Sogni e delitti. Ha sempre guardato nostalgicamente il glorioso passato come un punto di riferimento nella vita ed una fonte d’ispi-razione per i suoi impulsi artistici e non, vedi Provaci ancora, Sam. La fuga da questo presente ostile verso un passato degno di essere vissuto è una opzione irreale che solo grazie alla magia (cinema-tografi ca) può rendersi concreta, vedi La rosa purpurea del Cairo. Ma una volta catapultato nella Parigi del XX secolo, Gil scoprirà sbigottito che anche li c’è chi vorrebbe vivere al tempo della belle époque, seduto ad un tavolo con Toulouse-Lautrec, Gauguin e De-gas. È un circolo vizioso senza capo né coda, dove nessuno riesce ad accontentarsi di quello che vive sulla propria pelle. Può darsi che la continua ricerca di altri tempi ed altri luoghi non ci permet-ta di assaporare appieno quello che, nel bene e nel male, fa parte di Noi qui ed ora.

Signor Creosoto

MILLeNNIUMUomini che odiano le donne.

Fuga dalla normalità.di David Ficher, USA, 2011, 158 min..

Già dai titoli di testa si capisce il taglio che il regista David Fin-cher vuol dare al secondo adattamento cinematografi co dell’omonimo best-seller svedese. Nero su nero, sulle note di una eccezionale «Im-migrant Song» remixata per l’occasione da Trent Reznor, un’onda di petrolio si sparge densa su tutto ciò che incontra. Una fi amma darà nuova luce ai corpi e agli oggetti, creando una intensa atmosfera di pura energia cyberpunk. Nel fi lm, Daniel Craig impersona Mikael Blomkvist, famoso giornali-sta che ha appena perso una grossa causa legale contro un magnate locale. Verrà però assoldato dall’anziano e ricchissimo Henrik Vanger per indagare su un fatto accaduto quarant’anni prima, la scomparsa della nipotina Harriet. Per svolgere questo compito sceglierà come aiutante personale la giovane Lisbeth, hacker di professione dalla pel-le marchiata da piercing e tatuaggi. I due scavando nel passato della aristocratica famiglia Vanger porteranno alla luce alcuni segreti che metteranno a repentaglio la loro vita.Uno degli elementi più interessanti della pellicola è la costruzione del personaggio interpretato dalla sorprendente Rooney Mara. Li-sbeth Salander è una ventiquattrenne dal passato violento, una dura personalità sempre in fuga dalla crudeltà della gente che incontra. I suoi atteggiamenti schivi, la sua sessualità ambigua ed il suo aspetto aggressivo ci raccontano la voglia di evadere da una normalità che appiattisce e omologa le esistenze della massa informe. Il suo esse-re “strana” agli occhi dell’uomo della strada è una grave miopia che distoglie l’attenzione su quanto siano realmente atroci e disumani gli altri cittadini universalmente considerati “perbene”. La comune defi nizione di “normalità” viene quindi ribaltata, stravolta dal lavoro investigativo della coppia Mikael-Lisbeth.

I due si aggrapperanno a vicenda per provare ad uscire da una crisi sociale e personale che li schiaccia e li attanaglia. Potranno solamen-te fare affi damento sulla solidarietà e la comprensione dell’altro per cercare di (ri)acquistare una ordinaria situazione di quiete, anche se solo apparente.

