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QUADERNI DELLA SEGRETERIA GENERALE CEI NUOVA SERIE N. 11 DICembre 2018 Notiziario DELl’ufficio catechistico nazionale a n n a l e 2 0 1 8

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QUADERNIDELLA SEGRETERIAGENERALE CEI

N U O V A S E R I E

N. 11DICembre2018

NotiziarioDELl’ufficio catechistico nazionalea n n a l e 2 0 1 8

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Ufficio Catechistico Nazionale

ANNALE2018

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CAPITOLO 1 CONVEGNO DEI DIRETTORI E DEI COLLABORATORI DEGLI UCDAssisi, 26-27 aprile 2018La comunità Cristiana: grembo che genera oggi alla fede?

IntroduzioneMons Paolo Sartor, direttore UCN pag. 11

Quale comunità genera alla fede?S.E. Mons. Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena-Nonantola,Presidente della Commissione episcopale della CEI per la dottrinadella fede, la catechesi e l’annuncio. » 14

Il racconto una parola che generaLidia Maggi, Biblista e pastora battista » 23Beatrice Masini, Scrittrice e traduttrice » 26

Esperienze di lavoro integratoIn un insieme di parrocchieMatteo Dal Santo parroco (Milano) » 27

In una diocesiS.E. Mons. Salvatore Muratore, vescovo (Nicosia) » 29

In una regioneAngela e Tommaso Reinero, Piemonte (Cuneo) » 31

CAPITOLO 2 CONSULTE DELL’UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALERoma, Consulta 11-12 giugno 2018

ComunicazioneMons. Paolo Sartor, Direttore UCNRoma, Consulta 15-16 novembre 2018 » 36

La verità ci farà liberi? Big data e società delCalcolo. Il culto del dataismo e le sue conseguenzeDon Fabio Pasqualetti, Decano della facoltà di Scienzedell’educazione dell’UPS. » 49

Indice

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CAPITOLO 3 XXIV CORSO PER ANIMATORI BIBLICIAssisi 9-13 luglio 2018Iniziare i ragazzi alla BibbiaAlla ricerca dei fratelli perduti…La storia di Giuseppe (Gen 37-50)

Come narra(re) la Bibbia?Laura Invernizzi, Gruppo Nazionale SAB » 68

La storia di Giuseppe in una programmazione Catechistica per bambiniDon Marco Mani, membro della Commissione apostolato biblico » 82

CAPITOLO 4 SEMINARIO NAZIONALE DEL SETTORE PER LACATECHESI DELLE PERSONE DISABILI

Assisi, 27-28 aprile 2018

SalutoSuor Veronica Donatello, responsabile nazionale delSettore delle persone disabili » 96

Lectio divinaUn percorso inclusivoFra Giulio Michelini, biblista » 99

Per essere iniziati alla fede: i cinque sensi.S.E. Mons José Tolentino Mendoça, arcivescovo di Suava » 105

Iniziazione cristiana, comunità, inclusive, a che punto siamo?Fratel Enzo Biemmi, catecheta » 110

CAPITOLO 5 CONVEGNO NAZIONALE A 25 ANNI DALLA CREAZIONEDEL SETTORE PER IL CATECUMENATORoma 28-29 aprile 2018

Diventare cristiani in una comunità missionariaIl catecumenato, un capitolo di ricezione del Vaticano II nella chiesa italianaDon Vito Mignozzi, gruppo nazionale catecumenato » 118

Dal “Rinnovamento della Catechesi” a “Incontriamo Gesù” Don Marco Gallo, gruppo nazionale catecumenato » 126

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Un servizio all’iniziazione cristiana: diversità di esperienze e nuove prospettiveDon Jourdan Pinheiro, responsabile nazionale catecumenato » 135

Iniziazione cristiana degli adulti ed eucaristia domenicaleSilvia Romano, testimonianza (Milano) » 143

Verso una pastorale generativaLuci e ombre nella recezione italiana delleprospettive del catecumenato europeodon Walter Ruspi, gruppo nazionale » 147

Sfide circa l’iniziazione cristiana e la catechesi degli adulti oggi in EuropaProf. Stijn Van Den Bossche, Equipe europea dei catecheti » 155

ALLEGATI CEDAC 21 MAGGIO 2018Aggiornamento sul percorso nazionale relativo all’iniziazione Cristiana dei ragazzi anche alla luce dei recenti convegni di Assisi-RomaMons. Paolo Sartor, Direttore UCN » 170

Settore per la catechesi delle persone disabili.Mappatura delle regioniSuor Veronica Donatello, responsabile del settore » 176

Seminario su iniziazione cristiana, scuola e IRCRoma, 20 novembre 2018Generare alla vita e alla fede. Quale sinergiatra scuola e comunità cristianaCosa sarà di questo bambino? (Lc 1,57-66.80)Opportunità e problematiche nel rapporto tra scuola e comunità cristiana.Prof. Pierpaolo Triani, Università Cattolica del Sacro Cuore » 181

Lo racconteremo ai nostri figliIniziazione cristiana e IRC: dalla separazione alla sinergiaSuor Ginevra Rossi, insegnante IRC (Aosta) » 184

AppendiceElenco di tutti gli eventi e le iniziative dell’anno 2018 » 191

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Assisi26-27 aprile 2018

CAPITOLO 1

CONVEGNO DEI DIRETTORI

E DEI COLLABORATORI DEGLI UCD

LA COMUNITÀ CRISTIANA:GREMBO CHE GENERA OGGI

ALLA FEDE?

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Iniziando questo convengo ricordiamo alcu-ne persone che hanno fatto strada con noie in particolare Mons. Ciro Sarnataro che ciha lasciato. Porto i saluti di Mons. IgnazioSanna, presidente della Commissione Epi-scopale per la Dottrina della Fede, l’annun-cio e la catechesi. Una parola di benvenutoa tutte e a tutti. Saluto gli altri vescovi pre-senti che ci richiamano visibilmente il lega-me con le nostre chiese. È bello essere quicosì numerosi, anche da viaggi a volte im-pegnativi. È una fatica che abbiamo sceltodi fare insieme, come abbiamo accolto l’im-pegno di occuparci di annuncio del Vangeloe di Iniziazione Cristiana.Il fatto di ritrovarci ci dà modo di sostenercia vicenda e di non lasciarci schiacciare dallecontingenze. Potremmo dire che, se questoconvengo ci aiutasse a guardare alle sfidedell’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi co-me un’opportunità bella per noi stessi e lenostre chiese, credo che avrebbe raggiuntobuona parte del suo scopo.

UN PERCORSO LUNGO

Parlando di IC siamo consapevoli di un gran-de percorso. Il tema richiama il grande cam-mino profuso a livello nazionale e locale dal-la stagione immediatamente successiva alVaticano II con la preparazione del Docu-mento di Base, fino all’epoca recente di In-contriamo Gesù che ha affrontato con chia-rezza, a beneficio di tutte le nostre chiese, laprospettiva dell’IC di ispirazione catecume-nale. I tre settori dell’UCN trovano la propria

radice nell’IC, come le tre note dedicate al te-ma, le non poche iniziative avviate da diver-se diocesi, e il convegno del 2012 che hamonitorato quanto stava accadendo nelle re-gioni. Quanto lavoro, quanta dedizione! Nel-lo stesso tempo c’è consapevolezza che nellapratica resta ancora molto da fare per dareconcretezza ad alcune dimensioni di fondo.Per esempio che la dimensione liturgica èfondamentale, perché si viene iniziati ai sa-cramenti e attraverso di essi si è raggiuntidalla grazia del mistero pasquale. D’altraparte la catechesi non punta ai sacramenti,ma approda alla vita cristiana. Il cambia-mento di modalità e di stile chiede un lavorocostante, nella scoperta che i sacramenti co-municano il Kerigma della buona notizia chechiede un secondo annuncio per gli adulti esempre più spesso anche un primo annuncioper gli stessi fanciulli. Gli orientamenti pre-senti in Incontriamo Gesù recepiscono e ri-lanciano quanto sperimentato in varie realtàlocali e approfondito in sede teologica. Al n.54 si chiede che: “in tutte le Diocesi – ma-gari anche attraverso una riflessione regio-nale e uno scambio tra Chiese confinanti –si prosegua o si dia avvio ad una progetta-zione ampia che coinvolga le parrocchie inuna proposta uniforme e attui un rinnova-mento reale e corale”. Dà poi mandato“All’Ufficio Catechistico Nazionale di pro-porre itinerari e scansioni esemplificative,proseguire la «mappatura» delle propostediocesane, e provvedere – secondo l’impe-gno assunto dai vescovi negli Orientamentidecennali – a una riflessione che porti allarevisione degli strumenti catechistici”.

IntroduzioneCamminiamo insieme

Mons Paolo Sartor, direttore UCN

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DUE RICHIESTE ALL’UCN

Queste istanze sono in linea con le attesedei territori. Nel 2015 una prima verificasulla recezione di Incontriamo Gesù ha in-dicato due richieste all’UCN, la prima quelladella formazione costante a tutti i livelli; laseconda quella di avviare l’elaborazione diitinerari e strumenti di qualità.Sul versante formativo, l’attività biennaledella commissione formazione 2015-2017si è concretizzata nella proposta del novem-bre 2017 “A tratti verso la formazione”, cheha avuto un buon riscontro e ha portato laConsulta nazionale ad esprimere un parereaffinché il lavoro possa proseguire, se pos-sibile, anche in maniera più stabile. Sul ver-sante dell’elaborazione di strumenti, mi pareche prevalga la valutazione che dice, chenon ha molto senso mettersi a riscrivere te-sti o strumenti senza un impianto condiviso,senza alcuni passi previ da approfondire inogni realtà locale. Ecco dunque la ripresaesplicita all’attenzione all’IC con una schedache è stata inviata alle diocesi alla fine del2015. Un seminario a Roma nel 2016, variincontri di Consulta dal 2016 al 2018 permettere a punto linee guida che sono in cor-so di ricezione e arricchimento dei territori.Rispetto alla stagione dei convegni regionalidel 2012, questi cinque/sei anni non sonopassati invano. L’ottica con cui guardiamoall’IC non è cambiata, però siamo in unastagione in cui antichi dibattiti teologici, an-che abbastanza puntuti, hanno condotto adelementi di chiarezza e permettono di con-centrarci più decisamente sulle pratiche,mettendo in comune esperienze e prospetti-ve. Ricordiamo in proposito quanto ci dicevail segretario CEI nel convegno di Salerno ce-lebrato con l’Ufficio liturgico nel giugno2017: “In questi anni si è molto ragionatodi IC, non è interesse di alcuni studiosi, è af-

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fare di Chiesa mettere in gioco la capacitàgenerativa della Chiesa, il suo essere a ser-vizio di un Signore che chiama, associa allapropria morte e risurrezione, salva, promuo-ve. È decisivo che la sfida sia colta in questasua grande portata”.

ATTENZIONE AL SOGGETTOECCLESIALE

Appare dunque necessario considerare congrande attenzione il soggetto ecclesiale, farlonon solo noi della catechesi, ma in dialogocon gli altri settori pastorali. Già nell’elabo-razione di Incontriamo Gesù o in altre oc-casioni è diventata chiara l’importanza diespressione del documento Comunicare ilVangelo in un mondo che cambia: “La chie-sa madre genera i suoi figli e rigenera sestessa”. Vanno tenuti presenti i riferimentiche tutti conoscono degli orientamenti na-zionali: “Prima sono i catechisti e poi i ca-techismi; anzi, prima ancora, sono le comu-nità ecclesiali” (DB n. 200). Oppure Incon-triamo Gesù al n. 52 quando si indicano glielementi di fondo di un’iniziazione ai ragaz-zi di ispirazione catecumenale si dice che:“ogni tappa e ogni tempo devono avvenirenella comunità, in relazione alla sua vitaordinaria, in primo luogo l’anno liturgi-co...”. O ancora al numero 55 si richiamache in parrocchia: “è possibile rivolgerel’annuncio della buona notizia a tutti, an-che ai più deboli, come le persone disabilie le loro famiglie, gli immigrati, i poveri; èqui soprattutto, che i cristiani vivono l’an-no liturgico, imperniato sulla Domenica,memoria viva della Pasqua”.Il convegno che andiamo a celebrare vuoleessere segnato da letture, ma anche da azio-ne, attivando non solo quelli che sono im-pegnati nella catechesi, ma anche quelli che

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operano in altri ambiti ecclesiali. Che cosasignifica dare spazio alla soggettività dellacomunità cristiana? Quali sono le condizioniperché la comunità sia davvero feconda?Entreremo in questa prospettiva medianteuno sguardo teologico- pastorale propostada mons. Erio Castellucci, alla luce del suocontributo continueremo il confronto facen-do emergere attese, auspici e difficoltà coni quali affrontiamo questo tema. Se uno vaa vedere che cosa è venuto fuori là dove siè trattato di fare esperienza significative cir-ca il rinnovamento dell’IC, al di là di risultaicirca la tenuta dopo i sacramenti, il guada-gno vero è quello di una comunità che ri-scopre la dedizione all’annuncio, la possibi-lità bella della testimonianza. Ciò ha chiestodi superare la settorialità ancora molto dif-fusa nelle nostre realtà.Prenderemo in considerazione uno degli ele-menti possibili dell’azione generativa, quella

del racconto, con due scrittrici abituare araccontare ad adulti e ragazzi, per poi darvoce a persone impegnate nel dialogo conle giovani generazioni. Ascolteremo ambitipastorali in ordine al metterci in gioco per larealizzazione di una comunità generativa.L’ambizione è quella di disegnare una sortadi griglia di confronto che potrà essere ripro-posta nelle singole regioni, anche in base aquella che verrà da voi messo in luce nelmomento dei lavori regionali. Si tratta di unva e vieni a livello nazionale e locale sug-gerito autorevolmente dallo stesso papaFrancesco. Tutto questo dice che siamo in cammino eci possiamo fare aiutare sul cammino dauna significativa espressione di Italo Calvinoche diceva: “Il camminare presuppone chea ogni passo il mondo cambi in qualche suoaspetto, e pure che qualcosa cambi in noi”.È l’augurio che ci facciamo a vicenda.

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Quale comunità genera alla fede?S.E. Mons Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena-Nonantola, Presidente della

Commissione episcopale della CEI per la dottrina della fede, la catechesi e l’annuncio

Ringrazio di cuore tutti i presenti, gli orga-nizzatori, e in particolare don Paolo Sartor,che mi ha direttamente invitato. Ho accet-tato, pur non essendo esperto dell’argomen-to – la nomina a delegato regionale per lacatechesi è arrivata alcune settimane dopol’invito di don Paolo e certamente, a partireda questo intervento, mi verrà revocata –perché volevo che fosse anche per meun’occasione per approfondire il tema, cosìvitale per la nostra Chiesa. Vitale, perché ri-guarda la capacità generativa delle nostrecomunità alla fede: è facile capire come nonesista una domanda più vitale di questa peril cristianesimo. Dalla capacità generativadella Chiesa dipende in gran parte la rispostaalla decisiva domanda di Gesù: “il Figlio del-l’uomo, quando verrà, troverà la fede sullaterra?” (Lc 18,8).Mi chiederò in via preliminare “quale comu-nità” è chiamata a generare. Fatta questapremessa, proporrò alla Francesco Baconeuna pars destruens e una pars construens.Prima qualche riflessione, dunque, sulla co-munità che non genera alla fede, cioè sullacomunità sterile. Poi alcune idee sulla gene-ratività della Chiesa, la sua maternità fecon-da.Assumo come filo conduttore una figura bi-blica, presente nelle Scritture di Israele comematriarca del popolo ebraico e nel Nuovo Te-stamento come “tipo” della Chiesa: mi rife-risco ovviamente a Sara, moglie di Abramo,sterile fino a novant’anni e poi madre di unamoltitudine.

LUNGA PREMESSA: UNACOMUNITÀ MADRE E LIBERA

Nel capitolo 4 della Lettera ai Galati, SanPaolo introduce a sorpresa la metafora ma-terna per indicare il suo rapporto con la co-munità: “figli miei, che io di nuovo partori-sco nel dolore finché Cristo non sia formatoin voi!” (Gal 4,19). Lui, apostolo e dunquemaschio, spinge la relazione con la comuni-tà ad un punto inaudito: fino a paragonarsiad una madre. Non è una concessione alleteorie del gender; è la traduzione paolina diquella “compassione” che Gesù ripetuta-mente aveva provato per le persone e per lefolle. I Vangeli rilevano come fu la compas-sione che mosse Gesù a guarire il lebbroso(cf. Mc 1,41) e i due ciechi di Gerico (cf. Mt20,34) e a risuscitare il figlio della vedovadi Nain (cf. Lc 7,13). Ma anche le folle sonocapaci di suscitare la compassione di Gesù:quando le vede stanche e sfinite come pe-core senza pastore (cf. Mt 9,36), quando loseguono a piedi dalle città portando i malati(cf. Mt 14,13-14) o quando lo ascoltano datre giorni e rimangono senza cibo, al puntoda muoverlo a moltiplicare pani e pesci (cf.Mt 15,32-37). Questa stessa compassioneaccomuna il buon samaritano (cf. Lc 10,33)e il padre misericordioso (cf. Lc 15,20). Lacompassione nei Vangeli, come sappiamo, èun atteggiamento materno, che richiama le“viscere”, il grembo. Splangnizo è un verboper così dire femminile, indica un movimen-to interiore che tocca il centro della persona,

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che la coinvolge. Ma Gesù non vuole riser-vare al Padre o a se stesso questa viscera-lità: la vuole consegnare anche a noi. “Va’e anche tu fa’ così” (Lc 10,37), dice al dot-tore della legge che aveva provocato la pa-rabola del buon samaritano.E Paolo fa proprio così: si muove a compas-sione per le comunità cristiane alle qualiaveva regalato il primo annuncio o che ave-va rafforzato nella fede. Una compassionematerna, la sua, capace di visceralità; unacompassione che suona tutte le note del-l’amore: dalla dolce tenerezza ad una seve-rità addirittura minacciosa, passando attra-verso tutti gli atteggiamenti di una madreverso i figli. Questa ardita metafora permettea Paolo di evocare una relazione affettivaprofonda; più profonda delle altre metaforeche pure utilizza: apostolo, annunciatore,diacono o ministro, padre, ambasciatore,agricoltore e così via. Ma nessuna raggiungela profondità della madre. E proprio quandousa la metafora materna per rapportare ilsuo apostolato alla comunità, Paolo richia-ma le due figure di Sara e di Agar. Dopoavere dunque detto che lui di nuovo parto-risce nel dolore, continua: “Sta scritto infattiche Abramo ebbe due figli, uno dalla schia-va e uno dalla donna libera. Ma il figlio dellaschiava è nato secondo la carne; il figlio del-la donna libera, in virtù della promessa. Ora,queste cose sono dette per allegoria: le duedonne infatti rappresentano le due alleanze.Una, quella del monte Sinai, che genera nel-la schiavitù, è rappresentata da Agar – il Si-nai è un monte dell’Arabia –; essa corri-sponde alla Gerusalemme attuale, che di fat-to è schiava insieme ai suoi figli. Invece laGerusalemme di lassù è libera ed è la madredi tutti noi. Sta scritto infatti: Rallégrati, ste-rile, tu che non partorisci, grida di gioia,tu che non conosci i dolori del parto, perchémolti sono i figli dell’abbandonata, più di

quelli della donna che ha marito. E voi, fra-telli, siete figli della promessa, alla manieradi Isacco” (Gal 4,22-28).Due madri che sono due comunità, poichégenerano entrambe una moltitudine di figli.Ma la schiava Agar è madre di coloro cherimangono schiavi della legge e della circon-cisione, mentre la moglie Sara è madre diquelli che si rendono liberi. In questo passoil confronto non è – come invece in Rom 9-11 – tra Israele e Chiesa proveniente dal pa-ganesimo, bensì, all’interno della comunitàcristiana dei Galati, tra chi accoglie la libertàportata da Gesù e chi vagheggia il ritornoalle regole dei giudei, appunto “i giudaizzan-ti”. In questi densi passaggi, Paolo definiscela Chiesa “la Gerusalemme di lassù”, evi-denziandone la dimensione escatologica dicomunità degli ultimi tempi, e la qualificacosì: “è libera ed è la madre di tutti noi”. Ec-co ciò che gli interessava dire: chi nel bat-tesimo accoglie la libertà portata da Cristo,entra in una comunità – la Gerusalemme dilassù – che è madre di tutti. La stessa ma-ternità apostolica di Paolo, il suo “parto” neldolore, si colloca dentro alla maternità dellaChiesa, alla quale l’apostolo stesso appartie-ne: “madre di tutti noi”, quindi anche diPaolo. Il grembo fecondo della Chiesa è perlui un’esperienza di libertà in Cristo che “ciha liberati per la libertà” (Gal 5,1).“Quale comunità”, dunque, genera alla fe-de? Una comunità madre e libera: non in-vischiata nelle procedure da lei stessa atti-vate, ma capace di compassione, affetto ecoinvolgimento; senza però creare dei lacciche sarebbero ricattatòri, con quella libertàche non mira a suscitare sensi di colpa, chepropone senza rivendicare, esige senzaschiacciare, incoraggia senza appesantire.Non è facile mettere insieme queste due ca-ratteristiche – “è libera ed è la madre di tuttinoi” – perché a volte, nell’esperienza fami-

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liare, la maternità diventa persino vischiosao viene percepita come tale. Credo che que-sto equilibrio sia il segreto fondamentale del-la fecondità ecclesiale: affetto e libertà insie-me. Rimane sempre vero ciò che scrivevaGiovanni Bosco agli educatori, dosando be-ne affetto e libertà: «Ricordatevi che l’edu-cazione è cosa del cuore, e che Dio solo neè il padrone, e noi non potremo riuscire acosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte,e non ce ne mette in mano le chiavi» (Let-tera circolare Dei castighi da infliggersi nel-le case salesiane del 29 gennaio 1883;dall’Epistolario di San Giovanni Bosco, To-rino 1959, vol. 4, 205).

PARS DESTRUENS: UNACOMUNITÀ STERILE

Sara è la prima delle donne sterili menzio-nate nella Bibbia. Quando ancora si chiama-va Sarài e Abramo la ricevette in sposa, “erasterile e non aveva figli” (Gen 11,30; cf. ilrichiamo in Rom 4,19). Lei stessa, poi, sicompiangerà della propria situazione dicen-do: “ecco, il Signore mi ha impedito di avereprole” (Gen 16,2a). Essendo una condizionedi grave emarginazione nell’antica civiltàebraica, la sterilità era ritenuta una specie dimaledizione divina. La sposa sterile venivameno al compito fondamentale di una don-na, che all’epoca era quello di mettere almondo dei figli; siccome il buon nome e laricchezza del marito dipendevano soprattuttodall’abbondanza della prole, normalmente lamoglie sterile veniva abbandonata o comun-que trascurata in favore di altre donne. Laconnessione che l’antica religione ebraicastabiliva tra condizione umana e remunera-zione divina – il benessere è segno di bene-dizione e la sofferenza di maledizione – com-portava dunque che le donne sterili venisse-

ro in qualche modo ritenute punite anche daDio; forse per i loro peccati o forse per quellidei loro avi. Ecco perché Sarài si lamenta diDio. Questo lamento è comprensibile, ma èanche la prima espressione della sua sterilità.Spesso usiamo infatti abbinare i due concettie parliamo di “lamento sterile”, quando unapersona si compiange inutilmente o solo perattirare l’attenzione su di sé. Sarài però non è certamente una donna re-missiva e rassegnata; è intraprendente eprende l’iniziativa di dare un figlio ad Abra-mo attraverso la schiava Agar, dicendo almarito: “unisciti alla mia schiava: forse dalei potrò avere figli” (Gen 16,2b). Non è so-lo il primo caso nella storia di utero in affit-to; è anche e soprattutto la seconda espres-sione della sterilità di Sara: con questo stra-tagemma – che pare utilizzato nella civiltàmesopotamica, come prevedeva lo stessoCodice di Hammurabi § 146 – la donnavuole ottenere il frutto della promessa fattada Dio a suo marito. Infatti già a due ripreseAbramo si era sentito promettere dal Signoreuna grande discendenza, numerosa come lestelle del cielo (cf. Gen 12,2-3; 15,5). Ma iltempo passava, lei andava avvicinandosiagli ottant’anni e lui ne aveva dieci di più.Ecco lo stratagemma, a fin di bene: Dio nonè in grado o non vuole mantenere la suapromessa? Basta dargli una mano e coin-volgere la schiava. Sarài così si dimostrasterile anche nella fede, povera di fiducia nelSignore.La schiava in effetti concepisce e partorisce.Sembra che il “piano B” architettato da Saràifunzioni e che le strategie umane siano ingrado di rompere gli indugi divini. Ma il pro-getto si incrina subito: la moglie diventa in-vidiosa della schiava e dice al marito: “Io tiho messo in grembo la mia schiava, ma daquando si è accorta d’essere incinta, io nonconto più niente per lei. Il Signore sia giu-

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dice tra me e te! Abram disse a Sarài: Ecco,la tua schiava è in mano tua: trattala cometi piace. Sarài allora la maltrattò, tanto chequella fuggì dalla sua presenza” (Gen 16,5-6). Ecco la terza espressione della sterilità diSara: l’aridità negli affetti, un misto di in-vidia e gelosia, una miseria che riguarda leemozioni e le passioni.Ma il Signore, nato Ismaele, appare di nuo-vo ad Abramo martellando i termini dellapromessa già fatta anni prima: “Porrò la miaalleanza tra me e te e ti renderò molto, mol-to numeroso (...): diventerai padre di unamoltitudine di nazioni. E ti renderò molto,molto fecondo; ti farò diventare nazioni”(Gen 17,2.4.6). Dio mette in chiaro che nonè Agar il tramite della promessa, ma Sara:“Quanto a Sarài tua moglie, non la chiame-rai più Sarài, ma Sara. Io la benedirò e an-che da lei ti darò un figlio; la benedirò e di-venterà nazioni, e re di popoli nascerannoda lei” (Gen 17,15-16). E annuncia entroun anno il parto di Isacco (cf. 17,21).I tre misteriosi personaggi accolti da Abramoalla quercia di Mamre, che poi sono il Signo-re stesso, ribadiscono la promessa: “Torneròda te fra un anno a questa data e allora Sa-ra, tua moglie, avrà un figlio” (Gen 18,14).Sappiamo della reazione di Sara, che “stavaad ascoltare all’ingresso della tenda, dietrodi lui. Abramo e Sara erano vecchi, avantinegli anni; era cessato a Sara ciò che avvie-ne regolarmente alle donne. Allora Sara risedentro di sé e disse: Avvizzita come sono,dovrei provare il piacere, mentre il mio si-gnore è vecchio! Ma il Signore disse adAbramo: Perché Sara ha riso dicendo: Potròdavvero partorire, mentre sono vecchia? C’èforse qualche cosa d’impossibile per il Si-gnore? Al tempo fissato tornerò da te tra unanno e Sara avrà un figlio. Allora Sara negò:Non ho riso, perché aveva paura; ma eglidisse: Sì, hai proprio riso” (Gen 17,10-15).

La quarta espressione della sterilità di Saraè lo scetticismo: tutto va contro la realizza-zione della promessa – la sua sterilità e laveneranda età dei due coniugi – e il riso diSara, o meglio il ridacchiare dentro di sé, al-tro non è se non la concretezza di chi tienei piedi per terra evitando illusioni e voli pin-darici. Il bellissimo passaggio, una specie dimidrash didattico, registra anche una quintaespressione della sterilità di Sara: la menzo-gna. Negando di avere riso, Sara rifiuta diammettere davanti al Signore il proprio scet-ticismo; e lo fa negando l’evidenza, utiliz-zando quindi l’arma infantile della bugia.Sara, intesa come “tipo” della Chiesa, con-voglia cinque sterilità consistenti: lamento,strategia, invidia, scetticismo e falsità. Lacomunità cristiana è un grembo sterilequando cade in questi atteggiamenti. Allorasi potranno avere anche i catechisti miglioridella diocesi, le strutture più adatte e il par-roco 4.0, ma tutto cadrà nel deserto, nel-l’aridità. Allora chiunque verrà a contattocon la comunità, avrà l’impressione di ungrembo sterile e non ne verrà certo conqui-stato.Il lamento è talmente diffuso nella societàattuale e nelle nostre comunità cristiane, chesembra quasi essersi cronicizzato. Tutti sen-tono il diritto di lamentarsi di tutti. A comin-ciare dal lamento verso i ragazzi e i giovani,per proseguire con le recriminazioni verso lefamiglie “che non sanno più educare” e ter-minare, ovviamente, con le rimostranze ver-so il parroco e il vescovo; e non sempre sisalva il papa. Una comunità affetta da la-mentosi cronica, che si piange addosso co-me Sara, diventa un grembo sterile; le per-sone ne stanno alla larga o la avvicinanosolo quando è inevitabile, per certificati oprestazioni religiose.Anche la seconda espressione della sterilitàdi Sara, la ricerca degli stratagemmi a pre-

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scindere dalla parola di Dio, è fatale per lecomunità cristiane. Certamente è importanteprogrammare, pianificare e progettare; maper farlo evangelicamente, dovrà trattarsisempre di abbozzi mai incorniciati, tratti dimatita mai compiutamente colorati. Perché,come ricorda spesso papa Francesco, si in-sinua nella Chiesa quella mentalità monda-na che porta a cercare il riscontro quantita-tivo dei numeri più che la qualità dell’azionedello Spirito. Se le iniziative comunitarie nonrispondono alla logica missionaria dell’an-nuncio, possono coinvolgere anche le follee portare in cassa tanti proventi, ma finisco-no nella sterilità.L’invidia di Sara verso Agar è l’espressioneforse più evidente della sterilità. Credo chesia anche la contro-testimonianza maggiorenei confronti di chi si affaccia alla vita diuna comunità, bambini e ragazzi soprattut-to. L’invidia infatti muove il chiacchiericcio,così virale anche negli ambienti ecclesiali enon solo curiali; spinge ad un confrontocontinuo con l’altro, quasi che la comunitàfosse impegnata in una perenne olimpiade;crea quel clima di sfiducia reciproca che lepersone respirano ben più delle parole e del-le iniziative. L’invidia, già denunciata daSan Paolo (cf. Gal 5,26), è paragonabile aduna delle cause più importanti della sterilitàfemminile, la menopausa precoce. Dobbia-mo vigilare contro una sorta di menopausaprecoce comunitaria.Sara è scettica verso la promessa di Dio e neride dentro di sé. Lo scetticismo, quartaespressione della sterilità, può colpire le no-stre comunità sotto varie forme. Sappiamobene quanto sia difficile appassionarci e ap-passionare per la parola di Dio, per la cele-brazione dei misteri del Signore, per l’incon-tro con le persone in difficoltà; è difficile,perché richiede fiducia nelle promesse diDio, che non garantiscono mai il successo

immediato, ma si proiettano sui tempi lun-ghi. La formazione ha bisogno di tempi lun-ghi; e la comunità cristiana a volte è scetticasui tempi lunghi, i tempi di Dio, e cerca dellescorciatoie che diano risultati rapidi, sicuri,misurabili. Così fanno anche, ad esempio,gli organismi di partecipazione, quando si ri-ducono a circoli puramente organizzativi,abdicando al loro servizio del “discernimen-to comunitario”.Infine, la falsità. Sara nega di avere risodentro di sé. La menzogna è sterile di suanatura, perché non può produrre altro chenuove negazioni e nuove bugie. Nelle nostrecomunità la prima dote dovrebbe essere latrasparenza nelle relazioni, la schiettezza re-ciproca: in una parola, la parresia, letteral-mente la libertà di “dire tutto”; una virtù cheSan Paolo richiama una decina di volte nellesue lettere. Parresia non è certo brutalità,sfogo o aggressione dell’altro; è correzionefraterna, ammissione delle proprie respon-sabilità, riconoscimento dei propri limiti.Quando nelle comunità si instaura un climafalsamente rispettoso, o si sente il bisognodi nascondere dietro ai ruoli le proprie debo-lezze – creando piccole isole di potere intoc-cabili – esse diventano grembi sterili. Questaera la pars destruens. Ora riprendiamocidalla depressione pastorale e passiamo allapars construens: che ci riserverà una bellasorpresa teologica.

PARS CONSTRUENS: UNACOMUNITÀ FECONDA

Svelo subito la sorpresa teologica: il Signoredona la fecondità a Sara passando attraver-so le espressioni di sterilità. Dio non ignorala sterilità e nemmeno la accantona, ma latratta come un’opportunità e agisce trasfor-mandola. Proprio i segni di sterilità diventa-

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no segni di fecondità: il lamento diventa lo-de, la strategia consegna a Dio, l’invidia vei-colo di elezione, lo scetticismo gratitudine,la menzogna verità. Queste trasformazionipossono essere solamente opera di Dio.Il concepimento di Isacco capovolge quindila situazione; da quel momento Sara com-prende che le sue strategie umane eranoinutili, perché il Signore realizza cose moltopiù grandi da solo. Mentre il concepimentodi Agar fu opera interamente umana, quellodi Sara richiese l’intervento divino. Infatti ilconcepimento di Agar è descritto così:Abram “si unì ad Agar, che restò incinta”(Gen 16,4); mentre quello di Sara è presen-tato così: “Il Signore visitò Sara, come avevadetto, e fece a Sara come aveva promesso”(Gen 23,1). Solo il Signore è capace di por-tare vita nell’aridità di un grembo sterile.L’iniziativa attivata da Sara con la schiavaAgar rispondeva alle tempistiche umane,all’impazienza di vedere in qualche modo ifrutti della promessa divina; ma “Sara con-cepì e partorì ad Abramo un figlio nella vec-chiaia, nel tempo che Dio aveva fissato”(Gen 21,2). Il tempo della realizzazione è ri-servato a Dio e non agli stratagemmi umani,nemmeno ai più scaltri e logici. L’interventodi Dio mostra tutta la goffaggine degli uo-mini quando vogliono aiutarlo o difenderlocon le loro forze.Il lamento di Sara, quindi, diventa lode, per-ché la maledizione della sterilità diventa be-nedizione della fecondità. E così lei, appenanato Isacco, può esclamare: “Motivo di lietoriso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà rideràlietamente di me! (...) Chi avrebbe mai dettoad Abramo che Sara avrebbe allattato figli?Eppure gli ho partorito un figlio nella suavecchiaia!” (Gen 21,6-7). Dio, che Saraaveva incolpato della sua vergogna, ora èlodato per avere restituito la gioia. E ancheil tema del “riso”, che prima esprimeva scet-

ticismo ed era stato persino motivo di men-zogna – dunque espressione di due sterilità– ora trasmette serena ironia e autentica cer-tezza; una certezza così salda che dà il no-me stesso ad Isacco, colui che ride. Il risodello scetticismo, dietro la tenda, era con-centrato sulla vecchiaia – sua e di suo ma-rito – mentre il riso della certezza guarda alfuturo, a coloro che rideranno di gioia perlei.Ma non basta. Dio riesce persino a trasfor-mare l’invidia di Sara, che permane anchedopo la nascita di Isacco e si riversa di nuo-vo sulla povera Agar e su Ismaele: “Sara vi-de che il figlio di Agar l’Egiziana, quello chelei aveva partorito ad Abramo, scherzavacon il figlio Isacco. Disse allora ad Abramo:Scaccia questa schiava e suo figlio, perchéil figlio di questa schiava non deve essereerede con mio figlio Isacco. La cosa sembròun gran male agli occhi di Abramo a motivodi suo figlio. Ma Dio disse ad Abramo: Nonsembri male ai tuoi occhi questo, riguardoal fanciullo e alla tua schiava: ascolta la vo-ce di Sara in tutto quello che ti dice, perchéattraverso Isacco da te prenderà nome unastirpe. Ma io farò diventare una nazione an-che il figlio della schiava, perché è tua di-scendenza” (Gen 21,9-13). Il Signore noncancella dunque l’invidia di Sara – che man-tiene tutta la sua ruvida umanità – ma lautilizza per realizzare la sua promessa. Dinuovo un motivo di sterilità diventa una ra-gione di fecondità.Mi sembra di vedere in questa esplosione diinvidia, pur trasformata da Dio, un’altramessa in guardia per le nostre comunità.Ismaele scherzava con Isacco: il gioco uni-sce i due figli; ma lo sguardo adulto, coltodall’invidia, li separa. Non dimentichiamoche tra i due figli c’erano 14 anni di diffe-renza; dunque Ismaele è un giovanotto,mentre Isacco è un bambino. Un giovane

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che gioca con un bambino, forse ancheprendendolo in giro e stuzzicandolo, diventafacilmente il suo punto di riferimento e il suomodello. L’invidia di Sara potrebbe dunqueessere mossa dal timore che Ismaele estorcain qualche modo la primogenitura a Isaccoo che possa ottenere l’eredità di Abramo.Mentre dunque il gioco unisce e mette pace,il potere e le ricchezze tendono a dividere einnescare guerre. Se non fosse intervenutonuovamente il Signore, trasformando l’invi-dia della donna in occasione per ribadire lapromessa, Sara avrebbe rischiato una nuovasterilità. Le nostre comunità non sono maial riparo dal rischio dell’aridità, che rispuntaquando alle relazioni serene e distese – quirappresentate dallo scherzo e dal gioco – su-bentrano relazioni sospettose, segnate dallapreoccupazione per il potere e la ricchezza.Siamo all’ultimo passaggio: qual è l’espe-rienza che ha cambiato per Sara la sterilitànella fecondità? È l’episodio delle querce diMamre a segnare la svolta decisiva (cf. Gen18). La visita del Signore, rappresentato daitre uomini ai quali Abramo parla al singo-lare come se fosse uno solo, è il momentoin cui la vicenda di Abramo e Sara prendedecisamente la via della fecondità. In questascena si scorgono gli elementi fondamentalidell’esperienza di Dio: accoglienza, servizio,mensa ospitale. Abramo vede i tre uomini,che sono degli sconosciuti. E subito compieil gesto della prostrazione, riconoscendovi ilSignore e rivolgendogli la parola, avviandoun dialogo, pregando di accettare l’ospitali-tà. Si mette poi al loro servizio: predisponel’acqua per dissetarli e lavare i piedi e li faaccomodare all’ombra. Poi prepara unamensa molto ricca: focacce, carne tenera divitello, panna e latte. Mentre loro mangia-no, lui si colloca in piedi al loro fianco, di-sponibile come un cameriere alle loro richie-ste. Segue la conferma della promessa e la

scena del riso di Sara. E quando quei tre uo-mini, cioè il Signore, se ne vanno, si chiudeil capitolo della sterilità di Sara e si aprequello della sua fecondità. Da moglie diven-ta madre.L’esperienza-chiave è l’accoglienza. Unacomunità è feconda nella misura in cui sirende ospitale. Non è condannata a sceglie-re tra l’accoglienza di Dio e l’accoglienzadegli uomini, perché il Signore si presentanelle sembianze umane. Dirà poi Gesù:“ogni volta che avete fatto una di questecose a uno solo di questi miei fratelli piùpiccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).Grembo e accoglienza sono in realtà dueparole inseparabili, perché il grembo è ilsimbolo stesso dell’accoglienza. Genera co-lui che accoglie; genera la comunità ospita-le. Non c’è nulla di nuovo: già la prima co-munità cristiana, pur essendo ancora unpiccolo gregge, cercava di superare la ten-tazione di chiudersi come una cittadella for-tificata e si sentiva invece grembo fecondo:“erano perseveranti nell’insegnamento degliapostoli e nella comunione, nello spezzareil pane e nelle preghiere” (At 2,42). Sonoin fondo gli stessi ingredienti dell’ospitalitàdi Mamre: parola, pane condiviso, preghie-ra, comunione. Una koinonia così forte,nella comunità di Gerusalemme, da esten-dersi ai beni e alle proprietà. In un clima fe-condo, che ci ricorda l’esultanza di Sara do-po la nascita di Isacco: letizia e semplicitàdi cuore, lode a Dio, favore da parte del po-polo. È una bellissima descrizione del grem-bo fecondo della Chiesa.La maternità della Chiesa è maturata e cre-sciuta per secoli “nelle case”, come testimo-niano sia gli Atti degli Apostoli sia le Letterepaoline. La connotazione domestica rimanefondamentale nelle nostre comunità cristia-ne, che sono feconde quando coltivano re-lazioni familiari, più che aziendali; quando

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si aprono all’accoglienza dell’ospite, più cherifugiarsi nell’affermazione della propriaidentità; quando la comunione al pane eu-caristico si traduce nella condivisione deltempo, degli affetti e delle risorse e non silimita alla precisione del rito. Anche di quideriva l’importanza del coinvolgimento dellafamiglia nell’itinerario dell’iniziazione cri-stiana e della mistagogia; sappiamo beneche non esistono ricette sicure, ma sappia-mo anche l’importanza di provare le stradepossibili per proporre itinerari “domestici”,come si sta tentando attraverso vari metodidi catechesi “alla” famiglia – cercando lastrada di un “secondo annuncio” che faccialeva sulla genitorialità – ma anche “con” lafamiglia, “nella” famiglia e “della” famiglia.Vado alla conclusione, richiamando alcuneconvinzioni ormai assodate grazie anche allavoro svolto nelle nostre diocesi e all’intrec-cio di esperienze, riflessioni e intuizioni chehanno segnato la Chiesa italiana negli ultimidecenni, nei campi della catechesi e dell’ini-ziazione cristiana. Credo che l’ispirazionecatecumenale sia ormai entrata, almeno co-me intenzionalità, in diversi modelli di ini-ziazione cristiana, la quale andrà sempremeno compresa come iniziazione “ai” sacra-menti e sempre più come iniziazione “attra-verso i” sacramenti. Richiamo quindi soloalcuni tratti di fecondità del grembo eccle-siale.La Chiesa genera alla fede, da sempre, at-traverso i sacramenti, la parola, il servizio,la preghiera. Genera e accoglie con affettonel battesimo i nuovi cristiani, immergendolinel mistero della Pasqua; come una madrefa con i figli, li lava con l’acqua e poi li pro-fuma con il crisma, li nutre con l’eucaristianel giorno del Signore, li corregge e li per-dona con la penitenza, e nel frattempo lieduca ad amare insegnando loro a parlare,senza perdere tempo nelle parole secondarie

ma concentrandosi su quelle essenziali, sulkerygma; la madre è dunque anche la primamaestra. La Chiesa-madre poi introduce i fi-gli ai momenti festosi della famiglia e li ren-de a volte anche protagonisti di questi even-ti; educa poi al servizio e, come ogni madreattenta, abitua i figli a rispettare gli altri ead una particolare cura verso i fratelli menofortunati e più bisognosi; accoglie tutti i figli,anche quelli colpiti da disabilità fisiche e psi-chiche, verso i quali è ancora più premuro-sa; prepara poi tutti i suoi figli alla vita adul-ta, aiutandoli a compiere le scelte fonda-mentali con responsabilità. Una brava ma-dre non pretende lo stesso passo e il mede-simo ritmo di crescita da tutti i figli, ma sarispettarne l’indole, le capacità, le possibilitàe i limiti; prevede cioè dei cammini graduali,scanditi da tappe e diversificati. E aggiun-gerei che lascia i figli scherzare e giocare tradi loro, senza impedirglielo come fa Sara conIsmaele e Isacco, ma anzi favorendo la di-mensione ludica, in grado di veicolare comepoche altre il senso della gratuità. In defini-tiva, una madre è interessata alla crescitadei figli in tutte le dimensioni della loro per-sonalità: sentimenti, affetti, memoria, fan-tasia, intelligenza, volontà, corporeità, ca-pacità manuali. Tutti questi ingredienti ma-terni fanno parte del grembo di una comu-nità e la loro presenza viva ne determina lafecondità, come la loro assenza, purtroppo,la sterilità.Il passaggio fondamentale oggi mi sembraproprio questa consapevolezza “olistica”, atutti i livelli della maternità ecclesiale. A par-tire dalla consapevolezza che di fatto è l’in-tera comunità che genera – o non genera al-la fede; Sara non è, e non deve essere, so-lamente “la catechista”, ma l’intera assem-blea eucaristica, e specialmente l’équipe de-gli operatori pastorali, a partire da presbiteri,diaconi, ministri e consacrati, per compren-

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dere animatori della liturgia e dell’oratorio,allenatori, persone impegnate nelle realtàcaritative e assistenziali, capi scout ed edu-catori di Azione Cattolica e così via. O l’in-tera comunità si rende conto di essere grem-bo, oppure questo grembo sarà sterile. Unapproccio olistico comporta l’integrazione frai diversi ingredienti dell’esperienza cristianae tra i diversi soggetti della comunità, i qualisono di fatto – lo sappiano o meno – dei te-stimoni per tutti coloro che vengono gene-rati alla fede.

CONCLUSIONE TELEGRAFICA

Non possiamo sognare una comunità-ram-bo, fatta di supereroi con capacità eccezio-nali. Ma nemmeno ci possiamo rassegnaread una comunità-zombie, fatta di morti vi-

venti che destano forse più compatimentoche timore. Una comunità madre e libera,come dice San Paolo, è una comunità nor-male. La nostra madre probabilmente nonci ha educati consultando i capitoli di unmanuale di psicologia, ma ci ha accolti nelsuo grembo, ci ha messi al mondo, ci ha la-vato, nutrito, pulito, profumato, curato, cor-retto, educato. Avrà commesso tanti errori eforse da adolescenti glieli abbiamo ancherinfacciati. Ma le siamo profondamente gratie riconoscenti. Se le persone, fin da piccole,si sentono accolte e guidate da una comu-nità che li ospita dentro a tutte le proprieesperienze, magari poi prenderanno le di-stanze, ma conserveranno quella gratitudinesulla quale il Signore, nelle occasioni che luiconosce, potrà innestare un nuovo interesseper la vita di fede.

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La bibbia è una lettera d’amore indirizzataa un credente. Oppure una lettera d’amoreletta da chi non è innamorato. Non c’è nien-te di più ridicolo di leggere una letterad’amore di un innamorato quando tu nonami. Entro così nella narrazione biblica enella catechesi, perché prima ancora di ri-flettere sul nostro rapporto con i ragazzi, bi-sogna riflettere nel nostro rapporto con lescritture, non solo in riferimento agli utenti,ma prima di tutto partendo da noi. Che tipodi rapporto abbiamo, troviamo difficoltà adaprirle? In questo mi faccio aiutare da quelloche gli ebrei recitano ogni giorno: “Ascolta,Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signoreè uno solo.  Tu amerai il Signore tuo Dio contutto il cuore, con tutta l’anima e con tuttele forze. Questi precetti che oggi ti dò, ti stia-no fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, neparlerai quando sarai seduto in casa tua,quando camminerai per via, quando ti cori-cherai e quando ti alzerai. Te li legherai allamano come un segno, ti saranno come unpendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli sti-piti della tua casa e sulle tue porte” (Dt 6,4-9).Questa preghiera ci introduce in una espe-rienza di fede che si preoccupa di diventaregenerativa. Prima ancora di essere preoccu-pati di trasmettere la fede alle generazionifuture, lo schema chiede che queste parolesiano davanti a te, siano la tua memoria,qualcosa che ti abita e conosci e appesa allesoglie, come un pendaglio davanti agli occhiper indicare quanto questa presenza debbaessere frequentazione ordinaria anche quan-do non si è troppo disponibili a lasciarsi in-terrogare da questa parola.

APRIRSI ALLA GENERATIVITÀ

Le parole forti diventano battito che dannogrido alla preghiera. Molte delle fatiche chefacciamo a trasmettere il testo biblico allenuove generazioni nascono dalla fatica cheabbiamo col testo biblico e dall’atteggiamen-to con cui ci approcciamo a quello che vuoleessere il nostro tesoro.Da una parte sappiamo che lì si aprono oriz-zonti, ma dall’altra parte ci difendiamo. Cisembra di non essere legittimati ad entrare neltesto biblico per interpretarlo, ci sembra cheper trasmetterlo occorra fare troppo sforzo, cisembra sia troppo difficile. Si diventa steriliquando tutte queste fatiche ci bloccano. La sfi-da per ritrovare la generatività è fare un attodi fiducia al testo, aprirlo, frequentarlo, darefiducia al testo perché possa parlare a noi ealle generazioni future. Non significa soltantola fatica per permettere che qualcosa si faccia,ma vuol dire prendere sul serio la Parola.Questo significa cambiare il clima con cui ciapprocciamo, da un clima difensivo, dovemettiamo la distanza, a un clima che ci per-mette di aprire il testo dando fiducia. Si trat-ta di aprire una finestra e cambiare il climadi diffidenza e difensa, perché per trasmet-tere la fede in maniera generativa occorredare fiducia. Se ci fidiamo di questa Parola,sentendo la voce di chi lì ci ha chiamato econtinua a chiamare, allora prenderemo sulserio questo testo, senza la preoccupazionedi censurarlo o emendarlo. Dal punto di vi-sta della fede questo ci chiede una conver-sione di sguardo. Dal punto di vista del lin-guaggio narratologico, significa fare un attodi fiducia in se stessi.

Il racconto una parola che generaLidia Maggi, pastora battista e biblista

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LA FATICA DI COMUNICARE

Una domanda: noi sappiamo come suscitarecuriosità nella Parola verso le nuove gene-razioni che ci spiazzano, siamo in grado noidi comunicare la passione per questa paro-la?La Parola risulta difficile, non solo perchéantica, ma perché oggi ci troviamo a strut-turare il pensiero come spot, come espres-sione rinchiusa in un tweet, come parolaimmediata. La parola di Dio invece è unaParola che richiede tempi lunghi e distesi,perché si possa distendere un racconto. Èuna Parola che richiede un viaggio e nonuno spot, richiede lunghi respiri, capaci difarci cambiare orizzonte. Allora non c’è sol-tanto la comunicazione in tempi stretti, mala trasmissione in tempi ben delimitati conmetodi ben codificati.Altro problema è dato dal fatto che, non sol-tanto viviamo una realtà a spot, ma scon-tiamo la distanza con una parola plurale,che si consegna come rilettura, per cui ri-chiede il ritornare sulle narrazioni che ab-biamo già letto. Noi siamo gente che non ri-torna, ma il testo biblico è una letterad’amore, che va riletta, e come tutte le can-zoni, ha bisogno di più ascolti perché possaessere assaporata.

DALLA STERILITÀ A GREMBOFERTILE

Accanto a tutto questo poi c’è la nostra in-comprensione delle nuove generazioni. Cifacciamo un pregiudizio di come i giovanisono oggi. Spesso un giudizio negativo, igiovani non son in grado di attenzione, twe-ettano la realtà, non vanno a fondo. Ci fac-ciamo un immaginario e in questo cerchia-mo quelle difese che si impediscono di es-

sere sereni nel predisporci a narrare. Per di-ventare generativi bisogna coniugare unapassione che forse è nascosta sotto le fati-che, insieme a una buona dose di autoiro-nia. Non possiamo prevedere il risultato diuna narrazione, dobbiamo predisporci a di-ventare grembo fertile. Il trasmettere la fedealle nuove generazioni passa sempre attra-verso una sterilità. Sterilità che è il dato co-stituivo della realtà di vita.Per diventare grembo fertile è necessario ac-cogliere le proprie sterilità, che invece spessovengono negate, e attribuite a ragioni eti-che, e si cade nel lamento, c’è sempre unareazione cui attribuire la nostra sterilità,mentre invece la sfida biblica è proprio quel-la di uscire dal pensare che la generativitàè scelta concreta. Di tutto questo ci parla labibbia, mettendo in evidenza la sterilità deinostri padri che ne escono sempre grazie ainterventi eccezionali.Il progetto di Dio, che passa attraverso igrembi sterili delle matriarche che diventanofeconde, si fa storia collettiva. Come è col-lettiva la preghiera che Israele pronunciaogni giorno: “Ascolta Israele”. È un tu chediventa collettivo.

L’AZIONE DELLA COMUNITÀ

La generatività non appartiene a un patriar-ca, ma a un tu che è collettivo. Chi narra èuna comunità, qui viene in luce la dimen-sione ecclesiale. Se la narrazione è globale,la narrazione è affidata a tutta la parrocchia.Qui abbiamo un problema nella catechesi,perché spesso diventa un settore delle atti-vità parrocchiali e la parrocchia invece di es-sere voce narrante della fede affida questocompito a settore specifici. La parrocchia de-ve appropriarsi della capacità di saper nar-rare. Il rischio è quello di affidarci all’istrione

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di turno, al brillante, a colui che batte lastrada della generatività. Su questa strada èpossibile avere a breve termine percorsi ge-nerativi, persone che sappiano suscitarepassioni, ma è un percorso che percorre lastrada della genialità e in tutte le stagioni cisono geni. Quando una comunità si pone ilproblema di essere generativa deve affidarsia una parola che sappia far sentire gli echiin tutte le attività che la parrocchia mette inscena.Qui non c’è una ricetta particolare, ma c’èla possibilità di interrogarci se la comunitàin cui condivido la fede è una comunità ca-pace di liberare la bellezza del Vangelo.

UN SAGGIO NARRATIVO

Vi lascio con un piccolo saggio di narrazioneper farvi sentire il sapore. Narro di un gio-vane che percepisce di avere una vocazionee sente le aspettative di quanti gli sono at-torno e gli hanno detto come vivere la suavocazione.Lui si ribella. Parlo di Sansone. È il figlio at-teso, figlio della promessa, è il figlio in cui igenitori hanno ricevuto tutte le istruzioni percosa deve mangiare e cosa no, come devevestire, cosa deve fare, non tagliare i capelli,non frequentare le donne. Vive in un’espe-rienza di fede che codifica la propria appar-tenenza e la propria vocazione attraversoquesto linguaggio. Peccato che Sansone nonsi riconosce, gli piace il vino e a Sansonepiacciono le donne. Non è solo trasgressivo,ma non riconosce neppure le indicazioni che

i genitori gli propongono. I Filistei, sono inemici storici di Israele, per lui che è natonella terra di mezzo, sono i suoi compagnidi gioco, e le ragazze dei Filistei sono belle,è difficile non innamorarsi. Non capiscel’espressione “donne e buoi dei paesi tuoi”,c’è uno scontro generativo, ma c’è ancheuno scontro sul modo con cui vive la fede.Per sui Sansone, sempre più incompreso,inizia ad assumere atteggiamenti trasgressi-vi, con genitori che da una parte sembranomolto moderni. Sansone chiede una cosa eloro subito lo accontentano, per cui non è ingrado di sviluppare una dimensione affetti-va. Sansone chiede una donna e i genitorigliela vanno a prendere. Ma non va beneuna donna del nostro paese? No, voglioquella. Sansone avrà un grande problemacon gli affetti perché non ha imparato lagrammatica degli affetti. Tutto è ridotto a bi-sogno, questi genitori che sanno tutto, nonsanno educarlo sulla questione vitale chesegnerà le sue fatiche, gli affetti. La fine diSansone è tragica, è come se nel distruggerese stesso non riesce a fare questo senzacoinvolgere gli altri: “Muoia Sansone contutti i Filistei”. Ed è la storia dell’ultimo giu-dice d’Israele, è l’epoca più confusa. Comenoi ci sentiamo confusi. Vi consegno questastoria fatta col sapore del linguaggio biblico.La bibbia ha la pretesa di parlare alla vita,per offrire una storia non con ricette, spot,o tweet, richiedendo un viaggio in terre lon-tane. Ci porta a fare percorsi parabolici enarrativi per scoprire che quella donna equell’uomo sei tu.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

1 F. CAVALLO - E. FAVILLI, Storie della buona notte per bambine ribelli, Mondadori, Milano 2017.2 B. MASINI, La spada e il cuore. Donne delle Bibbia, Einaudi Ragazzi, Torino 2009.

Beatrice Masini, scrittrice e traduttrice

Ci troviamo in un tempo di analfabetismo di ri-torno, la trasmissione dei valori è mediata daoggetti più facili da maneggiare o da dare in ma-no ai bambini. Questi sono aspetti che affliggo-no l’editoria dei ragazzi.Il mercato editoriale dei ragazzi è cresciuto, mamanca sempre un anello, per cui non abbiamoun popolo di lettori che cresce. Nel mondo deilibri conta tanto la scuola perché fino a 5-6 anniè la famiglia che si preoccupa di acquistare testi,anche se non compra con la stessa attenzionecon sui si comprano altre cose. Poi tutto passanelle mani della scuola, e si genera un paralle-lismo, gli anni formativi sono quelli della fami-glia. Poi la catechesi e la scuola subentrano, el’adulto fa un passo indietro. Quando questo pa-trimonio qualitativo pasa di mano, assistiamo adue modalità nella scuola. C’è una branca di in-segnanti che seguono le novità, e un’altra cheè tradizionalista e non fa che proporre gli stessimoduli.

CONCENTRARSI SULLE STORIE

In riferimento a questa attenzione mi viene inmente di evocare due figure importanti di questomondo. Roberto Denti il primo libraio per ragaz-zi ha creato insieme alla moglie una libreria aMilano, quando c’erano poche centinaia di libri.Oggi ne escono circa 2000 all’anno. Lui ha ri-badito alcune cose fondamentali: l’importanzadi raccontare le storie prescindendo dai materialiperché per un bambino non è importante il co-me, apprezza molto che gli regalino del tempo.Basta questo, perché stai facendo qualcosa cheha la tua voce e lo fai in modo gratuitoAltra personalità Aidan Chambers ha fatto taneesperienze. È stato bambino dislessico, si è resoconto tardi di questa situazione. Il mondo dei li-

bri per ragazzi è diventato il suo motivo di azio-ne. Ha intrapreso anche un percorso di insegna-mento e formazione degli insegnanti e svilup-pato proposte per la formazione nelle scuole. Hascelto di scrivere per giovani adulti. Si è spesoper la lettura a ingresso facile. Lui ha sottolinea-to che è importante avere dei modi di condivi-sone con i ragazzi. Leggere ad alta voce è unmodo per entrare in comunione.

DIFFUSIONE DELLE STORIE

Il libro più venduto del 2017 è “Storie della buo-na notte per bambine ribelli”1, 470 mila copievendute. È un libro di storie, e rivela che unirestoria con la realtà è un’alchimia interessante.Questi fenomeni si accendono grazie a una pa-rola di contagio. A noi fa dire che possiamo rac-contare le storie che abbiano un’incidenza conla vita. Il mercato si preoccupa di formare i let-tori di domani, e nella misura in cui capitanoquesti fenomeni, si lavora su un capo di verità.C’è oggi bisogno di realtà e concretezza. I libridi questa gamma hanno forza perché parlano intermini di senso. Non possiamo ignorare questospazio che può generare idee.Chiudo con una breve narrazione. Uno dei libriche ho fatto è: “La spada e il cuore”2, che parladi donne nella bibbia, l’idea era di dare voce apersonalità che sono nelle pieghe della storiadella salvezza. Mi sono divertita a scrivere sullamoglie di Noè. Mi sono immaginata che dete-stasse l’idea dell’arca, non solo delle onde, maanche di questa convivenza con tanti animaliche generano odore, e non fanno dormire du-rante la notte. Presa da un momento di dispe-razione prende un insetto un po’ peloso e loschiaccia, e di quell’insetto non avremo traccianel mondo.

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Parto da un’espressione risuonata più voltein questo convegno, la comunità cristiananon solo deve generare alla fede, ma puòdiventare generativa, ogni volta che coglieoccasioni e fecondità che il Signore crea eindica.

IL CONTESTO

Un gruppo di quattro parrocchie ha avviatoquesta esperienza. Fino a due anni fa eroresponsabile di una serie di parrocchie inuna cittadina a nord di Milano, normal-mente contava ogni anno circa 250 bam-bini che iniziavano il cammino di IC. Ab-biamo sentito il bisogno di lavorare insie-me. Abbiamo creato un’équipe di due cate-chisti per ogni parrocchia. Questo piccologruppo ci ha permesso di conoscere i per-corsi, perché pur essendo parrocchie vicine,ogni realtà aveva un suo modo di iniziarealla fede. Si è incominciato a fare scelte co-muni: quando iniziare il cammino; comecoinvolgere i genitori; in quale anno collo-care i sacramenti. Il lavorare insieme ci hapermesso di moltiplicare le idee. Ci siamoaccorti che questa scelta ha segnato un rin-novamento, e un cambiamento nella cate-chesi ed è diventata decisiva e di riferimen-to.

LA REALIZZAZIONE DI UNITINERARIO

Il secondo passaggio è stato quello di con-frontarci con un itinerario già sviluppato.

Abbiamo rivisto i progetti pubblicati in que-gli anni, prendendo in esame quelli che cisembravano meglio impostati. L’équipe ogni anno studiava l’itinerario scel-to con l’intento di adattarlo alla propria re-altà. Questo è stato un lavoro affascinante,ci si è resi conto quando si progetta qualcosaci si affezione al progetto.

L’IMPEGNODELL’ACCOMPAGNAMENTO

Durante questi quattro anni l’équipe ha svi-luppato il compito di accompagnare i trentacatechisti, presentando il contenuto neglisnodi fondamentali, mettendo l’accento suqualche realtà significativa, e offrendo glistrumenti per elaborare e vivere il cammino.L’accompagnamento ha fatto maturare lacapacità di dialogo e l’attenzione per indivi-duare le urgenze.

L’APPUNTAMENTO

Tutto questo ci ha permesso di diventare ge-nerativi. Mentre ci si trova a lavorare, ci siè resi conto che l’IC è un vero crocevia per-ché arrivano molte strade, e in questo cro-cevia la comunità si può rinnovare. Ci si ètrovati a parlare di comunità ed eucaristia,catechesi ed oratorio, attenzione e coinvol-gimento delle famiglie. Gradualmente ci si èresi conto che il progetto si allargava e as-sumeva i contorni della comunità e non solodelle linee progettuali. Questa è un’altra in-tuizione, e opportunità. Ci siamo sentiti dire,

In un insieme di parrocchieDon Matteo Dal Santo, parroco (Milano)

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“io non cela faccio”, “non sono capace di fa-re questo”. Si è così iniziato a contattare igiovani dell’oratorio per l’animazione, legiovani coppie per accompagnare il cammi-no delle famiglie, qualche esperto nel rac-contare, o esperti dell’arte. La scoperta del“non sono capace”, ci ha portato ad allar-gare la presenza di nuove persone per vive-re una proposta più integrale. C’è una ori-ginalità ecclesiale che va sostenuta e pro-mossa. La proposta diocesana è stata pensata comecammino semistrutturato, inteso come per-corso che ha alcune tappe fondamentali, ma

recepisce l’imprevedibilità dei ragazzi e lapreparazione dei catechisti.

CREARE SPAZIO

Concludo con un’immagine propria del ba-sket. Lo spazio genera movimento. I gioca-tori di basket quando sono in area continua-no a muoversi per creare spazio. Solo quan-do crei vuoti è possibile aprire vie di gioco.Questa mi sembra la via di un effettivo rin-novamento, quello di creare spazi. Ci simuove solo se c’è spazio.

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Mi affascina il grembo che genera. Abbiamotroppo delegato ad altri il generare alla fede.È bene che venga recuperata la funzioneprima della parrocchia come luogo dove sigenera alla fede. Dove si realizza quel“fiunt” di Tertulliano. “Cristiani non si na-sce, ma si diventa”.

1. IL CONTESTO DIOCESANO

Premessa: Partire insiemeLa Sfida del partire insieme (2009)L’audacia della missione (2010).Osare

Punto di partenza: L’impronta catecu-menaleRecita così “Nella sua storia la Chiesa ha sa-puto rispondere alle nuove esigenze di fededella gente con la forza di una tradizione ca-pace ogni volta di rinnovarsi, attingendo altesoro prezioso del modello catecumenaleofferto dai primi secoli della vita della Chie-sa, rileggendone l’esperienza alla luce degliinsegnamenti e delle esperienze scaturite dalVaticano II, possiamo oggi offrire itineraricredibili e praticabili per quanti vogliono ri-scoprire la loro fede o completare l’iniziazio-ne cristiana” (IC 3,61).

L’urgenza: La conversione pastorale• Passaggio dalla parrocchia isola autore-ferenziale alla parrocchia che camminainsieme nella diocesi in un progetto co-mune.

• Passaggio da una pastorale puero-centri-ca ad una pastorale centrata sugli adul-ti

• Passaggio da famiglie ai margini a fami-glie al centro

• Passaggio dalla pastorale del recinto allapastorale della periferia

• Passaggio dalla catechesi tradizionaleper i ragazzi al processo di ispirazionecatecumenale

• Passaggio da una pastorale clerico-cen-trica ad una pastorale di corresponsabi-lità

A laici e famiglie va riconosciuta piena sog-gettualità nella vita della Chiesa. Sul clericalismo invadente ed imperante ilPapa ha avuto parole forti; non solo sul cle-ricalismo del clero, ma anche sul clericali-smo dei laici.

Gli itinerari: Con lo stesso passoItinerari di fede per giovani e adulti che de-vono completare l’iniziazione (durata unanno)Itinerari di fede per fidanzati (durata un an-no) Itinerari di riscoperta della fede per adulti(durata tre anni)Itinerari di riscoperta del sacramento del ma-trimonio e dell’amore (Fontane di Parola –durata tre o quattro anni – in corso)Catechesi ai fanciulli e ai ragazzi con l’ispi-razione catecumenale (durata 5 anni)

Punto di forza: L’accompagnamento deigenitori nella catechesi ai ragazzi

Esperienze di pastorale integrataS.E. Mons. Salvatore Muratore, Vescovo di Nicosia

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2. PROPOSTE DI PASTORALEINTEGRATA

Progetto: Educare ad amare Per una pre-parazione remota al matrimonio

Le premesseLa situazioneLa proposta8 anniIl corpo luogo della prima esperienzad’amore (ad uso dei catechisti)Complementarietà (ad uso dei parrocicon competenti)

9 anni L’amore nuova creazione (ad uso deicatechisti) Pubertà: diventare grandi (ad uso deiparroci con competenti)

10 anni Corpo soggetto-oggetto nei mass me-dia (ad uso dei catechisti)Comunicazione corporea ed attrazio-ne (ad uso dei parroci con competenti)

11 anni La risorsa del maschile e la risorsadel femminile (ad uso dei catechisti)Amicizia, Innamoramento, Amore(ad uso dei parroci con competenti)

12 anni La dinamica del dono (ad uso dei ca-techisti)Piacere, tenerezza, sessualità (ad usodei parroci con competenti)

Un progetto per la città, paesi o gruppidi parrocchie

Per i catechisti di una città, di un paese, diun gruppo di parrocchieStrategie di comunicazione nell’età evolutiva(Catechesi, pastorale familiare e Punto F&V)Il corpo nella visione cristianaLa sessualitàL’amore: verso il dono di sé. Per i genitori dei bambini del catechismoLa coerenza educativaLe relazioni intrafamiliariMio figlio adolescente: comunicazione in fa-migliaLa comunicazione e l’uso dei media nell’etàadolescenziale (Ufficio delle comunicazionisociali)Affettività: un mondo che cambiaIl tempo liberoPer ragazze dai 9 alli 11 anni insieme alleloro mammeMamma – figlia: il corpo raccontaPer giovaniSessualità e corporeitàVerso il dono di sé Per famiglieLe dimensioni dell’amore: castità coniugale,un amore integratoLa fertilità e i metodi naturaliFecondità nell’infertilitàPer le caritas parrocchialiUso dei media: come cambiano le abitudinidelle famiglie (Ufficio delle comunicazionisociali)Alcol: istruzioni per l’usoLe nuove dipendenze: internet e il gioco diazzardoVerso un’economia sostenibile (Ufficio di pa-storale sociale e del lavoro)Sono… ciò che mangioIl sogno: quali propositi per il nostro futuro.

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L’esperienza in sintesi. In Piemonte e Val-le d’Aosta, su invito della CEP, dall’autunnodel 2015 la Commissione Regionale per laCatechesi ha costituito un gruppo di lavoroinsieme a rappresentanti della pastorale fa-miliare e della Commissione per la Liturgia,con l’obiettivo di accompagnare, in modocongiunto delle tre pastorali, un processo diriflessione sulle pratiche della IC 7-12 annidella nostra regione, per individuare convin-zioni condivise in vista di linee orientativecomuni che i vescovi intendono offrire.

