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Newsletter periodica d’informazione

Newsletter periodica d’informazione

Newsletter ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agliiscritti UIL

Anno XV n. 21 del 02 ottobre 2017

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

Cittadinanza: Jus soli addio…?

Il cinismo delle convenienze

“Non è il momento adatto”. Per il ministro Alfano approvare o meno la riforma della cittadinanza dipende unicamente da convenienze elettorali. Questa volta, per lo meno è stato sincero: perché perdere voti per fare un favore ai figli degli extracomunitari?  “Non è il momento”, dice il titolare degli Esteri. Il momento giusto però il Senato non l’ha mai trovato nei 23 mesi trascorsi da quando la legge è stata approvata dalla Camera. Né, in verità, le altre forze di maggioranza hanno mai battuto abbastanza i pugni sul tavolo per portare la legge alla discussione dell’Aula a Palazzo Madama. Il sindacato aveva denunciato fin prima dell’estate che se non si fosse calendarizzata subito la legge si sarebbe fatto un grandissimo favore a chi questa riforma non la vuole. Purtroppo, questo è quanto puntualmente accaduto. La UIL, il mondo sindacale, assieme alle reti #l’Italiasonoanch’io ed #italianisenzacittadinanza, continueranno a richiamare Parlamento e Governo alle proprie responsabilità. Negare ad un milione di bambini e ragazzi il diritto ad essere considerati pari ai loro compagni di scuola italiani, è un atto di cinismo politico che non fa onore a nessuno.  

SOMMARIO

Appuntamenti pag. 2

Cittadinanza: che fine ha fatto? pag. 2

Ius soli e valori pag. 4

Alfano, i migranti e la Libia pag. 5

Migranti “se si alzano i muri” pag. 5

Il piano d’integrazione per i rifugiati pag. 6

“Rispettare i valori del nostro Paese” pag. 8

Sbarchi in calo pag. 9

Il no allo Jus soli tra fake news e ragioni pag. 9

Rom pride, despite everything pag. 11

A cura del Servizio Politiche Territoriali della UilDipartimento Politiche MigratorieTel. 064753292 - 4744753 - Fax: 064744751Email:[email protected]

2

Dipartimento Politiche

Migratorie: appuntamenti

Roma, 4 ottobre 2017, sede UIL nazionale

Riunione uffici immigrazione di Cgil, Cisl, Uil

(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)

Bruxelles, 11-12 ottobre 2017

Gruppo mobilità, migrazione ed inclusione della CES

(Giuseppe Casucci)

Modena, 13 ottobre 2017, ore 10

Festival dell’immigrazione

(Giuseppe Casucci)

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Prima pagina

Cittadinanza: da 13 anni la discussione in Parlamento. Che fine ha fatto?

Lo leggo do (Ansa) A Cura Di Alessandra Chini -  27 settembre 2017 - Il testo, che introdurrebbe nel nostro ordinamento il cosiddetto 'ius soli soft' per i figli di immigrati nati in Italia è in discussione da anni e, a un anno e mezzo dall'approvazione a Montecitorio è fermo in commissione a Palazzo Madama. E' da moltissimo tempo che il tema è all'ordine del giorno delle Camere e a metà ottobre 2015, Montecitorio ha anche approvato un testo, finito, poi, però, nelle 'sabbie mobili' in commissione a Palazzo Madama. A un anno dall'ok a quel testo un gruppo di giovani ha deciso di scrivere direttamente ai senatori e organizzare iniziative per porre l'accento sulla questione. Che tocca un milione di ragazzi. "Paula, Mohamed, Marwa - dice l'ex ministro Cecile Kyenge - sono i nomi dei compagni di scuola e degli amici che ogni giorno giocano con i nostri figli, crescono con loro ma non hanno i loro stessi diritti. Sono un milione, sono italiani, ma non per la legge italiana. Hanno il diritto di essere come noi, perché lo sono: italiani. Ogni giorno che passa è un giorno perso, anche per il Paese. Perché lo ius soli è un bene per il nostro Paese. Per questo deve diventare legge il più presto possibile. Ius soli subito". Il testo, che introdurrebbe nel nostro ordinamento il cosiddetto 'ius soli soft' per i figli di immigrati nati in Italia è in discussione da anni e, a un anno e mezzo dall'approvazione a Montecitorio è fermo in commissione a Palazzo Madama. E' da moltissimo tempo che il tema è all'ordine del giorno delle Camere e a metà ottobre 2015, Montecitorio ha anche approvato un testo, finito, poi, però, nelle 'sabbie mobili' in commissione a Palazzo Madama. A un anno dall'ok a quel testo un gruppo di giovani ha deciso di scrivere direttamente ai senatori e organizzare iniziative per porre l'accento sulla questione. Che tocca un milione di ragazzi. "Paula, Mohamed, Marwa - dice l'ex ministro Cecile Kyenge - sono i nomi dei compagni di scuola e degli amici che ogni giorno giocano con i nostri figli, crescono con loro ma non hanno i loro stessi diritti. Sono un milione, sono italiani, ma non per la legge italiana. Hanno il diritto di essere come noi, perché lo sono: italiani. Ogni giorno che passa è un giorno perso, anche per il Paese. Perché lo ius soli è un bene per il nostro Paese. Per questo deve diventare legge il più presto possibile. Ius soli subito". La mobilitazione dei ragazzi, che hanno anche creato su Facebook un gruppo per spingere la proposta di legge li ha portati a un incontro con il presidente del Senato, Pietro Grasso che si è impegnato sul tema. "Ho incontrato i promotori della legge sulla cittadinanza - ha detto - e mi sono espresso sulla necessità che venga approvata al più presto. M'impegno a sollecitare la trattazione di questa proposta". "Purtroppo le Commissioni stabiliscono priorità - ha aggiunto Grasso - che sfuggono a quelle che possono essere le percezioni e le esigenze dei cittadini". E' da tredici anni che in Parlamento si discute di una riforma in materia di cittadinanza.

