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Diritto Costituzionale. Rivista Quadrimestrale 3/2020 ISSN 2611-2590 ISSNe 2611-3376 Natura, cambiamento climatico, democrazia locale * Michele Carducci ** Abstract: Lo studio esplora dibattiti ed esperienze in tema di democrazia locale, natura e cambiamento climatico, proponendo una comparazione fondata sulle critiche ecologiche al diritto ambientale. In primo luogo, esso ricostruisce il nesso fra i tre elementi e individua le principali critiche ecologiche alla democrazia ambientale. Quindi considera i due mo- delli di partecipazione ambientale (“ottativa” e “prescrittiva”) offerti dalla comparazione, nel quadro della triplice emergenza contemporanea (ecosistemica, climatica e fossile), di- versa dalle già conosciute emergenze ambientali. Infine, considera le prassi di litigation strategy ed “eco-democrazia” in quanto reazioni a queste emergenze, nella contestuale in- dividuazione del “mandato climatico” quale nuova prescrizione deliberativa di “prote- zione sostenibile”. Title: Nature, climate change, local democracy. The study explores debates and experiences on local democracy, nature and climate change, proposing a comparison based on ecological criticisms of environmental law. First, it reconstructs the link between the three elements and identifies the main ecological criticisms of environmental democracy. Then compares two models of environmental participation (“optative” and “prescriptive”), in the context of the threefold contemporary emergency (ecosystem, climate and fossil). Finally, it takes into consideration the litigation strategy and “eco-democracy” practices as reactions to these emergencies, in the contextual identification of the “climate mandate” as a new deliberative prescription for the “sustainable protection”. Keywords: natura, cambiamento climatico, UNFCCC, democrazia ambientale, eco- democrazia, mandato climatico; nature, climate change, UNFCCC, environmental democracy, eco-democracy, climate mandate. 1. Struttura della ricerca Questo studio 1 intende fornire un quadro riassuntivo dei dibattiti e delle esperienze che, a livello mondiale, si occupano del rapporto fra democrazia * Articolo presentato il 29-07-2020; accettato il 10-09-2020 ** Università del Salento. 1 Si precisa che tutte le fonti online sono state consultate e verificate alla data del 30 giugno 2020. Copyright © FrancoAngeli N.B: Copia ad uso personale. È vietata la riproduzione (totale o parziale) dell’opera con qualsiasi mezzo effettuata e la sua messa a disposizione di terzi, sia in forma gratuita sia a pagamento. DOI: 10.3280/DC2020-003004

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  • Diritto Costituzionale. Rivista Quadrimestrale 3/2020 ISSN 2611-2590 ISSNe 2611-3376

    Natura, cambiamento climatico, democrazia locale*

    Michele Carducci**

    Abstract: Lo studio esplora dibattiti ed esperienze in tema di democrazia locale, natura e cambiamento climatico, proponendo una comparazione fondata sulle critiche ecologiche al diritto ambientale. In primo luogo, esso ricostruisce il nesso fra i tre elementi e individua le principali critiche ecologiche alla democrazia ambientale. Quindi considera i due mo-delli di partecipazione ambientale (“ottativa” e “prescrittiva”) offerti dalla comparazione, nel quadro della triplice emergenza contemporanea (ecosistemica, climatica e fossile), di-versa dalle già conosciute emergenze ambientali. Infine, considera le prassi di litigation strategy ed “eco-democrazia” in quanto reazioni a queste emergenze, nella contestuale in-dividuazione del “mandato climatico” quale nuova prescrizione deliberativa di “prote-zione sostenibile”.

    Title: Nature, climate change, local democracy. The study explores debates and experiences on local democracy, nature and climate change, proposing a comparison based on ecological criticisms of environmental law. First, it reconstructs the link between the three elements and identifies the main ecological criticisms of environmental democracy. Then compares two models of environmental participation (“optative” and “prescriptive”), in the context of the threefold contemporary emergency (ecosystem, climate and fossil). Finally, it takes into consideration the litigation strategy and “eco-democracy” practices as reactions to these emergencies, in the contextual identification of the “climate mandate” as a new deliberative prescription for the “sustainable protection”.

    Keywords: natura, cambiamento climatico, UNFCCC, democrazia ambientale, eco-democrazia, mandato climatico; nature, climate change, UNFCCC, environmental democracy, eco-democracy, climate mandate.

    1. Struttura della ricerca

    Questo studio1 intende fornire un quadro riassuntivo dei dibattiti e delleesperienze che, a livello mondiale, si occupano del rapporto fra democrazia

    * Articolo presentato il 29-07-2020; accettato il 10-09-2020** Università del Salento.

    1 Si precisa che tutte le fonti online sono state consultate e verificate alla data del 30 giugno 2020.

    Copyright © FrancoAngeli N.B: Copia ad uso personale. È vietata la riproduzione (totale o parziale) dell’opera con qualsiasi

    mezzo effettuata e la sua messa a disposizione di terzi, sia in forma gratuita sia a pagamento.

    DOI: 10.3280/DC2020-003004

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    locale, natura e cambiamento climatico, proponendone una classificazione secondo le linee di critica formulate dalle scienze naturali e dall’ecologia.

    L’utilità di una simile ricostruzione appare giustificata da cinque acqui-sizioni, recentemente maturate anche dentro l’Unione europea.

    Ci si riferisce:

    a) al riconoscimento ufficiale dei limiti e delle insufficienze dell’attuale dirittoambientale internazionale ed euro-unitario2, le cui manifestazioni di “falli-mento istituzionale” sono state scandite anche dall’IPBES (IntergovernmentalScience-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Service)3;b) alla consequenziale necessità di rivedere i meccanismi di valutazione am-bientale in una prospettiva integrata tridimensionale, strutturata sugli scenariglobali di cambiamento climatico, inquinamento atmosferico e perdita dibiodiversità4, in funzione anche dei diritti umani di liberazione dal bisognoe di pari accesso alle risorse, scanditi dai 17 SDGs dell’ONU per il 20305;c) alla constatazione della difficoltà di promuovere tali revisioni sulla base diparametri, metodi e pratiche democratiche orientate al compromesso con-tingente di breve periodo6;d) alla proposta, nell’UE, di rettificare parametri e metodi, con l’introduzionedi una “Carta dei diritti fondamentali della natura”7;e) alla sperimentazione di forme di “scienza partecipata”, che declinino pro-duzione e interpretazione del diritto in funzione dei doveri di protezione

    2 Si v. i tre Report UNEP, New Frontiers in Environmental Constitutionalism (2017), Envi-ronmental Rule of Law (2019), e Rule of Environmental Law and its Failures (2019), cui aggiun-gere, per l’UE, Commissione europea, The Costs of not Implementing EU Environmental Law, Bruxelles 2019.

    3 https://ipbes.net. 4 Cfr. https://ec.europa.eu. Ma cfr. anche International Resource Panel, Assessing Global

    Resource Use. A Systems Approach to Resource Efficiency and Pollution Reduction. Summary for Pol-icymakers, Paris 2017.

    5 Cfr. https://www.ohchr.org. Ma si v. lo specifico Report di IDEA The Sustainable Devel-opment Goals and the Global State of Democracy Indices (2019) in http://www.idea.int.

    6 Cfr. European Political Strategy Center, 10 Trends Shaping Democracy in a Volatile World, EU Commission, Bruxelles 2019, e G. Sgueo, The Practice of Democracy, European Parliamentary Research Service, Bruxelles 2020.

    7 L’iniziativa nasce su impulso del Comitato Economico e Sociale Europeo: cfr. M. Carducci, S. Bagni, M. Montini et al., Towards an EU Charter of the Fundamental Rights of Nature. Study, European Economic and Social Committee, Bruxelles 2020.

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    della natura e di sicurezza della stabilità climatica8 (nel ricorso al canone er-meneutico in dubio pro natura et clima9).

    Va subito detto che l’argomento richiede preliminari puntualizzazioni di analisi ecologica del diritto10, invero trascurate dalla dottrina italiana impe-gnata sul tema della partecipazione democratica11.

    Pertanto, dopo una breve ricostruzione del nesso tra cambiamento cli-matico, diritti e natura (par. 2), la ricerca sintetizzerà le principali critiche e i dilemmi che scienze naturali ed ecologia sollevano in merito ai meccanismi di deliberazione e decisione del diritto ambientale (par 3), per poi verificare la loro eventuale presa in considerazione nell’attuale sistema euro-unitario, classificabile come modello “ottativo” di democrazia ambientale (par. 4).

    Saranno quindi individuate le pratiche, integrative o sostitutive di quel modello, operanti come democrazia ambientale “prescrittiva” (par. 5), con-statandone l’insufficienza rispetto alle inedite sfide, poste dalla triplice emer-genza (ecosistemica, climatica e fossile) coinvolgente la condizione umana contemporanea (par. 6).

    Del resto, proprio a questa nuova condizione umana guardano le alter-native di litigation strategy ed “eco-democrazia”: esse, però, risultano solo in parte concretizzate e comunque si dimostrano pur sempre non risolutive dei problemi planetari della triplice emergenza (par. 7). Ciononostante, il loro

    8 Si pensi al programma REFIT (https://ec.europa.eu) e alle azioni europee di Citizen Science (https://eu-citizen.science), nonché ai rilievi evidenziati dalla Corte dei conti europea, nella Re-lazione speciale n. 14 «Di’ la tua!»: le consultazioni pubbliche della Commissione coinvolgono i cittadini, ma le attività per renderle note sono insufficienti, ECA, Luxembourg 2019.

    9 Per una recente presa di posizione in tal senso, si v. International Bar Association, Model Statute for Proceedings Challenging Government Failure to Act on Climate Change, IBA, London 2020.

    10 Se l’ecologia è lo studio delle regole di interazione fra tutti gli esseri viventi nei processi di collegamento con l’ambiente fisico e chimico, l’analisi ecologica del diritto studia la con-formità delle norme giuridiche a quelle regole e quei processi. In questo, essa si differenzia dal tradizionale diritto ambientale, preoccupato di tutelare prioritariamente gli interessi umani in sé, per poi ridurne gli impatti sull’ambiente. Per i diversi inquadramenti, si v. R.O. Brooks, R. Jones, R.A. Virginia, Law and Ecology: The Rise of the Ecosystem Regime, Routledge, London 2002, e C. Sbert, The Lens of Ecological Law, Elgar, Cheltenham 2020.

    11 Si v., per esempio, le due recenti monografie di G. Pepe, Il modello della democrazia par-tecipativa tra aspetti teorici e profili applicativi. Un’analisi comparata, Cedam, Padova 2020, e M.F. De Tullio, Uguaglianza sostanziale e nuove dimensioni della partecipazione politica, Edizioni Scienti-fiche, Napoli 2020, utili su molti fronti, ma non sull’oggetto di questa ricerca.

