ntonio cozzolino indagine pregiudiziale o...

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ANTONIO COZZOLINO 1 L’INDAGINE PREGIUDIZIALE O PASTORALE Saluto e ringrazio per l’invito l’intero COMITATO ORGANIZZATORE del convegno, saluto il parroco della BASILICA MINORE DI S. ANTONIO DI PADOVA che ospita il convegno, padre Luigi CAMPOLI, ringrazio per i loro deferenti saluti l’avv. Gianfranco MALLARDO e l’avv. Marco CASTALDO e saluto i relatori convenuti, l’avv. Elvira TUCCI, Mons. Vito Angelo TODISCO, e il prof. Avv. Raffaele GRANATA. Ancora, saluto l’avv. Luigi NOTARO presidente UNIONE GIURISTI CATTOLICI ITALIANI di Napoli e il moderatore, l’avv. Giuseppe DI MICCO. NOTA METODOLOGICA Il mio intervento avrà il compito, più che di mettere insieme due ambiti di per sé differenziati, quello della pastorale e del diritto, di mettere in evidenza le distinzioni essenziali tra di essi perché possano risultare chiare le reciproche relazioni e gli insostituibili reciproci compiti. Partirò, come premessa, dall’evidenziare alcuni principi che scaturiscono dai Documenti pontifici per poi aprirmi allo specifico contributo di questo mio intervento, ovvero la distinzione necessaria tra l’ambito del diritto e quello della pastorale perché non si abbia a ingenerare il malinteso oggi a portata di mano che, il diritto possa sopperire e risolvere i problemi della pastorale e, al contrario, la pastorale possa sopperire e risolvere i problemi del diritto. È urgente che si chiarifichi cosa sia del diritto e cosa sia della pastorale, come rispettare le esigenze del diritto e come rispettare quelle della pastorale. Per ciò che attiene all’ambito della pastorale mi muoverò, non per grandi, ma grandissime linee, non mancando però di sollevare alcune questioni fondamentali per le quali si indicherà, per un eventuale approfondimento, una accurata bibliografia. Per l’ambito del diritto, invece, cercherò

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ANTONIO COZZOLINO

1

L’INDAGINE PREGIUDIZIALE O PASTORALE

Saluto e ringrazio per l’invito l’intero COMITATO ORGANIZZATORE del convegno, saluto il

parroco della BASILICA MINORE DI S. ANTONIO DI PADOVA che ospita il convegno, padre Luigi

CAMPOLI, ringrazio per i loro deferenti saluti l’avv. Gianfranco MALLARDO e l’avv. Marco

CASTALDO e saluto i relatori convenuti, l’avv. Elvira TUCCI, Mons. Vito Angelo TODISCO, e il prof.

Avv. Raffaele GRANATA. Ancora, saluto l’avv. Luigi NOTARO presidente UNIONE GIURISTI

CATTOLICI ITALIANI di Napoli e il moderatore, l’avv. Giuseppe DI MICCO.

NOTA METODOLOGICA

Il mio intervento avrà il compito, più che di mettere insieme due ambiti di per sé differenziati,

quello della pastorale e del diritto, di mettere in evidenza le distinzioni essenziali tra di essi perché

possano risultare chiare le reciproche relazioni e gli insostituibili reciproci compiti.

Partirò, come premessa, dall’evidenziare alcuni principi che scaturiscono dai Documenti

pontifici per poi aprirmi allo specifico contributo di questo mio intervento, ovvero la distinzione

necessaria tra l’ambito del diritto e quello della pastorale perché non si abbia a ingenerare il

malinteso – oggi a portata di mano – che, il diritto possa sopperire e risolvere i problemi della

pastorale e, al contrario, la pastorale possa sopperire e risolvere i problemi del diritto. È urgente che

si chiarifichi cosa sia del diritto e cosa sia della pastorale, come rispettare le esigenze del diritto e

come rispettare quelle della pastorale.

Per ciò che attiene all’ambito della pastorale mi muoverò, non per grandi, ma grandissime

linee, non mancando però di sollevare alcune questioni fondamentali per le quali si indicherà, per

un eventuale approfondimento, una accurata bibliografia. Per l’ambito del diritto, invece, cercherò

ANTONIO COZZOLINO

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di esser più pratico partendo dal dato oggettivo fornito dal testo della riforma e prospettando

possibili e quanto mai necessarie applicazioni.