Antefatto. L’idea di questo percorso si ponein continuità e affonda le sue radici nel-l’esperienza della riflessione sulla catechesipre e post-battesimale (detta anche 0-6 an-ni), che nel 2009-2010 ha visto un lavorocongiunto, con giornate di studio e condivi-sione, da parte delle Commissioni RegionaliFamiglia e Catechesi, sfociato in un conve-gno regionale di tre giorni a fine agosto2012 ad Armeno (un comune in provinciadi Novara, sulle alture sopra il lago d’Orta)allargato agli operatori di entrambi gli ambitipastorali. Quest’ampia riflessione ha condot-to i nostri Vescovi alla stesura e pubblica-zione (a gennaio 2013) della Nota Pastorale“Una Chiesa madre”, consegnando alle dio-cesi una comune proposta della “prima ar-cata”1 della IC dei bambini, stimolandole adelaborare con gradualità un proprio piano dipastorale pre e post-battesimale.

I passi compiuti. Nel settembre 2015 laCEP rilancia la riflessione sulla seconda ar-cata (7-12 anni), constatando tra le 17 dio-cesi della nostra regione ecclesiastica (e inciascuna diocesi) una situazione variegatadegli itinerari di IC rispetto al metodo propo-sto e agli strumenti utilizzati, oltre alla col-locazione e all’ordine della celebrazione diCresima ed Eucaristia.

La CEP domanda alla Commissione Regio-nale per la Catechesi di riprendere il “metodoArmeno”: confronto/collaborazione trasver-sale di più Commissioni Regionali (includen-do, stavolta, anche quella della Liturgia),giornate di studio e preparazione di un con-vegno comune di approfondimento, con-fronto, scambio e condivisione di iniziativeed esperienze.

Pertanto si è creato un gruppo di lavoro mi-sto che, in alcuni incontri per condividere gliobiettivi e programmare il cammino, ha con-cordato di operare in queste quattro direzio-ni:1. la ricerca di un linguaggio comune tra gli

operatori della Liturgia, della Catechesi edella pastorale familiare (ciascuno con lasua anima, il suo vissuto, le sue priorità)e, di conseguenza, un approccio teoricocondiviso tra i membri delle rispettiveCommissioni Regionali, per riscoprire in-sieme la portata ecclesiale della IC;

Esperienza di lavoro integrato(in una regione)

Angela e Tommaso Reinero, Piemonte (Cuneo)

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1 Il percorso iniziatico può esser visto come un ponte a tre arcate, rispondenti alle tre diverse età: infanzia, fan-ciullezza, adolescenza.

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2. la necessità di tracciare una mappa del-l’esistente, con un metodo che favorissela circolarità tra prassi e teoria. Si è sceltodi partire dall’ascolto delle pratiche di ICpresenti in regione per riorientarle, attra-verso un’operazione di discernimentoteologico, evidenziando elementi comuni,dimensioni da privilegiare e buone prassiin atto;

3. l’opportunità di maturare tale riflessioneattraverso il coinvolgimento, fin dai primipassi, degli operatori dei tre ambiti pasto-rali e con l’aiuto di esperti, valorizzandola sinergia del ragionamento accademicoe pastorale;

4. lo scopo di consegnare ai Vescovi dellaCEP alcune linee di fondo condivise econvinzioni assodate per verificare qualiprocedure e proposte operative comuni-tarie è possibile rilanciare alle diocesi delPiemonte e della Valle d’Aosta.

Rispetto a quanto appena descritto, fino adora si sono realizzate due mezze giornate distudio regionali (sabato mattina 19/11/2016:«L’iniziazione cristiana, modello e formadel cammino di fede» con mons. Paolo Sar-tor; sabato mattina 01/04/2017: «Rimanere“pensosamente pratici” nella realtà dell’ini-ziazione cristiana» con fratel Enzo Biemmi.Si è predisposto un questionario «Foto digruppo IC 7-12: in ascolto delle pratiche diiniziazione cristiana 7-12 nel 2018» som-ministrato a 170 parrocchie/unità pastorali(quasi il 10% della Regione, scelte dalle dio-cesi) e alle 17 équipe diocesane di Catechesi.Attualmente è in corso l’interpretazione deidati raccolti, descrittivi di come viene attuatal’IC nelle nostre diocesi (con punti di forza enodi problematici); tale lavoro confluirà inun report, destinato a costituire una delletracce di confronto per un prossimo Conve-gno Regionale di 2-3 giorni, rivolto agli ope-

ratori dei tre soggetti pastorali coinvolti. Dalì auspichiamo nascano indicazioni dei nostriVescovi per incoraggiare un rinnovamentopossibile dell’IC 7-12 anni nelle rispettivediocesi.

Aspetti positivi. Il far maturare (e matu-rare) la responsabilità e la consapevolezzache l’IC è responsabilità di tutta la Chiesa,non solo faccenda demandata ai catechisti:vanno coinvolte le famiglie e l’intera comu-nità. Non si tratta solo di teorizzare un rin-novamento (lasciando alla base il compitodi applicarlo), ma far vedere che è possibile,e che è già in atto! È un mettersi in giocoad alto livello (Regionale, auspicando poiche la stessa dinamica si riproduca nelle dio-cesi tra gli Uffici pastorali, nelle parrocchietra i vari operatori) e dare per primi l’esem-pio, sperimentando in prima persona le stes-se difficoltà, che hanno le diocesi e le comu-nità parrocchiali, di procedere con una pa-storale integrata. Con la scoperta e l’acco-glienza di visioni diverse (questo comportasì fatica e pazienza, ma risulta anche più sti-molante e fecondo) siamo usciti un po’dall’autoreferenzialità e, grazie ai carismi al-trui, abbiamo sperimentato un più ampiosenso di Chiesa.

Criticità. Il modello di percorso a cui ci sia-mo riferiti nella precedente esperienza (pa-storale 0-6 anni) mostrava un terreno nuo-vo, da dissodare, certamente urgente, ma“vuoto”; qui non c’è il vuoto, ma una lungae varia tradizione che oggi spesso risulta po-co efficace, ancorata a modelli superati e re-sistente al cambiamento. Uno dei rischi cheintravvediamo è il pericolo di caricare di ec-cessive incombenze le famiglie, soggetto og-gi già fragile e bisognoso di sostegno nelcompito educativo. Lo stesso rischio corre lacomunità parrocchiale, struttura sulla cui di-

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namicità, in ordine alla trasmissione della fe-de, è bene non dare nulla per scontato. Sen-za dubbio si tratta di un progetto di rinno-vamento dai tempi lunghi, che innesca pro-cessi più che fornire soluzioni immediate.

Nota di presentazioneAngela e Tommy Reinero (lei insegnante, luiimpiegato in curia), siamo sposati da quasi29 anni, viviamo a Cuneo e, con don Silvio,siamo responsabili della pastorale familiare

nella nostra diocesi, nella quale operiamo daquasi vent’anni.Da circa due anni siamo coinvolti in questogruppo di lavoro misto per l’IC 7-12 anni.NON siamo catechisti (nell’accezione comu-ne del termine), anche se in gioventù siamostati per molti anni animatori e, fino ai primianni di matrimonio, Angela ha seguito deigruppi giovani in parrocchia. Tommy ha cu-rato, con don Gabriele Mecca, la pubblica-zione di alcuni sussidi Elledici sulla Messa ela preparazione al Natale.

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RomaConsulta 11-12 giugno 2018

CAPITOLO 2

CONSULTE DELL’UFFICIOCATECHISTICO NAZIONALE

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Consulta UCN 11-12 giugno 2018Mons. Paolo Sartor, direttore UCN

1. Do il benvenuto a tutte e a tutti in aper-tura di questa Consulta di fine anno pasto-rale, portandovi i saluti del nuovo presidenteCEDAC, S. E. mons. Erio Castellucci, chenon ha potuto accettare il nostro invito acausa di impegni pregressi ma che si ripro-mette di incontrare la Consulta in una delleprossime sessioni di lavoro. Il benvenuto è rivolto in particolare ai nuovimembri (don Vito Mignozzi per la Puglia edon Mariano Piccotti per le Marche) e ad al-cuni amici che hanno coordinato i lavori re-gionali al convegno direttori di Assisi: suorAnna Maria D’Angelo per la Campania, donGiuseppe Vagnarelli per la Sicilia, don Ga-briele Mecca per il Piemonte e il diaconoFranco Piccioni per il Lazio, nonché ad altriche sostituiscono i regionali che non hannopotuto essere presenti (don Maurizio Miraiper la Sardegna e don Stefano Mazzoli perl’Umbria; è assente Marcello Musacchidell’Emilia Romagna, che però mi ha man-dato un testo con le proposte locali; donMarco Ghiazza sostituisce il responsabilenazionale dell’ACR Luca Marcelli). La pre-senza di questi amici si comprende per l’in-tenzione di attuare insieme una verifica deiconvegni di fine aprile e soprattutto percondividere e studiare come rilanciare leproposte maturate nelle regioni per dare so-stanza al percorso nazionale sull’iniziazionecristiana. A questo obiettivo è dedicata gran parte deinostri lavori di oggi e domani. Prima però diparlare di iniziazione cristiana, credo oppor-tuno – in chiusura di un anno che è statoabbastanza nutrito di iniziative – recuperarele fila del percorso compiuto negli ultimi

tempi e comprendere dove siamo ora arrivatie come potremmo procedere.

SULLA SCIA DI INCONTRIAMOGESÙ

2. Il cammino recente dell’UCN è stato feli-cemente condizionato dalla pubblicazione, afine giugno 2014, degli orientamenti Incon-triamo Gesù. Poiché i nuovi orientamenti siponevano in continuità con Il rinnovamentodella catechesi e con le principali tappe per-corse dalla catechesi italiana dal Concilio adoggi, questa pubblicazione non ha prodottouno sconvolgimento nella programmazioneannuale e nella gestione quotidiana dell’uf-ficio; semmai una conferma, una miglioreprecisazione. Si pensi al caso dei tre Settori stabili del-l’Apostolato Biblico, del Servizio al Catecu-menato e della Catechesi con le Persone Di-sabili, che in IG 91-93 vedono confermatele loro attribuzioni e rilanciato il loro ruolo.In questo quadriennio sono stati rinnovatigià una volta i gruppi esperti di ciascun Set-tore e lo saranno di nuovo nel prossimo au-tunno; anche i responsabili di Settore hannovisto (o potrebbero vedere a breve) rinno-vati o prorogati i rispettivi incarichi. In que-sti ultimi anni ciascun Settore ha celebratoil XXV anniversario dalla costituzione; ricor-diamo in particolare la presenza di papaFrancesco l’11 giugno 2016 in Aula PaoloVI per il convegno nel XXV anniversario delSettore per la Catechesi con le Persone Di-sabili. Va poi rimarcato il contributo che iSettori stanno dando – ciascuno a partire

Consulta dell’Ufficio Catechistico Nazionale36

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dalla propria visuale e coinvolgendo personecompetenti – ad alcuni progetti trasversalidell’UCN, come p. es. la formazione e l’ini-ziazione di cui diremo.

3. L’attività dell’UCN non si esaurisce negliambiti attribuiti ai tre Settori: gli orientamentimenzionano esplicitamente al n. 90 la pro-mozione, il coordinamento e la diffusionedell’impegno delle diocesi in materia di cate-chesi, il sostegno e lo sviluppo del Progettocatechistico italiano, lo studio della ricezionedei catechismi nazionali e la loro eventualerevisione (cf anche IG 94 su strumenti e sus-sidi e IG 95 sulla revisione dei catechismi).Si parla poi della cooperazione tra gli UCD eUCR mediante l’operato della Consulta e l’or-ganizzazione di convegni e seminari; del co-ordinamento tra le attività degli uffici e i cen-tri di ricerca anche accademica. Particolare at-tenzione è data infine alla formazione, conspeciale riferimento alla qualificazione inizialee permanente dei direttori degli UCD e aeventuali percorsi formativi per i componentidelle équipe diocesane. Si può recuperare in questo quadro anche ilparagrafo del Regolamento dell’UCN appro-vato dalla Presidenza CEI il 27 giugno 2011in cui tra le competenze dell’ufficio figuranole seguenti:– la catechesi, nell’ambito del processo di

evangelizzazione;– la formazione catechistica permanente di

giovani e adulti;– la formazione dei catechisti;– l’apostolato biblico;– la catechesi delle persone disabili;– l’iniziazione cristiana di ragazzi e adulti;– il catecumenato.

ALLA RICERCA DI UNA DIREZIONECONDIVISA

4. Dopo la pubblicazione di IG si è cercatodi capire in quale direzione muoversi. Nontanto per l’attività specifica di ciascuno deiSettori stabilmente costituiti, ma dell’UCNnel suo insieme. Questa opera di riorienta-mento è stata condotta in dialogo con laCommissione Episcopale per la Dottrina del-la Fede, l’Annuncio e la Catechesi, che hadato sempre linee di rilievo (pur nell’avvi-cendamento di presidenti e di componenti),e soprattutto con la Consulta nazionale (siadurante il mandato precedente sia durantequello in corso).In Consulta, fin da un dibattito dell’autunno2014 con la partecipazione di mons. Seme-raro, allora presidente CEDAC, emersero al-cune linee condivise:– la convinzione che la possibilità dell’an-

nuncio e le sfide della catechesi chiaminoin causa il soggetto ecclesiale (si tratta diquella prospettiva ecclesiologica che è sta-ta ripresa con l’aiuto di mons. Castelluccial convegno di Assisi in chiave di genera-tività);

– l’importanza di dare segnali di attenzionepiù evidenti da parte dell’UCN in ordine al-la questione formativa;

– la possibilità di prendere in considerazionel’ipotesi di una revisione graduale dei ca-techismi, con molta ponderazione e in ar-monia con l’attenzione data alla formazio-ne;

– l’opportunità di riprendere il lavoro di mo-nitoraggio delle pratiche di iniziazione cri-stiana attuate sul territorio, che ebbe neiconvegni regionali del 2012 un momento

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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privilegiato e nella sintesi curata da Car-melo Sciuto e Salvatore Soreca ad AbanoTerme (e poi pubblicata sul Regno) una ri-lettura sintetica meritevole di prosecuzio-ne.

5. La verifica della prima presentazione diIG – compiuta nella primavera del 2015 edella quale fu dato conto al convegno dei di-rettori tenuto a Salerno nel giugno di quel-l’anno – ha visto da parte delle realtà localila richiesta di lavorare a livello nazionale so-prattutto in due ambiti:– quello della formazione, con iniziative che

potessero sostenere quanto già si opera osi vorrebbe avviare nelle diocesi e nelle re-gioni;

– quella dell’elaborazione degli itinerari e de-gli strumenti.

Nella prima direzione era evidente il ritornodi una linea prospettica che poteva conside-rarsi ormai assodata. La risposta dell’UCN èstata di dare ascolto a questa richiesta me-diante l’attivazione di due strumenti: il por-tale www.formazionecatechisti.it, presenta-to in una prima ipotesi già al convegno diSalerno 2015; la nomina di una Commissio-ne nazionale per la formazione, che iniziò aoperare il 15 dicembre dello stesso anno, co-ordinata da Salvatore Soreca e Michele Ro-selli, e che ha tenuto la sua ultima riunione(per la verifica del biennio di lavoro e del-l’iniziativa di «A tratti verso la formazione)il 15 dicembre scorso.Nella direzione dell’elaborazione si è invecemanifestata una richiesta non esattamentesovrapponibile agli orientamenti della Con-sulta e della stessa CEDAC. Se infatti in que-sti due organismi, almeno fino a oggi, l’in-dicazione prevalente è andata nel senso diuna certa cautela rispetto alla revisione deicatechismi, dai territori emerge un maggioreconsenso su tale ipotesi. La necessità di in-

terpretare la richiesta e di corrisponderleadeguatamente ha portato alcuni in Consul-ta a suggerire forme intermedie di supporto:non tanto dei catechismi per età – come nelProgetto catechistico italiano che conoscia-mo – bensì un “Libro della fede” che pre-senti i contenuti fondamentali, come hannofatto altre nazioni, o la proposta di una o più“Guide” analoghe alla meritoria Guida perl’itinerario catecumenale dei ragazzi. Nel-l’una e nell’altra ipotesi, le mediazioni con-crete in riferimento alle età (= i testi di “ca-techesi” per gli adulti, per i giovani, per fan-ciulli e ragazzi in età scolare) sarebbero la-sciate alla creatività degli editori (magari at-tuando la “rilettura” da parte dell’UCN au-spicata da IG 94).Al di là delle possibili soluzioni concrete, èapparso evidente un dato: mentre l’ambitodella formazione era colto come prioritarioda tutti e si riferiva a un orizzonte condiviso,quello della elaborazione alludeva a un oriz-zonte più complesso e apriva questioni me-ritevoli di approfondimento. Di conseguenzanon sarebbe stato sensato avviare delleéquipe di revisione dei catechismi (o di ste-sura di eventuali Libri della fede o Guide perl’itinerario) senza che previamente e alme-no contestualmente si cercasse di elaborareuna riflessione di carattere più globale. Èquesta prospettiva che si è voluta mettere afuoco la questione degli itinerari ordinari diiniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragaz-zi, con l’intento di riprendere le componentidell’ispirazione catecumenale segnalate inIG 52 facendo di esse un criterio di elabo-razione. L’azione dell’UCN ha previsto unascheda di lavoro inviata alle diocesi e rilettain occasione di un seminario di studio tenu-to a Roma nel 2016; l’attivazione del por-tale www.iniziazionecristiana.it, presentatoin una prima ipotesi a questa Consulta circaun anno fa; la redazione di alcune Linee-

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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guida per l’accompagnamento delle prati-che di Iniziazione Cristiana; la designazionedi Enzo Biemmi, Michele Roselli e CarmeloSciuto quali coordinatori – insieme con il di-rettore UCN – di quel percorso nazionaleche, dopo i convegni tenuti a fine aprile, siauspica possa avere una ricaduta adeguatanelle regioni e nelle diocesi.A margine segnalo – non però perché si trat-ti di questioni di scarso rilievo – il coinvol-gimento dell’UCN come soggetto promotoree attivo in due ambiti che pur si ritrovanoevidenziati in IG: – quello della valorizzazione dell’arte cristia-

na in prospettiva di evangelizzazione (cfril progetto Vie della Bellezza con relativoportale operativo da tre anni in collabora-zione con altri dieci uffici CEI);

– quello dell’inclusione a pieno titolo dellepersone disabili nella comunità cristiana (èstato avviato un tavolo di lavoro tra orga-nismi nazionali presieduto al momento damons. Giuseppe Baturi e che ha come co-ordinatrice suor Veronica Donatello).

LA FORMAZIONE (E L’ATTIVITÀDELLA COMMISSIONENAZIONALE)

6. La Commissione Formazione aveva l’in-tento globale di creare un gruppo di pensie-ro, confronto e condivisione sulla questionedella formazione dei catechisti, con dueobiettivi determinati:– progettazione e programmazione di

un’esperienza di formazione nazionale (èla tre giorni A-tratti verso la formazione,tenuta a Roma dal 17 al 19 novembre2017);

– realizzazione di un ideario per il SeminarioInternazionale sulla Formazione (che nonsi è ancora potuto celebrare ma che ci au-

guriamo si possa tenere non appena ma-tureranno le condizioni in dialogo con glialtri uffici catechistici nazionali europei).

La Consulta nazionale è già stata messa alcorrente delle risultanze del lavoro:

(A) IL RACCONTO

a. Anno 2015-2016: la questione formativaA partire dalla tematizzazione della questio-ne formativa in Italia (Come la nostra espe-rienza specifica può arricchire un tavolo diformazione nazionale?) e dalla ricerca di unlessico condiviso, si è individuata una stra-tegia per orientare la proposta formativa na-zionale. In particolare, si è lavorato per va-lorizzare i punti di forza delle prassi attuatee per individuare i “vuoti da colmare”. Uno dei frutti del lavoro è costituito dall’in-dividuazione delle caratteristiche dell’espe-rienza formativa:– è proposta da un’équipe – permette di sperimentare gioia relazionale – è qualificata da gradualità nella continui-

tà– è “paradigmatica” e “riproducibile”: con-

creta, vera, “breve”– valorizza le persone in formazione prima

che i contenuti– è coinvolgente ed esperienziale. Si è proceduto all’individuazione della stra-tegia di intervento. Le scelte operative sonostate gerarchizzate in funzione della loro “ur-genza”, della loro “fattibilità” e del loro livel-lo di “operatività” (nazionale, regionale, dio-cesano). Lo stralcio della mappa che ne è ri-sultato rende ragione di alcune scelte con-crete che la Commissione ha posto in attonella proposta formativa di novembre 2017: – valutazione dell’esistente e valorizzazione

dei ruoli– percorso condiviso con ISSR e Seminari

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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– lavoro in équipe in modo graduale e con-tinuo

– motivare sacerdoti (considerato difficile;serve forse un laboratorio con i direttoriper cambiare mentalità da lì; è importantenon dimenticare i documenti ufficiali; la-vorare con i preti giovani; lavorare con iseminaristi)

– laboratori formativi per équipe e direttoria cadenza regolare.

Il primo anno si è concluso con una rifor-mulazione più precisa degli obiettivi dellaCommissione e delle scelte condivise, cheraccogliamo in tre ambiti diversi: • Quadro di riferimentoAccogliere una visione di Chiesa conciliareche sostiene il processo di conversione mis-sionaria della pastorale e che ispira un mo-dello formativo condiviso.• ProgettazioneAbilitare a progettare una formazione inte-grale degli evangelizzatori (a livello regio-nale-diocesano), valorizzando le esperienzein atto e creando luoghi (occasioni, spazi,tempi) di confronto.• Piste operativescrittura di un Vademecum sulla formazione,partendo dal IV capitolo di IGcreazione di una rete di esperti.

b. Anno 2016-2017: programmazione erealizzazione dell’esperienzaA-tratti verso la formazione si è svolto aRoma nei giorni 17-19 novembre 2017. Siè trattato di una proposta per accompagnarele équipe diocesane a riscoprire e sperimen-tare l’importanza del lavoro d’équipe, riap-propriandosi di consapevolezze e strumentiper farne il metodo per l’educazione nellacatechesi (IG 82,85,86).

La proposta era articolata in quattro mo-menti I. A TRATTI i tratti delle nostre storie formativeII. IL TRATTO formare nello stile di DioIII. A(T)TRA VERSO ritratti formativi di un’équipeIV. VERSO prospettive formative condivise.

(B) LA VERIFICA DELLA PROPOSTA FORMATIVA

In generale la proposta è stata molto apprez-zata sia dai partecipanti sia dai membridell’équipe dei formatori. In particolare rite-niamo tre elementi che la verifica di dicem-bre 2017 ha evidenziato. a. Si è trattato di una bella esperienza eccle-siale certamente favorita dallo stile di lavorodell’équipe, dalla passione e dalla partecipa-zione di tutti i membri agli incontri; inoltreper molti partecipanti si è trattato di un as-saggio performativo di una dinamica forma-tiva nuova, carica di speranza.b. La preparazione della proposta ha favo-rito l’accoglienza, la partecipazione ed ilcoinvolgimento dei presenti, oltre che la va-lorizzazione delle competenze e delle cono-scenze di ciascuno. c. Molto apprezzati sono stati i contributi deisettori dell’UCN.Non sono mancati alcuni elementi di “criti-ca”. Tra questi alcuni elementi ridimensio-nano l’aspetto di novità rilevato da altri eevidenziano aspettative differenti; altri sonolegati al tempo: altre esperienze formative,più lunghe, permettono un ritmo meno con-gestionato ed una proposta più ampia dicontenuti.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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(C) LE PROSPETTIVE PER LA COMMISSIONE

a. Partire dall’idea di formazione condivisae creare uno strumento che aiuti le équipead autodefinirsi e a definire la formazione;b. Redigere un Vademecum per la formazione c. Programmare una proposta formativa de-localizzata, su argomenti più determinati,quali p.es.:– i rapporti tra catechesi e altre azioni eccle-

siali: es liturgia-catechesi;– “come” si costruisce un itinerario;– le resistenze consce o inconsce alla forma-

zione.

La Consulta ha espresso una valutazionemolto positiva sull’attività della Commissio-ne Formazione e ha chiesto che continuil’attenzione al tema formativo. Tale atten-zione dovrà essere sempre più costante/con-tinua e avvalendosi della configurazione edegli strumenti che si riterranno più idonei.

7. Il cammino compiuto dalla CommissioneFormazione e le risultanze ricordate al punto6 appaiono una ricchezza per le iniziativedell’UCN (p. es.: Master UPS, Corso residen-ziale del SAB, A-tratti verso la formazione,Incontro nuovi direttori, ecc.) e per tutte lerealtà già operanti a livello sovra-diocesanoin campo formativo (p. es.: la Scuola nazio-nale per formatori all’evangelizzazione e allacatechesi di Siusi, i laboratori estivi del Pro-getto secondo annuncio di Santa Cesarea, ifine-settimana di Desenzano dedicati al se-condo annuncio con l’arte, vari “Master” re-gionali e interregionali, ecc.).Questo non significa che le varie iniziativedi formazione sponsorizzate o gestite in pro-

prio dall’UCN o dai suoi Settori dovranno as-sumere la medesima impostazione: una vol-ta condivisi i criteri di fondo è possibile ope-rare una scelta metodologica in riferimentoall’una o all’altra proposta formativa. Ciònon comporta una differenza di livello qua-litativo, bensì di approccio, di durata, di mo-dalità pratica e forse anche di target di rife-rimento. Il fatto che il lavoro della Commissione For-mazione offra un quadro di criteri e stru-menti più ampio di quello che verrà usatonella singola proposta formativa non rendetale lavoro superfluo o puramente teorico,ma offre ai vari percorsi una sorta di “gram-matica” di fondo entro cui inserirsi e agli or-ganizzatori la possibilità di disporre di im-postazioni e metodiche ben calibrate cuiispirarsi per aggiornare o rivedere la loroazione formativa1.

8. Alla luce di quanto emerso, si proponeuna rinnovata stagione della CommissioneFormazione, con attribuzione delle seguenticompetenze di massima:a) prosecuzione del monitoraggio delle prin-cipali iniziative italiane in campo formativo;b) messa in rete di tali iniziative – nonchédi percorsi e materiali significativi approntatidalle diocesi – mediante il portale www.for-mazionecatechisti.it (da rilanciare e arric-chire);c) sostegno alle realtà che fanno formazionemediante la stesura e la pubblicazione di unVademecum per la formazione che faccia ri-ferimento agli studi più aggiornati nel setto-re, mediante la disponibilità a interventi sulterritorio per rileggere dal punto di vistadell’impostazione le esperienze formative in

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

1 P. es. il Settore della Catechesi con le Persone Disabili ha espresso l’esigenza che venga operata una riletturasecondo i criteri elaborati dalla Commissione Formazione delle varie iniziative di formazione proposte dal mede-simo Settore a livello nazionale o sul territorio.

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corso o da avviare (comprese quelle del-l’UCN); d) possibilità di proporre un’esperienza for-mativa rivolta ai direttori UCD e ai referentiper la formazione nelle diocesi, nelle regionie nelle realtà associative, con particolare at-tenzione a quegli ambiti in cui non è già at-tivata un’esperienza analoga (p. es.: rappor-ti tra catechesi e altre azioni ecclesiali; comesi costruisce un itinerario; le resistenze con-sce o inconsce alla formazione; nuovi sce-nari nella formazione degli adulti).Ai compiti esposti si potrebbe aggiungere –se quella rinnovata a giugno fosse appuntouna Commissione e non già un Settore –l’incarico di formulare proposte circa la co-stituzione di un Settore UCN stabile dedicatotrasversalmente alla formazione.

L’INIZIAZIONE CRISTIANA (E IPRIMI PASSI DELCOORDINAMENTO NAZIONALE)

9. Quanto al percorso dedicato all’iniziazionecristiana, esso ha preso forma passo passo at-traverso la citata scheda 5 anni dopo inviataalle diocesi, il seminario tenuto a Roma nel2016, il confronto in due occasioni a livellodi Consulta (a partire dal 20 giugno 2017) ein una convocazione straordinaria dei soli co-ordinatori regionali (28 novembre 2017). Verso la fine del 2017 gli orientamenti sonostati riassunti in alcune Linee-guida che quiriproponiamo. Al termine del testo veniva of-ferto un calendario di massima, che eviden-ziava i convegni di aprile 2018, l’anno pa-storale 2018-2019 come occasione di rica-duta regionale, la proposta (suggerita da al-cuni membri della Consulta) di incontri perpresbiteri del nord, centro e sud Italia, la ce-lebrazione di una prima settimana residen-ziale formativa nell’estate 2019.

I. CONSTATAZIONI DI PARTENZA

Il confronto, anche recente, intorno al temadell’IC, dal battesimo alla mistagogia, eviden-zia un grande impegno di energie e non na-sconde fatiche. Se appare chiara la prospet-tiva del rinnovamento secondo la linea del-l’ispirazione catecumenale (RdC, note CEIsull’IC, IG), nella pratica resta ancora moltoda fare. Da tempo infatti:– si chiede che la catechesi non punti solo ai

sacramenti ma approdi decisamente alla vi-ta cristiana;

– si è consapevoli allo stesso tempo che la di-mensione liturgica è fondamentale, perchési viene iniziati dai sacramenti e attraversodi essi si è raggiunti dalla grazia del misteropasquale;

– si domanda attenzione al “prima” e al “do-po”, per dare respiro all’intero processo del-la IC, a partire dal battesimo e fino alla mi-stagogia;

– si manifesta il bisogno di tradurre in lineechiare e verificabili gli elementi del rinno-vamento dell’IC ad ispirazione catecumena-le (cfr. IG 52);

– si è consapevoli che il cambiamento chiedeun investimento formativo a più livelli;

– si desidera una IC che “inizi” davvero, nonsolo perché offre i sacramenti che “fannocristiani” ma perché annuncia il kerigmadella Buona Notizia, in un tempo che ri-chiede “secondo annuncio” per gli adulti e,sempre più spesso, primo annuncio per ibambini.

Su ciascuno di questi elementi, gli orienta-menti nazionali Incontriamo Gesù recepisco-no e rilanciano autorevolmente quanto spe-rimentato in varie realtà locali e approfonditoin sede teologica.

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II. FINALITÀ GLOBALE DELLA PROPOSTA

In fedeltà a quanto indicato da IG, su mandatodella Segreteria Generale della CEI e con ilconsenso della Commissione Episcopale com-petente, l’UCN si propone di accompagnare esostenere il passaggio dal rinnovamento au-spicato dell’IC al suo rinnovarsi effettivo:– valorizzando ciò che le diocesi e le altre re-

altà ecclesiali mettono in atto;– favorendo il discernimento delle prassi e un

loro possibile riorientamento, secondo laproposta delineata in IG 52.

Tutto ciò andrà attuato ricercando una co-stante sinergia con gli uffici pastorali e gli or-ganismi nazionali interessati.

III. OBIETTIVI SPECIFICI

La proposta di accompagnamento intendeperseguire i seguenti obiettivi: 1. ascolto e discernimento delle pratiche.Avviare – in stretta collaborazione con le re-gioni e con il sostegno della riflessione acca-demica – un confronto sulle pratiche attualidi IC nel contesto italiano facendo il puntodella situazione, raccogliendo domande daivari protagonisti (famiglie, parrocchie, dioce-si) e creando occasioni di racconto;2. dialogo e progettazione. Far dialogare lacatechesi con le altre dimensioni della vitacristiana (in primis liturgia e testimonianza),e gli operatori della catechesi con gli altri ope-ratori pastorali;3. formazione e sostegno. Si intendono a) at-tuare alcune iniziative-pilota di formazionedei referenti diocesani dell’IC e dei loro prin-cipali collaboratori; b) sostenere le realtà lo-cali che, sotto l’impulso del vescovo, avvianoitinerari rinnovati secondo IG 52; c) elabora-re, con l’apporto di convegni regionali edesperienze in atto, una strumentazione per

tradurre in pratica le indicazioni degli orien-tamenti nazionali.

IV. DIMENSIONI ECCLESIALI COINVOLTE

In questi anni è maturata la consapevolezzache l’IC non coincide con la catechesi e chequesta è in grado di assicurare una delle suedimensioni, fondamentale ma non esaustiva.Ridurre l’IC alla catechesi e delegarla ad essanon aiuta l’intera comunità a sentirsi prota-gonista di questa azione ecclesiale. Tutto ri-cade sui catechisti, in parrocchia; sugli ufficicatechistici, in diocesi; sull’UCN, a livello na-zionale. In realtà l’IC è il risultato di un tessuto gene-rativo organico. Implica l’esperienza quotidia-na nella famiglia, avviene attraverso un per-corso di tappe celebrative (liturgia), prendecorpo e si irrobustisce in una vita di carità,viene sostenuta e approfondita da una intel-ligente e creativa pastorale giovanile orien-tata alla scoperta della propria vocazione; ri-chiede l’apporto delle realtà associative, inparticolare ACR e Agesci; crea alleanze con iluoghi educativi, a iniziare dalla scuola, ecc.L’obiettivo è perciò quello di un lavoro comu-ne e condiviso, il cui soggetto è la comunitàcristiana nel suo insieme. Il grembo genera-tore della fede è infatti la comunità ecclesialein quanto tale: «Con l’iniziazione cristiana laChiesa madre genera i suoi figli e rigenera sestessa» (VMP 7). Nella linea di questo compito comune l’UCN– in collaborazione con gli organismi pasto-rali interessati – non sostituisce l’impegnodelle diocesi e delle regioni, ma lo sostiene eincoraggia costituendo:– un gruppo di coordinamento ristretto, che

accompagna la proposta, avvalendosi del-l’apporto di tutor per le varie regioni eccle-siastiche;

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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– un’équipe più ampia composta da personeimpegnate nelle varie dimensioni pastoralicon passione e competenza, che lavoranoa livello nazionale e/o animano le realtà lo-cali (regioni, diocesi) cui appartengono.

V. L’ARTICOLAZIONE DELLA PROPOSTA E LE SUETAPPE

Ci si propone il seguente scadenziario di mas-sima:

1. Biennio di progettazione: anni pastorali2017-2018 e 2018-2019:– condivisione con la Segreteria Generale CEI,

la CEDAC e i diversi organismi nazionali;– nascita del coordinamento nazionale UCN-

IC e di forme di collaborazione organica in-tegrata, coinvolgimento della ConsultaUCN, dei tre Settori UCN, della Commissio-ne Formazione;

– avvio di un sito internet che metta in retele principali pratiche in atto e offra materialiper la formazione e il lavoro comune sul-l’IC;

– convegno nazionale UCN per direttori e col-laboratori diocesani sull’IC (26-27 aprile2018);

– seminario sull’IC con i ragazzi disabili (27-28 aprile 2018);

– percorso regionale sull’IC (con IG 52 come“criterio” e il lavoro integrato come meto-do);

– incontri per presbiteri del nord, centro, sud;– estate 2019: prima settimana residenziale

formativa.

2. Ogni anno, a regime:– un ritrovo di un giorno e mezzo utile per

tenere i contatti, rilanciare la tematica, con-dividere le esperienze in atto;

– una settimana residenziale impostata sul-l’analisi delle pratiche di IC2;

– proposte concrete attuabili sul territorio colsupporto dei tutor che saranno designati3.

10. In particolare, per quanto attiene l’impo-stazione della proposta formativa, quelladell’UCN vuole essere una offerta qualificatadi formazione per chi intende sostenere, ve-rificare quanto sta facendo rispetto all’IC ovuole avviare un rinnovamento. Le linee difondo sono state esposte da Enzo Biemmi inchiusura del convegno di Assisi: le riprodu-ciamo qui per completezza, aggiungendo unrichiamo alla formazione in IG (redatto daSalvatore Soreca) e rinviando al punto 6 delpresente testo per le risultanze della Commis-sione Formazione.

1. CHE COSA?L’UCN, con il sostegno della Consulta nazio-nale, sta mettendo a punto una propostatriennale di formazione che si attuerà presu-mibilmente nella prima settimana di luglioper i prossimi tre anni. Questa settimana residenziale avrà come te-ma l’iniziazione cristiana indagandone le di-mensioni e affrontando i problemi che sta af-frontando, in vista di delineare passi possibilee sostenibili.

2. COME? CHE MODELLO FORMATIVO?Per capirlo sembra utile ricordare le tappe che

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

2 La settimana formativa annuale (attuata a partire dall’estate 2019) si propone di formare gli incaricati localidell’IC, inviati dalle diocesi e dalle realtà associative. Prevede l’ascolto e l’analisi di buone pratiche di IC ed è im-postata secondo un metodo laboratoriale, attivando l’esperienza dei partecipanti.3 Si può pensare a due o tre proposte da sperimentare a livello regionale o diocesano, monitorandole con l’aiutodi esperti nazionali che possano svolgere, se richiesti, un supporto di tutoraggio in loco.

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abbiamo percorso in questi anni per quantoriguarda il nostro modo di intendere la for-mazione.

2.1. I testi CEI/UCN sulla formazioneLa catechesi ha fatto tanta strada nella for-mazione a partire dal 1970 (Documento ba-se). Ci sono tre documenti che hanno segna-to simbolicamente questo percorso e l’evolu-zione della concezione di formazione.Il primo documento della CEI del 19824 lan-ciava in Italia le “scuole di base” per catechi-sti, il secondo del 1995 chiedeva che taliscuole avessero il carattere di comunità-la-boratorio “ove assieme si apprende, si rie-sprime e si progetta secondo itinerari forma-tivi; ci si catechizza reciprocamente e ci sirende attenti a ciò che accade effettivamentenella catechesi in atto”. Il terzo del 20066

propone il modello del laboratorio come il piùadeguato per la formazione di chi ha il mini-stero ecclesiale della catechesi e precisa in co-sa consista formare in laboratorio. Se voletepossiamo dire che siamo passati attraversotre fasi:a) In un primo tempo l’esigenza e l’idea diformazione era quella del corso, prevalente-mente centrato su contenuti teologici e biblicie su qualche nozione delle scienze umaneimplicate nell’annuncio, in particolare la pe-dagogia e la metodologia. Il presupposto era:se sanno sapranno anche fare.b) in un secondo tempo, abbiamo cominciatoa sentire la necessità non solo di integrare icontenuti nuovi, ma anche di confrontarci tradi noi. Abbiamo così inserito e aumentato ilavori di gruppo, come esercizio di rielabora-

zione e applicazione di quanto ascoltato maanche di confronto di esperienze. È un me-todo che possiamo dire misto.c) Infine ci siamo entusiasmati del termine“laboratorio” e occorre riconoscere che que-sto ha portato a proposte formative innova-tive e creative, sia a livello locale che nazio-nale. Occorre anche riconoscere onestamen-te che non poche volte il termine “laborato-rio” è stato adottato senza il suo contenuto,venendo a essere semplicemente sinonimodi quello che prima chiamavamo “lavori digruppo”.Con tutti i limiti questo cammino è stato si-gnificativo e ha prodotto cose molto belle. Mipermetto di dire con una battuta che la for-mazione dei catechisti si è rinnovata moltodi più, per esempio, della formazione perma-nente del clero. Questa in gran parte dellediocesi italiane si risolve in una mattina nellaquale si ascolta una conferenza, segue unbreve dibattito, un’ora di adorazione e ilpranzo. Questo scarto tra la formazione rin-novata dei catechisti e quella del clero è unadelle ragioni del disagio che i catechisti spe-rimentano in alcune comunità nei confrontidei loro parroci.

2.2. La IV parte di IGGli Orientamenti per l’annuncio della cate-chesi Incontriamo Gesù (2014) costituisconoun punto di sintesi della riflessione cateche-tica italiana e un punto di rilancio per i pros-simi anni.Al n. 81 degli Orientamenti sono indicate ledue mete fondamentali della formazione peri catechisti:

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

4 CONFERENzA EPISCOPALE ITALIANA - COMMISSIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E LA CATECHESI, La formazione dei ca-techisti nella comunità cristiana, Roma 1982.5 UFFICIO CATECHISTICO NAzIONALE, Orientamenti e itinerari di formazione dei catechisti, Roma 1991.6 UFFICIO CATECHISTICO NAzIONALE, La formazione dei catechisti nella comunità cristiana. Formazione dei catechistiper l’Iniziazione Cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, Roma 2006.

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Gli obiettivi della formazione dei catechistisono fondamentalmente due: maturare iden-tità cristiane adulte – veri discepoli del Si-gnore, testimoni del suo amore – e formarepersone con una competenza specifica nellacomunicazione della fede. Questi due com-piti, che orientano la definizione delle com-petenze all’interno degli itinerari formativi,costituiscono gli orizzonti che assicurano unaformazione integrale del catechista e unaspecifica del suo ministero. Vanno preparaticatechisti capaci di educare alla fede sia nellaforma della proposta – cui oggi si è partico-larmente sensibili – sia nella forma dell’ac-compagnamento all’interno delle comunitàcristiane.

La formazione, in sintesi, non può limitarsiad una trasmissione unilaterale di contenuti,ma deve necessariamente sostenere il ricen-tramento dell’identità dei catechisti sulla Ve-rità di Gesù Cristo. Non si tratta solo di infor-mazione, ma di un laboratorio di trasforma-zione e di accompagnamento. In questa lo-gica, più che dare forma, l’attività formativarimanda ad un processo capace di assumeree valorizzare la vita dei catechisti, per accom-pagnare e sostenere un itinerario formativointeso come progressiva trasformazione,orientato dai Valori evangelici e finalizzato al-l’apprendimento delle competenze catechisti-che. Formare è abilitare ad uno stile di vita,è sostenere lo sviluppo progressivo e gradua-le di una esistenza che si dispiega nella lucedella Verità. In questo identifichiamo la primameta della formazione così come indicata da-gli Orientamenti. La formazione deve favorirel’incontro vitale con Cristo affinché si attiviun processo di rinnovamento fecondo. L’in-contro vero e sincero con Cristo è la condi-zione per comunicare il dono della fede, se-conda meta della formazione. La capacità diraccontare con la vita l’incontro con Cristo è

una delle condizioni fondamentali perché lacatechesi sia servizio fecondo alla Parola diDio. Gli Orientamenti al n. 84 suggerisconola realizzazione di due offerte formative, di-stinte ma complementari: una formazione dibase e una formazione di livello superiore. La formazione di base [= I livello], proget-tata e organizzata dagli uffici diocesani, deveaccompagnare il catechista a riflettere sullequattro dimensioni fondamentali del serviziocatechistico – essere, sapere, saper fare e sa-per stare in (IG 82) – e approfondire i con-tenuti fondamentali della fede. Un percorsoche, investendo sul valore formativo delgruppo dei catechisti in quanto comunità incui si condivide una esperienza di fede e unservizio, accompagna i catechisti ad acquisirele competenze fondamentali e a costruire unasintesi organica e chiara del contenuto fon-damentale della fede. L’idea di fondo è puri-ficare l’esigenza formativa dal carattere di oc-casionalità per puntare sull’équipe dei cate-chisti come luogo di formazione permanente.In tale senso l’équipe dei catechisti è una par-ticolare esperienza di Chiesa che nasce dallavocazione al servizio catechistico; una comu-nità ministeriale, luogo caldo in cui i catechi-sti vivono la loro spiritualità da cui scaturiscela forza del servizio. La formazione di livello superiore [= II livel-lo] può essere organizzata con l’aiuto di cen-tri formativi specializzati, attraverso il coin-volgimento degli ISSR con i quali pensare deipercorsi specifici in ambito metodologico,contenutistico, biblico, psico-pedagogico, ecc. Scopo della formazione di II livello è garantirela presenza di coordinatori ben preparati che,insieme con l’équipe diocesana, possano pro-gettare e realizzare la formazione base perquanti si rendono disponibili alla catechesinelle parrocchie o a fare da referenti negliambiti in cui venga loro chiesto. Il quadroformativo proposto dagli Orientamenti, in

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conclusione, chiede alle comunità ecclesiali direalizzare itinerari formativi per sostenere ilrinnovamento personale dei catechisti al finedi qualificare il servizio catechistico.

2.3. Dopo gli orientamenti: la Commissioneformazione [2015-2017] = vedi sopra pun-to 6

2.4. In sintesiRiassumendo, che cosa vuole essere la pro-posta formativa delle settimane estive sull’IC?Essa valorizza tutte le acquisizioni formativedi questi anni (quindi qualità dei contenuti,spazi di confronto tra i partecipanti, dinami-che laboratoriali), ma inserisce un elementoqualificante: l’ascolto di pratiche ecclesiali diiniziazione cristiana, parrocchiali o diocesane,e di analisi di queste pratiche. Dalla praticaalla pratica tramite la riflessione critica suquello che si sta facendo. Questo vuol direche l’UCN si affianca alle comunità ecclesialiche lo desiderano per aiutare a maturare unacompetenza pastorale pratica, un sapereprassico, la capacità di apprendere non perdeduzione e applicazione, ma per interpreta-zione di quello che ci viene dalle pratichestesse, molto ricche anche se limitate, già inatto nelle parrocchie e diocesi italiane.Perché questa scelta? Perché ci sembra che ilquadro teorico sull’IC sia chiaro, che sia buo-na la strumentazione in atto, ma che ora sitratti di monitorare quanto avviene, interpre-tarlo, riorientarlo, diffonderlo. Una vera competenza pastorale infatti nonpuò essere promossa all’interno di una conce-zione discendente “teologia speculativa”/”teo-logia applicata”. La competenza pastorale abi-lita a una presa di parola critica sulla prassipastorale. Essa non è deduzione intellettuale,ma nel cuore delle mille scommesse di unaprassi essa è gesto di fede, di amore e di spe-ranza che cerca la sua intelligenza.

Possiamo indicare quattro attitudini che co-stituiscono l’agire pensoso: l’osservazione (losguardo), l’interpretazione (il discernimento),l’intervento (il gesto) e la prospettiva (l’oriz-zonte di vita e di senso). La settimana saràun allenamento a queste 4 attitudini.Una nota finale: questa scelta di metodo (sta-re sulle pratiche) non è una scelta strategica(per essere più efficienti). Mons. Erio Castel-lucci ci ha detto che la soluzione del cambiodi strategie può essere manifestazione di unacomunità sterile. È una scelta certo metodo-logica, ma primariamente spirituale. Intendia-mo guardare attentamente le pratiche per sa-pervi scorgere l’agire di Dio nelle persone emettersi al servizio di questa azione, comediaconi dello Spirito. L’esercizio paziente diascolto delle pratiche è di fatto un eserciziospirituale e tutto l’impegno per migliorare lepratiche non è altro che il servizio di crearele condizioni e togliere gli ostacoli perché Luipossa agire meglio.

3. PER CHI? La settimana non è destinata ai catechisti dibase, ma ai direttori UCD, ai referenti dioce-sani per l’iniziazione cristiana (o a quanti sivogliono qualificare per questo servizio).Si tratta quindi di una formazione di II livello,che aiuta chi promuove l’IC a verificare, in-terrogare, rilanciare l’IC. Questo ci porterà sicuramente a non pensare gestire questa proposta da soli, con personedel solo ambito catechistico, ma insieme, insinergia con tutte le dimensioni della vita cri-stiana. Per dirlo riprendendo la prospettiva difondo del Convegno di Assisi, si tratterebbedi un trittico di settimane residenziali che al-lenano a generare come comunità.

In buona sostanza la proposta formativa na-zionale sull’IC sceglie di qualificarsi per la me-todologia della lettura delle pratiche nell’otticadi una duplice convinzione:

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che si tratti di una via proficua per introdurreun soggetto nel campo complesso dell’inizia-zione cristiana dei ragazzi, favorendo queimutamenti di approccio nei rapporti con le fa-miglie, la comunità cristiana, gli altri catechi-sti e operatori, i ragazzi stessi, ecc. che altri-menti richiederebbero un iter formativo pro-lungato (e forse non sempre in grado di rag-giungere l’obiettivo);che riflette la disponibilità in Italia di espe-rienze rinnovate di IC meritevoli di approfon-dimento, indagine critica e ripresa.

11. La proposta formativa per i referenti del-l’IC è però solo uno degli aspetti del percorsonazionale nell’ambito dell’IC. Anche nelleconclusioni del convegno di Assisi del restosi è spiegato che l’UCN si propone di:a) riprendere la mappatura delle esperienzediocesane di rinnovamento dell’IC dei bam-bini e dei ragazzi dal punto in cui è stata so-spesa (2012);b) mettere in rete le esperienze più significa-tive, nonché i materiali per gli itinerari e unaprima informazione mediante testi e video in-seriti sul portale www.iniziazionecristiana.it;c) sostenere le realtà locali mediante la pro-mozione di occasioni di studio sull’iniziazio-ne, con particolare attenzione al ruolo dellacomunità cristiana nel suo insieme e al coin-volgimento degli esperti impegnati negli am-biti pastorali diversi dalla catechesi;d) reperire, qualificare e mettere a disposizio-ne delle regioni e delle diocesi un numerosufficiente di persone-risorsa che possano te-nere interventi sul territorio, laddove le realtàlocali ne facessero richiesta, nonché aiutarea “rileggere” le esperienze in corso, fare datutor su progetti specifici, ecc.;

e) proporre un’esperienza formativa rivoltaai direttori UCD e agli attuali o futuri referentiper l’iniziazione cristiana dei ragazzi nellediocesi, nelle regioni e nelle realtà associati-ve.

Quelli esposti potrebbero essere i compiti dimassima affidati alla nuova CommissioneIniziazione Cristiana, con l’aggiunta – se sitrattasse appunto di una Commissione e nongià da subito di un Settore – dell’incarico diformulare proposte circa la costituzione di unSettore UCN stabile dedicato all’iniziazionecristiana dei ragazzi (con competenze anchesull’IC dei ragazzi 7-14 anni non battezzati,come suggerito dal Settore Catecumenato).

APRENDO IL CONFRONTO

12. In definitiva in questi anni, facendo levasia sull’articolazione consolidata dell’UCN (itre Settori e la Consulta, in dialogo costanteattraverso il direttore con la Segreteria Gene-rale CEI e la CEDAC) sia su nuove forme dilavoro (l’Equipe nazionale voluta da donGuido Benzi, la Commissione Formazione eil Coordinamento IC avviati più di recente),si è cercato di riprendere e dare continuità aIG, con particolare riferimento alla III e allaIV parte.Certo, si tratta di un cammino del tutto in cor-so; un cammino che, al di là di eventualiconseguenze organizzative – di cui diremodomani anche con la presenza esperta e au-torevole di mons. Giuseppe Baturi –, chiedeuna comunione di intenti e una chiarezza dipropositi sulla quale vi invito ora volentieri aconfrontarci.

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Il titolo della giornata mondale delle comuni-cazioni sociali di quest’anno è «La verità vifarà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornali-smo di pace». Vari fattori devono aver incisosulla scelta di un tema così particolare comele Fake news e il giornalismo di pace. Il temaè di rilevanza mondiale e il termine post-ve-rità (post-truth) è stato scelto dall’OxfordDictionary come parola dell’anno 2016 il cuisignificato è così definito: «An adjective de-fined as “relating to or denoting circumstan-ces in which objective facts are less influen-tial in shaping public opinion than appeals toemotion and personal belief”».1 Le ragionidella scelta dell’Oxford Dictionary nel 2016sono state dovute al picco di frequenza del-l’uso del termine a livello mondiale e in par-ticolare durante il referendum inglese sullaBrexit e la campagna statunitense per l’ele-zione del presidente degli USA.Fra i molti modi con cui si potrebbe affron-tare il tema, questo contributo propone unpercorso che apparentemente si discosta daquella che chiamerei la fenomenologia di su-perficie e tenta di immergersi nella ricerca diciò che causa questo proliferare di fake-news, del perché la Verità sembra sia stataarchiviata dalla cultura contemporanea e,infine, si interroga sulla possibilità che la Ve-rità ci possa davvero liberare e a quali con-dizioni.

1. UN SOGNO INFRANTO:DALL’UTOPIA DI UN MONDOUNITO E DEMOCRATICO AQUELLA DI MONDI PARALLELIPOPOLATI DA SOGGETTICONNESSI E ISOLATI

Internet negli anni ’90 rappresentava sim-bolicamente la “terra promessa”, uno spaziodove finalmente si sarebbe potuto esercitarela libertà di espressione, la democrazia di-retta, l’abbattimento di ogni barriera cultu-rale e razziale, il sapere collettivo. Un mon-do connesso senza confini dove tutti, poverie ricchi indistintamente, avrebbero potutoaccedere all’informazione e ogni governo eistituzione sarebbero stati più disponibili etrasparenti.Questa rivoluzione non è mai avvenuta e gliscenari attuali hanno più ombre che luci. Direcente alcuni autorevoli interventi comequello di Chamath Palihapitiya, già vicepre-sidente di Facebook, hanno messo seria-mente in discussione gli osannati beneficidei social network. In una dichiarazione ri-lasciata alla Stanford Graduate School of Bu-siness, Palihapitiya ha affermato che Face-book, e in generale tutti i social network,sono «strumenti che stanno facendo a pezziil tessuto sociale di come funziona la nostrasocietà». Più specificatamente il feedback a

La verità ci farà liberi?Big data e società del calcolo.

Il culto del dataismoe le sue conseguenze

Fabio Pasqualetti

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

1 Oxford Dictionaries, Word of the Year 2016 is: Post-truth, in https://goo.gl/3O-myah, (06.02.2018).

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breve termine di Facebook, fatto di like edemoticons, sta distruggendo la nostra socie-tà, perché è un meccanismo che, secondoPalihapitiya, «genera dopamina in modichequantità ed elimina la conversazione civile,la cooperazione e porta alla diffusione di in-formazioni false, alla sfiducia o peggio».2 Aqueste affermazioni preoccupanti, si devonoaggiungere quelle rilasciate in alcune inter-viste da Bill Gates e da Steve Jobs, nellequali emerge come questi guru dell’informa-tica e dell’hitec non abbiano voluto che i lo-ro figli fossero esposti alle tecnologie digitaliprima di una certa età. Bill Gates, per esem-pio, ha impedito l’uso del cellulare a sua fi-glia fino all’età di 14 anni e solo raramentele ha permesso di usare i prodotti da lui in-ventati.3

Ma come può essere successo che una tec-nologia esaltata come liberante, si stia rive-lando uno degli strumenti più potenti nellamanipolazione del comportamento sociale?A questo riguardo Eli Parisier4 ci ricorda chec’è un momento preciso a cui fare riferimen-to ed è il 4 dicembre 2009, quando sul blogufficiale di Google appare un post in cui siannunciano «Ricerche personali per tutti»,5

un cambiamento radicale mai avvenuto pri-ma nei motori di ricerca. Il famoso algoritmodi Google – conosciuto come PageRank – hainiziato a dare risultati diversi a seconda dichi lo interrogava, elaborando risposte inbase ai dati raccolti dalla loro navigazione equindi su misura dei gusti delle persone,persino anticipando futuri possibili desideri.

Dal 2009 siamo, dunque, entrati nell’eradella personalizzazione della comunicazionein rete. Questo fatto, che da un punto di vi-sta soggettivo potrebbe sembrare fantastico,ha generato però degli effetti collaterali, condelle conseguenze devastanti sulla vita so-ciale, minando il legame sociale, il plurali-smo, il confronto culturale, la democrazia econsegnando i singoli utenti in mano almondo del marketing personalizzato.In democrazia i cittadini, pur avendo opinio-ni diverse, sono messi in grado di confron-tarsi e dialogare sui medesimi fatti. Quelloche avviene con la personalizzazione delrapporto con la rete è che ognuno si chiudein una sua “bolla”.6 Si genera così una si-tuazione fatta di mondi paralleli dove ognu-no vive ignorando l’altro. Ha davvero il sa-pore dell’ironia ricordare che il primo mis-sion statement di Facebook indicava comesuo obiettivo «rendere il mondo più apertoe connesso»: certamente il mondo è più con-nesso, ma paradossalmente sta anche di-ventando sempre più chiuso. Un’accurataanalisi svela che Internet si sta prestando auna nuova forma di dittatura e sfruttamen-to, molto più subdola e impalpabile di quan-to non fossero le dittature storiche che l’Oc-cidente ha conosciuto nel secolo scorso.Se Google ha introdotto la personalizzazionedella ricerca, Facebook, Amazon, Apple, in-sieme ad altre aziende meno conosciute,non sono state a guardare, perché persona-lizzare vuol dire soprattutto raccogliere datie informazioni sull’utenza che i giganti della

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

2 ALFONSO MARUCCIA, I social network: un male per la società, (13.12.2017), in https://goo.gl/Ygf8Bd,(03.02.2018).3 Cf. CHRISS WELLER, Bill Gates e Steve Jobs hanno cresciuto i loro figli senza tecnologia, e questo dovrebbe in-segnarci qualcosa, (20.01.2018), in https://goo.gl/fG1ykg, (03.02.2018).4 Eli Parisier è attualmente capo esecutivo del sito Upworthy, cofondatore di Avaaz.org e presidente del comitatodi MoveOn.org.5 ELI PARISIER, ll filtro. Quello che internet ci nasconde, Il Saggiatore, Milano, 2012, 10.6 Cf. PARISIER, ll filtro, 12.7 JOHN LANCHESTER, La merce sei tu, in «Internazionale», 1222, 15.09.2017, 47.

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rete trasformano immediatamente in dena-ro. Per rendersi conto della portata del bu-siness, basterebbe ricordare che a fine luglio2017 Facebook aveva due miliardi di utentiattivi ogni mese. Poiché Facebook è statolanciato nel 2004 per gli studenti di Har-vard, non esiste tecnologia inventata dal-l’uomo che sia stata adottata così veloce-mente e si sia diffusa così capillarmente intutto il mondo. Lo evidenzia il giornalista in-glese John Lanchester, aggiungendo chel’aspetto più sorprendente (e problematico)è forse un altro: «Più Facebook cresce, più isuoi utenti ne dipendono».7

Tutto ciò che facciamo in rete viene registra-to; le tracce che lasciamo parlano di noi, di-segnano i nostri profili, raccontano i nostrigusti in ogni campo e settore della nostra vi-ta, segnalano le nostre preferenze religiose,politiche, sessuali, culturali e sociali. Ed i fil-tri che la rete usa, per incapsularci nella no-stra “bolla”, sono sempre più raffinati, at-tenti e veloci, capaci persino di anticipare inostri desideri.Questi “filtri”8 hanno determinato la diffe-renza fondamentale tra il modo di vivere lacomunicazione prima e dopo l’avvento dellarete, in particolare del web 2.0. Anche primadella rete comunicavamo i nostri gusti e ilnostro modo di essere, ma questo avvenivaall’interno di cerchie e di gruppi umani nonsempre del tutto omogenei e con una comu-nicazione interpersonale. Ora la comunica-zione mediata e l’azione dei filtri scremanocontinuamente i nostri contatti e così cichiudono nella nostra bolla, lasciandoci con-nessi solo a coloro che ci assomigliano. Que-sto avviene in modo non percettibile da par-te dell’utente: giorno dopo giorno, gli algo-ritmi raccolgono i nostri dati, li mettono a

confronto con quelli di altre persone e cosìtracciano i nostri comportamenti. Parados-salmente, mentre pensiamo che in rete sia-mo liberi di fare quello che vogliamo, in re-altà veniamo orientati impercettibilmente achiuderci nelle nostre bolle e radicarci acri-ticamente nelle nostre visioni, nelle nostreidee, nei nostri gusti. Come ci ricorda Pari-sier, «i creatori della personalizzazione ci of-frono un mondo su misura, ogni aspetto delquale corrisponde perfettamente ai nostrigusti. È un mondo rassicurante, popolatodalle nostre persone, cose e idee preferite».9

Un mondo che può generare anche forti pa-tologie, come avviene quando non si ha unaalimentazione equilibrata; infatti il corpo,per crescere sano, ha bisogno di un’alimen-tazione completa che contenga tutti gli in-gredienti necessari per lo sviluppo. La stessaesigenza c’è per il nutrimento della nostramente. I filtri invece ci sollecitano a sceglierecome nutrimento ciò che a noi piace; non èdetto, però, che ciò che ci piace sia sufficien-te per mantenerci sani. È noto che le perso-ne ammalate di diabete sono fortemente at-tratte dagli zuccheri; ma sono condannate auna morte precoce se si nutrono solo di que-sti.

2. L’IMPORTANZA BIG-DATA

Il 4 febbraio del 2013 David Brooks, gior-nalista e opinionista americano, scriveva sulNew York Times:

If you asked me to describe the rising phi-losophy of the day, I’d say it is dataism.We now have the ability to gather hugeamounts of data. This ability seems tocarry with it certain cultural assumptions

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

8 I “filtri” sono di fatto degli algoritmi.9 PARISIER, ll filtro, 16.

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– that everything that can be measuredshould be measured; that data is a trans-parent and reliable lens that allows us tofilter out emotionalism and ideology; thatdata will help us do remarkable things –like foretell the future.10

L’assunto culturale a cui fa riferimento Bro-oks, «che ogni cosa può essere misurata»,di fatto non è nuovo perché è un retaggioritracciabile nei fondamenti della stessa mo-dernità. Max Horkheimer e Theodor W.Adorno, nella loro opera Dialettica dell’illu-minismo pubblicata per la prima volta nel1944, profeticamente mettevano in eviden-za come la “ragione” che avrebbe dovuto li-berare l’uomo dalla schiavitù, si era trasfor-mata in una razionalità calcolante e utilita-rista che ormai guidava l’uomo e gestiva larealtà. Questa ragione si basava sulla logicaformale, piattaforma di unificazione con cuiguardare e misurare l’universo. «Tutto ciòche non si risolve in numeri, e in definitivanell’uno, diventa, per l’illuminismo, appa-renza; e il positivismo moderno lo confinanella letteratura. Unità rimane la parolad’ordine, da Parmenide a Russell. Si conti-nua a esigere la distruzione degli dèi e dellequalità».11

Senza volere ricostruire la storia del pensieromoderno, si può dire che “realtà” e “verità”sono i due termini che hanno subìto più re-visioni concettuali, a causa del predominiodel metodo scientifico impostosi in tutti icampi del sapere umano. Sullo sfondo dellaproblematica in atto ritorna il problema dellaconoscenza (cosa conosciamo del mondoattorno a noi e di noi stessi e quale è il me-

todo migliore per indagare e comprendere).I big-data, ma in modo più particolare i me-todi di indagine che si usano per interrogarli,si ripropongono – è lo stesso Brooks che lofa notare – come «lenti trasparenti e affida-bili che permettono di eliminare emozioni eideologie».Ma davvero le cose sono così semplici?Inizialmente i big-data indicavano masseenormi di informazioni, tali da richiederenuovi strumenti di gestione e nuove tecni-che di analisi. Oggi il termine ha assuntoanche altri aspetti che includono quantità edeterogeneità dei dati, un insieme di strumen-ti di analisi strutturata e non strutturata pertrattare dati come immagini, email, dati ri-levati dai sistemi di Global Positioning Sy-stem (GPS), transazioni e informazioni pre-se dai social network.I big-data sarebbero tuttavia materiale inertese non ci fossero gli algoritmi ad interrogaree gestire questa massa enorme di dati. Comesuggerisce Dominique Cardon, sociologofrancese, gli algoritmi sono paragonabili auna ricetta da cucina, si basano su una se-quenza di istruzioni che permettono di otte-nere un risultato. L’algoritmo «organizza ge-rarchicamente l’informazione, indovina ciòche ci interessa, seleziona i beni che prefe-riamo e si sforza di sostituirci in numerosicompiti. Siamo noi a fabbricare questi calco-latori, ma in cambio loro ci costruiscono».12

Negli anni Ottanta si assiste a un progres-sivo incremento del calcolo in tutti gli ambitidella vita sociale; forse non a caso, ciò av-viene in concomitanza con le politiche delneoliberismo, della globalizzazione e dellaprogressiva subordinazione della politica alle

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10 DAVID BROOKS, The philosophy of data, 04.02.2013, in “The New York times”, in https://goo.gl/U74hoH,(24.01.2017).11 MAX HORKHEIMER - THEODOR W. ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 2010, 15-16.12 DOMINIQUE CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi. Le nostre vite al tempo dei big data, Mondadori, Milano,2016, 1.

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leggi dell’economia e della finanza. La vitadell’uomo e le sue attività iniziano a essereridotte a indici, classifiche, misurazioni.Scuole, sanità, politica, religione, turismo,consumo, impresa, commercio ecc., tuttoviene misurato in cifre e sottoposto ai pro-cessi di rating.13 «Col pretesto dell’efficacia,gli indicatori si sono diffusi nella società perfornire, a coloro che venivano misurati, del-le cifre destinate a orientare i comportamen-ti. Più che a conoscere la realtà, tali indica-tori miravano a “guidare i comportamenti”degli individui affinché la trasformino».14

L’efficacia è un’esigenza tipica delle macchi-ne che di fatto sono primariamente a servi-zio del sistema economico neoliberista, ilquale ha bisogno di garantirsi la continuacrescita ed espansione dei mercati. Per que-sto ci vogliono sistemi di misurazione chepermettano di prevedere e anticipare in chedirezione muoversi in modo preciso ed effi-ciente. La contemporanea espansione della“società in rete” non ha fatto altro che age-volare il moltiplicarsi dei dati. L’avvento delweb 2.0, che ha trasformato i navigatori inprosumer (il termine nasce dalla contrazionedi producer and consumer), ha creato in po-co tempo miliardi di lavoratori “felici” esfruttati che grazie ai blog e ai social net-work inseriscono enormi quantità15 di datiin svariate forme (testi, immagini, video,animazioni ecc.) e, quel che più conta, la-

sciano tracce delle loro attività di rete, cre-ando così il perfetto target per un marketingche va dalla vendita di beni di consumo aquello delle ideologie.A questa quantità di dati prodotti dai navi-gatori, oggi si aggiungono anche quelli for-niti dall’Internet delle cose, da tutti queglioggetti considerati smart, che ormai inva-dono il nostro ambiente e sono sempre piùparte del nostro modo di vivere connesso.Casalinghi come la lavatrice, il frigo e i varielettrodomestici, le camere di videosorve-glianza, le automobili, eccetera, ormai sonodei computer connessi alla rete. Controllabiliin remoto, semplificano certamente variaspetti della gestione della casa; nello stessotempo però raccontano agli algoritmi dellarete chi siamo, cosa facciamo, dove siamo,quali abitudini abbiamo e molto altro, a no-stra insaputa. A questo fattore inevitabile bi-sogna aggiungere che, per installare ciascu-no di questi oggetti intelligenti, bisogna con-cedere ai loro gestori l’accesso a molti datipersonali, condizione questa che l’utentespesso accetta, ignaro delle conseguenze.16

3. CHI RACCOGLIE QUESTI DATI EIN CHE MODO?

Le aziende più conosciute come capaci diraccogliere dati, elaborarli, gestirli sia per in-

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

13 Cf. CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi, 3.14 CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi, 3.15 A modo di paragone Cardon sostiene che «se s’informatizzassero tutte le comunicazioni e gli scritti dall’albadell’umanità fino al 2003, occorrerebbero 5 miliardi di gigabit per metterli in memoria. Oggi generiamo questovolume di informazione solo in due giorni». In CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi, 4.16 ADAM GREENFIELD vede nell’Internet delle cose una realtà complessa che non può essere ignorata, ma va ana-lizzata a fondo, cercando soprattutto di capire le implicazioni di tutti i metadati che questi oggetti, sia privati chepubblici, producono. Appoggiando la tesi di Jasmina Tešanovic, attivista serba per i diritti umani, egli vi intravedeil progetto di una élite tecnica che propone un disegno di universalità sociale che realizza coniugando informa-zione, controllo e potere; non è chiaro però chi siano gli autori di questo progetto e quali siano gli scopi che sivogliono perseguire. Cf. ADAM GREENFIELD, Tecnologie radicali. Il progetto della vita quotidiana, Einaudi, Torino,2017, 61-64.

