nessun/a bambino/a è illegale - dazugehoeren.org · guerra e i diritti umani sono una parola senza...
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Dazugehören Magazin Nr. 4/2010
Nessun/a bambino/a è illegale L'associazione "Nessun bambino/a è illegale" ha realizzato un concorso di cartellonistica nell’ambito della sua campagna di sensibilizzazione. Bambini e adolescenti, con e senza permesso di soggiorno, ed artisti hanno realizzato opere impressionanti sulla situazione dei bambini ed adolescenti sans-papiers. Parte di questo lavoro è oggi una mostra itinerante presentata in diversi luoghi in Svizzera.
Dazugehören Magazin Nr. 4/2010
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Sommario
3 Editoriale Di Daniela Mencarelli
4 Fortezza Svizzera, fortezza Europa. Nuove modifiche della legge sull’asilo in vista Di Daniela Mencarelli
9 No ad una modifica frettolosa, inutile e xenofoba della legge sull'asilo e della legge federale sugli stranieri
Sì ad una Svizzera sostenibile, orientata al futuro come paese d’immigrazione Di Andi Vogt
15 Un’iniziativa culturale per l’integrazione a Zurigo! Di Catherine Monney
18 Tedesco per stranieri - il fattore più importante per l’integrazione dei rifugiati
Ricerche nella città di Zurigo Di Andi Vogt
22 Erbe e spezie Di Patricia Ehrler
25 L’essere umano può essere felice in una società basata sul denaro? Di Isabelle My Hanh Derungs
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Traduzioni Francese: Catherine Monney, O'Kane Françoise Inglese: Patricia Ehrler, Marta Gonnet, Italiano: Petra Mauro, Daniela Mencarelli Spagnolo: Janina Fuentes Tedesco: Andreas Wölfle
Foto Daniela Mencarelli eCatherine Monney – mostra „nessun/a Bambino/a è illegale“, Zurigo, 3-13. settembre 2009. www.keinkindistillegal.ch
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Editoriale Di Daniela Mencarelli
Il 15 novembre orgoglio e euforia nei confronti della squadra nazionale svizzera U-17, i campioni del mondo di calcio U-17, non hanno conosciuto limiti. Tutti i giornali hanno acclamato la Svizzera interculturale perché, anche grazie al successo dell’integrazione nel paese, – cito il coro mediatico – era stato possibile ottenere un tale risultato. Eppure alcuni dei campioni del mondo U-17 si chiamano: Granit Xhaka (Albania), Kofi Nimeley (Ghana), Nassim Ben Khalifa, (Tunisia), Maik Nakic (Croazia), Haris Seferovic, (Bosnia-Herzegowina), Igor Mijatovic ( Serbia), Fréderic Veseli, (Kossovo), Joel Kiassumbua, (Congo), André Gonçalves (Portogallo), Pajtim Kasami (Albania), Sead Hajrovic, (Bosnia-Herzegowina), Robin Vecchi (Italia) und Ricardo Rodriguez (Cile). Il paese d’origine di alcuni di questi eroi svizzeri é quindi mussulmano. Non posso però credere che nessuno dei 1.32 milioni che hanno guardato la partita e che l’hanno festeggiata, non abbiano votato per l’iniziativa che vieta i minareti. Ai loro occhi i campioni del mondo non sono certo dei fondamentalisti, ma dei secondos ben integrati.
Chi fra gli stranieri può allora far parte del paese? Di sicuro i ricchi, che scelgono in quale cantone risiedere a seconda del livello della tassazione. Oppure chi è diventato famoso nell’ambito dello sport, dell’arte ecc. Questi si che vengono naturalizzati a tempo record. Ma ci sono eccezioni. Josip Drmic ha avuto sfortuna: all’epoca, non era evidentemente ancora famoso abbastanza da ottenere il passaporto. L’attaccante del FCZ non è stato naturalizzato e per questo non ha potuto partecipare ai campionati mondiali degli U-17. Il suo allenatore, Dany Ryser, gli aveva promesso un posto da titolare ai campioni in Nigeria. Ma Josip Drmic, cresciuto a Bäch, nel canton Svitto, capace di esprimersi perfettamente nel dialetto svizzero-tedesco, si è visto respingere per ben due volte la sua domanda di naturalizzazione dal comune di Freienbach. Dopo i mondiali, l’ufficio per la migrazione gli ha promesso che si sarebbe occupato del caso.
É la stessa ipocrisia, come nel caso dell’iniziativa anti-minareti. I promotori stessi l’hanno dichiarato più volte: non si tratta dei minareti, ma dell’islam. L’equazione è semplice: mussulmani = fondamentalisti. Come se non esistessero tendenze fondamentaliste in ogni religione. Ma il punto è un altro. Che l’appartenenza religiosa determini un pregiudizio collettivo contro uno gruppo specifico della popolazione è una presa di posizione grave per una democrazia: è a tutti gli effetti discriminante. Oggi il vento xenofobo ha investito i mussulmani. Domani saranno gli “stranieri criminali” (l’iniziativa per l’espulsione dal paese) e i rifugiati (revisione della legge sui richiedenti asilo).
Con questa votazione, il divieto dei minareti è diventato parte della nostra costituzione: votato emozionalmente o no, la legge fondamentale svizzera, la costituzione federale, contiene ora un articolo che viola il principio della libertà di religione (articolo 15) e la convenzione per i diritti umani firmata dalla Svizzera nel 1951. Ma viola anche qualcosa di più importante: senza il rispetto dei diritti umani, la democrazia diventa una parola formale, vuota.
Ma c’è ancora speranza: sono proprio questi campioni mondiali di calcio U-17, che mi, ci danno speranza. Hanno vinto perchè sono riusciti a costruire una comunità forte. Un team interculturale forte con un obiettivo comune. È da loro che abbiamo ancora da imparare. Contro questi fenomeni l’educazione resta la migliore medicina: le competenze interculturali dovrebbero essere insegnate a scuola!
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Fortezza Svizzera, fortezza Europa Nuove modifiche della legge sull’asilo in vista Di Daniela Mencarelli. Traduzione di Petra Mauro
La riforma della legge federale
sull’asilo e sugli stranieri é entrata
in vigore il 1 gennaio 2008. Nel suo
ultimo rapporto, l’ufficio Federale
per la Migrazione ne sottolinea,
con un certo orgoglio, i risultati, per
esempio che 2'544 sans-papiers
sono stati sottoposti ad un ordine
di custodia. Nel 93% dei casi si è
trattato di detenzioni in attesa
d’espulsione, che poi nell’83% dei
casi sono state eseguite. Più della
metà dei reclusi sono giovani, di
trent’anni o anche meno, quasi tutti detenuti solo per aver violato la legge sull’asilo e sull’emigrazione.
La detenzione può durare fino a 18 mesi, però, tra arresto preventivo, detenzione ed espulsione, la
durata totale può raggiungere i 24 mesi.