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    contributo consegna quattro novità, utili alla lotta contro il degrado biosfe-rico e il cambiamento climatico: la tematizzazione del “mandato ecologico” e “climatico” come limite della discrezionalità politica e dell’autonomia pri-vata; la riformulazione della dialettica istituzionale tra scienza e deliberazione politica, secondo il paradigma “post-normale”12; la riqualificazione dello sta-tuto politico della persona umana, in funzione di quel doppio “mandato”; il ribaltamento dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile nel dovere della prote-zione necessaria dell’intero pianeta come “area a rischio” (par. 8).

    2. Il nesso cambiamento climatico-natura-diritti

    Dal punto di vista giuridico, la fonte di riconoscimento e disciplina delfenomeno del cambiamento climatico è la Convenzione quadro delle Na-zioni Unite del 1992 (d’ora in poi, UNFCCC).

    L’UNFCCC non parla di ambiente né di clima in sé, bensì esclusivamente di cambiamento climatico antropogenico, ossia della relazione tra attività umana, atmosfera, aumento della temperatura, effetti diretti e indiretti dei cambiamenti climatici. Si tratta pertanto di una lex specialis13, in ragione dei suoi contenuti nor-mativi riferiti sì a un fenomeno naturale, ma nella definizione e qualificazione dell’influenza umana su di esso (lo si desume dal Preambolo nonché dai primi quattro articoli del testo). Questo comporta che la climalterazione antropoge-nica assurge a fattispecie legale, non a mera ipotesi scientifica. In quanto tale, essa non è contestabile dagli Stati che hanno ratificato la Convenzione, tra cui l’Italia con la l. 65/1994, per ossequio al canone della buona fede, fissato dalla Convenzione di Vienna sulla interpretazione dei trattati.

    Dal punto di vista naturale, invece, il clima ha una doppia identità: è una variabile spazio-temporale della temperatura, produttiva di complesse inte-razioni causali di medio-lungo periodo a livello locale-globale-locale (qualifi-cate con la formula Feedback Loop); è una funzione ecosistemica di regolazione

    12 Nel significato reso celebre da S.O. Funtowicz, J.R. Ravetz, Post-normal Science: A New Science for New Times, in Scientific European, 1990, pp. 20-22, per descrivere un approccio inte-grato fra partecipazione cittadina, scienza, politica e diritto, solitamente trascurato nei reso-conti tradizionali delle pratiche deliberative.

    13 Tale specialità opera a livello di diritto internazionale, ma si estende anche a quello dei singoli ordinamenti interni, a seconda della loro disciplina specifica sulle fonti. Sul tema, si v. T. Thorp, Climate Justice: A Constitutional Approach to Unify the Lex Specialis Principles of Inter-national Climate Law, in Utrecht Law Review, Vol. 8, n. 3, pp. 7-31.

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    di beni e servizi naturali, necessari per tutte le forme di vita, compresa quella umana14.

    Dal clima dipende l’ambiente e quindi la vita; il che implica che il suo cam-biamento (ossia il cambiamento climatico) incide sulla vita e sull’ambiente. In questo dato di fatto risiede l’innegabile intreccio tra cambiamento climatico, na-tura (nella onnicomprensiva denominazione di ambiente), vita umana e quindi i diritti che la sostengono. L’essere umano è inesorabilmente un homo climaticus15.

    Proprio per questo, l’UNFCCC ha individuato la ratio della sua disciplina nella garanzia dei Benefits per la presente e le future generazioni. Di riflesso, l’ob-bligazione climatica, descritta dalla Convenzione, risulta a doppio contenuto: inter-statale (cooperare fra gli Stati per il conseguimento della stabilità climatica) e intra-statale verso le persone presenti e future (scongiurare danni)16.

    Nel 2015, però, è subentrata una novità. Infatti, con la Decisione UNFCCC n. 1/CP21 (prodromica all’Accordo di Parigi del 2015), il cambiamento clima-tico, nell’originario testo della Convenzione inquadrato come «influenza negativa»sul «genere umano e gli ecosistemi», è stato innalzato a livello di «minaccia urgente e po-tenzialmente irreversibile» per gli stessi. Si tratta di un salto non da poco: il fenomeno identifica ora una situazione di fatto di esposizione involontaria a tale “minac-cia”, per di più “urgente” e “potenzialmente irreversibile”, all’interno della fat-tispecie giuridica della sua antropogenesi17.

    Va precisato che l’esposizione involontaria di umanità ed ecosistemi si ma-nifesta in due modi:

    - come incidenza su tutti i determinanti (fisici, psichici e ambientali) dellasalute di qualsiasi essere vivente (nella proiezione sistemica sintetizzata dallaformula One Health18);- come condizionamento delle libertà di ciascun singolo individuo umano19.

    14 Si v. i Glossari ufficiali in tema: UNFCCC, Glossary of Climate Change Acronyms and Terms; UNEP, Glossary of Terms for Negotiators of Multilateral Environmental Agreements; IUCN, Definitions; IPCC, Glossary SR1.5 2018; Consilium EU, Climate Change. Key Terms in 23 Languages, Bruxelles 2011.

    15 J.E. Campillo Álvarez, Homo climaticus, Crítica, Barcelona 2008. 16 In tal senso, si v. ufficialmente il Report UNEP, Climate Change and Human Rights

    (2015). 17 M. Gartin, K.L. Larson, A. Brewis et al., Climate Change as an Involuntary Exposure, in

    International Journal of Environmental Research and Public Health, Vol. 17, n. 1894, 2020, pp. 2-17. 18 W. Al-Delaimy, V. Ramanathan, M. Sánchez Sorondo (eds.), Health of People, Health of

    Planet and Our Responsibility, Springer, Cham 2020. 19 S. Friel, Climate Change and the People’s Health: the Need to Exit the Consumptagenic System,

    in The Lancet, n. 395, 2020, pp. 666-668.

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    Appare dunque chiaro il riverbero costituzionale del cambiamento clima-tico: esso coinvolge il patrimonio dei diritti umani, a partire da quello alla vita e alla salute, come già dichiarato dall’ONU nel 2009, con il Report of the Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights on the relationship between climate change and human rights (A/HRC/10/61, 15 January 2009), e definitivamente ufficializzato nel 2019, con il Joint Statement on human rights and climate change20, ma intacca anche lo statuto politico della persona umana, ossia il suo essere soggetto che discute, partecipa e delibera i comportamenti di libertà e doveri, in funzione delle “minacce” esterne alla sua volontà21.

    Questa articolazione è molto diversa dalle precedenti, per quattro ragioni:

    - per i suoi contenuti, riferiti non più alla dialettica dei rapporti tra libertàumane e poteri umani, come da sempre verificatosi (sono i poteri umani aminacciare le libertà, non i fatti naturali in sé, tant’è che questi ultimi sonogeneralmente qualificati dal diritto in termini di “pericolo”);- per le sue cause, dato che “minacce” ed esposizione involontaria derivanocomunque da azioni umane e non da eventi estranei ad esse (sono sì fattinaturali, ma antropogenici);- per il tipo di “minacce” (non solo “urgenti”, ma addirittura “irreversibili”);- per il contesto in cui si trovano a operare, dettato dalla condivisione di tali“minacce” con gli ecosistemi e quindi l’intera biosfera.

    Proprio l’ineluttabile condivisione con le altre forme di vita a livello pla-netario mette in discussione l’approccio del diritto ambientale attuale, radi-cato sul bilanciamento settoriale dei soli interessi umani, accelerando quell’effetto che Williams aveva precocemente identificato come Win-Lose22, dato che esso “vince” appunto come meccanismo giuridico formale in sé su singoli settori ambientali (ponderare interessi meritevoli di tutela), ma “perde” come risultato ecosistemico, perché lesivo della struttura unitaria della biosfera.

    Lo scenario conseguente è paradossale: l’uso umano della natura, ben precedente e indipendente dal cambiamento climatico antropogenico, si trova ora funzionalmente condizionato e aggravato da esso (si pensi, per

    20 In https://www.ohchr.org. 21 Lo si desumerà proprio a conclusione della ricerca, nell’ultimo paragrafo. 22 M. Williams, Tackling Climate Change: what is the Impact on Air Pollution?, in Journal of Car-

    bon Management, Vol. 3, Issue 5, 2012, pp. 511-519.

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    tutti, al fenomeno della desertificazione), nonostante le declaratorie di “com-patibilità ambientale” delle decisioni legali.

    Crolla il postulato epistemico dell’ambiente come “materia” giuridica: esso non è più concepibile come equivalente funzionale di cose, risorse, beni, segmenti territoriali, singole matrici, originariamente considerate illimi-tate poi rubricate come “scarse”23, ma pur sempre trattabili alla stregua di qualsiasi altro fattore produttivo di valore per l’azione umana24.

    L’elemento regolativo della vita (il clima) fissa ora una “condizione asso-luta” spazio-temporale, consistente non in una “scarsità” quantitativa di og-getti, bensì in una “minaccia” biosferica onnicomprensiva (“urgente e po-tenzialmente irreversibile”).

    La posta in gioco non è più il formale rispetto dei limiti, come si rico-nobbe sin dagli anni Settanta del Novecento all’interno dell’OCSE con ri-guardo a singoli beni o risorse25.

    Il cambiamento climatico, riguardando il clima come condizione spazio-temporale e funzione di regolazione della vita, sta modificando repentina-mente le regole della stabilità della coesistenza terrestre, mettendo in discus-sione sia la qualificazione della natura come semplice insieme di singoli ele-menti fungibili, sia la definizione della convivenza umana come regolazione prescissa dall’intero contesto planetario26.

    Non è un caso che le scienze climatiche utilizzino un lessico, proiettato su una dimensione reale e semantica, esattamente contraria a quella del di-ritto ambientale: esse parlano di “confini planetari” di interi processi, non di “soglie” relative a singoli fenomeni, sostanze o azioni; contestualizzano i singoli luoghi e i singoli processi in funzione di tale dimensione planetaria, non viceversa27.

    23 E. Gòmez-Baggethun, The History of Ecosystem Services in Economic Theory and Practice: From Early Notions to Markets and Payment Schemes, in Ecological Economics, n. 69, 2010, pp. 1209-1218.

    24 Emblematiche, in proposito, le ricostruzioni di uno dei padri dell’economia della crescita, Robert Solow: A Contribution to the Theory of Economic Growth, in Quarterly Journal of Economics, n. 70, 1956, pp. 65-94; Is the End of the World at Hand?, in Challenge, n. 2, 1973, pp. 39-54; The Economics of Resources or the Resources of Economics, in American Economic Review, Vol. 64, Issue 2, 1974, pp. 1-14.