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teressi propri sia per venderli a terze parti,sono Google, Apple, Facebook e Amazon(GAFA). Molte sono le critiche già mosse aqueste multinazionali della rete. Google, co-me abbiamo visto, con la sua personalizza-zione della ricerca è stata accusata di fornirerisposte su misura, per soddisfare il clienteconfermandone l’opinione, piuttosto che ap-profondirla o contestarla. In questo modo,però, gli individui restano chiusi dentro“bolle” narcisistiche di autocompiacimento,mentre l’azienda non solo riesce a fidelizza-re la sua audience, ma è anche in grado dianticiparne i possibili desideri, poiché, comeabbiamo accennato, sul comportamento del-le varie categorie di pubblico continua acondurre studi approfonditi. Apple con il suoslogan “Think different” ha investito i propriutenti, come dice Morozov, di una missionestorica, quella di sentirsi l’élite, che attraver-so la tec- nologia Apple può cambiare ilmondo.17 Facebook ha cambiato il suo mis-sion statement «Rendere il mondo più aper-to e connesso» in «Dare alle persone il po-tere di costruire comunità e unire sempre dipiù il mondo». In realtà Facebook, comeGoogle, sta restringendo il concetto di “noi”a “chi la pensa come noi”: è l’azienda disorveglianza più grande nella storia del-l’umanità, capace di disporre informazioniche nemmeno i centri di intelligence dellepiù grandi dittature del secolo scorso avreb-bero potuto mai sognarsi di avere a dispo-sizione.18 Ed ancora Amazon: alla manieradelle aziende precedenti sembra avere il do-no di prevedere i nostri gusti in fatto di let-ture, ascolto musica, moda e quant’altro, dalmomento che propone e anticipa i nostri de-

sideri. In realtà è un ulteriore modo di divi-dere la popolazione per unità di individui,opportunamente classificati per affinità digusti.Tutto questo è possibile grazie alla potenzadi calcolo delle macchine digitali di ultimagenerazione e dalle varie famiglie di algorit-mi che consentono l’analisi di tutte le com-ponenti in cui si articola il nostro comporta-mento in rete. Dominique Cardon identificaquattro famiglie di calcolo e le dispone al-l’interno del mondo digitale in modo spazia-le, come se misurassero le attività esercitatedagli internauti “accanto, sopra, dentro esotto”.19

La prima famiglia di calcolo, che misura ac-canto, sfrutta il principio della popolarità esi basa sul conteggio dei click. Tecnica chenasce negli anni ’90 per misurare la popo-larità dei siti in base al numero di visitatori.Uno degli strumenti più noti per questo tipodi misurazione è Google Analytics. Nel1994 furono inventati i cookie, dei file “ci-mice” inseriti nel browser dell’utente chenon solo permettono al sito visitato di rico-noscere l’internauta “di ritorno”, ma che allostesso tempo raccolgono informazioni sullasua navigazione, creando un profilo utentesempre più ricco. Questo tipo di misurazionepresenta vari problemi: infatti la sola regi-strazione della frequenza non garantisce cheil messaggio o il contenuto proposto sianoefficaci; inoltre il procedimento si presta afacili manipolazioni realizzabili anche permezzo di click-robot.20

La seconda famiglia, quella che misura al disopra, è stata creata con l’avvento di Googlenel 1998. L’obiettivo era registrare gli scam-

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17 Cf. EVGENY MOROzOV, Contro Steve Jobs. La filosofia dell’uomo di marketing più abile del XXI secolo, CodiceEdizioni, Torino, 2012, 39-41.18 Cf. JOHN LANCERSTER, La merce sei tu, in “Internazionale”, 1222, 15.09.2017, 47-57.19 CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi, 11.20 Cf. CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi, 13-18.

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bi tra gli internauti senza influenzarli: all’al-goritmo non si chiedeva di capire il conte-nuto della pagina, ma di misurarne la forzasociale. In altre parole, la rilevanza di un si-to veniva data dall’essere segnalato da altrisiti che, così facendo, riconoscevano l’im-portanza dei suoi contenuti. È una specie diconferimento di autorità, per questo si diceche l’algoritmo classifica in base alla meri-tocrazia. È il principio su cui si basa il Pa-geRank che ha reso famoso Google. Il desi-derio di non interferire con l’attività degli in-ternauti si infrange però contro la volontà ele strategie di tutti coloro che invece voglio-no ottenere maggior visibilità ai loro siti:non a caso è in forte espansione il mercatodelle imprese che offrono servizi SEO (Se-arch Engine Optimizazion) in grado di mi-gliorare il posizionamento di un determinatosito all’interno del PageRank di Google. Ilproblema forse più insidioso sta, però, nelfatto, che l’associazione di link viene fattaattraverso il giudizio di pari e così il sito piùcitato non è necessariamente quello più au-torevole: è soltanto quello più popolare. Sidetermina quindi uno slittamento dal prin-cipio di autorità a quello di popolarità. Unaltro aspetto che non convince è il fatto chel’algoritmo di Google censisce solo i docu-menti che contengono link ipertestuali,ignorando il resto della documentazione pre-sente in rete.21

Con l’avvento dei social network e di altremodalità di interazio- ne non analizzabilicon l’algoritmo di Google, la calcolabilità ha

dovuto spostarsi al di dentro, misurando,per esempio, tutte le attività all’interno diuna piattaforma social. L’algoritmo che re-gola questi calcoli fa riferimento alla repu-tation e non riguarda solo i like, ma misurala cerchia di amici e la dimensione delle retipersonali, i commenti, le condivisioni, quan-te volte un internauta è citato (taggato) nel-le conversazioni degli amici, la viralità dimessaggi, immagini, post che mette in rete,ecc. La reputation ha a che fare con la forzae l’impatto sociale che un internauta riescead avere. Ma anche la reputation può esse-re costruita e manipolata, proprio come av-viene per la meritocrazia dell’algoritmo diGoogle. Questa cultura del calcolo è prodot-ta, secondo Cardon, proprio da questi con-tatori: «Messi nel web, sotto gli occhi di tut-ti, i contatori trasformano gli internauti stes-si in contatori».22 La reputation ha sollevatocritiche, perché anch’essa spinge gli inter-nauti a chiudersi in gruppi di simili, impe-netrabili e facilmente soggetti all’effetto dellamente alveare.23 Ma la quantità non si tra-sforma automaticamente in qualità: Laniermette in guardia da questa illusione, ricor-dando una massima informatica «Garbagein - garbage out»: se nella rete inseriscispazzatura, esce spazzatura.24 La quarta fa-miglia di algoritmi è quella che lavora al disotto del web e ha come scopo quello di farepredizioni sulla base delle tracce che gli in-ternauti lasciano attraverso la loro attivitàin rete. Si avvale della tecnica di apprendi-mento automatico (machine learning) usata

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21 Cf. CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi, 18-22.22 CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi, 23.23 Con questo termine di solito ci si riferisce all’intelligenza come studiata negli insetti sociali (api, formiche, ter-miti). Nonostante l’intelligenza dei singoli sia limitata, tuttavia l’interazione dei singoli nel gruppo permette disviluppare comportamenti complessi. Nella rete in modo analogo individui simili reagiscono spesso come sefossero un organismo unico e costituisco il terreno fertile per rimanere vittime di fake-news o processi di radi-calizzazione.24 Cf. JARON LANIER, Tu non sei un gadget. Perché dobbiamo evitare che la cultura digitale si impadronisca dellenostre vite, Mondadori, Milano, 2010, 66-67.

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in particolare da giganti della rete comeAmazon e Netflix. In pratica questi algorit-mi, mettendo a confronto profili diversi, macon tratti analoghi, ipotizzano quali azionisuggerire agli utenti, sulla base di quantofatto da altri utenti simili. In altre parole, «Ilfuturo dell’internauta viene predetto grazieal passato di coloro che gli assomigliano.[...] Gli algoritmi predittivi non danno unarisposta a ciò che la gente dice di voler fare,bensì a ciò che la gente fa senza volerlo diredavvero».25

I promotori dei big-data e i sostenitori deglistrumenti di analisi predittivi di fatto partonodalla convinzione che il giudizio e la sag-gezza umani non sono molto affidabiliquando esprimono “chi siamo”; lo colgonoin modo più preciso il monitoraggio e la mi-surazione di ciò che facciamo, incluse le no-stre abitudini e i nostri comportamenti.Quello che spesso questi signori non diconoè che il loro interesse per il mondo dei big-data altro non è che una nuova corsa al-l’oro per individuare ulteriori mercati per lapubblicità e il marketing. Per raggiungerequesti scopi si stanno inventando semprenuovi meccanismi di tracciamento dell’uten-za. Per esempio la tecnica third party coo-kies che opera in questo modo: determinatisiti stabiliscono – in forma non rilevabile daparte dei potenziali clienti – un contrattoparticolare di presenza pubblicitaria con altrisiti; quando un internauta li contatta, nonscarica soltanto i cookie del sito (che magarigli ha chiesto il con- senso in forma espli-cita), ma anche quelli dei siti che hannoaderito al contratto. Con questo risultato: atotale sua insaputa i dati del visitatore sonostati ceduti anche a terze parti. Un procedi-

mento analogo avviene quando si scaricanole app: all’utente viene richiesto, in nomedel buon funzionamento dell’app, che il pro-gramma possa accedere a vari dati personaliche vengono raccolti e non sempre le pro-messe di garanzia della privacy vengono ri-spettate.Tutti noi usiamo Google map, e in parte sap-piamo che per realizzare questa mappe dellenostre città sono stata usate le famose Goo-gle Car; pochi però sanno che queste vetturenon si limitano a registrare immagini, maintercettano tutte le reti wi-fi presenti sulpercorso, identificano la posizione delle an-tenne telefoniche e cellulari, gli indirizzi fisicidelle schede di rete, la comunicazione crip-tata e/o in chiaro e tutto quanto è catturabilee registrabile. Come sottolinea Francesco Vi-tali, garante per la protezione dei dati per-sonali, se queste operazioni fossero statecondotte in tempi di “guerra fredda” (primacioè della caduta del muro di Berlino), sa-rebbero state condannate come attività dispionaggio e in alcuni paesi i conducentiavrebbero rischiato la carcerazione o la penadi morte. I tempi fortunatamente sono cam-biati, ma ciò non toglie che l’attività di Goo-gle vada ben oltre la raccolta dei dati neces-sari per fornire il servizio e si sa che l’azien-da ne ha tratto un forte vantaggio commer-ciale rispetto ad altre aziende concorrenti nelsettore dell’Information and Communica-tions Technology (ITC). Non solo: i dati inmano a Google possono servire anche peroperazioni di guerra informatica. Siamo an-dati ben oltre il panopticon di Bentham,26

ormai siamo prigionieri di un psyco-panot-picon, perché «con gli strumenti attuali sipuò avere una capacità predittiva e manipo-

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25 CARDON, Che cosa sognano gli algoritmi, 26-27.26 Nel 1791 il giurista inglese Jeremy Bentham proponeva una struttura carceraria fatta in modo tale, che i con-dannati erano sempre sotto controllo senza averne la percezione.

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latoria assolutamente eccezionale, tale daconsentire una sorta di guerra psicologicapermanente».27

A questo scenario dobbiamo aggiungere an-che quello che è emerso dalle rivelazioni diWikileaks e di Eduard Snowden. Sappiamoper certo che i servizi segreti di tutte le na-zioni sono molto attivi nel controllare, spiaree raccogliere informazioni dalla rete e sfer-rare vere e proprie guerre informatiche. Cisono aziende specializzate nella compraven-dita di dati che senza troppi scrupoli sonodisposte a organizzare campagne di denigra-zione, dossieraggi, manipolazione di eventi,manipolazione di ricerche scientifiche, reclu-tamento di personale per terrorismo.28

Anche se la tecnologia digitale e in partico-lare la rete facilitano, come abbiamo visto,queste azioni di controllo, di raccolta e com-pravendita di dati, anche se il fenomeno del-le fake-news e tanti altri comportamenti ne-gativi trovano nella rete lo strumento più ra-pido per diffondersi, rimango del parere cheil problema non risiede tanto nella tecnolo-gia: è invece e soprattutto un problema an-tropologico e culturale. Da tempo si stasmantellando ogni sorta di visione unitariadell’uomo, ogni senso di bene comune e disocietà; il dio denaro, sotto le vesti del pro-gresso, dello sviluppo, dell’innovazione, del-

la corsa verso il futuro, sta sacrificando gior-no dopo giorno non solo parti della popola-zione mondiale, ma lo stesso concetto diumanità, ormai smontata come se fosse es-sa stessa un componente secondario di unamacchina più grande.

4. COME SIAMO ARRIVATI ALLASOCIETÀ DEL CALCOLO E DELCONTROLLO?

Byung-Chul Han, filosofo coreano docenteall’università di Berlino, sostiene che «il Da-taismo si presenta con l’enfasi di un secondoIlluminismo. Nel primo Illuminismo la sta-tistica era la disciplina che si riteneva capacedi liberare il sapere dal contenuto mitologico;perciò la statistica fu salutata con entusia-smo dal primo Illuminismo».29 In sostanzaal sapere mitologico si contrappose un saperefondato su cifre, e dunque oggettivo. Tutta-via l’illuminismo, che voleva distruggere tut-ti i miti, non si accorse di cadere esso stessonell’incantesimo mitico. Magia e scienza vo-gliono entrambi agire sulla realtà; la prima,però, lo fa abitando la realtà immaginata,mentre la scienza agisce con distacco cre-scente dall’oggetto: viene favorito il processodi astrazione, allontanando sempre di più il

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27 FRANCESCO VITALI, Psycho-panopticon: l’evoluzione dell’intelligence e della guerra psicologica nell’era dei big-data, in LUIGI SERGIO GERMANI (Ed.), Disinformazione e manipolazione delle percezioni: una minaccia al sistemapaese, Eurolink University Press, Roma, 2017, 104.28 Il problema della disinformazione avrebbe bisogno di una trattazione specifica. Non è nuovo nella storia del-l’uomo, ma il potenziale tecnologico e informativo di oggi non ha paragone con nessun caso nel passato. LuigiSergio Germani ha curato gli atti del convegno Disinformazione e manipolazione delle percezioni: una minac-cia al sistema paese, tenutosi nel 2015 per analizzare il fenomeno della disinformazione usata come arma politica,militare ed economica dagli Stati ma anche da attori indipendenti e privati. Si parla di “era del cyber-power”. Ilrappresentante del Dipartimento Informazioni per la Sicurezza (DIS) (comparto intelligence italiano) verso la finedel suo intervento sostiene che: “La consapevolezza di avere di fronte minacce, «traslate da fonti lontane, im-materiali, spesso attraverso il web», che sfruttano le opportunità di diffusione offerte dal nostro sistema di garanziedemocratiche, rende tanto più urgente manifestare «il senso del legame inscindibile tra sicurezza e libertà». InRappresentante DIS, Disinformazione e manipolazione delle percezioni: il punto di vista del comparto intelligenceitaliano, in GERMANI (Ed.), Disinformazione e manipolazione delle percezioni, 37.29 BYUNG-CHUL HAN, Psicopolitica, Nottetempo, Roma, 2016, 68.

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soggetto dall’oggetto. Scopo della scienza èdisvelare l’ignoto e mettere fine all’angosciadell’uomo. Si genera però un paradosso: pro-prio perché non ci deve essere più nulla fuoridella conoscenza e della scienza, la sempliceidea di un qualcosa che esista al di là di esse,diventa nuovamente fonte di angoscia. Perquesto Horkheimer e Adorno sostengonoche «l’illuminismo è l’angoscia mitica radi-calizzata».30

Il Dataismo di oggi si ripropone nuovamentecome liberatore di ogni arbitrio soggettivo elo fa in virtù di ciò che chiama la trasparen-za dei dati. Persino le teorie diventano in-gombranti e ideologiche, come sostieneChris Anderson, giornalista e direttore dellatestata Wired dal 2001 al 2012; già nel2008 scriveva:

This is a world where massive amountsof data and applied mathematics replaceevery other tool that might be brought tobear. Out with every theory of human be-havior, from linguistics to sociology. For-get taxono- my, ontology, and psycholo-gy. Who knows why people do what theydo? The point is they do it, and we cantrack and measure it with unprecedentedfidelity. With enough data, the numbersspeak for themselves.31

Il problema principale che emerge da questo“secondo illuminismo” è che per molti suoisostenitori sembra che sia venuto il tempoin cui non è più necessario interessarsi alperché delle cose, né alle loro cause. Non haimportanza il nesso di senso, bastano le cor-relazioni. In modo sferzante Han sostieneche «il Dataismo è nichilismo [...]. Dati e ci-

fre sono additivi e non narrativi: il senso,invece, si fonda sulla narrazione. I datiriempiono i vuoti di senso».32

Questo progressivo processo di lacerazionedel senso lo si comprende, se si tengonopresenti sia il passaggio dalla modernità allapostmodernità, sia il passaggio dal capitali-smo tradizionale al neoliberismo. DavidHarvey, sociologo e politologo britannico,sostiene che il fatto più sorprendente del po-stmodernismo è «la sua totale accettazionedella caducità, della frammentazione, delladiscontinuità [...], il postmodernismo galleg-gia, sguazza [...] nelle correnti frammentariee caotiche del cambiamento come se oltre aqueste non ci fosse null’altro».33 Diventa co-sì impossibile ogni forma di narrazione uni-taria per l’uomo e per la società. Ma se nonsi possono avere più narrazioni unitarie delmondo, la domanda che sorge è come sipossa agire in modo coerente nei confrontidel mondo? «La semplice risposta postmo-dernista è questa: poiché le azioni e le rap-presentazioni coerenti sono repressive op-pure illusorie (e quindi destinate ad auto-dissolversi e ad auto-sconfiggersi), non do-vremmo neppure cercare di impegnarci inqualche progetto globale».34

Nella riflessione sul postmodernismo emergeche ciò che è cambiato è un modo di sentire,di essere nel mondo, di farne esperienza edi interpretarlo. Fredric Jameson, teorico po-litico statunitense, nella sua opera Postmo-dernism, or, the cultural logic of late capi-talism (1984) presta attenzione alle prati-che di frammentazione e di instabilità dellinguaggio, cercando di capire quali siano i

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30 HORKHEIMER - ADORNO, Dialettica dell’illuminismo, 23.31 CHRIS ANDERSON, The end of theory: the data deluge makes the scientific meth- od obsolete, (23.06.2008) inhttps://goo.gl/5KopYK, (30.01.2018).32 HAN, Psicopolitica, 71.33 DAVID HARVEY, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 2015, 63.34 HARVEY, La crisi della modernità, 72.

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presupposti psicologici che favoriscono que-sti comportamenti. Appoggiandosi sulla de-finizione di schizofrenia proposta dallo psi-chiatra e filosofo francese Jacques Lacan –secondo il quale la schizofrenia è un distur-bo linguistico, un’interruzione nella catenasignificante che crea una semplice frase – Ja-meson afferma:

La connessione tra questo tipo di disfun-zione e la psiche dello schizofrenico si puòdunque intendere mediante una doppiaaffermazione: in primo luogo, che l’iden-tità personale è essa stessa l’effetto di unacer- ta unificazione temporale di passatoe futuro con il mio presente; e, in secondoluogo, che la stessa unificazione tempora-le attiva rappresenta una funzione del lin-guaggio, o meglio ancora della proposizio-ne, nel suo spostarsi attraverso il tempoper il suo circolo ermeneutico. Se siamoincapaci di unificare il passato, il presentee il futuro della frase, allora siamo altret-tanto incapaci di unificare il passato, ilpresente e il futuro della nostra esperienzabiografica o della nostra vita psichica. Conl’interruzione nella catena significante, loschizofrenico è perciò ridotto a un’espe-rienza di significanti puramente materialio, in altre parole, di una serie di presentipuri e irrelati nel tempo.35

Emerge da questa analisi che il postmoder-nismo tende ad appiattirsi in forme di esi-stenza chinate su un “eterno” presente, cen-trate più sul significante che sul significato,tese a dare risalto alle apparenze piuttostoche alle radici della vita. Ne consegue l’ab-bandono di ogni tipo di continuità o di me-moria storica, considerata solo come un ser-batoio da saccheggiare in modo funzionalee utilitaristico agli scopi del presente.Per decenni l’Occidente ha smantellato ognivisione unitaria dell’uomo. L’idea stessa di

totalità è stata rimossa, dal momento che ilsapere moderno ha sviluppato la convinzio-ne che non si può più avere una conoscenzatotale del sapere, una visione unitaria dellarealtà. Questa convinzione ha lasciato il po-sto al moltiplicarsi dei saperi specialistici,spesso ridotti a roccaforti epistemiche, inca-paci di comunicare con altre aree di cono-scenza. «L’esclusività dell’oggetto è il prezzodell’esclusività del dominio, ma anche il li-mite del tipo di sapere possibile: un saperetecnico, funzionale alla struttura dell’oggettomedesimo, capace di controllarne e antici-parne i movimenti».36

L’uomo, nel momento in cui diventa oggettodi studio di saperi specialistici, frutto del-l’episteme scientifica, subisce l’illusione diessere lui il centro dell’esistenza. In realtàl’operazione in atto è quella di scomposizio-ne e decostruzione dell’umano, non solo nelsuo corpo ridotto a merce ma, oggi, anchenello sfruttamento delle sue potenzialità psi-co-cognitive. La progressiva astrazione dellaproduzione sistemica rende sempre più com-plicato comprendere le nuove forme di sfrut-tamento in atto, perché le prestazioni del la-voro sono sempre più immateriali.Pietro Barcellona già negli anni ’90 analiz-zava il passaggio dal capitalismo incarnatonella fabbrica fordista a quello della globa-lizzazione. Il capitalismo della globalizzazio-ne, più noto come capitalismo neoliberista,si caratterizza per la sua flessibilità, a-cen-tricità, continua innovazione tecnologica epresenza pervasiva in ogni ambito umano,capace com’è di sfruttare i «rapporti simbo-lici, comunicativi, linguistici, formativi ededucativi, tra le persone. Sicché non è esa-gerato dire che, attraverso il sapere e il ge-neralizzarsi delle nuove modalità, i “prodot-

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35 FREDRIC JAMESON, Postmodernism, or, The cultural logic of late capitalism, Verso, London, 1991, 43-44.36 PIETRO BARCELLONA, L’individualismo proprietario, Boringhieri, Torino, 1987, 88.

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ti” della produzione sociale sono in primoluogo i soggetti stessi che la realizzano. E,dei soggetti, in particolare le menti».37

Barcellona percepisce così nella produzionecapitalista il rovesciamento tra soggetto eoggetto e, lucidamente, afferma che «l’og-getto della produzione sono i soggetti, lepersone, le relazioni, attraverso cui è con-sentito alla produzione di compiersi».38

Nel caso di un operaio specializzato, addettoalla gestione e alla verifica del funziona-mento di un programma che controlla dellemacchine, non sono le sue competenze, chene assicurano il corretto funzionamento; lesue osservazioni servono però a migliorareil funzionamento dello stesso programma.Barcellona sostiene che «Tutto ciò incidenon solo sulla forma della socializzazionedell’attività lavorativa, ma anche sull’ogget-to del comando e dell’espropriazione da par-te del capitale: l’attività mentale del singololavoratore».39

Han parla proprio di un nuovo tipo di sfrut-tamento lavorativo, che non incide più sulcontrollo dei corpi come avveniva nel con-cetto foucaultiano di biopolitica,40 ma ciporta nel regime della psicopolitca. Per di-mostrare questo passaggio, Han parte dallaconstatazione che nelle società occidentalinon ci sentiamo “soggetti sottomessi”, ma“progetti liberi”, eppure proprio in questa di-mensione progettuale c’è un interessantemeccanismo di autocostrizione, non tanto a

obblighi imposti da altri, ma autoimposti ase stessi in nome del proprio successo, diperformance, status, carriera che si voglio-no garantire.

Il neoliberismo è un sistema molto efficacenello sfruttare la libertà, intelligente perfi-no: viene sfruttato tutto ciò che rientranelle pratiche e nelle forme espressive del-la libertà, come l’emozione, il gioco e lacomunicazione. Sfruttare qualcuno controla sua volontà non è efficace: nel caso del-lo sfruttamento da parte di altri il rendi-mento è assai basso. Soltanto lo sfrutta-mento della libertà raggiunge il massimorendimento.41

Il neoliberismo trasforma il lavoratore in im-prenditore di se stesso, mentre la delocaliz-zazione sfrutta la classe operaia in altri Pae-si, dove non esistono né diritti, né sindacatidei lavoratori. In questo sistema neoliberi-sta, dove il lavoratore diventa l’impresariodi se stesso, il fallimento non è percepito co-me un problema di sistema, ma come unaresponsabilità personale, una inadeguatezzaal ruolo. Han afferma che «il capitale svilup-pa bisogni propri, che per errore percepiamocome nostri. Esso rappresenta la nuova tra-scendenza, una nuova forma di soggettiva-zione. Siamo nuovamente espulsi dal pianoimmanente della vita, nel quale la vita, in-vece di sottomettersi a uno scopo altro, si ri-ferisce a se stessa».42

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37 PIETRO BARCELLONA, Diario politico. Il vento di destra e le ragioni della sinistra, Datanews, Roma, 1994, 88.38 BARCELLONA, Diario politico, 88.39 BARCELLONA, Diario politico, 89.40 Con il concetto foucaultiano di biopolitica si intende il passaggio, avvenuto a partire dal XVII secolo, dal poteredi morte, esercitato dalla mano di un sovrano più simile a un dio che ad un uomo, ad un potere di disciplinamentodella vita, e quindi ad un potere che non ha più la funzione di uccidere, ma di scrupolosamente amministrarecorpi e pianificare la loro esistenza. Il potere disciplinare si esprime attraverso norme, regole, divieti; si basa piùsulla negazione che sulla concessione. La massa viene così disciplinata attraverso le istituzioni: famiglia, scuola,ospedali, carceri, servizio militare, ecc. Cf. HAN, Psicopolitica, 28-30.41 HAN, Psicopolitica, 11.42 HAN, Psicopolitica, 16.

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C’è una correlazione tra i servizi SEO (SearchEngine Optimizazion) e l’imperativo neolibe-rale dell’auto-ottimizzazione? Sì, l’efficienzae le prestazioni delle macchine fanno da vo-lano interno alla necessità di competitività eperformance richieste all’uomo oggi. In que-sta corsa non c’è riflessione su cosa debbaessere una vita buona; tutto invece viene im-postato perché sia una vita efficiente, perfor-mante, misurabile e mercificabile. Il controllodegli immaginari avviene attraverso i molte-plici sistemi e dispositivi di comunicazioneche vengono usati dal marketing per presen-tare un mondo di prodotti che ti rendono lavita facile, semplice, immediata, vincente,esaltante, esuberante, veloce. In questo mon-do non esiste negatività, non ci sono perden-ti, non ci sono difetti, non ci sono conse-guenze, tutto è avvolto da una luminosa esorprendente efficacia; di conseguenza,quando invece qualcuno si trova a doverprendere coscienza dei propri limiti, del fattoche la perfezione non esiste, anziché metterein discussione un sistema che induce l’illu-sione e mente sulla vita, il soggetto tende acolpevolizzarsi in quanto propende a pensareche il problema sia in lui/lei. Quindi, se unapersona rimane disoccupata è perché non hainiziativa, non ha qualità, non è all’altezzadei tempi, non è competitiva. Se è sovrappe-so, è colpevolizzata perché non corrispondeallo standard dei corpi imposti dalla moda edalla pubblicità. Se è povera, è perché nonha saputo sfruttare le occasioni della vita,non ha avuto coraggio e intraprendenza, nonha saputo innovarsi, ecc.Questa forma di colonizzazione della menteinizia prestissimo, perché sin dalla teneraetà siamo continuamente esposti a qualcunoo a qualcosa che ci dice cosa dobbiamo ave-

re, cosa dobbiamo fare per essere felici. Pa-radossalmente i genitori, che spesso e vo-lentieri rinunciano a proporre i loro valoriper lasciare i figli liberi di cercare i propri,non si rendono nemmeno conto che così fa-cendo lasciano il campo libero a una interalegione di istituzioni con interessi puramenteeconomici che “farciscono” la testa di “im-perativi” consumistici, il cui unico scopo ètrasformarci in fedeli consumatori.La rete diventa allora il ricettacolo di monaditra loro connesse, la cui vita è ridotta a unflusso di dati senza tempo, in quanto l’unicotempo permesso è quello presente, quellodella connessione. Ed è il luogo di un dupli-ce sfruttamento, perché la rete, da una par-te, riduce la vita a consumo, non importa diquale tipologia; dall’altra, sfrutta l’utenzache, produttrice essa stessa di informazione,diventa in rete merce da vendere.

5. UNA SOCIETÀ BASATA SU UNAVISIONE DEL MONDO FALSANON PUÒ CHE GENERAREFAKE-NEWS

Nella nostra società di condannati a una fe-licità artificiale, ciò che dovrebbe preoccupare,ancora prima delle fake news, è la falsità delprogetto di vita contemporaneo, perché pro-mette una felicità effimera: ci sta svuotandodal di dentro, ci ripiega su noi stessi, ci rendeincapaci di guardare all’altro come fonte dellavera felicità, ci impedisce persino di pensareun mondo diverso da quello attuale, fatto diun ossessivo desiderio di consumo e di accu-mulo di ricchezza. È un progetto che negli ul-timi decenni ha consegnato la ricchezza delmondo in mano a pochissime persone,43

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

43 Cf. RAPPORTO OXFAM 2017, Un’economia per il 99%. È giunto il momento di costruire un’economia umanaa vantaggio di tutti, non solo di pochi privilegiati, in https:// https://goo.gl/b4BF4v, (04.02.2018).

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mentre ha aumentato il numero di disadat-tati, di poveri e di persone che sono costrettea lasciare la propria terra. Richiamando le pa-role di Papa Francesco bisogna dire chiara-mente:«No a un’economia dell’esclusione e dellainequità. Questa economia uccide. Non èpossibile che non faccia notizia il fatto chemuoia assiderato un anziano ridotto a vive-re per strada, mentre lo sia il ribasso di duepunti in borsa. Questo è esclusione».44

I mezzi di comunicazione, che dovrebberoaiutarci a comprendere cosa succede nelmondo, troppo spesso sono strumenti con-dizionati o controllati direttamente da poteriforti che li usano principalmente per loro in-teressi. Da un anno a questa parte si sta par-lando molto del fenomeno delle fake-news atal punto che anche il tema della GiornataMondiale delle Comunicazioni ha accoltol’istanza, eppure, senza voler sottovalutareil problema, a mio parere è ben poca cosa ri-spetto alle guerre condotte dai giganti del-l’economia, dagli stessi stati nel campo dellamanipolazione dell’informazione.In ogni caso è importante cogliere la diffe-renza che c’è tra forme di malainformazionenon-intenzionale o generata dall’ignoranza,dalla superficialità, dalla confusione e daipregiudizi, e i processi che promuovono di-sinformazione intenzionale e pianificata.Oggi la disinformazione è uno strumento dipotere in vari campi: economia, affari e fi-nanza, politica interna e internazionale,guerra reale e cyberguerra. Luigi Sergio Ger-

mani definisce la disinformazione come «lafalsificazione intenzionale di dati e notizie alfine di manipolare le percezioni di un bersa-glio, influenzarne le decisioni, e indurlo adagire nel modo desiderato dal disinformato-re. Talvolta viene anche utilizzata per inde-bolire le capacità cognitive e decisionali deltarget diffondendo notizie che generano inesso confusione e incertezza».45

François Géré, presidente dell’Institut Fran-çais d’Analyse Stratégique di Parigi, eviden-zia come la disinformazione sia diventatauna professione e identifica i sette punti cheun piano di azione di questo tipo deve se-guire:

1) la definizione di uno o più obiettivi del-la campagna disinformativa;

2) l’identificazione di bersagli primari esecondari (i decisori politici o l’opinio-ne pubblica dell’avversario);

3) la definizione delle diverse componentidella campagna;

4) la predisposizione dei vari messaggi dadiffondere;

5) la scelta dei vettori più adatti a diffon-dere i messaggi (vettori umani, comegiornalisti, o vettori tecnologici comela televisione, o Facebook e Twitter) ela determinazione del metodo di diffu-sione;

6) la programmazione dei tempi della du-rata della campagna: quando deve ini-ziare e quando deve concludersi;

7) l’assessment, in corso d’opera, dei ri-sultati della campagna al fine di intro-durre eventuali correttivi e modifichedell’operazione.46

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

44 FRANCESCO, Esortazione apostolica, Evangelii Gaudium, (24.11.2013), in https://goo.gl/haEuLM, (04.02.2018),n. 53.45 LUIGI SERGIO GERMANI, La minaccia della disinformazione: panoramica in- troduttiva, in Luigi Sergio GERMANI(Ed.), Disinformazione e manipolazione delle percezioni: una minaccia al sistema paese, Eurolink UniversityPress, Roma, 2017, 9-10.46 FRANçOIS GéRé, L’avvenire radioso della disinformazione, in LUIGI SERGIO GERMANI (Ed.), Disinformazione e ma-nipolazione delle percezioni: una minaccia al sistema paese, Eurolink Univerisity Press, Roma, 2017, 41.

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Non ci vuole molto a riconoscere che unbuon piano di disinformazione non differiscemolto da un buon piano di informazione. Bi-sogna allora ragionare sui poteri e sugli in-teressi di chi fa informazione, di chi fa di-sinformazione e di coloro che fanno tuttedue le cose. Non ci possiamo più acconten-tare di esaltare l’oggettività dell’informazio-ne e il lavoro fatto bene del giornalista chepropizia una conoscenza veridica dei fatti,proprio perché il problema oggi è molto piùcomplesso. La potenza tecnologica disponi-bile per la manipolazione dell’informazionenon ha precedenti e il processo di digitaliz-zazione – come si è visto – riconduce tuttoa una serie di dati: tutto è quantificabile.Luciano Floridi, per indicare l’ambiente incui viviamo, usa la parola infosfera, un ter-mine che a un primo (minimo) livello si puòintendere come «l’intero ambiente informa-zionale costituito da tutti gli enti informazio-nali, le loro proprietà, interazioni, processi ereciproche relazioni»,47 ma che a un livellodi analisi più approfondita diventa «sinoni-mo di realtà, laddove interpretiamo quest’ul-tima in termini informazionali. In tal casol’idea è che ciò che è reale è informazionalee ciò che è informazionale è reale».48

Se accogliamo questa interpretazione di re-altà come informazione e viceversa, capia-mo l’enorme potere che stanno assumendoquelle aziende che di fatto raccolgono e con-trollano i dati: di fatto, manipolando larealtà, stanno modificando la vita di miliardidi persone. Non parliamo di un determini-

smo tecnologico che si accontenta di gover-nare delle macchine; esso ha il potere di mo-dificare le percezioni, di controllare gli im-maginari e di conoscere in modo sempre piùprofondo i profili dei vari pubblici o target,intervenendo così con azioni mirate.Il ruolo svolto da agenzie come la Cambrid-ge Analytica49 nella campagna per l’elezionedel presidente americano Trump e, in Inghil-terra, per il referendum sulla Brexit, ha fattocapire come un’azienda business – a partiredal lavoro sui big-data – possa mettersi aservizio di partiti politici per trarne interessinon solo economici. Anche se la vittoria diTrump negli USA e l’esito della Brexit in In-ghilterra non si possono attribuire in mododeterministico alle rispettive campagne, è lametodologia messa a punto da questa azien-da lavora sui risultati di tre strategie: si av-vale del modello comportamentale OCE-AN;50 conduce un’analisi dei big-data; epropone inserzioni pubblicitarie mirate. Inpratica, incrociando i dati della rete di Face-book e Twitter con i profili psicometrici degliutenti della rete e delle loro attività, sonostate fatte delle campagne di propagandapolitica estremamente mirate. Hannes Gras-segger e Mikael Krogerus, i due ricercatoriche hanno condotto l’indagine sulla Cam-bridge Analytica, scrivono:

Di colpo le impressionanti incoerenze diTrump, la sua criticata volubilità e l’insie-me dei suoi messaggi contraddittori si so-no rivelati un asso nella manica: Trumpaveva un messaggio diverso per ogni elet-

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

47 LUCIANO FLORIDI, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta cambiando il mondo, Raffaello Cortina, Milano,2017, 44.48 FLORIDI, La quarta rivoluzione, 45.49 La vicenda della Cambridge Analytica è raccontata nell’interessante inchiesta condotta da HANNES GRASSEGGER

- MIKAEL KROGERUS, La politica ai tempi di Facebo- ok, in «Internazionale», 1186, 06.01.2017, 40-47.50 OCEAN è l’acronimo di Openness (apertura mentale), Conscientiousness (coscienziosità), Extraversion (estro-versione), Agreeableness (amicalità), Neuroticism (stabilità emotiva): sono i cinque fattori con cui è possibilefare una valutazione relativamente precisa della persona presa in esame.

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tore. Che si sia comportato come un algo-ritmo perfettamente opportunistico, se-guendo puramente e semplicemente lereazioni del suo pubblico, è qualcosa chela matematica Cathy O’Neil aveva già no-tato nell’agosto del 2016. “Praticamenteogni messaggio lanciato da Trump si ba-sava su dati digitali”.51

Se in passato valeva la sentenza scientiapotentia est52 oggi decisamente il potere stanei big-data e nel loro controllo, in partico-lare negli strumenti che sanno trarne van-taggi.Cathy O’Neil53 si era innamorata non solodella matematica, ma anche del senso di og-gettività e di sicurezza che procurava. Dopoun periodo di carriera universitaria volevaprovare l’ebrezza di applicare nel mondoreale dell’hedge found quanto conosceva nelcampo della matematica. Come ella stessaricorda, era “elettrizzata e stupita” dal fattodi lavorare su scala globale, in quell’incre-dibile rimescolamento di miliardi di dollarida un conto all’altro. Poi venne l’autunnodel 2008 e si rese conto che erano stati pro-prio i matematici con le loro formule magi-che a forgiare gli strumenti finanziari che,sposati alla tecnologia digitale, avevanocreato la crisi immobiliare che aveva colpitonon solo gli Stati Uniti, ma tutto il mondo:il fallimento di grandi istituti finanziari, laperdita della casa da parte di milioni di per-

sone, l’innalzamento ovunque del tasso didisoccupazione… erano solo le conseguenzepiù immediate. Tutto era accaduto perchél’economia dei big-data, che promettevaenormi guadagni, era ritenuta equa e obiet-tiva, faceva risparmiare tempo ed eliminavapregiudizi.54

Quei modelli matematici erano stati elevatia divinità invisibili e infallibili, o perlomenoapparivano tali. E invece in breve tempo siè dovuto constatare non solo che non svi-luppavano una società più giusta, ma pena-lizzavano direttamente i poveri, facendo di-ventare i ricchi sempre più ricchi. È la ragio-ne che ha motivato Cathy O’Neil a sceglierel’espressione “armi di distruzione matema-tica” (ADM) come nome per questa nuovagenerazione di strumenti e a documentarenel suo libro una lunga serie di casi impres-sionanti di uso delle ADM nella nostra so-cietà. Dalla sua ricca argomentazione emer-gono dei punti importanti. Non si tratta didemonizzare la matematica come tale, ma ècerto che l’uso che se ne fa non è innocente.Perché a monte rimangono irrisolti enormiproblemi etici: ad agire sono persone avidee prive di scrupoli, che non tengono contodegli effetti collaterali delle loro scelte, tantomeno delle conseguenze non immediata-mente rilevabili. Al confronto sono davveropochi i modelli matematici pensati per esseremessi a servizio del bene comune, mentre

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51 GRASSEGGER - KROGERUS, La politica ai tempi di Facebook, 46.52 Solitamente la frase è attribuita a Francis Bacon (1561-1626: per gli italiani, Bacone) che affermava ipsascientia potestas est; la versione corrente è invece da attribuire a Thomas Hobbes (1588-1679). Va comunquenotato che nel contesto originale in cui l’espressione è inserita non assume lo stesso vigore che ha nella suaforma isolata.53 Cathy O’Neil ha conseguito il dottorato in matematica ad Harvard, un post-dottorato al dipartimento di ma-tematica del MIT; dopo un periodo di insegnamento al Bernard College di New York, ha lavorato come analistaquantitativa per l’hedge found D.E. Shaw e poi come Data Scientist per diverse aziende nel settore dell’ecommerce.Delusa dall’esperienza, si è unita al movimento Occupay Wall Street ed è impegnata nell’esaminare il rapportotra tecnologie, politica e ingiustizia sociale.54 Cf. CATHY O’NEIL, Armi di distruzione matematica. Come i big-data aumentano la disuguaglianza e minac-ciano la democrazia, Italia, Firenze, 2017, 8-9.

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proprio questa dovrebbe essere la strada dapercorrere. La loro capacità predittiva, conun corretto uso dei big-data e dei modellimatematici di analisi, potrebbe migliorareenormemente la vita nelle nostre città e, glo-balmente, sull’intera terra. Ma questo nonavverrà, se non si cambiano i valori e gliimmaginari che in questo momento guidanola nostra economia.55

6. DAVVERO LA VERITÀ CI FARÀLIBERI?

Quanto scritto fin qui sembra lasciare pochispazi alla speranza. Prevale la tentazione dipensare a un futuro distopico, dove ungrande fratello invisibile controlla ogni per-sona, rendendola funzionale all’interesse diuna piccola “élite” che si arroga il diritto didominare il mondo.È evidente che per un cristiano tutto questocostituisce una sfida. Non può mai, infatti,considerarsi estraneo all’ambiente in cui vi-ve, chiamato com’è a dare ragione della suafede e della sua speranza, grazie alla certez-za che, nonostante i segni di morte, il Beneha già vinto. L’impegno cristiano è proprioquello di tenere viva la coscienza sua e quel-la della società.Per quanto riguarda la verità, bisogna subitodire che nell’ambito della comunicazioneumana essa non può mai essere disponibilenella sua pienezza, perché è soggetta alla lo-gica del codice, che è sempre riduttivo, am-bivalente, da interpretare, condizionato dallestorie di vita di chi lo usa. Barcellona lospiega bene quando dice che «il pensieronon è “il titolare della verità”, perché la ve-

rità è nella situazione; il pensiero è lo stru-mento per comprendere la situazione. La ra-gione ha una funzione, ma non è il principiodella “verità”».56

Sono sempre stato colpito dal dialogo tra Ge-sù e Pilato. Quando Pilato gli chiede: «Dun-que sei tu re?», Gesù risponde: «Tu dici cheio sono re. Io sono nato per questo e perquesto sono venuto al mondo: per renderetestimonianza alla verità. Chiunque è dallaverità, ascolta la mia voce». A questo puntoPilato interviene con la domanda: «Che cosaè la verità?» e Gesù non risponde.La verità presuppone l’incontro con l’Altro,mentre ciò non succede tra Gesù e Pilato:Pilato rimane nel suo mondo, nella sua lo-gica, pur avendo davanti a sé la veritàdell’Altro; non riesce a incontrarla perché lasi può incontrare solo in una relazione diamore. Incontrare l’altro nella verità richiedeil disarmo dei nostri pregiudizi e delle nostreprecomprensioni nei confronti di chiunqueci stia davanti. L’Altro non può essere ridot-to a un numero, un codice e nemmeno auna traccia digitale o a un profilo, ma deveessere accolto nella sua complessità, inclusoquanto di incerto e di inquietante porta consé. La verità non è necessariamente tran-quillizzante.La crisi della verità è anche crisi delle mo-dalità di comunicazione. Una società, che sitrincera dietro mediazioni tecnologiche, chetende a volere tutto sotto controllo, in realtàsta operando una semplificazione sull’espe-rienza della vita. Pietro Barcellona sostieneche «il legame tra verità e persona, che ri-chiama il grande mistero del Verbo che si facarne, mostra come i saperi della psiche nonsiano separabili dalla concretezza delle per-

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

55 Cf. O’NEIL, Armi di distruzione matematica, 310-314.56 PIETRO BARCELLONA, L’individuo e la comunità, Lavoro, Roma, 2000, 122.

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sone».57 C’è stato un tempo in cui la parolanon dipendeva da un potere istituito, ma eralegata alla forza carismatica di chi la pro-nunciava, si pensi ai profeti, alle sibille, aglisciamani; oggi, questa forza della parola chenasce dallo “spirito” incarnato, è stata sop-piantata dalla parola degli esperti, dal con-trollo tecnologico degli algoritmi; di conse-guenza «il sapere è diventato un ingredientedel potere che tende a produrre ordine attra-verso la coercizione materiale, non più ricer-ca della verità come incarnazione delle pa-role nella concretezza dell’esperienza».58

Un criterio di verità ce lo suggerisce il Van-gelo, sempre molto concreto, anche se nonè facile da vivere nella quotidianità. Si trattadel capitolo Venticinque di Matteo, quandodescrive il giudizio finale. Si legge:

Allora il Re dirà a quelli che stanno allasua destra: «Venite, benedetti dal Padremio, prendete possesso del regno prepa-rato per voi sin dall’origine del mondo.Poiché: ebbi fame e mi deste da mangiare,ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrinoe mi ospitaste, nudo e mi copriste, infermoe mi visitaste, ero in carcere e veniste atrovarmi». Allora i giusti diranno: «Signo-re, quando ti vedemmo affamato e ti dem-mo da mangiare, assetato e ti demmo dabere? Quando ti vedemmo pellegrino e tiospitammo, nudo e ti coprimmo? Quandoti vedemmo infermo o in carcere e venim-mo a trovarti?». E il Re risponderà loro:«In verità vi dico: tutto quello che avetefatto a uno dei più piccoli di questi mieifratelli, l’avete fatto a me».59

La verità implica quindi un incontro conqualcun altro, un incontro che genera il be-ne nella persona che lo riceve. Nella logica

del dono gratuito c’è il concetto di libertà everità. Una libertà che non è fine a se stes-sa, ma è responsabilità dell’altro, è cura eattenzione, è custodia della vita.Ci potremmo domandare a questo punto sei big-data, con tutti gli strumenti che li in-terpretano, possano generare verità e libertà.La risposta è No, perché sono dati, pezzi direaltà, frammenti di tracce di vita, importan-ti per gestire molte cose del nostro vivere in-sieme, ma incapaci di dire la verità sulle per-sone e di liberarle dalle loro schiavitù. Sefossero finalizzati a risolvere problemi a fa-vore del bene comune, per una giustizia piùequa, per una distribuzione delle risorse checonsenta a tutti una vita dignitosa, per mi-gliorare la qualità dell’ambiente e di quantocondiziona negativamente la vita dell’uomosulla terra, potrebbero davvero fare la diffe-renza. Ma c’è la volontà politica di andarein questa direzione?La risposta negativa a questo interrogativonon muta affatto il compito dei cristiani,chiamati come sono ad agire – anche a li-vello politico – affinché si cambi direzione esi passi da una globalizzazione finalizzataprincipalmente al profitto, a una globalizza-zione che vuole salvaguardare la casa co-mune e il benessere delle persone che la abi-tano. L’informazione è ammalata, perchél’uomo è ammalato, perché la società uma-na sta vivendo una crisi di identità. La ten-tazione di cercare capri espiatori è compren-sibile e solitamente la tecnologia è uno diquelli più facili da identificare. Dobbiamo ri-tornare a guardaci dentro, perché se è veroche l’uomo è ammalato, l’unica strada perguarirlo è riscoprire la sua umanità.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

57 PIETRO BARCELLONA, Elogio del discorso inutile. La parola gratuita, Dedalo, Bari, 2010, 19.58 BARCELLONA, Elogio del discorso inutile, 19.59 Mt 25, ll giudizio finale, in La Bibbia. Nuovissima Versione, Torino, San Paolo, 2013, 25, 34-40.

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Assisi9-13 luglio 2018

CAPITOLO 3

XXIV CORSOPER ANIMATORI BIBLICI

INIZIARE I RAGAZZIALLA BIBBIA

LA STORIA DI GIUSEPPE(GEN 37-50)

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Come narra(re) la BibbiaLaura Invernizzi, Gruppo nazionale SAB

1. COME NARRA LA BIBBIA?

I tre tratti caratteristici della narrazione bi-blica sono: il modello della narrazione onni-sciente, la presenza del personaggio divinoe la teleologia del racconto.

1.1. Un narratore onnisciente in terza per-sonaIl narratore è un’istanza letteraria, non unsoggetto in carne ed ossa. Appartiene al te-sto, ma non necessariamente al mondo delracconto.

Le caratteristiche del narratore determinanoanche i caratteri della narrazione: il narra-

tore biblico è onnisciente, affidabile, (gene-ralmente) anonimo

1.2. Il personaggio divinoÈ un personaggio e nel medesimo tempo tra-scende il mondo dei personaggi per le sue ca-ratteristiche; è sempre oltre le rappresentazio-ni che di lui si possono dare. Viene narratoin modo da proteggere il suo mistero e la li-bertà dell’uomo in un racconto che sprigionail proprio significato solo con la (libera) col-laborazione ermeneutica di un lettore reale.

1.3. Il fine del racconto e la predilezionedello showingPer l’arte narrativa biblica l’acquisizione dellaconoscenza è così importante, che soggiace

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ad ogni azione. Questo determina la predile-zione per la modalità scenica (showing) e peril dialogo rispetto alla modalità narrativa (tel-ling). Spesso il processo di acquisizione dellaconoscenza o il passaggio ad una conoscenzamigliore si trovano riflessi nella coscienza diun personaggio, che «alza gli occhi», «vede»o «vedrà», «sente», «sa» o «non sa», «capi-sce». Affiancato al personaggio, di cui seguele azioni e la ricerca, il lettore viene così coin-volto nella scoperta progressiva e nella rispo-sta interpretativa.

2. COME NARRARE LA BIBBIA?L’ESPERIENZA DE «I RAGAZZINEL MONDO DELLA BIBBIA»

È una delle iniziative dell’Apostolato biblicodiocesano e, in quanto tale, è caratterizzatadalla preoccupazione di accompagnare al-l’incontro diretto con il testo biblico (non so-lo di prenderne qualche spunto), rendendolo«accessibile» e appassionante per bambini eragazzi.È proposta da un’équipe di adulti e giovani,diversi per età, competenze (un membro èbiblista), ambiti di lavoro, condizione voca-zionale, storia personale.Nasce dall’ascolto comunitario della Parola diDio che sarà raccontata ai ragazzi. Solo in unsecondo momento l’équipe si interroga su co-me rendere possibile l’incontro dei ragazzicon «questa» Parola, come raccontare.

2.1. Il metodoL’esperienza si struttura su due momenticardini qualificanti: la Sala della Terra e lasala della Parola. Questi sono poi accompa-gnati dall’esperienza della Preghiera (perso-nale e comunitaria), dalla ricaduta nei La-boratori, dal complessivo clima comunitariodella proposta.

2.1.1. La Sala della TerraNella Sala della Terra – esclusivamente adi-bita all’ambientazione e al racconto fatto da-gli educatori – si entra in silenzio col sotto-fondo di una musica ben precisa e dopo es-sere accolti ed introdotti da chi condurrà ilmomento (“biblista”).Varcando la soglia della Sala della Terra iragazzi varcano il “cerchio verde” (cfr.schema precedente), cioè entrano nei con-fini dell’opera narrativa. Come lettori reali,cercano di diventare simili al lettore impli-cito cioè a quel lettore che il testo richiede.Per questo motivo sono accompagnatidal/la biblista (chi conduce la sala) che liaiuta ad equipaggiarsi di tutto ciò che ser-ve: conoscenze che il testo non esplicitaperché supposte note, ambientazione, an-tefatti, collegamenti con altri passi bibliciallusi o citati, ecc.La figura del biblista non appartiene al mon-do del racconto, né alla narrazione, ma almondo del lettore reale. È però un lettoreche ha letto tante volte e quindi assomiglia(si spera) al lettore implicito e mette i ragaz-zi a parte di questa esperienza.Nella Sala della Terra gli educatori racconta-no il testo. Il racconto è preparato nei mesiprecedenti (nulla è improvvisato, tranne gliimprevisti!) cercando di tenere presente i li-velli differenti del racconto biblico, relativi alcontenuto, al modo di narrare e all’atto dilettura/interpretazione (corrispondente al li-vello dell’opera narrativa).

a) Ad un primo livello sta la «cosa narrata»(ciò che cade nei confini del mondo delracconto, il cerchio rosso): assumendoradicalmente la preferenza del raccontobiblico per la modalità scenica (showing)gli educatori mettono davanti agli occhidei ragazzi una scena in cui i personaggisi muovono e interagiscono.

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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Il personaggio divino o il personaggio diGesù non sono mai messi in scena. Nelmondo odierno della spettacolarizazionesi è pensato, infatti, che il miglior modoper salvaguardarne il mistero fosse quellodi lasciare che ne trapelassero i bagliorisolo attraverso il riflesso della coscienzadei personaggi. Questo comporta unacerta attenzione nella costruzione dellascena, sempre filtrata dall’esperienzasoggettiva di personaggi che, dialogando,comunicano e porta il vantaggio di pre-sentare un’esperienza di Dio e di Gesùmolto simile a quella che generalmentegli uomini possono avere.

b) Un secondo livello riguarda il narratore.Tra il narratore e i personaggi solitamentenon ci sono interazioni, il narratore non“intervista” i personaggi… Il narratore,che ha conoscenza completa degli eventie del significato di quegli eventi, in uncerto senso rappresenta la comunità cre-dente che ha raccolto la testimonianza difede e ora la racconta; è metonimia dellatradizione.Per scelta deliberata e conforme al rac-conto biblico, il narratore è onnisciente eracconta in terza persona, non è un per-sonaggio, anche se, come i personaggi,ha un suo modo di vestire che lo staccadal mondo dei ragazzi.

c) Il terzo livello riguarda la figura del/della«biblista» nel dialogo coi ragazzi. Questoè il livello dell’atto di lettura/interpreta-zione. Il/la biblista è rigorosamente ester-no/a alla cosa narrata e al narratore, manon estraneo/a, e partecipa, accanto airagazzi, all’interpretazione, aiutandolicon le informazioni che possono servirea varcare i confini dell’opera narrativa ea diventare sempre più simili al lettore

modello che l’opera stessa richiede. Nonfornisce, però, una parola ultima «mora-listica», lasciando che la Parola penetrinei cuori e faccia il suo corso. Il/la biblistaappartiene al mondo del lettore, con i ra-gazzi dialoga; li accoglie, li introduce, liaccompagna nel mondo della Bibbia; haa cuore che arrivino all’incontro con laParola e in relazione (salvifica) con Gesù;facilita la loro presa di posizione davantialle cose narrate.

Sono utili alcuni accorgimenti generali:• caratterizzare in qualche modo il luogo in

cui si svolge la narrazione (una luce par-ticolare, tappeti, cuscini, un angolo doveporre alcuni oggetti legati alla storia, foto,mappe, ecc., da cui si può partire per rac-contare)

• caratterizzare il momento in cui si entranell’aula, in modo che si capisca che sipassa in un’altra storia: può essere utile ri-chiedere il silenzio e scegliere una musicadi sottofondo (sempre uguale)

• se si prevede di utilizzare materiale audio-visivo e multimediale (filmati, presentazio-ni ppt, ecc.) preparare tutto l’occorrente.Per quanto riguarda gli spezzoni di film,occorre stare attenti alle aggiunte roman-zate, che non sempre è opportuno inserire.Per introdurre a usi, costumi, geografia,storia ecc., sono utili i brevi capitoli deiquattro DVD– AAVV, Il Mondo della Bibbia. Dall’Anti-co al Nuovo Testamento. Viaggio neiterritori dove si sono svolti i raccontibiblici: alla scoperta di usi, costumi,città e religioni (Cof. 4 Dvd), Elledici2010.

Mappe possono essere trovate su:• E. GALBIATI – F. SERAFINI, Atlante storicodella Bibbia, Jaka Book, Milano 2015.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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• Bible Atlas on Line by Access Foundation:http://web.ccbce.com/multimedia/Atlas/

2.1.2. La Sala della ParolaNella Sala della Parola si focalizza lo sguar-do su una pericope della Bibbia, di cui si èricostruito il contesto nella Sala della Terra.I ragazzi hanno in mano il testo biblico, cheviene letto con attenzione identificando glielementi portanti del racconto e segnandolicon la penna a quattro colori, con l’aiutodel/della biblista che coinvolge i ragazzistessi nel lavoro di indagine; al termine sioffrono loro alcune domande per sostenereil momento della ripresa personale (30 mi-nuti). Nella sostanza, si tratta della “Lectiodivina” in forma semplificata con il metododella lettura del Vangelo con la biro a quat-tro colori, che viene utilizzato anche in altreiniziative per i ragazzi nella Diocesi di Mi-lano. Lo scopo è quello di comprendere il te-sto nella sua completezza cercando di co-glierne i nessi con la vita quotidiana, offren-do al tempo stesso ai ragazzi gli strumentie il metodo per poter continuare questo eser-cizio a casa.

APPENDICE: IL METODO DELLABIRO A QUATTRO COLORI

Si tratta di un metodo che permette ai ra-gazzi di avvicinarsi alla «Lectio divina», cioèalla lettura personale e orante del testo bi-blico. Lo scopo è quello di aiutare i ragazzia comprendere il testo nella sua completezza

cercando di coglierne i nessi con la propriavita e, nello stesso tempo, di fornire loro glistrumenti e il metodo per poter continuarequesto esercizio a casa.Quando si usa la biro a quattro colori ingruppo con la guida di un educatore, vannocomunque distinti due momenti: il primo ècomunitario, il secondo è personale e va vis-suto nel silenzio, magari anche cambiandoposto.Nel momento comunitario è prevista unacerta interazione, perché sono i ragazzi stes-si a «trovare» e dire ad alta voce gli elementiche si vanno a sottolineare insieme con labiro (si veda dopo l’uso dei colori). Quasisempre la fantasia e l’acume dei ragazzi su-pera i dati pensati antecedentemente daglieducatori. Il compito dell’educatore prevedeanche, proprio a partire da ciò che è messoin evidenza, di suscitare il ricordo di paginesimili all’interno della Bibbia, e di formularequalche conclusione di tipo contenutistico.Questo primo momento coinvolge il grupponel suo insieme, fornendo i dati comunidell’interpretazione generale del testo.Per il momento personale è utile averedegli spazi (cappellina, altri luoghi) in cui iragazzi possano (affiancati dall’educatoreche fa personalmente la stessa cosa) acco-starsi al testo in clima di preghiera, lascian-do che la posizione (anche quella del corpo)sia scelta dai ragazzi. Il tempo di silenziopersonale duri almeno mezz’ora. All’iniziosembra impossibile (e gli educatori dovran-no sostenere i ragazzi nell’impegno), manon è impossibile. È sperimentato.

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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Uso dei colori

Il NERO è il colore della cronaca, dei fatti, delle notizie. Con il nero si sottolineano (riquadrano,cerchiano) i personaggi, i luoghi e, se ci sono, le indicazioni di tempo e i verbi: queste in-dicazioni sono una vera e propria miniera per capire il significato del brano. Aiutando i ragazzia sottolineare, l’educatore può dare qualche spiegazione, suscitare la memoria di altri racconti,proporre qualche riflessione a livello di contenuto.

I rimanenti tre colori sono lasciati alla libera fantasia e alla serietà personale di ogni ragazzo.Verranno usati prevalentemente durante il silenzio.

L’AzzURRO è il colore di Dio (si chiama anche “celeste” perché ricorda il cielo), il colore dellabuona notizia del Vangelo. Con l’azzurro si sottolinea la frase che più è piaciuta, quella che hacolpito particolarmente: può essere un’azione di Dio o una parola, ma potrebbe essere ancheun personaggio o un luogo che ha colpito particolarmente. La scelta di che cosa sottolineare èpersonale, ma durante il lavoro insieme l’educatore può lasciare il tempo perché ciascuno facciala sua scelta. Talora è bene anche che dica quale avrebbe scelto lui e perché.

Il VERDE: è il colore della vita. Per aiutare i ragazzi a passare dal racconto biblico alla propriavita, al termine del momento insieme verranno consegnate loro alcune domande (che vannopreparate con cura prima), cui risponderanno sul proprio quaderno nel momento personale disilenzio con il colore verde. Con questo colore si può (non è obbligatorio) anche scrivere unproposito che nasce a partire dalla lettura del brano.

Il ROSSO è il colore dell’amore, dell’amicizia. Nel silenzio ciascun ragazzo è invitato a doman-darsi: che cosa rispondo al Signore, dopo quanto ha detto con la sua Parola? La risposta aquesta domanda va scritta in rosso, ed è una preghiera.

Esempio su 1Sam 16,6-3

6Quando [Iesse e i suoi figli] furono entrati, egli [Samuele] vide Eliàb e disse: «Certo, davantial Signore sta il suo consacrato!». 7Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspettoné alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomovede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». 8Iesse chiamò Abinadàb e lo presentò a Samuele,ma questi disse: «Nemmeno costui il Signore ha scelto». 9Iesse fece passare Sammà e queglidisse: «Nemmeno costui il Signore ha scelto». 10Iesse fece passare davanti a Samuele i suoisette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi».11Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più pic-colo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché nonci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui».12Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse ilSignore: «Àlzati e ungilo: è lui!». 13Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoifratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi. Samuele si alzò e andòa Rama.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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Nero:Guidare la lettura sottolineando il testo coni ragazzi. Non si tratta di un esercizio digrammatica. L’educatore – che ha letto il te-sto e si è preparato – sa che cosa è in evi-denza e su che cosa portare l’attenzione deiragazzi. Facendo questo suggerisce anchealcuni spunti di riflessione e dà magari al-cune utili informazioni per comprendere me-glio.

– Chi sono i personaggi? sottoline-arli

– Che cosa fanno? riquadrare iverbi

– Che qualità cerca Samuele nel nuo-vo re? Ricordate la descrizione diSaul…

– Far notare la ricorrenza delle parole(verbi e sostantivi) che hanno ache fare con la vista

– Dove interviene il Signore? Con chi?Che cosa fa? Che cosa dice? A chi?

– Come è descritto Davide? Ricordatealtri personaggi di cui la Bibbia di-ce che sono «belli»?

– Nota: il cuore nell’antropologia bi-blica non è la sede dei sentimenti(che si provano «nelle viscere»),ma dell’intelligenza e del pensiero.Con il cuore si pensa e si ascolta;nel cuore si decide come agire.L’azione, poi, si mette in atto con lamano o col piede (organi dell’agiremorale).

Azzurro:Invitare i ragazzi a scegliere che cosa sotto-lineare in azzurro (e poi, eventualmente,l’educatore indichi la propria scelta e per-ché).

Verde:affidare ai ragazzi due domande per il silen-zio, per esempio:– Quali sono le tre caratteristiche che guardo

e giudico negli altri? Perché? Che cosa si-gnificano per me?

– Quando gli altri mi guardano, che cosa ve-dono di me? Mi fa piacere o mi dà fasti-dio? Perché?

Rosso:affidare ai ragazzi una domanda che li in-troduca alla preghiera, per esempio:Il Signore guarda al cuore (pensieri, desideri,decisioni): che cosa vede di me? Come misento sotto il suo sguardo? Che cosa gli ri-spondo? Ne parlo con lui come un amicoparla all’amico.

Esercizio: Gen 39,20-23

20Il padrone prese Giuseppe e lo mise nellaprigione, dove erano detenuti i carcerati delre. Così egli rimase là in prigione.21Ma il Signore fucon Giuseppe, gli accordòbenevolenza e gli fece trovare grazia agli oc-chi del comandante della prigione.22Così il comandante della prigione affidò aGiuseppe tutti i carcerati che erano nella pri-gione, e quanto c’era da fare là dentro lo fa-ceva lui. 23Il comandante della prigione nonsi prendeva più cura di nulla di quanto eraaffidato a Giuseppe, perché il Signore eracon lui e il Signore dava successo a tuttoquanto egli faceva.

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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Cronologia della storia di Giacobbe e di Giuseppe

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Giacobbe e la sua discendenza

Per riflettere

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

H. BURKHARDT – F. GRüNzWEIG – F. LAUBACH – G. MAIER (ed.), Grande enciclopedia illustrata della Bibbia, Piemme,Casale Monferrato 1997, II, 69.

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Gen 37,1-11. Traccia per una lettura rav-vicinata per raccontare…

Queste note sono state usate con gruppi di ado-lescenti, inviati a leggere il testo senza una spie-gazione previa, per poi condividere, in formadrammatizzata, la lettura e le ricerche fatteProvate a leggere Gen 2,4a; 5,1; 6,9; 10,1;11,10; 11,27; 25,12.19; 36,1; 37,2 notate qualcosa di particolare?Ricordate (o leggete) Gen 4,1-16; Gen25,19-34+Gen 27 (nota 27,41) + Gen29,31-30,22 notate qualcosa di particolare e/o qualchesomiglianza? notate qualcosa di strano in Gen 37,2? Che cosa conoscete dei personaggi nomi-nati? cercate i nomi dei figli di Giacobbe e cercadi capire quali possano essere i rapporti traloro (suggerimento: Gen 29,31-30,22 +Gen 34,1-30 + Gen 35,16-20 + Gen 35,22;Gen 35,23-26)

Immaginate la scena di cui parla Gen 37,1-11 stando rigorosamente al testo (e a quan-to avete letto prima). State attenti a quantoviene detto dal/i personaggio/i e a che cosanon viene detto

Per entrare nei personaggi

Giacobbe– in quali episodi narrati sei presente? (sug-

gerimento: sai del primo sogno?)– come sono le relazioni con i tuoi figli?

(suggerimento, rileggi Gen 34,30-31 eGen 35,22 a proposito di Simeone, Levi eRuben... che pensi di loro?)

– come va con Giuseppe? Come ti comporticon i suoi pettegolezzi? Perché? Perché glihai regalato una tunica variopinta conlunghe maniche?

– che cosa pensi dei rapporti tra i tuoi figli?(rileggi il v. 2 in tutte le sue parti)

– come hai interpretato il sogno (il secondo)che Giuseppe ha raccontato? Perché ti seiarrabbiato? (suggerimento: già ti senti«destituito» dai tuoi figli maggiori, ora cisi mette pure Giuseppe?). Che cosa ti harisposto Giuseppe?

– e gli altri figli che cosa hanno detto (o nondetto)? Perché?

– ti sei accorto che lo odiano? Perché nonsei intervenuto?

Giuseppe– di chi sei figlio? quanti anni hai? Quale

posto occupi nella scala dei figli di Giacob-be?

– Come ti trattano i tuoi fratelli? (leggi moltobene v. 2a) Perché stai con i figli delle ser-ve?

– che cosa pensi di loro? (leggi v. 2b)– che cosa pensi della tunica che ti ha rega-

lato tuo padre? Ti causa qualche proble-ma?

– che cosa desideri?– che cosa pensi che significhi il tuo primo

sogno? (Per rispondere provate a dimen-ticare tutto quello che vi hanno detto suGiuseppe... quale è la prima parola del rac-conto del sogno? Che cosa vi suggerisce?Confrontate l’inizio del v. 7 con il v. 9: se-condo voi è diversa la prospettiva o è lastessa?)

– che cosa cercavi di dire ai tuoi fratelli conil racconto del primo sogno? Come l’hannopresa? Ti hanno capito? Tu che cosa haifatto (suggerimento: risponde Giuseppe ono? Perché?)

– e col secondo sogno?– perché non rispondi a Giacobbe? Ti ha ca-

pito?

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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Simeone e Levi– di chi siete figli? E Giuseppe? Che cosa mai

vorrà sottolineare v. 2a?– che cosa pensate di vostro padre Giacob-

be? (piccolo suggerimento: rivedere Gen34,31... vi sentite in dovere di difendereDina... perché?). È in grado di conservareunita la famiglia?

– che cosa pensate di Giuseppe? (piccolosuggerimento: non dite mai il suo nome!).Attenzione dal v.2b: non potete con cer-tezza dire che siete a conoscenza di quan-to fa Giuseppe. Forse non sapete che luispettegola su di voi. Il v. 4, però, dice checosa vedete...

– che cosa pensate della tunica variopintacon lunghe maniche di Giuseppe? È adattaal lavoro?

– secondo voi perché Giuseppe vi ha raccon-tato il primo sogno? Come lo avete inter-pretato?

– che cosa pensa Giuseppe della vostra in-terpretazione? Ne avete parlato? Pensateche avreste dovuto?

Ruben– di chi sei figlio? E Giuseppe? Che cosa mai

vorrà sottolineare v. 2a?– in che ordine sei nella scala dei figli?– che cosa pensi di tuo padre Giacobbe?

(piccolo suggerimento: rivedere Gen35,22...); e dei tuoi fratelli? (piccolo sug-gerimento: sei il maggiore...)

– che cosa pensi di Giuseppe? (piccolo sug-gerimento, non dire mai il suo nome!). At-tenzione dal v.2b: non puoi con certezzadire che sei a conoscenza di quanto faGiuseppe. Forse non sai che spettegola sudi voi. Puoi sospettarlo... che cosa pensidella reazione di Giacobbe? (reagisce?). Ilv. 4 dice che cosa vedi...

– che cosa pensi della tunica variopinta conlunghe maniche di Giuseppe? È adatta allavoro?

– secondo te perché Giuseppe vi ha raccontatoil primo sogno? Come lo hai interpretato?

– che cosa pensa Giuseppe della tua inter-pretazione? Ne avete parlato? Pensi cheavreste dovuto?

Giuda– di chi sei figlio? E Giuseppe? Che cosa mai

vorrà sottolineare v. 2a?– in che posizione sei nella scala dei figli di

Giacobbe? Che cosa hanno fatto i tuoi fra-telli maggiori? (piccolo suggerimento: Gen34,30-31 e Gen 35,22)

– che cosa pensi di Giuseppe? (piccolo sug-gerimento: non dire mai il suo nome!). At-tenzione dal v.2b non puoi dire con cer-tezza che sei a conoscenza di quanto faGiuseppe. Forse non sai che spettegola. Ilv. 4, però, dice che cosa vedi...