Signor Creosoto

IN saLa O aLtrOVeVisioni

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terraNOVaDinosauri, ex poliziotti e armi laser...Devo essere sincero, mi son lasciato fregare. Devo decidermi ad imparare che non basta una buona idea di storia, un plot funzio-nante e un produttore rinomato per fare una serie di successo o perlomeno appassionante. Dovrebbe capirlo anche Steven Spiel-berg, che oltre a essere l’affermato regista che conosciamo, è anche un produttore prolifi co di serie (tra cui la spettacolare Band of Brothers) e l’ultima opera arrivata anche in Italia in contempora-nea con la messa in onda americana è Terranova. Nata da un’idea dello scrittore inglese Kelly Marcel e annunciata al mondo come l’evento televisivo del 2011, la serie è costata solo per la prima stagione 150 milioni di Dollari (non bruscolini di questi tempi), sicuramente troppi, visti i risultati, per vedere riconfermata la se-conda tornata di episodi.La storia è ambientata nel 2149, in un pianeta Terra ormai esau-sto e corroso dall’inquinamento, dove la sovrappopolazione mette in pericolo l’esistenza della vita stessa. A seguito di ricerche non meglio precisate la scienza trova una frattura spaziotemporale in grado di trasportare chi la attraversi, in un viaggio di sola andata verso un pianeta Terra di 85 milioni di anni fa in una dimensione parallela. Le vicende della serie sono incentrate su quelle della famiglia Shannon (Jim, sua moglie Elisabeht e i tre fi gli Josh, Mad-die e Zoe) giunti nella nuova colonia con il decimo pellegrinaggio. Dall’altra parte di questa porta dimensionale, gli Shannon trovano un ambiente appena colonizzato con dinosauri, animali sconosciuti e addirittura una colonia di ribelli, i Sixers. La trama si avvicenda tra attacchi dei ribelli, dinosauri e addirittura virus che in ogni episodio mettono a repentaglio la colonia stessa e l’incedere della narrazione è ovviamente farcito da effetti speciali tipici dello stile di Spielberg che però diventano alla lunga eccessivi e addirittura inferiori per fattura a quelli di Jurassik Park considerando anche i diversi periodi di realizzazione. La serie in sé non posso dire che non abbia qualche punto di forza, la storia riesce in qualche tratto a portare colpi di scena che creano suspance, ma l’eccessiva caratterizzazione dei personaggi, l’uso di clichè in abbondanza e lo spasmodico ricorso alla tecnologia rende diffi cile non stancarsi della visione. Il rapporto problematico padre-fi glio, o la fi glia bella e carina che si innamora del soldato bello e intelligente, son cose viste e riviste che tolgono sicuramente peso alla storia originale. Il rapporto tra la colonia e i ribelli, centrale nella storia, ricorda moltissimo alcune dinamiche di Lost e nonostante questo dualismo sembri reggere per meta degli episodi, alla fi ne diventano scontati gli accorgimenti che mettono a contatto gli Shannon con i Sixers rovinando secondo me l’incedere della storia.A livello scenico posso dire che le ambientazioni sono interessanti, ma è una facile vittoria avendo a disposizione riserve incontami-nate in Nuova Zelanda. Concludendo penso che la serie sia partita da un’idea buona ma la realizzazione, sia a livello di sceneggiatura sia a livello di tecnologia abbia troncato portata della storia, ridu-cendo la storia ad un telefi lm nel Giurassico.

Ste

HOMeLaNDVendetta + Sospetto. Gli USA tremano!

Coinvolgente. Forse è l’aggettivo adatto per Homeland; l’ultima serie di Showtime (network produttore di successi come Weed e Dexter) è un vortice in crescendo che tiene incollati al divano. Dagli stessi sceneggiatori di 24 nasce una storia contemporanea di spionaggio, agenti segreti e antiterrorismo che non assomiglia però ad altre serie sullo stesso argomento, ma strizza più l’occhio ad un thriller ad episodi.Durante l’ennesimo blitz della Delta Force in Afghanistan, vie-ne ritrovato un soldato americano, Nicholas Brody, prigioniero di guerra rapito 8 anni prima insieme ad un suo commilitone, morto però durante la prigionia. Riportato in America viene dato in pasto alla vetrina mediatica ed eletto come simbolo dell’effi cienza made in Usa, si ritrova estraneo e tradito dalla sua famiglia subendo tutti i conseguenti disagi dovuti al disorientamento da rientro.Parallelamente un’agente della CIA, Carrie Mathinson, viene a sapere durante un’operazione non autorizzata in Iraq della conver-sione all’Islam di un soldato americano e della preparazione di un attentato contro gli Stati Uniti. Punita con il rimpatrio per questo colpo di testa, Carrie non parla della rivelazione ricevuta ma con-tinua ad investigare illegalmente su Brody sorvegliandolo con ci-mici e videocamere fi no a quando viene scoperta dal suo superiore. Invitata a presentarsi davanti alla corte disciplinare, Carrie ha un crollo emotivo che rivela la fragilità del suo personaggio. Grazie al suo intuito e alla sua tenacia, e dopo aver fi nalmente parlato della notizia ricevuta in Iraq, riesce a convincere tutti che dietro la fi gura di Brody rimangono aloni da chiarire. Inizia una serrata serie di avvenimenti che incrociano le strade dei due protagonisti.La serie incede veloce tra le indagini della CIA e la diffi coltà del soldato a riambientarsi dopo la prigionia. Il teorema del sospetto tutto americano è esasperato fi no al limite da Carrie che arriva quasi a farsi del male per riuscire a dimostrare e fermare la mi-naccia. Nel corso della trama si sviluppano piccole storie parallele che tengono l’attenzione alta ma non distraggono dal fi lo portante, in quanto si esauriscono in pochi episodi per lasciare il giusto spazio alla narrazione; già da metà della serie lo spettatore vie-ne coinvolto nel sospetto, perché grazie al ricorso a fl ashback sul passato in prigionia, sa che il soldato rivela meno di quanto effet-tivamente conosce.Concludendo posso dire che nonostante si abbia sempre l’impres-sione di aver capito tutto sui personaggi e la storia, la forza di Homeland stà nei continui cambi di direzione, che ingannano chi guarda ma rendono la serie avvincente e sostenuta. Homeland ri-mane nella testa di chi guarda, dando sempre la certezza di sapere veramente la verità per poi mischiare le carte proprio nei punti di maggior enfasi della storia. Ultimo appunto, questa serie necessita più di altre la visione in lingua originale (con i sottotitoli si trovano varie versioni in rete), giusto per cogliere alcuni giochi di parole e gustare l’interpretazio-ne che purtroppo il doppiaggio fa perdere.

