noi e loro
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racconto surreale di fantascienzaTRANSCRIPT
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Novembre- Dicembre 2012
NOI E LORO
Pur essendo diversi saremo
sempre uguali,non importa
Da una collaborazione degli alunni della
2^E
NOI E LORO
Pur essendo diversi saremo sempre uguali,
non importa chi sei, ma cosa fai per gli
altri
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Indice
Capitolo 1 di Alice Zurla pag. 3
Capitolo 2 di Federico Liguori pag. 5
Capitolo 3 di Viviana Viaggi pag. 9
Capitolo 4 di Chiara Cioni pag. 10
Capitolo 5 di Giovanni Lenzi, Paolo Sabattini, Marco Tugnoli pag. 12
Capitolo 6 di Giulia Negroni, Alessia Taglioli pag. 13
Capitolo 7 di Leonardo Laghetti, Giulia Negroni pag. 14
Capitolo 8 di Sara Dugoni e Noemi Nicchi pag. 15
Illustrazioni (matita nera) di Carolina Tinti
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CAP.1 (di Alice Zurla)
Era una fredda mattina d’inverno, mi alzai quando la mamma mi chiamò e,
anche se volevo continuare a dormire, mi resi conto che era ineluttabile: dovevo
andare a scuola.
Come tutte le mattine suonò la campanella ed entrammo in classe. Le prime ore
passarono normalmente.
All’improvviso suono la campanella dell’intervallo e la professoressa ci disse di
aprire le finestre per cambiare aria.
Era una giornata fredda e buia guardai il cielo e mi sembrò di vedere in
lontananza una luce bianca… non capivo cosa potesse essere e chiamai il mio
compagno di banco per farla vedere anche a lui.
Quando lui arriva non c’è più la luce e quindi lui mi guarda e mi dice: “Ma stai
bene?” e io ribatto: “Ti giuro che c’era una luce bianca!!!”
Finito l’intervallo, chiudemmo le finestre e ci rimettemmo a fare lezione.
Ad un certo punto sentii bussare alla finestra vicino a me e vidi una specie di
bambino con la testa molto grande, due occhi piccolissimi e due orecchie giganti
a forma di imbuto. Mi spaventai pensando che doveva essere un alieno.
Allora mi decisi a chiamare la professoressa per farglielo vedere. Tutti eravamo
senza parole… decidemmo di farlo entrare anche se avevamo un po’ di paura.
Lui si muoveva a scatti, non parlava e gesticolava molto, ma noi non riuscivamo a
capire cosa ci volesse dire.
All’improvviso ci fece guardare il cielo… forse quella famosa luce bianca che
avevo visto poteva essere la sua astronave?? Che fosse caduto da lì?? Voleva
ritornare?
A questo punto con la professoressa e i miei compagni decidemmo di aspettare
per vedere se l’astronave tornava a prenderlo.
Lo lasciammo nella nostra aula… sembrava spaventato! Che tenerezza che mi
faceva!
Il giorno dopo tornai a scuola con una grande euforia, mi chiedevo chissà come
avrà passato la notte! Sia io che i miei compagni gli avevamo portato da
mangiare, ma purtroppo non mangiava niente… chissà cosa era abituato a
mangiare!
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E’ buffo perché mentre noi facevamo lezione lui stava lì buono buono e sembrava
quasi che ascoltasse!
Il giorno dopo ancora entrammo in classe e vedemmo che il vetro della finestra
era rotto! Cominciammo a cercarlo per tutta la scuola ma purtroppo non
riuscivamo a trovarlo… sicuramente la sua famiglia era tornato a prenderlo!
Eravamo tutti molti dispiaciuti che quell’esserino non fosse più tra noi perché ci
piaceva proprio: era così buffo!
Poi tutto ad un tratto ci domandammo: “Era un sogno o era realtà?”
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CAP.2 (di Federico Liguori)
Eccolo lì. Era proprio davanti ai miei occhi. Sentivo l’acqua scorrere dietro di me.