Con l’introduzione del regolamento sui cosiddetti casi gravi, la politica per emigrazione voleva forse
mostrare il suo volto più umano e regolarizzare quei sans-papiers che vivono in Svizzera già da molto
tempo e che non possono tornare nel paese di provenienza. Però dei 300'000 sans-papiers che
secondo le stime si trovano in Svizzera, dal 2001 ad oggi solo lo 0.4% ha visto legalizzata la sua
situazione.
La regolamentazione dei casi gravi in dettaglio Nel 2008, 845 rifugiati (800 nel 2007) hanno ottenuto un permesso di soggiorno in conformità
all’articolo 14 della legge sull’asilo. Secondo quest’articolo, essi possono ottenere il permesso di
soggiorno dal cantone, in
accordo con l’Ufficio
Federale per la Migra-
zione, se risiedono in
Svizzera da almeno 5 anni
e si sono integrati nel
paese. Si tratta di casi
gravi di natura diciamo
personale. Per esempio se
una persona si trova in
una situazione personale
critica. Le sue condizioni di
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vita saranno allora valutate approfonditamente e paragonate a quelle di altri stranieri. Si controllerà se
la persona in questione possa – da un punto di vista personale, sociale ed economico – tornare nel
suo paese e viverci. Il paragone è tra la sua
situazione attuale in Svizzera e quella
eventuale nel paese di provenienza.
La regolamentazione dei casi gravi non ha per
obiettivo quello di difendere le persone da
guerre o da situazioni di pericolo estremo,
come nel caso di un colpo di stato. In
circostanze del genere l’espulsione non
dovrebbe essere possibile.
Nel 2008, 3'100 delle cosiddette ‘’persone
accettate provvisoriamente” hanno ottenuto
un permesso di soggiorno in conformità
all’articolo 84 della legge sugli stranieri (3'400
nel 2007). Secondo quest’articolo, quando
una persona accettata provvisoriamente vive
in Svizzera da più di 5 anni, si deve
controllare se non sussista il cosiddetto “caso
grave”. I cantoni , anche in questo caso,
possono concedere il permesso di soggiorno se l’Ufficio Federale è d’accordo. Dal settembre 2001
fino al dicembre 2008, 1'262 sans-papiers hanno ottenuto il permesso di soggiorno in conformità
all’articolo 30 della legge sugli stranieri, che ne ammette il rilascio quando sussiste un caso grave di
natura personale.
Ulteriori cambiamenti in vista della legge sull’asilo Sembrerebbe che la fortezza-Svizzera voglia rafforzare ancora di più le sue mura difensive: il
Consiglio Federale ha già in mente nuove modifiche della legge sull’asilo e sugli stranieri.
In primo luogo non sarà più
riconosciuto lo stato di rifugiato a
coloro che hanno disertato e che si
trovano pertanto in una situazione di
difficoltà o di pericolo. Saranno
perciò espulsi dalla Svizzera.
Naturalmente l’espulsione sarebbe
inammissibile se la persona in
questione rischiasse la vita nel
proprio paese...ma fino a che punto?
L’applicazione delle norme sui casi
gravi non lascia molte speranze.
Domandiamoci chi sono questi
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disertori. Spesso soldati che non vogliono più compiere crimini contro l’umanità in una delle molte
guerre dei paesi poveri. Tra loro ci sono anche molti bambini, come documentano le guerre civili in
Africa.
In secondo luogo saranno
punite dalla legge tutte
quelle ‘’attività politiche
illegittime” che aiutano a
dimostrare lo stato di
rifugiato. In particolare le
sanzioni dovrebbero punire
quelle persone che aiutano
coloro che stanno cercando
di ottenere l’asilo. S’intende
forse sanzionare anche le
molte organizzazioni che
non sono d’accordo con la
legge sull’asilo e che aiutano
i sans-papiers ad ottenere il
riconoscimento del loro
status di rifugiato?
In terzo luogo non sarà più possibile presentare domanda d’asilo ad un ufficio di rappresentanza della
Svizzera all’estero.
Grafico 1: Persone coinvolte nel procedimento di riconoscimento dell’asilo (1995 – 2008)
Fonte: Ufficio Federale di Statistica
Ciò significa concretamente che chi, per motivi politici o per altre ragioni, si trova in pericolo di vita non
potrà più beneficiare della protezione delle ambasciate? Quale motivo – se non il rafforzamento della
fortezza Svizzera – può spiegare una tale riforma restrittiva della legge sull’asilo? Per non trattarsi di
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20000
40000
60000
80000
100000
120000
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
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una politica xenofoba, le statistiche dovrebbero mostrare che la Svizzera é letteralmente invasa dai
rifugiati. Ma non è così, come ci mostra il grafico 1.
Grafico 2: Rifugiati riconosciuti
0
5 000
10 000
15 000
20 000
25 000
30 000
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Fonte: Ufficio Federale di Statistica
Il numero dei richiedenti asilo ammontava nel 2008 a 16'600 unità, il che rappresenta un aumento di
5’'760 persone rispetto all’anno precedente. Ciononostante, il numero delle persone coinvolte nel
procedimento d’asilo (persone il cui procedimento non si è ancora concluso, più coloro che sono stati
accolti provvisoriamente) é uno dei più bassi dal 1999 (si veda il grafico 1). Nel dicembre 2008 erano
circa 40'800, addirittura meno del 2007 (-268 persone). Nel 2008 11'062 richieste d’asilo sono state
sbrigate in prima istanza: in 3'073 casi non é stata presa alcuna decisione, 2'261 persone hanno
ottenuto l’asilo, 4'483 richieste sono state respinte e 1'245 ritirate o annullate. 4'327 persone sono
state accolte provvisoriamente. Quindi, nell’insieme, il 5.5% delle persone coinvolte nel procedimento
d’asilo ha ottenuto il riconoscimento
dello stato di rifugiato.
Alla fine del 2008, i rifugiati
riconosciuti in Svizzera erano 23'276.
Il grafico 2 mostra che dal 2001 il loro
numero è diminuito progressivamente
e che raramente ha superato le
25'000 unità.
Nel 2008 i principali paesi di
provenienza dei richiedenti asilo in
Svizzera sono stati l’Eritrea, la
Somalia, l’Irak, la Serbia, il Kosovo, lo
Sri Lanka, la Nigeria, la Turchia, la
Georgia, l’Afghanistan e l’Iran. Come leggiamo tutti i giorni sui giornali, si tratta di paesi nei quali c’è la
guerra e i diritti umani sono una parola senza significato. Per esempio il numero dei richiedenti asilo
dallo Sri Lanka si é raddoppiato rispetto al 2007 (1'262 richiedenti d’asilo) a causa dell’aggravarsi del
conflitto in quel paese.
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La fortezza Europa Da mesi l’Italia respinge verso la Libia le imbarcazioni cariche d’immigranti provenienti dei paesi
africani, senza controllare se si tratti o meno di rifugiati. I politici dell’EU non hanno minacciato alcuna
sanzione contro l’Italia, anche se questa misura, secondo il segretario generale delle Nazioni Unite
Ban Ki-Moon, viola il diritto internazionale.