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La carta più altaMarco Malvaldi, Sellerio Editore, 2011198 pag., 13,00 EuroGioa’ senza be’ quarcosa è come anda’ar casi-no e trovacci dentro ir prete.

Malvaldi è scrittore per passione, visto che uffi cialmente di mestiere fa il chi-mico. Alcune note biografi che narrano che l’arrivo al mon-do della scrittura è per lui un ripiego, un riempitivo du-rante i lunghi tempi

d’attesa dei calcoli complessi che il computer fa molto lentamente mentre scrive la tesi di dotto-rato. E cosa si inventa? La storia, forse a tratti autobiografi ca almeno nelle speranze o desideri, di un chimico che vinto un 13 al totocalcio (roba di altri tempi…) decide di mollare la carriera scientifi ca e prendere in gestione un barrino in una località balneare della toscana, sulla costa pisana. Fin qui quasi nulla di strano, se non che il suddetto barrino vede la presenza di alcuni personaggio molto interessanti: la proverbiale banconista esplosiva, bella e simpatica (!) ma soprattutto un gruppo di 4 vecchietti, i renitenti alla tomba, che già dai nomi ricordano una com-media di Monicelli: nonno Ampelio, il Rimediot-ti, il Del Tacca del Comune, Aldo il ristoratore. Malvaldi si serve di queste quattro colonne sia per metter lì nel testo esplosioni di vernacolo, sia per supportare storie a sfondo giallo non esatta-mente ad alta tensione, ma sicuramente scorre-voli e divertenti. Non potrebbe essere altrimenti: delitti di provincia, mai troppo efferati o partico-lari, che vedono però la curiosità indagatoria di 5 detective (i 4 occupanti a sbafo del BarLume e Massimo, il barista), oltre al commissario di pubblica sicurezza Fusco, che sopporta solo a tratti sia i 5 sia la loro fortuna nel trovare indi-zi. “La carta più alta” racconta dei dubbi legati alle morti avvenute in una ricca famiglia della zona, e si dipana tra contrasti nella parentela le-gati, guarda caso, ai soldi. Guarda caso i nostri 5 troveranno il modo per rimescolare le carte e far riaprire una indagine chiusa 20 anni prima, e arriveranno, naturalmente, ça va sans dire, alla soluzione dell’enigma. Piccolo spoiler... Una sce-na davvero godibile: Massimo, il barista, non ser-ve cappuccini nel pomeriggio. Un cliente, che si dichiara padano, si lamenta in modo molto sgar-bato. Uno dei nonni obbliga Massimo a servire il cappuccino al cliente, e glielo porta porgendo le più sentite scuse. Ah, il cappuccino nel tragitto viene corretto, con una dose 4 volte il normale di gocce antidiarroiche. Ah, la saggezza popolare...

DogtownMercedes Lambert, Einaudi Editore (Collana Stile libero Noir), 2011 - 386 pag., 15,00 EuroUscita postuma per Einaudi e “prima” ita-liana per la scomparsa Douglas Anne Mun-son che si celava dietro lo pseudonimo Mer-cedes Lambert.