– che cosa pensi della tunica variopinta conlunghe maniche di Giuseppe? È adatta allavoro?

– secondo te perché Giuseppe vi ha raccon-tato il primo sogno? Come lo avete inter-pretato?

– che cosa pensa Giuseppe della vostra in-terpretazione? Ne avete parlato? Pensateche avreste dovuto?

– che cosa pensi di vostro padre Giacobbe edella sua reazione? È in grado di conser-vare unita la famiglia?

Dan, Neftali, Gad e Aser– di chi siete figli?– che cosa mai vorrà sottolineare su di voi

il v. 2a?– che cosa pensate di Giuseppe? Attenzione

dal v.2b: non potete con certezza dire chesiete a conoscenza di quanto fa Giuseppe.Il v. 4, però, dice che cosa vedete...

– che cosa pensate della tunica variopintacon lunghe maniche di Giuseppe? È adattaal lavoro?

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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– secondo voi perché Giuseppe vi ha raccon-tato il primo sogno? Come lo avete inter-pretato?

– che cosa pensa Giuseppe della vostra in-terpretazione? Ne avete parlato?

– che cosa pensate di vostro padre Giacobbee della sua reazione? È in grado di conser-vare unita la famiglia?

Zabulon e Issacar– di chi siete figli?– che cosa mai vorrà sottolineare su di voi

il v. 2a?– che cosa pensate di vostro padre Giacob-

be?– che cosa pensate di Giuseppe? (piccolo

suggerimento: non dite mai il suo nome!).Attenzione dal v.2b: non potete con cer-tezza dire che siete a conoscenza di quan-to fa Giuseppe. Forse non sapete che spet-tegola su di voi. Il v. 4, però, dice che cosavedete...

– che cosa pensate della tunica variopintacon lunghe maniche di Giuseppe? È adattaal lavoro?

– secondo voi perché Giuseppe vi ha raccon-tato il primo sogno? Come lo avete inter-pretato?

– che cosa pensa Giuseppe della vostra in-terpretazione? Ne avete parlato?

– che cosa pensate di vostro padre Giacobbee della sua reazione? È in grado di conser-vare unita la famiglia?

Cartina: Ebron, Sichem, Dotan

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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A B

18 Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. 19 Si dissero l’un l’altro: «Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! 20 Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!”. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!».

21 Ma Ruben sentì e, volendo salvarlo dalle loro mani, disse: «Non togliamogli la vita». 22 Poi disse loro: «Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano»: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre.

23 Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, 24 lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua. 25 Poi sedettero per prendere cibo. Quand’ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Gàlaad, con i cammelli carichi di resina, balsamo e làudano, che andavano a portare in Egitto.

26 Allora Giuda disse ai fratelli: «Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? 27 Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne». I suoi fratelli gli diedero ascolto.

28a Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna

28b per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti.

Essi portarono Giuseppe in Egitto.

36 Intanto i Madianiti lo vendettero in Egitto a Potifàr, eunuco del faraone e comandante delle guardie.

39 1 Giuseppe era stato portato in Egitto, e Potifàr, eunuco del faraone e comandante delle guardie, un Egiziano, lo acquistò da quegli Ismaeliti che l’avevano condotto laggiù.

4015 Perché io sono stato portato via ingiustamente dalla terra degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla perché mi mettessero in questo sotterraneo»

45 4 «Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto.

B

A

B

B

B B A

A

A

A

CONFLITTO

CONFLITTO

I fatti di Dotan (Gen 37,18-31)

Cfr. GREENSTEIN E.L., An Equivocal Reading of the Sale of Joseph, in J.S. ACKERMAN – K.R.R. GROS LOUIS (ed.),Literary Interpretations of Biblical Narratives II, Abingdon, Nashville 1982, 114-125: 125

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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La tunica e i cambi d’abito di Giuseppe

Gen 37,3 Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva Vestito da principefatto una tunica con maniche lunghe.

Gen 37,23 essi lo spogliarono della sua tunica, quella Svestitotunica con le maniche lunghe che egli indossava Vestito da schiavo

Gen 39,12 Ma egli le lasciò tra le mani la veste, Svestitofuggì e se ne andò fuori. Vestito da prigioniero

Gen 41,14 egli si rase, si cambiò i vestiti e si presentò al Svestito e rivestitofaraone da sé

Gen 41,42 Il faraone si tolse di mano l’anello e lo pose sulla mano di Giuseppe; lo rivestì di abiti di lino Vestito da ministrofinissimo e gli pose al collo un monile d’oro.

Gen 45,22 Diede a tutti un cambio di abiti per ciascuno, ma a Beniamino diede trecento sicli d’argento e cinque cambi di abiti.

Letture e riletture della storia

1) Gen 42,7-13I fratelli raccontano a Giuseppe da dove vengono e perché

2) Gen 42,21-22I fratelli parlano tra loro accettando la responsabilità di aver abbandonato Giuseppe

3) Gen 42,29-34I fratelli raccontano a Giacobbe come è andata in Egitto e devono spiegare perché man-ca Simeone

4) Gen 42,21-22I fratelli parlano al maggiordomo della scoperta del denaro nei sacchi

5) Gen 44,18-34Giuda racconta a Giuseppe e riassume l’intera storia dal proprio punto di vista

6) Gen 45,4-8Giuseppe racconta ai fratelli e riassume l’intera storia dal proprio punto di vista

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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Il pianto di Giuseppe

Gen 42,23-24 Non si accorgevano che Giuseppe li capiva, dato che tra lui e loro vi eral’interprete. Allora egli andò in disparte e pianse. Poi tornò e parlò conloro. Scelse tra loro Simeone e lo fece incatenare sotto i loro occhi.

Gen 43,29-30 Egli alzò gli occhi e guardò Beniamino, il suo fratello, figlio della stessamadre, e disse: “È questo il vostro fratello più giovane, di cui mi aveteparlato?” e aggiunse: “Dio ti conceda grazia, figlio mio!”. Giuseppe si af-frettò a uscire, perché si era commosso nell’intimo alla presenza di suofratello e sentiva il bisogno di piangere; entrò nella sua camera e pian-se.

Gen 45,1-2 Allora Giuseppe non poté più trattenersi dinanzi a tutti i circostanti e gri-dò: “Fate uscire tutti dalla mia presenza!”. Così non restò nessun altropresso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere dai suoi fratelli. E pro-ruppe in un grido di pianto. Gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputanella casa del faraone.

Gen 45,14-15 Allora egli si gettò al collo di suo fratello Beniamino e pianse. Anche Be-niamino piangeva, stretto al suo collo. Poi baciò tutti i fratelli e pianse.Dopo, i suoi fratelli si misero a conversare con lui.

Gen 46,29 Allora Giuseppe fece attaccare il suo carro e salì incontro a Israele, suopadre, in Gosen. Appena se lo vide davanti, gli si gettò al collo e piansea lungo, stretto al suo collo.

Gen 50,16-17 Allora mandarono a dire a Giuseppe: “Tuo padre prima di morire ha datoquest’ordine: ‘Direte a Giuseppe: Perdona il delitto dei tuoi fratelli e illoro peccato, perché ti hanno fatto del male!’. Perdona dunque il delittodei servi del Dio di tuo padre!”. Giuseppe pianse quando gli si parlò co-sì.

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La storia di Giuseppein una programmazione catechistica

per bambini Don Marco Mani, biblista

12) e poi, attraverso Gesù, del nuovo popolo,la chiesa, e con essa di tutta l’umanità. A cin-quant’anni dal Concilio Vaticano II è ancoradi grande attualità quanto i Padri conciliariaffermavano nella Dichiarazione “Gravissi-mum educationis”: “La santa madre chiesa,nell’adempimento del mandato ricevuto dalsuo divin fondatore, che è quello di annun-ciare il mistero della salvezza a tutti gli uo-mini e di edificare tutto in Cristo, ha il do-vere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo,anche di quella terrena, in quanto connessacon la vocazione soprannaturale; essa per-ciò ha un suo compito specifico in ordine alprogresso e allo sviluppo dell’educazione”.4

I vescovi italiani, in continuità con il ConcilioVaticano II, negli orientamenti per il decennioe per l’annuncio e la catechesi, indicano laparrocchia, in quanto vicina al vissuto dellepersone e agli ambienti di vita, come il luogoprivilegiato per l’educazione alla fede attra-verso la celebrazione, la catechesi e la testi-monianza della vita. Nella parrocchia ci sonogli elementi fondamentali per un cammino difede che porta alla pienezza della vita in Cri-sto. La catechesi, con la liturgia e la testimo-nianza della carità, risulta quindi il primo attoeducativo della chiesa, perché accompagnala crescita del cristiano dall’infanzia all’età

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1 UCN, Il catechismo per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, Nota dell’Ufficio Catechistico Na-zionale della C.E.I. per l’accoglienza e l’utilizzazione del Catechismo CEI. Roma 1991, 25.2 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio2010-2020, Roma 2010.3 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, Roma 2014, 4-7.4 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gravissimum educationis, proemio, Roma 1965

PREMESSA

La catechesi è purtroppo spesso ancora im-postata sul vecchio modello scolastico, cioèstrutturata con lezioni frontali e col catechi-sta protagonista, creando nei ragazzi, giàsaturi dell’impegno della scuola, grosse rea-zioni di rigetto.1 Tale atteggiamento va ascapito della recezione dei contenuti della fe-de e crea generalmente reazioni comporta-mentali sempre più difficili da gestire. Lametodologia del modello scolastico storico,che con i suoi limiti non risponde adegua-tamente ai bisogni della crescita personaledei soggetti va superata non solo dal puntodi vista pedagogico, ma anche pastorale.

1. PROSPETTIVA PASTORALE

La questione educativa è oggi di grande rile-vanza nella società e nella chiesa. Gli stessivescovi italiani hanno indicato come priori-tario l’impegno educativo nel decennio 2010-2020: “Educare alla vita buona del vange-lo”2 e gli Orientamenti per l’annuncio e la ca-techesi in Italia: “Incontriamo Gesù”.3 DallaBibbia emerge che Dio stesso è il grande edu-catore, prima del popolo d’Israele (Dt 32, 10-

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adulta, ed ha come compito specifico formarela “mentalità di fede”,5 iniziare alla via eccle-siale, integrare fede e vita.6

In questo quadro un’attenzione particolareva riservata alla Sacra Scrittura.A cinquant’anni dalla celebrazione del ConcilioVaticano II è necessario ribadire che il rinnova-mento della chiesa parte dal ritorno ai conte-nuti e alle proposte formulate dall’assise dei ve-scovi7. Nei documenti del Concilio, in partico-lare nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum8

e in quelli successivi del magistero è stato ri-scoperto e riproposto alla chiesa il fondamen-tale valore della Parola di Dio contenuto nelleScritture.9 In diverse occasioni è stato poi af-fermato il primato del ministero della parola.Dopo il Concilio Vaticano II, che al capitoloVI della Costituzione Dogmatica DV ha presoin considerazione la Sacra Scrittura nella vi-ta della chiesa, la Bibbia dovrebbe esserestata collocata al centro della vita della chie-sa e della vita dei cristiani. Riprendiamo al-cuni passaggi fondamentali.DV afferma che si raccomanda a tutti i fe-deli, ed in particolare a coloro che svolgonoun ministero, la lettura ed un contatto con-tinuo con la Sacra Scrittura. Tale incontro sirealizza con la liturgia, la lectio divina e permezzo degli innumerevoli sussidi e strumen-ti che oggi sono disponibili a tutti per cono-scere le Scritture (DV 25).

Successivamente due interventi pontifici re-centi sono da considerarsi in ordine al no-stro tema: l’Esortazione apostolica postsino-dale di papa Benedetto XVI, “Verbum Domi-ni” (2010)10 e l’Esortazione apostolica po-stsinodale di papa Francesco “EvangeliiGaudium” (2013). La seconda parte di VD è dedicata alla Paroladi Dio nella Chiesa. Dopo aver analizzatolungamente la presenza della Parola di Dionella liturgia, il papa dal n. 72 prende in con-siderazione la Parola di Dio nella vita eccle-siale ed afferma che l’incontro con la Parola“deve essere preparato nei cuori dei fedeli esoprattutto da questi approfondito ed assimi-lato”. L’itinerario porta ad un reale incontrocon Gesù Cristo che, oltre ad avvenire perso-nalmente, necessita di una esperienza comu-nitaria di accostamento alla Parola di Diocontenuta nella Scrittura. Citando la Propo-sitio n. 9 il papa afferma che auspica “la fio-ritura di una nuova stagione di più grandeamore per la Sacra Scrittura da parte di tuttii membri del Popolo di Dio, cosicché dalla lo-ro lettura orante e fedele nel tempo si appro-fondisca il rapporto con la persona di Gesù”.Il papa poi specifica cosa significhi amare laScrittura e dice che occorre “conoscere laScrittura per crescere nell’amore di Cristo”,sull’esempio di san Girolamo che era ben co-sciente che la Bibbia è lo strumento unico at-

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5 CEI, Il rinnovamento della catechesi, Roma 1988, 386 CEI, Educare…, 397 G. ROUTHIER, «Il Vaticano II, riferimento per la NE», in La Rivista del Clero Italiano, Vita e Pensiero, Milano2011, 6, 432.8 Il documento conciliare sarà citato con la sigla DV.9 CONCILIO VATICANO II, Costituzione Dogmatica Dei Verbum, (4 dicembre 1965), 24. AA. VV., La CostituzioneDogmatica sulla Divina Rivelazione, Torino-Leumann 1967. P. GELOT, «La Constitution sur la Révélation. Contenuet partie du texte concliarie», in études (1966) 233-266. C. M. MARTINI, «Alcuni aspetti della Costituzione dog-matica “Dei Verbum”», in La Civiltà Cattolica, 117 (1966), 216-226. R. BURISANA, La Bibbia nel Concilio. Laredazione della Costituzione “Dei Verbum” del Vaticano II, EDB, Bologna 1998.10 L’Esortazione è seguita al Sinodo ordinario dei Vescovi, tenutosi in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008, sul temaLa Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa.C. A. VALLS - S. PIé-NINOT (a cura di), Commento alla Verbum Domini, Gregorian & Biblical Press, Roma 2011.

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traverso il quale Dio ogni giorno parla ai cre-denti. Interessanti sono i consigli alla matro-na romana Leta e al sacerdote Nepoziano.11

Al n. 73 s’invita a dare un posto centrale allaParola di Dio nella vita ecclesiale “raccoman-dando di incrementare la pastorale biblicanon in giustapposizione con altre forme dipastorale, ma come animazione biblica del-l’intera pastorale”. “Non si tratta di aggiun-gere qualche incontro in parrocchia o in dio-cesi, ma di verificare che nelle abituali attivitàdelle comunità cristiane… si abbia realmentea cuore l’incontro personale con Cristo che sicomunica a noi nella sua Parola”. “Per que-sto è necessario provvedere ad una prepara-zione adeguata dei sacerdoti e dei laici chepossano istruire il Popolo di Dio nel genuinoapproccio alle Scritture”. Sempre al n. 73 siaffronta anche la questione della formazionebiblica dei cristiani. Per una maggiore pasto-rale biblica nella chiesa è necessaria “un’ade-guata formazione biblica dei cristiani, ed inparticolare dei catechisti. Al riguardo, occorreriservare attenzione all’apostolato biblico,metodo assai valido per raggiungere tale fi-nalità… si stabiliscano centri di formazioneper laici in cui si impari a comprendere, vi-vere ed annunciare la Parola di Dio”.Ogni attività formativa, in ambito biblico,necessita del contesto delineato da VD: in-contro decisivo con Gesù, amore per la Scrit-tura, conoscenza della Scrittura, dare allaScrittura un posto centrale nella vita dellachiesa, formazione biblica dei cristiani.Anche papa Francesco nell’esortazione apo-stolica EG riprende il tema. Egli non vuole

fare una trattazione esaustiva delle questioni,ma si inserisce nei contributi dati dai prede-cessori e si propone di indicare “alcune lineeche possano incoraggiare e orientare in tuttala chiesa una nuova tappa evangelizzatrice,piena di fervore e dinamismo” (EG 17).Al n. 22 il papa dichiara che la Parola ha insé una potenzialità imprevedibile. Il vangeloparla di un seme che, una volta gettato, cre-sce da sé anche quando l’agricoltore dorme(cfr. Mc 4,26-29). La chiesa deve accettarequesta libertà inafferrabile della Parola, cheè efficace a suo modo e in forme molto di-verse, tali da sfuggire spesso alle nostre pre-visioni e rompere i nostri schemi”.Alcune sottolineature sono molto decisive inordine all’evangelizzazione:– il vangelo deve essere la fonte della gioia

del cristiano (EG 1); – è indispensabile l’inculturazione del van-

gelo (EG 69); – occorre non lasciarsi rubare il vangelo (EG

97). Le affermazioni richiamate trovano la lorosorgente nella Parola di Dio, contenuta nelleScritture. Al n. 174 leggiamo: “non sola-mente l’omelia deve alimentarsi della Paroladi Dio. Tutta l’evangelizzazione è fondata sudi essa, ascoltata, meditata, vissuta, celebra-ta, testimoniata. La Sacra Scrittura è fontedi evangelizzazione. Pertanto, bisogna fer-marsi continuamente all’ascolto della Paro-la. La chiesa non evangelizza se non si la-scia continuamente evangelizzare. È indi-spensabile che la Parola di Dio diventi sem-pre più il cuore di ogni attività ecclesiale”.

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11 “San Girolamo, grande «innamorato» della Parola di Dio, si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienzadelle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?». Era ben coscienteche la Bibbia è lo strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai credenti». Così egli consiglia la matrona romana Letaper l’educazione della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura ... Alla preghiera facciaseguire la lettura, e alla lettura la preghiera ... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini». Valeper noi quello che ancora san Girolamo scriveva al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture;anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare»” (VD 72).

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Anche “lo studio della Sacra Scritture deveessere una porta aperta a tutti i credenti. Èfondamentale che la Parola rivelata fecondiradicalmente la catechesi e tutti gli sforzi pertrasmettere la fede… si proponga uno studioserio e perseverante della Bibbia (con i me-todi di lettura della Bibbia) ad ogni livello,come pure si promuova la lettura orante(lectio divina) personale e comunitaria”. Papa Francesco introduce una categoria nuo-va: la contemplazione con amore del vange-lo. Essa va esercitata con il cuore (EG 264). L’evangelizzazione non è una violenza oun’imposizione che viene fatta dalla chiesama è un dovere in quanto “il Vangelo ri-sponde alle necessità più profonde delle per-sone, perché tutti siamo stati creati per quel-lo che il Vangelo ci propone: l’amicizia conGesù e l’amore fraterno. Quando si riesce adesprimere adeguatamente e con bellezza ilcontenuto essenziale del Vangelo, sicura-mente quel messaggio risponderà alle do-mande più profonde dei cuori”.Concludendo, papa Francesco sottolinea cheogni evangelizzazione avviene attraversol’incontro con Gesù Cristo. Questo incontro èstimolato dalla testimonianza dei cristiani cheattraggono gli altri con la loro vita. La liturgiacelebrata e la Parola studiata, meditata e te-stimoniata sostengono l’incontro con Gesù elo consolidano. Il papa introducendo la cate-goria di leggere il vangelo con il cuore, con-templandolo con amore, va oltre la dimen-sione culturale ed intellettuale dell’evangeliz-zazione e mette in moto tutte le caratteristi-che e le dimensioni della persona, in partico-lare gli affetti, le emozioni ed i sentimenti.

PERCORSO BIBLICO COMEPROCESSO EFFICACE DIEVANGELIZZAZIONE.

Ci soffermeremo su quattro atteggiamenti –esperienze che sono indispensabili per unpercorso biblico efficace che produca frutti dievangelizzazione.

• La Parola ascoltata.Il magistero con insistenza, come abbiamovisto, richiama la necessità di fermarsi con-tinuamente ad “ascoltare” Dio che parla nelleScritture. L’ascolto non è soltanto una praticaspirituale – anche se molto importante – cheha nella “Lectio Divina” un percorso qualifi-cato. Ma vogliamo soffermarci sull’ascolto,che diventa atteggiamento della persona,educato dalla Lectio, che crea un “abitus”nella persona. L’ascolto della Parola diventaun modo di essere del credente che ha postol’ascolto come fondamento del suo essere.Un vero ascolto necessita di conseguenza delsilenzio, “che sia silenzio vero, colmo dellaPresenza, risonante della Parola, teso al-l’ascolto, aperto all’incontro”.12 Anche a vi-vere il silenzio è necessario essere educati.

• Lo studio della Scrittura.Assieme all’ascolto nello Spirito, che fa en-trare nella Parola, è richiesto al credente unlavoro assiduo e approfondito di studio delleScritture, perché la Parola in esse contenutapossa emergere con chiarezza ed illumini lavita dei singoli e delle comunità.13

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12 C. M. MARTINI, La dimensione contemplativa della vita. Lettera al clero e ai fedeli dell’Archidiocesi Ambrosianaper l’anno pastorale 1980/81, Centro Ambrosiano, Milano 1980. BENEDETTO XVI, Verbum Domini, 66.13 FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 175. G BENzI, «Parola, Libro e Lettore. Istanze teologiche – bibliche per una“Lettura orante” della S. Scrittura», in C. PASTORE (a cura di), “Viva ed efficace è la Parola di Dio” (Eb 4,12).Linee per l’animazione biblica della pastorale, ELLEDICI, Leumann (TO), 2010, 49-51. D. CANDIDO, «Questionidi metodo», in D. CANDIDO (a cura di), Narrazione biblica e catechesi, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2014, 10-

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• La relazione con la Parola.La Bibbia “chiama a sé ed invita l’uomo al-l’incontro, sollecitando la curiosità o il desi-derio di essere letta, capita e vissuta”. 14 Quisi apre un orizzonte nuovo nei confronti del-la Scrittura che forse non si è mai esploratoabbastanza: la Scrittura come organismo vi-vente che crea relazioni ed interesse e chepuò diventare luogo di incontro e di dialogocon chiunque, credenti e non credenti.

• Leggere la scrittura col cuore.Papa Francesco introduce questa novità nellalettura delle Scritture: “contemplare il Vangelocol cuore”.15 Ma che significa l’indicazionepontificia? Lo spiega il papa stesso dicendoche è necessario fermarsi sulle pagine dellaScrittura e leggerle con amore, interesse ecoinvolgimento profondo. Accostando in que-sto modo il testo sacro, cioè contemplandolo,la sua bellezza ci affascina e ci stupisce ognivolta. Da questo modo di leggere la Scritturascaturisce dentro al credente un impulso eduna motivazione così forte che lo porta a de-cidersi a comunicare il vangelo agli altri.

Ora che sono mutate le situazioni culturaligenerali, che si sono allentate le tensioni tra

le diverse chiese,16 che sta crescendo la sen-sibilità cattolica nei confronti della Bibbia,17

si può realizzare l’obiettivo che tutti sianodestinatari della Scrittura.18

Ritornare alla Bibbia è una scelta indispen-sabile per un vero rinnovamento della fede,ma anche perché è oggi urgente riscoprirel’umano della Bibbia (l’autore e le vicendenarrate). Esso è luogo unico d’incontro perle culture, le civiltà e l’esperienza umana piùdisparata. Quindi la Scrittura è un canaleprivilegiato di evangelizzazione sia ad “in-tra” come ad “extra”. Soltanto le Scritture,che contengono la Parola di Dio,19 possonoaiutare i credenti ad incontrare continua-mente Gesù Cristo, a plasmare la propria vi-ta sulla sua, assimilando i suoi insegnamen-ti, e ad essere, come chiesa, capaci di an-nunciare soltanto Gesù Cristo.20 “Nella Scrit-tura è presente in ogni pagina l’uomo chevive, si interroga e si comprende, riflettendosull’esistenza, sugli altri, sulla storia, sulmondo e su Dio”,21 per questa ragione puòessere letta da chiunque ed in essa può tro-vare risposte ai problemi della vita. Di con-seguenza è un luogo importante dal qualeiniziare un cammino di evangelizzazioneoggi, per uscire e andare incontro ai lontani,

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15. J. RATzINGER, Prefazione al Documento della Commissione Biblica, in PCB, L’interpretazione della Bibbianella Chiesa (1993), 21-23.14 D. CANDIDO, «Questioni di metodo», 10. G BENzI, «Parola, Libro e Lettore»43-52.15 FRANCESCO, Evangellii Gaudium, 264.16 COMMISSIONE LUTERANA – CATTOLICA ROMANA SULL’UNITÀ, Dal conflitto alla comunione (2017), inwww.vatican.va/.../rc_pc_chrstuni_doc_2013_dal-conflitto-alla-comunione_it.html. FRANCESCO, Discorso al Consiglio ecu-menico delle chiese nel 70° anniversario della fondazione, Ginevra2018,http://w2.vatican.va/content/francesco/it/spee-ches/2018/june/documents/papafrancesco_20180621_pellegrinaggioginevra.htmlhttp://w2.vatican.va/content/france-sco/it/speeches/2018/june/documents/papa-francesco_20180621_pellegrinaggio-ginevra.html17 CONFERENzA EPISCOPALE ITALIANA, La Parola del Signore si diffonda e sia glorificata (2Ts 3,1). La Bibbia nellavita della Chiesa. Nota pastorale della Commissione Episcopale per la dottrina della fede e la catechesi, (18 no-vembre1995), 6-7.18 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II II Dei Verbum, 25. 19 Ibidem, Dei Verbum, 24.20 P. PEzzOLI (a cura di), Cento strade e una met. Il cammino di una Diocesi con la Bibbia, Elledici, Leumann2000, 21-23.21 B. MAGGIONI, Uomo e società nella Bibbia, Jaka Book, Milano 1987, 11.

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convinti che “il racconto biblico interpella illettore, cioè in fondo alla sua temporalità es-senziale attende tutti per renderci veri…”.22

In conclusione la Bibbia è oggi un percorsomolto efficace per l’evangelizzazione, siaall’interno della comunità credente come an-che dei non credenti, in quanto nei raccontidella Scrittura tutti si possono ritrovare.

2. IL MODELLO PEDAGOGICO DIRIFERIMENTO23

Le esperienze dell’insegnamento catechisticosono state spesso influenzate sul piano me-todologico dal modello scolastico storico, checon i suoi limiti non risponde adeguatamen-te ai bisogni della crescita personale dei sog-getti e perciò va superato, non solo nell’am-bito dell’educazione alla fede, ma anche nel-l’ambito scolastico. Un primo limite è dato dalla visione mono-dimensionale del soggetto in formazione: siguarda quasi esclusivamente alla conoscen-za, non si considera la persona nel suo in-sieme, si lasciano nell’ombra i valori, le emo-zioni e i sentimenti, le capacità progettuali; sidimentica che la persona è un’unità profon-damente integrata e non è a compartimentistagni, che la formazione di un aspetto del sénon può avvenire separandolo dagli altri. Un altro limite importante è dato dall’astrat-tezza dell’approccio: si considera il sapere insé stesso, a prescindere dall’esperienza deisoggetti, e lo si propone senza cercare di in-serirlo sistematicamente nell’orizzonte dellaloro esperienza di vita. Il metodo di lavoro tradizionale, inoltre, èfondato sulla convinzione che l’apprendi-

mento consista nel ricevere ascoltando eleggendo i contenuti del sapere dall’inse-gnante che li trasmette attraverso la spiega-zione verbale e un testo. Gli studi psicope-dagogici ci hanno insegnato che non è così,che il soggetto impara quando fa, quandoelabora attivamente, quando interagisce congli altri e solo dentro questo lavoro attivopuò utilizzare in modo efficace le spiegazioniorali e scritte.Il percorso di educazione alla fede qui attra-verso la Sacra Scrittura è perciò impostatosecondo un modello pedagogico e didatticoche cerca di tenere conto di queste analisi.Assume come riferimento la persona nellasua esperienza di vita: la proposta educativaè fatta a una persona concreta, reale, che vi-ve, in contesti ben caratterizzati, esperienzeparticolari, nelle quali deve risolvere “com-piti di vita”: capire il significato di ciò cheincontra, effettuare scelte nelle situazionivalutando le diverse possibilità, assumereobiettivi e cercare di realizzarli, stare in re-lazione armonica con sé e con gli altri. Insostanza, cercare e decidere nel concretodell’esperienza il senso del vivere, che nonè un’idea astratta che altri possono “spiega-re e insegnare”, ma è un sistema di valoriintesi come criteri di scelta che il soggettoscopre e decide di fare propri e che gli altripossono e devono proporre e testimoniarecon le proprie scelte personali. Nell’educazione alla fede cristiana questosenso è la narrazione di salvezza della Bib-bia che incontra la narrazione della propriaesperienza che fa la persona a sé stessa eagli altri quando cerca il senso. La propostaeducativa è di incontrare una Parola che èPersona ed Evento, non tanto sistema di

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22 P. BEAUCHAMP, L’uno e l’altro testamento. 2. Compiere le Scritture, Glossa, Milano 2001, 37.23 DIOCESI DI MANTOVA – UFFICIO CATECHISTICO, Sotto l’albero. La narrazione biblica incontra la narrazione dellavita. Percorsi di educazione alla fede per bambini e preadolescenti, Mantova 2014, 7-9.

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concetti, e di riporre in essa il senso del pro-prio vivere.

Le diverse dimensioni del sé vanno consi-derate in integrazione tra loro entro questaprospettiva:• 1. Valoriale: è la dimensione che attinge

profondamente al senso. Nella prospettivadella fede educare ai valori non significaproporre regole, condizionare i comporta-menti, approvandone alcuni e bloccando-ne altri. Significa proporre nel vivere con-creto, nelle varie e particolari esperienze,la ricerca del Senso nella Parola, conside-rata come fonte dei criteri di scelta checonsentono di essere realmente sé stessi edi realizzarsi da persone libere e compiute.

• 2. Cognitiva: riguarda la capacità del sog-getto di porsi “in relazione col mondo” at-traverso la rappresentazione mentale deglielementi che lo costituiscono. Come ci rap-presentiamo un territorio grazie a un “di-segno”, la carta geografica, la mappa, cheutilizza sistemi di segni (i colori, le linee,le parole, ecc.) messi in ordine, così pen-siamo le situazioni, le azioni, gli eventi, lecose e le persone attraverso schemi di con-cetti ordinati e collegati tra loro, come direattraverso mappe mentali. Sul piano co-gnitivo l’educazione alla fede vuole pro-porre al soggetto impegnato nella suaesperienza quotidiana di vita sistemi diconcetti attraverso i quali capire la Parolae ciò che ci dice del nostro vivere.

• 3. Emozionale: riguarda il modo di sentirepersonale e spontaneo, che si forma in re-lazione agli eventi che si presentano nel-l’esperienza. L’emozione manifesta il mo-do in cui il soggetto reagisce a una situa-zione e alle sue caratteristiche, il modo incui egli si sente in essa, il modo in cui ri-ferisce a sé l’evento. È diretta e spontanea,in sé stessa non può essere controllata,

mentre può essere controllato ovviamenteil comportamento che ad essa si accompa-gna. L’ideale armonico della persona vuoleche, per quanto possibile, emozione ecomportamento non siano in contrasto,ma in sintonia. Importante è capire chel’emozione nasce dal complesso della per-sonalità del soggetto, che è profondamenteunitaria. Nasce dall’intreccio di pulsioni,pensieri, valori e vissuti d’esperienza cheproviene dalla storia di una persona e co-stituisce la sua identità. L’educazione puòlavorare su due piani: da una parte aiutareil soggetto a prendere coscienza delle pro-prie emozioni, a dare loro un nome e adesprimerle, a collegare la propria reazioneemotiva con l’evento scatenante, dall’altraaiutare il soggetto a far evolvere i fattoriche conducono a quel tipo di reazione e adarmonizzarli. Accogliere progressivamentela Parola e imparare a pensare e valutaree scegliere l’esperienza nella linea del Suoinsegnamento in modo personale e auten-tico, porta a maturare atteggiamenti emo-zionali e affettivi tendenzialmente armo-nici in quanto amorevoli.

• 4. Relazionale: si tratta di far scoprire nelleesperienze l’esistenza del tessuto di rela-zioni nel quale si è immersi e grazie alquale si vive, non solo sul piano materiale,ma anche psicologico e spirituale. Nulla èpiù infondato della convinzione che l’es-sere sé stessi come persone e come gruppie comunità sia un fatto autarchico, che larelazione con gli altri, tutti diversi da noi,metta a rischio di riduzione e di perdita lanostra identità. La consapevolezza, pro-pria della cultura contemporanea, che larelazione è costitutiva dell’identità di sin-goli e popoli trova un fondamentale ri-scontro nella Parola che proviene dal dia-logo trinitario e che si rivolge all’uomo perdargli vita e salvezza.

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Il modello educativo (pedagogico), sinteti-camente esposto nelle pagine precedenti,viene tradotto sul piano operativo attraversoun modello di lavoro (didattico) scandito invarie azioni che l’educatore può effettuareper progettare gli interventi, da solo o conaltri colleghi, e per realizzarli. Come avviene per ogni progetto, anchel’azione formativa deve essere pensata e at-tuata in modo ordinato, con criteri precisi,così che possa funzionare al meglio. A que-sto scopo si propone una scheda articolatache indica le voci necessarie al progetto ealla sua attuazione.

Da una parte è necessario considerare il te-ma, cioè l’argomento sul quale si vuole la-vorare, che nel nostro caso è ovviamentesempre un aspetto, un elemento della Parolache è al centro della proposta educativa, dal-l’altra la persona reale, concreta, particolarealla quale ci si rivolge. Infatti nella schedaoperativa che segue troviamo all’inizio “iltema” e “i destinatari”, l’analisi dei concettiche compongono il tema e le situazioni divita degli educandi: la narrazione biblica in-contra le narrazioni personali.

Il tema deve essere oggetto di riflessione edi studio da parte dell’educatore, che deveimpegnarsi ad averlo massimamente chiaronella propria mente. Per questo sono utili lemappe concettuali: indicano i singoli concet-ti che compongono il tema (le parole nei ri-quadri) e le relazioni che li uniscono (le li-nee quando si tratta di collegamenti semplicitra termini, le frecce quando si vuole indi-care che l’uno conduce all’altro). È come in-dividuare i mattoncini di una costruzione eil modo in cui devono essere disposti. È co-me disegnare la carta geografica di un ter-ritorio, che ci dice quali sono i luoghi, le pia-nure o montagne, i fiumi e le strade che lo

costituiscono e ci consente di progettare unviaggio, un percorso.

Come si può vedere nei molti esempi pre-senti nel materiale che segue, ogni tema ècomposto da molti “luoghi” o “mattoni” chesono collegati tra loro da molte e diverse re-lazioni; per ogni tema viene presentata unamappa concettuale che lo può rappresenta-re.

Dall’altra parte bisogna fare riferimento aiprotagonisti del viaggio, cioè agli educandie alle loro esperienze di vita: il soggetto“non è una pagina bianca” sulla qualel’educatore scrive come vuole ciò che eglisa, ma è una persona che ha un’identitàprecisa, anche se in formazione, che viveesperienze di tanti tipi in ambienti dalle ca-ratteristiche particolari. L’azione educativadeve entrare in questi orizzonti concreti, toc-care i problemi e i bisogni che il soggetto re-almente vive, proporre elementi di valoreche possano costituire per i soggetti scopertedi senso personale del proprio vivere.

Delineato lo spazio del dialogo personale traParola e soggetto, si tratta di decidere sullamappa del tema l’itinerario che si vuole per-correre in quella certa situazione, con queiragazzi, in quel momento. È facile vedereche, proprio come in un viaggio, sulla stessamappa si possono scegliere diverse mete ediversi itinerari, a seconda dei bisogni e de-gli scopi educativi. La lunghezza di un viag-gio dipende sempre sia dalla meta, sia daltempo, sia ancora dalle energie a disposizio-ne. Così è anche nell’azione didattica: a se-conda del tempo e delle “gambe”, cioè dellivello degli educandi, si possono affrontarenello stesso viaggio più o meno concetti, alivelli diversi. La scelta è affidata all’educa-tore e alla sua competenza ed esperienza (e

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non sarà inutile dire che il “buon senso” eil “realismo” ne sono ingredienti essenziali):sulla mappa del tema l’educatore sceglieuno, due o tre concetti (di solito non di più)che pensa importanti per i suoi viaggiatorie sui quali pensa di poter lavorare con queisoggetti in un unico “viaggio”.Fuori della metafora, al singolo viaggio cor-risponde il concetto di unità formativa(U.F.), che rappresenta il percorso necessa-rio e possibile per raggiungere una metaeducativa ben definita con un ben precisatogruppo di educandi. Se la meta è scelta inmodo semplice, il percorso è costituito da unsolo ciclo di lavoro, mentre se viene artico-lata e impostata in modo approfondito perrispondere a bisogni ben individuati, diven-tano necessari più cicli di lavoro.

3. PROPOSTA DIPROGRAMMAZIONECATECHISTICA

“Dio non ha mandato il Figlio nel mondoper condannare il mondo, ma perché il mon-do sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17)

Dio, con la sua autorivelazione in Cristo,rende l’uomo capace di una vita buona, unavita che ha il suo senso al di là del ristrettoorizzonte umano, nella salvezza preparatada Dio e fondata sul suo amore, che riempiedi senso ogni cosa, ben oltre l’utile imme-diato ed il fascino degli idoli che l’uomo ètentato di crearsi.

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DESTINATARIBambini della fascia di 7-10 anni

SITUAZIONE DI VITA del BAMBINOIl bambino sperimenta la salvezza se accetta, anche aiutato da qualcuno, di anteporre loscopo al vantaggio immediato, quando:• durante una partita, in prossimità della porta, invece di correre lui da solo passa la palla

al compagno e gli permette di fare gol;• non tradisce la confidenza di un amico/a anche se ha litigato con lui/lei e vorrebbe ven-

dicarsi;• divide la sua paghetta con il fratello/la sorella per acquistar le figurine per tutti e due e

non solo per sé;• …….

E inizia a scoprire che esiste “un oltre”, un progetto di più ampio respiro che vede incar-nato:• nel dono quotidiano dei genitori che pensano a lui e sognano per lui la felicità;• nelle scelte generose di conoscenti, di personaggi della cronaca e/o della storia;• nel progetto di salvezza di Dio che si realizza nel messaggio di amore di Gesù che lui

inizia ad ascoltare in famiglia e/o da figure educative di riferimento e/o in parrocchia.

GLI OBIETTIVI

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

Gli obiettivi cognitivi

• riconoscere nelle scelte di vita quelle fatteper il proprio vantaggio immediato, equelle che vanno oltre il proprio interesse,le proprie sicurezze

• avvicinarsi a riconoscere la salvezza comedono di Dio, per superare i propri vantaggiimmediati

Gli obiettivi valoriali

• scoprire l’importanza del dare senso allapropria vita scegliendo di andare oltre ivantaggi immediati, oltre gli idoli creati dalui stesso.

• avvicinarsi a scoprire l’importanza del vi-vere la salvezza come dono di Dio, comeprogetto di amore per realizzare meglio lapropria umanità.

Gli obiettivi emozionali

• riconoscere le proprie emozioni che dannosenso alla vita

• esprimere le proprie emozioni nello scopri-re l’oltre che fa stare bene, dà senso allavita

Gli obiettivi relazionali

• iniziare ad imparare a vivere, sperimenta-re, godere con gli altri l’andare oltre i van-taggi immediati nelle proprie scelte, viven-do la salvezza come dono di Dio, comeprogetto di amore.

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PRIMO INCONTRO

P TI È MAI CAPITATO DI… 50 minuti

L’educatore cerca di richiamare alla memoria dei bambini alcuni episodi della loro vita, op-pure, se non funziona, li invita ad immaginare di … chiedendo:Ti è mai capitato di … o Immagina di …

• essere in prossimità della porta del campo di calcio e di dover scegliere se correre dasolo, oppure passare la palla al compagno e far fare a lui gol;

• aver litigato con un’amica e aver voglia di vendicarti e quindi rivelare i suoi segreti op-pure scegliere di non tradire la sua fiducia;

• dover scegliere se dividere la tua paghetta con il fratello/la sorella per acquistare figurineo altri oggetti per tutti e due oppure se usarla tutta per te;

• aver finito rapidamente i compiti e, dover sceglier se correre fuori in cortile, o aiutare uncompagno, rimasto solo in classe, a finire il suo.

• ………………………………………..

E allora tu che cosa hai fatto? Allora cosa faresti?

1. Preparare dei bigliettini con le diverse situazioni di vita e farli pescare ai bambini, unociascuno. Chiedere ai bambini che raccontino quella situazione di vita se fosse capitatanella loro esistenza. Ordina i loro interventi dando la possibilità a tutti di intervenire. 2.Poi l’educatore invita i bambini a disegnare su un foglio la propria esperienza. 3. Mentrei bambini attaccano il disegno su di un cartellone, l’educatore dividerà i disegni in due co-lonne facendo emergere da una parte gli elementi che indicano scelte fatte per un vantaggioproprio e dall’altra parte le scelte che invece andando oltre un interesse personale, evi-denziano che è stato pensato a un bene per l’altra persona. L’educatore scriverà lui stessol’”ingrediente” identificato in un ambito o nell’altro, chiedendo sempre conferma all’inte-ressato e al gruppo (egoismo, generosità, ecc.). Se ha tempo l’educatore può chiedere ai bambini di scrivere, su post-it messi a disposizione,come si sono sentiti in quel momento ricordato nel disegno, invitandoli ad attaccarli vicinoai fogli corrispondenti. Se non ha il tempo necessario ripartirà da questa attività nell’in-contro successivo.

Materiali: Colori, fogli A3, post-it.

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SECONDO INCONTRO

A LE RISORSE DIVENTANO… ILLIMITATE!!!!! 50 minuti

È importante riprendere quanto emerso durante il primo incontro, servendosi del cartellone, richiamandogli episodi rivissuti, e ponendo le seguenti domande: dopo aver fatto quella scelta eri contento? Perché?Ti ha aiutato qualcuno a fare o a ripensare a quella scelta? Quali parole hai usato? L’obiettivo sarà difarli riflettere sull’importanza della scelta e anche dell’eventuale aiuto di qualcuno, finalizzato a scoprireche la vita è molto più bella se si riesce ad andare oltre i propri vantaggi immediati.

Gioco.L’educatore divide i bambini in due gruppi, poi dispone su due tavoli un numero di graffette che cor-risponde al numero dei componenti del sottogruppo, per due meno uno.Ad ogni turno di gioco ogni bambino potrà prendere il numero di graffette che vorrà. Quindi verrannoreintegrate sul tavolo un numero di graffette doppie rispetto a quelle rimaste fino ad un massimo di11 (esempio: sul tavolo rimangono 5 graffette, al turno successivo verranno disposte sul tavolo 10graffette). Vince il gruppo che in un tempo stabilito (massimo 20 minuti) guadagna il maggior numerodi graffette.

Facciamo un esempio:Ogni sottogruppo è formato da 6 bambini.Su ogni tavolo mettiamo 11 graffette (6x2=12; 12-1=11)Primo turno di gioco: tutti i bambini del gruppo prendono una graffetta. Sul tavolo ne rimangono 5.Vengono quindi reintegrate le graffette in numero pari a 5x2=10Secondo turno: ogni bambino prende ancora una graffetta a testa. Sul tavolo ne rimarranno 4.Reintegrando le graffette ne avremo a disposizione per il turno successivo solo 8.E cosi via…se un bambino del gruppo non rinuncerà a prendere la sua graffetta durante il turno digioco le graffette da prendere diminuiranno sempre più e il gruppo ne avrà sempre meno a disposizioneper poter vincere.

Secondo esempio:Ogni sottogruppo è formato da 6 bambini.Su ogni tavolo mettiamo 11 graffette (6x2=12 12-1=11)Primo turno: 5 bambini prendono una graffetta ed un bambino rinuncia alla sua.Rimarranno allora sul tavolo 6 graffette.Verranno quindi reintegrate 6x2=12 –1 =11 (perché sono ammesse al massimo 11 graffette per turnodi gioco). Quindi al turno successivo avranno a disposizione ancora le 11 graffette iniziali.Lo scopo del gioco è far capire loro che qualcuno deve rinunciare per poter far raddoppiare al massimole graffette e, così facendo, ce ne sarà per tutti sempre.

Materiali: Cartellone dell’incontro precedente, graffette.

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TERZO INCONTRO

C PER IL PROPRIO VANTAGGIO O PER GLI ALTRI? 50 minuti

È importante riprendere quanto emerso durante i primi due incontri, servendosi del cartellone,richiamando gli episodi ricordati e il gioco, proponendo il titolo da scrivere sul cartellone: “Per ilproprio vantaggio o per gli altri?” o altro simile se i bambini lo propongono.L’educatore propone poi di drammatizzare il racconto biblico che porta in sé un grande insegna-mento. Prima si narra il testo scelto per l’attività e poi si assegnano i dialoghi e la parte del narratore (sipuò scegliere soltanto una parte della narrazione su Giuseppe).

Gen 42-45Finita la rappresentazione, l’educatore alla fede chiederà a coloro che hanno fatto gli attori comesi sono sentiti nei vari ruoli e a tutti che cosa avrebbero fatto al posto dei vari personaggi. Invitapoi i bambini a sostituire la parola “sacchi di grano o monete” con alcune loro caratteristiche equalità: intelligenza, prestanza fisica, velocità nella corsa, bella voce, abilità nel disegno, nel can-to…, donati da quel “signore”, perché li usino. Lascerà parlare liberamente i bambini, aiutandoli,se occorre, con esempi (se tu avessi una bella voce non vorresti mai cantare, per paura di sciu-parla, o … allieteresti chi ti ascolta con il tuo canto? Se tu fossi forte e potente, useresti la tuaforza per picchiare gli altri o … per aiutare chi ha bisogno? Se tu sapessi disegnare bene, pro-durresti i tuoi capolavori solo per te oppure … li doneresti agli altri per allietare i loro occhi?...(I puntini di sospensione tra la prima e la seconda alternativa stanno a significare che occorredare tempo ai bambini per pensare e individuare autonomamente la scelta. In caso contrarioc’è il rischio di avere risposte indotte e non spontanee)Segnerà poi sul cartellone le loro previsioni e, come negli episodi ricordati e nel gioco, li aiuteràa distinguere le azioni finalizzate al proprio tornaconto e caratterizzate dall’egoismo da quelle im-prontate al desiderio di mettere i propri doni al servizio degli altri.

Alla fine occorrerà sottolineare che chi pensa solo al proprio tornaconto non ha “speranza”nel domani, nell’oltre, nella gioia di una vita insieme agli altri. Giuseppe non è stato cattivonei confronti dei suoi fratelli, ma li ha aiutati a compiere un percorso che li ha fatti passareda una vita chiusa in se stessi, perché pensavano soltanto ai loro interessi, a prendersi curaanche degli altri. Giuseppe diventa l’immagine di Dio che vuole il bene di tutti e che vuole sal-vare tutti. Chi segue gli insegnamenti di Dio, come i fratelli che hanno seguito le indicazionidi Giuseppe, ed ha fiducia nell’amore del Signore che lo chiama, avrà la felicità, troverà il sensovero della sua vita

Giovanni 3,17 17’Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo siasalvato per mezzo di lui.

Materiali: Bibbia, matite, colori, foglietti, atrezzatura minimale per la rappresentazione.

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Assisi27-8 aprile 2018

CAPITOLO 4

SEMINARIO NAZIONALE

DEL SETTORE PER LA CATECHESI

DELLE PERSONA DISABILI

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Saluto di aperturaSuor Veronica Donatello

Carissimi referenti diocesani e regionali delSettore, responsabili delle Aggregazioni lai-cali, Movimenti e Congregazioni, saluto DonPaolo Sartor Direttore UCN, i responsabili deisettori, la segreteria e, fra gli ospiti arrivatida lontano, i responsabili della CE di Maltae dell’Inghilterra, ormai, amici abituali deinostri incontri. Siamo in tanti! Di questo rin-graziamo il Signore.È appena terminato il Convegno dei Direttoritenutosi in questa sala e riprendo alcunispunti di questi giorni ricchi dove ha vistotutte le regioni rappresentate e numeroseaggregazioni laicali.È risuonato l’invito alle comunità a lasciarsitrasformare da Dio, per diventare grembo fe-condo che mentre genera è rigenerato, comeSara, matriarca della Scrittura. È una rifles-sione della comunità su se stessa che è utileanche in ordine ad una IC inclusiva. Infattinon esiste una catechesi inclusiva che nonsia messa in atto da una comunità che neisuoi modi di dire e di fare sia essa stessa in-clusiva, nella quale ciascuno sia protagoni-sta e nella quale i doni di ciascuno siano va-lorizzati e messi al servizio di tutti; in cuiciascuno possa donare agli altri.Dopo gli approfondimenti degli anni prece-denti su questi temi, in sinergia con il cam-mino ecclesiale e gli Orientamenti Pastoralidella CEI (n. 54°a) e la III parte degli Orien-tamenti per l’annuncio e la catechesi in Ita-lia IG, desideriamo convergere in tale per-corso predisponendoci all’ascolto della rela-zione biblica di p. Giulio Michelini ofm, Sa-

cerdote, teologo, Direttore dell’Istituto Teolo-gico di Assisi, autore di numerose pubblica-zioni, certi che «la Parola ha in sé una po-tenzialità che non possiamo prevedere. […]la Chiesa deve accettare questa libertà inaf-ferrabile della parola, che è efficace a suomodo, e in forme molto diverse, tali da sfug-gire spesso alle nostre previsioni» (EG22).Successivamente ascolteremo P. Jose Tolen-tino Mendonça sacerdote, biblista, teologo,poeta e scrittore di fama internazionale. Èvicerettore dell’Università Cattolica di Lisbo-na e consultore del Pontificio Consiglio dellacultura. Nel suo ultimo testo “La mistica del-l’istante”, narra che i sensi sono il portaled’ingresso di un viaggio interiore che coin-volge tutto l’uomo: l’anima, ma anche ilcorpo, le sensazioni e le relazioni. L’olfatto,il gusto, l’udito, il tatto, la vista e il loro ope-rato sono linguaggi della fede, variazioni in-finite sul tema del corpo come lingua mater-na di Dio, che le Scritture attestano. Una mi-stica possibile e praticabile, qui ed ora, dove,come dice S. Agostino, ognuno ha una portaper cui Cristo entra, affermazione valida an-che per le persone disabili dove un sensopuò mancare ma gli altri diventano portedell’incontro con Dio.A partire dalle relazioni di Michelini e diMendonça la prospettiva qualificante del no-stro Seminario sarà appunto quella dei sen-si. Essa si esprimerà, mediante la mostra “Otutti o nessuno!” (curata da Fiorenza Pestel-li, da quest’anno collaboratrice del Settore)con «strumenti, sussidi e quaderni attivi»1 di

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

1 IG 94.

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pastorale inclusiva in collaborazione con lerealtà diocesane, le congregazioni religiosee le aggregazioni laicali», e con la propostadi cinque atelier esperienziali per mettere inatto processi inclusivi.

Il cammino del Settore in questo ambito halunga vita, ma oggi la generazione è cam-biata. Il prezioso Documento “L’IC alle per-sone disabili. Orientamenti e proposte” del2004 e la Giornata di Studio del 2012 “Ca-techesi e disabilità. Comunicare la fede. L’ICcon le persone disabili nelle comunità”, cipermettono di continuare la riflessione sup-portati anche dall’Esortazione apostolica EGche ci fornisce un nuovo quadro ecclesiolo-gico: «tutti hanno il diritto di ricevere il Van-gelo. I cristiani hanno il dovere di annun-ciarlo senza escludere nessuno» (EG 14) e«ogni cristiano e ogni comunità discerneràquale sia il cammino che il Signore chiede,però tutti siamo invitati ad accettare questachiamata: uscire» (EG 20) senza escluderenessuno (EG 23). Il secondo giorno rifletteremo sull’importan-za della comunità cristiana, senza la qualequalsiasi rinnovamento non ha efficacia(Biemmi): sappiamo bene che la catechesisi genera nel grembo della comunità e soloin essa trova la sua dimensione di Fede. Perquesto l’iniziazione cristiana è l’attività chela Chiesa esprime come atto generativo dellafede e proprio questa espressione ha moti-vato i vescovi a dare un ampio spazio in IGall’iniziazione cristiana ai nn 55. 62 perchéqualifica la Chiesa come madre. Per attuare tale invito ad essere comunitàgenerative, ascolteremo la relazione di Fr.

Enzo Biemmi un religioso fratello, apparte-nente alla Congregazione dei Fratelli dellaSacra Famiglia. Si è specializzato in pasto-rale e catechesi all’Istituto Superiore di Pa-storale Catechistica di Parigi (ISPC) e haconseguito il dottorato in teologia all’Uni-versità Cattolica di Parigi e in Storia delleReligioni e Antropologia Religiosa alla Sor-bona. Inoltre abbiamo pensato di coinvolgere, nel-la tavola rotonda, alcuni uffici pastorali concui si collabora, perché la generatività pa-storale non è solo dell’“UCN” e l’inclusionedelle persone disabili non sono un “proble-ma” del settore. Come ci ha ricordato il san-to Padre al 25° del Settore: O Tutti o nessu-no!2, insieme ad altri uffici, desideriamo por-re in essere un processo trasformativo cheporti sempre più ad avere nella normalità“comunità generative” come antidoto allacultura odierna dell’individualismo, delloscarto, del “mio gruppo” “della catechesispeciale o solo sacramentale”. Attraversouna dinamica potente dello Spirito, esserecomunità che generano per affermare chesiamo nel processo della vita. Dobbiamoconsiderare l’esperienza di fede della perso-na disabile in grado di costruire chiesa cosicome lo è l’esperienza di fede di una perso-na normodotata. Pertanto nell’esprime lasua fede e le sue potenzialità, il disabile èprotagonista della vita pastorale superandodefinitivamente la logica dell’assistenza pa-storale e del sostegno a favore del loro pro-tagonismo pastorale. Ogni persona nellachiesa ha il suo posto e il fare chiesa èespressione del carattere personale del suoessere chiesa.

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico

2 FRANCESCO, Convegno “E tu mangerai sempre alla mia tavola! (1Sam 9, 1-13)”, Settore per la Catechesi dellepersone disabili dell’UCN, Aula Paolo VI, 11 giugno 2016, www.vatican.va

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Per mettere in atto un processo trasfor-mativo generativo/inclusivo propongoalcuni passi:1. Da I care a We care. Lavorare insieme

contro il pregiudizio comunitario3 e met-tere in atto lo stile di Cristo «fare atten-zione ai piccoli particolari»4

2. Ordinarietà: osare linguaggi plurimi co-munitari5

3. Accompagnare verso la santità. La san-tificazione è un cammino comunitario, dafare a due a due6

4. «Sogno una Chiesa dove le persone condisabilità siano catechiste»7

Concludo donandovi un’immagine. Il SantoPadre, nell’omelia mattutina del 24 aprile,ha detto che “la Chiesa è come una biciclet-ta: va avanti finché cammina, quando si fer-ma cade”.Buona pedalata a tutti!

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

3 S. SORECA, L’iniziazione cristiana alle persone disabili. Orientamenti e proposte. Ricezione e attualizzazionein una pastorale inclusiva, EDB, Bologna, 2013, 39-54.4 EG 144.5 Cfr. IG 17; V. DONATELLO, Una fede per tutti: le persone disabili e l’annuncio di fede, in UCN, IncontriamoGesù. Annuncio e catechesi in Italia alla luce degli Orientamenti Nazionali, EDB, Bologna, 2014, 163-169.6 Cfr. GeE 61: «Detto in altre parole: in mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni, Gesù apre una breccia chepermette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o due precettiin più. Ci consegna due volti, o meglio, uno solo, quello di Dio che si riflette in molti. Perché in ogni fratello,specialmente nel più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio. Infatti, con gliscarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte. Poiché«che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e ilprossimo. Queste due ricchezze non svaniscono!». Cfr. Cap. III IG. 7 FRANCESCO, promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, Catechesi e per-sone con disabilità: un’attenzione necessaria nella vita quotidiana della Chiesa, Sala Clementina, 21 ottobre2017.

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Mi sono domandato che cosa significasse laparola “inclusività”, e come fosse possibileessere inclusivi. Ho provato a dare una ri-sposta, anche se siamo all’apertura del se-minario e dunque saranno i partecipanti chepotranno, alla fine del percorso, dare una ri-sposta più sicura. A me è comunque statochiesto di prendere in esame la Scrittura, emi limiterò a questo ambito.Partirei però dal magistero di Papa France-sco, che ha insistito molto sul rischio chel’esclusione prevalga nella nostra società, enella Evangelii Gaudium ha scritto che

abbiamo dato inizio alla cultura dello“scarto” che, addirittura, viene promossa.Non si tratta più semplicemente del feno-meno dello sfruttamento e dell’oppressio-ne, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclu-sione resta colpita, nella sua stessa radice,l’appartenenza alla società in cui si vive,dal momento che in essa non si sta neibassifondi, nella periferia, o senza potere,bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono“sfruttati” ma rifiuti, “avanzi” (n. 53).

Se il contesto in cui Francesco trattava que-sto tema era l’economia – poi ripreso e svi-luppato nella Laudato si’ (n. 22) – nondi-meno tali parole possono essere applicate atutti i livelli della civile convivenza, e sulpiano antropologico. Quale allora la soluzione? Come passaredall’esclusione, lo “scarto”, all’“inclusione”?La risposta che provo a dare è che l’inclusio-

ne viene solo dalla condivisione. È in fondoquello che Gesù chiede a quel dottore dellaLegge che lo interroga su chi si sia fatto pros-simo di quell’uomo caduto nelle mani dei bri-ganti (cf. Lc 10,36): il Samaritano si è fattoprossimo, non solo e non tanto perché è cor-so in aiuto a quel povero, ma anzitutto per-ché si è messo nei suoi panni. Un vescovoesegeta, Vittorio Fusco, proprio da questopunto di vista commentava la parabola:

Vuoi capire veramente chi devi considera-re tuo prossimo? Prova un po’ ad imma-ginarti nei panni di quel malcapitato feritodai banditi, e abbandonato moribondo aimargini della strada. Vorrei vedere se, inquel frangente, e dopo che due connazio-nali di purissima ascendenza israelitica aldi sopra di ogni sospetto hanno proseguitosenza fermarsi, staresti a tirare in ballo ituoi pregiudizi etnico-religiosi, rifiuterestidi farti toccare da quel Samaritano con lesue mani impure, o se invece non deside-reresti, disperatamente, che egli si fermas-se, non tenesse conto di quella barriera, ticonsiderasse suo prossimo semplicementein quanto uomo!1

È su questa linea allora che possiamo breve-mente esplorare il tema della disabilità nellaBibbia, non solo dunque a partire da chi “da”questa disabilità è stato guarito, ma da chi l’-ha vissuta e condivisa. Infatti dobbiamo ri-cordare che il tema della disabilità nella Bib-bia non solo è stato studiato a proposito delleguarigioni – o di quello che potremmo chia-

Lectio Divina Un percorso inclusivo

Fra Giulio Michelini, biblista

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico

1 V. FUSCO, Oltre la parabola, Borla, Roma 1982, 134-135.

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mare gli atti “inclusivi” di Dio nei confrontidel suo popolo, o di quelli compiuti da Gesùche risana e guarisce – ma anche delle disa-bilità di alcuni uomini e donne che sono pro-tagonisti di diversi racconti biblici.A guardar bene, infatti, sembra che la storiadella salvezza sia stata portata avanti daquelle persone che sembravano, ai nostriocchi miopi, meno adatte per questo. Se nonconsideriamo l’anzianità di Abramo e Saracome una vera e propria disabilità, quantopiuttosto di un limite che viene superato daDio stesso, che ne è invece dei figli e dei ni-poti di questa coppia?

Isacco. Appena dopo la sua nascita e il suosvezzamento, si legge in Gen 21,9 che «Sa-ra vide che il figlio di Agar l’Egiziana [=Ismaele], quello che lei aveva partorito daAbramo, scherzava con il figlio Isacco». Sein questa frase vi è un gioco di parole tra ilverbo mezachèq (“scherzava”) e il nomeIsacco (Yizchàq, legato al verbo “ridere”), inessa vi è forse anche molto di più. Paolo, ri-prendendo nella Lettera ai Galati la scenadei due fratelli per parlare della persecuzionedi alcuni cristiani giudaizzanti nei confrontidei convertiti dal paganesimo, scrive che«colui che era nato secondo la carne [ovve-ro Ismaele] perseguitava quello nato secon-do lo spirito [Isacco]» (Gal 4,29). Come sivede, è avvenuto un passaggio dall’idea discherzare in Gen 21,9 a quella di persegui-tare di Gal 4,29, che potrebbe spiegarsi colfatto che Paolo possa aver conosciuto un’in-terpretazione rabbinica – poi famosa nel Me-dioevo e ripresa anche da Rashi – che leg-geva in modo estensivo il testo di Genesi,midrash nel quale Ismaele lanciava frecce

contro il fratello, o addirittura lo molestavasessualmente. Come sia potuto accadere unatale amplificazione di pensiero, è difficile daspiegare e non è questo il contesto per farlo,ma l’effetto della persecuzione (secondoPaolo, almeno) di Ismaele nei confronti diIsacco è che Sara farà cacciare da Abramola schiava Agar col suo figlio Ismaele: èchiaro, a questo punto, che la madre staproteggendo non solo il figlio della promes-sa, ma quello che sembra essere il più de-bole tra i fratelli. Sia che Ismaele si volesseimpadronire della promessa riguardanteIsacco (appropriandosi del suo stesso no-me), sia che Ismaele molestasse in modograve il fratello (come sembrava credere an-che Paolo, insieme alla sinagoga), Isacco habisogno di essere difeso. Ed ecco che la debolezza di Isacco ora si in-contra con quanto, recentemente, e da piùparti, è stato spiegato da coloro che vedonoin Isacco una disabilità (che non è sempli-cemente la sua cecità senile, di cui si è dettomolto, e che causerà il fatto che verrà imbro-gliato dal figlio Giacobbe), disabilità originatamagari da cause genetiche (per il fatto cheAbramo e Sara, secondo Gen 20,12 sono fra-tellastri, cioè figli dello stesso padre), e chein effetti sembra emergere in modo semprepiù chiaro nel prosieguo della sua storia. Sarà pubblicato a fine 2018 uno studio diGianni Marmorini, intitolato Isacco. Il figlioimperfetto, nel quale si sostiene la tesi diuna grave disabilità (come la sindrome diDown o un ritardo mentale) del figlio dellapromessa. È la stessa interpretazione cheHaim Baharier sta divulgando da tempo nelnostro paese, e che è stata avanzata da altrirabbini2. Se qui c’è qualcosa che può im-

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2 Come Harold S. Kushner, How Good Do We Have to Be? A New Understanding of Guilt and Forgiveness,Little, Brown and Company, Boston – Toronto 1996, 73-74, per il quale Isacco aveva un grave ritardo mentale,o rav Seymor Rossel (cf. «Isaac: God’s Child»; http://www.rossel.net/images/Rossel_Isaac_Gods_Child.pdf).

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pressionare, è che la promessa di Dio possaadempiersi in tal modo, a partire dalle presein giro del fratello Ismaele, e anche da quelle– ha notato Marmorini – di Rebecca, che sesecondo la traduzione comune dopo aver al-zato gli occhi «vide Isacco e scese subito dalcammello» (Gen 24,64), invece secondo ilsenso letterale del verbo ebraico nafal, cad-de dal cammello. Se il midrash ritiene cheRebecca rimase impressionata dall’aspettomaestoso di Isacco (cf. Gen. Rabbah 60,14),Marmorini invece ipotizza che si spaventònel vedere nello sposo promesso – che nonaveva ancora incontrato – qualcosa che nonsi aspettava. D’altronde, risulta strano cheIsacco non si trovi una sposa da solo, masia un servo del padre Abramo a doverglielacercare (cf. Gen 24).

Giacobbe era certamente claudicante. Laragione per cui diventò zoppo è narrata al-l’interno del racconto dell’incontro con l’an-gelo – o Dio stesso – che lotta con lui (Gen32,32). Ma da quel momento in avanti ri-marrà segnato da una disabilità che lo se-gnerà forse per il resto della vita. Se poi que-sta disabilità dovesse riguardare, come altriesegeti hanno ipotizzato, la dimensione ge-nerativa, o altre implicazioni3, poco importa:Giacobbe è toccato nel suo corpo, nelle abi-lità che ora ha perso, e da quel momento inavanti sarà un eroe eponimo “zoppicante”4.

Mosè. Di Mosè sappiamo che era «impac-ciato di bocca e di lingua» (Es 4,11-12; cf.6,12.30). Difficile essere più precisi, e se già

da tempo l’interpretazione è che fosse bal-buziente (così Rashi), altri hanno pensatoche invece si riferisse alla sua incapacità diparlare la lingua egiziana5. Se questo perMosè poteva essere un limite, al punto chediventa l’estremo tentativo per provare a li-berarsi dal compito arduo che Dio gli chiededi portare avanti, da questa disabilità nascela collaborazione con Aronne, il fratello chesarà – dice il testo ebraico – suo “profeta”.Molto più suggestiva è l’interpretazione mi-drashica dell’episodio, una lezione per tuttinoi; alle obiezioni di Mosè, Dio rispose co-sì:

Non dispiacerti di non essere un oratoreeloquente. Sono io che ho fatto la boccaa tutti coloro che parlano, sono io che horeso alcuni uomini muti. Ad uno facciovedere, un altro non vede; uno può sen-tire, un altro è sordo. Se avessi voluto, tusaresti potuto essere un uomo dalla parolapronta. Ma io desideravo mostrare attra-verso te un miracolo. Ogni volta che lovorrò, le parole che metterò sulla tua boc-ca usciranno senza esitazione6.

Eud, il primo Giudice7 di cui parla l’omo-nimo libro aveva un problema con la manodestra. Più precisamente, nel testo ebraico sidice che Eud era «impedito» («chiuso») nelladestra. L’espressione potrebbe anche signifi-care un qualche problema fisico in quella ma-no, perché l’ebraico conosce un altro termineper «mancino», usato in 1Cr 12,2 a propositodi uomini che tiravano frecce sia con la de-stra che con la sinistra. Quanto si dice di Eud,però, si trova riferito anche di settecento Be-

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3 Cf. ad es. S. LEVIN, «Jacob’s Limp», Judaism 44 (1995) 325-327.4 T. GUR-KLEIN, Sexual Hospitality in the Hebrew Bible. Patronymic, Metronymic, Legitimate and IllegitimateRelations, Routledge, New York 2013, 230.5 N.M. SARNA, Exodus, The JPS Torah Commentary, JPS, Philadelphia, PA 1991, 21.6 L. GINzBERG, Legends of the Jews, JPS, Philadelphia, PA 2003, 513.7 Per questa parte ho liberamente attinto da: G. MICHELINI – G. GILLINI – M. zATTONI, Il libro dei Giudici. Letturaesegetica e contestuale familiare, San Paolo, Milano 2012.

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niaminiti di cui si parla in Gdc 20,168, guer-rieri che «erano capaci di colpire con la fiondaun capello, senza mancarlo». È possibile chegli uomini di questa tribù – e quindi Eud –venissero appositamente addestrati sin dapiccoli a usare la mano sinistra, per una pre-cisa strategia militare. I mancini, infatti, por-tando lo scudo con la destra – secondo quan-to testimonia Tucidide – non venivano inseritinelle schiere degli armati, ma utilizzati piut-tosto per un fuoco di copertura, anche perchédotati di una buona mira9. In ogni caso, quel-lo che accade a Eud sembra essere la regolaper quasi tutti i Giudici, a parte uno, Otniel.Grazie al suo impedimento nella mano de-stra, ma anche alla sua scaltrezza e all’ele-mento sorpresa, Eud infatti può, con i suoicompagni, sconfiggere diecimila Moabiti e li-berare la Terra d’Israele per ottant’anni. Il fat-to che Eud faccia leva su una sua fragilità ciricorda un’interpretazione già antica, quelladel monaco Giovanni Cassiano (c. 360-435d.C.), per il quale anche noi possiamo accre-scere il nostro potenziale spirituale se subor-diniamo il lato negativo e sfortunato a quellofortunato: come Eud (che per Cassiano eraambidestro) tutti gli uomini hanno questedue parti, ma si deve fare prevalere l’unapiuttosto che l’altra10.