Nel 2008 la Svezia ha firmato un accordo con l’Irak, che le permette di espellere dal paese i rifugiati
iracheni. Il numero delle richieste d’asilo irachene in Svezia si è ridotta di conseguenza da 18'600 a
6'100.
Questa dura politica non é giustificata dai numeri. Nell’EU e nei paesi dell’EFTA sono state presentate
circa 270'000 richieste d’asilo, 10% in più del 2007. I paesi destinatari sono stati la Francia (41'500
richieste), l’Italia (31'100 richieste), la gran Bretagna (30'500), la Svezia (24'400), la Germania
(22'100) e la Grecia (19'800). Si tratta di un piccolo aumento: rispetto al 2001 e al 2002 il numero delle
richieste d’asilo con-
tinua ad essere basso.
In quel periodo, infatti,
le domande raggiun-
sero annualmente le
450'000 unità.
Nel 2008, i rifugiati
arrivati in Europa
provenivano soprat-
tutto dall’Irak e dalla
Somalia. 32'000 hanno
presentato domanda
d’asilo nei paesi
dell’EU e dell’EFTA e,
di questi, 1'400 in
Svizzera. La guerra in Irak e le condizioni terribili che ne sono derivate, sono costate la vita ad un
milione di persone, mentre milioni hanno dovuto lasciare il paese. Nel 2008 la Caritas ha denunciato
la situazione disperata di quattro milioni di rifugiati di guerra. Secondo le stime dell’ONU, nel 2008 due
milioni d’iracheni sono stati costretti alla fuga dalle continue violenze. Almeno altri due milioni sono
riusciti a raggiungere la Siria, la Giordania e il Libano. La Caritas ha allora chiesto agli stati dell’EU e
agli USA di accogliere un maggior numero di rifugiati iracheni e di fornire un aiuto più concreto alla
Siria e alla Giordania per far fronte ad una tale emergenza.
Al secondo posto abbiamo la Somalia, con circa 20'400 richieste d’asilo, di cui 2'000 in Svizzera.
Facciamo un paragone: solo nello Jemen sono state nel 2008 più di 40'000.
Dal 1991 la Somalia non ha un governo effettivo. A causa della siccità cronica e dell’instabilità politica,
circa la metà della popolazione di questo paese del corno dell’Africa è a rischio di morte per fame.
Centinaia di migliaia fuggono da Mogadiscio, dalla guerra tra i ribelli islamici e le truppe di regime, così
come dai loro alleati della vicina Etiopia.
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No ad una modifica frettolosa, inutile e xenofoba della legge sull'asilo e della legge federale sugli stranieri Sì ad una Svizzera sostenibile, orientata al futuro come paese d’immigrazione Di Andi Vogt. Traduzione di Daniela Mencarelli
Uno si sente come dentro a un film brutto sul serio! La ministra della giustizia e dell’ordine pubblico, dai valori conservatrici e lontani dalla realtà, sembra essere stata abbandonata da ogni spirito benigno. La parola „irrigidimento“ rispetto agli emendamenti proposti sulla legge in materia d’asilo non la vuole più sentire, - nel suo linguaggio politico neutrale li definisce " applicazione coerente della normativa vigente". E parla di continuo senza rispetto di "asilanti", piuttosto che di "rifugiati". Sono, purtroppo, tutte prolissità vuote e fuorvianti - niente di più, niente di meno! Il trattato sullo status dei rifugiati (Refugee Convention) del 28 luglio 1951 usa al contrario l'unica parola corretta, 'rifugiato'. Il trattato è entrato in vigore in Svizzera il 21 aprile 1955.
La ministra della giustizia vuole ridurre con la sua xenofobia "l'attrattività della Svizzera come paese di destinazione"! Questa è una presa di posizione vergognosa, irresponsabile, non lungimirante per noi, per i nostri figli e nipoti e per le generazioni future. Secondo fonti attendibili, l'Europa avrà bisogno nel 2030 di circa 150-300 milioni di immigrati, affinché il mercato del lavoro non si trovi completamente
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sprovvisto di risorse umane e il finanziamento di AVS, AI e AD possa essere garantito in modo sostenibile. Ciò che propone la ministra della giustizia è al limite dell’ignoranza!
Nella città di Zurigo convivono attualmente per-sone provenienti da 160 paesi (nel mondo sono in totale circa 200), il 29% della popolazione straniera. Pra-ticamente in tutto il mondo non c’é paese nel quale vivano persone di una sola cittadinanza - la maggior parte degli stati sono multietnici. Per esempio, il 40% della popolazione di New York è straniera, mentre a Londra la per-centuale è del 27% e a Vienna del 28%.
I paesi industrializzati hanno sfruttato per secoli i popoli del Terzo Mondo. Che ora sono comprensibilmente alla cerca di un’esistenza privilegiata come la nostra, il che significa che dobbiamo ridimensionare le nostre pretese, affinché anche questi esseri umani abbiano una vita degna di questo nome.
D’altra parte la Svizzera e le sue banche continuano a contribuire all’impoverimento dei paesi in via di sviluppo, visto che regimi corrotti, dittatori e usurpatori portano in Svizzera la ricchezza di intere nazioni. In parole altre, le banche svizzere contribuiscono sostanzialmente al fenomeno degli attuali
flussi migratori.
Le modifiche di legge proposte fanno sorgere forti dubbi sul rispetto dei diritti umani. La proposta di ridimensionamento della tutela di chi fugge da guerre e persecuzioni dimostra in primo luogo il disprezzo dei valori umanitari e dello stato di diritto. La Svizzera, quale bastione storico della sicurezza e sede della Croce Rossa Internazionale, dell'Alto Commissario per i Rifugiati (UNHCR) e del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite,
non dovrebbe rendere così restrittiva la legge in materia di asilo che permetterebbe solo ai rifugiati furbi, capaci di procurarsi i documenti giusti, di trovare protezione in Svizzera.
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Vediamo allora in concreto le proposte più importanti di modifica della legge sull’asilo:
Agli obiettori di coscienza e ai disertori non sarà più riconosciuto lo status di rifugiato Art. 3, paragrafo 3 – nuovo - della legge sull'asilo
Con questa modifica legislativa, il Consiglio Federale si assume negligentemente il rischio di non rispettare la definizione di rifugiato della Convenzione di Ginevra e quindi di violarne la normativa. Una violazione del diritto internazionale e dello stato di diritto. In Svizzera - un paese democratico, dove vige la separazione dei poteri – è prevista per la diserzione, secondo il codice penale militare, l'articolo 81, una sanzione fino a 18 mesi! Nei paesi di origine dei rifugiati - come per esempio l’Eritrea, la Somalia, l’Iraq, l’Iran e la Nigeria – gli obiettori coscienza e i disertori sono sottoposti a torture, lunghe pene detentive o addirittura condannati a morte. Del resto la notizia che questi motivi non saranno più ritenuti sufficienti a giustificare lo stato di rifugiato si diffonderà ben presto – e solo i vitelli più scemi si scelgono il loro macellaio! Questa politica non è compatibile con l'adesione della Svizzera al Consiglio dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite. Considerate che la diserzione e l'obiezione di coscienza non comportano secondo la legge vigente il riconoscimento automatico dello status di rifugiato.