    25 M. Schmelzer, “Born in the Corridors of OECD”: the forgotten origins of the Club of Rome, transna-tional networks, and the 1970s in global history , in Journal of Global History, n. 12, 2017, pp. 26-48.

    26 S. Torre, Dominio, natura, democrazia. Comunità umane e comunità ecologiche, Mimesis, Milano-Udine 2013.

    27 Com’è noto, si deve alle ricerche dello Stockholm Resilience Centre l’acquisizione definitiva del campo reale e semantico dei Planetary Boundaries, ora fatto proprio anche dall’ONU (https://www.stockholmresilience.org).

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    3. Le critiche ecologiche al diritto ambientale

    Del resto, da questa consapevolezza hanno preso le mosse, non da oggi28,le principali critiche al diritto e alla democrazia ambientale, formulate dalle scienze naturali e dall’ecologia.

    Esse hanno evidenziato diversi “limiti ecologici” nell’attuale tutela giuridica.

    a) Il primo investe il c.d. “disturbo cronico” degli ecosistemi29, causatodalla moltiplicazione di singole valutazioni di impatto ambientale, derivantida plurime proposte e interessi di utilizzo del territorio, prive di visioneintegrata dello stesso a medio e lungo termine. La pratica della valutazioneambientale compensa questa frammentazione con la considerazione degli“impatti cumulativi” presenti e futuri30. Tuttavia, tale metodo non solo èfacilmente eludibile attraverso il c.d. Salami Slicing, escogitato con la suddi-visione di un’unica azione umana in più segmenti, giuridicamente imputatia soggetti differenti “meritevoli di tutela”31, ma soprattutto è riferita pursempre agli interessi umani, al fine di perseguirne il bilanciamento indipen-dentemente dalla biosfera in sé considerata.b) Il secondo è noto con la formula della “tirannia delle piccole decisioni”,coniata da Odum32: il diritto ambientale, espressione di competenze terri-torialmente limitate (sovranazionalità, Stato, Regioni ecc.) non può cheoperare (per questo imporrebbe una “tirannia”) per suddivisioni della bio-sfera, conferendo a ciascuna di esse una regolamentazione diversa, nonnecessariamente omogenea e integrata con le altre.

    28 Si pensi alle precoci disillusioni di B. Commoner, Failure of the Environmental Effort, in Environmental Law Rep. News & Analysis, Vol. 18, n. 10195, 1988, pp. 1-7.

    29 K. Singh, Chronic Disturbance, a Principal Cause of Environmental Degradation in Developing Countries, in Environmental Conservation, Vol. 25, Issue 1, 1998, pp. 1-2.

    30 B. Smith, H. Spaling, Methods for “Cumulative Effects Assessment”, in Environmental Impact Assessment Review, n. 15, 1995, pp. 81-106; H. Spaling, B. Smith, Cumulative Environmental Change: Conceptual Frameworks, Evaluation Approaches and Institutional Perspectives, in Environmental Management, n. 17, 1993, pp. 587-600; C. Cockling, S. Parker, J. Hay, Notes on Cumulative Environmental Change I: Concepts and Issues, in Journal of Environmental Management, n. 32, 1992, pp. 31-49; C. Contant, L. Wiggins, Defining and Analyzing Cumulative Environmental Impacts, in Environmental Impact Assessment Review, n. 11, 1991, pp. 297-309.

    31 Si v. il Report della Commissione europea On the Application and Effectiveness of the EIA Directive (Directive 85/337/EEC as amended by Directive 97/11/EC). How successful are the Member States in implementing the EIA Directive (https://eur-lex.europa.eu).

    32 W.E. Odum, Environmental Degradation and the Tyranny of Small Decisions, in BioScience, Vol. 32, Issue 1, 1982, pp. 728-729.

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    c) Anche il terzo limite è identificato con la formula della “tirannia” ma“del localismo”33, in quanto derivante dalla dimensione ineluttabilmentelocale della partecipazione democratica diretta e dalla constatazione che ilcompromesso locale non necessariamente risponde alle necessità di salva-guardia globale, o comunque extra-locale, della biosfera.d) Il quarto denuncia l’assenza di un approccio incentrato sulla valutazionepreviamente “negativa” dei territori, ormai tutt’altro che intonsi perché giàcompromessi in termini di instabilità climatica, inquinamento atmosferico,perdita di biodiversità, deficit ecologico34.e) Il quinto mette in discussione le strategie di bilanciamento costituzionaletra interessi economici e ambientali, fondate su una duplice falsa rappre-sentazione della realtà ecosistemica, dato che i c.d. “tre pilastri” (o “anelli”)della sostenibilità (società, economia, ambiente) non sono affatto colloca-bili su un medesimo piano di esistenza (considerato il già esistente e dila-gante deficit ecologico del pianeta)35, mentre l’equivalenza tra costi/ester-nalità ambientali e costi/esternalità economiche ignora sia la non compen-sabilità in denaro dell’instabilità climatica e delle perdite di biodiversità siail carattere “planetario” delle esternalità, legittimando di fatto bilancia-menti diseguali36 (tanto da indurre a parlare ormai di ecologia del “non-equilibrio”37).

    4. La democrazia ambientale “ottativa”

    Il diritto ambientale attuale, sia internazionale che sovranazionale e sta-tale, disciplina la partecipazione locale. Le modalità di questa partecipazione sono sintetizzate nella formula “democrazia ambientale”38. Esse conoscono

    33 M.B. Lane, T. Corbett, The Tyranny of Localism, in Journal of Environmental Policy & Plan-ning, Vol. 7, Issue 2, 2005, pp. 141-159.

    34 Tutte condizioni “ufficializzate” dall’UE, ancorché trascurate dalle valutazioni am-bientali: cfr. https://ec.europa.eu.

    35 E.B. Barbier, The Concept of Sustainable Economic Development, in Environmental Conservation, Vol. 14, Issue 2, 1987, pp. 101-110.

    36 J.G. Laitos, L.-J. Wolongevicz, Why Environmental Laws Fail, in William & Mary Environmental Law & Policy Review, Vol. 39, Issue 1, 2014, pp. 1-52.

    37 D.D. Briske, A.W. Illius, J.M. Anderies, Nonequilibrium Ecology and Resilience Theory, Springer, Cham 2017.

    38 F. Fischer, Environmental Democracy: Participation, Deliberation and Citizenship, in M. Boström, D. J. Davidson (ed.), Environment and Society, Palgrave Macmillan, London-New York 2018, pp.

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    una generale codificazione in due principali fonti internazionali (la Con-venzione di Aarhus del 1998, per i paesi europei all’interno dell’UNECE39, e la Convenzione di Escazú, del 2018, per i paesi latinoamericani all’interno della CEPAL40), ma riscontrano imitazioni anche fuori dei due contesti, tanto da poter costituire oggetto di comparazioni qualitative e quantitative a livello globale41, in un panorama considerato “universale” e “comune”42. In più, esse possono coniugarsi anche con altre fonti, riferite sempre alla democrazia locale ma attivabili non solo per le decisioni di impatto am-bientale43.

    La forma di questo tipo di democrazia locale (che parte dai luoghi e si riferisce ai luoghi) è data dai c.d. “tre pilastri” dei diritti (all’informazione, alla partecipazione e all’accesso al giudice), dalla qualificazione generica dei partecipanti come “pubblico”, dal “doppio binario” di partecipazione (nei

    257-279; B. Vanheusden, L. Squintani (eds.), EU Environmental and Planning Law. Aspects of Large-Scale Projects, Intersentia, Cambridge-Antwerp-Portland 2016.

    39 Per il bilancio dei primi vent’anni della Convenzione, si v. F. Zeitner, Das Non-Compliance-Verfahren der Aarhus-Konvention, in Zeitschrift für Europäisches Umwelt- und Planungsrecht, Vol. 17, Issue 2, 2019, pp. 159-168. Sulla sua applicazione nell’UE, cfr. da ultimo, CGUE, Prima Sez., sent. 7 novembre 2019, C-280/18. Per il contesto italiano, ora N. Colleo, Il principio democratico e la materia ambientale, in www.federalismi.it, n. 25, 2020, pp. 62-80.

    40 Cfr. https://www.cepal.org. 41 Con le iniziative Environmental Democracy Index (https://www.environmentaldemocracyindex.org) ed

    EnviroDemocracy & Access Rights (https://www.ciel.org). 42 M. Prieur, La Convention d’Aarhus, instrument universel de la démocratie environnementale, in Revue

    Juridique de l’Environnement, numéro spécial, 1999; H. Bulkeley, A.P.J. Mol, Participation and Environ-mental Governance: Consensus, Ambivalence and Debate, in Environmental Values, n. 12, 2003, pp. 143-154; G.J. Aguilar Cavallo, El derecho humano a un medio ambiente sano, la participación pública y el jus commune, in Veredas do Direito, Ano 16, n. 36, 2019, pp. 41-66.

    43 Con riferimento all’Europa, si pensi ai 12 Principi per la Strategia della buona Governance a livello locale del Consiglio d’Europa (Documento MCL-15(2007)5 final), al Protocollo addizionale alla Carta europea sull’autogoverno locale per la partecipazione (Documento CETS 207 (Protocol), 16.XI.2009), al Codice di buone prassi sulla partecipazione civile nei processi decisionali del Consiglio d’Europa del 2009 (Documento CONF/PLE(2009)CODE1), alla Carta europea della partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale sempre del Consiglio d’Europa (Risoluzione n. 237/1992, riveduta nel 21 maggio 2003 per una “politica di sviluppo sostenibile e di tutela ambientale”), alla Raccoman-dazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa CM/Rec(2007)14 adottata nell’ottobre 2007 sul “contributo essenziale fornito dalle Organizzazioni non governative (ONG) allo sviluppo e all’at-tuazione della democrazia e dei diritti umani”, alla Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Con-siglio d’Europa sulla democrazia partecipativa nel governo del paesaggio (Documento CM/Rec(2017)7 del 27/09/2017).

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    confronti dell’amministrazione decidente e verso l’autorità giudiziaria)44. Tutta-via, la sua forza di inclusione si colloca al livello più basso della c.d. “scala della partecipazione”45, ormai assurta a standard internazionale di comparazione46.

    Infatti, il “pubblico” può semplicemente:

    - chiedere informazioni (affinché i contenuti di una decisione siano meglio com-prensibili);- produrre osservazioni o ulteriori informazioni (che il decisore potrà o menoutilizzare);- agire davanti a un giudice alle condizioni e nei limiti dei singoli ordinamenti.