Tutti gli altri Giudici vengono caratteriz-zati – chi più (come Sansone) chi meno –evidenziandone un aspetto problematico,

probabilmente anche perché solo in questomodo si può risolvere quel sospetto che laBibbia ha verso la gestione del potere. So-prattutto, questi uomini e queste donne chesaranno chiamati a governare Israele ven-gono ritratti «come deboli e carenti di quellacomponente necessaria che è comunementevista nella cultura come una forza (politi-ca)»; anche se con un deficit, potrannougualmente capitalizzare questa loro man-canza11. Gedeone, ad esempio, quando co-mincerà a contare sulla sua forza, diventeràviolento e vendicativo, Sansone probabil-mente soffriva di una vera a propria formadi sex-addiction.Iefte è figlio di una prostituta, per questo èrifiutato dai fratellastri. Fuggiasco, si devestabilire lontano dalla sua terra. La possibi-lità di riscatto gli viene però dalla sua com-petenza nella guerra: «era un guerriero for-te» (Gdc 11,1); per questo è chiamato daglianziani di quella gente che prima lo avevacacciato.Si è arrivati a dire, giustamente, che ciò chepiù di tutto accomuna i Giudici è la loro si-tuazione di singolarità o differenza rispettoalle normali storie degli uomini. Più in par-ticolare, qualcosa di molto evidente caratte-rizza la loro fragilità: che siano mancini (co-me Eud), o appartenenti a uno stato socialemediocre (come Gedeone), o siano statibanditi dal loro popolo (Iefte), o siano donne(come Debora), oppure affetti da debolezze

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8 L’espressione che viene usata per loro dice che avevano lo stesso problema alla mano. La traduzione verso ilgreco dei Settanta, però, attenua e interpreta, scrivendo che erano «ambidestri» (esattamente come la CEI traduceora per i Beniaminiti in 20,16, mentre poco sopra, in 3,15, traduce che Eud era «mancino»). Flavio Giusepperisolve scrivendo che Eud era «superiore» con la mano sinistra, ma non dice nulla della destra.9 Per queste e altre informazioni si può vedere Fabio FABBRO, Destra e sinistra nella Bibbia. Uno studio neu-ropsicologico, Prefazione di R. FABRIS, Guaraldi, Rimini 1995. Tra le altre cose lì leggiamo che il fatto che i manciniabbiano una buona mira è stato confermato anche da studi neuropsicologici recenti (p. 97).10 Cf. D.M. GUNN, Judges Through the Centuries, Blackwell Bible Commentaries, Blackwell Publishing, Malden,MA 2005, 36.11 Insiste su questo tema Mira Morgenstern, Conceiving a Nation. The Development of Political Discourse inthe Hebrew Bible, Pennsylvania State University Press, University Park, PA 2009, 57-61.

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molto umane (Sansone), proprio per questaragione – e non solo per il loro eroismo –sono chiamati da Dio, e per questo possonodiventare non solo modelli per i credenti:conta, infatti, che possano essere solidalicon loro. A guardare bene, la stessa logica si ripetenella storia della salvezza, come si è vistosopra: Abramo e Sara erano anziani quandoviene annunciata loro la nascita di Isacco;Mosè è balbuziente quando viene chiamatoa parlare al Faraone, Davide è il minore del-la famiglia, il meno adatto a guidare una na-zione… eppure questi sono scelti, per la lorodebolezza. In loro così può emergere, in mo-do più evidente, la potenza di Dio.

Saul. Il primo re di Israele era probabilmen-te affetto da una grave disabilità psichica edolorosa. Ne parla in più luoghi il Primo li-bro di Samuele, dai capitoli 8–31. Questocaso è stato studiato anche dal punto di vi-sta medico, e in un articolo apparso in unarivista specializzata di medicina clinica, ladiagnosi è che fosse affetto da un disturbomentale caratterizzato da episodi maniacali,che potrebbe essere oggi descritto come unagrave depressione con caratteristiche psico-tiche, o anche come disturbo bipolare I12.Ma è meglio essere prudenti, senza sovrap-porre le conoscenze mediche moderne alleconcezioni del mondo antico (monito cheviene dal più articolato studio sulla follia diSaul, di Philip F. Esler13). Noi ci fermiamosul testo così com’è, e ci accorgiamo che la

malattia di Saul è in qualche modo funzio-nale a dimostrare come il primo re degliEbrei debba essere rimpiazzato da Davide.E non a torto: la malattia di Saul prendel’avvio dal fatto che egli, avendo per duevolte irritato Dio, sa di essere stato rigettatoda lui. Ancor prima di essere affetto da unamalattia psichica, viene presto contagiatodalla “malattia del potere”, diventando unre come quello degli “altri popoli”.

L’inclusione. E potremmo andare oltre, maper l’economia dello spazio di cui dispongosiamo giunti alla fine del nostro ragiona-mento. Certo, il rischio di questo modo diprocedere potrebbe essere, banalizzando iltutto, “mal comune mezzo gaudio”. Ci po-tremmo infatti consolare del fatto che moltiuomini e donne presentino, stando ai rac-conti biblici, evidenti segni di disabilità.Per evitare questa deriva possiamo avanzarealcuni argomenti, ricordando però che in pri-mo luogo non si dovranno sovrainterpretarei testi. Un esempio riguarda la cecità di Lia,descritta come avente gli “occhi smorti” (Gen29,17). Per alcuni si tratterebbe di una veracecità14, ma l’ebraico rak (rakkot) viene resodalla traduzione della LXX con astheneis, oc-chi “deboli”, e dalle traduzioni di Aquila eSimmaco con hapaloi, “delicati”, “teneri”15.La cecità nei racconti di Genesi riguarda piut-tosto quella di Isacco, che per questo è im-brogliato dal secondogenito Giacobbe16.Oltre dunque al principio generale di nonforzare le interpretazioni delle pagine bibli-

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12 L. BEN-NOUN, «What Was the Mental Disease that Afflicted King Saul?», Clinical Case Studies 2 (2004) 270-282.13 P.F. ESLER, «The Madness of Saul: A Cultural Reading of 1Samuel 8-31», in J.C. EXUM – S.D. MOORE (edd.),Biblical Studies/Cultural Studies, Sheffield Academic Press, Sheffield 1998, 220-262.14 Cf., ad es., G.L. ALBRECHT (ed.), Encyclopedia of Disability, Sage Publications, Thousand Oaks, CA 2006, 188.15 Cf. J. SKINNER, A Critical and Exegetical Commentary on Genesis, T&T Clark, Edinburgh 1910, 383.16 Sulla cecità di Giacobbe in rapporto a Lia, si può vedere ora J. RABOW, The Lost Matriarch. Finding Leah inthe Bible and Midrash, JPS, Philadelphia, PA 2014.

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che, si possono avanzare altri argomenti.Il primo. Comunque si vogliano leggere lepagine che abbiamo brevemente evocato,nella Bibbia la disabilità è una costruzioneculturale. La dimostrazione di questo è quel-la forma di mutilazione sessuale vera e pro-pria che è la circoncisione. Come si legge inuno studio su questa pratica, essa anzichéessere vista come un limite, una limitazione,una disabilità, assume sul piano religioso eculturale un significato positivo. Anzi, se-condo le parole di Dio ad Abramo, il primocirconciso ebreo, è questa “mancanza” arendere invece “perfetti”17, in quanto segnoperenne, nella carne, dell’alleanza con Dio.Il secondo. L’idea centrale è che comunqueuna debolezza o una fragilità o una disabilitàpossono diventare punto di forza, secondoquanto scrive anche l’apostolo Paolo: «quan-do sono debole, è allora che sono forte»(2Cor 12,10). A scrivere è uno che – standoal racconto degli Atti degli apostoli – è statocieco per qualche giorno. Se agli occhi degliuomini la disabilità è un limite, nello sguardodi Dio è invece un’ulteriore possibilità. Il terzo argomento dice che se Gesù ha pre-so su di sé la nostra natura umana, egli nonè tanto l’uomo “perfetto” – definizione checi potrebbe portare a pensare al Cristo come

a un “superuomo” nietzschiano o a un mo-derno “Superman”. Come si legge nell’innocristologico della Lettera ai Filippesi, CristoGesù «pur essendo nella condizione di Dio,non ritenne un privilegio l’essere come Dio,ma svuotò se stesso assumendo una condi-zione di servo, diventando simile agli uomi-ni. Dall’aspetto riconosciuto come uomo,umiliò se stesso facendosi obbediente finoalla morte e a una morte di croce» (Fil 2,6-8). Gesù è soprattutto un uomo “vero” – è“vero” uomo – e poiché nell’esperienza degliuomini e delle donne, nel loro DNA, vi è an-che la possibilità di quelle che chiamiamodisabilità, possiamo dire che il Figlio ha as-sunto anche quelle, non solo tramite l’incar-nazione, ma soprattutto nella sofferenza cheha vissuto attraverso la sua passione e mor-te. È lì che Gesù ha vissuto, come ogni uo-mo e donna toccati dalla prova nel corpo –con quei segni della passione che porta an-che da risorto (cf. Gv 20,20.25) – ha vis-suto e vive ancora quello che i nostri fratellie le nostre sorelle sperimentano continua-mente nel loro corpo. Così facendo ci per-mette di essere inclusivi ed accoglienti, per-ché solo in questo modo, pensando a quan-to Egli ha fatto, siamo in grado di mettercinei panni di coloro che vivono la disabilità.

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17 «When Yhwh speaks to Abraham and commands the practice, he begins with: “Walk before me and be tamim”(17:1). There is a strong implication here that circumcision makes a male body whole or complete»; D.T. STEWART,«Sexual Disabilities in the Hebrew Bible», in Disability Studies and Biblical Literature, C.R. Moss – J. SCHIPPER,(edd.), Palgrave Macmillan, New York 2011, 67-87; 72.

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Nell’arte paleocristiana troviamo spesso larappresentazione di uomini e donne in pre-ghiera. La loro postura ci fa riflettere sull’im-portanza della poetica del corpo nell’azionedel credere. In genere queste figure stannoin piedi con la testa rivolta verso l’alto, lebraccia tese, gli occhi bene aperti. Non è so-lo la mente che prega ma tutto il nostro cor-po. La preghiera abita tutti i nostri sensi, perquesto i padri del deserto dicevano che apri-re le mani, prima ancora di proferire parolaè già pregare. Se la gestualità è relazione, ilnostro corpo è linguaggio e relazione. Nonpotrebbe essere altrimenti. Spiritualità nonsignifica proiettarsi in un futuro ipotetico,ma saper cogliere l’invisibile nel visibile,scoprire una dimensione altra dentro una re-altà concreta che ci sta come presente. Tuttii nostri sensi sono coinvolti con dolore estupore, con conoscenza e ignoranza, con lapromessa che ci giunge non in un futuro in-definito e astratto, ma già oggi in questomomento. Ricordiamo il testo del salmo 39che Gesù fa suo nella lettera agli ebrei “Tunon hai voluto né sacrificio né offerta, uncopro mi hai preparato”. La spiritualità cri-stiana ha un corpo, ha un peso, esperienza,storia, luogo, trama e vissuto. Il più dellevolte quello che manca all’itinerario creden-te non sono idee, ma risonanza, spessore,non mancano i concetti, ma il grido univer-sale che sgorga dal corpo, il suo comune equotidiano respiro ci avvicina di più a Diodi qualunque espressione concettuale.

LA CARNE E IL TEMPO DI DIO

L’esperienza spirituale, è l’esperienza nudadi noi stessi. È solo nella povertà della no-stra carne e del nostro tempo che possiamovedere la carne e il tempo di Dio. Non rifug-gendo dal banale e dall’ordinario, perché luisi manifesta lungo l’arco dell’intero compier-si del nostro cammino. C’è una poetessa portoghese, Sophia deMello Andresen, che dice: “Credo nella nu-dità della mia vita”. Per quanto difficile econfusa possa sembrare, non esiste via piùlucida per poter cominciare il nostro viaggiospirituale.Se volessimo trovare un sinonimo della no-stra spiritualità, diremmo senza paura disbagliare interiorità, e interiorità sembra es-sere anche il concetto più affine all’idea dimistica. Un esponente del pietismo delXVIII° secolo così si esprimeva: “Chiudi laporta dei tuoi sensi e cerca Dio nel profon-do”. La sua proposta ben esprime quella chepotremmo definire la spiritualità dell’anima.Sviluppava l’idea che il cammino che con-duce a Dio è essenzialmente un esercizio in-teriore, che costringe a relativizzare i sensidel corpo, o rinunciarvi. Per raggiungere ildivino l’anima deve immergersi nell’animastessa. Il divino sfugge alla potenzialità delcorpo e alla sua grammatica e si lascia scan-dagliare solo del radar della profondità piùassoluta. La via per raggiungerlo passa perla rottura dei legami con il mondo quelli abi-

Per essere iniziati alla fede:i cinque sensi

S.E. Mons José Tolentino Mendoça, arcivescovo di Suava (Portogallo)

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tuali del quotidiano, per accedere all’interio-re. In un’opera emblematica: “La vera reli-gione”, sant’Agostino diceva, “Non uscirefuori di te, rientra in te stesso”. Bisogna ri-conoscere che la mistica più antica, e anchela nostra ha sviluppato questo tema, e que-sto ci fa intendere che occorre leggere quelglorioso patrimonio alla luce di un’antropo-logia più ampia. Il grande San Giovanni del-la Croce, diceva che: “Quanto più l’animaprocede al buio e libera dalle operazioni na-turali, tanto più sicura procede”, la salita almonte mistico prevedeva di assumere comeprogramma la notte dei sensi, andare alla ri-cerca delle cose spirituali e interiori e com-battere lo spirito di imperfezione, generatodal sensoriale e dall’esteriore. Questo mo-dello segna ancora la spiritualità cristianavicina a noi. L’eccessiva interiorizzazionedell’esperienza spirituale, il distacco dalmondo restano di fatto caratteristiche nel-l’interpretare la spiritualità e l’iniziazione cri-stiana oggi. Ciò che è spirituale è considerato superiorea quanto viviamo rispetto ai sensi. L’uno èconsiderato complesso e profondo, l’altro èvisto come epidermico e sempre un po’ fri-volo.

IL RESPIRO DI DIO

Nel corpus della rivelazione biblica non tro-viamo queste dissociazioni, tra corpo e ani-ma, interiorità ed esteriorità, al centro dellarivelazione biblica c’è la vita che Dio ama,perché come insegna Gesù “Dio non è deimorti, ma dei viventi; perché tutti vivono perlui” (Lc 20,38), così come non troviamo nes-suna avversione nei confronti del corpo, nelracconto di Genesi 2,4-7 “Queste sono le ori-gini del cielo e della terra, quando vennerocreati. Nel giorno in cui il Signore Dio fede la

terra e il cielo nessun cespuglio campestre erasulla terra, nessuna erba campestre era spun-tata, perché il Signore Dio non aveva fattopiovere sulla terra e non c’era uomo che la-vorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgor-gava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Al-lora il Signore Dio plasmò l’uomo con polveredel suolo e soffiò nelle sue narici un alito divita e l’uomo divenne un essere vivente”.Che cos’è questo soffio di vita? Non è altroche il respiro di Dio, il suo Spirito che ora èin ogni vivente, si perfezione come fontestessa dell’esistenza, si codifica nei sensi enelle manifestazioni vitali della personaumana. Con la creazione si è stabilita un’af-fascinante e indissolubile alleanza, quellache unisce spiritualità divina e esperienzaterrena, e dove potremmo sperimentare me-glio lo spirito divino se non nei contorni diquesta carne che si è fatta viva, come po-tremmo entrare in contatto con il suo soffiose non a partire dal fango, come potremmoaprirci al suo tangibile passaggio se non at-traverso i sensi.La concezione biblica difende una visioneunitaria dell’essere umano, dove il corponon è mai un rivestimento esterno del prin-cipio spirituale, o una prigione dell’anima,come vorrebbe il platonismo e le sue tanterepliche. Nella creazione il corpo è immaginee somiglianza di Dio. Come afferma il teo-logo Louis Marie Chauvet, “Il più spiritualenon avviene altrimenti che nella mediazionedel più corporeo”.Potremmo adattare dunque la frase di Nietz-sche: “C’è più ragione nel tuo corpo che nel-la tua migliore sapienza”, dicendo che c’èpiù spiritualità nel nostro corpo che non nel-la nostra migliore teologia, o nella nostramigliore spiritualità.Legati a quel seme divino che non solo tra-sportano, ma che è la loro essenza, gli uo-mini e le donne sono chiamati ad appro-

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priarsi creativamente, con tutti i loro sensiallo smisurato prodigio della vita. La vita èun immenso laboratorio e ci permette di sco-prire il riverbero di una fantastica presenza,quella dei passi di Dio. È necessario tornarea vedere il corpo che noi siamo e la nostraesistenza come perfezione di un amore di-vino incondizionato: “Dio infatti ha tantoamato il mondo da dare il Figlio unigenito,perché chiunque crede in lui non vada per-duto, ma abbia la vita eterna” (Gv3,16). Ilcorpo che noi siamo, e tutti i corpi sonogrammatica di Dio, è attraverso il nostrocorpo che apprendiamo. Il filosofo Merleau-Ponty ci ricorda che: “Ancor prima dell’ap-prendimento linguistico ci leghiamo alla no-stra lingua materna attraverso il corpo”. Isegni vocali devono per prima cosa abitarein noi, stare immersi a lungo nella memorianotturna del nostro corpo, tatuarsi sulla no-stra pelle. Con la lingua di Dio avviane qual-cosa di molto simile. Meravigliosa immaginequella che ci viene consegnata dal salmo139,15-16: “Non ti erano nascoste le mieossa quando venivo formato nel segreto, ri-camato nelle profondità della terra. Ancorainforme mi hanno visto i tuoi occhi”. Questaimmagine ci mostra che il nostro copro èuna lingua materna, la lingua materna diDio, il nostro corpo è come una porta che ciapre verso l’incontro con Dio. Incontro de-finito da Karl Rahner come mistero radicale,vicinanza e non distanza, amore che donase stesso e non giudizio. Dio ci attende inogni cosa che incontriamo, non si tratta diritirarci dalla sfera fisica, la sfida è rimanerein sé e sperimentare con tutto i sensi la re-altà delle persone e delle cose che ci sfiora-no, la sfida è gettarci tra le braccia della vita,e sentire battere il cuore di Dio, senza fughedalla vita così com’è.Penso a quell’irrinunciabile diario di EttyHillesum nel campo di concentramento scrit-

to in ore buie e senza la speranza di essereascoltata: “Com’è strano c’è la guerra, ci so-no i campi di concentramento, piccole bar-barie si sviluppano di giorno in giorno, co-nosco il grande dolore umano, la persecu-zione, l’oppressione, eppure in un momentodi abbandono io mi ritrovo sul petto nudodella vita, le sue braccia mi circondo in mo-do dolce e protettive, il battito del suo cuore,non so ancora descriverlo, così lento e irre-golare, così smorzato, ma così dolce, così fe-dele come se non dovesse arrestarsi mai”.

ILLUMINA I SENSI

Accende lumen sensibus, illumina i sensi re-citava un’antica invocazione, non lasciandodubbi sulla necessità del coinvolgimento deisensi nell’espressione del credere. I nostrisensi ci aprono alla presenza di Dio nel-l’istante del mondo. Attraverso i sensi pos-siamo ricevere e tramettere Dio. Ci mancaperò un’educazione dei sensi, che ci insegnia prendercene cura, ad affinarli, a coltivarli,“Non so sentire, non so essere umano, scri-veva Fernando Pessoa, e continuava, hosentito troppo per poter sentire ancora”. Ineffetti l’eccesso di stimoli sensoriali a cui sia-mo esposti, ha conseguenze opposte, nonamplia la nostra capacità di sentire, ma laporta ad un’inevitabile atrofia. Se solo po-tessi sentire! è il motto della disperazionecontemporanea che si esprime dopo averprovato tutto nella vertigine e nella convul-sione, ma anche l’indifferenza per i sensiche giunge a un certo punto della vita, ed ècausa di annichilimento, “la pelle non mi hainsegnato niente”, si lamentava il poeta Re-né Crevel. È quello che avviene nella nostracatechesi, il corpo non ci ha insegnato nien-te di Dio, perché la nostra preoccupazione èpassare libri, concetti, teorie, e non comin-

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ciare da quello che è più ovvio, ma è più dif-ficile da vedere che è il nostro corpo. Il ge-suita Michel de Certeau, che ha tanto stu-diato la mistica, sosteneva che nell’esperien-za spirituale il corpo è informato, la pelle in-segna.

SENSIBILITÀ STRUMENTALIZZATA

Noi viviamo tutti in questo corpus che è lanostra cultura, che strumentalizza la nostrasensibilità, basta dare ascolto al più grandecomunicatore del novecento MarshallMcLuha per capire in che misura la forzadella comunità faccia dell’uomo la sua pre-da. A proposito della televisione fornisceuna spiegazione chiarissima. “Uno degli ef-fetti della televisione, è quello di accantona-re l’identità del singolo. Per il semplice fattodi guardare la televisione le persone si tra-sformano in gruppi di pari, perdono l’inte-resse per l’individualità”. A ben guardare glistrumenti che si trovano nella comunicazio-ne di oggi dentro la chiesa, e nella comuni-cazione della ritualità, interagiscono solocon i due sensi che servono a captare i se-gnali in distanza, la vista e l’udito. Le nostrecelebrazioni sono uno spettacolo che si vedee una parola che si ascolta. E non abbiamocoraggio ne immaginazione per qualcosa dipiù. Da qui deriva un’ipertrofia degli occhi edelle orecchie, sui quali viene a ricadere tut-ta la partecipazione al reale: “Hai visto que-sto?”, “Hai sentito quello?”. Il nostro quoti-diano è continuamento bombardato dallapressione del vedere e del sentire. È superfluo ricordare che non in tutte le cul-ture è così, ma questo sovraccarico dei sensitesi a captare ciò che è lontano rivela la ca-renza di sviluppo e di povertà cui sono re-legati gli altri sensi. Sviluppiamo i sensi dellalontananza anche nella celebrazione della

fede. Questi due sensi della lontananza, cidanno una certa esperienza della realtà econfigurano una certa spiritualità, una co-noscenza del mondo e di Dio. Pensiamo agli altri sensi. Per gustare devointrodurre il cibo, l’acqua, nella cavità dellabocca. È un processo di internalizzazione.L’olfatto, è molto misterioso, ma un sensofusionale. Quando riesco a rendermi contodi un odore quello che è già dentro di me.Il tocco è il senso che sta in tutto il nostrocorpo, dalla testa ai piedi, ma esige la pre-senza dell’altro e della realtà, questo ci ob-bliga a pensare, a usare una creatività pa-storale, a valorizzare quello che nella liturgiaè già centrale in riferimento a questi sensi,altrimenti diventiamo analfabeti sensoriali,e uno ignora tanto di Dio, ignora il misterodell’incarnazione.

LA BIOGRAFIA DELLA PELLE

La nostra autobiografia è anche una storiadella pelle, una storia dei sensi, del modo incui assaggiamo le cose, tocchiamo, del mo-do in cui siamo stati o non stati toccati. C’èun’autobiografia spirituale che viene raccon-tata dai cinque sensi. Non è un caso l’im-portanza straordinaria dei sensi negli incon-tri di Gesù. La domanda che Gesù ha postodentro una folla che lo pressa da ogni parte:“Chi mi ha toccato”?, è una domanda stranache i discepoli non capiscono, ma una do-manda fondamentale per iniziarci all’espe-rienza di fede. In questo bisogna dire che lepersone con disabilità, sono i nostri maestri,maestri dei sensi e di quello che significanoi sensi. La disabilità è in grande misura unacostruzione culturale, noi vediamo alcunedisabilità, ma non abbiamo sensibilità per ri-conoscerne altre, soprattutto per riconoscerele nostre. Sulla teologia dei sensi noi abbia-

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mo tanto da imparare. In chiesa con i ragaz-zi la nostra preoccupazione è invitarli a starezitti, c’è tanta possibilità di vita, c’è tantageneratività spirituale che scartiamo conuna visione astratta e concettuale della fede.In questo siamo lontani dall’essenziale, c’èuna conversione antropologica della fedeche noi abbiamo bisogno di acquisire, per-ché siamo maggiormente preoccupati dellacredibilità razionale, che della sua credibilitàesistenziale, antropologica e affettiva. Dob-biamo domandarci, la fede affettivamente ècredibile nelle nostre comunità, la fede è esi-stenzialmente credibile, o è solo razionale?Purtroppo la nostra teologia si è soffermataa dibattere le questioni sollevate dall’illumi-nismo e si è allontanata dal romanticismo,abbiamo lasciato da parte l’emergere delsoggetto e il suo male di vivere. Di fatto sia-mo una miscela di tante componenti emo-zionali, psicologiche e spirituali, di tutte dob-biamo acquisire consapevolezza, dobbiamoguardarci nella nostra interezza, non negar-la, perché è così che Dio ci guarda. Parlare di una mistagogia basata sui sensi,è parlare di una mistagogia basata nell’espe-rienza dell’amore. Respirare, non significasolo assumere aria, è esistere con, è viverenell’amore. Assecondare il mistero significaentrare nella sfera del singolare, dell’affetti-vo. Dio è complice della nostra affettività.Onnipotente Dio e fragile Dio, impassibile

Dio e passibile Dio, intangibile Dio e amo-revole Dio. La più folle delle presunzioni cri-stiane, non si trova nelle affermazioni me-tafisiche, ma è l’affermazione della fede nel-la risurrezione del corpo. Ciò che sa risve-gliare i sensi è l’amore. È importante parlaredei cinque sensi, poi ognuno di noi li svi-luppa in tante possibilità, le diverse patolo-gie dei sensi dimostrano che quando l’amoremanca la nostra vitalità è congelata. Unadelle crisi più gravi dei nostri modelli dievangelizzazione è la separazione tra cono-scenza di Dio e amore del corpo, amoreespresso nei sensi. La spiritualità dei sensiva alla ricerca di una scienza che si ottienesolo amando. Amare significa aprirsi, rom-pere il cerchio dell’isolamento, abitare insie-me quel miracolo che è la capacità di starecon noi e con gli altri contemporaneamente.L’amore è il disgelo, si configura come unaforma di ospitalità. L’amore è abitare l’unonell’altro, ma richiede a chi lo asseconda didisporsi con cuore disarmato, l’amore è uncammino che ci conduce alla speranza. Unaspiritualità basata sui sensi, non è una spi-ritualità facile, unica, lineare, ha la sua com-plessità, ha il bisogno di continuo di impa-rare il suo significato, la sua possibilità. C’èun modo per non soffrire, è non amore, maquesto nessuno di noi vuole, per sé e per glialtri.

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Iniziazione cristiana, comunità,inclusione: a che punto siamo?

Fratel Enzo Biemmi, catecheta

L’obiettivo di questo mio intervento è dauna parte di restituire le prese di coscienzadella prima parte del convegno sull’inizia-zione cristiana e dall’altra di far intuire lagrazia per la comunità cristiana di iniziarealla fede le persone disabili.Lo faccio attraverso tre passaggi:1. Nel primo provo a dire in sintesi cosa ab-

biamo cominciato a capire sull’IC, anchea partire dal Convegno dei Direttori UCDappena concluso.

2. Nel secondo raccolgo quanto emerso at-torno a un’espressione cara a papa Fran-cesco: “corpo a corpo”.

3. Nel terzo accenno al dono che ci vienefatto di ricuperare tutti i sensi della fedegrazie alle persone disabili.

1. COSA ABBIAMO COMINCIATO ACAPIRE SULL’IC?

Questo convegno, nelle sue tre tappe (dei Di-rettori UCD, del Settore per la catechesi dellePersone Disabili, del Settore per il Catecume-nato), segna un appuntamento che da unaparte conferma il cammino di IC in atto nellenostre chiese italiane e dall’altra intende se-gnare esplicitamente una tappa nuova, of-frendo o rinforzando una nuova prospettiva.Questa prospettiva si trasforma anche inmandato esplicito per le nostre comunità.Per potere comprendere questo mandato ri-percorro prima di tutto il cammino fatto finoad ora rispetto all’IC.Da una ventina di anni la Chiesa italiana hainvestito molto nel rinnovamento dell’IC: dal

mio punto di osservazione è la Chiesa euro-pea che probabilmente si è maggiormenteimpegnata in questo ambito. Alcune diocesihanno fatto da apripista, con molto corag-gio; altre più recentemente hanno tratto pro-fitto di questo impegno e si sono ispirate amodelli di rinnovamento che avevano giàqualche anno di sperimentazione; altre co-munità stanno ancora alla finestra, deside-rose di partire ma esitanti, in cerca di orien-tamenti e indicazioni di percorso sufficien-temente sicuri; altre, infine, dobbiamo rico-noscerlo, si limitano a ripetere stancamentequello che si è sempre fatto. Il motivo diquesto lavoro ci è chiaro: la constatazioneche l’IC non inizia più o inizia molto debol-mente alla fede.Il lavoro di questi anni si è svolto tra mo-menti di entusiasmo e di scoraggiamento,convinzioni forti e dubbi che hanno fattospesso capolino, costanza per i tempi lunghima anche ripensamenti, frenate e retromar-ce. Il tutto ha comportato un impegno no-tevole nella riqualificazione dei catechisti edei parroci implicati, un dispendio di energieche qualche volta è risultato perfino supe-riore alle risorse disponibili. Oggi sentiamola necessità di un rinnovamento, ma di unrinnovamento “sostenibile” per le nostre co-munità reali.Che ne è di tutto questo lavoro? Possiamooggi dire che abbiamo raggiunto qualchepunto fermo?Da questo percorso non privo di ostacoli etutt’altro che concluso abbiamo saputo im-parare, riflettendo, condividendo, aggiustan-do il tiro quando è stato necessario. Pur nel-

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la pluralità delle scelte e dei percorsi siamoarrivati per il momento ad una conclusionecondivisa che così riassumo: il rinnovamen-to dell’IC non è primariamente una sfida ca-techistica, ma ecclesiologica. Vorrei motivare questa affermazione.– La prima tappa è stata la rinuncia a pen-sare che il rinnovamento dell’IC sia prima ditutto una questione di rinnovamento dellestrategie o dei modelli di catechesi. Anchecoloro che con generosità e impegno (e forsecon qualche comprensibile ingenuità) ave-vano attribuito a determinati modelli la chia-ve di soluzione dell’impasse in cui ci trovia-mo sono arrivati alla stessa convinzione:non sono i modelli la vera risposta a questasfida. Neppure il modello catecumenale, cheha ricuperato formalmente e materialmenteil processo iniziatico dei primi secoli dellachiesa sulla spinta del RICA (da cui le trenote CEI sull’IC), è in grado da solo di rin-novare l’iniziazione cristiana. Rischia infattidi essere il vino nuovo in otri vecchi. L’otrevecchio è la comunità, o meglio la “non co-munità ecclesiale”, la mancanza di un grem-bo comunitario generativo. Il modello cate-cumenale, il modello dei 4 tempi, il modelloconsueto rinnovato sono sterili o fecondi (lafecondità secondo Dio e secondo i suoi tem-pi, naturalmente) a seconda di questa con-dizione: che ci sia un tessuto ecclesiale ge-nerativo, che ci sia una comunità così ap-passionata della vita che desideri fare figli.Si genera là dove c’è un grembo e c’è ungrembo là dove c’è desiderio. Al punto di ar-rivare a dire che, se c’è una comunità desi-derante, anche i modelli molto tradizionalipossono essere efficaci.– Siamo dunque tornati al palo, al punto dipartenza dopo venti anni di lavoro? Nonesattamente.Il risultato di questo cammino generoso edelle convinzioni maturate a prezzo di im-

pegno e passione pastorale è confluito negliOrientamenti CEI Incontriamo Gesù (2014).E si è coagulato attorno a un’espressioneche costituisce per il momento il nostro oriz-zonte di riferimento: ispirazione catecume-nale. Non facciamo più coincidere la ripresaformale del modello catecumenale (che pre-vede tra l’altro il riordino dei sacramenti)con l’ispirazione che ha connotato questomodello dei primi secoli, ispirazione che quelmodello ci ha tramandato ma che lo trascen-de, generando altri modelli adatti a situazio-ni storiche e culturali profondamente muta-te. Cogliere l’ispirazione del modello catecu-menale, riconoscerla presente anche in tuttigli altri modelli che nella storia della Chiesahanno saputo generare alla fede, significaquesto: distinguere ciò che non è abbando-nabile per salvare l’essenziale e sapere ab-bandonare ciò che non è essenziale per sal-vaguardare il tutto. E cos’è questo “non ab-bandonabile” a cui diamo il nome “ispira-zione”? Da quello che abbiamo capito finoad ora, grazie a chi ci ha messo l’impegnoe la creatività, è questo: è l’iniziazione cri-stiana l’atto generativo di una comunità chetramite un bagno di vita ecclesiale proponecon gioia un tirocinio, un apprendistato allavita cristiana attraverso le tappe sacramen-tali, per persone che non hanno più o quasipiù o non ancora un’esperienza concreta divita cristiana, cioè di relazione con il SignoreGesù all’interno della comunità dei suoi di-scepoli. Un bagno di vita ecclesiale. Nonpiù preparare ai sacramenti, ci siamo detti,ma iniziare alla vita cristiana attraverso letappe sacramentali. E la condizione di tuttoquesto è evidente: che ci sia una comunitàche accoglie l’amore del Signore, ha deside-rio di avere dei figli, li concepisce, li parto-risce, li fa crescere, li accompagna, lasciache vivano il dono di cui essi sono portatorisenza volerne fare delle fotocopie. Desidera-

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re, concepire, partorire, avere cura, lasciarpartire: i verbi del generare sono i verbi del-l’iniziazione cristiana. Essi chiedono unamadre che desidera dei figli. Una madre,non una baby sitter.

– È quanto ci siamo sentiti dire dalla rela-zione di Mons. Erio Castellucci in aperturadel Convegno dei Direttori UCD. Con un lin-guaggio semplice, impregnato di Scrittura, ilvescovo di Modena-Nonantola ci ha ricor-dato l’orizzonte ecclesiologico indispensabi-le: il volto di una comunità feconda rispettoad una comunità sterile. Ci ha proposto lacoraggiosa metafora del parto di Paolo: «Fi-gli miei, che io di nuovo partorisco nel do-lore finché Cristo non sia formato in voi!»(Gal 4,19) e ci ha fatto rispecchiare nelle fi-gure bibliche di Sara e Agar.Riascoltiamo la sua conclusione: «Il passag-gio fondamentale oggi mi sembra proprioquesta consapevolezza “olistica”, a tutti i li-velli della maternità ecclesiale. A partire dal-la consapevolezza che di fatto è l’intera co-munità che genera – o non genera alla fede;Sara non è, e non deve essere, solamente“la catechista”, ma tutta l’assemblea euca-ristica, e specialmente l’insieme degli opera-tori pastorali, a partire dai presbiteri e daidiaconi, passando attraverso i consacrati,per comprendere gli animatori della liturgia,del coro e dell’oratorio, gli allenatori, le per-sone impegnate nella Caritas e nella SanVincenzo, i capi scout e gli educatori diAzione Cattolica e così via. O l’intera comu-nità si rende conto di essere grembo, oppurequesto grembo sarà sterile. Un approccio“olistico” dunque comporta l’integrazionefra i diversi ingredienti dell’esperienza cri-stiana e tra i diversi soggetti della comunità,che sono – lo sappiano o meno – dei testi-moni per tutti coloro che sono generati allafede».

2. UN’INIZIAZIONE “CORPO ACORPO”

Siamo ora in grado di comprendere il puntoin cui ci troviamo.– Nel post concilio abbiamo assistito a unaipervalorizzazione della catechesi, sovracca-ricandola di tutto il compito iniziatico. Manmano che veniva meno la trasmissione di fe-de per osmosi, cioè di un contesto di cristia-nesimo sociologico o civile (qualcuno ha det-to: di catecumenato sociologico), si è caricatala catechesi di tutto il compito di generazionealla fede, assegnando ad essa e mettendo sul-le spalle dei catechisti (delle catechiste, di fat-to) una quantità di compiti che da una parterichiedono delle competenze da superuominio superdonne, dall’altra chiedono di fare inun’ora settimanale di insegnamento quelloche può essere trasmesso soltanto in contestisignificativi di vita. Compito quindi, quello af-fidato alla catechesi, doppiamente impossibile.Ora lo stiamo crudamente sperimentando.Abbiamo pensato che generare alla fede fosseun affare quasi esclusivo della catechesi (Sa-ra, la comunità ecclesiale, ha affittato il grem-bo di Agar, la catechista, non facendo propriala promessa di Dio). Questo è stato il danno.Poi, visti gli scarsi risultati (e siamo agli annirecenti), per reazione c’è stata una svaluta-zione della catechesi, se non addirittura unprocesso alla catechesi (e questa è la beffa).La si è accusata di essere solo cognitiva, in-tellettuale, di trasmettere solo conoscenze,dottrine, norme morali. Prima si delega, poisi critica. L’attenzione ecclesiale si è alloraspostata dalla catechesi alla pastorale (i dif-ferenti piani pastorali nazionali e diocesani):il problema non è la catechesi, si è detto, mala pastorale in tutte le sue dimensioni. E cosìla catechesi (e le catechiste) sono state rele-gate in un angolino insignificante e lasciatesole. Ora (e siamo ad oggi) abbiamo dovuto

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prendere atto che neppure la pastorale nel suoinsieme, per quanto rinnovata nei contenutie nei metodi, cioè nelle strategie, è in gradodi assicurare la generazione e la cura della fe-de. E qui torniamo all’affermazione iniziale.Evangelii gaudium ci ha aperto gli occhi: nonè un problema catechistico, ci ha detto, nonè neppure un problema prima di tutto pasto-rale: è un problema ecclesiologico. Così si eragià espresso il Sinodo dei Vescovi sulla nuovaevangelizzazione: «Il problema dell’infecondi-tà dell’evangelizzazione oggi, della catechesidei tempi moderni, è un problema ecclesiolo-gico, che riguarda la capacità o meno dellaChiesa di configurarsi come reale comunità,come vera fraternità, come corpo e non comemacchina o azienda».1

È così che paradossalmente, abbiamo fattoa ritroso il cammino che il Documento Basedel 1970 ci aveva raccomandato: «Primasono i catechisti e poi i catechismi; anzi, pri-ma ancora, sono le comunità ecclesiali» (DB200). Noi abbiamo cominciato con i cate-chismi, poi con i catechisti e ora siamo ar-rivati alla comunità. Non che prima non losapessimo, ma era una teoria.

– Ci è divenuto più chiaro cosa è e cosa nonè iniziazione cristiana. Nel suo libro Iniziazione, di recente pubbli-cazione, Andrea Grillo2 ci ricorda che quan-do diciamo iniziazione diciamo molto di piùdi catechesi. Certo, in ogni iniziazione biso-gna imparare qualcosa, anche con fatica.Ma ciò deve avvenire in un rapporto pieno,nel quale il bambino, il ragazzo, l’adulto im-parano a essere generati a una particolareidentità, a un particolare modo di stare nella

vita. Ora, generare è un’operazione com-plessa, che non comporta solo apprenderealcune nozioni, ma un certo modo di parla-re, di ascoltare, di stare insieme. «Entrare nella Chiesa è un atto pienamenteumano, e se è un atto pienamente umanoha le logiche della nascita. C’è una straor-dinaria sintonia tra la nascita degli uominie delle donne e la nascita della Chiesa:quando nasce un bambino, immediatamenteviene lavato, profumato, nutrito. ... Lo si la-va per bene, lo si profuma accuratamente elo si nutre con gusto. Battesimo, cresima,eucaristia sono innanzitutto questo atto dielementare generazione: lavare, profumare,nutrire. Quando il modello iniziatico è […]quello della nascita, si capisce che non èpossibile limitarsi a un atto formale di lavag-gio senza acqua, a un atto di profumazionesenza profumo, a un atto di nutrizione sen-za pane e vino, perché mediante questa ric-chezza di azioni passa il senso di un rappor-to […]. Questa oggi è una responsabilitànon solo dei pastori, [non solo della cate-chesi], ma delle comunità». Queste parole ci parlano da una parte di cor-po che genera, dall’altra di un corpo genera-to. Un corpo che genera un corpo, non unascuola che genera un pensiero, un’aula di ca-techismo che trasmette una dottrina e unamorale. Una madre che genera un figlio. «Della propria madre si possono anche direi valori e i concetti, ma quello che rende unbambino figlio di una madre e una donnamadre di un figlio sono le azioni rituali, iracconti, i riti e i simboli. Della propria ma-dre si ricordano, in primo luogo, parole eazioni: un certo modo di preparare i pasti,

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1 SINODO DEI VESCOVI, XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA, La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione dellafede cristiana. Lineamenta, Vaticano 2011, n. 2. Il testo può essere trovato al seguente indirizzo http://www.va-tican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20110202_lineamenta-xiii-assembly_it.html Visto in data9.1.2018.2 A. GRILLO, Iniziazione, Il Segno Gabrielli Editori, 2017, 30-31.

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3 https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/september/documents/papa-francesco_20170907_viaggioapostolico-colombia-celam.html.4 https://www.youtube.com/watch?v=OaHjib_UlSM.

un certo modo di rimboccare le coperte, didare il bacio della buonanotte, di salutare,di accogliere, di gioire, di rammaricarsi… Lì,in quelle pieghe segrete della relazione» na-sce e cresce una vita.

– Generare chiede, così, quello che papaFrancesco ha definito una relazione di “cor-po a corpo”. «Il Vangelo ci invita sempre a correre il ri-schio dell’incontro con il volto dell’altro, conla sua presenza fisica che interpella, col suodolore e le sue richieste, con la sua gioiacontagiosa in un costante corpo a corpo.L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carneè inseparabile dal dono di sé, dall’apparte-nenza alla comunità, dal servizio, dalla ri-conciliazione con la carne degli altri. Il Figliodi Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitatoalla rivoluzione della tenerezza» (EG 88).La missione, ci dice papa Francesco, si rea-lizza in un “corpo a corpo”. La via è quelladi Gesù «che, uscito dal Padre, percorre coni suoi i campi e i villaggi di Galilea. Non sitratta di un percorso inutile del Signore. Men-tre cammina, incontra; quando incontra, siavvicina; quando si avvicina, parla; quandoparla, tocca col suo potere; quando tocca, cu-ra e salva» (Papa Francesco in Colombia).3

Siamo qui arrivati alla ragione ultima, teolo-gica e di conseguenza metodologica, chemette in gioco la figura stessa della fede e ilvolto di quel Dio da cui e per cui siamo ge-nerati. Nel Signore Gesù ciò che è di più di-vino si è definitivamente detto nel più uma-no. Perché dunque siamo diventati così restiia dire la fede con i gesti che toccano il corpo?Può la chiesa che proclama la sua fede in unDio fatto umano, nato da una mamma in se-

no a un intero popolo che lo ha generato, fa-re astrazione della dimensione corporaledell’uomo e di conseguenza dimenticare diessere il suo corpo incarnato nella storia?Questa domanda fondamentale non riguardasolo il rapporto fede/corpo, ma il rapporto deicorpi delle persone con il corpo della Chiesa.

3. IL DONO DI INIZIARE ALLAFEDE PERSONE PORTATRICI DIHANDICAP

È dentro questo orizzonte di ricupero del cor-po della fede e del corpo della Chiesa, in vistadi una relazione con un Dio incarnato, chepossiamo allora intuire quale dono, qualegrazia sia per la comunità ecclesiale poter ge-nerare alla fede persone che sono portatricidi handicap. Non si tratta solo della grazia dipoter dare qualcosa di prezioso a loro, quelloche abbiamo più di prezioso senza negarglie-lo o limitandone il dono (come purtroppo èstato fatto nel passato e forse continua nelpresente), ma anche e soprattutto la graziache essi ci portano restituendo tutti i sensi al-la nostra fede, riportandoci alla carne dellanostra fede.

Vorrei dirlo prima di tutto ascoltando una te-stimonianza, di una scrittrice americana,Emily Peri Kingsley, che ha avuto un figliogravemente disabile. Ha scritto un testo in-titolato “Benvenuti in Olanda”, diventatonoto in tutto il mondo. Lo ascoltiamo dallavoce di un’attrice, Ivana Lolito. Lo ha reci-tato a Corato, in Puglia, in un incontro se-rale di promosso dall’Associazione Goccenell’oceano nel 2012.4

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«Spesso mi è stato chiesto di descriverel’esperienza dell’avere un bambino con unadisabilità, di provare ad aiutare persone chenon hanno condiviso questa esperienza, acapirla, a immaginare cosa si prova. È così.Quando stai per avere un bambino, è comeprogrammare un favoloso viaggio in Italia.Compri una guida sull’Italia e fai dei mera-vigliosi progetti. Il Colosseo. Il David di Mi-chelangelo. Le gondole a Venezia. Cominciad imparare alcune frasi in italiano. Tutto èmolto eccitante. Dopo qualche mese di sognianticipati, il giorno finalmente arriva. Fai levaligie e parti.Alcune ore più tardi, l’aereo comincia ad at-terrare. Lo steward entra e dice: “Benvenutiin Olanda”. “In Olanda?” – domandi. “Cosasignifica Olanda? Io ho comprato un bigliet-to per l’Italia! Io credevo di essere arrivatain Italia!”. “C’è stato un cambiamento nelpiano di volo. Abbiamo optato per l’Olandae qui devi stare”. La cosa importante non èche non ti abbiano portata in un orribile, di-sgustoso posto pieno di pestilenza, carestiae malattia. È solo un posto diverso.Così devi andare a comprare una nuova gui-da. E devi imparare alcune frasi in una nuo-va lingua. E incontrerai nuovi gruppi di per-sone che non avresti altrimenti incontrato. Èsolo un luogo diverso. È più calmo e pacificodell’Italia, meno abbagliante dell’Italia.Ma dopo che sei lì da un po’, prendi confiden-za, ti guardi intorno e cominci ad imparare chel’Olanda ha i mulini a vento e l’Olanda ha itulipani e l’Olanda ha Rembrandt.Però tutti quelli che conosci sono occupati adandare e venire dall’Italia e ognuno si vantadi quale meraviglioso periodo ha trascorso là.E per il resto della tua vita tu dirai: “Sì, quelloera il luogo dove avevo progettato di andare.E ciò che avevo programmato”. E la pena di

tutto ciò non se ne andrà mai, mai, mai, mai,perché la perdita dei propri sogni è una per-dita molto significativa.Ma se passerai la vita a piangerti addossoper il fatto che non sei andato in Italia, nonsarai mai libero di godere delle cose molto,molto speciali e molto amabili dell’Olanda».

Quale dono stanno facendo le persone disa-bili alle comunità ecclesiali attrezzate perl’Italia quando accettano di atterrare inOlanda?Noi abbiamo disincarnato la fede e spiritua-lizzato la spiritualità cristiana. Ci è stato det-to con forza ieri sera da José Tolentino Men-donça.5 Quella che è stata sempre una di-mensione fondamentale della fede, ma unasola delle sue dimensioni, ha preso gradual-mente il posto del tutto: il registro dell’argo-mentazione ha prevalso su quello narrativo,la spiegazione sull’intuizione, il ragiona-mento sulla dimensione affettiva, la mentesui sensi, il dogma sulla vita. Bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uo-mini e donne che hanno ricevuto dalla vitail silenzio di alcune espressioni umane (la pa-rola compiuta, l’argomentazione e il ragiona-mento cognitivo, la vista, l’udito, il movi-mento, ecc.) hanno sviluppato i sensi chespesso noi ignoriamo o diamo per scontati. Isilenzi dei loro sensi restituiscono a noi i sen-si che noi abbiamo silenziato, ridando cosìcarne tenera alla fede. Ci obbligano a comu-nicare tra di noi, a comunicare con Dio, a ce-lebrare, a vivere la carità attraverso tutte learmoniche del corpo. Legittimano quello chenoi abbiamo svalutato, ricuperano quello chenoi abbiamo scartato, ridimensionano quelloche noi abbiamo sopravvalutato, ci restitui-scono alla nostra piena umanità. Perché lafede non è un sistema religioso o morale, ma

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5 J. T. MENDONçA, La mistica dell’istante. Tempo e promessa, Vita e Pensiero, Milano 2015.

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una storia: la storia di un Dio che si è fattoumano, è entrato in relazione con noi contutta la sua umanità e gestualità e ci chiededi entrare in relazione tra di noi come figli efratelli con tutta la realtà storica, fisica, affet-tiva della nostra vita.L’abbraccio di un bambino portatore di han-dicap non solo ci restituisce i sensi, ma con-tiene anche l’indicazione di quel passaggioche ci manca: il corretto orientamento diquesto ricupero. L’abbraccio di un bambinoportatore di handicap ha in sé il senso benorientato dell’uso dei sensi, senso che sichiama amore, fiducia, affidamento. È così che l’iniziazione cristiana di personeportatrici di handicap non è un incidente dipercorso (l’atterraggio non previsto in Olan-da), o solo un luogo di esercizio della nostracapacità di accoglienza: è paradigma di ogniiniziazione cristiana.

Verso una doppia inclusivitàLa catechesi (i catechisti e soprattutto le ca-techiste) ha fatto il suo dovere in questi an-ni: è passata da dottrina a catechesi per lavita cristiana in un primo momento, e poiin un secondo momento ha integrato congioia la dimensione del primo annuncio (ke-rigma). Ma da sola essa non può generare,e d’altronde non lo ha mai fatto.Il rinnovamento dell’IC fatto dalla sola cate-chesi non genera. ‘Restituire’ il compito ge-nerativo a tutte le dimensioni ecclesiali (sen-za naturalmente tirarsi via come catechisti)significa riattivare la generatività del corpoe di conseguenza semplificare la catechesi,restituirla alla sua specificità e permetterle disvolgere bene il suo servizio.L’attuazione del numero 52 degli OrientamentiCEI (che indica cosa è ispirazione cristiana)non può essere fatta dalla catechesi da sola:il n° 52 invoca un bagno di vita ecclesiale.

Possiamo dunque parlare di una doppia in-clusività. È la chiesa intera che è chiamata,in tutti i suoi membri e in tutte le sue di-mensioni, a desiderare un figlio, a concepir-lo, a partorirlo, a farlo nascere, a prenderse-ne cura, a lasciarlo partire. Una comunitàche genera non con uno dei suoi fili (la ca-techesi) ma con il tessuto di tutte le sue di-mensioni di vita (prima inclusività).E una comunità che genera una fede cheraggiunge tutti i sensi, a una fede che fa cre-scere “in età, in sapienza e in grazia” (Lc2,52), come Gesù a Nazareth; una fede chesi fa corpo, relazioni, appartenenza, impe-gno nel mondo, responsabilità grata; la re-lazione con un Dio che «ha lavorato conmani d’uomo, ha pensato con mente d’uo-mo, ha agito con volontà d’uomo, ha amatocon cuore d’uomo» (DB 59)» (seconda in-clusività).

A questa doppia inclusività ci educano si-lenziosamente ma potentemente coloro chestanno nella vita con qualche handicapesplicito ma che sviluppano mirabilmentequei sensi che una comunità prevalente-mente argomentativa e cognitiva, e tropposeriosa, spesso inibisce. Essi ci chiedonoquesta conversione: passare da una comu-nità dei fili separati alla comunità dei tessuti;da una comunità che delega alla catechesiad una comunità che ricupera la gioia di tor-nare feconda.Da una comunità zitella, se pure con tantebelle competenze, a una comunità nuova-mente incinta.Una chiesa gioiosamente incinta. Sarà sicu-ramente una gravidanza difficile, dopo annidi deleghe, di “affitto del grembo”, ma ci re-stituirà la gioia di vivere e di dare vita, lavita che Dio vuole per tutti in abbondanza.È quanto desideriamo.

Seminario nazionale per la catechesi delle persone disabili116

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Roma28-29 aprile 2018

CAPITOLO 5

CONVEGNO NAZIONALE A 25 ANNIDALLA CREAZIONE

DEL SETTORE PER IL CATECUMENATO

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Il catecumenato, un capitolodi ricezione del Vaticano IInella Chiesa italianaDon Vito Mignozzi, Gruppo Nazionale Catecumenato

PREMESSA

Nel quadro complessivo dei tre interventi inprogramma a me è stato affidato il compitodi rivisitare il primo tratto di quel camminoche ha accompagnato – e accompagna anco-ra – la Chiesa italiana nella ricezione della le-zione conciliare sul tema del catecumenato.Proverò a non limitarmi unicamente alla ri-costruzione storico-teologica di quanto è ac-caduto. Sono noti a tutti, del resto, i passaggiavvenuti in questi oltre 50 anni che ci distan-ziano dal Vaticano II in termini di consegnemagisteriali e di tentativi ecclesiali di recezio-ne dentro i nostri vissuti ecclesiali. Dentroquesto quadro generale desidero, piuttosto,individuare alcune questioni nodali e consi-derare quale tipo di consapevolezze e di pra-tiche ecclesiali siano state generate nelle no-stre chiese locali. È evidente che farò dellescelte, e che per tale ragione la mia propostarisulterà senza dubbio caratterizzata da in-completezze e parzialità. Rivolgendomi, però,a destinatari esperti nel campo, sono sicuroche quanto manca potrà essere rimediato fa-cilmente con le proprie conoscenze.Ripartire dal Vaticano II per rintracciare i prin-cipali passi di maturazione che hanno portatoalla situazione attuale non è per ridurre al mi-nimo l’ampiezza di un tema che, invece, at-traversa tutta la storia della chiesa. Indivi-duiamo nella lezione conciliare un punto dipartenza perché realmente il Vaticano II harappresentato un nuovo inizio per la questio-ne del catecumenato. Non si è trattato sem-

plicemente di una riabilitazione. È stato pro-prio un nuovo inizio, scaturito all’interno diquel grande processo di ripensamento dellafigura di Chiesa e di missione che l’ultima as-sise conciliare ha sviluppato.Verificare i caratteri principali di recezione del-la lezione conciliare e dei passaggi immedia-tamente successivi all’interno del camminodella Chiesa italiana è possibile tenendo contodel fatto che abbiamo a che fare con un sog-getto che al proprio interno si presenta note-volmente differenziato a motivo dei differenticaratteri di ogni chiesa locale, come pure deiprocessi ecclesiali propri di ogni diocesi, dellescelte compiute o incompiute in seno a cia-scuna di queste. Questo sguardo sul panora-ma complessivo della Chiesa italiana oggipuò essere utile per avere in chiaro le luci ele ombre di questi decenni passati, gli svilup-pi realizzati, ma anche le fatiche con le qualiancora oggi facciamo i conti. Basterebbe dire,in merito al catecumenato, che, mentre ci so-no ormai consapevolezze e prassi consolidatein diverse chiese italiane, in non poche altrela questione ancora oggi non è stata presso-ché considerata o quanto meno è valutatacome una eccezione cui dedicarsi solo all’oc-correnza.

IL CONCILIO VATICANO II: UNANUOVA PARTENZA

Sul tavolo dei lavori conciliari la questionedel catecumenato giunge in qualche modo

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già alla prima ora sotto forma di richiestaavanzata dagli episcopati delle terre di mis-sione che auspicavano la ristrutturazione delbattesimo degli adulti, come pure da pastoridel vecchio continente (Francia, Olanda,Germania) che, toccando con mano le con-seguenze del processo di secolarizzazione inatto, orientavano la discussione a favoredell’istituzione del catecumenato: nelle lorointenzioni esso avrebbe costituito il mezzopiù adeguato per garantire la formazione ela perseveranza di coloro che, cresciuti al difuori di un ambito di fede, chiedevano il bat-tesimo da adulti. Queste intenzioni origina-rie danno già il senso di quelli che sarebberostati gli sviluppi successivi in seno ai dibat-titi conciliari e che avrebbero condotto poialla redazione dei documenti nei quali il te-ma del catecumenato sarebbe stato affron-tato.Va anche detto che si comprende il valoreproprio della scelta conciliare in ordine al ca-tecumenato, se la si colloca nel quadro piùgenerale della visione di chiesa che scaturi-sce dal Vaticano II. Quella del catecumenato,come del resto tante altre questioni dibattuteal concilio, non può essere, infatti, colta nelsuo valore paradigmatico se considerata co-me una questione a sé stante, svincolatadalla coscienza della missione ecclesiale e,più in generale, dalla figura di chiesa matu-rate durante l’assise conciliare. I testi neiquali il concilio affronta il nostro tema (inparticolare SC 64 e AG 14) mostrano chia-ramente queste connessioni attraverso deglielementi che, oggi come allora, rappresen-tano i fondamentali attorno ai quali si giocala sfida del catecumenato: anzitutto la pro-spettiva missionaria che fa da contesto e daleit motiv per la comprensione e la giustacollocazione del catecumenato dentro unospecifico vissuto ecclesiale, quindi il legamecon la chiesa locale nell’articolazione della

sua ministerialità plurale, poi il riferimentoal catecumenato come ad un tirocinio maanche ad un modello per la formazione allavita cristiana e, infine, il rapporto tra cate-cumenato ed iniziazione cristiana.L’insieme di questi elementi indicava – e an-cora oggi indica – che la posta in gioco delcatecumenato non può ridursi esclusiva-mente alla organizzazione di itinerari alla fe-de da proporre a quanti desiderano diventa-re cristiani. L’attenzione nuova sul nostrotema si spiega all’interno di un passaggioepocale nel quale è l’intero soggetto eccle-siale ad essere stato come rimesso in giocoa motivo delle sfide e delle situazioni nuovecon le quali la chiesa, un po’ dappertutto, èchiamata a confrontarsi. È evidente che unalezione di questo genere ha avuto un impat-to singolare nella chiesa italiana: incontravaall’epoca, difatti, una situazione religiosanella quale si respirava un’atmosfera di re-ligiosità piuttosto diffusa, rafforzata dallaconvinzione che la grandissima maggioran-za della popolazione fosse costituita da cat-tolici per i quali era sufficiente assicurareuna catechesi che li accompagnasse per tut-te le età della vita, senza porsi il problemadella iniziazione alla fede.La recezione della lezione conciliare sul ca-tecumenato trova, così, la chiesa italiana, al-meno nel primo decennio successivo al Va-ticano II, concentrata piuttosto su un altroproblema pastorale, quello relativo alla ca-techesi degli adulti, con una eventuale at-tenzione a qualche iniziativa verso i lontani,da raggiungere soprattutto in occasione del-la celebrazione dei sacramenti richiesti inparticolare per i figli. Non era ancora avver-tita come impellente l’esigenza di ripensarela missione della comunità cristiana a partiredalle attenzioni sottolineate dal concilio aproposito del catecumenato. Un cambio dirotta si sarebbe registrata con la traduzione

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in italiano del RICA. Siamo nel 1978.Rispetto a questo avvio alquanto lento, lalezione conciliare, comunque sia, ha fatto dasolco dentro il quale il cammino successivosi è andato dispiegando. E, a distanza di piùdi 50 anni, non è difficile ritrovare nella vitae nelle prassi delle chiese che sono in Italiale tracce piuttosto evidenti di una recezioneconciliare in buona parte avvenuta in ma-niera proficua, non senza qualche rallenta-mento che, allo stato attuale, ancora si puòrintracciare come segno chiaro di una rece-zione non completamente avvenuta.Un elemento, a tal riguardo, che merita diessere evidenziato è l’impatto che la vicendadel catecumenato, dal concilio ad oggi, haavuto nelle singole chiese locali della nostrapenisola. Non sono mancati in questi decen-ni documenti che hanno istruito la questionee indicato la via da seguire. Non mancanoneanche gli studi dedicati al nostro tema.Come pure abbondano le documentazionisulla vitalità del nostro settore in molte dio-cesi italiane. Molte di queste sono prevalen-temente chiese diocesane legate a città me-tropolitane o comunque a grossi centri ur-bani. In tante diocesi è sorto negli anni ilServizio diocesano e alcune si sono attrez-zate anche di un Direttorio diocesano. An-cora in non poche chiese locali, però, gli ini-zi di un percorso si mostrano, ad oggi, lentie faticosi. Se dovessimo pensare alla figuradi cattolicesimo italiano che ha preso formain questi decenni e che spesso è riconosciutocome “popolare”, non mi pare che il catecu-menato trovi in esso un posto ben ricono-sciuto. Si ha l’impressione che esso sia ca-talogato ancora come un’azione ecclesiale“straordinaria” che, quando va bene, cono-sce una struttura, dei percorsi e delle perso-ne della comunità pronte a realizzare un ac-compagnamento, ma in non pochi casi an-cora resta una questione sulla quale la pro-

gettazione pastorale e le consapevolezze ec-clesiali stentano a decollare. È forse questala sfida alla quale siamo chiamati a guardarecon speranza, senza smarrire tutta la ric-chezza del percorso compiuto fino ad ora.C’è da domandarsi se, sul piano dei passiancora da compiere, non si debbano, peresempio, favorire forme di coordinamento odi tutoraggio che mettano realmente in motoprocessi ecclesiali, nei quali si possa facili-tare un maggiore coinvolgimento reale dellecomunità, soprattutto quelle che non hannouna tradizione consolidata alle spalle o nonhanno ancora fatto una scelta ecclesiale inordine al catecumenato.Su questo versante una efficace collabora-zione tra il Servizio nazionale e il coordina-mento regionale può rivelarsi promettente inordine all’attivazione di sensibilità e di passinecessari per accompagnare gli avvii inquelle chiese diocesane nelle quali il settorefatica a muovere i suoi primi passi, e soste-nere anche le esperienze ecclesiali consoli-date. Una condivisione di “buone pratiche”,in tal senso, può mettere in moto processivirtuosi capaci di attivare, su uno stesso ter-ritorio, collaborazioni che favoriscono il re-ciproco sostegno e un servizio che esprimeun forte radicamento dentro una cultura,una storia, delle tradizioni comuni, elemen-to, questo, che risulta decisivo per offrire iti-nerari di catecumenato attenti ai vissuti con-creti delle persone implicate.Rispetto alla consegna conciliare, c’è un al-tro elemento che merita attenzione ed è il ri-mando alla natura missionaria della comu-nità ecclesiale. Su questo piano la chiesa ita-liana ha compiuto non pochi passi negli ul-timi decenni dal concilio ad oggi. Si è com-preso che è tutta la pastorale che deve as-sumere una connotazione missionaria equesto domanda una continua conversionepastorale. Prendere sul serio la sfida del ca-

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tecumenato offre alla comunità cristiana unosguardo utile sulla transizione culturale e re-ligiosa in atto. L’estensione della nostra pe-nisola mostra spaccati ecclesiali diversi e daiconnotati piuttosto differenziati. Alcuni pro-cessi culturali e religiosi, legati in particolareal fenomeno della secolarizzazione o delpassaggio ad una società post cristiana, nonhanno avuto ovunque lo stesso impatto alivello sociale ed ecclesiale, ragion per cui lacrisi di un certo cristianesimo sociologiconon si è mostrata dirompente allo stessomodo in tutte le zone dell’Italia. Si ha, così,l’impressione di una illusione secondo laquale, in qualche parte della penisola, so-pravviva ancora una certa forma di cristia-nesimo diffuso. Per tale ragione la questionedel catecumenato sarebbe non decisiva inordine alla missione che la comunità eccle-siale oggi è chiamata ad interpretare. Unascelta seria per il catecumenato mostra, alcontrario, la necessità di un superamento diletture della realtà che si rivelano ormai ina-deguate, come pure mette in evidenza lechances proprie che percorsi di iniziazionealla vita cristiana possono offrire oggi, so-prattutto per il mondo degli adulti.

TRA EVANGELIZZAZIONE ESACRAMENTI (1973) E IL RICA(1978)

Gli anni ’70 rappresentano per la Chiesa ita-liana un decennio durante il quale si va pro-gressivamente verso un primo riconosci-mento ufficiale del catecumenato comestruttura portante dell’iniziazione cristiana.Siamo nel decennio in cui vede la luce l’OI-CA nel 1972 e l’anno successivo il docu-mento della CEI Evangelizzazione e sacra-menti. Nelle indicazioni pastorali in essocontenute si riconosce in primo luogo il pri-

mato dell’evangelizzazione da cui deriva, inseconda istanza, una riformulazione del rap-porto evangelizzazione e celebrazione deisacramenti, quindi un’insistenza su una ca-techesi permanente o catecumenato “che se-gua gradualmente il cristiano dall’infanziaalle successive fasi della vita e in particolaredai sacramenti dell’IC fino ai sacramentidell’ordine e del matrimonio” (n. 83), infinel’introduzione, a seguito della pubblicazionedell’OICA, di itinerari catecumenali da appli-care agli adulti non battezzati, a quelli chechiedono di ricevere la cresima o di celebrareil matrimonio, ai ragazzi e adolescenti chenon hanno ricevuto il battesimo o che sipreparano all’eucaristia e alla confermazione(n. 87) e il richiamo al ruolo della chiesa lo-cale e della famiglia (nn. 93-96).È in questo contesto che si colloca la pub-blicazione della traduzione italiana dell’Or-do, consegnata nel gennaio del 1978 e resaobbligatoria nel marzo dell’anno successivo.Nella Premessa della CEI essa è presentatacome “un momento significativo nella pro-gressiva applicazione della riforma liturgicadel Concilio Vaticano II e […] una sintesiautorevole di tutte le indicazioni liturgico-pastorali offerte dalla Conferenza episcopalenel programma Evangelizzazione e sacra-menti”. A questa indicazione si aggiungeanche un’esplicitazione relativa a ciò che ilRICA rappresenta: “più che un rito contieneun complesso di riflessioni teologiche, di in-dicazioni pastorali e azioni liturgiche che vo-gliono sostenere e guidare l’itinerario di ini-ziazione alla vita cristiana nella Chiesa, diun adulto o di un gruppo di adulti”. Questelinee e indicazioni sono reputate “di grandestimolo per il rinnovamento pastorale in atto(oggi) nelle nostre Chiese”.Sempre nella Premessa alla traduzione ita-liana si invita ad una lettura corretta del rap-porto evangelizzazione – celebrazione dei sa-

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cramenti nella linea del documento del 1973e si riconosce che l’itinerario (“graduale eprogressivo, di evangelizzazione e iniziazio-ne, catechesi e mistagogia”) presentato dalRICA ha “valore di forma tipica per la for-mazione cristiana”. È quanto aveva già af-fermato il concilio in AG 14, avendo presen-tato il catecumenato non come “una sempli-ce esposizione di dogmi e di precetti, ma unaformazione a tutta la vita cristiana e un ti-rocinio debitamente esteso nel tempo”.Viene, poi, rimesso al centro dell’attenzioneil rapporto fra l’iniziazione e la comunità cri-stiana, indicando la chiesa locale come cen-tro propulsivo e unificante di tutta l’evange-lizzazione e, in essa, la parrocchia quale“luogo ordinario e privilegiato dell’evange-lizzazione della comunità cristiana”. Conmolta chiarezza si ribadisce che la parroc-chia è il contesto più idoneo per l’eserciziopastorale del discernimento in vista dell’am-missione del candidato alla celebrazione deisacramenti, come pure il luogo in cuiun’esperienza di tipo catecumenale può tro-vare la sua attuazione ordinaria lungo l’an-no liturgico che, insieme al giorno della do-menica, costituiscono il perno della cateche-si permanente dell’intera comunità. Non èda sottovalutare la sottolineatura forte sulladimensione ecclesiale del catecumenato e,più in generale, dell’iniziazione cristiana.Questo stretto rapporto da una parte doman-da comunità missionarie capaci di raggiun-gere l’uomo dovunque si trovi, di accoglier-lo, introdurlo e condurlo all’esperienza dellafede, della fraternità evangelica e della cor-responsabilità ecclesiale; dall’altra è un chia-ro invito a superare una mentalità privati-stica e individualistica che invita a chiederei sacramenti semplicemente come riti di pas-saggio e una immagine di chiesa come di-stributrice di servizi religiosi, per quella difraternità evangelica e di comunità.