Sanzione penale per le " attività politica improprie ": criminalizzazione delle opinioni politiche espresse dai rifugiati e dei cittadini svizzeri
Art. 115 lett. D) / 116lit. c) e d) (nuovo) della legge sull'asilo
Una tale restrizione della libertà d’espressione e di riunione contraddice in modo inaudito la Costituzione Federale, in particolare l'articolo 16 (libertà d’espressione e d’informazione) e 22 (libertà
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di riunione). Un tale serio inasprimento normativo contraddice anche gravemente l’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). Inoltre, secondo la giurisprudenza federale, la
libertà d’espressione e di riunione sono fondamentali per una democrazia vitale, tanto da preferire nel caso perfino il verificarsi di "attività improprie". Il lettore benevolo concorderà sul fatto che Widmer-Schlumpf disattende arbitrariamente la normativa svizzera ed internazionale.
C’è di più: è particolarmente grave, da un punto di vista squisitamente democratico, l’intenzione di criminalizzare con il nuovo articolo 116, lett. d) della legge sull'asilo tutte quelle attività etiche e solidali a sostegno di rifugiati politicamente attivi. A parte il fatto che, contraddicendo il diritto penale, ogni attività di sostegno si tradurrebbe in complicità potenzialmente punibile dalla legge, la disposizione (“in particolare con la pianificazione e l'organizzazione") farà praticamente di qualsiasi sostegno a
manifestazioni politiche - come ad esempio nei media o attraverso dichiarazioni pubbliche di solidarietà – un potenziale atto criminale! Colpiti dalla nuova normativa non sarebbero quindi solo i rifugiati, ma anche tutti quei cittadini e cittadine svizzeri che si impegnano a favore delle loro rivendicazioni. Tali gravi interventi, lesivi dei diritti fondamentali, non sono degni di una democrazia garantista e vanno respinti con decisione.
Abrogazione della possibilità di presentare domande d'asilo all'estero
Art. 19 e 20 della nuova legge sull'asilo / precedente articolo 20 abrogato: è preclusa a persone particolarmente vulnerabili la possibilità di presentare domanda d’asilo
Con ciò Widmer-Schlumpf mostra il suo vero volto - e il suo cuore – che non è fatto di pietra, no, è di cemento armato. Sono proprio le donne indifese, i giovani, i bambini, gli anziani e le persone malate o senza risorse finanziarie ad avere bisogno sul serio che la Svizzera riconosca il loro status di rifugiati.
Se sarà loro vietata la possibilità di presentare domanda d’asilo presso un’ambasciata svizzera nel loro paese, questi rifugiati perderanno
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ogni protezione. Finiranno probabilmente nelle mani di trafficanti avidi e senza scrupoli, costretti a intraprendere un lungo, pericoloso viaggio verso l'ignoto, sempre che la loro costituzione fisica glielo permetta. L'immigrazione clandestina, ossia la tratta e il contrabbando di esseri umani, ne verrebbe di
fatto incoraggiata.
L'attuale procedura d’asilo presso le ambasciate é piena-mente in linea con lo spirito della Conven-zione di Ginevra sui rifugiati ed è, parago-nata alla proceduta in Svizzera, efficiente e poco costosa, anche perché, in caso di rigetto della doman-da, lo stato non dove coprire i costi dell’ assistenza sociale e
dell’espulsione. Negli ultimi 14 anni, l’11% delle domande presentate presso un’ambasciata sono state accolte, cioè il 2% in più delle richieste accolte in Svizzera. D’altra parte in molti paesi la richiesta del passaporto è subordinata alla presentazione del permesso del tutore, del padre o del marito. La possibilità di presentare domanda d’asilo presso un’ambasciata svizzera è, per molte donne soprattutto, l’unica via di salvezza.
Aiuto d’emergenza ed altre restrizioni, in particolare le cosiddette domande multiple / riduzione dei diritti procedurali
Art. 82, par. 2 e art. 108-114 della nuova legge; art. 16, 34 e 36 della legge sull’asilo
La situazione si fa sempre più grottesca! Tutti i partiti (dalla UDC al PDC, al PLR al PS e ai Verdi) tollerano implicitamente che la dignità umana e la Costituzione siano prese a calci con il cosiddetto "aiuto d’emergenza" (addio agli articoli 7, 8, 12 e 36 della Costituzione Federale!). É veramente allarmante che in uno stato di diritto i cantoni applichino tale normativa sull’aiuto d’emergenza in modo così diseguale. Non va per niente bene che si voglia estendere tale aiuto perfino a coloro che, dopo aver presentato un’istanza d’asilo ed essere tornati nel paese d’origine, la reiterano. Quali potenziali perseguitati, meritano lo stesso trattamento di coloro che presentano domanda per la prima volta.
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Il sistema dell’aiuto d’emergenza non è - contrariamente a quanto sostenuto dalle autorità - né efficace, né dignitoso per gli esseri umani. Al contrario, ha creato nuovi problemi sia a chi ne è direttamente colpito, sia alla società.
In futuro, per evitare lungaggini procedurali, la seconda richiesta – e le eventuali successive - dovranno essere presentate per iscritto. Per il trattamento della pratica i rifugiati dovranno pagare, senza disporre dei mezzi - una tassa o un anticipo sulle spese. Nel corso del procedimento non potranno lavorare, ma saranno costretti a vivere dell’aiuto d’emergenza.
Obbligo di prova della inattuabilità del divieto d’entrata e dell’espulsione
Art. 83, comma 5, 5 bis e 5 (nuovo) della legge sugli stranieri
Non esiste un principio procedurale secondo il quale chi presenta una domanda sia tenuto a fornire in merito tutto il materiale probatorio. Il richiedente ha “soltanto” il dovere di collaborare. Ma è in realtà impossibile ed assurdo dover provare che un certo fatto non si sia verificato. La Risoluzione 1471 dell’assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa invita perciò i paesi dell'Unione Europea a non invertire l'onere della prova nella procedura d'asilo.
Con tale proposta dell'onere della prova, il Consiglio Federale ignora il semplice fatto che per le persone colpite è spesso impossibile ottenere dalla Svizzera i relativi documenti che dimostrano per esempio, l’assenza di una rete di rapporti nel paese d’origine.
Queste, a mio avviso, le modifiche di legge più importanti. Inoltre quest'anno sarà effettuata in tutta fretta una consultazione sul cambiamento del sistema delle decisioni di non entrata in merito (NEM). Per l'intero pacchetto, la parola finale del Consiglio Federale è prevista per la metà del 2010.