LE TAPPE DEL PROVVEDIMENTO - Tra il 2003 e il 2004 la commissione Affari Costituzionali della Camera esamina diverse proposte parlamentari ed elabora un testo unificato che, dopo l'esame in commissione, approda in Aula ma viene rimandato in commissione il 16 maggio 2004. Nella XIV legislatura la Camera ci riprova. Se ne riparla a partire dal 3 agosto 2006 con una indagine conoscitiva. Nel gennaio 2008 per il testo sembrerebbe la 'volta buona' dopo una discussione in commissione ma la legislatura si interrompe e l'iter deve ricominciare da capo. Anche la successiva legislatura mette all'ordine del giorno la questione ma il 12 gennaio 2010 il testo approda nuovamente in Aula e nuovamente viene rimandato in commissione per approfondimenti. Dal 14 giugno 2012 è partito un nuovo tentativo in commissione con l'esame di alcune proposte. Il 31 luglio 2012 si è concluso l'esame preliminare delle proposte di legge ma la commissione non è riuscita a elaborare un testo base e l'esame è stato interrotto l'8 novembre 2012. Dal 27 giugno del 2013 si riprende l'esame alla Camera ed è stato approvato a metà ottobre del 2015. Il provvedimento è stato da allora in discussione in commissione Affari Costituzionali in Senato ed è approdato in Aula il 15 giugno per essere incardinato. Il testo, che introdurrebbe nel nostro ordinamento il cosiddetto 'ius soli soft' per i figli di immigrati nati in Italia è in discussione da anni e, a un anno e mezzo dall'approvazione a Montecitorio è fermo in commissione a Palazzo Madama.

E' da moltissimo tempo che il tema è all'ordine del giorno delle Camere e a metà ottobre 2015, Montecitorio ha anche approvato un testo, finito, poi, però, nelle 'sabbie mobili' in commissione a Palazzo Madama. A un anno dall'ok a quel testo un gruppo di giovani ha deciso di scrivere direttamente ai senatori e organizzare iniziative per porre l'accento sulla questione. Che tocca un milione di ragazzi. "Paula, Mohamed, Marwa - dice l'ex ministro Cecile Kyenge - sono i nomi dei compagni di scuola e degli amici che ogni giorno giocano con i nostri figli, crescono con loro ma non hanno i loro stessi diritti. Sono un milione, sono italiani, ma non per la legge italiana. Hanno il diritto di essere come noi, perché lo sono: italiani. Ogni giorno che passa è un giorno perso, anche per il Paese. Perché lo ius soli è un bene per il nostro Paese. Per questo deve diventare legge il più presto possibile. Ius soli subito". La mobilitazione dei ragazzi, che hanno anche creato su Facebook un gruppo per spingere la proposta di legge li ha portati a un incontro con il presidente del Senato, Pietro Grasso che si è impegnato sul tema. "Ho incontrato i promotori della legge sulla cittadinanza - ha detto - e mi sono espresso sulla necessità che venga approvata al più presto. M'impegno a sollecitare la trattazione di questa proposta". "Purtroppo le Commissioni stabiliscono priorità - ha aggiunto Grasso - che sfuggono a quelle che possono essere le percezioni e le esigenze dei cittadini".

E' da tredici anni anni che in Parlamento si discute di una riforma in materia di cittadinanza.

LE TAPPE DEL PROVVEDIMENTO - Tra il 2003 e il 2004 la commissione Affari Costituzionali della Camera esamina diverse proposte parlamentari ed elabora un testo unificato che, dopo l'esame in commissione, approda in Aula ma viene rimandato in commissione il 16 maggio 2004. Nella XIV legislatura la Camera ci riprova. Se ne riparla a partire dal 3 agosto 2006 con una indagine conoscitiva. Nel gennaio 2008 per il testo sembrerebbe la 'volta buona' dopo una discussione in commissione ma la legislatura si interrompe e l'iter deve ricominciare da capo. Anche la successiva legislatura mette all'ordine del giorno la questione ma il 12 gennaio 2010 il testo approda nuovamente in Aula e nuovamente viene rimandato in commissione per approfondimenti. Dal 14 giugno 2012 è partito un nuovo tentativo in commissione con l'esame di alcune proposte. Il 31 luglio 2012 si è concluso l'esame preliminare delle proposte di legge ma la commissione non è riuscita a elaborare un testo base e l'esame è stato interrotto l'8 novembre 2012. Dal 27 giugno del 2013 si riprende l'esame alla Camera ed è stato approvato a metà ottobre del 2015. Il provvedimento è stato da allora in discussione in commissione Affari Costituzionali in Senato ed è approdato in Aula il 15 giugno per essere incardinato.

ECCO COSA PREVEDE - Il testo contiene lo "Ius soli soft" che consentirà ai figli degli immigrati nati in Italia di ottenere la cittadinanza nel rispetto di alcuni paletti. In base alle nuove regole, i minori stranieri nati in Italia o residenti da anni nel Paese potranno ottenere la cittadinanza italiana, purché rispettino alcune condizioni come la frequenza scolastica o la residenza nel Paese da più anni da parte di uno dei genitori. Rispetto allo ius soli classico (quello adottato negli Usa e in molti paesi del Sudamerica che attribuisce la cittadinanza del Paese a chiunque nasce sul suolo nazionale), lo "Ius soli soft" pone alcune condizioni all'ottenimento della cittadinanza. I bambini figli di stranieri che nascono in Italia acquisiscono la cittadinanza se almeno uno dei due genitori "è residente legalmente in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni, antecedenti alla nascita" o anche se uno dei due genitori, benché straniero, "è nato in Italia e ivi risiede legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno". La cittadinanza italiana verrebbe assegnata automaticamente al momento dell'iscrizione alla anagrafe. I minori nati in Italia senza questi requisiti, e quelli arrivati in Italia sotto i 12 anni - in base al testo - potranno ottenere la cittadinanza se avranno "frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale". I ragazzi arrivati in Italia tra i 12 e i 18 anni, infine, potranno avere la cittadinanza dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni e aver frequentato "un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo". 

Ius soli e valori: risposte pragmatiche a dubbi legittimi

Ferruccio Pastore

Appare ormai probabile che, anche questa volta, la riforma della cittadinanza (“una cosa giusta in un momento sbagliato”, secondo il leader di Alternativa popolare, Angelino Alfano) verrà affossata da tatticismi politici. Ma se pure questo progetto decadesse, la questione si ripresenterà, con urgenza sociale ancora maggiore, nella prossima legislatura. E’ dunque essenziale proseguire e approfondire la discussione, concentrandosi non tanto sulle ragioni tattiche, ma su quelle strategiche e di principio, pro o contro la riforma. Per questo, i legittimi e radicali dubbi di Ernesto Galli della Loggia (“Lo ius soli e i dubbi legittimi”, Corriere della Sera, 24 settembre ) meritano una riflessione. Il provvedimento approvato alla Camera e poi bloccato in Senato sarebbe pericolosamente generoso, perché fondato su una prospettiva “astrattamente individualista, indipendente da ogni realtà culturale”. In particolare, la proposta di riforma, aprirebbe le porte della cittadinanza a centinaia di migliaia di giovani, prescindendo del tutto “dal contesto culturale familiare e di gruppo in cui il futuro cittadino è cresciuto, e tanto più da qualunque accertamento circa l’influenza che tale contesto può avere avuto su di lui, sui suoi valori personali, sociali e politici”. Senza un filtro culturale e morale, la legge renderebbe italiani dei giovani potenzialmente portatori di valori incompatibili con quelli fondanti la nostra comunità nazionale. Come molti altri, Galli della Loggia mette in particolare l’accento sul principio di uguaglianza tra uomini e donne, individuandolo giustamente come “elemento di base della cultura della comunità italiana”.