La pubblicazione del RICA ha segnato di si-curo un tornante importante nel camminodella Chiesa italiana sul tema del catecume-nato. Quanto meno occorre riconoscere cheè stato un utile strumento a disposizionedelle comunità cristiane nella Chiesa italianaper tentare una prima recezione di quanto ilconcilio aveva riconsegnato a tutta la Chiesasulla nostra questione. A partire dal RICAhanno preso forma in questi decenni unaserie di scelte pastorali, di percorsi, di sus-sidiazione, di strumenti che hanno sostenu-to e sostengono tanto lavoro compiuto nellenostre chiese diocesane.Sarebbe una lettura parziale, però, se ci fer-massimo solo a considerare gli elementi po-sitivi di recezione e le buone pratiche gene-rate dal RICA. Non si può, infatti, trascurareun altro dato, che a quarant’anni dalla pub-blicazione di questo strumento, dà a pensa-re. Mi riferisco ad una certa assenza o, co-munque, ad un non sufficiente e adeguatoutilizzo di questo libro liturgico rispetto alleintenzioni con le quali era stato dai vescoviconsegnato alle nostre chiese diocesane. Lostesso Consiglio Episcopale Permanente del-la CEI ha rilevato questo dato nella primadelle tre note sull’IC, quando nella Premes-sa, in riferimento al RICA, ha affermato che“la recezione-attuazione di questo testo èstata purtroppo disattesa, per diversi motivi,nelle nostre Chiese, o accolta solo parzial-mente e in casi particolari. D’altra parte leindicazioni e i contenuti catechetico-liturgicipresenti nel Rito richiedono un adattamentoche tenga conto delle diverse situazioni, esi-genze e possibilità delle Chiese che sono inItalia”. Era il 1997 quando i vescovi delConsiglio Permanente si esprimevano inquesto modo. Sugli sviluppi successivi nonmi avventuro perché sarà compito dell’in-tervento successivo. Mi limito, perciò, adevidenziare solo alcuni elementi in un certo

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senso “problematici”, legati all’Ordo stessoe al suo “mancato” pieno utilizzo.Pesa di sicuro sulla lenta e non compiuta re-cezione del RICA il fatto che la volontà con-ciliare di ristabilire il catecumenato per laChiesa di oggi avesse in realtà alle spalle l’as-senza plurisecolare di un modello iniziaticoin uso nella prassi pastorale. Lo sforzo fattodai redattori è stato quello di attingere a pienemani alle fonti antiche, cercando di elaborareun rituale che potesse essere adeguato allasituazione attuale. Si tratta di un’operazioneper nulla semplice che non si può considerarecompiuta definitivamente. Qui rientrerebbe laquestione di una serie di adattamenti suiquali è riconosciuta la competenza delle con-ferenze episcopali. È interessante rilevare ciòche si legge a conclusione del IV capitolodell’introduzione generale al RICA: “la Con-ferenza Episcopale Italiana adotta il Rito oraproposto dal nuovo Rituale Romano”. E poi“una conoscenza più approfondita del Rito edel suo spirito, nonché la sua concreta attua-zione da parte delle Chiese in Italia potrannosuggerire i necessari adattamenti alla situa-zione italiana”. Alla luce di questa annota-zione c’è da domandarsi se, sul piano del te-sto, il RICA sia ancora aderente al contestoattuale, molto diverso ormai da quello nelquale esso ha visto la luce. A titolo esempli-ficativo si potrebbe considerare la faticaodierna nella comprensione di una certa ter-minologia (elezione/eletto, esorcismo, scruti-nio, rinunzia ecc.) che, se proviene fedel-mente dalle fonti antiche, non porta con séperò lo stesso campo semantico nell’uso chese ne fa oggi. Non manca chi mette in evi-denza un certo carattere “archeologico” dicerti riti proposti nell’ambito dell’itinerario ca-tecumenale, percepiti da alcuni come estraneialla sensibilità contemporanea, perlomenoquella del nostro mondo occidentale. A que-sto si deve aggiungere anche un altro tipo di

considerazioni legate al contesto odierno cheesibisce altre situazioni pastorali con cui oc-corre fare i conti. Emergono nuovi compitiche il tempo presente richiede e con essi an-che le difficoltà concrete che si sperimentanonell’attuarli oggi. Questo fa dire che il percor-so del catecumenato, scandito dalle tappepreviste dall’Ordo, va considerato come unostrumento da calibrare, tenendo conto dellediverse situazioni nelle quali concretamenteavviene la richiesta di battesimo da parte de-gli adulti. Viene quasi spontaneo domandarsise non sia giunto il momento di produrre unostrumento, in salsa italiana, che sia capacedi tradurre per le nostre chiese l’intero per-corso del catecumenato, così come è statofatto per il quinto capitolo dello stesso RICA.Ci sarebbero, ormai, le condizioni per un’ope-razione del genere che sia in grado di corri-spondere alle reali esigenze delle nostre chie-se diocesane.

IL DIRETTORIO GENERALE PER LACATECHESI (1997)

Nel quadro complessivo, che fa da sfondo alcammino compiuto dalla Chiesa italiana,non si può trascurare il Direttorio generaleper la catechesi che si colloca, a trent’anniormai trascorsi dalla conclusione del Vatica-no II, come un capitolo ulteriore del processodi recezione del concilio. Dopo il DirettorioCatechistico Generale del 1971, che avevariconosciuto il catecumenato tra le formedella catechesi e affermato l’esigenza di tra-durre nei vissuti ecclesiali la lezione conci-liare, si avvertiva il bisogno di una sua re-visione alla luce degli sviluppi magisterialiavvenuti nei decenni successivi e delle tra-sformazioni sociali e culturali in corso.Un primo elemento degno di rilievo è la con-siderazione che l’evangelizzazione (del

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mondo) ha davanti a sé un panorama reli-gioso molto diversificato nel quale si posso-no riconoscere differenti situazioni socio-re-ligiose, che chiedono risposte adeguate e dif-ferenziate (n. 58). E il Direttorio descrive tresituazioni diverse; quella che riguarda popolie contesti socioculturali in cui il Vangelo nonè ancora conosciuto e nella quale la cate-chesi si sviluppa ordinariamente all’internodel catecumenato battesimale, quella propriadi contesti nei quali vivono comunità cristia-ne e strutture ecclesiali molto ferventi chenecessitano di un’intensa azione pastoraledella Chiesa; quella, infine, di paesi di tra-dizione cristiana in cui è necessaria unanuova evangelizzazione, rivolta a battezzatiche vivono in un contesto ancora religiosodi riferimenti cristiani, percepiti, però, soloesteriormente. Ciò che mi pare di particolareinteresse in questa analisi è la considerazio-ne che segue e nella quale si afferma chequeste diversità, sempre esistite, nel mondodi oggi presentano una novità, dal momentoche spesso le diverse situazioni convivonoin uno stesso territorio “Oggi accade spessoche nel territorio di una Chiesa particolareoccorra far fronte all’insieme di queste situa-zioni” (n. 59). E, citando EN 69, si ricono-sce che “i confini tra cura pastorale, nuovaevangelizzazione e attività missionariaspecifica non sono nettamente definibili enon è pensabile creare tra di esse barriere ocompartimenti stagno”. Si tratta, dunque, diconsiderare il mutuo arricchimento delle di-verse azioni evangelizzatrici, tra le qualimodello di ogni catechesi resta il catecume-nato battesimale, “che è formazione speci-fica mediante la quale l’adulto convertito al-la fede è portato alla confessione della fedebattesimale durante la veglia pasquale”(Messaggio al popolo di Dio del Sinodo deiVescovi del 1977). “Questa formazione ca-tecumenale deve ispirare le altre forme di

catechesi, nei loro obiettivi e nel loro dina-mismo” (n. 59).Si possono fare una serie di considerazioniper commentare queste affermazioni del Di-rettorio. Basterebbe rievocare, per esempio,la questione della “ispirazione catecumena-le” dei cammini ordinari dei battezzati, ri-chiamata da IG 52, e tutto il dibattito attor-no alla formula individuata per mettere inrelazione l’intenzionalità catecumenale coni percorsi di IC dei battezzati. Non è a que-sto, però, che voglio fare riferimento. Mi in-teressa, piuttosto, considerare la funzione diispirazione che alla “formazione catecume-nale” è riconosciuta in rapporto alle altreforme di catechesi. È evidente che un’indi-cazione del genere richiede che le chiese lo-cali diventino esperte di pratiche catecume-nali, perché lo spirito, l’intenzionalità e iprocessi lì messi in atto diventino capaci diispirare anche le altre forme della catechesi.Si comprende bene che tale ispirazione nonpuò essere un mero fatto teorico, appreso atavolino o semplicemente codificato neglistrumenti a disposizione per la catechesi. C’èbisogno di sottrarre il catecumenato ad unaconsiderazione pastorale periferica o occa-sionale, per ricondurlo al centro della vitaecclesiale come una pratica capace di ispira-re molti altri ambiti non solo della catechesima, più in generale, dell’azione pastoraledella Chiesa.Il Direttorio dedica non poca attenzione (nn.90-91) ad approfondire il ruolo ispiratore delcatecumenato in rapporto a tutta la cateche-si. Viene detto che esso richiama per tuttala Chiesa l’importanza fondamentale dellafunzione iniziatica, quindi la responsabilitàdi tutta la comunità cristiana, la centralitàdel mistero della Pasqua di Cristo, il luogodi inculturazione e, da ultimo, si presentacome processo formativo e vera scuola di fe-de.

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Mi pare interessante sottolineare – ed è que-sto il secondo elemento – la considerazionedel catecumenato come luogo iniziale di in-culturazione. La Chiesa accoglie i catecume-ni integralmente, con le loro storie e anchei loro vincoli culturali. Li accoglie dentro lapropria storia di Chiesa e attraverso la pro-pria specifica vita ecclesiale connotata daquei tratti che la fanno singolare. È a tuttinoto il processo di traditio-redditio chiama-to in causa. Si può leggere in questa indica-zione un compito chiaro per ogni chiesa lo-cale, perché i percorsi di accompagnamentoalla fede e di cura dei nuovi cristiani sianoben caratterizzati da quei tratti umani, spi-rituali, culturali, storici che fanno l’unicità diogni comunità ecclesiale. In fondo, il cate-cumenato sottolinea a toni forti che l’espe-rienza della fede cristiana si rende possibiledentro una trama di relazioni, di incontri, dicondivisioni di storie. Senza questo tessuto

essenziale anche la fede e l’esperienza cri-stiana sono come imprigionate dentro logi-che di anonimato e di individualismo. C’èun compito, dunque, per ogni chiesa locale,a interpretare all’interno della propria vitaecclesiale i percorsi di accompagnamento edi cura della fede.

CONCLUSIONE PROVVISORIA

Restano, a mio avviso, due importanti snodiche dovranno ancora accompagnare il cam-mino che ci sta davanti: la reale conversionemissionaria delle nostre comunità ecclesialie la piena soggettualità delle chiese locali.L’una e l’altra dimensione possono costituiredavvero le sponde robuste all’interno dellequali potrà crescere ancora di più la vitalitàdi comunità capaci di generare e di accom-pagnare alla fede.

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Dal «Rinnovamento dellaCatechesi» a «Incontriamo Gesù»

Don Marco Gallo, Gruppo nazionale catecumenato

“L’esperienza catechistica moderna conferma ancora una volta

che prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali”

(DB 200)

INTRODUZIONE: ILCATECUMENATO MODERNO: OTTOSTAGIONI IN FRANCIA E INITALIA?

Pochi mesi fa è stata discussa, presso l’In-stitut Catholique di Parigi, una generosa tesidi dottorato che tenta una storia del catecu-menato moderno in Francia, ad opera delteologo Roland Lacroix1. Egli divide la pra-tica francese dal 1945 ad oggi in ben ottostagioni. Lo studio permette di ricostruireuna intensa vicenda: da una preistoria ca-ratterizzata dalle note conversioni di grandiintellettuali, che abbracciarono il cattolicesi-mo con un effetto forte sull’immaginariodell’epoca, ai grandi numeri a cavallo dellaguerra di donne e uomini che, sradicati dallecampagne, nelle periferie dei centri urbani siaffacciano alle parrocchie per chiedere il bat-tesimo prima di sposarsi – con una catechesibreve e dottrinale, senza riti; dalla necessitàche venne dal basso di itinerari lenti, ritmatisu tappe, con riti adeguati, con ministerialitànuove al dialogo stretto con il Concilio, pas-sando per l’esperienza delle “parrocchie ca-

tecumenali” (Lione); dal lento lavoro diadattamento sul RICA (uscito in edizioneadattata in Francia solo nel 1997); fino algrande interrogativo contemporaneo sul sor-prendente e rapido abbandono dei neofiti.L’ultima stagione viene scandita da una de-cisione della Conferenza Episcopale France-se che, nel 2005, ha chiuso il Servizio Na-zionale del catecumenato (nato nel 1964)e ha creato un unico Servizio nazionale del-la Catechesi e del Catecumenato, in un cer-to senso chiudendo un’epoca che tanto hainfluenzato l’Europa e la Cattolicità tutta suquesto aspetto. Tenendo conto della ricchez-za dialettica di tutto il processo francese, daquesta grande narrazione si possono racco-gliere due considerazioni: da una parte, que-sti anni hanno portato la Chiesa francese amaturare la consapevolezza del necessariopassaggio da una “pastorale catecumenale”a una teologia pratica dell’iniziazione cristia-na, dall’altra le hanno fatto percepire che lacostante difficoltà a proporre significativi iti-nerari per gli adulti catecumeni in realtà ri-vela la difficoltà a proporre un’iniziazionecristiana significativa tout court2.

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1 R. LACROIX, Le catéchuménat des adultes en France 1945-2005. Analyse historique, pastorale et théologique.Thèse présentée pour l’obtention du Doctorate en théologie, 2 vol., Faculté de Théologie et de Sciences Religieuses. 2 Cfr. ibidem, 569-583.

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Se sono otto in Francia, quante epoche dicatecumenato moderno si potrebbero conta-re nella nostra storia ecclesiastica italiana?Questo non sarà esattamente il tema dellabreve comunicazione che ora offriamo, maè pur sempre utile questo sguardo di com-parazione con l’Europa, che rende l’Italia unluogo culturalmente unico, con tempi e spe-cificità particolari3. Certamente non si puòaffermare che la richiesta di un rituale di Ini-ziazione Cristiana per gli adulti sia stata par-ticolarmente forte in Italia, né è tutt’oggiesperienza rara trovare comunità in cui que-sto libro rituale non ha mai avuto occasionedi essere messo in atto nella pastorale. Sipuò tuttavia affermare che la particolare sto-ria della nostra recente pastorale ha indub-biamente permesso un complicato ma anchevirtuoso intreccio tra Iniziazione cristiana deibambini e dei ragazzi e quella degli adulti. In questo breve contributo, non offriremouna rilettura in generale della recente cate-chesi in Italia né del suo rapporto con la di-mensione del catecumenato in questi ultimianni. Il nostro limitato intento in questo stu-dio è quello di ripercorrerla con la domandaspecifica di come sia stata percepita la ne-cessità di una comunità missionaria comegrembo per l’iniziazione cristiana, degliadulti e dei ragazzi. Nel corso della lettura sarà possibile notarela ricchezza di categorie teologiche spessomolto adeguate, di letture lucide, di un pro-cesso corale ampio. Non si tratta evidente-mente di un percorso ordinato: i passaggisofferti e polemici permettono ora di notareche la bontà delle intuizioni iniziali avevanecessità della concretezza apparsa a poco

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3 Cfr. le interessanti considerazioni fatte in W. RUSPI, Il catecumenato: un futuro per la Chiesa?, Roma 2014,198-203: le influenze del confronto con le chiese europee portano il catecumenato in Italia a mettere a fuocoalcuni desideri: 1. La necessità di una legislazione adeguata; 2. La formazione degli accompagnatori; 3. La ri-valutazione del contributo offerto dalla liturgia al catecumenato; 4. La nuova “intonazione” della comunità ec-clesiale.

a poco. In un certo senso si è paradossal-mente compiuto il percorso contrario a quel-lo prospettato dal Documento Base per lacatechesi che chiedeva, prima dei catechi-smi, i catechisti, anzi le comunità ecclesiali:

L’esperienza catechistica moderna confer-ma ancora una volta che prima sono i ca-techisti e poi i catechismi; anzi, prima an-cora, sono le comunità ecclesiali. Infatti,come non è concepibile una comunità cri-stiana senza una buona catechesi, cosìnon è pensabile una buona catechesi sen-za la partecipazione dell’intera comunità(DB 200).

La nostra Chiesa ha finito per fare il contra-rio: abbiamo prodotto documenti, poi cerca-to di formare i catechisti; ora è più evidente,rileggendo il passato, la necessità per l’oggie per il futuro di essere comunità generantialla fede. Percorreremo dunque quattro brevi passag-gi: 1. Da dottrina a catechesi per la vita cristia-

na.2. Dalla catechesi alla pastorale.3. L’ispirazione catecumenale.4. Alcuni punti di non ritorno: “Incontriamo

Gesù” (2014).Le ipotesi che proveremo a mostrare sonotutto sommato semplici, e si fondano sullaconvinzione che la direzione della catechesidella chiesa italiana si possa riassumere indue passaggi ancora incompiuti: – Da una catechesi impostata secondo le età

psicosociali all’ispirazione catecumenale– Dal tentativo di “rievangelizzazione” al te-

ma della missione.

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1. DA DOTTRINA A CATECHESIPER LA VITA CRISTIANA.

Non un catechismo e neppure un direttorioper la catechesi, Il rinnovamento della ca-techesi (“Documento Base”, DB) così è de-finito da Mons. Carlo Colombo nella Presen-tazione del 2 febbraio 1970:

Se volessimo cogliere, perciò, la caratteri-stica e la funzione propria di questo docu-mento, diremmo che è una sintesi ordina-ta di principi teologico-pastorali, ispirati alConcilio Vaticano II e al Magistero dellaChiesa, autorevolmente proposti dall’Epi-scopato italiano all’intera comunità, perguidare e stimolare l’armonico sviluppodella catechesi, per verificare esigenze edorientamenti nell’attuale momento pasto-rale, per offrire chiare direttive alla com-pilazione e all’accoglienza dei catechismi.

Il DB è stato, e rimane tuttora, la pietra mi-liare del movimento catechistico italiano.Frutto di un lavoro condiviso e ampio4, connumerosi apporti e passaggi nelle comunitàlocali, negli Uffici nazionali e nelle Univer-sità che parteciparono alla sua stesura, il te-sto raccoglie una stagione assai ricca del rin-novamento catechistico europeo, situandosinel contesto internazionale come un uni-cum, che caratterizzò fin dall’inizio la situa-zione italiana. Al Concilio Vaticano II, chefece la scelta di non occuparsi della cateche-si in un documento ad hoc, seguì infattiun’applicazione molto varia nei diversi con-testi culturali. Il DB italiano recepisce legrandi costituzioni conciliari, rileggendo inuno schema, che appare ancora oggi come

valido, il compito catechistico come servizioa una mentalità di fede, in senso cristocen-trico, il ruolo centrale della Parola, con l’in-tegrazione tra fede e vita, la necessità di unacomunità viva che sappia accompagnare lapratica catechistica. Il documento ha il me-rito indiscutibile di aver offerto un orizzontefondato che ha fornito la sponda magiste-riale perché la catechesi uscisse dalla suaforma ereditata dal regime di cristianità: unimpianto di iniziazione pue-rocentrico, fina-lizzato ai sacramenti, con una catechesi dot-trinale e cognitiva. Con questo passaggio so-no ridisegnati i rapporti con la teologia – pri-ma individuata come la fonte del contenutoda offrire nella catechesi – e con la praticaecclesiale dell’annuncio, finalizzato a saperebene ciò che si deve credere. Il compito dellacatechesi è così amplificato e riscritto in sen-so pedagogico, in dialogo attento con lescienze umane, così fertili nel secolo XX.L’espressione che lo esprime in forma divul-gativa comune è “dai catechismi per la dot-trina cristiana ai catechismi per la vita cri-stiana”. Impostato in questo modo, tuttavia, il DBnon poté che favorire l’esito non voluto del-la traduzione del lavoro catechistico nellaforma della comunicazione e dell’insegna-mento strutturato sulle età cognitive, senzarecepire ancora la problematizzazione delrapporto tra fede e cultura (pertanto già pre-sente in Ad Gentes 10 e sviluppato poi inparticolare da Paolo VI in Evangelii Nun-tiandi del 1975 e da Giovanni Paolo II inCatechesi tradendae del 1979)5. Il DB quin-di permette dunque l’avvio di processi di ca-techesi in cui la comunità generante alla fe-

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4 D. GRASSO, Una consultazione catechistica in Italia, in “La Civiltà Cattolica”, 120 (1969) II, 261-165.5 Cf. A. ASCENzI Saggio di bibliografia scelta, in G. FIORIDI (ed.), Inculturazione. Dimensioni e linguaggi di incar-nazione, Viterbo 1996, 231-247 e L. MEDDI, Catechesi e persona in prospettiva educativa, in Catechesi, 2011-2012, 81, 3, 3-13.

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de assume il compito di individuare nuoveministerialità, si impegna a formarle, rico-nosce e affida il servizio ai catechisti, senzatuttavia poter sciogliere le ambiguità cheemergeranno necessariamente negli annisuccessivi6.

2. DALLA CATECHESI ALLAPASTORALE

Il necessario lavoro per dare attuazione alDB trova nel documento pastorale della CEIEvangelizzazione e sacramenti un pro-gramma pluriannuale di impegno per le co-munità, preceduto da una capillare indaginesocio-religiosa. La risposta al fenomeno os-servato di una crescente “secolarizzazione”in un “tradizionalismo esteriore”, porta aprospettare una “catechesi permanente”: inumeri 82-91, in particolare, chiedono checi si occupi costantemente della riscopertadella fede, con una catechesi assidua, arti-colata sull’anno liturgico, perché sia possi-bile una reale consapevolezza della fede,mancanza che spiega la registrata fratturatra fede e liturgia. È evidente una certa fa-tica nell’articolazione con il discorso inizia-tico, e una insistenza sul tema pedagogicoe formativo. I cinque documenti, che svilup-peranno il piano pastorale, ribadiscono lostesso intento di rinnovare la pastorale apartire dalla educazione alla fede. Negli anni successivi si maturò la decisionedi strutturare e scrivere dei veri e propri ca-techismi per i fanciulli (quattro dal 1973 al

1984), più che di proporre delle schede.Emerge quindi un itinerario per la catechesi,inteso come progressione pedagogica deilinguaggi adeguati alle età cognitive deibambini e dei ragazzi, applicato in via spe-rimentale in tutte le diocesi italiane. Appena terminato il lavoro, fu rapidamentesegnalato dal mondo dei pedagogisti quantoil progetto potesse ancora essere ulterior-mente approfondito. L’evento del II Conve-gno ecclesiale delle Chiese italiane di Loreto(1985, dove si usa l’espressione nota “quasiuna nuova implantatio evangelica”), insie-me alla riflessione provocata dalle conferen-ze di Joseph Ratzinger a Parigi e Lione7 nel1983 e alla loro ripresa critica in Italia, inparticolare a Milano8, influiscono certamentesul progetto catechistico italiano, in partico-lare sul suo linguaggio e la problematizza-zione del rapporto tra dimensione comuni-cativa e interiorizzazione del destinatario.Per questo nel 1984 si scrisse il libretto, Iti-nerario per la vita cristiana, nel quale conuna certa concessione al linguaggio della di-dattica, si intendono rafforzare gli strumentidi spiegazione della vita cristiana, in parti-colare dei sacramenti stessi. Nel 1988 fu av-viata una verifica di base su scala nazionale,che porta a una riscrittura di tutti i testi(1988-1997), eccetto il DB. Decidendo dinon riscriverlo, ma di riconsegnarlo, nel1988 i Vescovi italiani manifestano l’inten-zione di condividere alcune acquisizioni9: – Una formazione permanente: ai catechisti

“non basta mai la preparazione” (13). Al-la formazione spirituale e pedagogica dei

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6 A. DEL MONTE, Il rinnovamento della catechesi in Italia nel decennio 1966-1976 (appunti), in Teologia, 2 (1977)111-128.7 J. RATzINGER, Trasmissione della fede e fonti della catechesi, Casale Monferrato, 1985.8 AA.VV., Catechisti Testimoni. Atti del IV convegno catechistico diocesano (Busto Arsizio 30 settembre - 6 ottobre1984), Milano 1985.9 L. GUGLIELMONI (ed.), Il rinnovamento catechistico in Italia a 25 anni dal “Documento Base”, Leumann (To)1995.

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catechisti è legata in gran parte la qualitàdella catechesi. La comunità ecclesiale do-vrà investire energie (tempo, risorse uma-ne ed economiche) più per la formazionedei suoi annunciatori che non per le suestrutture.

– Dal singolare al plurale: da un’idea di ca-techesi ancora legata alla figura di un ca-techista singolo, diventa esplicito che ilcompito catechistico sia dell’intera comu-nità, che evangelizza per quello che è.

– Prima le comunità: il lavoro sui testi e glistrumenti, come sulla formazione dei mi-nistri dell’annuncio, deve essere riportatoal suo contesto, che è in realtà la naturadelle comunità ecclesiali (n. 200).

– La catechesi è agli adulti: “La scelta pa-storale comune e prioritaria per una siste-matica, capillare e organica catechesi degliadulti” (12). Senza la priorità della cate-chesi degli adulti, non nasceranno comu-nità adulte e missionarie.

Emerge tuttavia anche la consapevolezzache la strutturazione del percorso sulle etàcognitive non sia sufficiente, e al n. 7 dellaLettera dei vescovi per la riconsegna emergela necessità di inserire la maturazione psico-sociale all’interno dell’itinerario spirituale cheva dall’annuncio alla maturazione della fede,fino alla formazione permanente:

È certo che la catechesi nel contesto for-temente secolarizzato della nostra societàdeve assumere un taglio più marcatamen-te missionario, rafforzando un camminodi fede “adulto”, che conduca il credentea maturare una chiara coscienza di verità,capace di guidare e sorreggere impegnimorali conseguenti, per la vita.Come può fare questo la catechesi, se nontiene conto delle reali situazioni ed esigen-ze di fede assai diverse dei soggetti?Da qui la necessità di avviare itinerari difede sistematici e differenziati, non accon-tentandosi di incontri occasionali o di mas-

sa, ma puntando su progetti educativi ecatechistici più personalizzati. Il DB deli-nea il processo dinamico di questo servi-zio della parola di Dio, dal primo annun-cio, quello dell’evangelizzazione propria-mente detta, al suo graduale e pieno svi-luppo, mediante la catechesi, in vista del-la maturità della fede (n. 7, corsivo mio).

Occorrerà del tempo per mettere a puntoquesta suggestione che porterà presto allariflessione sull’ispirazione catecumenale eall’esplicitazione del Primo annuncio (notaCEI del 2005). Nei testi della fine degli anni’80 e dei primi anni ’90, invece, è percepi-bile l’emergere di un’altra preoccupazione:una certa lettura negativa della cultura, conla problematizzazione dell’impostazione an-tropologica adottata, fino a una accentua-zione dei toni apologetici ed una crescenteattenzione verso il contenuto e la dimensio-ne veritativa. Questa preoccupazione ed ildibattito che l’ha seguita hanno certamenteinfluenzato la seconda stesura dei catechi-smi (1991-1997).

3. L’ISPIRAZIONE CATECUMENALE

In ogni storia della pastorale moderna,l’uscita del Rituale per l’Iniziazione Cristianadegli Adulti segna una svolta, più o menoinfluente a seconda dei contesti culturali.Uscito in edizione tipica nel 1972, il RICAin Italia è diffuso nel suo adattamento nel1978, ma non provoca immediatamenteuna svolta nelle pratiche di iniziazione. Dal1978, infatti, occorrerà attendere gli anni’90 – con la pubblicazione delle tre Note(1997, 1999, 2993) – per veder iniziareuna reale valorizzazione della categoria teo-logica di iniziazione cristiana, del metodopedagogico del catecumenato. Che cosa per-mette questa reale svolta?

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A giustificarla è la maturazione della delu-sione che proprio in questo decennio si per-cepisce. Dopo due decenni di grande impe-gno, si vive un tempo di stallo e si diffondeun tono emotivo allarmato, talvolta di com-prensibile scoraggiamento. Non solo parenon si manifestino i risultati attesi di tanteenergie profuse, ma i dati della secolarizza-zione della società italiana sembrano semprepiù evidenti, anche a fronte di una frequenzaancora elevatissima di bambini e ragazzi aipercorsi di iniziazione. Il rinnovamento con-dotto ha potuto modificare le pratiche, i con-tenuti del messaggio, il metodo, l’attenzioneai soggetti. Si arriva quindi alla percezioneche occorre ora modificare ciò che non erastato ancora rivisto: il modello di iniziazione.Alla catechesi si è addossato tutto il compitoiniziatico, essendo venute meno le dimen-sioni che prima se ne occupavano (la fami-glia, la parrocchia, la scuola, la cultura), of-frendo l’ora di catechismo al bambino – cheprima era in una situazione di fede già rice-vuta – con necessità di nozioni da integrare.Risulta chiaro che ora la fede non va più pre-supposta, ma offerta e accompagnata. Tre assi di cambiamento si attivano: 1. Attenzione iniziatica: il catecumenato èassunto come processo formativo di conver-sione, modello di ogni cammino. Si attiva ilprocesso che porta alla stesura delle tre No-te, tre documenti che riflettono in modo or-ganico sull’applicazione delle tre situazionipreviste dal RICA, e di un ulteriore testo chesi occupa della situazione dei ragazzi chechiedono il battesimo in età scolare (Guidaper l’itinerario 2001). Nascono delle espe-rienze assai dinamiche, che tuttavia coin-volgono più gli uffici diocesani che le comu-nità locali, ed in queste, i catechisti più chela parrocchia, non integrando ancora la di-

mensione sociale e caritativa dell’esistenzacristiana e la questione della qualità delle re-lazioni nella comunità. Non sempre si èesenti da una certa ambiguità che spessoscambia la finalità (l’iniziazione cristiana)con la modalità (il catecumenato). Si metto-no a tema questioni già contenute nel DB,ma non facilmente raccolte dalle pratiche,come lo stile catecumenale, l’integrazionetra liturgia e catechesi, il ruolo della fami-glia, la trasformazione della parrocchia insenso missionario (Il volto missionario delleparrocchie in un mondo che cambia,2004). Pur percependo i limiti della strutturaparrocchiale italiana – oltre le due derive (laparrocchia autoreferenziale o centro di di-stribuzione di servizi religiosi) – si sceglie diinvestire ancora su questa dimensione, avolte discussa, ma ancora incontestabilmen-te vitale in Italia, se paragonata al contestomedio europeo. 2. Missionario: si inizia a fare chiarezza suun termine, “missionario” appunto, che nonè stato usato con univocità nel linguaggioecclesiale post-conciliare. La percezione del-la secolarizzazione in Italia (Evangelizza-zione e sacramenti), la necessità di rispon-dere con un atteggiamento cosciente e di-fensiva verso la cultura (Convegno di Lore-to), hanno spesso portato questo aggettivoa farsi più evocativo che teologico10. In uncerto senso, è stato più coniugato versol’esterno, con la preoccupazione di raggiun-gere chi si è allontanato, piuttosto che usatoper esplorare una dimensione propria dellacomunità credente. Approfondire le pratichedi iniziazione cristiana degli adulti ha porta-to a notare come alcuni modelli di catechesisiano stati più generici del voluto, incapacidi rileggersi al di fuori del contesto della so-cietà cristiana. Si possono quindi compren-

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10 L. MEDDI, Catechesi missionaria. Analisi di una definizione in Europa, in Catechesi, 87 (2018) 1, 29-41.

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dere i necessari completamenti del linguag-gio e dei progetti, fino alla revisione di tuttala struttura parrocchiale (Il volto missiona-rio delle parrocchie in un mondo che cam-bia, 2004). Dal 2005 si diffonde la questio-ne del “primo annuncio” (Questa è la no-stra fede, 2005), la verifica dell’offerta ke-rigmatica dei percorsi. Parlare di kerygmaindica l’esercizio necessario della comunitànel rileggere la fede identificando ciò che ècentrale da ciò che è secondario, ciò che nonpuò mancare nell’annuncio e ciò che puòessere poi integrato. Non si tratta dunque diun esercizio per l’esterno, quanto di rimet-tere in evidenza una struttura propria delcredere della comunità. 3. L’antropologico: la terza evoluzione si èsvolta attorno alla centratura dell’annunciosugli snodi dell’esperienza umana (vita af-fettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione,cittadinanza). Mettere questi ambiti al cen-tro del linguaggio significa concretizzare lascelta missionaria, in cui l’antropologico nonè più inteso come destinatario dell’annuncio,quanto come forma d’ogni vita nella qualepuò esistere la vita cristiana. Nel 2006, conil III Convegno ecclesiale delle Chiese italia-ne, a Verona, le chiese sono state provocatea superare la separazione tra liturgia, cate-chesi e carità. Il piano pastorale Educare al-la vita buona del vangelo (2010-2020) ri-prende i cinque ambiti di Verona e li indicacome piste di evangelizzazione e contributoeducativo.

4. ALCUNI PUNTI DI NONRITORNO: “INCONTRIAMOGESÙ” (2014)

Sull’onda lunga dell’uscita delle tre Note, apartire dal 2003 su richiesta della 51a As-semblea Generale dei Vescovi italiani11, ini-ziò in Italia un tempo davvero notevole disperimentazione sull’iniziazione cristiananelle diocesi, una pratica di revisione delmodello di iniziazione sulla quale sono assainumerose le chiese che si sono messe gene-rosamente al lavoro, in modo irregolare edestremamente vitale. L’ispirazione catecu-menale è stata generalmente la base comu-ne per la progettazione, pur nella diversitàdei metodi (con o senza riordino dei sacra-menti) su alcuni nodi centrali della conver-sione pastorale auspicata (coinvolgimentofamigliare e comunitario parrocchiale, cen-tralità della domenica, cammino a tappe conconsegne liturgiche, iniziazione al linguag-gio celebrativo e alle pratiche caritative). Nel 2012, con lo strumento di ben sediciconvegni regionali celebrati12, si inizia untempo di verifica di quanto è stato messo inatto. In questo modo, e su sollecitazione giàcondivisa da tempo dal mondo dei catecheti,emerge la necessità di rivedere il DB, purconfermandone la bontà nell’impostazionefondamentale, integrando quanto rielabora-to dei cosiddetti ambiti di Verona in “Edu-care alla vita buona del vangelo” (2010, inparticolare al n. 25) e dei risultati dei pre-

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11 cf. CONFERENzA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicato dei lavori della 51a Assemblea Generale della CEI, 23 maggio2003.12 C. SCIUTO-S. SORECA, Un quadro della catechesi in Italia. Una lettura dopo i Convegni catechisti regionali 2012,Il Regno-Documenti 57 (2012) 19, 603-620.

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cedenti convegni. Lo strumento che si ri-chiede è un documento progettuale che fac-cia da punto di riferimento. Si prepara cosìil testo di Orientamenti per l’annuncio e lacatechesi in Italia, che uscirà nel 2014 conil titolo di Incontriamo Gesù, per formaliz-zare alcune acquisizioni preziose di questianni di pratica, confermata da una ampiaconsultazione, avvenuta tra l’estate e l’au-tunno 2013 – così come avvenne per la ste-sura del DB. La scrittura del testo, già ini-ziata, fu poi profondamente influenzatadall’uscita dell’esortazione apostolica Evan-gelii Gaudium (novembre 2013), che impe-gnò gli estensori ad una revisione dellastruttura e di alcuni nodi. Per questo motivoresta riconoscibile l’anima composita del te-sto, ma ciò non impedisce al documento direstituire efficacemente il punto della situa-zione, raccogliendo tutto il percorso in unaequilibrata mediazione. Gli Orientamenti non pretendono di descri-vere tutta la pastorale, ma si concentranosui limiti della catechesi nei confronti delcompito più ampio dell’evangelizzazione.Articolato efficacemente su 1 Ts 1-2 in quat-tro capitoli (1. Primato della catechesi degliadulti e coinvolgimento della famiglia nel-l’IC; 2. Primo annuncio; 3. Iniziazione Cri-stiana; 4. Ministeri), Incontriamo Gesù faterminare ogni capitolo con alcune propostepastorali. Con una evidente continuità conquanto formalizzato nel 1988, si ribadisco-no, in un linguaggio positivo e aperto, l’as-soluta precedenza della catechesi agli adultie al catecumenato per loro offerto; l’ispira-zione catecumenale di tutta l’IC; il richiamoalla necessità della formazione di catechistie presbiteri; l’urgenza della cura della mista-gogia per preadolescenti, adolescenti e gio-vani.

CONCLUSIONE: NON UNA SFIDAPASTORALE MA ECCLESIOLOGICA

Di questi 44 anni non è possibile riferire nel-la forma di un progetto unico o di un itine-rario organico. Si tratta piuttosto di una tra-iettoria, frutto di un intenso dialogo a voltenon facile. Ciò che è consolidato è stato sot-toposto a verifica e discussione. Sono pre-senti in Italia metodi, strumenti, linguaggitanto diversi da non poter esser quasi con-tati, eppure, questo non appare come il piùgrave dei problemi. Così fu anche nella chie-sa antica: allora, la ricchezza fu quella di ri-manere aperti al dialogo e alla riflessionepratica su quanto si vive, all’accogliere, dal-le tradizioni diverse, buoni strumenti percontaminare la propria. I punti condivisi so-no preziosi. L’ispirazione catecumenale per-mette di mantenere e onorare la preziosa ri-cerca di pedagogia religiosa che rischiò dioccupare quasi completamente il campo neiprimi anni ’70, inserendola tuttavia nel con-testo teologico di una comunità che ha lamissione di iniziare alla fede, senza deleghea figure isolate, senza presupporre una fedegenerata altrove. Così la precisazione del lin-guaggio della missione ha portato in eviden-za la sfida mai risolta di ogni comunità, giàal suo interno, di saper trovare il kerygmache la anima, l’amore per il mondo e per ilmessaggio che possa partorire un primo an-nuncio, la pazienza del percorso con le suetappe, la presenza di Dio con il quale impra-tichirsi a parlare il linguaggio liturgico e ca-ritativo. La narrazione di questi quasi 50 anni risultasalutare, aiuta a far emergere il fatto che og-gi il cuore della questione è più ecclesiolo-gico che pastorale. Il modello e il metodonon sono affatto decisivi e non si stanno ri-velando tali. In comunità capaci di generarealla fede, anche un metodo con lacune pare

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funzionare, come viceversa si soffre di in-soddisfazione in parrocchie dove il metodoè curato con grande attenzione e formazionema le comunità non sono vitali. Non si puòaddossare dunque all’iniziazione cristiana ilpeso di rigenerare le parrocchie. Occorre in-vece poter fare esperienza in esse di ciò di

cui non si fa più esperienza (relazioni, ca-pacità simbolica di lettura dei riti e dei gesti,narrazioni capaci di orientare la vita), per-seguendo tutto il bene possibile, con fiducianella presenza dello Spirito che da sempreprecede gli evangelizzatori.

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PER COMINCIARE: DAL PROBLEMAALLA PROPOSTA – DONO

Siamo molto consapevoli di vivere il nostroservizio avvicinandoci alle persone che civengono affidate con le nostre stanchezze ele nostre fragilità. Così come siamo. Eppure,ci troviamo a servire il miracolo – direbbeEnzo Biemmi1 – di persone che desideranodiventare cristiane. Qualche tempo fa, mentre ero in visita inuna comunità parrocchiale, mi è capitato trale mani il quotidiano La Stampa. Un articolotitolava così: «In 10 anni la scuola italianaperderà un milione di allievi»2 e, di conse-guenza, 55 mila insegnati. Accanto a meuna catechista, molto giovanile ed esube-rante, mamma di due adolescenti, vedendola notizia esclama di getto: «Dio mio che di-sgrazia! Un milione di bambini in meno acatechismo». Mi permetto, allora, di chieder-le se pensa davvero che le cose andrannocosì e lei imperterrita ribadisce: «E perchéno? Da noi è così, i bambini vengono bat-tezzati da infanti e poi a 7-8 anni li abbiamoin parrocchia per il catechismo». Senza voleressere portatore di cattive notizie, con cau-tela, mi azzardo a farle osservare che le cosestanno cambiando già da qualche tempo. E

«Un servizioall’iniziazione cristiana: diversità di esperienzee nuove prospettive»

don Jourdan Pinheiro, responsabile nazionale Catecumenato

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1 Cf. E. BIEMMI, Il dono dei catecumeni e dei neofiti, giornata di studio del Servizio nazionale per il Catecumenato2016.2 Quotidiano pubblicato il 13 aprile 2018. Fondazione AGNELLI: il calo di nascite e di madri potenziali causeràuna drastica diminuzione di classi e insegnanti.3 FRANCESCO, Evangelii gaudium, 2013, n. 33.

lei, visibilmente stizzita, mi ripete categori-camente: «Ma da noi è così!». Questa affer-mazione mi ricollega subito a un’altra di-ventata globalmente famosa: “si è fattosempre così”3. «Da noi è così!» porta con séuna visione della realtà che non ammettecambiamenti, costi quel che costi: è così ecosì rimarrà finché ci siamo noi e pochi so-pravvissuti! Dopo qualche altro scambio,concludo informando la catechista che giàda parecchio tempo in Italia non tutti quelliche nascono diventano automaticamentecristiani. Non è nemmeno scontato che de-siderino diventarlo da giovani o da adulti.Lei mi guarda con un’aria tra il rammaricoe la rassegnazione, e tutto d’un fiato sen-tenzia: «Allora è un bel problema!». L’argo-mento è entrato poi nella conversazione sul-l’ispirazione catecumenale con il gruppo deicatechisti che stavo per incontrare. Alcunereazioni dinanzi a ciò che è stato identificatocome un bel problema sono state di questotipo: E allora, cosa facciamo? Come ci po-niamo? E se aspettassimo? Aspettare? Sì,nel frattempo, le cose continuano a cambia-re! Ecco qui il problema che paralizza, chelimita lo sguardo e ruba la speranza; è sem-pre in agguato, pronto a fare la sua mossaper mantenere le cose come stanno.

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I cambiamenti: «crisi» e «nuove sfide»I cambiamenti in atto, che fin dall’inizio fa-cevano intuire la necessità di una conver-sione pastorale, anche per i nostri vescovisembravano costituire un problema, come silegge nel Notiziario Cei: «Il problema ha sti-molato un’attenta riflessione a livello teolo-gico-pastorale e ha suscitato in diverse Chie-se particolari la ripresa, in forme diverse, delcatecumenato»4. Ma come per un padre euna madre che si prendono cura dei proprifigli, i nostri vescovi hanno preso a cuore laquestione e hanno cercato di trovare i mezziper sostenere la fatica di chi avrebbe dovutoaffrontarla, prendendo una decisione con-creta: «Per sorreggere tale impegno, il 13settembre 1993, con la lettera del SegretarioGenerale della CEI, d’intesa con la Commis-sione Episcopale per la dottrina della fede ela catechesi, viene data formale costituzionea un Gruppo nazionale di lavoro per il cate-cumenato, come settore dell’Ufficio Catechi-stico Nazionale». Era fondamentale dareuna risposta autorevole. Sappiamo che non è dalla mattina alla serache si diventa comunità missionaria, cioècapace di prendersi a cuore l’accompagna-mento alla vita cristiana di giovani e adulti.Siamo stati per molto tempo seduti, in atte-sa. Anche il desiderio di “uscire” non scatu-risce a comando, immediatamente. Lasciarele nostre comodità – e il calore delle nostrecomunità, anche se a volte in esse si respiraun clima litigioso e diviso – è faticoso e fauna certa paura. Esso comporta anche di ac-cettare il fatto che nella nostra bellissima Pe-nisola la realtà non è uniforme, una cosa èpartire dal Piemonte e un’altra è partire dallaBasilicata. Non si tratta di differenza quali-

tativa, ma di diversità di sguardi e di con-testo socioculturale e religioso. Dopo 25 an-ni di Servizio nazionale del Catecumenato,dobbiamo renderci conto di questa diversitàanche nel modo di vedere e servire la realtàdi cui siamo parte.Da qui il bisogno di avvicinarci per conosce-re l’altro, per ascoltare ognuno e avere unnuovo sguardo sulle persone e sul territorio.Non come chi si trova di fronte ad un osta-colo, ma dalla posizione di chi accoglie ilproblema come una sfida e un’opportunità:«Si può dire che oggi non viviamo un’epocadi cambiamento quanto un cambiamentod’epoca. Le situazioni che viviamo oggipongono dunque sfide nuove che per noi avolte sono persino difficili da comprendere.Questo nostro tempo richiede di vivere i pro-blemi come sfide e non come ostacoli»5. IlCatecumenato dei giovani e degli adulti ri-mane una sfida che non può essere aggirataunicamente con un “abbiamo già detto!” oun “da noi non è così!”.

Un nuovo sguardo: una luce sul presen-te, tra memoria e speranzaUno nuovo sguardo sulla realtà comportaaccettare che essa è superiore alle nostreidee su di essa6. Il nostro incontro, infatti, èsoprattutto una ricerca di luce sul nostropresente capace di raccogliere le riflessioni,le intuizioni e i passi compiuti in questi anni,con lo sguardo verso il futuro delle nostrecomunità, chiamate a “uscire” per dare com-pimento alla propria vocazione-missione.Uscendo, i nostri sguardi si incontreranno eporteranno i frutti della prossimità e dell’in-contro, i frutti della consegna di tutto noistessi, comprese le nostre stanchezze, ma

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4 Notiziario CEI - Numero 3 del 22 aprile 1997.5 FRANCESCO, Discorso del Santo Padre all’incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della ChiesaItaliana, Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, 10 novembre 2015.6 Cf. FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 231.

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anche dei nostri doni e delle storie che por-tiamo con noi. Vogliamo consegnare e ac-cogliere, rendendo nuove le cose che giàfacciamo: il dono della parola, della creati-vità, della liturgia, della catechesi, della ca-rità… dell’attenzione all’anziano e ai piccoli.Vogliamo imparare a spostarci in periferia,con uno sguardo profetico che guarda la re-altà e riesce a vedere anche ciò che ancoranon è pienamente compiuto.Questo sguardo nuovo è una luce sul nostropresente perché gli spartiti di gratitudine dicui siamo portatori – come cristiani non pos-siamo accettare di ridurci all’uso di spartitidi lamentele – sono ben custoditi in noi e il-luminati dalle note profetiche suggeritecidallo Spirito. Occorre lasciare che lo Spiritocrei in noi melodie di desiderio. Allora chie-diamoci: qual è il nostro desiderio? Cosa/ chici fa andare avanti? Cosa/chi ci fa ritornarenella nostra comunità, così come è, con lesue rughe, con i suoi limiti e contraddizioni,con la sua storia, con la nostra storia? Nonsi compongono melodie con una sola notae senza tener conto della nostra storia nelsuo insieme. Mons. Semeraro, vescovo diAlbano, in una pubblicazione indirizzata alsuo clero, scrive: «Il desiderio non è mai sra-dicato dal passato perché è sempre il desi-derio di un uomo che nasce, vive e crescein una storia; in qualche modo, anzi, l’uomostesso è quella “storia”»7.

Da una proposta riservata a pochi aduna scelta di ChiesaPenso che per troppo tempo siamo stati abi-tuati ad attendere chi aveva bisogno di unnostro servizio. Sedentari in comunità spes-

so condizionate dalla sola nota dell’inizia-zione cristiana dei bambini e dei ragazzi,pensata più che altro come socializzazionereligiosa e naturale conseguenza dell’educa-zione ricevuta in famiglia e nella scuola.Forse per tutto questo, il Catecumenato sem-bra condannato a rimanere argomento diélite, per poche “eccezioni” di qualcuno chechiederà di diventare cristiano fuori epoca,come voci fuori del coro. Invece, la funzionedi generare i nuovi cristiani e di farlo anchecon i giovani e gli adulti che lo chiedono,sta gradualmente diventando una scelta ditutta la comunità, una scelta di Chiesa fattaalla fine del millennio scorso. Come 25 anni fa, nel 1997, anche oggi c’èchi pensa che il Catecumenato sia un feno-meno transitorio e che tutto tornerà come“prima”. Invece, esso si sta consolidando edè una realtà sempre più presente in tutta Ita-lia. Sono più di 150 le diocesi che hanno giàcompiuto la scelta di fare dei passi concretiin questa direzione. Non è l’iniziativa di unilluminato o dell’esperto di turno o di un di-rettore intraprendente, ma una scelta diChiesa, la quale affronta la necessaria faticaperché questo cammino si verifichi nel ri-spetto delle persone interessate.I vescovi nelle loro diocesi, a partire dagliorientamenti offerti dalle Note sull’iniziazio-ne cristiana8, hanno gradualmente cambiatoprospettiva grazie alle esperienze concrete diaccompagnamento a livello locale e ai passirealmente compiuti di conversione pastorale,per il rinnovamento complessivo della gene-razione alla fede (sensibilizzazione, orienta-menti, sussidi, formazione, costituzione delServizio diocesano…). Svanisce sempre di

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7 M. SEMERARO, Custodiamo il nostro desiderio. Considerazioni con il mio presbiterio, Miter Thev, 2017, n.15.8 Cf. CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE DELLA CEI, L’iniziazione cristiana. Nota 1. Orientamenti per il catecumenatodegli adulti, 1997; Nota 2. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni, 1999;Nota 3. Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta,2003.

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più la percezione di avere un serio problemada affrontare. I catecumeni e i neofiti sonoseriamente riconosciuti come un dono per laChiesa. «La loro presenza è un dono anzi-tutto per le comunità: mettendosi in cammi-no con i cercatori di Dio, accompagnando icatecumeni, esse sono provocate a confer-mare e approfondire la radicalità della sceltadi fede che condividono con loro. Inoltre, inuna società secolarizzata, i catecumeni adul-ti sono un segno di speranza significativoche dice come la chiamata del Signore con-tinui a coinvolgere uomini e donne che silasciano attirare dalla buona notizia e dallabellezza della vita cristiana»9.

IL CATECUMENATO: UN SERVIZIOARTIGIANALE AL TEMPO DI«GENERARE» E «FAR CRESCERE»IN NOVITÀ DI VITA

Un processo nuovo sta maturando a partiredall’accoglienza di uomini e donne, giovanie adulti, italiani e stranieri… con le loro do-mande personali, la loro conversione in atto,la loro storia integrale. In questi ultimi anni,è cresciuto significativamente il numero deirichiedenti italiani. In alcune diocesi piccole,su 6 neofiti 4 sono italiani. È il caso di aprire una breve riflessione sulservire/accompagnare le persone uno aduno. Tra le questioni che dobbiamo supera-re, la prima è il preconcetto rispetto ai nu-meri: se sono pochi non hanno peso! Eppu-re, si nasce uno alla volta, anche i gemelli!In un tempo in cui non si genera, dobbiamo

far festa nel momento in cui viene alla vitae alla VITA NUOVA anche uno solo. Ci è ri-chiesta un’azione artigianale – fatta in casa;nella casa della comunità ecclesiale; nelgrembo della Chiesa.

Iniziazione cristiana: «l’attività chequalifica la Chiesa»In occasione dell’anniversario del documentobase, il rinnovamento della catechesi, i ve-scovi della Commissione episcopale per la dot-trina, l’annuncio e la catechesi hanno ben de-finito questa attività qualificante dell’agire del-la Chiesa: «L’iniziazione cristiana è “espres-sione di una comunità che educa con tutta lasua vita e manifesta la sua azione dentro unaconcreta esperienza di ecclesialità. L’iniziazio-ne cristiana non è quindi una delle tante atti-vità della comunità cristiana, ma l’attività chequalifica l’esprimersi proprio della Chiesa nelsuo essere inviata a generare alla fede e rea-lizzare sé stessa come madre”»10.Tra le nuove esigenze pastorali individuate,subito “dopo” e “con” il primo annuncio, ilcatecumenato viene presentato così: «Unaseria pastorale di primo annuncio e la pre-senza del catecumenato sono “una singolareopportunità per il rinnovamento delle comu-nità cristiane”»11. Ecco, le nostre comunitàsono chiamate ad essere più consapevoliche «con l’iniziazione cristiana la Chiesamadre genera i suoi figli e rigenera sé stes-sa… [in essa] esprime il suo volto missio-nario verso chi chiede la fede e verso lenuove generazioni»12. Un accorgimento da assumere e promuove-re nelle nostre comunità parrocchiali è che,

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9 CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, 2014, n. 51.10 CEI – COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e catechesi perla vita cristiana. Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento di base Il rin-novamento della catechesi, 2010, n. 14.11 Ibidem, n. 10.12 CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Nota pastorale, 2004, n. 7.

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nonostante il processo generativo sia ugualeper ogni nascituro, ogni figlio rimane uni-co13: non siamo generati in serie, come pro-dotti industriali… siamo artigianali, di casa.L’ “essere madre” proprio della Chiesa e nel-la Chiesa ci deve rallegrare. Per questo ci siprende cura di ciascuno, perché non manchinessuna attenzione in questo cammino ge-nerativo: prima, durante e dopo.

Bisogno di tempo: dall’iniziativa di Dioalla vita in comunitàPapa Francesco a Torino concludeva il suodiscorso con una straordinaria esortazione:«Osate, siate coraggiosi, andate avanti, siatecreativi, siate “artigiani” tutti i giorni, arti-giani del futuro!». Gianfranco Venturi ha cu-rato un testo su questa espressione: Voi sieteartigiani di futuro14. Davvero, noi che ser-viamo l’iniziazione alla vita cristiana attra-verso il catecumenato nell’agire ecclesiale,siamo artigiani di futuro! Facciamo un ser-vizio artigianale, non in serie. La piena sog-gettività delle Chiese locali, infatti, indicache ogni maternità è unica; non possiamodistribuire ricette, o meglio, non ci sono ri-cette da distribuire. Abbiamo bisogno, però,di segnali di una maternità piena e autenticae questo rimanda al valore e al bisogno ditempo: tempo per accogliere, tempo per co-noscere, per accompagnare, per prendere sulserio la persona, per far crescere l’altro re-sponsabile e autonomo… parte di una co-

munità concreta. Il riferimento al tempo nonè una minaccia o un ricatto: «Dobbiamo da-re al nostro cammino il ritmo salutare dellaprossimità, con uno sguardo rispettoso epieno di compassione, ma che nel medesimotempo sani, liberi e incoraggi a maturarenella vita cristiana»15. Ci vuole tanto tempoper fidarsi e poter dire senza superficialità diamarsi! Credo sia da approfondire cosa PapaFrancesco vuole dirci con l’invito a «iniziareprocessi più che di possedere spazi», cioèche «il tempo è superiore allo spazio»16.

La necessità di comunità ecclesialiadulte con una diversità di ministeria-lità Il Catecumenato, dunque, è opera di una co-munità adulta, una comunità generativa. Èmolto importante, perciò, evitare di alimen-tare divisioni: “i nostri”, “i loro”. E non èsolo frutto di un ambito o di un’azione dellacomunità ecclesiale, ma di una pastorale piùintegrata, dove si cammina con la varietà dilinguaggi e le attenzioni necessarie per aiu-tare e accompagnare chi vuole diventare cri-stiano.Dobbiamo rallentare e dialogare! Magari ac-cettando la nostra fragilità senza attribuirnela responsabilità agli altri. I giovani che sipreparano al loro sinodo hanno chiesto chegli adulti e le comunità diano loro spazio, enon temano di mostrare le proprie fragilità.Troppo certezze possono allontanare. Non

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13 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici. Esortazione post-sinodale su vocazione e missione dei laici nellaChiesa e nel mondo, 1988, n. 37: «La dignità personale è proprietà indistruttibile di ogni essere umano. È fon-damentale avvertire tutta la forza dirompente di questa affermazione, che si basa sull’unicità e sull’irripetibilitàdi ogni persona. Ne deriva che l’individuo è assolutamente irriducibile a tutto ciò che lo vorrebbe schiacciare eannullare nell’anonimato della collettività, dell’istituzione, della struttura, del sistema. La persona, nella sua in-dividualità, non è un numero, non è un anello d’una catena, né un ingranaggio di un sistema. L’affermazionepiù radicale ed esaltante del valore di ogni essere umano è stata fatta dal Figlio di Dio nel suo incarnarsi nelseno d’una donna».14 Cf. G. VENTURI. a cura di, Voi siete artigiani di futuro. Papa Francesco ai giovani, Edizione San Paolo, 2017.15 FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 169.16 Cf. Ibidem, n. 222-225.

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più, quindi, volti monolitici, poco accoglientie a volte insensibili. Di conseguenza, non possiamo aspettareche tutto sia perfetto, senza imprevisti e dif-ficoltà, per dare l’avvio al nostro Servizio.Non possiamo attendere la comunità giusta,impeccabile, per farlo. Sono proprio le co-munità concrete ad essere chiamate a pren-dersi cura dell’iniziativa di Dio quando essabussa alla porta, o quando la si incrocia perle strade delle nostre città. È questa la vo-cazione della Chiesa: accompagnare chi èstato chiamato.

UNA QUESTIONE VOCAZIONALE:«A CHI È CHIAMATO ALLA FEDEIN GESÙ E ALLA FRATERNITÀCRISTIANA»

«A chi è chiamato alla fede in Gesù e allafraternità cristiana, viene proposto un cam-mino che accoglie la ricerca interiore, la con-fronta con la verità del Vangelo, e – all’in-terno di un’esperienza ecclesiale concreta –aiuta a conoscere la centralità della dimen-sione pasquale, fino ad aprirsi, per dono diGrazia, alla vita secondo lo Spirito. E questosi compie nell’esistenza concreta, nelle pie-ghe ordinarie del quotidiano, dove si speri-menta, la vita buona del Vangelo»17.Nella preghiera per la Giornata delle voca-zioni 2018, il Santo Padre aveva indicato treparole che risultano appropriate anche perchi è chiamato alla vita cristiana: ascoltare,discernere e vivere la chiamata. Per prendersi cura del dono ricevuto è ne-cessario prima di tutto ascoltare la voce dichi, raggiunto dal Signore, desidera un in-

contro, un volto con cui confrontarsi. È es-senziale voler ascoltare: tutti, di più e me-glio. Da questo si inizia ad annunciare laBuona novella: «ciò che è più bello, piùgrande, più attraente e allo stesso tempo piùnecessario»18. Per accompagnare chi domanda di diventarecristiano, occorre fare discernimento, con ri-spetto e gradualità, ridando vita alle paroleche annunciamo e alle azioni che proponia-mo. La sfida qui è, fondamentalmente, vivereinsieme, mettendo in gioco volto, cuore emani per la nostra missione. Promuovereesperienze concrete: di condivisione della Pa-rola, di perdono e riconciliazione, di preghie-ra, di fraternità, di servizio ai poveri, di ascol-to… «L’azione evangelizzatrice è dunquecomplessa e raccoglie e unifica nell’orizzontedel Vangelo le esperienze umane e relaziona-li, le conoscenze sulla fede e la vita cristiana,le dimensioni di tipo liturgico e spirituale, lastessa testimonianza della carità»19.

Per prendersi cura di tutte le chiamate In questi anni, le esperienze sono state tantee molto diversificate. Tante storie, ognunaunica e irrepetibile. La sfida di accettare ladomanda alla fede di chi pensavamo giàbattezzato, “uno dei nostri”, è ancora attua-le. Dobbiamo continuare ad allenarci a nonidentificare catecumeni e neofiti come cate-gorie, per non alimentare preconcetti e limi-tare l’iniziativa e la creatività nell’azione ec-clesiale. Le esperienze realizzate e le buonepratiche condivise, consolidate in molte dellenostre Chiese, testimoniano delle attenzionispecifiche rispetto le domande presentate al-le comunità. Possiamo riassumerle in tregruppi:

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17 CEI, Incontriamo Gesù, n. 49.18 FRANECESCO, Evangelii guadium, n. 35.19 CEI, Incontriamo Gesù, n. 49.

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• I catecumeni e neofiti italiani: ancora sidà per scontato che la maggior parte dellapopolazione italiana sia battezzata, cheabbia sentito parlare di Gesù Cristo e co-nosca la Chiesa. Rimane un certo imba-razzo a proporre il primo annuncio a chisi presenta come persona di buona fami-glia, proveniente da un contesto in cuitutti sono credenti in Dio. Inoltre, è faciletrovarsi ad affrontare questioni relative arapporti troppo personali con alcuni rap-presentanti del clero. La tentazione è diaccelerare i tempi e ridurre il percorso aqualche incontro.

• Coloro che sono di altre nazionalità: laprima difficoltà è conoscere bene la pro-venienza e stabilire il livello e la possibi-lità di comunicazione tra chi domanda ilbattesimo e gli operatori che lo devonoaccompagnare. La questione delle diffe-renze culturali deve essere affrontata se-riamente. È da evitare qualsiasi propostadi accompagnamento fatta in parallelo al-la vita comunitaria. Da qui l’importanzadi valutare ogni situazione e favorire unagraduale integrazione in un territorio einclusione in una comunità ecclesiale.

• Il completamento dell’iniziazione cristia-na: aumenta il numero di giovani e adultiche, battezzati da piccoli, non hanno maivissuto un’esperienza di fede e che, inmolti casi, non hanno nemmeno ricevutogli altri sacramenti dell’iniziazione. Anco-ra oggi si fa fatica ad accettare che “difatto” essi vivano una situazione di cate-cumenato e che abbiano la necessità diun percorso di fede che vada dal primoannuncio fino alla mistagogia, in una co-munità concreta.

NUOVE PROSPETTIVE: CON UNOSGUARDO PROFETICO, PORTATOREDI SPERANZA

Quando il Gruppo nazionale si è messo a ri-flettere per preparare questo Convegno, hapensato di proporre un momento di memo-ria grata rivolto a tutti coloro che dall’inizioa oggi si sono spesi per far accadere i primipassi nell’impostazione del Catecumenato inItalia. Principalmente, però, ha voluto co-gliere questa occasione di incontro e discambio per riprendere le forze e ripartirecon energie nuove, guardando il futuro consperanza. Uno sguardo profetico vede l’in-sieme della realtà, ma lo fa individuandodelle priorità e progettando proposte concre-te e azioni mirate. Il nostro ritrovarci aiuteràil Servizio nazionale a confrontarsi ancoradi più con le realtà locali e a fare gradual-mente piccoli passi.Abbiamo imparato tanto accompagnando icatecumeni e facendo i primi passi nella fedein comunità con i neofiti. Abbiamo appro-fondito le tappe del Catecumenato e le cele-brazioni di passaggio; gestiamo meglio icontenuti e prepariamo a modo le celebra-zioni. Per non cadere nella tentazione del “siè sempre fatto così” dobbiamo, però, impa-rare ad accogliere ogni storia e a far un per-sonale discernimento su ogni situazione, co-sì da evitare che l’itinerario catecumenale siidentifichi con una gabbia o un soffocanteschema rigido.Per facilitare la nostra riflessione e provocareuna ricca condivisione, a partire dalle buonepratiche che avremo l’opportunità di vedere,mi permetto di elencare alcuni punti da ap-profondire nei prossimi anni: l’ispirazionecatecumenale dei percorsi dei bambini e ra-gazzi dai 7 ai 14 anni; la richiesta di itineraridi persone con disabilità, per lo più adole-scenti e giovani; l’istituzione e il consolida-

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico

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mento del Servizio regionale per il Catecu-menato come supporto ai Servizi diocesani.Senza nessuna pretesa di arrivare a delleconclusioni, ci tengo a ribadire che il Cate-cumenato rimane ancora poco conosciutodalle assemblee domenicali e dai battezzatiin generali, nonostante il prezioso servizioprestato in ordine al rinnovamento dell’ini-ziazione cristiana a tutti i cercatori di Dio eai ricomincianti che desiderano riavvicinar-si a Dio nella sua Chiesa. Temo che, anchequando si tratta di giovani e adulti, si cer-chi di tenere tutto nella sfera del privato,senza valorizzare abbastanza le storie e letestimonianze di questi figli e figlie rinati

dal Battesimo. Vorrei chiedere a voi tutti diaiutarci a far diventare “popolare” il Cate-cumenato in tutte le comunità e realtà. At-traverso i media, la valorizzazione e il coin-volgimento della religiosità popolare, lascuola, gli operatori pastorali, i movimentie le associazioni… questo Servizio meritadi essere sempre più conosciuto come pa-trimonio di tutta la Chiesa, perché «la pos-sibilità di essere oggi inseriti da adulti nellaChiesa per conversione personale, con unachiara rottura rispetto a scelte di vita pre-cedenti diverse dal vangelo di Gesù Cristo,è manifestazione della grazia che sempre sirinnova»20.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

20 CEI, Incontriamo Gesù, n. 51.

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Mi chiamo Silvia RomanoSono nata il 05/09/1985 e sono morta il4/12/1998Sono stata concepita nuovamente ad agostodel 2012 e sono rinata il 25/10/2015. Credoche questo sia il riassunto giusto delle mienascite e ora vi spiegherò perché.Quando sono nata i miei genitori non mihanno battezzata perché non erano prati-canti, non andavano in chiesa e non fre-quentavano la parrocchia. Non posso direcon assoluta certezza che non fossero cre-denti ma non volevano scegliere per me unacosa che non si sentivano al cento per centonelle loro corde e così hanno deciso cheavrei deciso io da grande cosa fare. In realtànon è andata neanche così…Ho avuto un’infanzia stupenda, pienad’amore ma quando andavo alle scuole me-die mio papà si è ammalato e il 4/12/1998è morto. Sono morta anche io con lui quelgiorno e nello stesso momento sono mortein me la speranza, la gioia per la vita, la fi-ducia, la felicità.Per molti anni dopo la morte di mio papàsono rimasta convinta che la mia vita fosserovinata per sempre in tutti i suoi aspetti.Ero convinta che non sarei più stata felicee non avrei goduto pienamente delle gioiedella vita come la famiglia, i figli, l’amore. Nonostante questo cancro che mi portavodietro nel 2005 ho conosciuto l’amore vero,Daniele. Con lui vivevo momenti indimen-ticabili ed ero convinta di aver trovatol’Amore con la A maiuscola. Daniele nonabitava vicino a me anzi ci separavano 40km ma la distanza non ci ha fermati. Per 8lunghi anni ci siamo visti solo il sabato e la

domenica e finiti gli studi e trovato un lavo-ro eravamo pronti per vivere insieme.È stato a quel punto che mi è crollato ilmondo addosso. Io ero desiderosa di costrui-re il mio futuro ma le mie fondamenta nonerano affatto solide. Sapevo che dentro dime c’era qualcosa di irrisolto, di sepolto vivodentro di me. Avevo un grande dolore den-tro che faceva marcire anche ciò che di fre-sco fioriva intorno a me. Avevo tutto manon sapevo goderne. Avevo una buona sa-lute, un fidanzato che mi rispettava e miamava, una famiglia vicino, un buon lavo-ro, un giro di amicizie. Ma io ero terrorizza-ta. Non ero disposta ad aprirmi alla felicitàperché avevo paura di soffrire, non sapevocome uscirne e ho cercato un aiuto psicolo-gico che però non riscosse alcun successo.Andavo da una psicologa da ormai 8 mesie non ne stavo traendo nessun beneficio an-zi in me la rabbia e la frustrazione aumen-tavano sempre di più: avevo paura a fare lastrada casa/lavoro, non dormivo bene, re-spiravo sempre a fatica, soffrivo di attacchidi panico.Durante l’estate del 2012 ho conosciuto unaragazza tramite un gruppo di amiche, Sara. Sara frequentava una parrocchia di missio-nari a Milano (I Missionari dello Spirito San-to) e ogni tanto ci raccontava dei suoi ritirie degli incontri che facevano. Ancora nonsapevo che per me si stava aprendo unastrada nuova. La scintilla che ha acceso la miccia di tuttigli eventi più incredibili della mia Vita è sta-ta una morte.Quell’anno la nonna di una mia cara amicaè morta ed è stato un lutto molto brutto per

Relazione testimonianza Silvia Romano, Arcidiocesi di Milano

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico

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lei, era inconsolabile. Mi sono ritrovata avolerla consolare ma con mia sorpresa ionon potevo. Mi sono trovata in un vicolocieco, perché a tutte le parole, le frasi, i con-cetti che mi venivano in mente per conso-lare la mia amica non credevo nemmeno io.Come potevo usare parole in cui io stessanon credevo? Mi sentivo malissimo e nonsapevo cosa fare finché tra i miei pensieri,come un soffio di vento, arrivò una fraseche cambiò tutta la mia prospettiva.

Dentro di me feci un dialogo:Cosa ci sta a fare Dio? Qual è la sua funzio-ne?Posso io consolare la mia amica sentendomiun paradosso? Sì, posso perché forse c’è qualcuno che con-sola me.