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Un’iniziativa culturale per l’integrazione a Zurigo! Di Catherine Monney
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Theater Maxim - Feldstrasse 8004 Zuricgo - www.maximtheater.ch Tel.:043 317 16 27, 077 441 62 89 (prenotazione)
La tragicommedia „shakespeariano“ convincente sulla scena1…
Le rappresentazioni de „La Tempesta“ di Shakespeare al Maximtheater di Zurigo sono andate in scena per la prima volta quest’anno fino al 18 luglio 2009. Ho visto lo spettacolo il 17 luglio e ne sono rimasta impressionata. Mi hanno emozionato l’ interpretazione, la scenografia con le finestre dipinte,
l’ambiente, i rumori di fondo che evocavano la tempesta e la su-spens continua. Il tutto in tede-sco (svizzero-tedesco incluso) ed in altre sette lingue nel più picco-lo teatro della città di Zurigo.
Il teatro Maxim offre una cin-quantina di posti al massimo ed arricchisce a modo suo la scena artistica zurighese. Si trova nel quartiere 4, finora alla Feldstras-se 112, però - siccome l’edificio sarà demolito - il teatro sta cer-cando una nuova sede nella
stessa zona, dato che é proprio lì che vivono circa 160 popolazioni d’origini diverse. Come si evince dal rapporto annuale 2008, sono dei professionisti a sostenere gli sforzi delle molte persone impe-
1 Ringraziamo il teatro Maxim per averci permesso di pubblicare alcune delle foto della homepage in questo
numero.
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gnate nel progetto, provenienti da circa venti paesi differenti. É così che gli immigranti scambiano le loro esperienze, cercano di capire la cultura svizzera, desiderano avvicinarci alla loro cultura ed impa-rano il tedesco, in maniera interessante e divertente. I due organizzatori, Claudia Flütsch e Walter Pfaff, sono convinti che questo progetto favorisca la comprensione tra culture diverse ed aiuti ad appianare le tensioni sociali che l’immigrazione comporta. In breve: Un’iniziativa culturale per l’integrazione.
Dell’African Ensemble fanno parte tre attori ed attrici professionisti e cinque amatori di cinque nazionalità diverse i quali hanno interpretato brillan-temente la commedia in tedesco, arabo, turco, cur-do, inglese e spagnolo.
Terminata la rappresenta-zione, Tufan Filiztek, che ha interpretato molto bene il ruolo di „Prospero“, il principe di Milano esiliato su un’isola deserta (che fa da scenografia), ci ha rag-giunto per raccogliere le nostre impressioni ed esprimere la sua gratitudi-
ne a un pubblico cosi partecipativo come quello di quella serata. Poi ha presentato se stesso ed alcuni membri del gruppo. È cittadino turco-curdo, si esprime perfettamente in tedesco (anche in svizzero-tedesco) e il suo entusiasmo per il progetto è evidente. È uno spettacolo magnifico che raccomando senza riserve, quando sarà di nuovo in scena la prossima stagione.
È certo che lo spettacolo, affinato qualche dettaglio, ritornerà in scena. In ottobre, ha avuto anche luogo la prima rappresentazione di “Cassandra”, questa volta con il gruppo delle donne Frauenensemble. Per maggiori informazioni, si veda in internet www.maximtheater.ch. Eccovi alcuni testi del sito in internet:
African Ensemble Direzione: Walter Pfaff) - brani dall’rapporto annuale 2008 Al teatro MAXIM dilettanti ed attori/attrice professisti di tutto il mondo hanno formato dei gruppi teatrali sotto la direzione di registi esperti che avevano già esperienza di progetti interculturali. Ognuno di questi gruppi ha realizzato una rappresentazione su temi interculturali attuali. Abbiamo chiamato VOICE il modello sociologico che ne è la base e il metodo di lavoro che ne risulta. VOICE: prendere la parola ed esprimersi pubblicamente.
Nel 2007/2008 siamo riusciti a costituire un Ensemble dinamico, dal contenuto impegnato, con la partecipazione di circa 15 attori ed attrici. Del gruppo fanno parte tanto persone provenienti da paesi africani (Kenya, Africa del Sud, Camerun, Nigeria, Guinea Bissai), che europei (Germania, Italia, Cosovo, Macedonia, Ungarica, Svizzera, Serbia, Turchia), ma anche dal Libano e dello Sri Lanka. Anche degli ospiti partecipano spesso alle prove, in qualità di osservatori. Le prove offrano ai partecipanti uno spazio libero dove incontrarsi e scambiare le loro esperienze e storie in forma teatrale. Il lavoro pratico consiste in esercizi ludici ed in improvvisazioni della sceneggiatura. Nel 2007
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ne è risultato il pezzo teatrale „Bistro Chadé“, rappresentato per la prima volta il 18 di aprile 2007 alla Zeughaushof (cortile del arsenale) a Zurigo. Nel novembre 2007 abbiamo potuto presentare per prima il nostro secondo lavoro sull’amore tra persone di culture diverse, „Bargespräche/8 Zimmer Life“ all’hotel Rothaus.
Nel 2008 abbiamo concentrato i nostri sforzi sulle tecniche di recitazione degli attori e delle attrici, in particolare su quelle d’improvvisazione. Cosi i dilettanti sono diventati quasi dei professionisti.
African Ensemble Persone provenienti da diversi paesi extraeuropei si incontrano con gli europei. Le prove offrono ai partecipanti uno spazio ludico in cui ritrovarsi e scambiarsi le diverse esperienze di vita e di sperimentazione teatrale. Così, a poco a poco, sono le loro storie ad essere raccontate nello spettacolo.
Diverse fondazioni finanziano il teatro. La partecipazione è gratuita. Claudia Flütsch e Walter Pfaff hanno lavorato per anni al teatro municipale. Walter Pfaff, ex-direttore del teatro Neumarkt, aveva già acquisto un certa competenza riguardo al teatro d’integrazione negli anni ottanta in Francia. Ora entrambi lavorano al teatro Maxim al 60%.. Si cercano ancora persone per i tre gruppi African Ensemble, Frauenemsemble e per il corso di teatro per debuttanti. Per maggiori informazioni, si veda in internet www.maximtheater.ch
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Tedesco per stranieri – il fattore più importante per l’integrazione dei rifugiati - ricerche nella città di Zurigo
Tacere è argento – Parlare è oro Si é chiamata la forza-lavoro ma sono arrivate le persone.
Max Frisch
Di Andi R. Vogt. Traduzione di Petra Mauro
Immaginatevi di dover lasciare la Svizzera di nascosto, perchè siete perseguitati per motivi politici o perchè le scelte economiche sbagliate del governo del vostro paese hanno causato povertà e fame. Non parlate inglese, né spagnolo, né francese e tanto meno tedesco. Avete fino ad oggi imparato solamente a leggere e a scrivere in arabo. Nel paese d’accoglienza, però, si parla un dialetto tedesco e le lettere sono quelle latine. Vi sentirete piuttosto persi ed inermi. In più il governo del paese d’accoglienza pretenderà che troviate un posto di lavoro e vi offrirà un sussidio di disoccupazione insufficiente e per un breve periodo.