Siamo nella Los Angeles più oscu-ra, quella meno descritta e rac-contata: Whitney Logan è una gio-vane avvocata che viene incaricata, in un’afosa gior-nata di agosto, di ritrovare Carmen

Luzano, colf guatemalteca e immigrata clan-destina. Whitney ci mette poco a capire che dietro questa apparente scomparsa si cela molto di più e accompagnata da Lupe Ramos, una prostituta chicana che le fa da interprete, si immerge nel mondo dell’immigrazione cen-troamericana nella Città Degli Angeli. È una Los Angeles fatta di sobborghi, di margini e di marginalità, di palazzotti brulicanti di uma-nità varia, il tutto descritto con un realismo mai di maniera ma perfettamente inserito nel quadro narrativo. L’autrice non indugia nella descrizione fi ne a sé stessa ma i parcheggi pieni di cartacce e i piccoli supermarket co-reani sono parte stessa della storia. Fra aspi-ranti starlettes del cinema, agenti pubblicita-ri senza scrupoli e militanti dei diritti civili, Logan si trova invischiata in una faccenda di sicuro più complessa rispetto a quella per la quale era stata ingaggiata: chi è veramente Carmen o – meglio – esiste davvero una Car-men Luzano? L’identità della donna (e della cliente) è sempre in bilico, metafora di quel sottobosco di immigrazione che porta a do-ver mediare e modifi care sempre la propria identità adattandola al contesto. I personaggi riescono a essere tridimensionali, concreti, sembra sfoglino le pagine per portarti alla soluzione della vicenda. Sono persone vere, in carne ed ossa, lontani da stereotipi e senza la sequela di “tic” e tristezze esistenziali che vengono probabilmente assegnati d’uffi cio da un computer nascosto nelle montagne vicino a Campobasso per i protagonisti dei libri noir e per una volta “il buono” o “la buona” da tifare non è un poliziotto. Ben scritto, equi-librato, buona costruzione della complessità dei personaggi e descrizioni molto vivide: un mix più che interessante per un libro-rivela-zione, affresco vivissimo e “militante” (come solo un noir sa essere) di una Los Angeles caotica, multicentrica e multiculturale.

tutti i coloridel mondoGiovanni Montanaro, Ed. Feltrinelli (CollanaI Narratori), 2012 - 144 pag., 14,00 EuroSe non dovessi tornare, / sappiate che non sono / mai partito. Il mio viaggiare / è stato tutto un restare qua, / dove non fui mai. (G. Caproni)

Fine ’800, Gheel, Belgio. Teresa Sen-zasogni è ospite nella città dei pazzi e per un cavillo del destino ne resta intrappolata come animale ferito, senza nessuna via di fuga, se non quella di dipingere il mondo. Ma Teresa non è mat-

ta, ha semplicemente il dono della predizione. Tere-sa Senzasogni ha intuito il destino, e verrà immolata sull’altare del peccato originale, in nome di una col-pa d’umana inconsapevolezza e per innata inclina-zione alla femminilità. Nel ventennio che attraversa la sua vita, con colori vivaci di parola e pensiero, vive il dolore, la disperazione, l’amore e l’incontro all’ultimo respiro con Vincent Van Gogh. Il pittore appare tra fi nzione e realtà tra storia e fantasia. È infatti tra il 1879 e il 1880 che biografi camente si cade nel silenzio, ma è proprio nel corso di questo anno, che Vincent potrebbe essere realmente stato ospite a Gheel, la città dei matti, la città di Teresa. Ènoto infatti che Van Ghogh soffrisse di forti stati de-pressivi ed allucinatori. Ed è certo che, dal 1881 in poi, quasi per miracolo, il pittore abbandonerà i suoi esasperanti studi biblici, per tramutarsi, come per rivelazione ricevuta, nell’artista grandioso, nel padre dell’Espressionismo, universalmente riconosciuto. Tutto il romanzo è un complesso di globale metamor-fosi emotiva e fi sica. È una rapsodia squarciata da luci infi nite ed ombre infernali. È una storia di Be-ethoveniana sordità e romanza, di efferata violenza e diafana poesia. “Tutti i colori del mondo” è anche un racconto di attualissima denuncia sociale, contro la follia scientifi ca. Un quadro storico dei trattamen-ti ospedalieri nell’ottocento, di come una creatura venisse ridotta a mero strumento da studio clinico. Teresa assurge, così, a simbolo del diverso, nell’inte-ra storia umana, nella nostra realtà contemporanea, ove i progressi sono solo manifesti per abbagliare gli spettatori del circuito, ma le individualità vengono ancora ben celate dietro i sipari dell’ordinario status quo. La mente umana è, però, un meraviglioso de-bordante caos. Per questo, Teresa Senzasogni è una tavolozza di struggimento e commozione. Teresa, tu ci strappi al sonno restituendoci alle stelle e al tocco della terra. P.S. Van Ghogh riteneva strettissima la relazione tra colori e musica, e siccome questo è un romanzo di colori sfumati, violati e vissuti, al termine della lettura consiglio di accomodarsi in poltrona, chiudere gli occhi e scorrere come pellicola di fi lm, tutta la storia, ascoltando Parla Piano di Vinicio Capossela.