    In definitiva, la democrazia ambientale si manifesta come dispositivoprevalentemente comunicativo e interlocutorio47, espressivo di un modello deliberativo “debole”48 verso il decisore. La ratio di questa “debolezza” è solitamente individuata nella presunzione della differenza quantitativa e qualitativa tra rappresentanza politica, che legittima il decisore, e parteci-pazione: la prima, derivando dalla voto di tutti gli elettori, conterrebbe co-munque una “totalità” di manifestazioni di volontà e decisione (riflesse sulla figurazione del corpo elettorale e del mandato); a differenza della par-tecipazione, strutturalmente proiettata su “parti” di interessi, informazioni, istanze settoriali49.

    44 K. Bäckstrand, Civic Science for Sustainability: Reframing the Role of Experts, Policy-makers and Citizens in Environmental Governance, in Global Environmental Politics, Vol. 3, Issue 4, 2003, pp. 24-41, K. Shrader-Frechette, Environmental Justice: Creating Equity, Reclaiming Democracy, Oxford Univ. Press, New York 2002; W.N. Adger, Scales of Governance and Environmental Justice for Adaptation and Mitigation of Climate Change, in Journal of International Development 13, 7, 2001, 921-931. Per una recente ricognizione europea, si v. M. Pellingra Contino, Partecipazione ai processi decisionali ed accesso alla giustizia in materia ambientale: riflessioni a partire dalla recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, in DPCE on line, n. 1, 2017, pp. 12-29.

    45 Sulla cui importanza sul fronte ambientale si v. R. Louvin, Aqua aequa. Dispositivi giuri-dici, partecipazione e giustizia per l’elemento idrico, Giappichelli, Torino 2018, pp. 160 ss., nonché R. Lewanski, La democrazia deliberativa. Nuovi orizzonti per la politica, in Aggiornamenti Sociali, n.12, 2007, pp. 1-12.

    46 Da parte dell’International Association for Public Participation: https://www.iap2.org. 47 B.J. Richardson, J. Razzaque, Public Participation in Environmental Decision Making, in

    Environmental Law for Sustainability, 2006, pp. 165-194. 48 L. Pellizzoni, Cosa significa deliberare? Promesse e problemi della democrazia deliberativa, in Id.

    (a cura di), La deliberazione pubblica, Meltemi, Roma 2005, pp. 7-22. 49 R. Lidskog, I. Elander, Representation, Participation or Deliberation? Democratic Responses to

    the Environmental Challenge, in Space and Polity, Vol. 11, Issue 1, 2007, pp. 75-94.

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    Questo tipo di conclusione è largamente condivisa50, ma nulla dice sulla efficacia di simili meccanismi per la tutela effettiva dell’ambiente. Diventa quindi inevitabile un’analisi ecologica51 dei dispositivi partecipativi, alla luce dei rilievi riportati nel paragrafo precedente. Infatti, dal punto di vista eco-logico, gli elementi determinanti della democrazia ambientale risultano es-sere principalmente otto:

    - il portato esclusivamente locale e occasionale della partecipazione;- la subordinazione della partecipazione alla natura dell’atto finale da de-

    liberare; - il carattere ottativo delle disposizioni ambientali utilizzabili;- la natura esclusivamente umana degli interessi rappresentabili;- la suddivisione di tali interessi umani in pubblici e privati52;- l’assegnazione degli interessi pubblici a una struttura amministrativa se-

    parata dai partecipanti; - la conseguente dinamica eterodiretta del processo partecipativo;- l’asimmetria nella produzione e diffusione delle informazioni.

    È facile constatare la coincidenza dei primi sei elementi con i “limiti ecologici” denunciati dalle scienze naturali. La “tirannia” delle “piccole de-cisioni” e del “localismo” è costantemente replicata da catene di provvedi-menti, adottati sulla base di bilanciamenti di interessi esclusivamente umani (nella coerenza formale della imparzialità53) e nella presunzione di egua-glianza tra economia ed ecologia, causando comunque “disturbi cronici” sull’ecosistema, nonostante la partecipazione.

    Ne deriva un panorama insoddisfacente. Del resto, il destino di molte di queste esperienze è quello di alimentare, invece che prevenire o gover-nare, la conflittualità locali sui temi ambientali54; con l’ulteriore errore di

    50 Si v. la bibliografia dinamica di aggiornamento di diritto e giustizia climatica in https://www.cedeuam.it.

    51 Nel significato richiamato in precedenza, in nota 10. 52 L. Carbonara, Il principio di partecipazione nel procedimento ambientale, in Giustizia ammini-

    strativa, 2012, 1-26; G. Pizzanelli, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, Giuffrè, Mi-lano 2010.

    53 G. Colavitti, Il “dibattito pubblico” e la partecipazione degli interessi nella prospettiva costituzionale del giusto procedimento, in Amministrazione in cammino, 9 aprile 2020, pp. 1-33, disponibile su https://www.amministrazioneincammino.luiss.it.

    54 Cfr., per l’Italia, il Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali (CDCA): http://cdca.it.

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    spiegare il conflitto medesimo per la irriducibilità egoistica degli interessi partecipanti, stretti fra la tentazione c.d. Nimby del “pubblico” (non qui, ma altrove) e quella c.d. Nimbto del decisore (non durante il mio man-dato)55, come se l’obiettivo di tutela fosse una variabile indifferente rispetto all’egoismo e al suo meccanismo partecipativo di manifestazione56.

    Così intesa, la democrazia ambientale si è cristallizzata come irrimediabile nei suoi difetti e insostituibile nelle sue modalità. Non a caso, di essa, sono state elaborate solo implementazioni, non sostituzioni, in particolare con la introduzione del c.d. “approccio ecosistemico”57, ufficializzato in Italia nel 2010 con la Strategia Nazionale sulla Biodiversità e la c.d. Carta di Siracusa.

    Anche i rimedi, però, non si emancipano dai “limiti ecologici” richiamati; tanto da risultare inadeguati non solo per scongiurare la regressione dei livelli di tutela ambientale58, ma soprattutto per far fronte alla lotta ai cambiamenti climatici59 e alla transizione energetica60: campi decisionali, questi ultimi, la cui posta in gioco non è semplicemente il bilanciamento degli interessi dentro un contesto immutato, bensì la trasformazione degli interessi di convivenza ci-vile a seguito della trasformazione del contesto61.

    55 Cfr. Nimby Forum, L’era del dissenso, 2018 (Osservatorio Nimby Forum XIII ed.). 56 Diversa conclusione maturerebbe se ci si ricordasse di ulteriori parametri di valuta-

    zione di quel meccanismo, come, per esempio, la difesa dei diritti ambientali, promossa, sulla base della Dichiarazione ONU del 1998, dall’Environmental Defenders Policy (https://www.unenvi-ronment.org) e dalle linee OSCE (in particolare la n. 40) sulla Protezione dei difensori dei diritti umani (https://www.osce.org).

    57 Risalente all’Ecosystem based approach (EBA): cfr. R.E. Grumbine, What is Ecosystem Man-agement?, in Conservation Biology, n. 1, 1997, pp. 41-47. In Italia, L. Padovani, P. Carrabba, F. Mauro, L’approccio ecosistemico: una proposta innovativa per la gestione della biodiversità e del territorio, ENEA, Roma 2003.

    58 In generale sul tema, cfr. J. Rigo Santin, Principio da participação na Constituição do Estado do Rio Grande do Sul/Brasil: avanços e retrocessos, in Revista Jurídica Luso Brasileira, Ano 6, n. 3, 2020, pp. 1005-1033. Per un esempio concreto di regressione di tutela, nonostante la parte-cipazione, cfr. Manual prático para a realização dos direitos humanos à água e ao saneamento pela Relatora Especial da ONU, Catarina de Albuquerque (2014).

    59 R. Lidskog, I. Elander, Addressing climate change democratically. Multi-level governance, transnational networks, and governmental structures, in Sustainable Development, Vol. 18, Issue 1, 2010, pp. 32–41.

    60 F.W. Geels, B. K. Sovacool, T. Schwanen, S. Sorrell, The Socio-Technical Dynamics of Low-Carbon Transitions, in Joule, n. 1, 2017, pp. 463-479; L. Timma, A. Blumberga, G. Bazbauers, D. Blumberga, Novel tools to study socio-technical transitions in energy systems, in Energy Procedia, n. 128, 2017, pp. 418-422; A. Bahadur, T. Tanner, Transformation: Theory and practice in climate change and development, IDS, London 2012.

    61 Si pensi a temi come la mobilità urbana, la funzione di Carbon Sink delle piante, la riduzione dell’impronta di carbonio nelle azioni quotidiane e nelle attività di impresa ecc.

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    D’altra parte, appare improbabile emanciparsi se il parametro normativo del modello, vero destinatario delle critiche ecologiche, non cambia. Il diritto ambientale di queste democrazie è di contenuto “ottativo”62. Nel quadro euro-unitario, lo si ricava da quattro dati:

    - la tutela ambientale identifica un obiettivo delle politiche, come tale alta-mente discrezionale, non invece un loro parametro di controllo63;- questo obiettivo è sì orientato a un “elevato livello” di tutela ambientale,ma tale livello non necessariamente deve risultare il “più alto” in assolutoper l’ambiente64;- in ogni caso, la tutela esclude la possibilità per il “pubblico” di discuteredella natura come proprio interesse, co-vulnerabile insieme ai diritti65;- inoltre, tutta la materia ambientale non è coperta da alcuna garanzia di nonregressione.

    Dentro questo quadro, la partecipazione risulta di fatto marked oriented, giacché essa, basandosi sul “valore di scambio” degli interessi in gioco senza alcuna priorità ecologica, declina qualsiasi tutela sulle esigenze economiche del proponente66. Né il “pubblico” ha strumenti concreti per ribaltare l’esito, dato che, come accennato, la natura non può essere rivendicata come suo interesse o diritto67.

    Non potendo parlare del valore della natura in sé e dei suoi diritti di pre-servazione, il “pubblico”, partecipando, deve semplicemente esprimersi su contenuti e argomenti – prioritariamente economici – del proponente, tra

    62 In quanto esso definisce le “potenzialità” di tutela sull’ambiente, senza subordinare deci-sioni e azioni umane all’assoluto rispetto di regole e processi di funzionamento degli ecosistemi e dell’intera biosfera.

    63 Si v. gli artt. 11, 114 e 191 TFUE e l’art. 37 della Carta di Nizza-Strasburgo. 64 Significative, in merito, le osservazioni dell’Avv. Gen. J. Kokott nella causa C-444/15, ai §§

    24-34. 65 Anche su questo profilo, è sintomatica l’osservazione dell’Avv. Gen. J. Kokott nella causa

    C-127/02, dove, al § 143, si puntualizza che «the protection of common natural heritage is of particular interest but not a right established for the benefit of individuals».