Buio. I lampioni illuminavano la stretta strada alla mia sinistra, ma era fioca la luce
che arrivava. Molto fioca. Il ruscello scorreva incessantemente. Ma non ci feci
caso. Era proprio lì, davanti a me. C’era una leggera foschia, e sentivo un odore
acre. Buio. Mi avvicinai, ma non osai fare nulla, non potevo sapere che effetto
avrebbe fatto. Sarebbe potuto essere pericoloso. Acqua. Freddo. C’era qualcosa
che rendeva il tutto troppo irreale, sembrava di essere in un sogno. Non potevo
chiamare nessuno, non avevo il cellulare. Era lì, e si stagliava maestosa davanti a
me. Buio. L’odore si fece più forte, e anche lo scorrere del ruscello. O era la mia
immaginazione? Stavo sognando tutto? No, non ero pazzo. Era proprio di fronte a
me, ma perché mai nessun altro l’aveva notato? Non era così piccolo. Non lo era
per niente.
24 ore prima…
La mattina era piovosa. Come al solito. La camera era la stessa delle altre
mattine, come se avesse dovuto essere diversa. Aprii gli occhi, ma vidi il muro
davanti a me, il vecchio muro sbiadito della mia camera. Sembrava di vivere in
bianco e nero, la mia camera era quasi completamente grigia. Proprio come il
cielo. E il mio umore. Mi alzai dal letto già stanco e mi vestii con le prime cose che
capitarono. Una maglia nera, dei pantaloni grigi e le solite scarpe nere rovinate.
Strano, eh? Spalancai la porta, ma non vidi niente di nuovo. Come al solito. I miei
genitori erano via di casa, così sarei dovuto andare a scuola in autobus. Che bella
prospettiva. Scesi le scale, mi misi a sedere al tavolo. Accesi la TV. Non c’era nulla
di interessante, così la spensi. Il brutto ghigno del presentatore sparì nel nulla. Feci
colazione, mi misi lo zaino in spalla e uscii di casa, chiudendola a chiave. Dopo il
viaggio in autobus più noioso della terra arrivai alla vecchia scuola nella quale mi
recavo ogni mattina. Per la strada c’erano decine di auto colpite dalla pioggia.
Altri ragazzi si recavano con passo lento e avvilito. Non avevo nemmeno un
ombrello, ma un po’ d’acqua non fa male a nessuno, vero? Dopo essere entrato
nel palazzo millenario che tutti chiamano scuola, mi fermai un secondo. Solo io
vedevo una specie di foschia nella scuola? Mi infastidiva. Dovetti fare un
passaggio rapido in bagno per lavarmi la faccia, ma la foschia rimase. Forse non
mi ero ancora svegliato del tutto. Entrai nella classe 2^E, cioè la mia. Mancavano
ancora alcune persone, quindi mi tranquillizzai. Passarono la prima, la seconda e
la terza ora molto lentamente.
DRRRRRRIIIIIINNNNNNN! La campanella suonò e scatto l’intervallo. Non che
importasse davvero qualcosa a nessuno. Tutti rimasero ai banchi a leggere o a
chiacchierare. Ormai del piccolo “alieno” nessuno parlava più. Io andai in bagno.
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Cosa diavolo era quella foschia che continuavo a vedere? Mi sciacquai
nuovamente il volto, ma sembrava di essere in un sogno. Sentii dell’acqua
scorrere dietro di me. Dietro? Ma se il lavandino era davanti a me! E per giunta,
non era nemmeno aperto! Un po’ impaurito uscii dal bagno e corsi in classe.
Come ogni giorno mi misi alla finestra, tanto per far passare quei tre minuti che
restavano. Fu allora che vidi una luce bianca in cielo. Ma non era una luce come
le altre, sembrava provenire da un cannone laser molto potente. Forse era
un’altra allucinazione. Chiamai un mio amico, ma nel tempo in cui venne alla
finestra la fantomatica luce scomparve nel nulla. Dopo qualche insulto da parte
sua, mi ritrovai confuso. Perché vedevo della foschia intorno a me? Perché sentivo
dell’acqua scorrere nella mia testa? Perché avevo visto una luce bianca nel cielo,
che poi era sparita? DRRRRIIIIIINNNNNN! Fine dell’intervallo e c’era matematica
per giunta. Non poteva andare peggio. Mi sedetti ad un banco vicino alla finestra
per osservare ciò che accadeva al di fuori della scuola. Dopo circa un quarto
d’ora qualcuno bussò al vetro della finestra. Nessuno sentì nulla, a parte me e
decisi di non farne parola per evitare di esser preso in giro. Mi voltai di scatto e
vidi… un essere! Era una specie di lucertola mezza umana e grigiastra, piena di
aculei. Ma non feci in tempo a osservarla che fuggì con dei movimenti che non
riesco nemmeno a descrivere. Mi guardai attorno. Nessuno aveva notato niente.