LETTUREl i b r i

LETTURE

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inspiration bY:

Paolo Baraldi

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l i b r i

Federico Gato Mazzoleni

Near WestAlla Luna, un racconto dark-barocco

b complex - Winterwww.youtube.com/

watch?v=XhmRkgloUTU

xample - The comawww.youtube.com/

watch?v=IWLrYzSx5k4

etnoscope - Sunrisewww.youtube.com/

watch?v=MihWhEWft60

Colonna sonora consigliata:

.PrologoGli interni della vecchia Mercedes classe w3, una delle ultime con il lusso della radica, erano luridi. Il silenzioso ronzio del motore elettrico era quasi ipnotico, nella tasca del cambio si erano stratificati anni di cenere.L’autista, gli occhi vitrei fissi davanti a sè, era giovane, non più di 30 anni. Probabilmente era nervoso: di tanto in tanto al rumore pacato dell’auto si sommava il suono dei denti che grattavano uno sull’altro, con forza.Il passeggero, più anziano, guardava fuori dal finestrino, lo sguardo perso e un’espressione assente. La pelle grassa ma tesa e la bocca larga lo facevano somigliare più ad una rana che a un rospo; la lentigo senile certo non aiutava.- Smettila di masticare quei cazzo di denti Jo, o dovrai ripagarteli - La frase schizzò a mezza voce, come uno spruzzo di acido.- E non me ne frega un cazzo delle stronzate sul bruxismo da stress che rifili alla tua troia -Il rumore cessò, entrambi continuarono a guardare nelle rispettive direzioni e il silenzio ricadde come una coperta. Fuori era cominciata una pioggia nervosa. Sulla fronte lucida del passeggero si riflettevano le luci degli esercizi commerciali, amplificate dell’asfalto bagnato. Gli edifici si susseguivano metamerici, come le sezioni di un millepiedi. Ma in fondo proprio questo erano, parti sacrificabili e se ne moriva una non ci si accorgeva. Lo spazio era chiuso in una nuvola aranciata, come se la nebbia, negli anni, avesse messo radici e fosse maturata. Altri minuti passarono, la strada era la scia di luce che corre su una lama, tra i coralli elettrici di un tessuto urbano che si era fatto volume, oceano. Un gruppo di ragazzini con ombrelli gialli creò un momento di discontinuità, presto riassorbito in una curva che aveva odore di Gauss. La macchina si fermò fuori da un grosso complesso di edifici abbandonati, una sezione non più irrorata dal flusso di capitale, evidentemente dirottato altrove. Era un quartiere vasto quanto una discarica, composto da palazzi dirigenziali e hangar e cumuli di veicoli. Alti capannoni di vetri rotti tenuti in piedi da travi d’acciaio: avevano ospitato container di complementi d’arredo, ormai prodotti in Uganda o in Madagascar. Il lichene grigio rossastro era diventato il padrone di questi luoghi: lui mangia tutto, e beve nebbia.Jo spalancò la portiera ed uscì rapido, per aprire anche quella del passeggero. Faccia-di-rana si aggrappò alla fiancata e si issò fuori dall’abitacolo.- Tu aspetta qui, Jo. Scoppiati una sigaretta e non venire a rompere i coglioni a meno che ti chiamo io - e mentre diceva questo già camminava svelto verso un capannone, il bavero dell’impermeabile alzato a coprire i capelli fini e ricci che gli scendevano sulla nuca..AgguatoFaccia-di-rana rallenta, appena varcata una porta metallica, arrugginita e corrosa. Si trova ora all’interno di un capannone scuro e molto vasto. In alto, lungo le pareti, grandi lastre di plexiglass affumicate dallo smog filtrano luce arancione che disegna angoli d’ombra, dietro i pilastri. Un uncino penzola da un ingombrante motore mobile, probabilmente manovrato dal grosso telecomando che giace poco distante, coperto di polvere e grasso e cartoni, come un vecchio diarroico.Anche un muletto sembra che abbia scelto quel posto per raggomitolarsi su un fianco e morire.Sebbene avvolta nella penombra, tutta la scena è ben visibile dall’alto del nascondiglio. Il cacciatore, con movimenti silenziosi e precisi, consapevoli essi stessi dello spazio circostante, comincia a scendere dal nido metallico nel quale ha atteso l’ospite. In brevissimo tempo raggiunge il livello del terreno, si cala nel vuoto di un tombino, sparisce. Intanto, con ostentata sicurezza il vecchio si guarda intorno un po’ spazientito, tortura con le lucide Mizuno di pelle piccoli stronzi di topo e si siede su una seggiola di plastica, coperta di nastro giallo e nero. Verosimilmente aspetta qualcuno, magari uno spacciatore; oppure è egli stesso lo spacciatore che attende il suo cliente. Certo non ha idea di quello che sta per succedere, altrimenti non presterebbe tanta attenzione alle forme che il fumo della sua Lucky disegna nell’aria ferma. Il cacciatore ora striscia nell’angusto passaggio di una tubatura. Riesce a sentirsi strisciare e ne rimane infastidito. Non l’ha visto, ma sa che il suo ospite è seduto sulla sedia, proprio dove lui l’ha lasciata. Sono tutti