PREMESSA

Ai fini di una corretta esposizione e comprensione del tema assegnatomi è necessario fare una

premessa. Tale premessa è tesa a chiarificare, portare in luce, un’ambiguità che sovente nei vari

dibattiti viene fatta riemergere – ad necessitatem – tra due aspetti di una medesima realtà, sovente

messi ingiustamente in una opposizione irrisolvibile: ortodossia e ortoprassi1, dottrina e pastorale,

ma anche diritto e pastorale.

Il diritto, nella Chiesa, anch’esso ispirato e fondato teologicamente, da un lato, segna un

confine comportamentale e pratico, ma prima di tutto veritativo (di una verità oggettiva, teologica e

rivelata) tra bene e male sociale, fattibile e non fattibile, lecito e non lecito2 ordinando la vita del

singolo credente, del credente che vive in forme varie di aggregazione religiosa ed ecclesiale, delle

varie istituzioni ministeriali ed ecclesiali; dall’altro, interviene in sede giudiziale ed extra giudiziale,

a dirimere le questioni che sorgono quando questo confine non viene rispettato.

1 «Canonistica e Teologia si sono relazionate e devono relazionarsi reciprocamente in una dimensione

d’interdisciplinarità capace di creare non solo “ponti” estemporanei tra le due Scienze ma una vera forma mentis che

sappia integrare il dato di fede e quello giuridico (comportamentale sociale)». P. GHERRI, Lezioni di Teologia del Diritto

canonico, Roma, 2004, 132. 2 «La Teologia studia i dati rivelati; il suo intento è di formulare la verità rivelata, muovendosi sul piano della

propria adeguazione a questa verità, la definisce con giudizi dottrinali. Il Diritto canonico, invece, ricevendo questi dati

teologici che riguardano, in maniera generica, la struttura sociale della Chiesa, li positivizza nelle sue leggi; suo fine è il

bene politico della Chiesa; muovendosi sul piano della strumentalità e della positivizzazione, ordina i suoi mezzi sociali

strumentali (leggi) al suo fine e prescrive una condotta sociale con giudizi pratici, di modo che la “verità canonica”

consiste in questa adeguazione dei suoi mezzi al fine inteso dal legislatore, cioè nella sua efficacia. Solo la Teologia può

emettere un giudizio dottrinale, quello dell’adeguazione alla verità oggettiva rivelata, e formularlo in varie lingue,

prospettive e con diversi gradi di profondità. Il Diritto canonico, invece, può formulare tanti giudizi quante sono le

concretizzazioni o positivizzazioni, che gli permette la “sostanza teologica”, e secondo la prudenza del legislatore». T.

JIMÈNEZ URRESTI, Diritto canonico e Teologia: due Scienze diverse, in Concilium, III (1967), 31.

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Dunque appartiene al diritto, se si vuole, una duplice responsabilità e un duplice compito3: in

una prima fase, il diritto ha una funzione ordinativo-assertiva traducendo in norma le verità ritenute

fondamentali dalla riflessione teologica magisteriale4, stabilendo quale sia un comportamento da

perseguire e un comportamento da evitare, secondo il quale tutta la Chiesa ed ogni singolo suo

membro è chiamato a vivere e ad armonizzare la sua azione5; in una seconda fase, esso interviene a

sanzionare abusi e comportamenti non conformi a giustizia, ossia, a quanto stabilito nella parte

ordinativo-assertiva, riportando l’ordine, nel disordine venutosi a creare.

Rimane aperta, però, la questione della radice del male, che il diritto non può in alcun modo

sanare. Il diritto in questa sua seconda fase, giudiziale o amministrativa che sia, sanziona, interviene

ma non ha le armi per rimuovere, per usare un’espressione colorita, il “male alla radice”. A riguardo

servono gli strumenti della Grazia, propri dell’azione pastorale della Chiesa.

La pastorale è evidente che si colloca in questi due momenti – ovvero, tra il prima assertivo e

il dopo, giudiziale o extra giudiziale – del diritto e dovrebbe far sì che acquisendo, sempre per

mezzo della verità rivelata, la direzione da percorrere, garantisca un cammino dei singoli e delle

comunità nel rispetto di queste coordinate veritative, normative, obbliganti (che sono, solo in parte,

tradotte dal diritto canonico e che, il diritto è chiamato a rimarcare come linee di confine oltre il

quale non è lecito andare)6. È evidente che la pastorale dovrebbe venir mossa da altre e alte

3 Cf. P. GHERRI, Corresponsabilità e Diritto: il Diritto amministrativo: il Diritto amministrativo, in

Apollinaris, LXXXII (2009), I, 116. 4 «L’evento normativo ‘fontale’ della Chiesa apostolica, il c.d. Concilio di Gerusalemme, è la ‘prova’ più

chiara di questa dinamica: furono proprio l’identità e la coscienza missionaria della Chiesa che la spinsero a verificare il

vero contenuto della fede annunciata, in modo da stabilire definitivamente il requisito minimo di appartenenza alla