    66 Non a caso, è stato coniato il termine “econocrazia” per stigmatizzare questo primato in tutti i processi decisionali democratici (cfr. J. Earle, C. Moran, Z. Ward-Perkins, The Eco-nocracy, Manchester Univ. Press, Manchester 2017).

    67 Sulla esistenza o meno di un “diritto al godimento di una natura libera e incontami-nata”, rispetto alla disciplina europea del danno ambientale, si v., in Italia, Corte Cass. Sez III Pen., sent. 1997/2020.

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    l’altro molte volte senza averne le stesse competenze e la stessa capacità di spesa (per esempio, per pagarsi gli esperti di settore per formulare le contro-deduzioni o saper comprendere i contenuti tecnico-scientifici delle informa-zioni disponibili).

    5. La democrazia ambientale “prescrittiva”

    A questi limiti, fuori d’Europa e soprattutto nel contesto latinoameri-cano, si è cercato di rimediare con forme di democrazia ambientale a conte-nuto prescrittivo, ossia fondate su una serie di regole stringenti verso gli in-teressi e il mercato (perché funzionali al primato dell’ecologia sull’economia) nonché innovative nell’attribuzione di nuovi diritti “conformi” a processi e funzioni degli ecosistemi. Il modello di riferimento continua a risiedere nelle disposizioni della Costituzione dell’Ecuador, ad oggi l’unica alternativa radi-cale in tema di democrazia locale ambientale68: si tratta degli artt. 10 e 11 (con riguardo ai diritti della natura e alla loro parità gerarchica con i diritti umani), del Capítulo séptimo del Título II (dedicato ai diritti della natura), degli artt. 71 e 395 (in tema di legittimazione ad agire pro natura e interpretare pro natura69), dell’art. 98 (in tema di diritto di resistenza70) e degli artt. 72, 396 e 397 (sull’obbligo di “opzione zero”, in caso di certezza del danno ambien-tale, di “protezione necessaria e adeguata”, in caso di incertezza sul danno, di responsabilità comunque oggettiva con inversione dell’onere della prova, per i danni successivamente inferti).

    Una simile architettura costituzionale conferisce un vero e proprio “man-dato ecologico”71 agli organi e ai soggetti costituzionali; di conseguenza, la stessa partecipazione democratica non opera come bilanciamento libero de-gli interessi, bensì come condivisione dei doveri di attuazione di quel “man-dato”. Inoltre, lo stesso “mandato”, realizzandosi a livello locale, non può

    68 Tra l’altro, quella dell’Ecuador è una delle Costituzioni col più alto numero di istituti e meccanismi partecipativi: cfr. S. Bagni, La partecipazione popolare in Ecuador, in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. IV, 2014, pp. 1783-1800.

    69 In linea, tra l’altro, con il Principio n. 5 della “World Declaration on the Environmental Rule of Law” dello IUCN.

    70 Su tale specifico intreccio, solitamente trascurato, si v. A. Noguera Fernandez, El de-recho a la resistencia como garantía de los derechos en el sistema constitucional ecuatoriano, in Teoria Jurídicia Contemporânea, Ano 2, n. 1, 2017, pp. 94-118.

    71 E. Gudynas, Derechos de la Naturaleza. Ética biocéntrica y políticas ambientales, RedGE-Claes et al., Lima 2014, e El mandato ecológico, Abya Yala, Quito 2009.

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    che misurarsi sulla biodiversità dei luoghi: per tale ragione, tale forma parte-cipativa è nota anche con la denominazione di «demodiversità»72 e «biomi-mesi»73.

    Per comprenderne il funzionamento, conviene partire da alcune precisa-zioni lessicali, discusse proprio dai sostenitori di tale alternativa74.

    Di “partecipazione” si può parlare in un duplice significato: può voler dire “prendere parte” a un atto e procedimento altrui (è la c.d. “partecipa-zione endo-procedimentale”75), la cui decisione spetta comunque a un sog-getto, titolare di una funzione distinta e separata dal partecipante e con pro-pria autonomia discrezionale di valutazione dei contributi partecipativi (come previsto, per esempio in Italia, dalla l. 241/1990); ma può anche in-dicare l’ “essere parte” di una comunità o gruppo, che insieme decide su questioni riguardanti il comune futuro. Il primo approccio risulta “fraziona-bile”, in ragione di materie, interessi, tipologie di soggetti e ruoli coinvolti dalla decisione, e “funzionalizzabile” agli interessi in gioco. Il secondo ap-proccio è “olistico”, giacché, se ci si riconosce in una comunità o gruppo di vita con bisogni vitali comuni, ci si scopre uguali al di là delle forme giuridi-che, dei ruoli, degli interessi specifici, delle differenti posizioni. Le due tipo-logie di partecipazione si distinguono anche in ordine al “luogo” in cui par-tecipare: la “endo-procedimentale” opera dentro organi e uffici, sulla base di carte e informazioni documentali (producendo, di fatto, un costo transat-tivo a carico del “pubblico” che vorrà informarsi, documentarsi, leggere, se-condo tempi e modi dettati da altri); l’altra viene definita “diffusa”, perché opera sulla realtà, nella osservazione diretta dei territori e delle loro diversità, nell’ascolto delle persone che ci vivono, con le loro storie, le loro memorie. All’amministrazione partecipata (prendere parte a decisioni altrui dentro i loro luoghi di esercizio delle funzioni), la “demodiversità” propone una “politica” condivisa dei luoghi di vita (essere parte di una decisione con altri sui comuni luoghi di vita).

    72 B. de Sousa Santos, J.M. Mendes (eds.), Demodiversity, Routledge, London-Abingdon 2020. Ma v. anche S. Bagni (a cura di), Come governare l’ecosistema? How to govern the Ecosystem? ¿Como gobernar el ecosistema?, Università di Bologna, Bologna 2018.

    73 R. Bermejo Gómez de Segura, Del desarrollo sostenible según Brundtland a la sostenibilidad como biomimesis, Hegoa, Bilbao 2014.

    74 A. Médici, La Constituión horizontal, Centro de Estudios Jurídicos y Sociales Mispat, San Luis Potosí 2012.

    75 Si pensi al c.d. “dibattito pubblico”, su cui F. Sciarretta, La declinazione democratica dell’amministrazione, in Rivista AIC, n. 3, 2020, pp. 1-24.

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    Ne deriva che, mentre il primo tipo di partecipazione permane “esecu-tivo” delle decisioni della democrazia rappresentativa (nella divisione fun-zionale del potere), il secondo è “integrativo” delle decisioni della rappre-sentanza, in ragione dell’ecosistema e della biodiversità dei luoghi. In defi-nitiva, la partecipazione “demodiversificata” si traduce in un “politica dei mezzi di vita” che prevale sugli interessi umani sull’ambiente, per neutra-lizzare quello che Scoones ha definito il “green Grabbing” legittimato dal consenso76. Infatti, la prioritaria posta in gioco messa in deliberazione non riguarda interessi astratti esclusivamente materiali (crescita, turismo, tra-sporti, energia, ecc.), bensì la salvaguardia e promozione di “tutto il vi-vente” dei luoghi. In funzione dei luoghi, entrano in azione i “diritti della natura”, nel senso che, accanto ai diritti “umani”, il contesto, in quanto biodiversità, detiene propri “diritti” di esistenza, da tematizzare e includere nella deliberazione. Del resto, i “diritti della natura”, al di là delle didascalie definitorie, esprimono pur sempre situazioni soggettive relazionali, riferite allo spazio-tempo dei luoghi77.

    Ciononostante, nell’esperienza concreta, la “demodiversità” non ha comportato automaticamente la presa d’atto della posta in gioco biosferica e climatica della deliberazione partecipata. Il più delle volte, essa è servita a far emergere soggettività umane subalterne o nascoste78. Se riferita a beni o risorse naturali, ha rivendicato concezioni comunitarie della proprietà,connesse a determinate culture e tradizioni giuridiche (inducendo così aparlare di democrazia e diritti “bio-culturali”)79.

    Da questo punto di vista, pertanto, la “demodiversità” non sembra ri-conducibile ad altre esperienze. Forse, l’unico riferimento indiretto po-trebbe essere colto nella c.d. Dichiarazione sui diritti emergenti80 o, con riferi-mento all’Europa, nell’art. 1 del Protocollo 12 della CEDU, in tema di

    76 I. Scoones, Sustainable Livelihoods and Rural Development, Practical Action Publishing, Plymouth 2015, e J. Fairhead, M. Leach, I. Scoones, Green Grabbing: a new appropriarion of nature?, in Journal of Peasant Studies, Vol. 39, Issue 2, 2014, pp. 237-261.

    77 Nel significato di J. Nedelsky, Reconceiving Rights as Relationship, in Review of Constitutional Studies/ Revue d’Études Const., Vol. 1, n. 1, 1993, pp. 1-26.

    78 Proprio nel significato di “pubblico subalterno”, tematizzato da N. Fraser, Rethinking the Public Sphere: A Contribution to the Critique of Actually Existing Democracy, in Social Text, nn. 25/26, 1990, pp. 56-80.

    79 Cfr. L. Lanes Pilau Sobrinho, N.S. Stainr Pires, Biodemocracia: uma leitura a partir da decolonialidade do saber, in Revista de direito ambiental e sociedade, Ano 8, n. 1, 2018, pp. 7-23.

    80 https://www.bin-italia.org.

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    «diritto a non essere discriminati nell’accesso ai fori di discussione pubblica»81, ancor-ché quest’ultimo sia più prossimo ai citati 12 principi della Democratic Gover-nance del Consiglio d’Europa e al Principio 10 della Dichiarazione di Rio del 199282.

    In ogni caso, il suo radicamento sul “mandato ecologico”, come pre-scrizione vincolante i partecipanti alla deliberazione, la rende pur sempre differente dal modello “ottativo”. In fin dei conti, quest’ultimo si ispira alla filosofia istituzionale della gestione del rischio, lì dove la “demodiversità” assume come parametro la salvaguardia, la protezione e la promozione di tutte le forme di vita.

    L’elemento determinante di distinzione è dunque il “mandato” vinco-lante.

    In Europa, forme di democrazia locale, fondate su “mandati” vinco-lanti, ancorché non intesi sempre come “ecologici”, sono quelle della c.d. “democrazia energetica”, declinata attraverso “comunità energetiche”, di “transizione partecipata” o Positive Energy District (PED)83, della democrazia c.d. epidemiologica”84, del monitoraggio ambientale partecipato85, dell’eco-nomia solidale e delle comunità agricole autonome86.

    Anch’esse, però, non necessariamente declinano la partecipazione con la centralità delle regole di funzionamento della biosfera e del sistema cli-matico87.

    81 M. Starita, Democrazia deliberativa e Convenzione europea dei diritti umani, in Diritti umani e Diritto internazionale, n. 4, 2010, pp. 245-278.