Uno dei problemi principali di un’integrazione vera e sostenibile è la lingua – almeno parlata e capita. La legge sugli stranieri pretende sì un’integrazione generale, ma non informa sull’offerta di corsi di tedesco gratuiti, o almeno a basso costo, previsti per gli stranieri. La gerarchia delle categorie degli stranieri si manifesta chiaramente: dallo specialista richiesto fino – in fondo alla graduatoria - al sans-papier. I rifugiati sono benvenuti come ‘’cuscinetti del mercato del lavoro’’- anche se non sanno, forse proprio perchè non sanno, il tedesco.
La spinta a scrivere questo articolo mi é venuta da un cliente del servizio d’informazione del centro d’assistenza sociale di Selnau – un cambogiano che parlava e capiva a malapena il tedesco. Gli ho chiesto perchè non imparasse il tedesco – troppo costoso! – mi ha risposto.
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Essendo convinti che la lingua è il più importante fra gli strumenti utili all’integrazione - specialmente per trovare lavoro – abbiamo fatto una ricerca in internet e poi interpellato per email 31 (80 percento) dei 36 offerenti di una sorprendente vasta offerta di corsi di tedesco (350, corsi della banca-dati) della città di Zurigo - si veda www.stadt-zuerich/integration.ch. Solo un terzo degli offerenti ha risposto alle domande (10).
Specialmente ai rifugiati vengono offerti una grande varietà di corsi: dal corso di alfabetizzazione a quello avanzato con diploma finale e magari anche con l’aggiunta di un corso d’integrazione. Ci sono perfino dei corsi che includono il servizio d’asilo, persone che si occupano dei bambini, mentre i genitori sono a lezione. Il costo varia molto: alcuni sono molto convenienti, quasi gratis, altri arrivano a 500 CHF a semestre (circa 80 CHF al mese).
Ma i rifugiati non hanno solo bisogno di corsi di tedesco per integrarsi – é importante che abbiano la possibilità di sentir parlare in tedesco, di capirlo e quindi di esercitarsi, con i vicini, negli uffici pubblici e sul posto di lavoro. Qui è richiesto l’impegno anche di noi svizzeri. L’iniziativa ovviamente spetta a loro. Importanti sono anche le competenze sociali e l’integrazione a livello politico, cioè la libertà d’espressione in ambito sociale.
La media è di 4 - 10 partecipanti per corso, provenienti da più di 100 nazioni. La maggior parte viene dallo Sri Lanka, dall’Albania, dalla Turchia (curdi), dai paesi arabi, dall’America latina e dell’Africa.
Da questi corsi si pretende molto: la promozione dell’integrazione sociale, culturale e lavorativa attraverso l’apprendimento di nozioni di tedesco almeno sufficienti a permettere di cavarsela nel quotidiano. La competenza linguistica e l’incontro tra immigranti e la popolazione indigena di lingua tedesca devono essere promossi e con loro la capacità di comunicazione, in modo da raf-forzarne l’autosufficienza (empower-ment) in un contesto nuovo ed a loro estraneo.
Sono inoltre da tenere in considerazione i diversi bisogni d’integrazione (per esempio città / campagna). Si tratta di offrire corsi di lingua adeguati a quei rifugiati che per motivi familiari o economici non riescono a partecipare ai corsi regolari, ad esempio offrendo loro gruppi di conversazione a basso costo in tutti i centri importanti del paese. I corsi di lingua devono essere adattati, in modo tale da corrispondere a bisogni di chi ha un basso livello d’istruzione, di chi ha una famiglia e dei bambini e di chi lavora.
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Due ‘’ricerche sul campo’’ La signora X, 32 anni, viene dallo Sri Lanka e vive in Svizzera con suo marito e con i suoi due figli (6 e 3 anni) da un anno. Hanno ancora un permesso di soggiorno provvisorio. Lei non lavora, beneficia del sussidio sociale, ma vuole darsi da fare per creare le condizioni di poter lavorare. La sua assistente sociale la informa sui corsi di base di alfabetizzazione e di tedesco con i quali é offerto un servizio d’asilo.
X. si impegna molto. È motivata, aperta e abbastanza integrata per quanto riguarda l’aspetto sociale. L’handicap più grande è la lingua tedesca, reso ancora più duro dall’uso diffuso del dialetto, lo ‘’Zürideutsch’’. Non vorrebbe solo parlare e capire il tedesco, ma anche leggerlo e scriverlo. Trova un corso di 4 lezioni a settimana vicino casa che costa 200 CHF a semestre ed offre assistenza gratuita ai bambini. Natural-mente la signora X non si può permettere di pagare il corso, così la sua assistente sociale lo include nel computo del sussidio come bisogno di base. Dopo il primo semestre ha già fatto molti progressi e riesce più o meno a comunicare in tedesco. S’iscrive – con l’approvazione dell’assistente sociale – ad un corso avanzato per un altro semestre, con l’obiettivo ambizioso, una volta concluso il corso, di scrivere da sola le domande di lavoro o di farle scrivere da qualcuno del centro sociale Selnau (lunedì dalle 13.00 alle 16.00). Alla fine riesce a trovare un lavoro al 50% come donna delle pulizie presso un’impresa di Zurigo. Dopo varie vicissitudini trova, tramite la Caritas, una donna nelle sue vicinanze che tiene i bambini durante il giorno. La Caritas le paga inizialmente il 50% del costo del servizio. X non ha ora più bisogno del sussidio sociale e il suo tedesco migliora di giorno in giorno. Suo figlio ha cominciato ad andare a scuola e parla e capisce il tedesco (e lo svizzero-tedesco) perfettamente, lo legge e lo scrive.
Il signor Y è celibe, ha 25 anni, viene dall’Albania e lavora da 3 anni come operaio edile presso una grande impresa di Zurigo. A seguito della crisi finanziaria e della ristrutturazione che ne segue, è licenziato. La sua conoscenza della lingua tedesca lascia molto a desiderare. In cantiere si parlava quasi sempre portoghese, spagnolo e italiano. Quando si presenta al centro regionale di collocamento (RAV), il consulente a cui è assegnato si rende conto che un corso di tedesco è necessario, affinché il signor Y possa presentare domande di lavoro nel settore della ristorazione. Insieme trovano un corso economico che comincia già la settimana successiva e che dura un semestre. Mentre frequenta il corso, trova lavoro come aiuto-cuoco e in rinomato locale svizzero. Adesso potrà approfondire la sua conoscenza del tedesco (specialmente parlato) sul posto di lavoro.
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‘’Il thinktank (innovazione scientifica) è in pericolo in Svizzera. Per garantire il futuro, abbiamo bisogno di fare più investimenti nell’istruzione e nella ricerca’’, così Thomas F.Lüscher, ordinario di cardiologia e psicologia all’università di Zurigo, responsabile del dipartimento per la medicina interna e direttore della clinica di cardiologia dell’ospedale universitario – uno dei ricercatori di scienze naturali più quotato. Quello che è ovvio per gli scolari svizzeri – l’imparare gratuitamente fino a quattro lingue –deve poter essere offerto anche ai rifugiati che si trovano in Svizzera, attraverso corsi di tedesco economici e sovvenzionati. Thomas Lüscher promuove il ‘’thinktank in Svizzera, cioè una ‘’charity a la maniera di Bill Gates’’ o partenariati a partecipazione statale che, nel loro piccolo, costituirebbero di certo una possibilità sensata di finanziamento per corsi di lingua per gli stranieri. Così l’assistenza sociale e l’assistenza alla disoccupazione avremmo meno spese nel medio o lungo periodo. I benefici di questi investimenti ripagherebbero di sicuro le spese, per chi deve imparare il tedesco, per la spesa pubblica e – last but not least – per i datori di lavoro.