Niente. Ero estremamente confuso. Chiesi di andare in bagno e uscii. Scappai
dalla classe. Dovevo riordinare le idee. E in fretta. Balzai fuori da un’uscita
d’emergenza cosicché nessuno mi vedesse e mi fiondai nel giardino. Quell’essere
doveva essere lì, ci avrei scommesso la vita. I miei piedi colpivano l’erba bagnata
in modo frenetico. Mi persi fra gli arbusti della scuola, e pensai di impazzire. La
pioggia mi scivolava addosso, tanto che sentii dell’acqua scorrere alle mie spalle.
Una specie di latrato mi fece prendere un colpo. Ecco l’essere! Era caduto in una
buca scavata da qualche cretino. Sembrava che stesse affogando, dato che la
pioggia aveva riempito il buco come un bicchiere. Dovevo scegliere se lasciarlo
morire come un miserabile o salvarlo. Mi fiondai nella buca e lo tirai fuori con una
fatica immane. Eravamo entrambi sporchi di fango da tutte le parti. Sembrava
che fosse svenuto. Lo dovetti trascinare fino al muro vicino all’ingresso della
scuola. Era una grande scoperta per la scienza, avevo catturato un alieno vivo!
Eravamo lerci come maiali. Lo osservai meglio. Chissà se aveva a che fare con
l’esserino che si era fermato da noi qualche tempo prima. Era un rettile, o lo
sembrava, e aveva delle specie di aculei che uscivano da ogni dove. Ero
indeciso: potevo portarlo in classe o chiamare la polizia o chiunque altro. Ma no.
Mi attirava l’idea di tenerlo segreto. Prima lo portai nel bagno, lasciando dietro di
noi una scia di fango che cercai di camuffare alla meglio e facendo impronte
anche verso l’ingresso che porta all’orto. Poi dovevo lavarmi e cambiarmi
velocemente, non potevo tornare in classe così conciato. E così feci. Andai nella
palestra (dove fortunatamente non c’era nessuno) e mi feci una doccia a tempo
di record. Poi mi cambiai con dei vestiti puliti che avevo nello zainetto che
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conservo nello spogliatoio. Intanto avevo buttato l’alieno nello sgabuzzino in
disuso dei bidelli. Lì non l’avrebbe trovato nessuno. Entrai in classe, ma nessuno
notò che mi ero cambiato, né tanto meno mi chiesero perché ero stato fuori così
a lungo. Finirono le
lezioni e tutti uscirono
dalla classe, ma io no.
Furtivo, portai l’alieno
o quello che era nella
classe e la chiusi a
chiave. Poi scappai
fuori. Tornai in
autobus, ma anche lì
sembrava che
nessuno mi vedesse.
Le luci dei lampioni mi
bruciavano gli occhi,
nonostante la luce
che proveniva fosse
fioca. Molto fioca. La
pioggia cadeva
spietatamente, ma io
pensavo solo a
quell’essere. Che
cos’era? Da dove
diavolo era arrivato? Avevo fatto bene a non ucciderlo e occultarne il corpo? Un
uomo mi venne contro, ma non mi notò. Gli urlai dietro, e lui per tutta risposta mi
disse di fare attenzione a ciò che avevo fatto. Sbarrai gli occhi. A che cosa si
riferiva? Sapeva che avevo nascosto un mostro nella mia classe? No, ho
un’immaginazione troppo fervida. E psicotica. Passarono le ore, ma nel mio letto
non riuscivo a dormire. Tick, tack, tick, tack…L’orologio procedeva
inesorabilmente. La mattina dopo era sabato. Di nuovo buio e pioggia. La scuola
era chiusa e vi tornai di nascosto. Ora sorgeva un problema. Come potevo
entrare? Mi ricordai di aver lasciato aperta la porta d’emergenza dalla quale ero
uscito la prima volta e così entrai facilmente e corsi per i corridoi nebbiosi. Quella
nebbia mi perseguitava. Sentii di nuovo una specie di ruscello alle mie spalle.