All’improvviso dentro di me è stato tuttochiaro. All’improvviso, nel giro di un secon-do, il tempo di pensare questo dialogo e nonero più io. Ho sentito dentro di me un ventoche ha spazzato via le nuvole. Ho sentito ilmacigno che avevo sul cuore sgretolarsi inbolle di sapone.Ancora non sapevo, ma in quel momentoDio si era messo comodo nel mio cuore.Non ero cosciente rispetto a quello che mistava succedendo ma ero in cerca di rispo-ste, quindi decisi di rivolgermi a Sara e lechiesi di accompagnarmi a Milano per par-lare con qualcuno dei missionari. Il 05/09/2012, il giorno del mio complean-no ho conosciuto David, all’epoca non eraancora prete e con lui ho iniziato un percor-so di direzione spirituale che ha sostituito imiei incontri con la psicologa. Con David hofatto un percorso di rinascita, di rielabora-zione della mia Vita sotto questa nuova Lu-ce che mi aveva toccato. Dopo un anno dicolloqui ho capito che la mia Vita era cam-

biata grazie a Gesù Cristo e insieme a Davidabbiamo deciso di intraprendere il percorsodel catecumenato per arrivare poi ai sacra-menti, Battesimo, Comunione e Cresima.Non sento di aver deciso di battezzarmi, nelsenso che la mia è stata più che altro unarisposta, un grande sì al dono della fede. L’accoglienza del dono della fede non è statasemplice perché pur sentendo una forza piùgrande di me che mi stava invadendo ero ti-morosa e molto provata. Stavo realizzandoche la possibilità di essere felice era reale enon me l’aspettavo, la fede ha ribaltato lamia visione della vita. Nelle mie debolezze,nelle mie paure ho imparato a vedere puntidi forza. Ho imparato che non posso con-trollare tutto, sembra banale ma è importan-te. Dio mi ha aiutato a capire come viverela mia vita, non mi aspetto che Lui mi risol-va i problemi ma che mi stia vicino nellegioie e nelle difficoltà.Con la fede nella mia vita sono cambiatetante cose: innanzitutto una calma interioremai provata prima. Non sentivo di essereanestetizzata ma bensì sempre più consape-vole di me stessa e della mia vita e non ave-vo ansie che mi attanagliavano perché sen-tivo di avere un alleato speciale sempre vi-cino a me. Ho ripreso il gusto per la vita co-me quando ero bambina e ho fatto pace conla morte perché ho vissuto anche io una re-surrezione. Dio mi ha permesso di guardarmi intima-mente e di ricamare la mia persona giornodopo giorno, anno dopo anno. Ho iniziato ascrivere, un diario e poi poesie. Mio papàscriveva poesie e credo che in qualche modoquello che ho vissuto sia anche un suo re-galo. Dal 2012 la mia Vita ha preso uno slancio,io e Daniele siamo andati a vivere insieme,frequentavamo entrambi i missionari, io hointrapreso il percorso del catecumenato, ab-

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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biamo deciso di sposarci, ci siamo sposati,abbiamo comprato casa e abbiamo avuto unbimbo che si chiama Giulio. Sono solo tre ri-ghe di eventi ma non so descrivere quantoio sia grata per tutto questo.Quando ci siamo trasferiti nel paese dove vi-viamo ora sono andata in parrocchia per of-frire il mio tempo. Ho iniziato a leggere amessa, poi un giorno Don Marco mi presen-tò una ragazza che aveva espresso il desi-derio di intraprendere un percorso spiritualeper conoscere Gesù e la religione cattolica;anche lei non era stata battezzata. Così dacatecumena sono diventata accompagnatri-ce e anche questo è stato un bellissimo do-no. Seguire Anastasia mi ha permesso di rivive-re il percorso che avevo appena terminatocon gioia e mi ha messo in contatto con lamia comunità. Leggendo a messa, facendocatechismo ai bambini la mia fede è diven-tata concreta, parte della mia vita di tutti igiorni.

Se penso a tutti gli anni trascorsi la primaparola che mi viene in mente è: grazie.Il mio incontro con Dio è iniziato su un fo-glio bianco sul quale ho scritto una poesiae da quel momento non ho mai smesso discrivere. Sento la presenza di Dio tra la miapenna e il foglio, è il momento in cui sentola sua presenza quasi palpabile. All’inizio hofatto fatica a farlo accomodare nel mio cuo-re, avevo una corazza ben solida da un po’di anni ma scoprirlo piano piano è stato bel-lissimo. Ha iniziato a cambiare piano pianola mia vita punto dopo punto come un rica-mo. All’inizio ha tolto quell’aura di paura edi ansia che aleggiava in me permettendomidi godere del mio presente, dell’amore di Da-niele e della mia nuova vita che stava ini-ziando. Con questa disposizione d’animo hoiniziato a lavorare su me stessa, sul mio

passato ma soprattutto sul mio presente. Misono accorta che molte volte non ero prota-gonista della mia vita, vivevo con la mentenel passato e con la preoccupazione per ilfuturo. Ho imparato invece a valorizzareogni attimo a partire dal momento presente,a vivere un giorno se non un’ora alla voltae a guardare ogni giorno come un dono.Quello che mi spinge a guardare la vita inquesto modo è la gratitudine verso colui chemi ha salvato la Vita. Pian piano Dio si èfatto strada nella mia vita contaminandoneogni aspetto: il mio umore la mattina, la miapredisposizione verso il lavoro, la mia curadella casa, nel coltivare le amicizie, nel miostare con gli altri, persino nei miei vestiti.Ciò che mi appassiona di più di questa storiad’amore è che Lui mi ha permesso di vedereche tutto ha un senso profondo e che ognicosa fatta con Amore è un bene per noistessi e per gli altri. Vivere con Dio dentro èuna luce speciale per gli altri e un muto aiu-to. Sono grata di aver vissuto i sacramenti inmaniera così consapevole. Il Battesimo, lacomunione e la cresima il 25/10/2015 e lamia prima confessione il 17/06/2017. Ognivolta che a messa prendo la comunione perme è un’emozione che mi riporta al mio in-contro. Ogni volta che leggo durante la mes-sa il cuore batte a mille e cerco di leggerelentamente ma con voce fiera perché spessomi ritrovo a leggere parole che mi hannocambiata, che mi sono entrate dentro e mihanno attraversato da parte a parte. Spessodurante i canti mi commuovo, mi viene lapelle d’oca. All’inizio del mio percorso mi sono più voltechiesta se non mi stessi ingannando da so-la, ma ci ho messo poco per rispondermi checiò che stavo vivendo era profondamentereale. Posso dire che di Dio ho fatto e sto fa-cendo ESPERIENzA.

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Non avrei mai pensato di emozionarmi tan-to per il fatto di far parte di una comunità.Il paese dove vivo non è molto grande percui si conoscono un po’ tutti, mi hanno co-nosciuto come lettore, poi come catechista einfine come mamma, dato che hanno vistocrescere la mia pancia e poi leggere sull’al-tare con in braccio Giulio. Sono molto gratadi vivere qui e sono felice che Giulio cresceràin questa comunità.Mi ricordo che all’ultimo incontro del cate-cumenato abbiamo parlato di cosa avremmofatto con i nostri figli rispetto al battesimo.Indubbiamente in molti abbiamo evidenzia-to quanto sia stato bello fare questo percorsoda grandi, consapevoli delle nostre scelte. Iopenso che l’importante sia essere coerenti.Io ringrazio i miei genitori per non avermibattezzata, per avermi fatto vivere in un cli-ma coerente in cui mi sono sentita sensata.La stessa cosa la devo a mio figlio Giulio.L’Amore che ho sperimentato, il dono dellafede, fanno parte della mia Vita e di quelladi Daniele pertanto cercheremo di trasmet-tere la nostra storia a lui; poi ovviamente luipercorrerà la sua strada ma è importante chesappia da dove è nato quell’Amore che harespirato dal giorno della sua nascita.Sono grata di aver potuto intraprendere ilpercorso del catecumenato perché ho potutoconoscere tante persone che hanno vissutole stesse cose che ho vissuto io in tanti modidiversi e questa è già una grande testimo-nianza della straordinaria presenza di Dioche accompagna ciascuno di noi nelle nostreparticolari e uniche vite.Dato che il linguaggio di Dio per me è lapoesia, ecco alcuni frutti dell’ispirazione del-lo Spirito, i più significativi per me:

16/08/2013

Io ti sento solo nel silenzioSei l’energia che scorre Nei miei nervi

Vorrei sentirti anche nel rumoreDei giorni più intensiMa forse già ti sentoDevo solo ammetterlo a me stessa

Dire senza paura: Io credo

Io credo in ciò che hai lasciato in me Nell’impronta che c’è nel mio cuore

Non l’ho creata ioNon l’ho ideata io, era lì

Mi fido di quello che sento Perché non viene da me Ma tu lo hai creato per me e in me E io per questo ti ringrazio

16/11/2013

Quando nella mia testa c’è il caosSo che poi Tu arriviÈ il caos che ti precedeIo ti lascio la porta apertaÈ difficile tenere dentro tutto quello che mifai provareEd è altrettanto difficile farlo uscireQuando ti sentoSono abbandonata a un senso primordialeDove contano solo le emozioni

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LE PROSPETTIVE EUROPEE

Per avere un’idea sintetica del percorso com-piuto insieme dai diversi catecumenati eu-ropei, attraverso il quale si è giunti ad unacondivisione di intenti pastorali e urgenzeper scegliere una condivisione di urgenzeculturali e metodologiche nell’annuncio dellafede, basti brevemente vedere il percorso deiConvegni EUROCAT, che hanno fatto cre-scere una visione europea del catecumena-to. I passi compiuti possono essere signifi-cativi per approfondire eguali ricerche nelproprio cammino.

– Una ricerca progressiva dei diversi aspettidel catecumenato: • Vero una visione comune di catecume-nato – 1970-1975

• Bruxelles 1970; Madrid 1971; Strasbur-go 1973; Amsterdam 1975.

• La scoperta comune del RICA – 1977-1983

• Lione 1977; Anversa 1979; Madrid1981; Londra 1983.

• Un catecumenato che accompagna lepersone – 1985-1991

• Ginevra-Annecy 1985; Gazzada 1987;Augsbourg – Leiterschofen 1989; Ba-yonne 1991.

• Dalle origini al futuro – 1993-1995

• Roma 1993; Saint Maurice 1995

• Una storia comune ma diversa – 1997-2005

• Berlino 1997; Parigi 1999; Leeds 2001;Barcellona 2003; Vadstena 2005.

• Per inculturare la fede – 2007-2011• Firenze 2007; Wien 2009; Gand 2011;

Paderborn 2014.

– Il rispetto delle tipicità ecclesiali – una plu-ralità di cammini ecclesiali:

Il confronto sempre ricco e variegato haportato a scoprire, e quindi a valorizzare erispettare, le diverse situazioni ecclesialiche venivano presentate da parte dellesingole Chiese, chi con un cammino giàlungo, chi con una prima scoperta delladomanda di fede nel proprio paese. Il RICAè stato un riferimento comune per una pe-dagogia iniziatica, lasciando che si calassenella storia di ciascuna Chiesa.

IL CAMMINO ITALIANO

– La consapevolezza di una pastorale man-cante (Martini 1987 – Tettamanzi 1993)

Nel 1987 in occasione dell’11° incontro eu-ropeo sul catecumenato (EUROCAT) svoltosi

Luci e ombrenella recezione italiana

delle prospettivedel catecumenato europeo

don Walter Ruspi, Gruppo nazionale catecumenato

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a Gazzada (VA), il card. Martini, leggendola situazione in atto in Italia, relativa alladomanda di fede degli adulti, sottolineavadue fenomeni di fronte ai quali sia mo anco-ra impreparati sia per com prenderli che perfare una proposta organica ecclesiale.Si presentano due fenomeni che viviamocon una certa difficoltà. Prima di tutto unnumero sem pre crescente di adulti, di gio-vani, di ragazzi domanda il battesimo. Èun fenomeno che è cominciato in questi an-ni e per il quale noi non sappiamo ancorabene quale linea seguire, ma che certamen-te è molto importante e non ci trova benpre parati. Non dobbiamo attardarci di più.In secondo luogo, un numero ve ramentegrande di battezzati deve rifare il camminodella propria ini ziazione cristiana, o addi-rittura af frontarlo per la prima volta, per-ché parecchie famiglie che a suo tempohanno domandato il battesimo per i loro fi-gli non hanno poi dato loro nient’altro. Percostoro il battesimo non ha avuto alcunainfluenza tan gibile nella vita e si deve ri-comin ciare da capo.

Nel 1993 Mons. Tettamanzi (allora segre-tario della CEI) istituiva un gruppo di studiosulla necessità di istituire il catecumenato inItalia e per elaborare un progetto di possibiliorientamenti circa il catecumenato degliadulti, dei ragazzi e per il risveglio della fedee il completamento dell’Iniziazione Cristiana.Più tardi il progetto assunse una descrizioneriassumibile quasi in uno slogan, risuonatoanche al secondo Sinodo dei Vescovi sul-l’Europa (1999). Si tratta di “Battezzare iconvertiti alla fede cristiana e convertire ibattezzati nella fede cristiana”.

Nel 1997 il Consiglio Episcopale Permanen-te della CEI, con la nota pastorale sul cate-cumenato degli adulti, indicava la situazione

nuova presente in Italia e ne rilevava l’op-portunità provvidenziale per le nostre vec-chie comunità.Si assiste oggi anche in Italia, come in altripaesi dell’Occidente, alla conversione diadulti che si avvicinano alla Chiesa e chie-dono il Battesimo. Si tratta, in genere, dipersone che non furono battezzate nellaprima infanzia pur provenendo da famiglietradizionalmente cristiane. I genitori, noncredenti o in situazioni coniugali irregolario in atteggiamento di contestazione neiconfronti della Chiesa e delle sue istituzioni,ritenevano loro dovere lasciare ai figli,giunti in età giovanile o adulta, la sceltadi farsi cristiani. Rilevante poi, e in certiambienti maggioritario, il caso di giovanio adulti stranieri, europei ed extraeuropei,che chiedono il Battesimo. Si tratta in par-ticolare di immigrati che giungono in Italiaa causa delle gravi situazioni economicheo sociali che caratterizzano oggi la vita ditanti paesi del sud o dell’est del mondo.L’importanza della scelta catecumenale, pri-ma ancora che per il numero degli adulti cheraggiunge, ha valore per la sua funzione si-gnificativa nella pastorale e per il futuro del-la Chiesa. Il catecumenato è una funzioneessenziale della Chiesa. In una pastorale dievangelizzazione la scelta catecumenale de-ve passare da esperienza marginale o ecce-zionale a prassi ordinaria. Il catecumenatonon è una semplice attività che una parroc-chia può subappaltare a un gruppo specia-lizzato. Il catecumenato non è qualcosa diaggiuntivo, ma momento fondamentaledell’attività delle nostre comunità ecclesiali,anche se al presente possono essere pochigli adulti che domandano esplicitamente ilBattesimo. Il catecumenato fa scoprire, inmodo nuovo e meraviglioso, il dono che Dioaccorda ai suoi: la Chiesa che chiama è chia-mata.

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– Una guida tracciata dal RICA (Le tre note– 1997 – 1999 – 2003)

Successivamente venivano a completare ilquadro degli orientamenti altre due Note delConsiglio Episcopale Permanente: Gli orien-tamenti per l’iniziazione dei fanciulli e deiragazzi dai 7 ai 14 anni (1999) e Gliorientamenti per il risveglio della fede e ilcompletamento dell’iniziazione cristiana inetà adulta (2003), unitamente ad una Notadella Commissione episcopale per la dottrinadella fede, l’annuncio e la catechesi: Questaè la nostra fede. Nota pastorale sul primoannuncio del vangelo (2005).

– Una comunione da costruire tra le chieseI passi successivi alla pubblicazione delleNote per l’Iniziazione cristiana sono stati unfiducioso e pressante lavoro di informazio-ne, presentazione di esperienze, sostegnoagli accompagnatori, condivisione di espe-rienze, per costruire un tessuto nazionale. ISeminari annuali sul catecumenato hannocreato legami e speranze comuni.

LE LUCI

– La risposta generosa dell’Episcopato: Co-municare il Vangelo in un mondo checambia – 2001

Nel 2001 l’Assemblea Generale dei VescoviItaliani con il documento: Comunicare ilVangelo in un mondo che cambia (29 giu-gno 2001) indicava itinerari di fede legatialla vita e attenti ai cambiamenti pastoralinecessari di fronte a diversificate situazionipersonali.Occorre inoltre tener presente che ormai lanostra società si configura sempre di piùcome multietnica e multireligiosa. Dobbia-mo affrontare un capitolo sostanzialmente

inedito del compito missionario: quellodell’evangelizzazione di persone condottetra noi dalle migrazioni in atto. Ci è chiestoin un certo senso di compiere la missionead gentes qui nelle nostre terre. Seppur conmolto rispetto e attenzione per le loro tra-dizioni e culture, dobbiamo essere capacidi testimoniare il Vangelo anche a loro e,se piace al Signore ed essi lo desiderano,annunciare loro la parola di Dio, in modoche li raggiunga la benedizione di Dio pro-messa ad Abramo per tutte le genti (cf.Gen 12,3).La comunità cristiana dev’essere semprepronta a offrire itinerari di iniziazione e dicatecumenato vero e proprio. Al centro ditale rinnovamento va collocata la scelta diconfigurare la pastorale secondo il modellodella iniziazione cristiana, che – intessendotra loro testimonianza e annuncio, itinera-rio catecumenale, sostegno permanentedella fede mediante la catechesi, vita sa-cramentale, mistagogia e testimonianzadella carità – permette di dare unità allavita della comunità e di aprirsi alle diversesituazioni spirituali dei non credenti, degliindifferenti, di quanti si accostano o siriaccostano al Vangelo, di coloro che cer-cano alimento per il loro impegno cristiano.

• Il volto missionario delle parrocchie in unmondo che cambia – 2004

Infine, nel 2004 con il documento Il voltomissionario delle parrocchie in un mondoche cambia (30 maggio 2004) si offreun’ampia descrizione del percorso iniziaticocompiuto dalla comunità parrocchiale perportare l’attenzione alle nuove situazioni.Alla parrocchia spetta non soltanto offrireospitalità a chi chiede i sacramenti comeespressione di un “bisogno religioso”, evan-gelizzando ed educando la domanda reli-

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giosa, ma anche risvegliare la domanda re-ligiosa di molti, dando testimonianza allafede di fronte ai non credenti, offrendo spa-zi di confronto con la verità del Vangelo,valorizzando e purificando le espressionidella devozione e della pietà popolare.

• Lettera ai cercatori di Dio – 2009

Sussidio offerto a chiunque voglia farne og-getto di lettura personale, oltre che comepunto di partenza per dialoghi destinati alprimo annuncio della fede in Gesù Cristo, al-l’interno di un itinerario che possa introdur-re all’esperienza della vita cristiana nellaChiesa. La Lettera si rivolge ai “cercatori diDio”, a tutti coloro, cioè, che sono alla ricer-ca del volto del Dio vivente. La Lettera vor-rebbe suscitare attenzione e interesse anchein chi non si sente in ricerca, nel pieno ri-spetto della coscienza di ciascuno, con ami-cizia e simpatia verso tutti. Il testo parte daalcune domande che ci sembrano diffuse nelvissuto di molti, per poi proporre l’annunciocristiano e rispondere alla richiesta: dove ecome incontrare il Dio di Gesù Cristo?

– La collaborazione di nuovi operatori pa-storali: gli accompagnatori

Nelle parrocchie una volta lo spirito missio-nario si esprimeva nel pregare per le missio-ni e per i missionari che andavano lontano,nel raccogliere doni e offerte per le missioni,nel leggere e diffondere la stampa missiona-ria, nel promuovere le vocazioni missiona-rie; ma il mondo missionario rimaneva geo-graficamente lontano. Ora non è più così,questa gente è vicina, è nelle diocesi, nelleparrocchie, ci sta fianco a fianco sui mezzidi trasporto, nei bar, negli stadi, nei super-market, nei luoghi di divertimento, davantiagli sportelli delle pubbliche amministrazioni

e soprattutto sui posti di lavoro, nella scuolae, sempre di più, anche nei condomini.Areopago di evangelizzazione diventa lastessa famiglia. Lo stile di cordiale acco-glienza e di rispetto, tanto più se in un con-testo di autentica religiosità, possono porreforti interrogativi al lavoratore straniero epredisporlo a condividere col datore di lavo-ro anche la ricchezza della fede.

– Un campo aperto all’accoglienza di cerca-tori di Dio

Alla parrocchia spetta non soltanto offrireospitalità a chi chiede i sacramenti comeespressione di un “bisogno religioso”, evan-gelizzando ed educando la domanda religio-sa, ma anche risvegliare la domanda religio-sa di molti, dando testimonianza alla fede difronte ai non credenti, offrendo spazi di con-fronto con la verità del Vangelo, valorizzandoe purificando le espressioni della devozione edella pietà popolare. L’itinerario della vita cri-stiana si ripresenta in forma sempre nuova,corrispondente alle età della vita, alle condi-zioni interiori ed esteriori, ai mutamenti dellastoria personale e comunitaria.

– Un’ampia ricerca di linguaggi idonei perun cammino di fede: i sussidi

Sono noti: la testimonianza della carità in tutte le suesfumature, quelle in particolare che dal-l’esperienza nostra personale e ancor piùdall’esempio dei santi, sappiamo avere piùpresa sullo straniero.Il raccontare la propria fede: qui non occor-re tanta dottrina, ciò che vale è la convin-zione e l’adesione appassionata, entusiastaal proprio credo. Per l’annuncio diretto occorre tempo e pa-zienza, ma anche tanta attenzione a cogliere

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il momento opportuno, mentre interiormen-te lo si desidera e in tutti i modi lo si predi-spone. Torniamo alle parole di BenedettoXVI: “Il cristiano sa quando è tempo di par-lare di Dio e quando è giusto tacere di lui elascia parlare solamente l’amore” (n. 31, c)

LE OMBRE

– Il difficile passaggio dalla strutturaalle persone: a quando lo status ecclesiale dei ca-tecumeni?

Il primo passo da compiere per portare a pie-no sviluppo il catecumenato è quello diprendere sul serio il RICA, e non ripetere co-me un mantra che la catechesi deve esserecatecumenale, che il catecumenato deveispirare la catechesi, quando in realtà si pro-cede sempre in modo diverso.

Prendere sul serio il RICA e il catecumenatoantico è accogliere l’indicazione che sempresi parla di “persone della famiglia di Dio”,accolti nelle loro situazioni spirituali. Vi so-no i fideles battezzati, ma vi sono nellaChiesa anche i cristiani penitentes, che per-corrono una via di conversione, infine visono i cristiani catecumeni, riconosciuti co-me già membri della Chiesa per il loro cam-mino di ascolto della Parola di Gesù e se-gnati dalla croce sulla fronte con il ritodell’ammissione: Iam de Christo sunt, dedomo Christi sunt.

Il RICA ricorda come sia “compito delle Con-ferenze Episcopali prevedere, secondo le va-rie situazioni locali, le modalità della primaaccoglienza dei “simpatizzanti”, cioè di co-loro che, senza credere pienamente, tuttaviamostrano una certa propensione per la fede

cristiana” (RICA 12). È infatti riduttivo ca-ricare il tempo del catecumenato sia comespazio di indottrinamento che di rigorosi eossessivi riti liturgici, se non si respira unannuncio del Vangelo presentato “in modoadatto” (RICA 11) e perché “riescano più fa-cili gli incontri dei candidati con le famigliee comunità cristiane” (RICA 11).

Lo stesso Codice di Diritto Canonico indicail percorso al Can. 788: §1. Quelli che avranno manifestato la vo-lontà di abbracciare la fede in Cristo, com-piuto il tempo del precatecumenato, sianoammessi con le cerimonie liturgiche al ca-tecumenato, e i loro nomi siano scrittinell’apposito libro.§2. I catecumeni, per mezzo dell’istruzionee del tirocinio della vita cristiana, sianoadeguatamente iniziati al mistero dellasalvezza e vengano introdotti a vivere lafede, la liturgia, la carità del popolo di Dioe l’apostolato.§3. Spetta alla Conferenza Episcopale ema-nare statuti con cui ordinare il catecume-nato, determinando quali siano gli obblighidei catecumeni, e quali prerogative si deb-bano loro riconoscere.

Si tratta di determinare non solo l’organiz-zazione del catecumenato, ma anche lo sta-to giuridico del catecumeno, determinando-ne le prerogative. Per l’Italia il ConsiglioPermanente con la Nota Orientamenti peril catecumenato degli adulti (30 marzo1997) ha dato indicazioni per l’organizza-zione del catecumenato, e già diverse Dio-cesi hanno pubblicato loro Direttori applica-tivi. Si tratta ora di considerare una posizio-ne circa le prerogative dei catecumeni, perdare maggiore chiarezza alla loro accoglien-za nella Chiesa. Alcune situazioni hannosegnalato l’esigenza di queste precisazioni,

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come la competenza del Rito matrimonialeper i catecumeni, i riti funebri e la prepara-zione al matrimonio. A qualcuno potràsembrare strana la prospettiva, ma il rico-noscimento pieno come christiani catecu-meni, già appartementi alla Chiesa, comedice la Lumen Gentium, è il passaggio chepermette di parlare non solo di organizza-zione pastorale, ma di accoglienza di perso-ne, che, con il rito di ingresso o primo pas-saggio, hanno rapporti nuovi con la vitadella comunità. Da tutto il contesto si evin-ce come sia di rilevante importanza che laChiesa non solo indichi percorsi catechisticie liturgici, ma precisi al suo interno lo sta-tuto canonico dei catecumeni, che benchénon siano ancora “christiani fideles” sonoperò “christiani catecumeni”, membra dellaChiesa, con il diritto di ricevere la Parola diDio ed essere accompagnati a crescere nellavita cristiana.

Attuare il RICA nella sua pienezza è aprireun cammino con il primo annuncio, non ri-vendicando competenze, ma attuandolo, co-me il precatecumenato già lo indica, essendoquesto un tempo di primo annuncio nell’ac-coglienza e nel prendersi cura.

Infine si tratta di non archiviare le tre notesulla Iniziazione Cristiana, ma di assumernela loro anima biblica, feconda di ispirazione.Il Vangelo di Giovanni ci parla della Sama-ritana, ossia dell’iniziativa di Gesù, che ri-vela sua sete di incontro con noi; ci parladell’azione dello Spirito Santo che porta pro-gressivamente la Samaritana ad aderire aGesù. Il Vangelo di Luca ci indica l’itinerarioparadigmatico dei due discepoli di Emmaus,in cammino con Gesù.

– La strada difficile delle situazioni ma-trimoniali:

l’incontro con la multiculturalità e lapluralità delle etnie migratorie

Nello scorso dicembre si è tenuto a Parigipresso L’Institut Catholique – Facoltà di Di-ritto Canonico – una Giornata di Studio su“Il diritto della Chiesa a servizio dei cate-cumeni. Approcci canonici e pastorali ine-renti alle situazioni matrimoniali”. È statal’occasione per attuare una lettura comunetra le disposizioni generali e le situazioniconcrete e vissute delle persone catecumeneche vivono il loro cammino spirituale versola fede insieme a persone che in un certomodo, a volte, sono un ostacolo canonicoalla loro piena adesione alla Chiesa. Si trattadi persone unite a cristiani separati da pre-cedente matrimonio canonico. Il diritto ca-nonico ne descrive diverse tipologie (matri-monio civile con un battezzato, attesa dimatrimonio con un battezzato, divorziato dacattolico e richiedente battesimo per matri-monio nuovo con cattolico, matrimonio conconiuge che non intende essere battezzato)e per ciascuna di queste tipologie sono pro-spettati percorsi giuridici di possibile o im-possibile soluzione. La pastorale si muoveaccompagnando tutte queste situazioni vis-sute da catecumeni, cercando di operare undiscernimento sia rivolto alla verità della fe-de che alla serietà della relazione matrimo-niale. La pastorale non giudica, ma innan-zitutto sente il dovere di comprendere i cri-teri canonici e pastorali per l’ammissione alcatecumenato, e di formare persone chesappiano adeguatamente accompagnarequesti catecumeni. Si pongono così alcunipercorsi che interessano prima gli accompa-gnatori e i responsabili delle comunità cri-stiane e poi i catecumeni. A volte giungonopersone non battezzate con il desiderio di ri-cevere i sacramenti dell’iniziazione cristianasenza che questo desiderio sia realizzabile,

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almeno immediatamente o in un tempo bre-ve. In un dialogo comune e nella compren-sione si dovranno appianare le tensioni edevitare le rotture tra la persona e la parroc-chia, se l’accesso ai sacramenti è differito.Ma si può proporre una partecipazione al-l’ascolto della Parola o al servizio dei fratellinella carità. L’esperienza mostra che ci sonodei veri cammini di conversione. Benchénon esista un vademecum ufficiale, tuttaviain molte delle diocesi, unitamente alla do-manda di un simpatizzante che chiede diavvicinarsi alla fede cristiana, si trova untracciato descrittivo delle diverse situazionipersonali, dal celibe/nubile ad una varietà diposizioni matrimoniali: coniugato con unbattezzato cattolico con matrimonio interre-ligioso (disparità di culto); coniugato con unbattezzato non cattolico con matrimonio ci-vile o con rito religioso presso comunità cri-stiane non cattoliche; coniugato con un nonbattezzato con matrimonio civile o con ma-trimonio tribale; coniugato civilmente o con-vivente con un battezzato cattolico; coniu-gato o sposato civilmente con un battezzatocattolico in situazione di irregolarità matri-moniale. Ciascuna di queste situazioni vedeuna indicazione di procedura per l’ammis-sione o l’attesa. In realtà necessita di essere avviata una ri-flessione ampia, anche in riferimento allaAmoris Laetitia di papa Francesco che, nelgià ricordato n. 249, presentava la partico-lare difficoltà di coloro che chiedono l’acces-so al battesimo in condizioni matrimonialicomplesse. “I Vescovi sono chiamati a eser-citare, in questi casi, un discernimento pa-storale commisurato al loro bene spiritua-le”. Mentre si attende questa nuova edevangelica riflessione, sono consolanti le pa-role di papa Francesco che ci invitano aduna nuova pastorale nell’accoglienza e nellacompassione.

– Lo sguardo corto sulle nuove genera-zioni:Il crollo del pedobattesimo

Attuando una semplice attenzione al vissutoquotidiano delle nostre comunità parrocchia-li, non sfugge che la domanda di battesimoper i neonati, da parte delle famiglie, abbiauna signifcativa diminuzione. I fattori sonotanti: la diminuzione delle nascite, l’attesadi tempi più lunghi familiari per la celebra-zione, anche a motivo dei parenti, ma purele nascite in famiglie di conviventi, divor-ziati, indifferenti. L’iniziazione cristiana deifanciulli sta conoscendo capitoli nuovi, nonsolo per un ripensamento generale, ma pureper un nuovo inizio alla fede. Quale atten-zione si ritrova nelle nostre comunità a que-sto tempo educativo mutato? La secondanota può dare preziosi punti di riferimentoper cominciare a pensare ad una pastoralenuova per il futuro.

– L’asfissia delle comunità cristiane:l’arroccamento pastorale

Il documento Il volto missionario delle par-rocchie in un mondo che cambia indica duepossibili derive e quindi chiusure: da unaparte la spinta a fare della parrocchia unacomunità “autoreferenziale” in cui ci si ac-contenta di trovarsi bene insieme, coltivan-do rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’al-tra la percezione della parrocchia come“centro di servizi” per l’amministrazione deisacramenti, che dà per scontata la fede inquanti li richiedono. L’attuale organizzazio-ne parrocchiale, che vede spesso piccole enumerose parrocchie disseminate sul terri-torio, esige un profondo ripensamento. Tuttedevono acquisire la consapevolezza che è fi-nito il tempo della parrocchia autosuffi-ciente. Non va ignorata la comunità locale,

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ma occorre abitare in modo diverso il terri-torio, tenendo conto dei mutamenti in atto,della maggiore facilità degli spostamenti, co-me pure delle domande diversificate rivolteoggi alla Chiesa e della presenza di immi-grati.

IL CATECUMENATO: UN SEGNODELLA GIOIA DEL VANGELO

Non siamo di fronte a una prospettiva chevaga nell’incerto e ci proietta nel domani,ma di fronte a una felice realtà che stiamovivendo oggi, avvalorata da incoraggiantiesperienze, che è in pieno sviluppo. Certa-mente, di fronte ai due milioni di immigratinon cristiani, quelli che si sono accostati ostanno accostandosi alla fede sono una pic-cola minoranza, però estremamente signifi-cativa, come ai primi tempi della Chiesa.Non soltanto in grandi città, dove ogni annosi contano a decine, ma anche in diocesi didimensioni più modeste. Non mancano poile donne della tratta, aiutate a lasciare lastrada, che ora incamminate su una stradaben diversa, quella che porta all’incontrocon Cristo.Di fronte a questi casi e a tanti altri ci si po-ne spesso la domanda: quali ragioni spingo-no questi fratelli e sorelle a intraprendere ilpercorso di catecumenato? Le risposte, comesappiamo, possono essere molto varie e, al-meno in apparenza, non sempre dettate damotivazioni soprannaturali. Motivo o spintaimmediata è il matrimonio con una personacattolica, il desiderio di integrazione piena e

di adeguamento all’ambiente, la simpatiacon un amico cattolico, il benessere non solopsicologico che sperimentano nell’area dellaparrocchia, il senso di gratitudine per i ser-vizi ricevuti, ecc.; altri motivi sono la ricercadi risposta a un’istanza religiosa più o menoesplicita o al senso della vita, la testimo-nianza di carità da parte degli operatori so-cio-pastorali, in particolare la loro costanza,lo stile di gioia e di gratuità del loro servizio,il trasparente senso religioso, la dedizionealla Chiesa da parte di singoli e di gruppi. L’intervento caritativo, socio-assistenziale epromozionale che si fa in nome della Chiesa,nello spirito del Vangelo è già opera di evan-gelizzazione, ha la sua misteriosa carica sal-vifica per vie forse misteriose, che sono nelsegreto di Dio. Spesso però anche noi ce neaccorgiamo, magari dal senso di sollievo delmigrante che ha sperimentato il calore uma-no e cristiano di chi gli si fa “prossimo”; na-sce in lui anche un senso di vicinanza, di fi-ducia, di amicizia verso questo fratello chegli fa sentire con i fatti che Dio è amore el’amore diventa il grande comandamentoper chi crede in questo Dio di Gesù Cristo.Mi piace concludere utilizzando un’espres-sione udita durante un incontro internazio-nale sul catecumenato: l’immagine dei cate-cumeni come “esploratori”, ricordando gliesploratori inviati da Giosuè per scoprire la“terra promessa” che si presentava al di làdel Giordano. I catecumeni sono come“esploratori” che ci introducono in una “ter-ra nuova” per le nostre Chiese occidentali,verso una Chiesa missionaria.

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Vorrei congratularmi prima di tutto con laChiesa italiana per questo felice anniversariodei 25 anni del servizio per il catecumenatoe augurare molti anni di apostolato fecondo! Ringrazio poi sua eccellenza MonsignorSanna, Monsignor Paolo Sartor e l’Ufficiocatechistico nazionale della Cei, don JourdanPinheiro, il signor Filippo Margheri e gli or-ganizzatori di queste giornate per aver invi-tato l’ufficio per l’organizzazione europeadel catecumenato di EuroCat a questa bellaoccasione, per condividerla con voi. E pertutti quelli che non comprendono troppo be-ne la lingua italiana di questo pomeriggio ri-cordo che sarà sempre molto piacevole ap-profittare dell’ineguagliabile cucina italianaquesta sera! Ringrazio voi tutti per avermi dato la possi-bilità di condividere con voi alcune riflessio-ni e sfide sull’iniziazione degli adulti; le horiunite il meglio possibile, immaginando undialogo tutti insieme. Si tratta di un grandeonore per me, insieme al fatto di ritrovaremonsignor Walter Ruspi, che è una vera au-torità del catecumenato in Europa ed in Ita-lia.

PER METTERCI IN CAMMINO

Inizio con una domanda che anticipa le no-stre conclusioni: qual è il comandamento piùimportante oggettivamente contenuto nelnoto comandamento missionario (Mt28,19-20): “Andate dunque e fate discepolitutti i popoli, battezzandoli nel nome del Pa-dre e del Figlio e dello Spirito Santo, inse-gnando loro a osservare tutto ciò che vi hocomandato” (in greco: poreuesthai, man-thanein, baptizein, didaskein)? Di tuttiquesti quattro verbi – andate, fate discepoli,battezzate, insegnate – tre nel testo grecosono in forma di participio e lasciano quindiil primo posto all’unico verbo messo all’im-perativo: andando, battezzando ed inse-gnando, fate discepoli (mathèteusate)! Faredei discepoli è più importante del nostro pro-fondo desiderio di battezzare e della nostraimportante capacità di insegnare la buonadottrina! È su questa lettura del mandatomissionario che ho strutturato il mio contri-buto.Siamo in cammino verso la Chiesa missio-naria, noi non ci siamo ancora arrivati. Dadove siamo attualmente con la Chiesa inEuropa, se ci guardiamo intorno si vede da

issiamo la velaper “capo discepolato”

Sfide circa l’iniziazione cristianae la catechesi degli adulti oggi in Europa

Prof. Stijn Van Den Bossche, presidente Equipe Europea dei Catecheti

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.

Ogni mattina fa attento il mio orecchioperché io ascolti come i discepoli. (Is 50, 4)

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una parte il territorio della cristianità cultu-rale, che noi abbiamo perso e, dall’altra par-te, il territorio missionario dove noi non sia-mo ancora. Noi restiamo in un certo sensoin mezzo ai due, ed è qui che la chiesa “haluogo” in questo tempo. E questo vale allostesso modo per il catecumenato e per la pa-storale tradizionale con il battesimo deibambini. Questo per la chiesa in Europa.Rispetto alla fede cristiana in Europa, io pre-ferisco tuttavia un’altra immagine. Quandosi raggiunge l’Italia in automobile venendodal Belgio, si attraversa, verso il sud dellaBorgogna, la famosa “linea di separazionedelle acque”. È un posto magico perché, apartire a quel punto, l’acqua scorre in un’al-tra direzione: non più verso l’oceano Atlan-tico, ma verso il mare Mediterraneo. Tutta-via, è possibile accorgersene solo grazie alcartello sull’autostrada, altrimenti nulla sem-bra cambiare. Si continua a procedere e nonsi vede niente di speciale immediatamentenel paesaggio, ma di fatto tutto è ormai cam-biato. Di questo ci si rende conto gradual-mente: si passa dall’Europa del burro a quel-la dell’olio d’oliva, dalla cultura della birraverso i grandi vini, dal fresco, dalle grandinuvole, la pioggia e l’erba verde del Nord altepore, al cielo blu, al sole e alla terra colorocra del Sud. Ecco, secondo me, un’imma-gine più ampia della fede in Europa: diver-samente dalle nostre chiese la fede in Europanon è a metà tra due, ma tutto è già cam-biato e ci vuole del tempo per accorgersene.È per questo che il teologo ceco Tomas Halikin uno dei suoi libri, dopo aver parlato dellanostra Chiesa come di “un mulino che con-tinua a girare ma senza macinare più”, ponequesta domanda alla chiesa del “a metà trai due”: “Tutto questo che direzione prende?Che cosa pensate che sarà diventata questachiesa tra cinquant’anni?” Che grande do-manda! Se questa notte volete perdere il

sonno fatevi questa domanda: che cosa saràla nostra Chiesa non tra cinque, ma tra cin-quant’anni in Europa?Metto ora sul tavolo le mie carte: io pensoche, nella prospettiva dell’iniziazione e dellacatechesi degli adulti, la sfida maggiore peril catecumenato sia di integrarsi nella pasto-rale ordinaria della Chiesa, ma essa non de-ve integrarsi nella nostra chiesa del “a metàtra i due”, perché perderà il suo carisma pro-fetico. Deve dirigersi invece, insieme allachiesa tutta, verso il “Capo Discepolato” (in-teso come direzione di navigazione, comeverso Capo di Buona Speranza). Ed è laggiù,a “Capo Discepolato”, che la nave dellaChiesa e il piccolo battello esploratore del ca-tecumenato si incontreranno e si integreran-no al meglio. Ora proverò ad elaborare ul-teriormente questo pensiero, lasciando daparte altri temi ai quali avevo pensato e chepotrebbero invece essere oggetto della no-stra tavola rotonda come ad esempio le mi-grazioni, come ripensare il rito, l’importanzadella durata del catecumenato, il coinvolgi-mento della comunità nella catechesi, laconsapevolezza che non siamo noi ad esse-re in grado di provocare la conversione.Divido la mia esposizione in due parti: la fe-de e la sua trasmissione verso “Capo Disce-polato”, e il catecumenato prima o dopo ilbattesimo a “Capo Discepolato”. Dispieghia-mo dunque la vela.

I. FEDE E TRASMISSIONE A “CAPODISCEPOLATO”: VERSO UNAFEDE IN CUI SI CREDE

Segnali di difficoltà nel dar fiduciaalla fede: alcune esperienzeCome introduzione, vorrei raccontare treesperienze che hanno che fare con il credereoggi. Prima di tutto mi colpisce il fatto che,

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in Belgio, dei cristiani per tradizione, di unacerta età, anche quelli che sono praticanti ladomenica, hanno molta difficoltà a crederealla loro risurrezione personale. Pensandoalla fine della loro vita che si avvicina, spe-rano di continuare a vivere nei loro figli enipoti, che conserveranno la loro memoria.Ma che ne sarà di loro? Rivedranno i loroamati in cielo? E l’incontro ultimo con il Si-gnore della vita, per il quale noi siamo staticreati (CCC 1), resta sullo sfondo. Mio non-no quando aveva più di ottant’anni incorag-giava me, il suo nipotino studente in teolo-gia, dicendo: “Vedremo poi che cosa è verodi tutto quello che la Chiesa ci ha racconta-to!”. Quando, in un incontro simile al nostrodi oggi, dico che l’attesa della nostra risur-rezione personale fa parte della fede ancoraoggi, alcuni si stupiscono oppure pensano dime che io sia un fondamentalista perché noinon possiamo accedere a questo attraversola ragione anche se io lo credo veramente(“Che esagerazione” penseranno!). Così av-viene quando di afferma che “Dio è una per-sona”. Non è obsoleto pensare così? Ma co-me posso io incontrare un Dio non persona-le – analogia inclusa? E un terzo aneddoto viene dalla mia fami-glia. Preparavo il funerale di un mio zio de-funto con suo figlio. Stavamo scorrendo losvolgimento della liturgia e improvvisamen-te mio cugino mi interrompe, dicendo senzaalcuna ironia: “Sai che sembra quasi che tucreda veramente a tutte queste cose!”.Senza voler giudicare tutte queste persone,io devo confessare che senza la resurrezio-ne, senza il Dio personale e senza la presen-za reale di Cristo nella liturgia, la fede ècompletamente smantellata. Ecco che arri-viamo all’attitudine postmoderna o post-cri-stiana che non può più credere veramente atutto questo, anche se talvolta accede anco-ra ai riti della Chiesa.

Da dove viene tutto questo? In effetti mi pa-re di poter leggere attraverso le esperienzedescritte, una fede che non è vissuta comeincontro, ma unilateralmente come visioneintellettuale, attitudine, mentalità, che perdeallora gradualmente la sua plausibilità nellacultura moderna, anche nelle persone anzia-ne, fino non essere più vissuta da mio cu-gino più giovane. La crisi della fede ogginon significa allora la sua estinzione, ma latransizione da una fede come mentalità piùo meno scontata, verso una fede personaleche il credente deve credere. Questo, in uncerto senso, è ciò che la fede è sempre stata.Esploriamo ancora questa transizione dellafede.

Il nuovo volto della fede cristiana. Dalla verità alla relazioneOggi si inizia un percorso di fede, così comesi entra in una relazione: non la si assumepiù come un insieme di verità che fornisco-no una visione sulla vita e un modo di rap-portarsi alla vita. Ecco perché i giovani checredono sono meno preoccupati dei dogmiche sarebbero divenuti inaccettabili, come larisurrezione, Dio come persona, l’incarna-zione. In termini teologici la fede si mostraallora oggi più chiaramente come una virtùteologale, come anche la speranza e l’amo-re: in queste tre virtù, non si tratta di un at-teggiamento che posso adottare da solo, madi una relazione. E in profondità il verocompagno di questa relazione non può cheessere Dio stesso, nel quale credo, nel qualespero, che amo. Solamente Dio può donarmiqueste tre virtù, e nello stesso tempo mi do-na sé stesso come compagno. Questo diven-ta evidente nella sua negazione: senza Dio,la fede, la speranza e l’amore non sono maicomplete. Tra gli uomini, queste tre restanoin cammino verso il loro compimento chenon sarà mai raggiunto. La fede, la speran-

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za e l’amore descrivono dunque la nostrarelazione con Dio stesso, relazione che evi-dentemente si riflette sulle nostre relazioniverso gli uomini che sono a sua immagine.E le virtù teologali non perdono la loro pro-spettiva di verità, ma integrano la verità nel-la relazione: “Io sono la via, la verità e lavita”, ci dice il Cristo.

Dall’adesione culturale al contagiopersonaleLa fede non si inserisce più nel processoeducativo, ma appare oggi socialmente co-me una scelta individuale che il credente vi-ve comunque come una chiamata o una ri-sposta a un invito che lo precede. Prima lafede cresceva piuttosto con un’adesione so-ciale e come integrazione nella formazionedella persona. Oggi la maggior parte dei cre-denti si ricordano il momento esatto in cuihanno cominciato a credere.

Dalla visione alla chiamata.La fede diventa allora, oggi, più una chia-mata che una visione: prima di tutto l’ascol-to, e poi solamente dopo il vedere. Da unpunto di vista strutturale, ascoltare e vederegettano una luce complementare sul lato di“credere”. Quando la visione cristiana perdel’ascolto dell’offerta di amicizia che Dio cidona personalmente (DV 2), allora il razio-nalismo minaccia la fede. Questa tematica ètrattata nell’enciclica sulla fede detta “deidue papi”, Lumen fidei. La storia della fedein Dio comincia quando Dio chiama Abramoper nome: “La fede è legata all’ascolto.Abramo non vede Dio, ma sente la sua vo-ce. In questo modo la fede assume un ca-rattere personale. Dio risulta così (…) il Diodi una persona, il Dio appunto di Abramo,Isacco e Giacobbe, capace di entrare in con-tatto con l’uomo e di stabilire con lui un’al-leanza. La fede è la risposta a una Parola

che interpella personalmente, a un Tu che cichiama per nome.” (n. 8). Ed è precisamen-te questa fede come ascolto e risposta cheinsegna ad Abramo il vedere: “Ciò che que-sta Parola dice ad Abramo consiste in unachiamata e in una promessa. È prima di tut-to chiamata ad uscire dalla propria terra, in-vito ad aprirsi a una vita nuova, inizio di unesodo che lo incammina verso un futuroinatteso. La visione che la fede darà adAbramo sarà sempre congiunta a questopasso in avanti da compiere: la fede “vede”nella misura in cui cammina, in cui entranello spazio aperto dalla Parola di Dio”(n.9).

Torniamo ora alla nostra cultura attuale: noiproveniamo da un passato in cui il battesi-mo ratificava una visione cristiana del mon-do, della persona, di Dio, e non rifletteva un“sapersi chiamati” di tutti i battezzati. Perquesta ragione d’altra parte, si concepiva iltermine “vocazione” limitatamente, in unmodo del tutto ingiusto, riferito solo al mi-nistero e alla vita consacrata: per questi casil’essere cristiano diventava realmente unascelta e una chiamata. Una chiesa missio-naria metterà maggiormente l’accento sul-l’ascolto: oggi il cristianesimo non soprav-vive più come una mentalità, una visione oun insieme di valori, ma si diventa cristianiperché Dio comincia dirmi qualcosa, a par-larmi. Si veda l’Amoris Laetitia, in cui tuttoil capitolo terzo ha ora come titolo: “Losguardo rivolto a Gesù: la vocazione dellafamiglia”.

Essere cristiani oggi: è possibile!“Essere cristiani oggi è possibile!” era alloslogan dei vescovi belgi nell’anno della fede2012/2013. Ma si potrebbe anche leggerelo stesso slogan in un altro modo: essere cri-stiani oggi non è più scontato. La fede resta

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con una possibilità, ma diversamente dalpassato, non c’è più consenso culturale sudi lei e, come conseguenza, non sopravvivepiù come mentalità (termine utilizzato daMadeleine Delbrêl), ma ormai “I credenti de-vono credere la fede” (in fiammingo si diceche è una verità “grande come una mucca”,voi in italiano dite “grande come una ca-sa”). A una società individualizzata in cuiognuno compone la propria identità, corri-sponde necessariamente una modalità per-sonale di credere, e quindi una personaliz-zazione della fede.Noi non vorremmo sottostimare questo fe-nomeno: il filosofo canadese Charles Taylordistingue nel suo famoso libro L’età secolaretre tipi di secolarizzazione. Il primo tipo èquello pubblico dello Stato che non vuolepiù essere sotto la tutela della Chiesa e passada un regime ecclesiale dell’eterno (aeterni-tas) al regime del temporale (saeculum, se-colare). La seconda secolarizzazione è quellapersonale che noi conosciamo meglio: lagente abbandona la chiesa e la fede. Questaè la secolarizzazione pubblica che divieneanche personale. Ma è la terza secolarizza-zione che secondo lui è la più fondamentale,ed è il fatto che ormai, anche se noi credia-mo, sappiamo che la fede è una scelta dellanostra libera volontà! Noi ci rendiamo contoormai in ogni momento che abbiamo la pos-sibilità di non credere, che noi crediamo dinostra libera volontà, anche se la fede è spe-rimentata interiormente come una vocazio-ne e una grazia. E quindi, per essere creden-te, bisogna voler credere in tutto questo! Perme dunque la frontiera che divide le acquetra il cristianesimo culturale e la chiesa mis-sionaria in Europa si pone esattamente aquesto punto preciso: che noi crediamo op-pure no, noi sappiamo oggi che le due pos-sibilità restano tali, anche per il credente.Per questo noi non possiamo veramente più

dare per scontata, né imporre, la fede masolamente proporla.Ora vorrei rischiare un’affermazione un po’audace. La crisi che attraversa la nostraChiesa non è tanto una crisi della fede (cosache è già rilevante) quanto piuttosto di uncerto modello d’essere credente, per nascita.Non è la possibilità della fede che è sorpas-sata. Una volta che ci saremo abituati aquesta nuova cultura che non si fonda piùsu Dio, io penso che anche la fede riguada-gnerà un po’ della sua plausibilità. Per unfuturo ormai prevedibile, ciò che sembrasorpassato è la fede come evidenza, per cosìdire, la fede senza scegliere di credere per-sonalmente. Insomma, la fede come dimen-sione culturale dell’essere umano fa partedel passato.Ma credere per decisione personale è ancorapossibile. Dio parla apparentemente alle per-sone in ogni tempo, e anche nel nostro tem-po: lo testimoniano i gruppi moderni dei gio-vani che, contro la tendenza degli altri, sco-prono personalmente la fede, i catecumeni,i ricominciati nella fede di tutte le età. At-traverso circostanze molto diverse le lorostorie hanno questo in comune: che Dio aun certo momento ha cominciato a dire loroqualche cosa, a parlare con loro, perché essihanno risposto al suo invito. Così si leggein Chrétien anonyme, Cristiano Anonimo, lastoria della conversione del regista franceseThierry Bizot. È il percorso improbabile diuna persona a cui non mancava niente, cheaveva una bella famiglia, molti soldi e unaposizione sociale molto agiata a Parigi. Lasua vita è rimasta la stessa, ma nello stessotempo è radicalmente cambiata quando Dioha cominciato a parlargli, a dirgli qualchecosa. Nelle sue interviste Bizot riassume cosìla fede: “Io non conosco la teologia, ma ineffetti è molto semplice: ho incontrato unamico in Gesù, un amico che c’è sempre per

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me” (il libro è diventato un film: “L’amoreinatteso”)Se “essere cristiani oggi è nonostante tuttopossibile”, forse noi abbiamo identificatotroppo strettamente il declino sociale dellafede con la sparizione della fede. Da questoderiva la nostra difficoltà ad accettare questaevoluzione sociale, quando vogliamo rista-bilire la fede come una mentalità diffusa, làdove invece dovremmo promuovere una fe-de personale. Questo non vuole affatto direche l’iniziazione cristiana dei bambini nonha più significato. Al contrario: un conver-tito adulto vi dirà sempre che conserva nelcuore l’impressione di aver mancato qualco-sa di irrecuperabile. D’altra parte, voi sapetebene, e io lo so come padre di famiglia, chenon basta aver educato e iniziato i vostribambini cristianamente perché diventino deicristiani convinti nella loro giovinezza. Ser-virà una scelta personale, un momento incui una parola difficile ma necessaria per noigenitori e pastori arriva: perdere il controllo.Noi non abbiamo più il controllo, ma qui sitratta del mistero della libertà della personae della grazia divina.Le conseguenze per la trasmissione della fe-de sono davvero importanti! In un modo unpo’ più diretto potrei dire: la tras-missionenel senso stretto della fede non è più possi-bile e questo diventa particolarmente evi-dente a partire dal suo sinonimo: tra-dizio-ne. La fede non sopravvive più come tradi-zione. Immaginiamoci questo: non è piùpossibile trasmettere la fede, siamo davantiad una vera e propria perdita del controllo! Se è così, che cosa ci fate qui questo pome-riggio, e perché siete venuti? Perché nel cristianesimo, ecco forse una se-conda sorpresa, il nostro compito non è quel-

lo di trasmettere la fede. La Bibbia non men-ziona mai l’espressione “trasmettere la fede”:citazioni zero! Già la parola “trasmettere” èriportata poche volte nel Nuovo Testamento,e questo ne è un segnale. Probabilmente lanostra comunicazione di Dio non è una sem-plice trasmissione. Quando è citata, è per dire“trasmettere il kerygma”, quindi proclamarela buona notizia, il Vangelo, il Cristo. Ecco ilnostro compito di iniziazione1.

Il discepoloCome compiere questa transizione nellaChiesa? Qui appare “Capo Discepolato”. Nonsi nasce più cristiani, ma lo si diventa. I ve-scovi belgi tormentano i fedeli con questaparola di Tertulliano da più di dieci anni. Misono domandato a lungo: ma che cosa si di-venta allora? La risposta che si legge semprepiù di frequente in teologia pastorale è quellaa cui anche io aderisco: si diventa discepoli.Il discepolo è l’apprendista, colui che non èancora del tutto cristiano, ma lo sta diven-tando. Questo termine va bene anche per icatecumeni che noi in fiammingo chiamiamoinfatti “geloofs-leerlingen”, apprendisti dellafede. E questi nuovi cristiani percepiscono(ancor meglio dei nostri cristiani di nascita)che sono sempre discepoli, sempre in cam-mino per diventare cristiani. Lo scrittoreolandese Willem Jan Otten, che si è conver-tito al cattolicesimo in età adulta, non smettedi affermare “Io ho l’impressione che non sa-rò mai cattolico, che cercherò sempre di essercattolico”. Il suo compatriota, il teologo pro-testante Wim Dekker, allarga la stessa ideaad ogni cristiano-discepolo: “Il cristiano è unpagano che è stato disturbato dal Dio diIsraele e resta sregolato, e non potrà mai abi-tuarvisi completamente” (Stoppels, 75).

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1 Si vedano gli atti del Congresso dell’EEC, Madrid 2017, in particolare il contributo di J. Molinario che saràtradotto in italiano dall’ELLEDICI.

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Per presentare un po’ di più la nozione didiscepolo, ho scelto un autore che mi è mol-to piaciuto e che forse non conoscete: SakeStoppels, teologo riformato (è un nomeolandese della Frisia, dunque non un giap-ponese). Ha scritto nel 2013 un libro che sichiama “Oefenruimte”, “spazio di tiroci-nio”, il sottotitolo parla di comunità (prote-stante) e parrocchia (cattolica) come comu-nità di discepoli2. Vi riferisco il capitolo “Ilcammino del discepolo” che è il cuore delsuo testo. Egli dà questa definizione del discepolo: “Undiscepolo di Gesù Cristo è una persona che,per la forza dello Spirito Santo e con il lega-me con i gruppi degli altri discepoli, ha il de-siderio di imparare a vivere su questa via,per tutta la lunghezza della sua vita, e cheorienta la sua vita in modo efficace e dure-vole sul Regno di Dio come Gesù Cristo loincarnava e lo annunciava”. A questo Stop-pels aggiunge dieci caratteristiche del disce-polo. 1. Il discepolo presuppone una comunità.

Gesù non ha mai scritto un libro, ha for-mato una comunità. Noi seguiamo ilCristo insieme e il tirocinio cristiano èsempre il tirocinio della comunità e dellacarità tra i discepoli, nel Cristo.

2. Essere discepolo ci mette sulla via diuna Voce di contrappunto, verso unaconversione. Questo ci decentra e ci pre-viene dal mettere al centro i nostri pro-pri sentimenti e vissuti. La fede ci donaciò che è nuovo, che noi non avremmomai potuto inventare da noi stessi. ConC. S. Lewis si può dire: “Io non ho sceltouna religione che mi renda felice. Hosempre saputo che una bottiglia di Porto

avrebbe potuto farlo. Se voi siete alla ri-cerca di una religione che vi rassicuri,io certamente non vi raccomando il cri-stianesimo”. La chiesa diventa una “co-munità di contrasto”, termine che Stop-pels preferisce comunque addolcire incomunità di tirocinio, nel senso trasfor-mativo.

3. Essere discepolo ci “toglie dalla chiesa”.Se questo vi impressiona, è quanto in-tende Papa Francesco con “chiesa inuscita”. La chiesa non è il Regno: è lo“spazio di tirocinio” per far operare ilRegno nel mondo. Io sono nel mondo enella vita, ma come discepolo del Cristo.In termini più cattolici: la chiesa non èsemplicemente il Cristo, né il Regno. Es-sa è a monte, un sacramento del Cristo,a valle un sacramento del Regno.

4. Essere discepolo rende unito ciò che èdiviso e frammentato. Stoppels sviluppaquesto nei confronti della frammenta-zione che caratterizza le differenti sferedella nostra società e della nostra vita.Ma si è discepoli cristiani dappertutto: “idiscepoli di Gesù Cristo non conosconoquesta differenziazione”. Dietrich Bon-hoeffer diceva che “Noi non compren-diamo il Cristo quando pretendiamo diriservargli solo una parte della nostravita”. È molto importante, perché spes-so le conversioni postmoderne sono del-le conversioni frammentate all’inizio.

5. Essere discepolo implica una crescita di-namica, è crescere, sia in senso umanoche come credente. Ecco perché un cate-cumenato deve avere una certa durata.

6. Essere discepolo richiede una disciplina:esercizio, costanza, perseveranza, asce-

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2 S. STOPPELS, Kerk als oefenruimte. Gemeente en parochie als gemeenschap van leerlingen [traduzione deltitolo: La Chiesa come spazio d’esercizio. Comunità e parrocchia come comunione dei discepoli], Boekencentrum,zoetermeer, 2013, 175 pp.

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tica (ogni quaresima annuale serve per(ri)diventare discepolo: “convertiti e cre-di al vangelo” (mercoledì delle Ceneri).Bonhoeffer resiste ai discorsi sulla gra-zia a buon mercato, senza valore, allagrazia senza una scelta. La libertà cri-stiana è smettere di essere schiavo dimolte cose. Il cammino del catecumena-to ne è l’esempio.

7. Essere discepolo non conviene ai con-sumatori. Questo va da sé, ma riflettia-mo su quanti consumatori sono partedelle nostre comunità. Ma con una sfu-matura importante. Bisogna sempre ac-cettare che ci saranno sempre dei con-sumatori di cose di Chiesa. Ma la Chiesanon potrà mai affidare a questo il suomessaggio e la sua offerta! Si pensi alnostro rapporto con i cresimandi e coni genitori dei bambini da battezzare, cheè abbastanza da “consumatori”.

8. Essere discepolo non si deve confonderecon una virtù religiosa. Non è così percoloro che non l’hanno ancora raggiun-ta: non si tratta di capacità o di talento,ma di desiderio e disposizione. Ma nem-meno da parte di chi avesse questa vir-tù. Se la preghiera può essere affidataad altri, l’imitazione di Cristo non lo èmai: si vedano le cinque vergini di Mat-teo 25, che non sapevano che nonavrebbero potuto usare l’olio di quelleprevidenti.

9. Essere discepolo riunisce dei pastori mo-desti e dei membri ordinari modesti.Ogni pastore, presidente, prete restasempre discepolo. Tutti sanno di esserediscepoli-missionari, direbbe papa Fran-cesco: “la qualità della leadership dellaChiesa è direttamente proporzionale alla

qualità dell’essere discepolo” (Stoppels,92). Cita Isaia: “Il Signore Dio mi ha da-to una lingua da discepolo, perché iosappia indirizzare una parola allo sfidu-ciato. Ogni mattina fa attento il mioorecchio perché io ascolti come i disce-poli.” (Is 50,4).

10. Essere discepolo interroga l’offerta ec-clesiale. Questa è una modalità un po’complicata per dire che se i fedeli nondiventano dei discepoli, bisogna verifi-care la nostra offerta. Ancora una evi-denza, allora, che diventa meno eviden-te quando guardiamo la nostra pastoraledei sacramenti d’iniziazione, per esem-pio. Stoppels insiste perché ci sia con-gruenza tra ciò a cui puntiamo e ciò chenoi offriamo nelle pratiche catechistichee nelle altre pratiche.

II. IL BATTESIMO DEGLI ADULTI EIL BATTESIMO DEI BAMBINI A“CAPO DISCEPOLATO”: VERSOUN CATECUMENATO DOPO EPRIMA DEL BATTESIMO

L’integrazione ambivalente di cui i pa-dri fondatori del catecumenato hannoavuto paura a buon dirittoNel suo libro Your Parish is the curriculum(La tua parrocchia è il curriculum) DianaMacalintal esprime molto bene questo con-cetto: “Nei primi documenti del Concilio Va-ticano II i vescovi hanno espresso un prin-cipio teologico ed ecclesiale fondamentaleche era stato in un certo senso dimenticatodurante i secoli: Baptism matters, il battesi-mo è importante. (…) Il battesimo è impor-tante perché ci dà dei diritti e dei doveri”3.

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3 D. MACALINTAL, Your Parish is the Curriculum. RCIA in the Midst of the Community, Liturgical Press, Collegeville,Minnesota, 2018, 15.

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Nel cristianesimo culturale, il battesimo ave-va poca importanza ecclesiale in fondo. Si-gnificava soprattutto diventare membri dellaChiesa, il mezzo attraverso il quale la salvez-za si rendeva accessibile. Con due conse-guenze: si battezzavano tutti i neonati imme-diatamente, e il battesimo sembrava non tra-sformare veramente in “profeti, sacerdoti ere”, secondo il sacerdozio battesimale. Questogenere di battesimo può servire come parspro toto per tutta l’iniziazione cristiana nellacultura cristiana, che noi tutti conosciamo.Un catecumenato integrato in un tale model-lo di chiesa, come noi la conosciamo oggi, ri-schia di perdere il suo esser sale e luce. Di-venta battesimo degli adulti, ma non l’itine-rario dei nuovi discepoli. Vorrei concretizzarequesto con alcuni esempi tratti dalla chiesadel Belgio: penso che voi li possiate ricono-scere. – Prima di tutto questo genere di catecume-

nato è più un corso che una integrazionein una parrocchia. Mi è capitato di parteci-pare a un weekend con dei catecumeni perfare un intervento e di notare che la Messadomenicale non era prevista perché nonc’era il tempo per la Messa in questa im-portantissima formazione. Questo corso èorganizzato in modo separato dalla vitadella comunità ed i catecumeni si integranodunque troppo poco nella vita comunitaria.Ciò che è il loro primo tirocinio, parteciparealla vita della comunità, è precisamente ciòche manca.

– In secondo luogo, la durata non è rispetta-ta. Ho scoperto che in una diocesi fiammin-ga i catecumeni della diocesi che si presen-tano nel mese di settembre fino a dicembrericevono immediatamente le date importan-ti, alle quali non mancare assolutamente,da inserire nelle loro agende: l’ingresso incatecumenato (la prima domenica di Av-vento), l’elezione (prima domenica di Qua-

resima) e persino già quella del battesimonella Veglia pasquale. Così i catecumeni vi-vono un anno scolastico seguendo un cor-so che fornisce loro un diploma da Cristiani:saranno membri della Chiesa, ma sarannodiventati discepoli del Cristo? Poi, da buonicristiani generici a distanza dalla vita par-rocchiale come sono diventati, sparisconodi nuovo. Ne ho visti che cominciavano afamigliarizzare con la comunità nel triduostesso, grazie alla sua intensità, ma è evi-dentemente troppo tardi.

– Infine: noi non osiamo concedere fiducia alrito del catecumenato e ai suoi diversi riti.Tutto è troppo frequentemente adattato, pri-ma di tutto perché non abbiamo il tempo divivere tutto in un solo anno scolastico!

Quando focalizziamo la nostra attenzione sulbattesimo che ci rende membri e non sul ti-rocinio che rende discepoli, noi integriamo ilcatecumenato nella pastorale tradizionale.Così Diana Macalintal pone la domanda: “Noiabbiamo già provato realmente il RICA?”. Pa-rafrasando Chesterton ella dice: “Il RICA nonè stato provato e sperimentato come stru-mento che non funziona. È stato piuttostogiudicato troppo complesso dall’inizio e nonè mai stato provato”. Cita allora il liturgistaAidan Kavanagh che dice sul RICA, subitodopo la sua promulgazione: “La gran partedel clero considera la sua implementazionecome problematica se non impossibile. Han-no ragione. Perché ciò che questi documentiromani contengono non è solamente il cam-biamento di qualche rubrica, ma una visioneunificata della Chiesa”. Questa visione, io lachiamerei “discepolato”.

Dal Concilio Vaticano II: due riti per ilrinnovamento missionario dell’inizia-zione cristianaQuesta nuova visione unificata della Chiesaè stata tradotta dal Concilio Vaticano II non

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solo in un rito, ma addirittura in due, cheprevedono entrambi il battesimo con cate-cumenato. Molti tra voi lo sapranno: primadel Concilio Vaticano II c’era un solo rito delbattesimo. Al bambino da battezzare ci si ri-volgeva come ad un adulto che credeva giàed i genitori (il padrino) rispondevano alsuo posto. Questo rito unico fu sostituito dadue riti più missionari: 1. Un vero rito del battesimo per i bambini,

che non presume più la loro fede, maquella dei genitori, padrini e madrine, edella Chiesa, cioè di coloro che eduche-ranno questo bambino. Gli adulti non so-no più dei porta parola del bambino, maeducatori e responsabili per il catecume-nato che deve ancora svolgersi, come di-ce il CCC stesso, gettando nel panico i li-turgisti: “Per la sua stessa natura il Bat-tesimo dei bambini richiede un catecume-nato post-battesimale. Non si tratta sol-tanto della necessità di una istruzione po-steriore al Battesimo, ma del necessariosviluppo della grazia battesimale nellacrescita della persona» (CCC 1231).

2. Poi vi è il RICA che voi tutti conoscetebene.

I due rituali hanno una prospettiva di disce-polato, uno per logica di educazione cheverrà dopo il battesimo, l’altro per logica diconversione prima del battesimo.

Dal battesimo degli adulti ad una ini-ziazione cristiana che si chiama catecu-menato…La tensione e il rischio di ridurre il catecu-menato a un “battesimo per diventare mem-bro della Chiesa” sembra essere presente intutto il mondo. Conosco il problema in Bel-gio. In Africa il catecumenato è diventato

troppo facilmente il catechismo dei bambininon ancora battezzati – così mi spiegano imiei studenti africani che studiano a LumenVitae. Ho appena citato l’America del Nordcon Diana Macalintal. In America Latina siparla sempre più spesso di Ordo initiationisVITAE christianae adultorum o di Ritodell’iniziazione degli adulti ALLA VITA cri-stiana, e non semplicemente al battesimo.Ciò che si cerca di mettere al centro, sembra,è il discepolato e la comunità dei discepoli.Sono convinto che questo sia stato profeticonel Concilio Vaticano II e dei diversi papi daallora quando si sono espressi sulla cateche-si, ma le nostre diocesi sul territorio hannodifficoltà ad accogliere questi cammini. Occorrerà ora applicare tutti e dieci gli attri-buti del discepolo (Stoppels) al catecumeno:la sua relazione con la comunità, la duratache rende possibile la conversione e la cre-scita, la significativa esperienza dei riti, laconversione che non si può tenere sottocontrollo, l’unificazione graduale di ciò cheè frammentato in lui, la disciplina da esigereda lui con una mano dolce, ecc. Anche Macalintal ha dedicato, nel libro cheabbiamo utilizzato, tutto un capitolo a “Ilcurriculum per fare dei discepoli”. Lei veri-fica come Gesù educava i suoi discepoli: incammino, nella pratica e non a scuola, per-ché essi non “sappiano” solamente ma “vi-vano” la vita cristiana. Lei stessa cita PapaFrancesco: “La domanda su come stiamoeducando alla fede, pertanto, non è retorica,è essenziale. La risposta richiede coraggio,creatività e decisione di intraprendere stradea volte ancora inesplorate”4. Percorre il RI-CA, soprattutto il tempo del catecumenatoche comincia con questa frase: “Il catecu-menato è un tempo prolungato durante il

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4 Macalintal 70, citazione dell’allocuzione di papa Francesco all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio perla promozione della nuova evangelizzazione, 29 maggio 2015.