    82 J. Jendrośka, M. Bar (eds.), Procedural Environmental Rights: Principle X in Theory and Practice, Cambridge Univ. Press, Cambridge 2017.

    83 Si v., in una letteratura ormai vasta, L. De Santoli, Le comunità dell’energia, Quodlibet, Macerata 2011; D. Fairchild, A. Weinrub, Energy Democracy, Springer, Cham 2017; A. Daly, C. Archbold, Energy Democracy, Renewables and the Paris Agreement, in Intellectual Property andClean Energy, 2018, pp 427-447; TNI, The Future is Public: towards Democratic Ownership of PublicServices, TNI, Amsterdam 2020. Per il contesto italiano, si v. https://www.lifegate.it.

    84 La c.d. Popular Epidemiology: G. Morgan, Highlighting the Importance of “Popular Epidemiol-ogy”, in Jorunal of Epidemiology & Community Health, n. 59, 2005, pp. 253-257.

    85 Con le pratiche PEM (Participatory Environmental Monitoring): N. Turreira-García, J.F. Lund, P. Domínguez et al., What’s in a name? Unpacking “Participatory” Environmental Monitoring, in Ecology and Society, Vol. 23, n. 2, 2018, pp. 24-44.

    86 Cfr. A. Rossi, D. Biolghini, I percorsi attorno all’agricoltura nella cornice dell’economia solidale, in Agriregionieuropa, Anno 12, n. 45, 2016, pp. 1-6.

    87 Assumendo come priorità altro: per esempio, il risparmio di spesa, l’accesso ai servizi sanitari, il monitoraggio di singole matrici ambientali, la distribuzione locale.

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    6. La triplice emergenza

    Ci sarebbe allora da chiedersi quali di questi modelli appaia idoneo alleinedite sfide poste dalla nuova “condizione assoluta” spazio-temporale della “minaccia urgente e potenzialmente irreversibile” del cambiamento climatico.

    Un interrogativo del genere, in realtà, è mal posto, perché, come accen-nato, il cambio di scenario è stato recente e, da quel momento, gli esperi-menti di democrazia locale in funzione sia del clima che della natura sono stati pochi e poco incisivi88. Del resto, lo stesso discorso giuridico continua a replicare formule, come “sviluppo sostenibile” e “green economy”, origi-nate da un contesto differente, non “minaccioso”, da controllare più che trasformare.

    Il diritto ambientale euro-unitario si è nutrito di questa figurazione. L’espressione più nitida si ricava dalla disciplina dei “danni ambientali”, se-parati e distinti dai “disastri naturali”. La dissociazione tra “luogo dei rischi”, derivanti dall’uomo, e “luogo dei pericoli”, derivanti dai fenomeni naturali, rifletteva la rappresentazione della natura appunto come variabile controlla-bile, salvo “imprevisti”. Pochi avevano già intuito la finzione sottesa a quella separazione. In un contesto antropogenico, i disastri naturali non sono fra loro equivalenti: un conto è un terremoto; un altro, un uragano alimentato dal riscaldamento antropogenico della temperatura. Il secondo, infatti, si presenta in qualche modo “innaturale”, nella misura in cui dipende dal “di-sturbo cronico” dell’azione umana sulla stabilità climatica89.

    Oggi, in presenza della qualificazione giuridica del cambiamento climatico come “minaccia urgente e potenzialmente irreversibile”, la prospettiva è in ra-pida evoluzione90.

    88 Basti ricordare l’esperienza francese della Convenzione civica sul clima (https://www.conventioncitoyennepourleclimat.fr), emulata dall’iniziativa legislativa popolare ita-liana per le “assemblee climatiche” (https://www.canaleenergia.com).

    89 In tale direzione, le posizioni in B. Holden (a cura di), The Ethical Dimensions of Climate Change, Macmillan, London 1996, e Democracy and Global Warming, Continuum, London 2002. Ma si v. anche F. Cerutti, Sfide globali per il Leviatano: una filosofia politica delle armi nucleari e del riscaldamento globale, Vita e pensiero, Milano 2010, E. Page, Climate Change, Justice, and Future Generations, Edward Elgar, Cheltenham 2006.

    90 Il dibattito ormai coinvolge una quantità innumerevole di contributi. Se ne richiamano alcuni, tra i più recenti: R.S. Deese, Climate Change and the Future of Democracy, Springer, Cham 2019; J.S. Dryzek, J. Pickering, The Politics of the Anthropocene, Oxford Univ. Press, Oxford

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  • M. Carducci

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    Tre novità, due normative e l’altra scientifica, segnano il nuovo passo. Le due novità normative derivano dall’Accordo di Parigi del 2015. La prima è quello di mantenere la temperatura media globale della Terra

    ben al di sotto di 2°C, rispetto alla media preindustriale, e, se possibile, non oltre l’1,5°C. Questa previsione ha integrato l’obbligazione climatica, istituita dall’UNFCCC, con un vincolo di risultato, globale ma dipendente dall’azione dei singoli Stati. Infatti, spetta ad essi concorrere al risultato planetario, attra-verso i “contributi nazionali determinati” (NDC) di mitigazione climatica, ossia di riduzione della “minaccia”, attraverso però il coinvolgimento locale, come si coglie dal Preambolo dell’Accordo e dai suoi artt. 7, nn. 2 e 5, e 11, n. 2.

    La seconda investe la valutazione degli NDC, parametrata al c.d. Carbon Budget, ossia alla quantità di ulteriori emissioni di CO2, che i modelli clima-tici, elaborati dalla scienza e fatti propri dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), reputano ancora utilizzabile dagli Stati senza compromet-tere il risultato del contenimento del riscaldamento globale (l’Accordo parla di «picco globale» di emissioni, basato sulle e orientato dalle «migliori conoscenze scientifiche disponibili»).

    L’obbligo di risultato degli Stati è quindi normativamente fondato sulla scienza, in nome della “mitigazione”.

    Una sorta di “mandato climatico”, simile al “mandato ecologico” della de-mocrazia ambientale “prescrittiva”, è impresso non solo allo Stato ma anche alle sue realtà locali91.

    La terza novità è connessa alle prime due (senza le quali non si comprende-rebbe) e risiede nel fatto che la maggioranza della comunità scientifica mon-diale denuncia l’emergenza globale che accompagna questo “mandato clima-tico”, dato che gli obiettivi di risultato appaiono sempre più improbabili da conseguire in un quadro di costante degrado biosferico e atmosferico. Scien-tistswarning.org92, l’iniziativa globale che raccoglie e diffonde queste denunce

    2019; M.G. Lawrence, S. Schäfer, Promises and perils of the Paris Agreement. A truly democratic global climate politics is needed, in Science, Vol. 364, Issue 6443, 2019, pp. 829-830.

    91 Il concetto di “mandato climatico” è, in realtà, risalente e si deve a W.O. Roberts, The Climate Mandate, W. H. Freeman & Co.-Macmillan, London 1979, ma esprime una semantica che la “minaccia urgente”, dichiarata dall’UNFCCC, e le emergenze denunciate dalla scienza hanno reso di estrema utilità.

    92 www.scientistswarning.org.

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    scientifiche93, identifica tre scenari di emergenza: ecosistemica94, climatica95, e fossile, ossia aggravata dal necessario rapido abbandono di qualsiasi opzione di transizione energetica gestita con fossili, a partire dal metano96, in ragione dell’accelerazione del loro Global Potential Warming.

    I caratteri di queste emergenze sono del tutto inediti sul piano giuridico e rendono ancora più vincolante il “mandato climatico”, contenuto nell’Accordo di Parigi.

    Il diritto ha sempre incasellato qualsiasi emergenza, comprese quelle ambien-tali97, su quattro caratteristiche: si tratta di eventi impellenti ma temporanei (il concetto giuridico di “urgenza” nasce da tale rappresentazione della realtà); non prevedibili; non imputabili esclusivamente all’azione umana (altrimenti sareb-bero classificati come “condotte illecite”); non trasformativi della convivenza umana (dopo l’emergenza, si ritorna alla situazione normale precedente).

    Quelle denunciate dalla scienza si profilano come emergenze molto diverse: piuttosto che come evento temporaneo, prorompono come insieme di processi planetari critici irreversibili e peggiorativi; piuttosto che “imprevedibili”, se-gnano la degenerazione di un fenomeno già conosciuto e addirittura ufficializ-zato da apposite fonti, come l’UNFCCC; piuttosto che non imputabili all’azione umana, risultano esclusivamente antropogeniche, dato che il margine di incer-tezza scientifica sul nesso causale è inesistente, in ragione della quantità di studi che confermano le ipotesi98, il consenso sul lavoro svolto dall’IPCC99, l’osservazione validante degli scenari ipotizzati100, l’emersione empirica dei fatti previsti101, la robustezza delle probabilità statistiche102; invece che non

    93 Ma v. anche https://www.unenvironment.org. 94 World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice, in BioScience, Vol. 67, Issue 12, 2017,

    pp. 1026-1028. 95 World Scientists’ Warning of a Climate Emergency, in BioScience, Vol. 70, Issue 1, 2020, pp. 8-12. 96 Methane Emergency: https://www.scientistswarning.org. 97 D.E. Tosi, Emergenza e tutela ambientale nel sistema delle fonti, in Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it,

    n. 4, 2019, pp. 124-142.98 J.L. Powell, The Consensus on Anthropogenic Global Warming Matters, in Bulletin of Science,

    Technology & Society, Vol. 36, n. 3, 2016, pp. 157-163. 99 J. Cook, N. Oreskes, P.T. Doran et al., Consensus on Consensus: a Synthesis of Consensus

    Estimates on Human-Caused Global Warming, in Environmental Research Letters, Vol. 11, n. 4, 2016, pp. 1-8.

    100 B.D. Santer, S. Po-Chedley, M.D. Zelinka et al., Human Influence on the Seasonal Cycle of Tropospheric Temperature, in Science, Vol. 361, n. 6399, 2018, pp. 1-11.

    101 AMS, Explaining Extreme Events from a Climate Perspective (Report 2018). 102 B.D. Santer, C.J.W. Bonfils, Q. Fu et al., Celebrating the Anniversary of Three Key Events

    in Climate Change Science, e A. Hall, P. Cox, C. Huntingford et al. Progressing Emergent Constraints

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  • M. Carducci

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    trasformative, sono l’esatto opposto (il “dopo-emergenze” sarà comunque peggio del presente).