Lasciamo da parte l’ovvia considerazione che purtroppo, ogni giorno, la cronaca e l’esperienza ci mostrano come questo sacrosanto principio sia lontanissimo dall’informare il funzionamento concreto della società italiana. Ammettiamo pure che mentalità sessiste e violente siano più diffuse tra le persone “di cultura islamica” (che Galli della Loggia considera esplicitamente il cuore del problema) che tra tutti gli altri. Prendiamo dunque sul serio il legittimo dubbio dell’editorialista e chiediamoci cosa implica in concreto. Intanto, va chiarito che, se la mentalità sessista del candidato alla cittadinanza si è manifestata in forme violente e penalmente rilevanti, l’accesso alla cittadinanza può comunque essere precluso. Quindi, stiamo parlando di escludere dalla cittadinanza giovani la cui presunta mentalità retrograda non ha dato luogo, almeno finora, a comportamenti illeciti. Ma, concretamente, come funzionerebbe questo filtro culturale e morale, e quali effetti pratici produrrebbe? Fare queste domande non è bizantinismo; al contrario, significa prendere sul serio il dubbio legittimo di Galli della Loggia, rifiutandosi di etichettarlo come pretesto ideologico. Allora, come funzionerebbe in pratica il filtro anti-sessista? Attraverso un questionario, dei test psicologici, delle indagini condotte a scuola e nell’ambiente familiare? Solo rispondendo a queste domande, l’obiezione di Galli può diventare oggetto di un dibattito serio. Altrimenti, diventa difficile fissare un limite alla presunzione di irriducibile “non integrabilità” di tutti coloro che, per il solo fatto di essere figli o nipoti di musulmani, vengono considerati musulmani anch’essi, per così dire jure sanguinis. Senza un modo concreto per stabilire se un giovane con un retroterra familiare musulmano (non importa se di seconda o, al limite, anche di terza generazione) sia effettivamente portatore di una mentalità inaccettabilmente sessista, si rischia di condannare a priori costui (o costei) all’esclusione dalla cittadinanza, e quindi dal principio democratico. Ma supponiamo che, invece, un sistema per identificare con certezza il giovane inaccettabilmente illiberale e retrogrado esista. Siamo comunque sicuri che escluderlo per questo dalla cittadinanza e dalla piena parità di diritti e doveri sia la soluzione migliore? Ovviamente, un simile diniego di cittadinanza per “indegnità” culturale e morale non impedirebbe allo straniero in questione, in quanto titolare di un regolare permesso di soggiorno, di continuare a vivere in Italia. Anche se “bocciato” nella sua aspirazione a diventare italiano, questo giovane rimarrebbe membro di fatto della comunità nazionale, sebbene in condizione di minorità giuridica e politica. Ma siamo certi che questo mantenimento ai margini avrebbe un effetto pedagogico? Che servirebbe a convincere il giovane sessista e illiberale della superiorità dei nostri valori? Siamo sicuri che questa esclusione aumenterebbe il grado complessivo di coesione e di sicurezza della nostra comunità nazionale? Non rischierebbe piuttosto di innescare una spirale di ulteriore estraniazione, crescente risentimento e magari persino radicalizzazione violenta? Certo, come dimostrano le agghiaccianti parabole biografiche di tanti jihadisti europei, essere cittadini non basta a generare vincoli di appartenenza, rispetto e solidarietà. Ma un’estromissione a priori dalla cittadinanza per ragioni culturali o morali rischia di produrre una spinta contraria, favorendo paradossalmente quell’esito nefasto che si voleva prevenire.

Libia: Alfano "migranti in calo ma ignoriamo quanti siano li'"

Lo leggo do

(AGI) - Roma, 28 set. - Non ci sono numeri certi sulle presenze di migranti in Libia: lo ha ammesso il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, che stamane, poco prima di partire alla volta di Tripoli, dove oggi incontrerà le autorità del governo legittimo, ha aggiornato il Parlamento sul lavoro del governo in merito alla crisi libica. Davanti alle commissioni congiunte Esteri e Difesa del Senato, Alfano ha detto che sta funzionando la gestione dei confini meridionali della Libia, dove sono diminuiti sostanzialmente gli ingressi: dal confine con il Niger, ha detto, i transiti sono passati da 70mila nel 2016 a 4mila quest'ano). "Ma mentre diminuiscono gli ingressi in Libia e diminuiscono le partenze di chi si mette in mare, rimane il tema della presenze dei migranti in Libia e di come gestirli", ha sottolineato il titolare della Farnesina. Si lavora, ha spiegato, lungo due direttrici: i rimpatri volontari assistiti, rimpatri di persone che danno il consenso a tornare nei Paesi d'origine e che "non tornano da soli, ma sono assistiti sotto vari punti di vista, anche economico". L'altro binario è quello che riguarda i soggetti riconosciuti bisognosi di protezione umanitaria: l'ipotesi a cui si lavora, ha spiegato, è "un piano che coinvolga più Paesi nel mondo, che accolgano questi soggetti". "Ma la rivoluzionarietà di un tal piano è nel fatto che per la prima volta l'accertamento della condizione giuridica del bisogno di protezione umanitaria avverrà in loco: facciamo lì i centri per verificare se hanno bisogno di protezione umanitaria". Nell'ambito di questo progetto, Alfano ha ricordato l'Oim (l'Organizzazione internazionale per le migrazioni) ha già ripreso la propria attività nel Paese nordafricano (gestendo anche i rimpatri volontari assistiti, 7mila fin qui) e che "dopo 66 anni l'l'Unhcr torna in Libia, un'iniziativa straordinaria". E ha confermato la possibile presenza di Ong italiane in loco: il governo, ha detto, sta lavorando a un bando per finanziare le attività di Ong che potranno dare "il supporto di expertise italiana, in termini di trattamento dignitoso e secondo standard accettabili (non un gradino inferiore)". E ha ribadito comunque che gli operatori delle Ong italiane partiranno solo "a condizioni di sicurezza certificate e verificate: la sicurezza per noi è prioritaria". Quanto all'ipotesi che nei campi di accoglienza, oltre a operatori di Oim, Unhcr e di ong italiane, lavorino anche quelli di ong libiche, ha detto che occorrerà prima verificare che abbiano una competenza specifica in questo campo. Un lavoro dunque su più fronti, su cui sia l'Onu che il governo Serraj hanno dato giudizio positivo. "Quello che non