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Erbe e spezie Di Patricia Ehrler. Traduzione di Petra Mauro
‘’Le luci sono accecanti’’ dissi mentre stavamo volando sopra la città di Dubai. Mi ricordava un viaggio che feci a Las Vegas. Ogni cosa era luminosa e frizzante, ed anche sulle gru c’erano le luci, cosa che rendeva il tutto ancora più impressionante.
La cosa che mi portò a visitare Dubai ed al vicino Emirato Al Agua, era il fatto di conoscere, vedere la cultura e vedere lo sviluppo delle infrastrutture in prima persona. Il cibo era, per via di un corso, anche uno dei principali motivi.
Dal 1985 la popolazione di Dubai si è moltiplicata ogni dieci anni. Ora ci si può immaginare che tipo di miscuglio di culture ci sia questa città. Approssimativamente 85% delle persone di Dubai sono espatriati che provengono da tutte le parti del mondo. Lo si riscontra nella varietà dei cibi che si possono provare nelle molte tavole calde della città.
Molte persone forse pensano che Dubai sia solo brillantezza e glamour, belle macchine e vestiti di marca. Ciò non è sbagliato, ma molti dimenticano che c’è anche una parte antica in questa ‘’città futuristica’’.
Una volta arrivati, si é trasportati istantaneamente nel mondo della ‘’vera cultura araba’’.
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Le luci della città sono qualcosa di spento in lontananza e si viene ipnotizzati dagli abras (piccole barche), che portano dall’altra parte del torrente più persone di quante se ne possa immaginare.
Dall’altra parte ci sono i mercati di erbe e spezie. Questi banchi attraggono acquirenti della regione. Da quando sono una cuoca appassionata, credevo di avere una buona conoscenza delle spezie disponibili. Ho scoperto con mia grande sorpresa di conoscere solo il 30% delle erbe e delle spezie che vengono vendute in questi mercati. Siamo entrati in un piccolo negozio dove tutti i cantucci e le fessure erano riempiti da piccole scatole contenenti ogni tipo di spezie. Il proprietario di questo banco, che più tardi scoprimmo essere un ex impiegato della Migros in Svizzera, molto eloquace, iniziò a spiegarci le diverse spezie ed il loro uso in cucina.
Il mio amico ed io decidemmo di dedicare un giorno del nostro viaggio solo a provare il cibo locale.
La colazione consisteva in hummus, formaggio fresco, datteri secchi, labneh (yogurt senza grasso di burro) e focaccia. Il labneh viene servito con olive, menta secca e olio d’oliva. Come si può notare, si
tratta più che altro di pasti salati, anche se ogni tanto vengono serviti pasticcini a colazione. Dopo un pasto del genere (la colazione) non avevamo più fame fino all’ora di cena. La cena è il pasto più leggero nella cultura araba, perciò abbiamo mangiato un mezze. Il mezze è un assortimento di piccoli antipastipasti con salse, hummus falafel, tabouleh e baba ghanoush. Questi cibi sono serviti con la focaccia e il tè caldo alla menta. Anche la carne è popolare, ma viene servita quasi soltanto a pranzo. Il pasto consiste solitamente in un’insalata, un piatto principale (pesce, pollo o carne) e riso.
La carne viene normalmente cucinata nella stessa padella con le verdure (i pomodori vengono usati molto spesso). Qualcosa come uno stufato. L’Islam ha regole precise sul cibo che non si può mangiare. Alcuni esempi sono il maiale, tutti i carnivori ed i rapaci, l’alcool e altri prodotti inebrianti.
La maggior parte dei piatti consistono in piccole porzioni che vengono serviti nel mezzo della tavola.
Questo crea un ambiente molto familiare. Soprattutto quando le famiglie e gli amici si incontrano. La conversazione tra i membri di famiglia è istantanea. La famiglia ha un’importanza prioritaria ed é normalmente piuttosto grande. Quando si organizza un ritrovo di famiglia, il gustare un buon pasto a base di mezze, frutta, succhi e tè é un aspetto centrale dello stare insieme.
Sono sicura che dopo aver letto questo articolo vi sarà venuta l’acquolina in bocca, così ho accluso le ricette del tabouleh e della focaccia. Gustate questo pasto con tè alla menta fresco e vi sembrerà di aver fatto un breve viaggio nel medio oriente. Buon appetito!
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Pane Flat Per 8 persone - 2C sale
- 300 ml acqua
- 60g burro
- 500g farina
Prima di tutto mettere la farina ed il burro sciolto in una ciotola. Aggiungere sale ed acqua. Dopodichè lavorare gli ingredienti fino a formare la pasta (verificare che non sia asciutta). Lasciare lievitare la pasta per circa 30 - 45 minuti. Dopodichè dividere la pasta in 8 grandi parti uguali. Rotolare ogni pezzo finché la forma non diventi una palla e poi appiattitela.
Tabouleh - 150g bulgur
- 4 grandi pomodori
- 2 mazzi di cipolline primavera
- 2 mazzi di prezzemolo
- limone
- 1 cucchiaio d’olio d’oliva
- sale e pepe
- eventualmente zucchero, secondo i gusti
Spremete i limoni. Ammollate il bulgur in 1 litro d’acqua tiepida per ca. 10 minuti e spremetelo con la mano in modo che diventi relativamente asciutto. Tagliate in piccoli pezzi i pomodori, le cipolline primavera, il prezzemolo e la menta. Mischiare il tutto con olio, succo di limone, sale, pepe e zucchero. Lasciare riposare per 15 minuti.
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L’essere umano può essere felice in una società basata sul denaro? Di Isabelle My Hanh Derungs2- traduzione di Daniela Mencarelli
Introduzione Ogni essere umano, secondo Aristotele, cerca di vivere bene, d’essere felice. Ma può esserlo in una società orientata all’edonismo monetario? É questa la domanda a cui cercherò di rispondere in quest’articolo. E più precisamente: che cosa intendiamo per “vivere bene”? Dimostrerò che il prezzo del perseguimento della felicità in una società orientata all’edonismo monetario è molto alto. La visione del vivere bene é parte integrante dell’economica di mercato. Se non si realizza, però, la visione è un’illusione. Ma allora cos’é necessario perché l’essere umano possa veramente essere felice in una società fondata sull’utilitarismo monetario? La mia conclusione é che in questa società, per essere felici c’è bisogno di regole eque di convivenza, di reciprocità e di scambio responsabile. C’é bisogno quindi di un’economia basta sulla ragionevolezza.