Comunità dei credenti in Cristo, senza lasciar più nessuno nel dubbio della propria o altrui appartenenza alla Comunità

dei salvati”». P. GHERRI, Lezioni di teologia del diritto canonico, 2A rist., Città del Vaticano, 2013, 304. Cf. L. DE

ECHEVERRIA, Teologia del Diritto, in Rivista internazionale di Teologia “Concilium”, (1967), III, 8, 19.31. 5 «La Canonistica, pertanto, deve cercare nella Rivelazione i propri punti di riferimento; ma questo può farlo

solo attraverso la teologia, l’unica che può dire alla Chiesa quale sia l’imperativo teologico da seguire. Bisogna essere

quindi onesti nel ritenere che, come non è lecito ai teologi, che studiano la Rivelazione, prendere ciò che nella

Rivelazione è scritto, alla lettera; così per i canonisti, non è sufficiente che nel testo biblico si trovi un qualcosa che ha

forma giuridica per dire che quello deve entrare nel Diritto canonico. Bisogna che la Teologia ci dica, quanto quella

affermazione è irrinunciabile per essere cristiani. In tal caso, ci saranno delle norme della vita della Chiesa che

renderanno operante – normativa – quella indicazione». A. COZZOLINO, Excerptum theseos ad Doctoratum in Iure

Canonico, L’obbedienza canonica: ricapitolazione dello statuto giuridico del fedele dal 1917 al 1983, Roma, 2013, 13-

14. Cf. P. GHERRI, Corresponsabilità e Diritto: il Diritto amministrativo, in P. GHERRI (a cura di), Responsabilità

ecclesiale, corresponsabilità e rappresentanza. Atti della IV Giornata Canonistica Interdisciplinare, Città del Vaticano,

2010, 151. 6 «Il Codice, dal momento che è il principale documento legislativo della Chiesa, fondato nell’eredità

giuridico-legislativa della rivelazione e della tradizione, va riguardato come lo strumento indispensabile per assicurare il

debito ordine sia nella vita individuale e sociale, sia nell’attività stessa della Chiesa. Perciò, oltre a contenere gli

elementi fondamentali della struttura gerarchica e organica della Chiesa quali furono stabiliti dal suo divin Fondatore

oppure radicati nella tradizione apostolica, o in ogni caso antichissima, e oltre alle principali norme concernenti

l’esercizio del triplice ufficio affidato alla stessa Chiesa, il Codice deve definire anche alcune regole e norme di

comportamento. Lo strumento, che è il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come viene

proposta dal magistero del Concilio Vaticano II in genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi,

in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico

ANTONIO COZZOLINO

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motivazioni, ma non è certo saggio contrapporre la pastorale al diritto7 perché molte azioni pastorali

sono predisposte e messe in opera dal diritto proprio per dare a certe azioni pastorali tutta l’autorità

che Cristo stesso conferisce ai suoi pastori, ma che necessitano poi di una norma pratico-attuativa

perché si entri nella concretezza dell’esercizio (penso al mandato di un Vescovo o di un parroco,

solo per fare alcuni esempi). Ciò non significa che l’azione dello Spirito sia mortificata. È bene

tuttavia precisare che il diritto non è contro lo Spirito e la sua azione, ma contro il disordine e gli

abusi che nascono da un’azione pastorale che di spirituale rischia di non avere nulla8.

Di fatto, vale anche per la pastorale la verità secondo cui, l’azione concreta degli agenti

ecclesiali si muove all’interno dei confini trattati e segnalati dalla verità rivelata con una sua

responsabilità specifica. Se il diritto traduce la comprensione teologica del dato di fede in “norma”,

allora la pastorale ha il compito di perpetuare l’opera di Cristo buon pastore, secondo il mandato

ricevuto da Cristo stesso. Il mandato prevede tre azioni: 1) proclamare il Vangelo ad ogni creatura,

missione universale, verso tutti (cf. Mc 16,15); 2) battezzare, ossia immergere nella Grazia tutti gli

uomini che si aprono alla fede in Cristo; 3) insegnare ad ogni uomo, divenuto discepolo, tutto

quanto il Signore ha comandato.

