non gridate più cessate duccidere i morti, non gridate più, non gridate se li volete ancora udire,...

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Non gridate più Cessate d’uccidere i morti, Non gridate più, non gridate Se li volete ancora udire, Se sperate di non perire. Hanno l’impercettibile sussurr Non fanno più rumore Del crescere dell’erba, Lieta dove non passa l’uomo La guerra e i poeti G.Ungaretti

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Page 1: Non gridate più Cessate duccidere i morti, Non gridate più, non gridate Se li volete ancora udire, Se sperate di non perire. Hanno limpercettibile sussurro,

Non gridate più

Cessate d’uccidere i morti,Non gridate più, non gridateSe li volete ancora udire,Se sperate di non perire. 

Hanno l’impercettibile sussurro,Non fanno più rumoreDel crescere dell’erba,Lieta dove non passa l’uomo

La guerra ei poeti

G.Ungaretti

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La guerra attesa

“Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura…Ci voleva, alla fine, un caldo

bagno di sangue nero…ci voleva una bella annaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto….E’ finita la siesta della

vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria…”.

Così Giovani Papini, nel settembre 1914, salutava lo scoppio di una guerra invocata e attesa da tanti intellettuali dell’epoca, una “ossessione d’attesa” ,come recita un verso di Clemente Rebora: è l’attesa della palingenesi anche violenta di un mondo e di una società giunta al punto estremo della decadenza.

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L’euforìa collettiva e l’entusiasmo patriottico che travolsero le masse erano già presenti nei testi poetici dell’interventismo italiano e nei proclami “imperialisti” di Gabriele D’Annunzio.

Nelle terzine della Canzone d’oltremare, il poeta-vate, esaltando l’impresa italiana in Libia, prefigura un destino di gloria e di vittorie:

”Italia, alla riscossa, alla riscossa!...e in terra e in mare tieni la tua guerra”

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Anche Saba, ricordando quei giorni, dichiara:

“Non ero, non mi sentivo più, solo e sbandato…Facevo parte di una comunità di uomini…”.

E componeva versi così:

” il soldato che non parte in guerra/è femmina che invecchia senza amore”

E Corrado Govoni grida

“Bella è la guerra…Viva la guerra!...E gli uomini si sentirono uomini finalmente”

mentre i futuristi fanno della guerra il tema d’elezione del loro nuovo strumento poetico ‘parolibero’

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GUERRA di Corrado GovoniGUERRA di Corrado Govoni

Che importa se domaniSe fra poco morrai?Oggi sei sano e vivo.

Quando si è morti per tutti è lo stessoEsser vissuti novant’anni o un anno.

Sgozza, fracassa, trucida!Spara, artigliere, spara senza posa.

Ti darò io la mira giusta.….

Incendiate, incendiate,date fuoco alla terra che diventi un sole.

Devasta sconquassa distruggi,passa, passa, o bellissimo flagello umano,

sii peste terremoto ed uragano.Fa che una primavera rossa

Di sangue e di martirioSgorga da questa vecchia terra,

e che la vita sia come una fiamma.Viva la guerra!

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La guerra-comunioneLa guerra-comunione

Nelle note a Vita d’un uomo Ungaretti scrive:

“Ero in presenza della morte, in presenza della natura, di una natura che imparavo a conoscere in modo nuovo, in modo terribile…Nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione”.

La guerra in Ungaretti è comunione con gli uomini, slancio solidaristico; è anche sentimento di appartenenza al ‘tutto’, teatro in cui il poeta si sente

“docile fibra dell’ universo”.

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«Ora si mostravano a noi, nella loro vera vita. Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!...

Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi,

in uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il caffè, proprio

come stavano facendo, dietro di noi, in quell’ora stessa, i nostri stessi compagni. Strana

cosa. Un’idea simile non mi era mai venuta alla mente. Ora prendevano il caffè. Curioso!

E perché mai non avrebbero dovuto prendere il caffè? Perché mai mi appariva straordinario

che prendessero il caffè?».

Emilio Lussu (1890-1975), Un anno sull’altipiano, 1938.

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Soldati di Giuseppe UngarettiSoldati di Giuseppe Ungaretti

Si sta comeD’autunnoSugli alberiLe foglie

Bosco di Courton luglio 1918

S0LDATO di Giuseppe UngarettiS0LDATO di Giuseppe Ungaretti

Di che reggimento sieteFratelli?Fratello

Tremante parolaNella notte

Come una fogliolinaAppena nata

SalutoAccorato

Nell’aria spasimanteImplorazioneSussurrataDi soccorso

All’uomo presente alla suaFragilità

Mariano il 5 luglio 1916

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Veglia

Un’intera nottata buttata vicinoa un compagnomassacratocon la sua boccadigrignatavolta al peniluniocon la congestionedelle sue manipenetrata nel mo silenzioho scritto lettere piene d’amore

Non sono mai statotantoattaccato alla vita

G. Ungaretti

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San Martino del Carso

Di queste casenon è rimastoche qualchebrandello di muro

Di tantiche mi corrispondevanonon è rimastoneppure tanto

Ma nel cuorenessuna croce manca

E' il mio cuoreil paese più straziato

(Giuseppe Ungaretti, L'Allegria, 1914 – 1919)

Il carattere traumatico e luttuoso della guerra balza in primo piano : nel suo cuore “nessuna croce manca”. La parola diventa un monumento, un cippo che segna la memoria di chi è scomparso.La percezione più acuta del lutto collettivo si può trovare nella semplice, nuda constatazione dell’assenza di chi non c’è più.