    Può essere utile citare almeno tre studi a conferma di questi assunti. Il primo103 riguarda l’accertamento del raggiungimento di nove degli undici Tipping Points individuati dall’IPCC104. Il secondo investe lo stato delle cono-scenze scientifiche disponibili sulle previsioni future nei diversi scenari di au-mento delle temperature e quindi di aggravamento della “minaccia”. Esse risul-tano tutte peggiorative, a partire dal periodo 2030-2050, secondo la seguente scansione: temperature > 1,5°C, scenario pericoloso; temperature > 3°C, scena-rio catastrofico; temperature > 5°C, scenario sconosciuto105. Il terzo chiude il cerchio delle acquisizioni sull’emergenza, perché le declina sul fronte temporale, con la formula “Tragedy of Horizon”: c’è poco tempo per decidere in modo riso-lutivo, perché la variabile temporale è sfuggita di mano, non è più pianificabile in una proiezione di previsione “normale” del futuro106. La “tragedia dell’oriz-zonte” temporale costringe l’indirizzo politico a precoci obsolescenze107.

    La tradizionale “cronopolitica” delle istituzioni108, fondata sul quadrinomio previsione-pianificazione-azione-esecuzione, ne esce disorientata e spiazzata. Non era mai successo.

    Con una scienza così corale109, è difficile sostenere che non siano soddisfatti tutti i più rigorosi scrutini giuridici della c.d. “sussunzione” delle evidenze di fatto

    on Future Climate Change, entrambi in Nature Climate Change, n. 9, 2019, rispettivamente pp. 180-182 e pp. 269-278.

    103 T.M. Lenton, J. Rockström, Owen Gaffney et al., Climate Tipping Points: too risky to betagainst, in Nature, n. 757, 2019, pp. 592-595.

    104 I Tipping Points del sistema Terra sono soglie critiche di irreversibilità delle dinamiche eco-sistemiche, raggiunte le quali si originano effetti rapidi e significativi di sconvolgimento dell’anello di azioni, retroazioni e interazioni tra mutamenti biosferici e atmosferici, cambiamento climatico, perdita di biodiversità, trasformando le “minacce” da “urgenti” in “esistenziali” (in termini di estinzioni di specie, migrazioni forzate, stravolgimenti della biodiversità ecc.).

    105 Y. Xu, V. Ramanathan, Well below 2°C: Mitigation Strategies for Avoiding Dangerous to Catastrophic Climate Changes, in PNAS, n. 114, 2017, pp. 10315-10323.

    106 P. Bolton, M. Despres, L.A. Pereira da Silva, The Green Swan. Central Banking and Fi-nancial Stability in the Age of Climate Change, BIS, Basel 2020.

    107 Come si sta verificando in Italia per il PNIEC rispetto al Green New Deal europeo e alla riforma del reg. UE 1999/2018, su cui si v. M. Carducci, La “legge europea sul clima” e l’insidia della normazione simbolica, in www.lacostituzione.info, 6 marzo 2020.

    108 M. Kaiser, Reactions to the Future, in Nanoethics, n. 9, 2015, pp. 165-177. 109 L’aggiornamento costante pluritematico si può seguire dalla citata pagina

    https://www.cedeuam.it.

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    sotto leggi scientifiche: dal requisito del “più probabile che non”, a base delle impu-tazioni di responsabilità civile, a quello dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, a base delle responsabilità penali.

    Il “mandato climatico” nella condizione della “minaccia” si profila come “prescrizione” che vincola la discrezionalità politica e la stessa autonomia privata.

    7. Tra neminem laedere ed “eco-democrazia”

    Da questa consapevolezza muovono le nuove strategie di deliberazionedemocratica. Le vie praticate sono due: quella giudiziale delle climate change litigation strategies110, in cui il riconoscimento ufficiale della “minaccia” è te-matizzato come lesivo del neminem laedere e veicolato attraverso contenziosi di responsabilità civile per mancato adempimento del “mandato clima-tico”111; quella della contestazione della rappresentanza politica, in nome di una democrazia dal basso di impronta esclusivamente ecologica (c.d. “eco-democrazia”), che produca apprendimento nella pratica di quel “mandato”.

    Le due vie non si escludono reciprocamente, ma sembrano apparente-mente contraddirsi al cospetto dei “pilastri” di quella democrazia ambien-tale, insufficiente proprio sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici. In-fatti, da un lato, si ricorre al “pilastro” dell’accesso alla giustizia, reputandolo utile all’obiettivo climatico112 e funzionalizzandolo all’ecologia (per esempio, attraverso il c.d. «Amicus curiae democratico»113), dall’altro, si contestano le cor-renti procedure di partecipazione del “pubblico” alle decisioni ambientali,

    110 F. Sindico, M. Makane Mbengue (eds.), Comparative Climate Change Litigation: Beyond the Usual Suspects, Springer, Cham 2020.

    111 Tra l’altro, il neminem laedere è stato eretto dalla Corte cost. italiana a fondamento dello Stato costituzionale di diritto (sent. 16/1992, punto 3 in diritto) ed è radicato nella tradizione giuridica comune europea, come attestano i PETL (Principles of European Tort Law). In uno scenario di “minaccia urgente”, le interferenze umane si tramutano in “attività pericolose” (per esempio, nel significato dell’art. 2050 Cod. civ. italiano), prima ancora che “rischiose”, ponendo inesorabilmente in essere meccanismi di tutela inibitoria o risarcitoria per garantire l’adempimento del “mandato climatico”, in una prospettiva addirittura di responsabilità so-lidale (come nel caso dell’art. 2055 Cod. civ. italiano).

    112 Sulla litigation strategy come forma di partecipazione locale attraverso il processo, si v. H. Duffy, Strategic Human Rights Litigation, Oxford Univ. Press, Oxford 2018, e A. Pisanò,Crisi della legge e Litigation Strategy, Giuffrè, Milano 2016.

    113 M. Federici Gomes, L.J. Ferreira, Amicus Curiae democrático, in Revista Direitos Fundamentais & Democracia, Vol. 25, n. 2, 2020, pp. 283-313.

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  • M. Carducci

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    sperimentando alternative radicali non previste dal diritto ufficiale e con-trapposte alla rappresentanza politica114.

    In realtà, la ragione di questa contraddizione è solo apparente ed è spie-gata dagli stessi sostenitori delle alternative: mentre l’accesso al giudice consente di far valere responsabilità in base a parametri di validità ed evi-denze fondate sulla scienza (in coerenza con il quadro normativo dell’Ac-cordo di Parigi), la deliberazione attraverso la rappresentanza politica ri-sulta impraticabile115, perché alimenta compromessi prescissi dalla scienza e condizionati non solo dalla contingenza del consenso116, esito di nego-ziazioni inter-individuali ormai dissociate dall’appartenenza di specie117, ma anche dalla pressione di interessi direttamente coinvolti nella produ-zione di quelle “minacce”118.

    L’ “eco-democrazia”, di conseguenza, mira a neutralizzare la rappre-sentanza in quanto “Carbon Democracy”119; ossia procedimento di “abuso” del tempo naturale, che, nella legittimazione formale di regole e proce-dure, ha bruciato e continua a bruciare per sempre, nel giro di poche generazioni, risorse accumulate nel sottosuolo in precedenti milioni di anni, per poi rilasciarne quantità crescenti nell’atmosfera a danno delle generazioni future120, causando la “tragedia dell’orizzonte”.

    114 Sulla radicalità della democrazia ecologica, D. Ungaro, Democrazia ecologica, Laterza, Roma-Bari 20062.

    115 A partire dagli studi di R. Eckersley, Liberal democracy and the rights of nature: The struggle for inclusion, in Environmental Politics, Vol. 4, n. 4, 1995, pp. 169-198; F. Mathews (a cura di), Ecology and Democracy, Frank Cass, London 1996; C. Lundmark, Eco-democracy: A Green Challenge to Democratic Theory and Practice, Umeå Universitet Doctoral dissertation, University Printing Office, Umeå 1998; R. Eckersley, The Green State. Rethinking Democracy and Sovereignty, MIT Press, London-Boston 2004.

    116 L.M. Poloni-Staudinger, Are consensus democracies more environmentally effective?, in Environmental Politics, Vol. 17, Issue 3, 2008, pp. 410-430.

    117 Come osservò Foucault: cfr. G. Moraes Porto, Michel Foucault e o governo pastoral: um paradigma de exercício político, in Revista Jurídica Luso Brasileira, Ano 6, n. 3, 2020, pp. 799-828, e, più in generale, G. Contogeorgis, Epistemologia della democrazia e modernità, in Diacronie, Vol. 27, n. 3, 2016, pp. 1-19.

    118 J. Noël, The Chilling Effect of Oil & Gas Money on Democracy, Clean Water Action, Washington DC 2016; S. Bhattacharyya, R. Holder, Natural resources, democracy and corruption, in European Economic Review, Vol. 54, Issue 4, 2010, pp. 609-621.

    119 T. Mitchell, Carbon Democracy, Verso, London-New York 2013. 120 Sull’abuso del tempo naturale si basano anche le analisi sul “metabolismo sociale”

    attivato dalle istituzioni moderne rispetto alle leggi della termodinamica: V.M. Toledo, M. González de Molina, The Social Metabolism, Springer, Cham 2014.

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  • Natura, cambiamento climatico, democrazia locale

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    Tuttavia, delegittimare la rappresentanza non significa rincorrere sempli-ficazioni di impronta autocratica, anch’esse corrotte dagli interessi121, quanto piuttosto promuovere responsabilizzazione diffusa, per mezzo appunto di pratiche locali122, sui nuovi “mandati” necessari a far fronte alla “minaccia urgente”: il “mandato ecologico”, a tutela della biosfera, e quello “clima-tico”, a garanzia della stabilità atmosferica123.

    Inoltre, rifiutando la rappresentanza, queste pratiche non operano se-condo il richiamato schema eterodiretto della democrazia ambientale “otta-tiva”. Esse ribaltano la logica124, facilitando forme di autonoma rappresen-tazione del rapporto tra azione umana, natura e clima125, grazie anche alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie126, e riparando allo scompenso rappresentativo verso le giovani generazioni, effetto dello squilibrio demo-grafico crescente127, dato che l’accesso partecipativo è prescisso dai diritti elettorali.

    Se, sul piano assiologico, l’ “eco-democrazia” si ispira alle concezioni del “contratto naturale” e della rilegittimazione del potere attraverso la natura128, non omogenei si presentano i suoi presupposti e le connesse forme di spe-rimentazione129.

    121 R. Escher, M. Walter-Rogg, Environmental Performance in Democracies and Autocracies, Democratic Qualities and Environmental Protection, Palgrave-Springer, Cham 2020.

    122 M. Peters, Can Democracy solve the Sustainability Crisis?, in Educational Philosophy and The-ory, Vol. 51, Issue 2, 2019, pp. 133-141.