accettiamo -ha però detto Alfano- è di restare prigionieri di un paradosso, secondo cui dopo aver salvato mezzo milione di vite umane in mare, essendosi bloccati i flussi, l'Italia venga accusata del trattamento poco dignitoso nei centri libici". (AGI)

Società

 

Migranti. “Se si alzano muri, non saranno mai abbastanza alti”

Il vescovo Perego: “L’emergenza legata principalmente ai territori che non se fanno carico; un miliardo di euro alle mafie”

Lo leggo do

di Cecilia Gallotta

E’ uno dei temi che più scaldano l’attualità nazionale, “ma anche europea e del mondo”, e -ovviamente – anche quella ferrarese. Ma quello dei flussi migratori è un processo che “non può essere ridotto soltanto a una politica locale – afferma il segretario della Uil nazionale Guglielmo Loy – e sul quale bisognerebbe trovare più spesso occasioni d’incontro libere da pressioni e pregiudizi”. Con questo spirito l’associazione sindacale Uil ha riunito attorno a un tavolo i pensieri di autorità e istituzioni su una realtà che “solitamente si affronta ai due estremi: quelli di chi dice ‘accogliamoli tutti’, e di chi fa la politica degli slogan – afferma il segretario generale Uil di Ferrara Massimo Zanirato – come se non sapessimo ciò che accade ‘a casa loro’, e come se questo non ci riguardasse e non si ripercuotesse sulle nostre città anche a distanza”.

E’ chiaro che “l’arrivo di 600mila persone sbarcate sulle nostre coste negli ultimi tre anni, ha visto il sistema di tutela al diritto di asilo assolutamente impreparato”, afferma mons. Gian Carlo Perego, che “sul tema ha esperienza sul campo”, lo introduce Zanirato.“Alla luce delle centinaia di morti che ho visto personalmente recuperare dalla marina – prosegue Perego – e della speranza vana che l’Europa si accorgesse di dover ‘recuperare’ questo mare, l’operazione Mare Nostrum è stata una grande provocazione in tal senso. L’emergenza è legata principalmente ai territori che non se fanno carico: basti pensare che un miliardo di euro sono stati dati alle mafie, quando su 8mila comuni, oggi, meno di mille hanno avviato il progetto Sprar”.

A Ferrara sono 1350 i richiedenti asilo arrivati negli ultimi 3 anni e mezzo, 1200 dei quali “ospitati nei Cas (Centri Accoglienza Straordinari) della prefettura – illustra il prefetto Michele Tortora – e i restanti 150 nel sistema Sprar della provincia”. Certo, il fatto che il Cas si sia rivelato “un sistema dormitorio – lo definisce Perego – è sicuramente un elemento critico, che ha inciso sui termini di inclusione di cui una persona avrebbe bisogno per essere accolta”. Termini che il sindaco Tagliani riunisce nella definizione di ‘accoglienza diffusa’: “ricordiamoci la matrice etimologica della parola accoglienza – afferma il primo cittadino – ossia ‘legare assieme’, che è molto diverso da ‘relegare’. Noi ci stiamo preoccupando dei 1300 profughi, ma ci sono 13mila esempi di cittadini extracomunitari che vivono nella nostra città esattamente al nostro pari e pagano le tasse come (forse) noi. Bisogna fare di queste persone dei conoscitori della realtà che hanno intorno – prosegue il sindaco – perché la lezioncina di lingua da sola non ha senso”. D’accordo anche Guglielmo Loy sul fatto che “se non c’è una politica d’aiuto e sostegno, non riusciremo mai ad alzare muri sufficientemente alti: bisogna capire qual è il tasso di sostenibilità dell’accoglienza, altrimenti si rischia il rigetto della popolazione. E con il tasso di natalità che c’è, tra 20 anni saremo un paese di vecchi, insufficiente a soddisfare il welfare: una risposta a questo bisogna trovarla, e non sono né i flussi incontrollati, né il viceversa”.

Salute, casa, formazione. Ecco il piano di integrazione per i rifugiati di Minniti

Tra i punti: l’accesso alle cure, percorsi di formazione e programmi alloggiativi.

Lo leggo do Parità di trattamento nell’accesso alle cure, all’alloggio e alla residenza. E poi, corsi di lingua, inserimento lavorativo e la “promozione della convivenza con i cittadini italiani nel rispetto dei valori costituzionali con il reciproco impegno a partecipare all'economia, alla vita sociale e alla cultura dell'Italia maggiore informazione”. E’ quanto prevede il piano integrazione per i titolari di protezione internazionale, presentato oggi al Viminale dal ministro dell’Interno Marco Minniti. I beneficiari sono circa 73 mila persone, per le quali il ministero “prevede veri e propri percorsi d’inclusione sociale e integrazione di lungo respiro, con l’obiettivo finale di raggiungere l’autonomia personale”. Il Viminale spiega che al 30 giugno 2017, nel sistema di accoglienza nazionale vi erano 193.634 adulti e 17.864 minori stranieri non accompagnati, ma “l’attuale quadro complessivo evidenzia uno scenario decrescente dei flussi migratori, in virtù delle recenti linee di indirizzo politico, dell’ accordo bilaterale tra il governo Italiano e il governo della Libia per il controllo dei flussi, dell’accordo con i Sindaci dei Comuni Libici e degli accordi di cooperazione con i paesi di transito”.