Spalancai la porta della classe ma non vidi nessuno. Le tende svolazzavano
davanti ad una finestra rotta. Anzi, completamente sventrata. Pezzi di vetro non
più grandi di un’unghia erano sparsi a terra. Oh, no. L’essere si era risvegliato ed
era fuggito. Questo era un problema. Balzai fuori dalla scuola e corsi. Corsi e corsi.
Dovevo riacciuffare quell’alieno prima che scappasse e andasse in un centro
abitato. I passi rimbombarono nel silenzio. Arrivai presso il vecchio ponte sul fiume.
Eccolo lì! Era proprio davanti ai miei occhi. Sentivo l’acqua scorrere dietro di me. I
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lampioni illuminavano la stretta strada alla mia sinistra. Il ruscello scorreva
incessantemente. Ma non ci feci caso. Era proprio lì, davanti a me. C’era una
leggera foschia, e sentivo un odore acre. Mi avvicinai all’essere. No, non
all’essere. Mi avvicinai ad un’astronave enorme. Esatto, ed era proprio sul
ponticello. Era inglobata dentro a una specie di membrana luminosa. Non ci
potevo credere. L’essere non c’era, ma questo era decisamente più spaventoso.
Era fatta interamente di alluminio e metallo, ed aveva dei cannoni laser ai lati.
Non potevo chiamare nessuno, non avevo il cellulare. Ma non potevo averla vista
solo io! Era enorme, luminosa ed era proprio sul ponte. La foschia attorno si fece
fittissima. E il ruscello iniziò a scorrere velocemente. Indietreggiai per lo stupore
misto ad angoscia, ma caddi. Poi vidi solo nebbia.
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CAP. 3 (di Viviana Viaggi)
Quando mi ripresi la foschia si era fatta ancora più fitta, e sia la navicella che la
membrana di luce che la ricopriva erano come scomparse nel nulla. Non potevo
crederci. Ero molto confuso. Feci qualche passo avanti per vedere dove diavolo
era finita. Non la vidi. Deluso e impaurito corsi dall’altra parte del ponte e di nuovo
vidi l’alieno. Stava cercando qualcosa. Preso da un improvviso raptus subito gli
corsi incontro. Senza pensarci tentai di afferrarlo, però subito mi punsi con i suoi
aculei affilatissimi. Sentivo scorrere l’acqua dietro di me. L’alieno con un piccolo
scatto mi scaraventò via. Rintontito dalla caduta e dalla paura, stabilii di tornare a
casa. Ma proprio mentre stavo tornando, vidi un bagliore provenire dal letto del
fiume. Considerai se fosse possibile sfuggire alla
vista dell’alieno e andare a vedere. Ecco dove era
finita la navicella!!! Vidi che l’essere si era
allontanato e che una serie di cespugli mi
nascondeva alla sua vista. Allora decisi di entrare
furtivo nella piccola astronave. Dentro era tutto
buio e lo scrosciare della pioggia sull’alluminio
faceva rabbrividire e mi impauriva sempre di più.
Più andavo avanti più mi sembrava infinita, finché
non vidi un raggio di luce che penetrava la
semioscurità. Corsi a vedere che cosa fosse.
Non era possibile. Chissà che cosa se ne faceva
l’alieno di un i-pad… Nell’i-pad c’erano delle tappe di una mappa e tutti i pianeti
del sistema solare. Ce n’era uno in particolare evidenziato: la TERRA!! Di fianco
alla mappa erano scritti dei geroglifici che non riuscivo a capire. E una serie di
domande mi pervase la mente: perché l’alieno era arrivato sulla Terra? Perché
stava cercando qualcosa e che cosa stava cercando? Perché quella navicella
era lì? E perché dentro c’era un i-pad? Ma la domanda più grande era perché la
TERRA era evidenziata.
Ero molto confuso.