così deboli, ormai... atrofizzati e ottusi.La scena ora è ampia, travi e colonne disegnano una cornice spaziosa attorno all’uomo seduto, diversi metri di vuoto si allungano ad entrambi i lati della sedia. L’uomo sembra piccolo contro la vasta parete di cemento e, dall’alto, diagonali di luce accendono metà della figura, mentre l’altra rimane buia. Il vecchio si passa una mano tra i capelli grinzosi, poi controlla distrattamente quanti gliene sono rimasti tra le dita. Con un gesto nervoso li scrolla via, allontanandoli da sè insieme al pensiero di averli persi.Nel totale silenzio, con una certa lentezza, la figura del cacciatore emerge alle spalle dell’uomo ignaro. Dietro la sua fronte lucida e maculata compaiono tre occhi di un rosso variabile, profondo come quello di Hal 9000. I tre sensori sono incastonati come rubini in una maschera che si sta rivelando: un grosso becco bianco si protrude in avanti, due linee nere ai lati come lunghe narici in un naso aquilino. La maschera è quella di un medico della peste veneziano, più qualche upgrade. Nello spazio di una boccata di fumo il Medico-della-peste attorciglia un cavo elettrico attorno al collo dell’uomo e stringe, con un guizzo. Il cacciatore trascina a terra l’uomo ma i movimenti convulsi rendono tutto più difficile. Riesce ad appoggiare le ginocchia sulle spalle della vittima mentre questa si dibatte. La mente del Medico rimane lucida, lo sguardo fisso al lontano soffitto metallico. Trenta secondi, dispnea inspiratoria: la faccia da rana è già rossa e cerca di succhiare l’aria che non arriva, la tachicardia pompa sangue e adrenalina nei muscoli che si contraggono vigorosamente, sbattono. Un minuto, dispnea espiratoria: i muscoli del torace spingono per sputare fuori l’anima, la faccia ora è cianotica e gli occhi rossi sono annebbiati. Il sangue stenta ad ossigenare il cervello, gli sfinteri si paralizzano e gli escrementi, sotto pressione per le convulsioni addominali, schizzano fuori.Il Medico ha ancora lo sguardo fisso al soffitto, gli occhi rossi si velano per un istante, come se una membrana nittitante umettasse i bulbi. Un minuto e mezzo, stadio apnoico: subentra coma e bradicardia. L’uomo si è arreso.Il Medico si scosta dal corpo irrigidito, sfila dalle spalle un piccolo zaino, lo apre, ne estrae un involto. Rapido si china sull’uomo, appoggia a terra il rotolo di cuoio e si sfila i sottili guanti di seta per rivelare altri guanti, in lattice bianco. Allunga sul pavimento l’involto: diversi utensili metallici guizzano di luce riflessa. Le forbici tagliano la camicia, le cesoie le radici cartilaginee delle costole; il suono secco è una versione amplificata dei denti digrignati. Il sangue fluisce lento, nero come la pece per la desaturazione dell’emoglobina. Ogni tanto qualche leggero spasmo nervoso ricorda al Medico che l’uomo non è ancora morto, ma il tempo stringe e il tanfo della merda sconcentra. Il piastrone sternale è rimosso, una goccia di sudore corre lungo la faccia interna della maschera e cade dentro il torace aperto, pieno di masse scure. Fuori c’è puzza di ozono e di elettricità statica. Nuvole violacee, tumefatte, si ammassano all’orizzonte. Vicino all’automobile Jo ha finito di stracciare la sua sigaretta sotto la suola quando qualcosa vibra nei suoi pantaloni.Con gesto consumato infila la mano nella tasca e la sfila facendo roteare il palmare tra pollice e medio, in modo che sia pronto prima di aver abbassato lo sguardo, ancora perso nel paesaggio postindustriale.- Occristo - esclama con un rantolo. E corre verso il capannone, cercando la sua Economica Philips nella fondina. Era scattato l’allarme di arresto cardiaco..FugaIn pochi secondi Jo è dentro. Osserva per un lungo istante (digrignando i denti): la figura riversa su un corpo, il corpo è quello del Capo, il Capo è stato squartato, la figura sta chiudendo uno zaino, ora si è voltata, che cazzo è? Jo alza l’arma, esplode due colpi in rapida successione. Mancano. La figura si getta da un lato, si volta e scappa. Jo corre, intravede lo sterno del Capo, un conato gli fa rimbalzare il diaframma sullo stomaco, si domina e continua ad inseguire la figura.Il Medico-della-peste corre veloce, si catapulta giù per un’ ampia scala alla ricerca del buio. Tuttavia non è il solo ad avere degli upgrade: le retine potenziate di Jo lo vedono chiaramente.I due ora stanno scattando in un basso corridoio. Le piastrelle verdi sono frantumate, montagne di tavoli e sedie ostruiscono il passaggio come trombi di colesterolo. Il