Che s’intende per vivere bene? Per rispondere alla domanda che cosa si debba intendere per vivere bene, bisogna considerare i presupposti morali di un determinato contesto storico, in termini culturali, sociali ed ambientali. Il „bene“ è un valore che ha un certo contenuto ed una certa intensità. Una persona, parte di una società fondata su principi di collettività e tradizione, non necessariamente intenderà per bene la stessa cosa di un’altra parte di una società individualistica, edonista e consumistica. Per stabilire cosa sia "vivere bene" abbiamo quindi bisogno di norme. Ma chi le definisce e sulla base di quale visione del mondo, ideologica e culturale? Secondo il pensiero edonistico, il piacere é la condizione fondamentale della felicità. La ricerca del piacere determina i rapporti e i comportamenti umani. Il
2 Isabelle My Hanh Derungs é professoressa di comunicazione interculturale presso la scuola tecnica per il
lavoro sociale di Lucerna.
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piacere è di per sé un valore desiderabile. Quando all'edonismo si accompagnano individualismo, monetarismo e consumismo, il risultato é un uomo che vede in se stesso l’artefice della sua felicità, che si sforza di soddisfare i sui desideri attraverso il godimento che deriva dal denaro. Usa tutti gli strumenti a sua disposizione per moltiplicare il denaro che possiede. Il suo motto potrebbe essere: " Godersi i soldi fino alla morte!" Neil Postman definisce la società postmoderna, come un'industria dell’intrattenimento, in cui, grazie al denaro, ci "divertiamo fino a morirne". In un’economia monetaria il valore di una risorsa dipende dalla sua scarsità: tanto più il denaro é scarso, tanto più é considerato prezioso, visto che é ritenuto il mezzo per soddisfare i nostri desideri. La conseguenza logica che ne deriva é che, in una società in cui le risorse sono scarse, solo pochi possono essere felici, perché solo pochi hanno accesso alle risorse e quindi alla felicità. La limitatezza delle risorse in una società individualistica, mette gli esseri umani gli uni contro gli altri. Il risultato sarà che solo alcuni troveranno la "chiave" per accumulare denaro e raggiungere la felicità. Ognuno è un combattente solitario sulla strada che conduce alla "felicità".
Visione ed illusione del vivere bene La visione del vivere bene richiede non solo obiettivi concreti, ma soprattutto obiettivi che, una volta realizzati, perdurino nel tempo. Se non possono essere realizzati, si tratta allora d’obiettivi illusori. Posso ritenermi felice se, pur possedendo tanti soldi alla fine della mia vita, mi ritrovo e mi sento solo? Al centro del mio percorso verso la felicità c’ero solo io. Per questo ho mantenuto le distanze da chiunque avrebbe potuto avvicinarsi. Mentre mi interessavo a coloro che, come me, guardavano solo alla propria felicità. La possibilità di condurre una vita felice dovrebbe realizzarsi in un quadro in
cui la stessa legge valga per tutti – e tutti ricevano la stessa tutela e lo stesso spazio per svilupparsi. La domanda sul vivere bene è legata alla questione etica della giustizia e dei diritti umani. La protezione dell’individuo è un dovere della società: il suo obiettivo è garantire, con le regole, sicurezza e stabilità – sulla cui base si definisce una buona convivenza sociale. I margini di libertà devono essere stabiliti in modo che ciascuno possa condividere e sopportare le conseguenze che ne derivano. Ciò significa in concreto che non posso accumulare soldi e garantire la mia felicità a scapito degli altri, senza pagarne le conseguenze, prima o poi.
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Analogamente all’edonismo, anche l’utilitarismo si basa sul concetto d’utilità. Ma, a differenza del primo, l’obiettivo dell’azione é il bene comune. Garantendo la felicità collettiva si raggiunge la felicità individuale. La consapevolezza che lo sviluppo personale dipenda dal benessere comune e della garanzia della reciprocità, ammette una relativa parità di “distribuzione della felicità”. E può quindi rafforzare la sensazione di felicità. Ognuno ha l’opportunità ... di essere felice.
La ricerca della ragionevolezza nell’economia di mercato Viviamo in una società basata sul denaro, l'economia monetaria scandisce la nostra vita quotidiana. Demonizzare il denaro sarebbe come negare la realtà. Non è il denaro che ci rende felici o infelici. Può essere utile per vivere bene, ma non è certo l'unico mezzo. Valutando tutto in termini monetari, le persone e le cose perdono la loro versatilità o la pluralità del loro valore. Cosi come non si può definire il valore di un lavoratore solo secondo il suo livello salariale, ancora meno si potrà ridurre una mela al valore di pochi centesimi del prezzo di mercato. Quando il principio del mercato diventa principio supremo, ordinatore del vivere felice, o addirittura equiparato a principio morale, abbiamo a che fare con una società che vive costantemente d’illusioni e di "inutili" simulacri. Il denaro non è la felicità - è uno dei molti mezzi per raggiungerla. Non dovrebbe essere il mezzo d'integrazione di una società, ma uno strumento utile all’integrazione nella società. Ad una società soggetta alla logica del mercato, si contrappone una società la cui logica normativa regolatrice dei rapporti interpersonali e di reciprocità é la quintessenza di un economia di mercato governata dall’etica della ragionevolezza.
Consulenza come guida del vivere bene L’economia è un'attività sociale e fa parte della vita quotidiana. Nella società postmoderna, il punto di vista individualistico ed edonista della felicità é considerato un’ovvietà che i media e la pubblicità diffondono continuamente. Ma vivere bene è possibile solo sulla base di rapporti di stima e d’impegno reciproco per la felicità altrui, il che è possibile solo in una comunità culturalmente ricca, in cui vigono regole formali e informali corrispondenti. Nello spazio lasciato libero all’interpretazione fra i due concetti, legittimità e legalità dell'economia di mercato - quale garanzia della soddisfazione dei bisogni -, si conducono le battaglie morali fra i diversi punti di vista sulla felicità. Quando si riceve un mandato
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di consulenza, ci si trova di fronte alla visione etica preesi-stente nell’azienda che sarà oggetto di discussione durante tutte le fasi del la-voro di consulenza. Con il procedere dell’analisi e delle valutazioni s’iden-tificano le cosid-dette aree proble-matiche. Come con-
sulente vorrei richiamare l’attenzione delle aziende sui benefici a lungo termine e sulla sostenibilità di uno sviluppo "buono" e "di successo". Se si vuole che i valori aziendali non restino solo una visione astratta, ma che si traducano in codici di condotta, in principi e in cultura imprenditoriale. Ciò richiede un processo continuo e consapevole, finalizzato ad uno svi-luppo culturale ed ad una prosperità duratura dell’ azienda. A beneficiarne saranno sia i singoli dipendenti, sia l'intera organizzazione. Ma se i principi non saranno implementati nel lungo periodo, degenereranno in alibi ben noti. Il senso di tali visioni é però quello di farne degli obiettivi aziendali concreti.
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