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CAP. 4 (di Chiara Cioni)
Ero davvero molto confuso. L’unica cosa che mi venne in mente fu di guardarmi
intorno. Muri violacei luminosi fatti di una membrana appiccicosa, molle e
trasparente, ed enormi macchinari misteriosi con numerosi pulsanti che
lampeggiavano mi circondavano. Mi avvicinai all’i-pad posizionato sopra a degli
strani rami che partivano dal pavimento e intrecciandosi formavano una specie di
conca. Sfiorai lo schermo con la punta delle dita e si aprì una pagina scritta in
“alienese” con raffigurata la terra ed evidenziati alcuni punti su di essa.
Improvvisamente vidi attraverso quella parete gelatinosa l’alieno che stava
tornando. Dovevo sapere di più. Allora preso da uno dei miei soliti e inopportuni
raptus, afferrai l’i-pad ma uno dei rami si attorcigliò alla mia mano. Cosa potevo
fare?! Ero bloccato e per quanto provassi a liberarmi non ci riuscivo, anzi, il ramo
continuava a stringere sempre di più. Non mi sentivo più la mano. L’alieno si stava
avvicinando sempre di
più, allora nella foga
diedi uno strattone e
spezzai il ramo. Uscii
dalla navicella e corsi
più veloce possibile con
l’i-pad sotto braccio
fino ad un enorme
masso, mi nascosi lì
dietro in preda alla
paura. Sentii un urlo
forte e raccapricciante:
l’alieno se ne doveva
essere accorto.
All’improvviso la foschia
si fece sempre più fitta,
così corsi a perdifiato
fino ad essere il più
lontano possibile. Mi fermai quando attorno a me non c’era che nebbia e il fiume.
Mi resi conto di una cosa: ero stato via molto a lungo senza dir niente... E i miei
genitori?
Corsi a più non posso verso casa. Una volta arrivato vidi con sollievo che i miei
non c’erano ed esausto, mi andai a chiudere in camera per tenere tutto segreto.
Sprofondato nella mia poltrona preferita, presi l’i-pad e cercai la possibilità di
selezionare una lingua “terrestre” anche se non fu facile per via della scrittura in
“alienese”. Riuscii a leggere i nomi dei punti evidenziati nella mappa e vidi che
erano: San Pietroburgo, Stoccolma, Los Angeles e BOLOGNA!!! Tutti i nomi
avevano una crocetta sopra tranne Bologna. Avevo ancora il cuore in gola
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quando sentii il rumore delle chiavi girare nella serratura, i miei!!! Ero in condizioni
indecenti, completamente sporco di fango allora più veloce della luce schizzai in
bagno. Lavato e con vestiti puliti uscii e andai ad abbracciare i miei, con l’aria di
chi si è annoiato tutto il tempo… poi andai in camera mia e, stanco, ma davvero
molto stanco, mi addormentai di schianto. Il giorno dopo era domenica. Mia
madre mi svegliò per il pranzo e io, svogliato, mi recai in cucina. La TV era accesa.
Mio padre stava guardando il TG e io non potei fare a meno di sentire che delle
enormi voragini si erano formate a San Pietroburgo, Stoccolma e Los Angeles. Ma
erano proprio le città evidenziate e poi crocettate sulla mappa! Corsi fuori di casa
con la scusa che dovevo vedere un amico e mi diressi verso il fiume. Troppo tardi.
Davanti a me c’era un’enorme voragine. Mi avvicinai e intravidi una luce
all’interno….
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CAP. 5 (di Giovanni Lenzi, Paolo Sabattini e Marco Tugnoli)
Ero molto spaventato ma mi avvicinai lo stesso per capire la provenienza della
luce. La situazione era critica: che c’entrasse una bomba nucleare?! Forse
qualche terribile esperimento su noi umani… o forse una guerra tra alieni… mi
chiesi che fine avesse fatto il primo simpatico esserino che ci aveva chiesto
ospitalità in classe… Ma non c’era da fidarsi! A cosa poteva servire questo
cratere? In quale parte della terra ne potevano provocare altri?
E se fosse la minaccia di qualcosa di peggiore… se volevano farla esplodere a
breve? Come potevo portare tutti in salvo?