Nello specifico, il piano parte dall’accoglienza “primo passo per l’integrazione”.L’obiettivo – si legge nel testo - è di portare a piena attuazione l’intesa sancita in Conferenza unificata nel 2014 e rendere il sistema di accoglienza più orientato all’integrazione, elevando il livello dei servizi offerti nel sistema di accoglienza straordinario (CAS), iniziando subito i percorsi d’integrazione e rafforzando le iniziative esistenti attraverso. In particolare, includendo l’insegnamento della lingua e l’orientamento culturale sin dall’inizio e implementando i servizi volti all’integrazione in tutte le strutture, con particolare attenzione ai Cas, specialmente nei casi in cui essi svolgano il ruolo di centri di seconda accoglienza. Si prevede anche di inserire nei bandi per la gestione dei centri di accoglienza figure professionali competenti, in grado di lavorare in contesti multiculturali e di mediazione sociale, assicurando particolare attenzione a situazioni di vulnerabilità, alle differenze di genere e all’unità dei nuclei familiari.

Tra i punti principali c’è ’accesso alla salute, all’alloggio e alla residenza. Il piano ricorda che l’accesso all'assistenza sanitaria è un diritto sancito dalla Costituzione Italiana. ma che l’offerta e l’accesso ai servizi sanitari da parte dei titolari di protezione nel nostro paese risulta eterogenea, con disuguaglianze che gravano in modo particolare sui soggetti più vulnerabili, come le vittime di tratta, di tortura o di stupri, i lavoratori sfruttati, i minori non accompagnati e i sopravvissuti ai naufragi. Gli elementi più critici riguardano la mancanza di conoscenza dei servizi disponibili, le differenze linguistiche, i diversi atteggiamenti culturali nei confronti della salute e dell’assistenza sanitaria e la mancanza di una rete sociale di supporto.  L’obiettivo è quindi quello di arrivare a una piena implementazione dell’accordo Stato-Regioni per la salute dei migranti sancito nel 2012, con un aumento e una standardizzazione degli interventi volti a semplificare l’accesso al servizio sanitario nazionale in tutte le regioni Italiane. Per quanto riguarda la questione abitativa, “che coinvolge le fasce deboli di tutto il paese”, ricorda il Viminale, l’obiettivo per il prossimo biennio è che le persone titolari di protezione possano accedere alle risorse che il welfare territoriale mette a disposizione. In particolare si prevede di estendere l’accesso alle possibili soluzioni abitative, rendendo territorialmente omogenea l’erogazione di servizi e sviluppando standard minimi per l’accesso ai servizi abitativi; di creare le condizioni perché i piani per l’emergenza abitativa regionali o locali includano percorsi di accompagnamento per i titolari di protezione in uscita dall’accoglienza, verificando anche la possibilità di includerli negli interventi di edilizia popolare e di sostegno alla locazione. E di incentivare fin dalle ultime fasi di accoglienza l’avvio di percorsi volti a favorire iniziative di coabitazione (affitti condivisi, condomini solidali) come pure la sperimentazione di pratiche di buon vicinato. Nel piano si parla anche di  programmi d’intervento sociale “per rispondere alle complessità relative agli insediamenti informali nei centri urbani, stabilendo procedure di accompagnamento alla fuoriuscita anche attraverso la ricognizione degli edifici pubblici in disuso da destinare all’abitare sociale”.

Il piano prevede un’attenzione particolare per le donne rifugiate e richiedenti protezione internazionale. In particolare per quelle che arrivano dalla Nigeria che nell’ultimo biennio sono passate da 5.000 nel 2015 a 11.009 nel 2016 e al 30 giugno u.s. sono 4.168. “La maggioranza di queste donne arriva in Italia dopo un viaggio caratterizzato da abusi, violenze e vari tipi di sfruttamento – si legge -. Il sistema di accoglienza deve quindi prestare particolare attenzione alle specifiche vulnerabilità di genere e alle donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale - un fenomeno in costante aumento, per l’attivazione dei meccanismi di protezione previsti dalla normativa vigente e il referral agli enti di tutela specializzati”. In particolare il Viminale, sottolinea come sia necessario che vengano realizzate e implementate le azioni previste dal Piano Nazionale di Azione contro la tratta e il grave sfruttamento di esseri umani, adottato nel Febbraio 2016, fin dalle prime azioni di assistenza. Le strutture devono disporre di personale femminile di riferimento, in particolare per i servizi di mediazione culturale, quelli legali e quelli medici in modo tale da informare le donne dei servizi offerti, come pure di promuovere la loro salute anche riproduttiva, facilitare l’acceso a servizi specialistici per le vittime di violenze e le vittime di tratta.

Il piano per l’integrazione ha ricevuto l’apprezzamento dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. “Il Piano è uno strumento fondamentale per adottare azioni concrete che facilitino percorsi di inclusione sociale dei rifugiati ed è frutto di un lavoro collettivo a cui hanno preso parte rappresentanti dei diversi ministeri interessati, degli enti locali, della società civile e delle organizzazioni internazionali – sottolinea l’Unhcr - Il Piano ha inoltre raccolto la voce dei rifugiati stessi attraverso dei focus group condotti dall’Unhcr in varie regioni d’Italia. Per questo esprimiamo apprezzamento per l’approvazione oggi del Piano Nazionale Integrazione da parte del Tavolo Nazionale di Coordinamento presieduto dal Ministro dell’Interno Minniti”. Nella nota l’Alto commissariato spiega di condividere l’approccio volto a sostenere i rifugiati nel loro percorso verso il raggiungimento dell’autonomia, “condizione necessaria per favorire l’integrazione nella società italiana e rimane disponibile a sostenere le autorità nel difficile compito di realizzare gli obiettivi indicati nel documento”. (ec)

Piano Nazionale Integrazione per i titolari di protezione internazionale

Contenuto pagina

E’ stato presentato lo scorso 26 settembre, al Tavolo di Coordinamento Nazionale sui flussi migratori non programmati, il primo Piano Nazionale Integrazione dei titolari di protezione internazionale, previsto dall’art.1, comma 3, del D.Lgs. 21 febbraio 2014, n.18.

 Scarica: Piano Nazionale Integrazione

 Fonte: Ministero dell’Interno

Migranti, il piano del governo: casa e lavoro ai profughi, "ma devono rispettare leggi e valori"

La strategia per lʼintegrazione approvata dal Viminale riguarda 74.853 immigrati, che "in cambio" dovranno sottoscrivere una serie di impegni

Lo leggo do (http://www.tgcom24.mediaset.it/) – 27 settembre 2017 - Garantire alloggi, lavoro, assistenza sanitaria e obbligo scolastico ai profughi, ma a patto che rispettino le leggi e la cultura del nostro Paese. E' questo il nodo centrale del primo Piano nazionale per l'integrazione dei rifugiati varato dal Viminale, che riguarda quasi 75mila immigrati (74.853). "Abbiamo lavorato a una strategia di integrazione sostenibile, quindi con una presenza degli stranieri equamente distribuita sul territorio nazionale", ha affermato il ministro dell'Interno, Marco Minniti.