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quale i candidati ricevono dalla chiesa unaformazione adattata in modo che la loroconversione e la loro fede arrivi alla matu-rità, cosa che richiede diversi anni” (ritofrancese, 103, RR 19/98/99/105). Infine,mostra come nel rito siano presenti la for-mazione nel campo della Parola, della co-munità, della liturgia e della testimonianza:ecco come un catecumeno può diventare cri-stiano.

L’implicazione importante del battesimodei bambini con il proprio catecumena-toRicordiamo anzitutto che anche questo ritoè missionario, dato che richiede un catecu-menato dopo il battesimo. Si tratta dunquedel medesimo processo d’iniziazione nei dueriti, con una bella complementarietà. L’unonon può funzionare senza l’altro. Noi nonpossiamo partire per Capo Discepolato senon riflettiamo sulla nostra pastorale delbattesimo dei bambini – non dico quindi cheoccorra cambiare la dottrina del battesimodei bambini. Il Cardinale Kasper nota in ef-fetti che la possibilità, dal punto di vistadogmatico, del battesimo dei bambini non cidà la scusa per l’attuale pastorale dei batte-simi così deludente ed aggiunge: “Quelloche era il sacramento della cristianizzazionein una certa epoca potrebbe diventare il sa-cramento della scristianizzazione in un’altraepoca”5. Questa pastorale fallisce nel momento in cuinon offre la possibilità di vivere il discerni-mento con i genitori sull’opportunità di bat-

tezzare il loro bambino. La nostra tradizioneinvece lo richiede da sempre, e solo al bat-tesimo noi possiamo compiere questo discer-nimento (non è più alla Cresima o alla PrimaComunione, anche se spesso siamo soliti es-sere più severi per il completamento dell’Ini-ziazione Cristiana piuttosto che per il suoprimo passo). Infatti, nel 1747 papa Bene-detto XIV, facendo eco a san Tommaso, or-dinò: “Non si devono battezzare i bambinicontro la volontà dei loro genitori ebrei o,più in generale, pagani”; e poi, ancora piùimportante per la nostra situazione attuale:“non si devono battezzare a maggior ragio-ne i bambini dei genitori che li presentanoper ragioni sbagliate, sia per superstizione,sia per preservarsi in qualche modo dallamalattia o dalla morte o altro. Il battesimoconferito nonostante questo divieto sarebbecomunque valido ma evidentemente illeci-to”6. Prima di approfondire questo discernimentomissionario dei nostri giorni appoggiandomiad una istruzione della Congregazione per ladottrina della fede del 1980, voglio ancoraporre una domanda: questo argomento sioppone all’ospitalità voluta dal nostro attua-le papa Francesco? È ben noto come egli siaesplicitamente a favore di accogliere per ilbattesimo: si potrebbe persino mandare dalui dei Marziani, ha assicurato in un’omelia,e se qualcuno tra loro chiedesse il battesimo,“Chi saremmo noi per chiudere loro le por-te?”7. Ecco esattamente ciò di cui si tratta:tutte le volte che leggo qualche osservazionesu questo tema, quando ci si riflette un po’

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5 W. KASPER, La liturgia della Chiesa, Queriniana, Brescia 2015, ripreso da W. KASPER, Glaube und Taufe, in W.KASPER (Hg.), Christsein ohne Entscheidung oder soll die Kirche Kinder taufen?, Mainz, 1970.6 Instruction Postremo mense, 28 février 1747, cf. Denz. n° 2552-2562, citato in J. REVEL, Traité des sacre-ments. I. Baptême et sacramentalité, 2. Don et réception de la grâce baptismale, Cerf, Paris, 2005, 811 pp, p.399.7 Si veda: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2014/documents/papa-francesco cotidie_20140512_siamo-tutti-ostiari.html

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più a fondo, mi sembra che il Papa non in-tenda rifiutare la richiesta di battesimo sullabase di ciò che la precede: da una giovanemadre argentina non sposata che merita mi-sericordia, a un marziano che venga daMarte dove in effetti il cristianesimo non siè ancora diffuso con profondità. Ma il di-scernimento sul battesimo dei bambini hasoprattutto a che fare con ciò che deve ve-nire in seguito: l’iniziazione attraversol’educazione nella fede. O ancora: i genitoriche chiedono il battesimo per il loro figlio,desiderano realmente entrare attraversoquella porta che noi apriamo loro? In altritermini, ci serve una presunzione minima-mente fondata che il bambino sarà educatonella fede. Su questo troviamo il problemadelle Fiandre da cui provengo: i genitorivengono per tradizione, ma la loro motiva-zione per il valore cristiano del battesimo deibambini è spesso molto fragile, al punto chealcuni “presentano il loro bambino per ra-gioni sbagliate”, come diceva papa Benedet-to XIV. Il discernimento da fare consiste al-lora principalmente in questa questione:stanno realmente chiedendo il battesimo cri-stiano e dunque anche l’iniziazione alla vitacristiana che ne viene di conseguenza? Sesi può dare una risposta positiva a questadomanda, allora nessuna “situazione irrego-lare” nella famiglia, nessuna origine e per-sino nessuna paura che in futuro possa in-terferire con questo sincero desiderio puòimpedire il battesimo. Si tratta dunque dicombinare le grandi parole del nostro Papaattuale: l’ospitalità e la misericordia, ma an-che il discernimento, la figura del discepo-lo-missionario (il battesimo non è fine a séstesso) e la chiesa missionaria. Facciamo dunque riferimento alla pastoraleproposta dal documento già citato, Pastora-lis actio. Questo documento fu scritto nel1980 per difendere il battesimo dei bambini

dalle critiche, ma con alcune sfumature. Micapita di consultare con assiduità la sua let-tura per intero sul sito del Vaticano, ma rias-sumo ora soprattutto le sue opzioni pastorali.Nella riflessione contemporanea si esprime-rebbe dunque così: il Battesimo dei bambininon è specifico della cultura cristiana, comeil battesimo degli adulti non lo è della culturanon-, non ancora o non più cristiana. I lororispettivi criteri sono di ordine strettamenteintra-ecclesiali: la famiglia cristiana e la con-versione personale (cf PA 23-24).E questo conduce a tale opzione pastorale:non esistono ragioni teologiche per ritardareil battesimo di un bambino. Esistono ragionipedagogiche per farlo talvolta, se le garanzieche il bambino sia educato nella fede nonsono sufficienti. Cito dunque il seguentepassaggio:

Concretamente: la pastorale del battesimodei bambini dovrà ispirarsi a due grandiprincipi, di cui il secondo è subordinato alprimo:1) [= teologico] Il battesimo, necessarioalla salvezza, è il segno e lo strumentodell’amore preveniente di Dio che liberadal peccato e comunica la partecipazionealla vita divina: per sé, il dono di questibeni non deve essere differito ai bambini.2) [= pedagogico] Si devono prendere del-le garanzie perché tale dono possa svilup-parsi mediante una vera educazione nellafede e nella vita cristiana, sicché il sacra-mento possa raggiungere pienamente lasua «realtà». Di solito, esse sono date daigenitori o dai parenti stretti, benché pos-sano essere supplite in diverso modo nellacomunità cristiana. Ma se tali garanzienon sono veramente serie, si potrà essereindotti a differire il sacramento, o addirit-tura a rifiutarlo, qualora siano certamenteinesistenti. (PA 28)

Termino con due conseguenze pastorali sul-la complementarietà tra il battesimo dei

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bambini ed il catecumenato degli adulti, svi-luppati ancora più chiaramente da p. Revelnello studio già citato. Prima di tutto, nonvi è mai una ragione per differire il catecu-menato ad una età più elevata per un bam-bino che sarà educato nella fede. Nello stes-so tempo tuttavia, ad un bambino già bat-

tezzato che non potrà scoprire la fede nellasua educazione (= il suo catecumenato dopoil battesimo), si sottrae il cuore stesso delcatecumenato, anche qualora scoprisse inseguito la fede attraverso una conversionepersonale che sarà per lui l’unica porta d’in-gresso per la fede.

Convegno Nazionale a 25 anni dalla creazione del settore Catecumenato 167

Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico

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Allegati

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1. DA DOVE VENIAMO?

I tre convegni, nelle loro distinte tappe (deiDirettori UCD, del Settore per la catechesidelle Persone Disabili, del Settore per il Ca-tecumenato), confermano il cammino di ICin atto nelle nostre Chiese e hanno intesosegnare esplicitamente una tappa nuova, of-frendo o rinforzando una nuova prospettiva.Questa prospettiva si trasforma anche inmandato esplicito per le nostre comunità.

Da vari anni la Chiesa italiana ha investitomolto nel rinnovamento dell’IC: secondo al-cuni è la Chiesa europea che probabilmentesi è maggiormente impegnata in questo rin-novamento. Il motivo di tutta questa elaborazione è laconstatazione che l’IC non inizia più, o ini-zia molto debolmente, alla fede.

Il rinnovamento dell’IC ha assunto forme di-verse. Alcune diocesi hanno fatto da apripi-sta, con molto coraggio. Altre, più recente-mente, hanno tratto profitto da questo im-pegno e si sono ispirate a modelli di rinno-vamento che avevano già qualche anno disperimentazione. Altre comunità stanno an-cora alla finestra, desiderose di partire maesitanti, in cerca di orientamenti e indicazio-ni di percorso sufficientemente sicure. Altre,infine, dobbiamo riconoscerlo, si limitano aripetere quello che si è sempre fatto.

Aggiornamento sul percorsonazionale relativo all’iniziazione

cristiana dei ragazzianche alla luce dei recenticonvegni di Assisi-Roma

Mons. Paolo Sartor, Direttore UCN

Pur nella pluralità delle scelte e dei percorsisiamo arrivati con Incontriamo Gesù a unaconclusione condivisa: il rinnovamentodell’IC è promettente se assume la prospet-tiva catecumenale come ispirazione, secon-do una declinazione che costituisce un pro-getto di lavoro comune (cf IG, 52).

2. LA PROSPETTIVA DEI CONVEGNINAZIONALI 2018

In questo quadro, i tre convegni si sono po-sti come ipotesi di lavoro l’idea che il rinno-vaento dell’IC non è primariamente una sfi-da catechistica, ma ecclesiologica. Ciò fa te-soro di alcune tappe:

1) La prima tappa è stata la rinuncia a pen-sare che il rinnovamento dell’IC sia prima ditutto una questione di rinnovamento dellestrategie o dei modelli di catechesi. Anchecoloro che con generosità e impegno (e forsecon qualche comprensibile ingenuità) ave-vano attribuito a determinati modelli la chia-ve di soluzione dell’impasse in cui ci trovia-mo sono arrivati alla stessa convinzione:non sono i modelli la vera risposta a questasfida. Neppure il modello catecumenale, cheha ricuperato formalmente e materialmenteil processo iniziatico dei primi secoli dellachiesa sulla spinta del RICA (da cui le trenote CEI sull’IC), è in grado da solo di rin-

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novare l’iniziazione cristiana. Rischia infattidi essere il vino nuovo in otri vecchi. L’otrevecchio è la comunità cristiana che troppospesso è carente dal punto di vista comuni-tario generativo. Il modello catecumenale, ilmodello dei quattro tempi, il modello con-sueto rinnovato, il catecumenato crismale,ecc. sono sterili o fecondi a seconda di que-sta condizione: che ci sia un tessuto eccle-siale generativo, che ci sia una comunità co-sì appassionata della vita che desideri farefigli e si dedichi a questo laeto animo. 2) Ciò non significa che siamo tornati alpunto di partenza dopo venti anni di lavoro.Il risultato di questo cammino generoso edelle convinzioni maturate a prezzo di im-pegno e passione pastorale è confluito negliOrientamenti CEI Incontriamo Gesù (2014).E si è coagulato attorno a un’espressioneche costituisce per il momento il nostro oriz-zonte di riferimento: ispirazione catecume-nale. Non facciamo più coincidere la ripresaformale del modello catecumenale (che pre-vede per sé il riordino dei sacramenti, anchese questa non è stata la scelta di IG 61), conl’ispirazione che ha connotato questo mo-dello dei primi secoli, ispirazione che quelmodello ci ha tramandato ma che lo trascen-de, generando altri modelli adatti a situazio-ni storiche e culturali profondamente muta-te. Cogliere l’ispirazione del modello catecu-menale, riconoscerla presente anche in tuttigli altri modelli che nella storia della Chiesahanno saputo generare alla fede, significaquesto: distinguere ciò che non è abbando-nabile per salvare l’essenziale e sapere ab-bandonare ciò che non è essenziale per sal-vaguardare il tutto. E cos’è questo “non ab-bandonabile” a cui diamo il nome “ispira-zione”? Da quello che abbiamo capito finoad ora, grazie a chi ci ha messo l’impegnoe la creatività, è questo: è iniziazione cristia-na l’atto generativo di una comunità che

tramite un bagno di vita ecclesiale proponecon gioia un tirocinio, un apprendistato allavita cristiana attraverso le tappe sacramen-tali, per persone che non hanno più o quasipiù o non ancora un’esperienza concreta divita cristiana, cioè di relazione con il SignoreGesù all’interno della comunità dei suoi di-scepoli. Un bagno di vita ecclesiale. Nonpiù preparare ai sacramenti, ci siamo detti,ma iniziare alla vita cristiana attraverso letappe sacramentali. E la condizione di tuttoquesto è evidente: che ci sia una comunitàche accoglie l’amore del Signore, ha deside-rio di avere dei figli, li concepisce, li parto-risce, li fa crescere, li accompagna, lasciache vivano il dono di cui essi sono portatorisenza volerne fare delle fotocopie. Desidera-re, concepire, partorire, avere cura, lasciarpartire: i verbi del generare sono i verbi del-l’iniziazione cristiana. Essi chiedono unamadre che desidera dei figli.

3) Questi aspetti sono stati illustrati damons. Erio Castellucci in apertura del Con-vegno dei Direttori UCD (Assisi, 26-27 apri-le 2018). L’arcivescovo di Modena ha ricor-dato l’orizzonte ecclesiologico indispensabi-le: il volto di una comunità feconda rispettoad una comunità sterile, con le immagini diSara e Agar. Ha proposto la coraggiosa me-tafora del parto di Paolo: «Figli miei, che iodi nuovo partorisco nel dolore finché Cristonon sia formato in voi!» (Gal 4,19) e haconcluso:«Il passaggio fondamentale oggi mi sembraproprio questa consapevolezza “olistica”, atutti i livelli della maternità ecclesiale. A par-tire dalla consapevolezza che di fatto è l’in-tera comunità che genera – o non genera allafede; Sara non è, e non deve essere, sola-mente “la catechista”, ma tutta l’assembleaeucaristica, e specialmente l’insieme deglioperatori pastorali, a partire dai presbiteri e

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dai diaconi, passando attraverso i consacrati,per comprendere gli animatori della liturgia,del coro e dell’oratorio, gli allenatori, le per-sone impegnate nella Caritas e nella SanVincenzo, i capi scout e gli educatori di Azio-ne Cattolica e così via. O l’intera comunità sirende conto di essere grembo, oppure questogrembo sarà sterile. Un approccio “olistico”dunque comporta l’integrazione fra i diversiingredienti dell’esperienza cristiana e tra i di-versi soggetti della comunità, che sono – losappiano o meno – dei testimoni per tutti co-loro che sono generati alla fede».

3. DALLA RADICE AI RAMI

Il seminario Disabili (Assisi, 27-28 aprile2018)

Il convegno Catecumenato (Roma, 28-29aprile 2018)

4. LA CATECHESI “OLTRE LACATECHESI”

Nel post concilio abbiamo assistito a una“ipervalorizzazione della catechesi, sovrac-caricata di tutto il compito iniziatico” (E.Biemmi). Man mano che veniva meno latrasmissione di fede per osmosi, cioè di uncontesto di cristianesimo sociologico o civile,si è caricata la catechesi di tutto il compitodi generazione alla fede, assegnando ad es-sa e mettendo sulle spalle dei catechisti unaquantità di compiti che, da una parte richie-dono delle competenze enormi, dall’altrachiedono di fare in un’ora settimanale di in-segnamento quello che può essere trasmes-so soltanto in contesti significativi di vita.Compito quindi, quello affidato alla cateche-si, impossibile.

Abbiamo pensato che generare alla fede fos-se un affare quasi esclusivo della catechesi.Questo è stato il danno. Poi, visti gli scarsirisultati, per reazione c’è stata una svaluta-zione della catechesi, se non addirittura unprocesso alla catechesi (e questa è la beffa).La si è accusata di essere solo cognitiva, in-tellettuale, di trasmettere solo dottrine e nor-me morali. Prima si delega, poi si critica.

L’attenzione ecclesiale si è allora spostatadalla catechesi alla pastorale (i differenti pia-ni pastorali nazionali e diocesani): il proble-ma non è la catechesi, come si è detto, mala pastorale in tutte le sue dimensioni. E cosìla catechesi (e le catechiste) sono state re-legate in un angolino insignificante e lascia-te sole. Ora (e siamo ad oggi) abbiamo do-vuto prendere atto che neppure la pastoralenel suo insieme, per quanto rinnovata neicontenuti e nei metodi, cioè nelle strategie,è in grado di assicurare la generazione e lacura della fede. E qui torniamo all’afferma-zione iniziale. Evangelii gaudium ci haaperto gli occhi: non è un problema catechi-stico, ci ha detto, non è neppure un proble-ma prima di tutto pastorale: è un problemaecclesiologico. Così si era già espresso il Si-nodo dei Vescovi sulla nuova evangelizza-zione:

«Il problema dell’infecondità dell’evange-lizzazione oggi, della catechesi dei tempimoderni, è un problema ecclesiologico,che riguarda la capacità o meno dellaChiesa di configurarsi come reale comuni-tà, come vera fraternità, come corpo e noncome macchina o azienda» (Sinodo deiVescovi, XIII Assemblea Generale Ordina-ria, La Nuova Evangelizzazione per latrasmissione della fede cristiana. Linea-menta, 2011, n. 2).

È così che paradossalmente, abbiamo fattoa ritroso il cammino che il Documento Base

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del 1970 ci aveva raccomandato: «Primasono i catechisti e poi i catechismi; anzi, pri-ma ancora, sono le comunità ecclesiali»(RdC 200). Noi abbiamo cominciato con icatechismi, poi con i catechisti e ora siamoarrivati alla comunità. Non che prima nonlo sapessimo, ma allora era una teoria.

Al di là delle dispute, bisogna riconoscereche la catechesi “da sola è morta” (S. Lan-za). Non a caso, questa stessa Commissione Epi-scopale si è fatta carico nei mandati prece-denti di un significativo rilancio della tema-tica del primo annuncio e ha contribuito aredigere degli orientamenti nazionali che findal sottotitolo dichiarano di essere “per l’an-nuncio e la catechesi”.Proprio per questo una delle caratteristichedei recenti convegni è stata l’attenzione amettere “attorno al tavolo” dell’iniziazione iresponsabili delle associazioni e dei princi-pali organismi pastorali CEI (si aggiungeran-no l’Ecumenismo a giugno e gli uffici Scuo-la/IRC a novembre). Il tentativo è stato quel-lo di farsi dire da ciascuno:• a quale livello / in che cosa il mio ambito

può contribuire all’IC dei ragazzi, oggi?• a quale livello / in che cosa non può con-

tribuire? (e su questo anche la catechesi siè espressa, dichiarando la propria insuffi-cienza).

5. COME PROSEGUIRE? REGIONI EDIOCESI ALL’OPERA

La catechesi (i catechisti e soprattutto le ca-techiste) ha fatto il suo dovere in questi an-ni: è passata da dottrina a catechesi per lavita cristiana in un primo momento, e poi,in un secondo momento, ha integrato congioia la dimensione del primo annuncio (ke-

rigma). Ma da sola essa non può generare,e d’altronde non lo ha mai fatto.Il rinnovamento dell’IC fatto dalla sola cate-chesi non genera. ‘Restituire’ il compito ge-nerativo a tutte le dimensioni ecclesiali (sen-za naturalmente tirarsi via come catechisti)significa riattivare la generatività del corpoe di conseguenza semplificare la catechesi,restituirla alla sua specificità e permetterle disvolgere bene il suo servizio.L’attuazione del numero 52 di IG non puòessere fatta dalla catechesi da sola: il n° 52invoca un bagno di vita ecclesiale.

Si vorrebbe ora che questa consapevolezza,maturata a livello nazionale, possa esserecondivisa là dove si fa iniziazione, cioè nelleChiese locali.Ecco perché si è chiesto alle regioni eccle-siastiche di lavorare il prossimo anno (iprossimi anni) in questa direzione: la Con-sulta UCN dell’11-12 giugno consentirà dicapire cosa è stato pensato a livello regio-nale e di cogliere così come il lavoro puòavere un’articolazione globale.

Dal canto suo, l’UCN intende sostenere il la-voro delle regioni con alcuni strumenti:

1) una equipe di persone-risorsa, che pos-sano andare sul territorio rispondendo al-le richieste locali;

2) un portale internet per mettere in comunele buone pratiche esistenti e fornire ma-teriali per una informazione o formazionedi base coerente con gli indirizzi di IG;

3) la sinergia con i settori esistenti (Aposto-lato Biblico, Catecumenato, Disabili) econ la rinnovata Commissione Formazio-ne in ordine al percorso nazionale sull’IC;

4) una scuola di formazione nazionale, didurata triennale, che inizi con una setti-mana estiva nel luglio 2019 e proseguanel luglio 2020 e 2021 (vedi oltre);

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5) l’ipotesi di una revisione della strumen-tazione.

CIRCA LA PROPOSTA FORMATIVA

a) Che cosa verrebbe proposto?L’UCN, con il sostegno della Consulta nazio-nale, sta mettendo a punto una propostatriennale di formazione che si attuerà pre-sumibilmente nella prima settimana di luglioper i prossimi tre anni. Questa settimana avrà come tema l’inizia-zione cristiana indagandone le dimensioni ei problemi che sta affrontando, in vista didelineare passi possibili e sostenibili.

b) Come? Quale modello formativo?Nel 1982 la CEI lanciava in Italia le “scuoledi base” per catechisti; nel 1991 si chiedevache tali scuole avessero il carattere di comu-nità-laboratorio “ove assieme si apprende,si riesprime e si progetta secondo itinerariformativi; ci si catechizza reciprocamente eci si rende attenti a ciò che accade effettiva-mente nella catechesi in atto”. Nel 2006propone il modello del laboratorio come ilpiù adeguato per la formazione di chi ha ilministero ecclesiale della catechesi e precisain cosa consista formare in laboratorio.

La proposta formativa delle settimane estivesull’IC valorizza le acquisizioni formative diquesti anni (quindi qualità dei contenuti,spazi di confronto tra i partecipanti, dinami-che laboratoriali), ma inserisce un elementoqualificante: l’ascolto di pratiche ecclesiali diiniziazione cristiana, parrocchiali o diocesa-ne, e di analisi di queste pratiche. Dalla pra-tica alla pratica tramite la riflessione criticasu quello che si sta facendo. Questo vuol di-re che l’UCN si affianca alle comunità eccle-siali per aiutare a maturare una competenza

pastorale pratica, un sapere prassico, la ca-pacità di apprendere non per deduzione eapplicazione, ma per interpretazione di quel-lo che ci viene dalle pratiche stesse, moltoricche anche se limitate, già in atto nelleparrocchie e diocesi italiane.Questa è motivata dalla convinzione che ilquadro teorico sull’IC è chiaro, che ci sianostate buone esperienze, ma che ora si trattidi monitorare quanto avviene, interpretarlo,riorientarlo, diffonderlo.

Una vera competenza pastorale, infatti, nonpuò essere promossa all’interno di una con-cezione applicativa “teologia speculativa”/“teologia applicata”. La competenza pastoraleabilita a una presa di parola critica sulla prassipastorale. Essa non è deduzione intellettuale,ma chiede un agire pensoso fatto di quattroattitudini: l’osservazione (lo sguardo), l’inter-pretazione (il discernimento), l’intervento (ilgesto) e la prospettiva (l’orizzonte di vita e disenso). Le settimane estive saranno un alle-namento a queste quattro attitudini.

“Ci tengo ad accennare solo una cosa im-portante, decisiva. Questa scelta di metodo(stare sulle pratiche) non è una scelta stra-tegica (per essere più efficienti). Mons. ErioCastellucci ci ha detto che la soluzione delcambio di strategie può essere manifestazio-ne di una comunità sterile. È una scelta cer-to metodologica, ma primariamente spiritua-le. Intendiamo guardare attentamente lepratiche per sapervi scorgere l’agire di Dionelle persone. E mettersi al servizio di que-sta azione, come diaconi dello Spirito.L’esercizio paziente di ascolto delle praticheè di fatto un esercizio spirituale e tutto l’im-pegno per migliorare le pratiche non è altroche il servizio di creare le condizioni e to-gliere gli ostacoli perché lui possa agire me-glio” (E. Biemmi).

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c) Per chi?La scuola nazionale non è destinata ai ca-techisti di base, ma ai direttori UCD e alleloro équipe impegnate nell’iniziazione cri-stiana e nella formazione dei catechisti del-l’IC. Una formazione quindi di secondo li-vello, che aiuta chi promuove l’IC a verifi-care, interrogare, rilanciare l’IC.

Questo ci porterà sicuramente a non farlo dasoli, nemmeno nella settimana, ma insieme,in sinergia con tutte le dimensioni della vitacristiana. Una settimana che allena a gene-rare come comunità.

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“Mappatura delle Regioni”suor Veronica Donatello, responsabile nazionale settore disabili

Questo lavoro è stato avviato nella prospet-tiva dei preziosi “Orientamenti Incontria-mo Gesù e il cammino della Chiesa Na-zionale” (Convegno di Firenze), e i due ul-timi incontri del Settore con il Santo Padredove abbiamo ricevuto due mandati: «La di-versità non è un limite ma una ricchezza” e“O tutti o Nessuno!» (2016) in occasionedel 25° del Settore. Questa apertura verso ladisabilita è stata ribadita pure nell’ incontrosu Catechesi e inclusione in autunno, doveil Santo Padre ha affermato «Sogno unaChiesa dove le persone con disabilità sianocatechiste» (2017) e dal Seminario di studiodel settore sull’IC: “un percorso inclusivo”svolto ad aprile ad Assisi dove Fr. E. Biemmiha riaffermato: «A questa doppia inclusivitàci educano silenziosamente ma potentemen-te coloro che stanno nella vita con qualchehandicap esplicito ma che sviluppano mira-bilmente quei sensi che una comunità pre-valentemente argomentativa e cognitiva, etroppo seriosa, spesso inibisce. Essi ci chie-dono questa conversione: passare da unacomunità dei fili separati alla comunità deitessuti; da una comunità che delega alla ca-techesi ad una comunità che ricupera la gio-ia di tornare feconda».

1. Da ottobre 2016 ad oggi, abbiamo in-contrato 13 Conferenze Episcopali re-gionali (e quasi 80 Diocesi l’anno) per in-contri formativi finalizzati alla creazione dinuove équipe, a verificare la presenza delsettore e a elaborare progetti formativi checoinvolgono il clero, seminaristi, catechisti

(sono stati coinvolti i membri del gruppo na-zionale in base alla propria competenza e di-sponibilità). Per sostenere tale lavoro abbiamo effettuatouna iniziale mappatura del settore nelle di-verse regioni e diocesi (è auspicabile un mo-nitoraggio completo nei prossimi anni). Que-sta indagine ha evidenziato un sorprendenteinteresse e vitalità pastorale nelle realtà ec-clesiali: il settore ha attualmente in 13 regio-ni su 16 dei referenti regionali che incontraregolarmente durante l’anno. Sono in au-mento i referenti diocesani, sono più di 125affiancati da équipe e la maggior parte di lorosono laici, mentre le congregazioni continua-no il loro servizio. In merito registriamo, pe-rò, che solo in alcuni casi c’è una collabora-zione esplicita e sistematica con le diocesi. Il nuovo sguardo inclusivo della pastoraleha spinto ad adoperare un’azione più inci-siva e corale perché l’attenzione e la parte-cipazione attiva delle persone con disabilitàsiano ordinarie e non episodiche nelle co-munità ecclesiali.

2. Comunità realmente inclusive. Soste-nendo le diocesi nei percorsi inclusivi del-l’iniziazione cristiana dei ragazzi disabili,1

abbiamo sollecitato le comunità parrocchialia diventare responsabili, assieme alla fami-glia, nei percorsi di catechesi. Questa re-sponsabilità non si limita a riconoscere l’al-tro come fratello nella fede, ma impegna an-che la comunità a cambiare stile comunica-tivo, utilizzando nuovi linguaggi, e a creareun’appartenenza al gruppo e alla comunità

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1 Cfr. IG nn. 58-59.

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ecclesiale che permane anche dopo il cam-mino di IC.

Vi sono interessanti esperienze di dio-cesi che sempre più sul territorio inclu-dono: a. le persone sorde sia a partecipare che ad

essere essi stessi promotori verso i loropari e verso la comunità cristiana: Messee catechesi e liturgie in LIS, sottotitola-zione via web, in streaming (Abruzzo,Marche, Lazio, Campania, Triveneto, Pu-glia, Sicilia, Calabria, Umbria, Lombar-dia); l’induzione magnetica per personeipoudenti o con protesi acustiche (Lom-bardia e Liguria).

b. Le persone non vedenti e/o ipovedentinei cammini di IC, nella liturgia, nella vi-ta della parrocchia, attraverso percorsitattili, liturgia accessibile ecc. (Lazio,Campania, Lombardia, Marche, Umbria)in collaborazione con il MAC (Movimen-to apostolico ciechi).

c. Le persone adulte con disabilità attraver-so il Centro diurno parrocchiale (Puglia,Lazio, Lombardia, Abruzzo, Sicilia) e leCongregazioni presenti sul territorio (DonOrione, Don Guanella, Padri Trinitari,Cottolengo, La Nostra famiglia).

d. Le persone con Disturbi del neurosvilup-po (Sindrome dello spettro autistico, Di-sturbi dell’apprendimento), attraverso lasinergia con le famiglie, la scuola e la for-mazione dei catechisti. L’UCN supportacon la strumentazione e l’aiuto ad elabo-rare testi inclusivi e mette in contatto lediverse diocesi con esperienze simili.

Si è lavorato, anche assieme ad alcune as-sociazioni di genitori, con l’Azione Cattolica,l’Agesci e il M.A.S.C.I per gli itinerari forma-tivi e per l’inclusione pastorale delle persone

adulte con disabilità, oltre che con alcuneAssociazioni ecclesiali e laiche di categoria.In merito constatiamo che sono molto dimi-nuite le parrocchie che rifiutano un cammi-no di IC alle persone disabili e l’UCN vienespesso interpellato per affiancare e sostenerei vescovi e i parroci sia per l’accoglienza siaper l’accompagnamento. Riscontriamo anche l’impegno di alcune dio-cesi che accompagnano l’accoglienza delladisabilità dagli incontri di preparazione almatrimonio per fidanzati al fine vita, ope-rando oltre l’ambito della catechesi con l’au-silio dei centri diurni, centro di avviamentoal lavoro, di Durante e Dopo di Noi, di Ora-torio ecc.

3. La formazione. Durante la mappaturadel settore e le visite alle varie regioni ab-biamo riscontrato un interesse crescente eun bisogno formativo di conoscenza su co-me poter includere nel percorso ordinario enon “speciale”, attraverso l’approfondimen-to delle fondamenta della catechesi, delle di-verse disabilità, dei linguaggi specifici e dellemodalità di approccio relazionale per attiva-re percorsi inclusivi in quanto équipe.L’azione formativa richiede che si delineinocosì nuove figure di accompagnamento allafede (n. 67) che sappiano narrare con stilidiversi l’esperienza dell’incontro salvifico.Attraverso gli incontri formativi diocesaniabbiamo favorito la sensibilizzazione versol’inclusione e la catechesi inclusiva, affinchéla parrocchia diventi realmente luogo ordi-nario di annuncio per tutti, un luogo fami-liare fin dall’infanzia, non solo luogo dellecelebrazioni o degli eventi sporadici, ma am-biente ospitale di relazioni significative, fe-deli, di promozione d’autonomie,2 soprattut-to da attuarsi durante la fase mistagogica.

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2 Cfr. IG n. 55.

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Sono più di 80 i progetti pastorali organiz-zati dal settore, dal Nord al Sud anche se ilcentro sud e le isole sono più attive.Interessanti sono alcune proposte formativeche coinvolgono contemporaneamente sialaici che sacerdoti con scansione temporalestrutturata (biennale). Alcune diocesi, inol-tre, hanno elaborato all’interno del direttoriocatechistico una trattazione sull’inclusionecatechistica delle persone con disabilità.3

Cosi sono iniziate in diverse diocesi espe-rienze di accompagnamento delle personesorde (IC e catechesi degli adulti), sia nellacatechesi che nella liturgia. Per la formazio-ne di operatori pastorali in varie diocesi sonostati effettuati “corsi di lingua dei segni re-ligiosi per operatori pastorali” coinvolgen-do i seminari diocesani e regionali (Abruzzoda più di 20 anni, Puglia, Marche, Sicilia,Basilicata, Calabria ecc.). Inoltre si è formatoun gruppo di sordi e interpreti cattolici che,oltre ad insegnare la lingua dei segni reli-giosa nelle diocesi, si impegna a tradurre inlingua dei segni, con il supporto del settoredisabili e del settore dell’apostolato biblico,i Vangeli di Marco e ora quello di Luca, oltread essere coinvolto nella narrazione biblicain ambito catechistico via web. In tale sensoè interessante sottolineare l’iniziativa dellaarcidiocesi di Pesaro e della arcidiocesi diRossano Cariati che trasmettono in diretta ein differita nazionale via streaming la Messadomenicale con l’interprete della Lingua deiSegni religiosa.Sempre nell’ambito formativo segnaliamo lacollaborazione con la Commissione Nazio-

nale sulla Formazione per due anni, termi-nata all’incontro formativo di novembre “A-tratti verso la formazione”.Negli ultimi due anni è cresciuta molto lasensibilità a creare strumenti inclusivi cheutilizzano i plurimi linguaggi per i ciechi egli ipovedenti. Varie diocesi, coinvolgendo igenitori di persone non vedenti, il Mac, e lestesse persone non vedenti, hanno iniziatoa tradurre alcuni brani biblici in braille, inimmagini, in file audio, e hanno avviatouna prima esperienza di audio descrizionedella liturgia.La maggior richiesta rivolta al settore riguar-da le persone con Bisogni ComunicativiComplessi e la Sindrome dello Spettro Auti-stico. Sicuramente in questi anni, facendoun bilancio, la maggior parte dello sforzo informazione è in questo ambito. Sono statirealizzati, con la sinergia di varie diocesi, deitesti biblici e pastorali in CAA, la dimensionedel gioco (tombola, domino ecc.) in CAA, lastessa agenda ed etichettatura degli spaziparrocchiali (dalla accessibilità alla leggibi-lità). Negli ultimi due anni è cresciuta la richiestadi supporto per i ragazzi BES (dislessia, di-sturbi del comportamento, iperattività), nondi pertinenza del settore, ma alcune strategiecatechetiche utilizzate per altre disabilità so-no utili anche per loro. Terminato il cammino di IC sempre più nel-le diocesi si delineano figure di catechisticon disabilità, coinvolti nella pastorale bat-tesimale, oratorio, catechesi di IC, liturgiaecc.

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3 DIOCESI DI AGRIGENTO, “Segnami di Dio”: una buona notizia per i sordi, [DVD], in www.Chiesacattolica.it/co-municazione/ucs_2012/news/00036953_Segnami_di_Dio__una_buona_notizia_per_i_sordi.html (10.01.2013).ARCIDIOCESI DI CASTELLANETA, Direttorio diocesano per l’iniziazione cristiana,http://www.castellaneta.chiesacatto-lica.it/home_diocesi/in_evidenza/00023294_Pubblicato_il_Direttorio_diocesano_per_l_Iniziazione_Cristiana.html.ARCIDIOCESI DI UDINE- UCD COMMISSIONE DISABILITÀ, Abili in Cristo. Includere le persone con disabilità nelle comunitàcristiane, Sussidio ad experimentum, 2017 (in collaborazione con il Settore Nazionale.

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4. Reti, collegamenti e sinergie di la-voro nell’ottica di una pastorale inte-grata: con gli altri uffici pastorali. Nellospecifico: l’ufficio della pastorale della salu-te4, l’ufficio liturgico, l’ufficio della pastoralefamiliare, servizio di pastorale giovanile, uf-ficio scuola e dell’Irc5 e Caritas. Questa modalità di intervento ha attiratol’interesse anche di alcune conferenze epi-scopali straniere che hanno chiesto la nostracollaborazione e supporto formativo in am-bito pastorale dove sono stati coinvoltimembri del Gruppo Nazionale ed esperti: laConferenza Episcopale di Malta per la Sin-drome dello Spettro Autistico e le personecon disabilità intellettive; la Conferenza Epi-scopale Francese; la Conferenza Episcopaledel Portogallo; il Patriarcato Ucraina per laformazione dei sacerdoti e catechisti; a Leo-poli per la formazione accademica pressol’Università scienze dell’educazione; la Con-ferenza Episcopale del Galles e della Scozia.A queste vanno aggiunte le varie Conferen-ze Episcopali che passando a Roma chiedo-no un incontro con il Settore. Nell’ottica del-la collaborazione segnaliamo, inoltre, l’invi-to a partecipare al Congresso Internazionaledell’Associazione Europea di Teologia Catto-lica e la Facoltà di Teologia cattolica del-l’Università di Strasburgo, su: “Inclusionepastorale delle persone con disabilità qualevolto nuovo della fraternità inclusiva”.

5. Strumenti e sussidi: Le iniziative diformazione sono sfociate in vari progetti in-

clusivi e sussidi accessibili specialmente neilinguaggi specifici. Degni di nota sono: ilprogetto della Arcidiocesi di Milano per lasussidiazione inclusiva; il progetto della Dio-cesi di Prato per la realizzazione di un Ca-techismo in CAA; i lavori delle Diocesi diImola, Faenza, Arezzo – con l’Associazionedi genitori per la realizzazione in CAA deiVangeli del Natale e del libro di preghiere;l’impegno delle diocesi di Bari, Pesaro e Ro-ma per la realizzazione di E-book in CAA;il lavoro delle Diocesi della Campania e ilMAC di Salerno, Acireale, Perugia, Pordeno-ne, Arezzo, Pescara, Teramo, Melfi, Milano,Castellamare di Stabia, Bologna, Albano,Rieti, Genova, Milano, Lodi, Torino, Asti,Fossano, Bari, Andria, Taranto, Brescia, Ca-gliari, Sassari, Agrigento, Palermo, Monrea-le, Patti, Noto, Pistoia, Padova, ecc. per lacreazione di materiale tattile pastorale per lepersone non vedenti.Il settore negli anni ha pubblicato vari testiche supportano le comunità6. Anche l’edito-ria si è resa disponibile, insieme al settore,per realizzare sussidi, la rivista Catechistiparrocchiali ha una rubrica dove a rotazionescrivono vari membri del gruppo nazionale;il testo le mie preghiere in Lis; Arcidiocesi diMilano - Pio Istituto per Sordi, DVD Vangelodi Marco in Lis, sottotitoli e audio (con ca-techisti e docenti sordi); infine i numerosisussidi via web attraverso il sito UCN.

6. Proposte: Sottolineiamo l’importanza dellavoro di ricerca di alcuni membri del Grup-

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4 Corso sull’accompagnamento alla morte delle persone con disabilità intellettiva. 5 Didattica inclusiva. 6 V. DONATELLO, (a cura), Una fede per tutti. Persone disabili nella comunità cristiana, Bologna, Edizioni De-honiana, 2013; R. GIUSEPPETTI – L. LAMANO – F. PESTELLI, Un cammino per tutti. Percorsi d’inclusione per personecon disabilità sensoriale, Bologna, Edizioni Dehoniane, 2014; La convivialità delle differenze. Gli Orientamentidella CEI sull’Iniziazione cristiana alle persone disabili, in F. ARICI et al, La risorsa religiosa e i suoi dinamismi.Studi multidisciplinari in dialogo, Franco Angeli, Milano, 2014; F. PESTELLI, Narrare la Bibbia ai disabili, inNarrazione biblica e catechesi (a cura di) Dionisio Candido, Milano, San Paolo, 135-144.

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po Nazionale sulla semplificazione del testobiblico, in collaborazione con il settore del-l’apostolato biblico, sui simboli per la CAAe la Lingua dei Segni religiosa. È auspicabilepotenziare la formazione in una direzione diricerca scientifica per ampliare lo studio teo-logico e sperimentare nuove metodologie, inmodo che ci sia un aggiornamento continuoe una possibilità di scambio di buone prassiper l’acquisizione delle competenze neces-sarie al fine di attuare una reale inclusionedelle persone disabili nella vita ordinaria del-la comunità (n. 90). Da quest’anno si avvia la collaborazionecon il Settore catecumenato per il completa-mento dell’IC di adulti con disabilità intellet-tiva e si auspica la verifica di casi di richiestadi catecumenato.

Si evidenzia l’aumento di partecipazione al-le attività dell’UCN e la crescente sensibilitàdei Direttori e dei Vescovi alla catechesi del-le persone con disabilità. Tuttavia è impor-tante rilevare la necessità di una formazionesistematica che coinvolga i referenti regio-nali e di conseguenza di quelli diocesani delsettore (soprattutto quanti sono stati inca-ricati in questi ultimi anni sono 2/3), i sa-cerdoti, i seminaristi e i catechisti per unapastorale inclusiva nell’ambito delle facoltàteologiche. È opportuno pensare ad un va-demecum per i parroci e a delle sussidiazio-ni frutto di collaborazioni tra le diocesi. In-fine sembra importante richiamare l’impe-gno del Settore nel monitorare, supportaree coordinare le varie iniziative, anche attra-verso il web.

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PREMESSE

La concreta attuazione di una sinergia tradue realtà comporta sempre un modo di in-terpretare l’altro che contempli la fiducia, eun modo di relazionarsi con l’altro che si ca-ratterizzi per la predisposizione al dialogo ealla collaborazione. Per affrontare il tema nel-la sua ampiezza occorrerebbe perciò affron-tare due domande: come la comunità cristia-na interpreta la scuola e la propria relazionecon essa? Come il mondo della scuola, moltoarticolato al suo interno, interpreta la comu-nità cristiana e la propria relazione con essa?Nella presente comunicazione, però, mi sof-fermerò principalmente sulla prima domanda.La seconda resterà invece sullo sfondo, madal momento che esiste un forte intreccio trale due domande proverò, in sede di premes-sa, ad accennare una riflessione sulla secon-da questione. Il mondo della scuola, tenden-zialmente, interpreta la comunità cristiana:– come una risorsa pratica importante per

affrontare le problematiche educative deibambini e dei ragazzi in difficoltà;

– come un soggetto importante della reteterritoriale;

– come interlocutrice significativa per la for-mazione culturale su alcuni temi;

– come realtà che però rischia anche di in-vadere un po’ il campo e di confondere ilpiano della formazione religiosa e quellodella formazione scolastica;

– come realtà da non coinvolgere direttamentesu alcuni temi soprattutto di ordine etico.

Vengo ora alla prima domanda, precisandoche il modo di individuare le prospettive ele problematiche della sinergia tra comunitàcristiana e scuola dipendono strettamentedal significato che si dà alla scuola e alla suafunzione.

1. COME INTERPRETARE LASCUOLA OGGI?

Il modo con cui la comunità cristiana si rap-porta con la scuola dipende strettamentedall’idea che si ha di essa. Quale visione discuola si intende promuovere?

Seminario su iniziazione cristiana, scuola e IRCRoma - 20 novembre 2018

Generare alla vita e alla fede.Quale sinergia tra scuola e comunità

cristiana

Cosa sarà di questo bambino? (Luca 1,57-66.80)

Opportunità e problematichenel rapporto tra scuolae comunità cristiana

Prof. Pierpaolo Triani, Università Cattolica del Sacro Cuore

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a) La scuola come un ‘bene comune’b) La scuola come realtà ‘umanizzante’c) La scuola come sistema plurale e integra-

tod) La scuola come ‘parte’ della comunità

educante.

Questa visione comporta però anche la con-sapevolezza della scuola come realtà dina-mica e composita, caratterizzata da:– Ampliamento delle funzioni ad essa attri-

buite– Uno scarto sempre maggiore tra finalità e

condizioni di funzionamento organizzati-vo

– Una difficoltà ad avere una regia pedago-gica.

2. LE OPPORTUNITÀ DELLASINERGIA

Quando parliamo di comunità cristiana inrapporto alla scuola ci riferiamo principal-mente ai docenti credenti, all’insegnamentodell’IRC, alle scuole di ispirazione cristiana,ma anche a tutte quelle azioni che la par-rocchia, o altre realtà ecclesiali, possonooperare in rapporto con la scuola. Tenendopresente questa pluralità di soggetti possia-mo riconoscere le seguenti opportunità nelrapporto tra comunità cristiana e scuola:

– la comunità cristiana nella scuola puòmettersi concretamente al servizio dellacrescita delle persone e collaborare allaqualità umanizzante della scuola;

– la comunità cristiana può allargare i propriorizzonti e crescere culturalmente attraver-so l’incontro con la scuola;

– la comunità cristiana può alimentare unacultura pedagogica che non rinuncia a leg-gere la scuola come contesto educativo;

– la comunità cristiana può essere risorsaper la realizzazione di un curricolo pluri-dimensionale, attento alla formazione in-tegrale della persona;

– la comunità cristiana può favorire il dialo-go tra scuola e territorio;

– la comunità cristiana nella scuola può es-sere segno di dialogo tra le culture e di ri-cerca disinteressata della verità e del bene;

– la comunità cristiana può favorire e sup-portare l’innovazione didattica;

– la comunità cristiana può favorire la di-mensione collaborativa della professionedocente;

– la comunità cristiana attraverso le scuoledi ispirazione cristiana può essere segnotangibile di scuole a misura delle personeed esempio del dialogo tra cultura e fede.

3. LE PROBLEMATICHE

La costruzione di una sinergia tra comunitàcristiana e realtà scolastica comporta anchela consapevolezza di alcuni aspetti che sem-brano essere di ostacolo a questo processo.Ne elenco alcuni.a) Una concezione riduttiva della laicità del-

la scuola.b) La difficoltà a definire concettualmente il

carattere umanistico dei curricoli.c) Una lettura, da parte della comunità cri-

stiana, della scuola soltanto come ‘luogo’e non come bene con una sua ‘autono-mia’

d) Una conoscenza superficiale, da partedella comunità cristiana, della scuola,delle sue articolazioni, delle sue dinami-che culturali

e) Una interpretazione, da parte della scuo-la, della comunità cristiana come un ser-vizio educativo (di supplenza) e non co-me un soggetto culturale

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f) La tendenza della scuola a dare impor-tanza alle procedure perdendo di vista ilsignificato delle proprie azioni

g) La tendenza dell’insegnante ad interpre-tare il proprio lavoro in termini individua-listici.

CONCLUSIONI

– Alimentare la sinergia. Tra le due realtà,all’interno della comunità cristiana.

– Elaborare proposte culturali e formative re-cuperando e alimentando la competenzaprofessionale dei laici.

Qualche riferimento bibliograficoN. BOTTANI, Requiem per la scuola?, Il Mu-

lino, Bologna 2013.I. SANNA - A. TONIOLO (eds), Quale teologiaper quale Chiesa?, EDB Bologna 2017

P. TRIANI, Scuola. Oltre il mito delle grandiriforme, in “Vita e Pensiero”, 3, 2018.

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Lo racconteremo ai nostri figli.Iniziazione Cristiana e IRC:

dalla separazione alla sinergia.Suor Ginevra Maria Rossi, Aosta

Logicamente, chi ha fatto molte esperienze,e per di più piuttosto diverse tra di loro, nonpuò vantare di avere una profonda esperien-za in un particolare settore. Spero dunqueche la mia testimonianza su ciò che ho vis-suto nei miei trent’anni di impegno educa-tivo possa trarre qualche valore almeno dal-la diversità degli ambienti e settori nei qualiho lavorato o predicato.La prima esperienza nel campo di educazio-ne cristiana l’ho avuta nello scoutismo inSvizzera, come capo coccinelle, poi capo re-parto e qualche anno fa, come assistente inuna branca scolte. Ed è forse rimasta ancoraoggi quella più significativa dal punto di vi-sta della sinergia tra formazione e vita, inparticolare il vivere insieme, il crescere in-sieme. Non so se ho poi ritrovato questaunità tra religione, fede e vita in altri con-testi educativi, se non in quei campi estiviper ragazzi disagiati, o nelle gite scolastichedi tipo sportivo e ambientale, esperienze divita semplice e vicina alla natura.Mi sono poi messa in gioco nel percorso dicatechesi nella scuola paritaria francese dellamia Congregazione a Roma, con bellissimeesplorazioni sul terreno comune tra forma-zione cristiana e filosofia per bambini; neldoposcuola in una scuola paritaria gestita daun’altra Congregazione di suore, dove hoscoperto la gioia di guidare gli alunni versoil piacere dello studio nella crescita della fi-ducia in sé stessi; nelle materie “profane manon troppo” come l’educazione musicale, illatino, la geografia, la grammatica; nell’al-

lora cosiddetto “catechismo” in parrocchia aPerugia e poi a Fondi, in provincia di Latina,dove ho anche iniziato ad insegnare Reli-gione in una scuola primaria paritaria, e in-fine ad Aosta nella scuola statale alle Medie.Tutte queste esperienze sono state sempreaccompagnate da una riflessione quasi unpo’ “nervosa” sulla dissociazione tra inse-gnamento, formazione, educazione, uma-nizzazione, ecc., riflessione che ha trovatole condizioni favorevoli per una serena ma-turazione quando ho fatto una tesi sulla Ca-techesi del Buon Pastore. Oggi, due cose posso dire, anzi tre (e pro-babilmente quattro ne udirete, da come miconosco!). La prima è questa: dallo scouti-smo svizzero all’intuizione di Sofia Cavallet-ti, dal mare di Terracina alle Alpi valdostane,dalla scuola francese alla parrocchia perugi-na, dal catechismo all’Ora di Religione, hosempre trovato la stessa cosa: ragazzi chechiedono di essere aiutati a STAR BENE,CRESCERE BENE, CAPIRE BENE e AGIREBENE. La sinergia da trovare era quella “tracuore, mani, mente”, cari alla Catechesi delBuon Pastore, e io aggiungerei, nel caso de-gli adolescenti, anche i “piedi”, cioè la pos-sibilità di uscire, anche solo mentalmente,ma meglio se fisicamente, dall’aula alla vita.I “piedi” che sono anche simbolo biblico diintimità e di impulso vitale. La seconda osservazione di questi anni è le-gata alla troppo frequente “separazione” traformazione culturale e formazione del cuore.Con un doloroso risultato a scapito dei figli

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stessi di quella separazione: i ragazzi che acatechismo protestano “Uffa, l’abbiamo giàfatto a scuola…” e a scuola notano “ma lacatechista ha detto il contrario…”. Si, la di-stinzione tra catechesi e IRC oggi è chiara,ma forse anche troppo, almeno là dove lacatechesi si è svuotata del suo contenutoculturale e l’IRC si arrampica sui vetri quan-do deve affrontare alcuni misteri della Fedein modo “neutro” e a-spirituale. Mi sembranecessario, e urgente, un ricongiungimento“famigliare”, e anche “corporale”, tra mani-cuore-mente-piedi, cioè tra scuola e comu-nità cristiana, tra IRC e catechesi. Se non su-bito al livello di programmi, almeno e so-prattutto come impostazione di testimonian-za personale (nel senso di persone educa-trici che si relazionano con persone in cre-scita). E questo, indipendentemente dallamateria, direi.Terza osservazione. La distinzione tra IRC ecatechesi è chiara, ma forse lo è meno l’in-terpretazione di facoltatività, che mi sembraambigua sia nell’IRC sia nel percorso di ini-ziazione cristiana. E mi spiego. A scuola, glialunni vengono iscritti o non iscritti a Reli-gione dai genitori, a febbraio per settembre;se poi tutto va bene, se le lezioni sono” digradimento” dell’alunno, la cosa passa. Maspesso succede che arrivando per esempio asettembre in Seconda Media, cioè dopo 6mesi – che per un ragazzo sono tantissimie pienissimi di esperienze, di pensieri, di rea-zioni e ribellioni – l’alunno realizza di essereiscritto a Religione, E di non potersi disiscri-vere mentre nel frattempo ha fatto capolinoin lui il programma interiore “decido io”, ti-pico di quell’età (della sua età di settembre,cioè!). E qui iniziano i guai…o le sorpresepositive, diciamolo: mi è successo recente-mente di un’alunna di Seconda che scoprea settembre che sua madre, “ha combinatoun guaio perché ha dimenticato di iscrivermi

per quest’anno, e io le avevo detto che vo-levo”: dovrà aspettare la Terza Media periniziare IRC.E al catechismo? In fondo spesso è la stessacosa, a parte il “non ritorno possibile” sulladecisione. Forse stiamo vivendo una libertà irrigiditacol tempo. O una rigida facoltà, che è peg-gio, secondo me.Quarto punto, e terzo dolente: la garanzia diqualità del nostro insegnamento a scuolae/o del nostro accompagnamento spiritualenella catechesi. Perché di questo si tratta, misembra. E parliamo di accompagnamentospirituale non di adulti, di seminaristi, disuore, ma di bambini, ragazzi, adolescenti!Molto più fragili e a rischio, e nello stessotempo, molto più ricchi di una propria spi-ritualità. E chissà perché, facciamo troppospesso con loro una cosa che non oseremmofare con gli adulti: siamo capaci di sottova-lutare la loro fragilità, esigendo da loro uncomportamento già “in regola”, e di spegne-re la ricchezza del loro potenziale, sovrap-ponendoci il nostro sapere. Risultato: nes-suno. Almeno non per noi. Mentre un no-stro collega di materia d’esame farà di tuttoper portare i suoi alunni ad una conoscenzae una maturità di pensiero e di comporta-mento, pena, almeno, brutti risultati all’In-valsi. E noi, su cosa siamo valutati? O me-glio, da cosa?– Dalla pressione psicologica del sistema (se

calano i numeri di chi si avvale di IRC nel-la tua classe, o di chi, del tuo gruppo, vie-ne a messa la Domenica).

– Dalla pressione psicologica degli alunnistessi (se metti giudizi troppo alti, svalutila materia, se ne metti di bassi, perdi iscri-zioni).

– Dalla pressione psicologica dell’immagine(se sai tenere una classe o no). E sonosoltanto alcuni esempi…

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Mi sembra urgente passare dalla pressioneallo stimolo. Ci vorranno alcuni cambiamen-ti, e spero che verranno “accompagnati” enon “subiti” dalla Chiesa. Nel frattempo,personalmente, ho trovato un bello stimolonel pensiero del filosofo francese MichelFoucault, che riflette sulla sua esperienzad’insegnante al Collège de France, dove icorsi sono facoltativi e aperti a tutti. Senten-dolo in una trasmissione del 1975, ripropo-sta su Youtube1, ho capito che, certo, unavalutazione c’è: ci sono iscritti? Seguonocon piacere la lezione? Rispondono alle at-tività proposte? Persino ai compiti facoltati-vi? Curano il lavoro e il quaderno personale,ci tengono? Ma soprattutto: iniziano a farelegami con la loro vita? Con l’attualità? Conle altre materie? Se questo accade, allora c’èsinergia, si, ma sinergia interiore. Dobbiamoaverla noi, quella sinergia interiore, se vo-gliamo farli crescere e non smontare i pezzi.Sinergia per educare alla sinergia.Allora il nostro diventa un insegnamento/accompagnamento educativo, unificante. Nonsoltanto “divertente” o “interessante”, ma VI-TALE, che aspira alla vita e respira vita.In cosa consiste questa sinergia interiore?Secondo me basta una cosa: non temere ilmondo (e nemmeno il mondo dei genitori!),non stringerci tra di noi come specie inestinzione, non chiuderci alle provocazionidella società. Questioni di Crocifissi, Presepi,sì, certo ma se mancano materialmente inun locale come segno di amore e accoglien-za, di speranza e di salvezza, questo vuotopotrebbe diventare un stimolo per noi, uninvito a diventare noi stessi quel segno. Al-trimenti arriviamo all’assurda rivendicazio-ne. Successe poche settimane fa, in sala do-centi. Entra un collega, col quale tra l’altro

sono in piena sintonia e proclama: “Sonospariti alcuni Crocifissi dalle aule! Suor Gi-nevra ne sai qualcosa?”; Rispondo: “Unol’ho preso io per aggiustarlo perché era at-taccato con lo scotch, polveroso e con unbraccio rotto. Gli altri non lo so, ma non al-ziamo un polverone (appunto!) che faccia-mo peggio…”. “Hei, no! I Crocifissi fannoparte ufficialmente del mobilio (sic) dellascuola, devono tornare!” Al che, siccomel’atmosfera era di gioiosa intesa, ho presocon forza i pezzi rotti e polverosi del Croci-fisso portandomeli sul cuore ed esclamando,con un ironico sorriso: “Ah, no! Gesù nonè un mobilio!”. La cosa finì in una granderisata e tutti i colleghi presenti in sala do-centi, credenti e non credenti, si sono tro-vati assolutamente d’accordo sul fatto cheGesù è ben più di un mobilio…”. E fin quici siamo arrivati!In conclusione, vorrei ripartire dal titolo diquesto momento di testimonianze per mo-dificarlo un pochino: “Dalla separazione al-la sinergia”. E mi chiedo, in fin dei conti(perché dobbiamo farli, e con coraggio): 1) parliamo ancora di separazione tra IRC e

iniziazione cristiana o non forse già di di-vorzio?

2) Possiamo trovare un aiuto nella sinergia,sì, ma per farlo non dobbiamo forse ac-cettare quello della “simpatia”? Syn-pa-thein, patire la stessa fatica dei colleghidi altre discipline, quelle dei colleghi noncredenti.

3) Parliamo ancora di IR…Cattolica o di for-mazione umana integrale, di cui il Cristia-nesimo dovrebbe essere specialista?

4) E la catechesi, è sempre un lasciar “fareeco”, nel cuore dei bambini, della Parolaannunciata con competenza e umiltà?

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

1 Cf. Michel Foucault “Radioscopie”, Entretien avec Jacques Chancel, 10 mars 1975. https://www.youtube.com/watch?v=VjsHyppHizM&t=14s

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Vedrei una riconciliazione della coppiaIRC/catechesi in questo modo: l’IRC proponee la catechesi dispone. L’IRC propone la di-mensione trascendente e i valori da semprericercati e amati dagli uomini, e la catechesidispone i cuori perché sia possibile l’ecodell’espressione cristiana di quella dimensio-ne. Per realizzare questo sogno ci sono, a mioavviso, due piaghe da combattere: il com-

plesso di persecuzione (“Noi prof di IRC nonsiamo considerati dai colleghi”), e l’ansia daprestazione (“Se calano le iscrizioni cala an-che la mia immagine…”). Il segreto, misembra, ce lo danno i disabili! È ciò che hoimparato in questi anni. Guardiamo e amia-mo loro, che nei nostri gruppi e classi sonoveri segni del Presepe e del Crocifisso, e que-ste due piaghe guariranno da sole.

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Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico

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Appendice

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Convegno dei direttori e dei collaboratori degli UCD 191

Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

Coordinatori Iniziazione Cristianavenerdì 19 gennaio 2018 dalle 10:00alle 15:00CEI Romapromosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Tavola rotonda sul catecumenato conle grandi Diocesi martedì 30 gennaio 2018 dalle 10:00alle 16:00CEI - Sala Commissioni (Sede principale) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Incontro Responsabili SAB regionaligiovedì 01 febbraio 2018 dalle 10:30alle 13:00CEI - Sala Commissioni (Sede principale) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Coordinatori Iniziazione Cristianagiovedì 22 febbraio 2018 dalle 10:00alle 15:00CEI Romapromosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Gruppo Nazionale per la catechesidelle persone disabili giovedì 22 febbraio 2018 dalle 14:00alle 18:00CEI - Sala Commissioni (Sede principale) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Consulta Nazionalevenerdì 23 febbraio 2018 dalle 10:30alle 16:00The Church Village Torre Rossa 94 00165Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Gruppo Nazionale per il Catecumenatoe referenti regionali del Catecumenato da venerdì 23 febbraio 2018 ore 16:00a sabato 24 febbraio 2018 ore 14:00The Church Village Torre Rossa 94 00165Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Incontro laboratorio sul portale “Viedella Bellezza”martedì 10 aprile 2018 dalle 09:30alle 17:00CEI - Aula Magna - sede 468 (AngeliCustodi)promosso da: Ufficio Nazionale per i beniculturali ecclesiastici e l’edilizia di culto,Servizio Informatico, Ufficio Nazionale perla pastorale del tempo libero, turismo esport, Ufficio Catechistico Nazionale,Ufficio Nazionale per la pastorale dellafamiglia, Ufficio Liturgico Nazionale,Servizio Nazionale per l’insegnamentodella religione cattolica, Servizio Nazionaleper la pastorale giovanile, UfficioNazionale per l’educazione, la scuola el’università

Calendario incontri 2018

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Convegno Nazionale dei direttori ecollaboratori UCD da giovedì 26 aprile 2018 a sabato 28aprile 2018Domus Pacis Assisi Piazza Porziuncola 106088 Santa Maria degli Angeli - Assisi promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Seminario su iniziazione cristiana epersone disabili da venerdì 27 aprile 2018 a sabato 28aprile 2018Domus Pacis Assisi Piazza Porziuncola 106088 Santa Maria degli Angeli - Assisi promosso da: Ufficio Catechistico Nazionale

Convegno Nazionale Catecumenato -25 anni dalla costituzione del Settore da sabato 28 aprile 2018 a domenica29 aprile 2018NH Hotel Roma Villa Carpegna Via Pio IV6 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

EuroCat Bureau - Incontro deiResponsabili nazionali delCatecumenato in Europa da domenica 29 aprile 2018 a martedì01 maggio 2018NH Hotel Roma Villa Carpegna Via Pio IV6 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Incontro della Commissione Nazionaleper la Formazione lunedì 28 maggio 2018 dalle 09:00alle 13:00CEI Romapromosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Consulta Nazionale UCNda lunedì 11 giugno 2018 ore 15:00 amartedì 12 giugno 2018 ore 13:30NH Hotel Roma Villa Carpegna Via Pio IV6 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Incontro della Commissione Nazionaleper la Formazione martedì 12 giugno 2018CEI - Via Aurelia, 468 Romapromosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Gruppo Esperti Settore ApostolatoBiblico martedì 12 giugno 2018NH Hotel Roma Villa Carpegna Via Pio IV6 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Gruppo Esperti Settore Catechesi dellepersone disabili martedì 12 giugno 2018 dalle 14:00alle 18:00CEI Romapromosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Coordinamento Disabilitàmercoledì 20 giugno 2018 dalle 09:00alle 10:30CEI - Aula Magna (Sede principale)promosso da: Segreteria Generale, UfficioCatechistico Nazionale

Gruppo Esperti Settore Catecumenatoda martedì 26 giugno 2018 a giovedì28 giugno 2018Diocesi di Cagliaripromosso da: Ufficio Catechistico Nazionale

Convegno dei direttori e dei collaboratori degli UCD192

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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Incontro Gruppo Nazionale per lacatechesi delle persone disabili giovedì 28 giugno 2018 dalle 10:00alle 15:30CEI - Sala Commissioni (Sede principale) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

XXIV Corso di formazione peranimatori biblici – Iniziare i ragazzialla Bibbia – Alla ricerca dei fratelliperduti... La storia di Giuseppe {Gen37-50)da lunedì 09 luglio 2018 ore 12:00 avenerdì 13 luglio 2018 ore 10:00 Domus Pacis Assisi Piazza Porziuncola 106088 Santa Maria degli Angeli - Assisi promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Incontro Gruppo Nazionale Settoreper il Catecumenato giovedì 06 settembre 2018CEI - Sala Commissioni (Sede principale) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Tavolo di Studio sui linguaggi/Segniin ambito religioso sabato 08 settembre 2018 dalle 09:00alle 11:00CEI - Sala Commissioni (Sede principale) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Coordinamento CommissioneIniziazione Cristiana lunedì 17 settembre 2018 dalle 09:00alle 12:00saletta CEI,50promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Commissione Iniziazione Cristiana -incontro inaugurale lunedì 17 settembre 2018 dalle 15:00alle 19:00NH Hotel Roma Villa Carpegna Via Pio IV6 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Incontro Equipe della Settimanaresidenziale per referentidell’Iniziazione Cristiana - incontroinauguralemartedì 18 settembre 2018 dalle 09:00alle 16:00 NH Hotel Roma Villa Carpegna Via Pio IV6 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Incontro Gruppo Nazionale del Settoreper la Catechesi delle persone disabili venerdì 21 settembre 2018 dalle 09:30alle 16:00CIAM Via Urbano VIII 16 00165 Roma promosso da: Ufficio Catechistico Nazionale

Commissione Formazione dell’UfficioCatechistico Nazionale - incontroinaugurale lunedì 24 settembre 2018 dalle 09:00alle 18:00promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Riunione Equipe Formativa per lasettimana Residenziale IC 2019 martedì 23 ottobre 2018 dalle 10:30alle 16:30CEI - Sala Commissioni (Sede principale) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Convegno dei direttori e dei collaboratori degli UCD 193

Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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Tavolo di studio sui linguaggi/segniin ambito religioso giovedì 25 ottobre 2018 dalle 10:30alle 15:30CEI - Sala Commissioni (Sede principale) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Commissione Episcopale per laDottrina della Fede, l’Annuncio e laCatechesi lunedì 12 novembre 2018 dalle 10:00alle 13:00Vaticanopromosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Gruppo Nazionale Settore ApostolatoBiblico martedì 13 novembre 2018CEI - Sala San Francesco (Angeli Custodi) promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Consulta Nazionale UCNda giovedì 15 novembre 2018 ore15:00 a venerdì 16 novembre 2018ore 14:00The Church Village Torre Rossa 94 00165Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Incontro Equipe della Settimanaresidenziale per referentidell’Iniziazione Cristiana lunedì 19 novembre 2018 dalle 10:30alle 16:30CEI Romapromosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Seminario su Iniziazione Cristiana,Scuola e IRC martedì 20 novembre 2018 dalle 09:00alle 17:00CEI - Aula Magna (Sede principale)promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale, Servizio Nazionale perl’insegnamento della religione cattolica,Ufficio Nazionale per l’educazione, lascuola e l’università

Incontro Gruppo Nazionale del Settoreper la Catechesi delle persone disabili sabato 24 novembre 2018CIAM Via Urbano VIII 16 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Riunione Equipe Formativa per lasettimana Residenziale IC 2019 mercoledì 05 dicembre 2018 dalle10:30 alle 16:30NH Hotel Roma Villa Carpegna Via Pio IV6 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Riunione Commissione IniziazioneCristiana giovedì 06 dicembre 2018 dalle 10:30alle 16:00NH Hotel Roma Villa Carpegna Via Pio IV6 00165 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Gruppo Nazionale per SettoreCatecumenatomartedì 11 dicembre 2018CEI - Sala Commissioni (Sede principale)promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Convegno dei direttori e dei collaboratori degli UCD194

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 11

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Incontro della Commissione Nazionaleper la Formazioneda venerdì 14 dicembre 2018 ore10:00 a sabato 15 dicembre 2018 ore16:00Istituto Maria SS. Bambina Via Paolo VI21 00193 Roma promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Tavolo di studio sui Linguaggi/Segniin ambito religioso sabato 15 dicembre 2018 dalle 10:00alle 16:00promosso da: Ufficio CatechisticoNazionale

Convegno dei direttori e dei collaboratori degli UCD 195

Notiziario n. 11 Ufficio Catechistico Nazionale

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NON TUTTI GLI INTERVENTI SONO STATI RIVISTI DAGLI AUTORI.