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Medico si butta fuori da una finestra rotta, aggrappandosi ad un ponteggio carica le gambe e si lancia in diagonale attraverso la finestra successiva. Jo, meno agile, opta per lo sfondamento: passa attraverso i cumuli di detriti, schivandone il maggior numero possibile. Le pareti scivolano via veloci, sfocate. Ora sono in campo aperto, ma la corsa frenetica impedisce all’inseguitore di prendere la mira e sparare. L’ inseguimento procede su di una vecchia ciminiera, crollata di traverso sopra un bacino di raccolta idrica, invaso da vegetazione e alghe putride. Container, macerie e veicoli ribaltati sono il substrato di una nuova foresta, dura e inospitale come il cemento di cui si nutre. Attraverso un crepaccio, di nuovo sotto terra: androni spaziosi, corridoi, cessi per gli operai tappezzati di manifesti hard. La corsa continua, mettendo a dura prova la resistenza di entrambi. D’un tratto il Medico si fa sponda su una parete con un piede, cambiando repentinamente direzione e proiettandosi verso l’alto, ad afferrare una tubatura. Utilizzando il nuovo appiglio si tuffa, le gambe in avanti, attraverso lo spazio ristretto che separa lo stipite da un cancello metallico. Ma il lungo becco urta la parete e la maschera cade. Jo lo tallona e a sua volta si issa sopra il cancello, si ribalta dall’altra parte, lasciandosi cadere sul pavimento del nuovo corridoio che, purtroppo per lui, è lungo e zeppo di porte aperte e di spaccature. Del figlio di puttana non c’è più traccia. Jo ritorna sui suoi passi, fermandosi per raccogliere la maschera bianca. La guarda per un attimo: la cosa che lo fa incazzare è che ha appena perso il lavoro, ma d’altronde con quella maschera si pagherà sicuramente dei denti in ceramica della Baygon. Il Medico, senza la sua maschera, è costretto a procedere a velocità ridotta, ma si muove comunque svelto. Dopo dieci minuti buoni di marcia arriva finalmente al molo numero 16, la sua destinazione. Attraverso una crepa si insinua in un vecchio ufficio, i lampadari di vetro pregiato sono ancora appesi, intatti. Le scrivanie invece sono state spaccate e bruciate, forse da qualcuno troppo infreddolito per pensare di barattare quei lampadari con dei fornelletti chimici. Dall’ufficio, in fondo al corridoio buio si vede una luce, lontana e intensa. Il passo si fa più calmo..OperazioneSi avvicina inosservato, scruta la stanza: le piastrelle in ceramica sui muri gli ricordano quelle di un macello. Lungo le pareti numerosi riflettori, collegati ad un generatore ingombrante ma silenzioso, illuminano il centro della stanza: una grossa bolla di plastica è tenuta in piedi da tiranti di nylon fissati al soffitto. All’interno della bolla è stata allestita quella che sembra una sala operatoria. Su un lettino giace una forma umana, coperta con lenzuola chirurgiche; poco distanti tre persone sono ferme nel silenzio. Indossano copri scarpe, cuffie, camici, tutti della stessa tonalità di verde. Immobili come statue, con le mani guantate ferme a mezz’aria, semiaperte, i palmi rivolti verso la faccia, attendono. La luce sfarfalla per un secondo e uno dei tecnici si volta, vede il Medico. Esce dalla bolla attraverso un diaframma, gli si fa incontro, lo osserva interrogativo.Il Medico impassibile, si sfila lo zaino e glielo apre davanti. Il Tecnico infila le mani in uno spesso sacchetto blu e con estrema cura estrae un oggetto coperto di sangue nero. Con fervore pseudo religioso si porta all’interno della bolla e pone l’oggetto sotto la luce dei riflettori. Il sangue cola a terra, permettendo ai tecnici di guardare il cuore artificiale che si contrae flebilmente.Il Tecnico esclama strozzato: - Dio... è davvero uno Stefanoni 2.0. È la prima volta che ne vedo uno. Le informazioni del cliente erano accurate -. Il secondo tecnico interviene, timido: - Chissà dove se l’è procurato?! -. Il terzo, che era rimasto zitto conclude: - Beh, basta con le seghe accademiche, mettiamoci al lavoro -.Il Medico rimane appoggiato con la spalla alla porta, intenzionato ad osservare. C’è sempre qualcosa da imparare..EpilogoTra alcune ore, quando un’alba di cobalto e xeno schiarirà l’orizzonte, il Medico tornerà al suo rifugio. Il volume frammentato della City, prodotto delle vicissitudini di un fenotipo esteso e impazzito, offre nascondigli, nicchie. Nel suo prefabbricato, tutto polistirolo e lamiera e vernici, abbarbicato sopra il tetto piatto di un bunker, il Medico potrà finalmente rilassarsi. Ancora irritato per la leggerezza con cui ha perso la maschera, prenderà il suo armamentario e si sottoporrà ad una sessione estenuante di elettrostimolazione muscolare. Il senso di colpa diventerà masochismo, rinforzato perchè canalizzato nella ricerca del maggiore controllo sul proprio corpo. Probabilmente si lascerà cullare dal ritmo cardiaco con infiltrazioni melodiche tipico di un pezzo trance: la sintesi musicale dell’universo di un feto, onnipotente nel suo regno acquoso. Purtroppo non ascolterà il notiziario del mattino, quello che annuncerà che, fortunatamente per tutti, il vice sindaco è fuori pericolo. È lo stesso politico che si è fatto strada alimentando la paranoia sulle ultime biotecnologie. Gli interessati elettori finalmente sapranno che sta tornando da una clinica privata, dopo una complessa operazione e la lunga ricerca di un donatore compatibile (Dio lo benedica). In poche settimane sarà di nuovo in forze e potrà dedicarsi alle sue battaglie contro la micro-criminalità, l’altro suo cavallo di battaglia. In fondo il mezzo non modifica il fine e se il fine è vivere con gli occhi in una favola, non importa se per rimanerci bisognerà restare immersi nella merda fino al ginocchio. E se la merda salirà -quando (e se) si saprà che nel petto batte un organo cresciuto in vasca- i suoi elettori negheranno il problema.D’altra parte le alternative alle favole puzzano come gli stronzi. I voti continueranno ad arrivare e le psicosi sociali verranno nutrite fino alla schizofrenia. Allora si che ci sarà da divertirsi...