Tornai a casa un po’ frastornato e speranzoso di incontrare qualcuno che potesse
darmi delle risposte, ma nel tragitto vidi in lontananza una figura molto familiare.
Stessi occhi, stessa andatura, stessi capelli. Ci passai di fianco e ci sfiorammo.
Lui si girò con aria minacciosa ed ecco che capii. Ero io! Mi trovai all’improvviso di
fronte a me stesso! Ad un mio clone! Eppure io non ho fratelli. Doveva per forza
essere un qualcosa di paranormale.
Avrei voluto fermarlo e chiedergli qualcosa… ma non ebbi il coraggio e proseguii
il cammino.
Tornai a casa stanco per via della lunga camminata, ma una volta arrivato vidi la
mia camera completamente saccheggiata. Mi resi conto che l’unico autore di
questo disastro poteva esser l’alieno. Cominciai a cercare disperatamente i miei
genitori e il mio preziosissimo I Pad ma nulla da fare! Non si trovavano.
Guardai dietro alla porta e vidi una scritta: “incontriamoci al grande ponte
sull’Idice”.
Spaventato ed incuriosito mi incamminai immediatamente verso il luogo
dell’incontro.
Arrivato al parcheggio, mi posizionai dietro un albero e mi domandai perché il
clone si trovava nel mio percorso.
Era forse stato lui a distruggere casa mia e portarmi via l’I -Pad?..........................
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CAP. 6 (di Giulia Negroni e Alessia Taglioli)
Appena arrivato al parcheggio vicino al ponte sull’Idice mi ritrovai circondato da
una fittissima foschia: non si vedeva nemmeno lo stadio a pochi passi. Sentii
ancora lo scroscio dell’acqua. Mi voltai e lo vidi. Era lì. Ero pervaso dall’ansia. Era
uguale a me. Come il sosia che avevo incontrato poco prima. Ma ad un tratto
cambiò forma. Caddi a terra dallo spavento alla vista di quel mutamento di
forma. Mi rialzai di scatto. Corsi dietro il primo nascondiglio che vidi. Un albero.
Con lo scroscio dell’acqua che mi perseguitava come il tempo che passa, urlai.
Ma sentii il nulla. Sembrava che la città fosse deserta, non c’era una macchina o
un qualsiasi altro rumore che tradisse quel silenzio. Mi voltai lentamente. Dietro di
me vidi l’alieno. Era lì che mi guardava. Mi girai dalla parte opposta cercando
una scappatoia, ma mi ritrovai faccia a faccia con… il piccolo personaggio che
avevamo ospitato in classe!!! Era proprio un esserino assomigliante ad un
bambino. Mi toccò la spalla e sorrise. Luce bianca. Mi svegliai nella mia stanza.
Corsi in salotto e vidi i miei genitori addormentati sul divano. La casa era in ordine.
La scritta era sparita. Tornai nella mia stanza. Spalancai la porta della mia camera
e vidi quella sagoma piccolina ormai familiare, con le strane orecchie a imbuto
sul mio letto con l’I-pad in mano. Voleva aiutarmi o voleva essere aiutato???…
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Cap. 7 (di Leonardo Laghetti, Giulia Negroni)
Sembrava a suo agio sul mio letto. Lasciò l’i-Pad per terra, si alzò e mi guardò con
uno sguardo curioso. Gli chiesi il suo nome. Lui mi rispose, parlando un po’ a scatti:
“Il mio nome è… adesso non importa. Per me non è stato semplice acquisire la
possibilità di parlare e non so per quanto tempo la potrò conservare e... ti devo
dire delle cose molto importanti”.
Rapidissimo, ticchettando sulla tastiera dell’i-Pad, mi mostrò l’immagine
dell’alieno mostruoso che avevo catturato. Era il suo nemico, si capiva dal modo
come lo guardava. Vedendo forse la mia espressione angustiata volle confortarmi
e mi mostrò l’astronave dalla quale proveniva: era splendida e non aveva affatto
l’aspetto di quella che avevo visto lungo il fiume. Forse i due esseri provenivano da
luoghi diversi… da popoli diversi…?