Gli stranieri che beneficiano della protezione internazionale dovranno sottoscrivere una serie di impegni e in cambio, dopo il riconoscimento dello status di rifugiato, potranno accedere alle graduatorie per ottenere la casa e il lavoro. Per finanziare il Piano, l'Ue ha messo a disposizione 100 milioni di euro. Le altre risorse necessarie arriveranno da quei finanziamenti europei dedicati all'assistenza e all'accoglienza degli stranieri.Finora l'attività di integrazione era affidata alla gestione di Regioni ed Enti locali. L'obiettivo del governo è quello di evitare soluzioni "improvvisate". I numeri, però, non aiutano: sono oltre 196mila le persone che già fanno parte del sistema di accoglienza nazionale, quasi tutti richiedenti asilo. Per questi individui viene offerta "su base volontaria" la possibilità di partecipare "alle attività di utilità sociale a favore delle collettività locali". In modo da rendere più operativa la loro presenza sul territorio. Non solo: in Italia sono presenti inoltre 18.486 minori stranieri non accompagnati. Il test iniziale - Secondo il Piano, "l'apprendimento della lingua italiana rappresenta un diritto ma anche un dovere". E' questo il motivo che ha portato a stabilire "un test iniziale che aiuti a definire il livello e la metodica d'insegnamento più adatta" al fine di rendere obbligatoria la partecipazione ai corsi di lingua. Mentre per i minori vige l'obbligo scolastico, per gli adulti è previsto "il riconoscimento dei titoli e delle qualifiche acquisiti nel Paese di origine".La questione alloggio - Per quanto riguarda le abitazioni, il Viminale ha previsto "percorsi di accompagnamento per i titolari di protezione in uscita dall'accoglienza, verificando anche la possibilità di includerli negli interventi di edilizia popolare e di sostegno alla locazione". Al fine di evitare soluzioni improvvisate, nelle ultime fasi dell'accoglienza le autorità dovranno "favorire iniziative di coabitazione: affitti condivisi e i condomini solidali". Previsto inoltre l'eventuale "supporto economico per l'affitto".Nel documento si legge che "l'obiettivo per il prossimo biennio è che le persone titolari di protezione possano accedere alle risorse che il welfare territoriale mette a disposizione. Nella consapevolezza della situazione di emergenza abitativa che coinvolge le fasce deboli di tutto il Paese". Un punto che ha già dato vita ad accese polemiche, dovute all'equiparazione dei diritti tra rifugiati e italiani in difficoltà economiche.Dialogo religioso e Islam - Attuare il "Patto con l'Islam" a livello locale per promuovere attivamente il dialogo tra le religioni: è questa un'altra priorità del Piano del Viminale. Nel testo si ribadisce che "le moschee siano aperte alla partecipazione di tutti i cittadini, oltre a prevedere che, in caso di nuove edificazioni, le fonti di finanziamento, sia interne che internazionali, siano rese note".Lavoro e assistenza sanitaria - Il ministero dell'Interno intende inoltre promuovere "il sostegno alla creazione d'impresa, all'autoimpiego e al concreto inserimento nel settore lavorativo" degli stranieri. Per quanto concerne l'assistenza sanitaria, essa è già garantita ai richiedenti asilo, i quali dovranno essere inseriti nella "fascia di popolazione più vulnerabile con particolare riferimento a salute mentale e disabilità, minori, donne, mutilazioni genitali femminili, violenza di genere". Grande attenzione è stata riservata inoltre al "potenziamento delle attività di prevenzione con particolare riferimento a vaccinazioni, screening e tutela della salute materno-infantile".

Sbarchi

Sbarchi in calo del 21,5 %

Migranti, Minniti: c'è segnale di governo dei flussi

Di Andrea gagliardi, il Sole 24 Ore

Abbiamo, tra virgolette, un segnale di 'governo dei flussi'. Non era scontato che questo avvenisse, non è scontato che questo permanga». Lo ha detto parlando di migrazione il ministro dell'Interno, Marco Minniti, intervenendo ad Aci Castello, nel Catanese, a un'iniziativa a sostegno del candidato del centrosinistra a governatore della Sicilia, Fabrizio Micari, dal tema Il diritto alla sicurezza, il dovere della solidarietà”. «Siamo di fronte ad una stabilizzazione del dato - ha aggiunto il ministro - e questo è molto importante perché poter gestire e governare una politica dell'accoglienza è un punto cruciale per ogni singolo Paese, perché significa cancellare la parola emergenza, non essere costretti a rincorrere i fenomeni. E questo è un elemento cruciale nella forza delle nostre democrazie. Non so se porteremo a compimento questo disegno. Noi ce la stiamo mettendo tutta». Minniti: 16mila salvati in 8 mesi da marina libica Il calo senza precedenti degli sbarchi, è ascrivibile, secondo il Viminale, al confronto avviato con la Libia, sia con il governo presidenziale di Fayez Al-Serraj sia con i sindaci del Fezzan (il Sud del Paese), ricevuti il 26 agosto dal ministro Marco Minniti al ministero dell'Interno. «Nei primi di gennaio sono andato a Tripoli ed abbiamo scommesso sulla possibilità che lì ci potesse essere un controllo marittimo delle frontiere. Nei primi otto mesi di quest'anno la guardia costiera libica ha salvato più di 16 mila persone» ha spiegato Minniti. Sbarchi in calo del 21,5% Gli ultimi dati del Viminale aggiornati al 25 settembre (103.318 arrivi) segnano una flessione del 21,5% dall’inizio dell’anno rispetto al corrispondente periodo del 2016 (131.683) . Gli sbarchi registrati ad agosto sono stati 3.914 (il dato mensile più basso dell'anno) rispetto allo stesso mese del 2016, con un calo dell'81,6%. Mentre a luglio la flessione era stata del 51,3%. l maggiore flusso resta quello della Nigeria (17.061). «Ue per Africa dia stessi soldi per Balcani» Quanto alla ricetta per governare i flussi, Minniti ha spiegato che «se si vuole affrontare in maniera intelligente il problema dell’immigrazione bisogna spendere per l’Africa le stesse cifre che abbiamo speso per la rotta dei Balcani. Non è possibile pensare che l’Africa, un grande Continente decisivo per l’Europa, possa essere gestito come un problema minore». Non solo. «In questi anni in Libia il traffico di esseri umani è stata una economia, dannata e inaccettabile, che ha funzionato, che ha prodotto e redistribuito reddito. Se vuoi sconfiggere i trafficanti di esseri umani devi costruire un’economia pulita e trasparente che sia punto di riferimento per le popolazioni» ha aggiunto il ministro.