    123 H. Washington, B. Taylor, H. Kopnina et al., Why ecocentrism is the key pathway to sus-tainability, in The Ecological Citizen, Vol. 1, n. 1, 2017, pp. 32-41; H. Washington, G. Chapron, H. Kopnina et al., Foregrounding ecojustice in conservation, in Biological Conservation, n. 228, 2018,pp. 367-374; P. Curry, E. Crist, The significance of ecocentric vision, in The Ecological Citizen, Vol. 3Suppl. C, 2020, pp. 5-7.

    124 J. Pickering, K. Bäckstrand, D. Schlosberg, Between Environmental and Ecological Democracy, in Journal of Environmental Policy & Planning, Vol. 22, Issue 1, 2020, pp. 1-15.

    125 Si v. gli esempi offerti in F. Cuturi (a cura di), La Natura come soggetto di diritti. Prospettive antropologiche e giuridiche a confronto, Ed.It., Firenze 2020 (in corso di stampa).

    126 F.W. Geels, Changing the Climate Change Discourse, in Joule, n. 4, 2020, pp. 10-20. 127 Si v., in proposito, il recente documento della Commissione europea Sull’impatto dei

    cambiamenti demografici (COM(2020) 241 final, 17.06.2020), dove si legge che le pressioni eser-citate dai cambiamenti demografici sono probabilmente «esacerbate dall’impatto dei cambiamenti climatici e dal degrado ambientale».

    128 Su questo profilo, fondamentale ora Q. Camerlengo, Natura e potere. Una rilettura dei processi di legittimazione politica, Mimesis, Milano-Udine 2020.

    129 In Italia, il tema è ampiamente trattato da S. Messina, Eco-democrazia, Orthotes, Na-poli-Salerno 2019.

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  • M. Carducci

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    Ci sono ipotesi che, invocando la teoria dei “sistemi socio-ecologici”130 (al cui interno la centralità umana non viene meno), propongono processi partecipati di rappresentazione condivisa degli interessi umani verso la na-tura e il clima. Su questa linea, si collocano le proposte di qualificazione di beni, servizi e funzioni ecosistemiche come “Stakeholder”, ma anche la critica stessa al concetto di soggettività, la cui dimensione vitale risulta subordinata a quella artificiale (i diritti soggettivi diventano pretese interessate a godere di servizi materiali e artificiali, anche quando riferiti alla natura o prodotti della natura)131.

    Le ipotesi che utilizzano il noto “dilemma democratico” di Dahl132, ri-conducono ad esso il tema della deliberazione partecipata in nome della natura e del clima. Esse assumono il cambiamento climatico come una influenza esterna che trascende la capacità di controllo dei governi nazionali ed esige pertanto una diffusione della conoscenza dei problemi e delle risposte, pra-ticabile solo attraverso una “rete nodale” di partecipazioni locali133.

    I contributi più originali provengono dalle visioni che si appropriano delle recenti acquisizioni dell’ecologia sui c.d. “Novel Ecosystems” e l’ “Omogo-cene”. I due termini conoscono storie diverse, ma conducono a un medesimo scenario di osservazione del rapporto tra azione umana e natura. Il primo134 inquadra la realtà degli ecosistemi come pluralità di “innovazioni”, nel senso

    130 C.S. Holling, Understanding the Complexity of Economic, Ecological, and Social System, in Ecosystems, n. 4, 2001, pp. 390-405.

    131 Per esempio, C. Lyona, D. Cordellb, B. Jacobs et al., Five pillars for stakeholder analyses in sustainability transformations: The global case of phosphorus, in Environmental Science and Policy, n. 107, 2020, pp. 80-89.

    132 R.A. Dahl, A Democratic Dilemma: System Effectiveness versus Citizen Participation, in Political Science Quarterly, Vol. 109, Issue 1, 1994, pp. 23-34.

    133 L’ipotesi, in realtà, recupera la tesi di Elinor Ostrom della conoscenza come “bene comune”: J. Mansbridge, The role of the State in governing the Commons, in Environmental Science & Policy, Vol. 36, 2014, pp. 8-10; E. Contipelli, Da governança dos comuns ao policentrismo, in Revista Jurïdica FURB, Vol. 24, n. 53, 2020, pp. 1-18. Su limiti e contraddizioni del legame “beni comuni”-democrazia, si v. M. Carducci, È (im)possibile la repubblica dei beni comuni? Da Kouroukanfouga alle auto-gestioni locali e ritorno, in H-ermes. Journal of Communication, n. 11, 2018, pp. 41-62.

    134 R.J. Hobbs, E.S. Higgs, C. Hall, Novel Ecosystems: Intervening in the New Ecological World Order, Wiley-Blackwell, Oxford 2013; E.C. Ellis, N. Ramankutty, Putting People in the Map: An-thropogenic Biomes of the World, in Frontiers in Ecology and the Environment, Vol. 6, Issue 8, 2008, pp. 439-447; E.C. Ellis, K.K. Goldewijk, S. Siebert et al., Anthropogenic Transformation of the Biomes,1700 to 2000, in Global Ecology and Biogeography, Vol. 19, Issue 5, 2010, pp. 589-606; www.global-landproject.org; www.ecotope.org.

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  • Natura, cambiamento climatico, democrazia locale

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    di alterazioni, prodotte e rese irreversibili dall’azione umana, soprattutto at-traverso il ricorso massiccio alla tecnologia (si pensi al traffico aereo o ma-rittimo). Con il secondo135, intercambiabile anche con la parola “Omogeno-cene”, si vuole rimarcare l’effetto omogeneizzante di questa pressione antro-pica globale e le sue ricadute sulle dinamiche ecosistemiche di tutte le altre specie viventi (in termini di migrazioni, zoonosi, riadattamenti alla presenza antropica ecc.). Per entrambi, le divisioni giuridico-formali dello spazio pla-netario in “aree” (naturali, urbane, protette ecc.) e “materie” (urbanistica, infrastrutture, salute, paesaggio ecc.) hanno perso di pregnanza realistica.

    Di qui, l’esigenza di governare i luoghi con approcci omogeneizzanti essi stessi, al fine da reagire, allo stesso modo e ovunque, alla omogeneizzazione antropogenica136. Quindi, l’ “eco-democrazia” locale, piuttosto che diffondere “demodiversità”, servirebbe a far apprendere metodi comuni di attuazione del “mandato ecologico” e “climatico”137. Di recente, a seguito dell’emergenza Co-vid-19, è stata coniata la formula “pan-demopraxia”, per identificare le iniziative partecipate di “rinascita alla prosperità sostenibile”138.

    Ad oggi, le modalità concrete di “eco-democrazia” sono soltanto cinque:

    - la diffusione locale del principio di precauzione come parametro di validitàdi tutte le deliberazioni umane, in funzione del mandato “ecologico” e “cli-matico”;- la promozione del “Consiglio di tutti gli esseri viventi” e del “Parlamento delle cose”;- la rappresentanza dei non umani in associazioni e “partiti” dei non umani,vincolati ai due “mandati” (“ecologico” e “climatico”);- l’introduzione di sostituti processuali che agiscano in nome e per conto diinteressi vitali non umani, per far valere ovunque i due “mandati”;- l’introduzione di una fattispecie penale universale di “ecocidio”, quale vio-lazione dei due “mandati” (“ecologico” e “climatico”) in determinati conte-sti di azione pubblica o privata.

    135 J.D. Olden, L. Comte, X. Giam, The Homogocene: a research prospectus for the study of biotic homogenization, in NeoBiota, n. 37, 2018, pp. 23-36.

    136 J. O’Neill, Who Speaks for Nature?, in Y. Haila, C. Dyke (eds.), How Nature Speaks: The Dynamics of the Human Ecological Condition, Duke Univ. Press Books, Durham (NC) 2006, pp. 261-278.

    137 Il tentativo di omogeneizzazione universale delle pratiche è promosso dal Global EcocentricNetwork for Implementing Ecodemocracy (GENIE): https://ecodemocracy.net. Ma si v. anche la piattaforma Democracy and Earth System Governance (https://www.earthsystemgovernance.net).

    138 Cfr. http://demopraxia.org.

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    mezzo effettuata e la sua messa a disposizione di terzi, sia in forma gratuita sia a pagamento.

  • M. Carducci

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    La prima proposta si limita a rafforzare la portata prescrittiva di un prin-cipio, evocato da più fonti ma non sempre disciplinato chiaramente nelle sue modalità di applicazione139. In particolare, essa si ispira agli artt. 72, 396 e 397 della Costituzione dell’Ecuador, per quanto riguarda il “mandato ecolo-gico”, per poi integrarsi nel canone ermeneutico in dubio pro clima spendibile in tutti i campi di deliberazione, secondo i dettagli dell’art. 3 n. 3 dell’UNF-CCC, per quanto riguarda il “mandato climatico”140. In questo ambito, si inserisce l’ipotesi francese della c.d. “camera del futuro”, composta da sog-getti, rappresentativi di saperi di studio e di esperienza, che deliberano sull’applicazione del principio di precauzione nel medio e lungo periodo141.

    Il “Consiglio di tutti gli esseri viventi”142 ha origini remote, radicate su pratiche di sensibilizzazione cognitiva, più che di deliberazione143. Esso si traduce in rituali, al cui interno i partecipanti si immedesimano in altri esseri viventi o entità (come un fiume), per condividerne le percezioni e soprattutto le sof-ferenze antropogeniche e così “riscoprire” la bellezza e l’importanza dell’ar-monia con la natura. Ad esso può connettersi l’esperienza del “Parlamento delle cose”, ispirato alle teorie di Latour sugli “intrecci soggetto-oggetto”144. Attualmente esiste un collettivo olandese, a composizione mista per prove-nienze, esperienze e competenze, impegnato a discutere l’emancipazione di animali, piante e funzioni ecosistemiche dal dominio umano145. Lo stesso collettivo ha dato origine anche all’ “Ambasciata del Mare del Nord”, organismo che rivendica la soggettività del sistema marino nelle vertenze con le autorità amministrative e politiche146.

    La rappresentanza dei non umani persegue l’obiettivo di dar voce a tutti i viventi anche all’interno delle assemblee locali, sul presupposto che, nell’Omo-gocene, il sistema rappresentativo debba riflettere la realtà di tutti i viventi, ormai

    139 T. O’Riordan, Interpreting the Precautionary Principle, Routledge, New York 2013. 140 R. Eckersley, J.P. Gagnon, Representing Nature and Contemporary Democracy, in Democratic

    Theory, Vol. 1, Issue 1, 2014, pp. 94-108. 141 Cfr. D. Bourg, Pour une 6e République écologique, Odile Jacob, Paris 2011. 142 Cfr. https://www.rainforestinfo.org.au. 143 J. Gray, P. Curry, Representation for Nature: Ecodemocratic decision-making as a practical means

    of integrating ecological and social justice, in H. Kopnina, H. Washington (eds.), Conservation: Inte-grating So