Una parola degna di nota riguarda la conseguenzialità delle opere elencate che la Chiesa è

chiamata a svolgere nella sua azione pastorale. Mi spiego, il dono del battesimo – come degli altri

sacramenti – sarà possibile solo se, e a patto che l’uomo, per mezzo dell’annuncio, si apra alla fede

in Cristo quale salvatore universale: ossia, prima è necessario divenire discepoli del Signore, per

mezzo dell’ascolto e della sequela, poi, e soltanto poi, Cristo potrà dare la vita per loro. Per cui,

mentre l’annuncio va rivolto a tutti, senza distinzioni di sorta – la semina deve giungere a qualsiasi

tipo di terreno – il dono della Grazia è concesso soltanto a coloro che si aprono alla fede

nell’unigenito Figlio di Dio, e, ne accolgono la parola per dimorare e crescere in essa portando frutti

di salvezza. Lo ribadiamo, Cristo, Buon Pastore, dà la vita soltanto alle sue pecorelle, anche quelle

questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare. Se poi è impossibile tradurre perfettamente in linguaggio

«canonistico» l’immagine della Chiesa, tuttavia a questa immagine il Codice deve sempre riferirsi, come a esempio

primario, i cui lineamenti esso deve esprimere in se stesso, per quanto è possibile, per sua natura». GIOVANNI PAOLO II,

Cost. Ap., Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983, in AAS, 75 (1983-II), XI. 7 Cf. PAOLO VI, Allocutio, Ad E.mos Patres Cardinales et ad Consultores Pontificii Consilii Codici Iuris

Canonici recognoscendo, 20 novembris 1965, in AAS, 57 (1965), 985-999; J. HERRANZ, La salus animarum, principio

dell’ordinamento canonico, in Ius Ecclesiae, 12 (2000), 292-293. 8 «La fedeltà allo Spirito esige il rispetto del Diritto; tuttavia più che (essere) uno strumento di ‘ordine’ o

‘controllo’, il Diritto e le istituzioni canoniche necessitano di essere controllati, cioè, costantemente valutati secondo i

tre criteri che derivano dalla natura missionaria: la loro coerenza col Vangelo, la loro efficacia apostolica, la loro

corrispondenza con le necessità dei fedeli e della società. La rivalorizzazione del fondamento missionario delle

istituzioni permette al canonista di mantenere una visione sobria della struttura della Chiesa visibile, vincolante solo

nelle sue linee essenziali; al tempo stesso, la centralità della missione salvifica consente un avvicinamento dinamico alle

strutture e norme canoniche, per renderne possibile la revisione e l’accomodamento, senza perdere la natura giuridica».

M.J. ARROBA CONDE, La Iglesia como presencia (reflexión desde el derecho canonico), in Vida Religiosa, LXXXVI

(1999), 3, 185-187.

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che nei secoli lo vorranno diventare. Tutti sono nella possibilità di entrare a far parte del gregge, a

patto, però, che si sia disposti ad ascoltare/obbedire alla voce del Pastore.

Pertanto, l’azione giudiziale o amministrativa, che il diritto è chiamato a compiere per

eventuali cadute dall’ordine giuridico e prima ancora veritativo, non può diventare prassi costante e

“luogo” ordinario di risoluzioni dei problemi della pastorale. Qualora lo fosse sarebbe evidente che

vi è qualche mancanza grave a livello pastorale, o nei principi ispiratori o nelle forme e modalità

attuative. Un esempio a questo punto potrebbe aiutarci a focalizzare la questione: per intenderci, un

battezzato, chierico o laico, potrebbe essere ritenuto colpevole di qualche vergognoso crimine, per

cui, potrebbe essere privato di alcuni beni di Grazia, fintanto che non receda dalla sua condotta

criminosa. Tale provvedimento, risulterà palliativo, ma non risolutivo. Quest’ultimo è un problema

pastorale che il diritto mai potrà risolvere. Come riportare un figlio della Chiesa nel Vangelo e nella

Grazia è ministero che appartiene ai Padri spirituali, ai Vescovi, ai Superiori che devono esortare e

correggere i membri del gregge loro affidato, invitandoli fermamente nello Spirito Santo a

pentimento sincero e a vera conversione. Le lettere paoline sono cariche di questi insegnamenti e di

questi richiami.

A questo punto, cercherò di chiarire prima alcune indicazioni tratte dai Documenti pontifici, e

poi, chiarificherò e svilupperò il principio di distinzione che vi ho appena esposto.