Approfondimenti

Il No allo jus soli tra fake news e ragioni deboli

Chiara Saraceno

Lo leggo do

Accanto alle obiezioni alla legge sullo jus soli da parte degli imprenditori della paura e propalatori delle notizie false, ci sono anche quelle di chi teme che avrebbe conseguenze negative per i minori stranieri stessi e le loro famiglie.

Imprenditori della paura: falsità e malafede

Le obiezioni più note e prevalenti alla legge sullo jus soli (e ius culturae) si basano, come ha ricordato anche Livi Bacci su questo sito (Neodemos, 28 Luglio 2017), su malafede e falsità, allo scopo di attizzare e utilizzare a fini politici la paura dei cittadini per la propria sicurezza e la difficoltà ad accettare chi per qualche caratteristica è diverso da sé. Per questi oppositori, gli attacchi terroristici dell’ISIS, gli sbarchi massicci di inizio estate ed oggi gli stupri di Rimini sono materiale da utilizzare senza scrupoli in modo incendiario per rifiutare l’immigrazione e le necessarie iniziative di integrazione che la devono accompagnare. Questi sono anche un pretesto per guidare la caccia all’untore (le ONG che partecipano ai salvataggi in mare) e per qualificare la legge sullo jus soli come una sorta di cavallo di Troia con cui i nemici verrebbero ad insediarsi nel cuore della nostra società. Tutto ciò con sprezzo totale dell’effettivo contenuto della legge, lasciando viceversa credere che essa consentirebbe di garantire automaticamente la cittadinanza ad ogni bambino nato in Italia a prescindere dal modo in cui ci sono arrivati e risiedono i sui genitori, in particolare la sua mamma. Anche con sprezzo totale della memoria storica, quasi che il terrorismo non abbia avuto in Italia una storia autoctona che ha lasciato una lunga scia sanguinosa, e come se le stragi di mafia non appartenessero alla storia italiana anche recentissima. Non basta essere autoctoni da generazioni e neppure appartenere a ceti socialmente non marginali per essere esenti dal rischio di diventare violenti assassini, terroristi, stupratori. Non basta essere cittadino italiano autoctono per condividere i valori di libertà, democrazia, uguaglianza tra uomini e donne, rispetto dell’altro. Viceversa, non tutti i migranti sono mussulmani. Non tutti i mussulmani sono fondamentalisti islamici aperti alla propaganda terrorista. E non basta, ad un migrante come ad un autoctono, diventare cittadino ed aver frequentato la scuola italiana per acquisire i valori di democrazia e rispetto per la libertà e dignità dell’altro/altra. Quei valori, e la capacità di esprimere un conflitto o un disagio senza annullare l’altro/a, si apprendono e convalidano quotidianamente in famiglia, a scuola, nelle relazioni sociali. Un apprendimento e una modalità di relazioni che ci riguardano tutti e a tutti i livelli, migranti e autoctoni, semplici cittadini e governanti (o aspiranti tali), e che, se non realizzate adeguatamente, possono e devono essere oggetto di sanzioni. La legge sulla cittadinanza, con la sua estrema moderazione e i suoi requisiti stringenti non aumenterebbe in nulla il rischio di terrorismo (e neppure quello di “sottrarre risorse agli italiani”). Al contrario, immetterebbe esplicitamente e strutturalmente i “nuovi cittadini” nel circuito dei doveri e delle responsabilità, oltre che dei diritti, che discendono dal far parte della nostra società.

L’ambiguità di governo e maggioranza

Purtroppo, invece di contrastare quel tipo di narrazione e il pensiero dicotomico – “noi”- “loro” – che la ispira, anche rappresentanti del governo e del partito di maggioranza (PD), a partire dal suo segretario, la usano come giustificazione sia per discutibili scelte di controllo del fenomeno migratorio (colpevolizzazione delle ONG, accordi con la Libia che ignorano a chi, e a quali condizioni, lasciano mano libera sui migranti), sia, appunto, per dichiarare che è meglio soprassedere alla approvazione della legge, di fatto accettando l’improprio collegamento tra fenomeni diversi, senza, per altro, affrontare seriamente la questione di come regolare i flussi migratori e aprire canali legali e protetti per chi vuole, o deve, lasciare il proprio paese e di come si può operare per favorire davvero l’integrazione sia sociale sia culturale. Con il rischio che la mancata approvazione della pur moderatissima legge sullo jus soli/jus culturae favorisca, in alcune frange di giovani aspiranti cittadini frustrati, proprio quella radicalizzazione che tanto si evoca.

Il rischio di creare disuguaglianze intra-familiari: una obiezione ragionevole?

L’obiezione di Blangiardo alla legge sullo ius soli (Neodemos, 28 Luglio 2017) offre agli oppositori della legge motivazioni diverse, e rispettabili, da quelle sopra citate. Blangiardo conosce bene la legge in discussione e non imbroglia le carte. La sua preoccupazione non riguarda la supposta insostenibilità dell’immigrazione e tanto meno lo scontro di civiltà, ma le fratture interne alle famiglie migranti che possono essere provocate da un diverso accesso alla cittadinanza per figli e genitori. Evoca, infatti, una possibile, e a suo parere negativa, creazione di disuguaglianze all’interno delle famiglie migranti (regolari e con permesso di lungo soggiorno), con figli neonati e pre-adolescenti che acquisirebbero subito la cittadinanza italiana mentre i loro genitori e fratelli maggiori rimarrebbero stranieri e dovrebbero seguire eventualmente il più lungo percorso standard. Non è chiaro, tuttavia, perché questa differenza comporti conseguenze negative vuoi per chi acquisisca di diritto la cittadinanza italiana, vuoi per chi invece debba aspettare. I primi avrebbero solo qualche protezione e diritto in più, senza nulla togliere ai secondi. È vero, come ricorda Blangiardo, che non tutti i paesi di origine consentono la doppia cittadinanza. Perciò potrebbe succedere che figli e genitori abbiano cittadinanze diverse. Ma è anche vero che in molti casi i bambini non solo non conoscono il paese da cui sono venuti i genitori, ma questi ultimi (si pensi ai profughi e richiedenti asilo) non possono neppure tornarvi. Senza possibilità di ottenere la cittadinanza italiana prima di raggiungere la maggiore età, questi bambini e ragazzi si trovano di fatto in una situazione di apolidia, senza alcuna copertura legale di cittadinanza (inclusa l’impossibilità di ottenere un passaporto). Infine, non mi risulta che negli Stati Uniti, dove vige lo jus soli più completo, o in Francia, dove è un po’ più temperato, le differenze intrafamiliari nello status di cittadino producano conseguenze negative sui bambini e le loro famiglie.