Ma poi si fece cupo e col ditino sfogliò altre immagini rapidamente fino a fermarsi
su un’orribile foto che ritraeva delle viscide lucertole accanto a crateri ….
Cloni, cloni di umani, come quello che
avevo visto di me stesso, forse realizzato
proprio frugando tra le mie cose, in
camera mia…
Un botto sordo ci distolse: vidi sul
balcone il viscido alieno che in un
lampo spaccò il vetro, ghermì il
piccolino e schizzò fuori.
Non esitai: scattai di corsa alla Bolt saltai
giù attraverso la grondaia e lo inseguii
nel parco.
Corsi più forte che potevo. Arrivai nei
pressi dell’altalena nel parco di un mio
amico, il parco sembrava deserto.
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CAP. 8 (di Sara Dugoni e Noemi Nicchi)
La strada presa dall’alieno la conoscevo bene, via via che correvo mi accorgevo
che mi stava portando nientemeno che… dalla mia nonna!
Lo vidi. Stava entrando proprio dalla porta del giardino. Conosceva la casa! Ma io
meglio di lui. Utilizzai un passaggio dall’interno del garage collegato con
l’appartamento. Corsi in cucina nella speranza di chiedere aiuto alla nonna, ma...
niente! Mi sentii profondamente solo!
Corsi fuori e andai in mezzo alla strada per chiedere aiuto a qualcuno. Ma non
c’era nessuno… solo la solita terribile nebbia. Ma vicino alla panchina dove ci
incontriamo di solito con gli amici vidi che c’era una debole luce. Mi avvicinai e
finalmente mi accorsi di aver ritrovato il simpatico “orecchie a imbuto”! Era un po’
scorticato, forse dagli aculei del lucertolone che lo aveva tenuto stretto. Ma lui
evidentemente era riuscito a sfuggirgli. Con occhi grandi, sorridenti e rassicuranti,
si avvicinò e mi diede un oggetto strano con un guscio all’apparenza gommoso.
Aveva un piccolo schermo e mi fece vedere sul video un’enorme astronave. Mi
disse che forse un giorno mi avrebbe spiegato tutto, ma non in quel momento. Mi
toccò la testa e in un secondo arrivammo sulla sua astronave.
Capii che voleva veramente salvarci! Mi disse che l'oggetto che mi aveva dato
era un dispositivo importantissimo per salvare la Terra. Mi fece capire che dovevo
inserirlo nella plancia dell'astronave “nemica”, ma prima con queste parole mi
parlò un’ultima volta: “Loro cercheranno me. Ma sono pronto anche a morire per
conservare la pace sulla vostra Terra: quando ho trovato rifugio tra i vostri banchi,
voi vi siete presi cura di me”. Non potei rispondere perché era troppo tardi. Mi
toccò la testa e mi ritrovai nell'altra astronave e fu facile trovare dove collocare il
congegno.
Un attimo dopo fu di nuovo luce bianca. Mi ritrovai in casa e i miei genitori erano
vivi...era come se non fosse accaduto niente. Avevo davvero salvato il mondo???
Ma l'alieno che fine aveva fatto? Ormai eravamo amici e mi mancava un po'.
Dopo qualche minuto mi resi conto che non conoscevo nemmeno il suo nome.
Uscii di casa sovrappensiero senza nemmeno avvisare i miei genitori che erano
occupati a fare le solite cose. La mia vita sembrava la stessa di sempre, ma
sentivo che una parte di me era svanita. Stavo passeggiando per la strada
quando a un certo punto sentii il solito scroscio d'acqua scorrere dietro di me. Mi
voltai. Per un attimo non vidi nulla. Nebbia. Cercai di orientarmi tra la foschia. Vidi
qualcosa. Un esserino. Proprio lui! “Orecchie a imbuto”! Allora era ancora vivo! Si
avvicinò e mi bisbigliò all'orecchio il suo nome… era il mio. All’istante svanì nella
nebbia. Tornai a casa riflettendo sull'accaduto, non poteva essere vero.
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Verso sera scrissi quello che mi era accaduto... ”Era una fredda mattina d’inverno,
mi alzai quando la mamma mi chiamò e, anche se volevo continuare a dormire,
mi resi conto che era ineluttabile: dovevo andare a scuola”[...]