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FULVO IL LUPOLa striscia del Dulco.

bestiario Di resistenZa alla Vita DiseGnato male e sU sUpporti Di FortUnain Groppa alle prime DUe Feroci DecaDi Del xxi secolo.

fulvo.blogspot.com

Myshit! e, un work in progress continuo, pubblicazione per il momento aperiodica,

ideata da PAOLO BARALDI AKA IL BARO, ALBERTO BIFFI e CARLO ,KARLETTO

, CAPITANIO.

La ,redazione

, e

, fluida e in questo numero hanno scritto, d isegnato, sgraficato i tre d i cui sopra,

il s ig. Creosoto, Ste, Fulvo il Lupo, P ito, Davide, Teo, L iv ia, Fetz, jonas, c isa...Per contattare la redazione scriveteci a: [email protected]

Grazie a chi s i e, reso d isponibile a essere intervistato, a scrivere recensioni o d isegnare,

a r iguardare i testi, a inviarci foto: siete stati da stimolo per la nostra tempistica un po, naif.

A tutta la gang di vecchi bastardi, amic i, fratelli e sorelle che c i c ircondano.

t H e e n D

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r.i.p.Jean Giraud

-Moebius-

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Jonas arturo santana- taVola DiseGnata a latina il 27 maGGio 2011 -

s U l p r o s s i m o n U m e r o :