Anche il timore che questa asimmetria provochi una inversione nei rapporti di autorità tra le generazioni mi sembra francamente infondato, poiché evoca una immagine di famiglia e di rapporti tra le generazioni un po’ arcaico. L’autorevolezza dei genitori si basa sulla loro capacità di accompagnare e sostenere la crescita dei figli. Anche quando venne approvato il nuovo diritto di famiglia in Italia nel 1975 c’era chi temeva che, indebolendo il potere genitoriale (paterno) e mettendo in primo piano i diritti dei figli si sarebbe tout court indebolito l’istituto familiare.

Quanto alla preoccupazione di Blangiardo per possibili “soprusi di genere” ai danni delle bambine da parte dei propri genitori, mi sembra che consentire loro di diventare cittadine italiane senza dover aspettare che lo vogliano diventare e lo diventino i loro genitori, costituirebbe una protezione in più rispetto a ciò che dispongono e il diritto internazionale e e quello nazionale in tema dei diritti dei bambini e delle bambine. Se mai, si potrebbe integrare la legge sullo jus soli con la richiesta che i genitori dei bambini che acquisiscono per nascita o scolarità la cittadinanza italiana vengano sistematicamente coinvolti in iniziative di integrazione culturale e sociale. Ma questa è una esigenza più generale, che non riguarda solo l’acquisizione della cittadinanza.

Anche con la legge attuale sulla cittadinanza si creano disparità intra-familiari

Come sa bene anche Blangiardo, anche la legge attuale sulla cittadinanza crea disparità entro la stessa famiglia. Se è vero, infatti, che nell’acquisire la cittadinanza italiana i genitori la estendono automaticamente anche ai figli minorenni, ciò non vale per quelli maggiorenni. Questi devono a loro volta intraprendere il proprio iter individuale, anche se sono arrivati bambini, sono andati a scuola qui e sono diventati maggiorenni prima che i loro genitori prima maturassero il diritto a chiedere la cittadinanza, poi la ottenessero. Sono casi non infrequenti, stanti i requisiti e la lunghezza delle procedure, per quanto ultimamente sveltite (ma con grandi differenze territoriali). Per questo la legge in discussione prevede anche uno jus culturae, accanto allo jus soli. Il fatto che siano maggiorenni non elimina il fatto che sono anche fratelli/sorelle e figli di persone che hanno (anche) una cittadinanza diversa dalla loro e con cui spesso continuano ad abitare e condividere risorse e vita. Non dovrebbe essere problematico anche questo, nell’ottica dell’obiezione sollevata da Blangiardo?

Per concludere, Blangiardo solleva questioni che richiedono attenzione, ma che, a mio parere, non inficiano l’opportunità di approvare le norme sullo jus soli. Piuttosto, rovesciando un po’ il suo ragionamento, richiedono che nelle norme applicative se ne tenga conto, in particolare per quanto riguarda la possibile discriminazione tra figli e figlie (se la legge lascia ai genitori la scelta di chiedere o meno la cittadinanza per loro).

Roma pride, despite everything!

Lo leggo do Orgoglio Rom nonostante tutto!

Domenica 1 Ottobre in 15 paesi europei si svolgerà parallelamente il “ ROMA PRIDE” : intratterremo e accoppieremo gioia e serenità, con un forte richiamo ad un impegno civile, attraverso una serie di eventi .

Il Movimento Europeo antirazzista di base- EGAM- del quale SOS Razzismo Italia è membro fondatore - sin dal 2011 ha organizzato il Roma Pride , giornata per il rispetto e la dignità dei popoli Rom. In ogni paese un’associazione antirazzista ed una associazione Rom lavoreranno insieme per promuovere eventi diversi in ogni paese, dall’accoglienza all’alloggio, dall’educazione al lavoro ed alla sanità. In Italia SOS Razzismo e Roma Onlus, in stretta collaborazione, organizzano una giornata di commemorazione e rivendicazione di quell’orgoglio troppo spesso calpestato. Il titolo dell’incontro è “ L’ORGOGLIO ROM NONOSTANTE TUTTO”.

L’iniziativa socio – culturale viene svolta – domenica 1 ottobre alle ore 17.00- all’interno del Campo Sosta di Ciampino, denominato “La Barbuta”, con il coinvolgimento diretto degli abitanti del Campo, cittadini Rom di diversa provenienza, dei rappresentanti delle associazioni promotrici, degli ospiti della società civile: istituzionali e non. Da una parte l’orgoglio della rivincita di una causa di giustizia morale di un genocidio di Rom, con l’ottenimento di un memoriale a Lety. Dall’altra il decentramento forzato di anni, in un campo sosta degradato, al limite della sopravvivenza sanitaria.

Quest’anno, nell’ambito delle celebrazioni verrà socializzata la campagna “ Dignità per Lety”! Il nostro obiettivo di delocalizzare l’allevamento di maiali che attualmente si trova sul sito dove sorgeva un campo di concentramento nazista, dove vennero rinchiusi e massacrati migliaia di Rom, ha raggiunto il suo obbiettivo e grazie a firme autorevoli per Lety, in Cecoslovacchia, abbiamo ottenuto dalla Corte di Giustizia Europea che al posto dell’allevamento sorga un Memoriale. L’iniziativa sarà introdotta dalla proiezione di un breve video della prima commemorazione internazionale organizzata dall’Egam a Lety: https://www.youtube.com/watch?v=posI5jbrlhA

blob:https://www.youtube.com/49d702cb-75d8-4e0e-881c-937023b36499

Seguirà una breve introduzione del vice presidente dell’EGAM:

Un intervento del Presidente di Roma Onlus

Un intervento del Presidente di SOS Razzismo Italia.

Saluto delle Istituzioni locali e nazionali.

Coinvolgimento dei residenti del campo.

All’iniziativa, aperta a tutti, sono stati invitati le Istituzioni Locali e l’UNAR (ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), media e società civile.

Riferimenti organizzativi:

· Roma Onlus 0039 348 3915709

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