INDICAZIONI MAGISTERIALI

Prendo le mosse dalle parole che Papa Francesco ebbe a pronunciare nel discorso tenuto in

occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale Apostolico della Rota Romana del

2017, riprendendo quanto già affermato nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, 64. Il

Pontefice afferma:

«non possiamo nasconderci che una mentalità diffusa tende ad oscurare l’accesso alle verità

eterne. Una mentalità che coinvolge, spesso in modo vasto e capillare, gli atteggiamenti e i

comportamenti degli stessi cristiani (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 64), la cui fede viene

svigorita e perde la propria originalità di criterio interpretativo e operativo per l’esistenza

personale, familiare e sociale. Tale contesto, carente di valori religiosi e di fede, non può che

condizionare anche il consenso matrimoniale»9.

9 FRANCESCO, Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota

Romana, 21 gennaio 2017, consultabile in

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/january/documents/papa-francesco_20170121_anno-

giudiziario-rota-romana.html; ID., Esort. Ap., Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, in AAS, CV (2013), 1019-1137;

d’ora in poi EG.

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Il Pontefice denuncia la scomparsa o l’offuscamento delle verità eterne nel cui contesto,

attualmente, la Chiesa vive e amministra i suoi sacramenti. Non solo. Prevale in questo contesto una

mentalità contraria a quelle verità eterne che si è diffusa, si è insinuata, ha influenzato ed influenza

«gli atteggiamenti e i comportamenti degli stessi cristiani». È evidente come il problema di

sottofondo, che il Santo Padre richiama è di pastorale ma tocca anche il diritto, per quel riferimento

al consenso matrimoniale dei coniugi che, viene a maturare in contesti già di per sé portatori di una

“fragilità” considerevole proprio in ordine alla conoscenza delle verità eterne, le quali, all’opposto,

dovrebbero fondare e caratterizzare la vita credente.

La verità è che, molti che si dicono cristiani non sono più cristiani. La loro fede, dunque, la

loro identità, «viene svigorita e perde la propria originalità di criterio interpretativo e operativo per

l’esistenza personale, familiare e sociale».

Quindi vi è un problema radicale individuato dal Papa come condizionante il consenso

matrimoniale nel suo farsi «…ed è proprio la mentalità non credente che, influenzando quella

credente, oscura le verità eterne e svigorisce l’identità dei credenti stessi». C’è un problema

veritativo di fondo che va affrontato. Ora, questo problema si lega alla pastorale che è chiamata a

veicolare il messaggio cristiano formando le coscienze nella conoscenza e nell’adesione di fede al

Vangelo, non senza l’aiuto soprannaturale della Grazia.

Il tema veritativo, in modo e in una prospettiva differente, viene ripreso da papa Benedetto il

quale parlando del rapporto tra pastorale e diritto afferma:

«è necessario, tuttavia, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in

contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che, fondamentale punto

d’incontro, tra diritto e pastorale è l’amore per la verità: questa infatti non è mai astratta, ma «si

integra nell’itinerario umano e cristiano di ogni fedele»10.

Sia il diritto che la pastorale si confrontano con una verità celeste che li trascende, alla quale

essi sono chiamati a rendere un costante servizio, perché il cammino dei credenti risulti sempre

governato da questa verità rivelata che, Dio ha manifestato all’uomo come unica via di salvezza e

come principio di ordine e di comunione – anche nella convivenza sociale – del cammino

ecclesiale11.

10 BENEDETTO XVI, Esort. Ap. Post-Sinodale, Sacramentum Caritatis, 22 febbraio 2007, in AAS, 99 (2007),

105-180, n. 29, 129; in seguito SC. 11 Cf. FRANCESCO, Lett. Enc., Lumen Fidei, 29 giugno 2013, in AAS, 105 (2013), 27.

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Per cui avremo, da un lato, il lavoro del pastore che deve riferirsi necessariamente a ciò che in

prima istanza lo caratterizza, ossia l’accompagnamento12. Tale lavoro di accompagnamento del

fedele laico, deve essere svolto dal pastore, prima, durante e dopo il matrimonio; dall’altro, il lavoro

del giurista, che necessariamente deve attenersi alla legge e alle sue disposizioni.

Entrambe le figure, pastore e giurista, nella mens di papa Francesco, dovranno collaborare al

fine di aiutare realmente e seriamente i fedeli che, tristi e senza speranza, come i discepoli di

Emmaus, si allontanano dalla comunità dei fedeli.

IL LAVORO DEL PASTORE

Chi scrive è fermamente convinto che, il ‘prevenire’ non è meglio rispetto al ‘curare’, ma è

‘necessario’, oserei dire ‘vitale’. Il ‘curare’ porta con sé, infatti, un carico di sofferenze che non si

possono eliminare: neanche Dio può eliminare le conseguenze di un ‘prima’ non vissuto

conformemente alle esigenze della fede e con il sostegno della Grazia sacramentale efficacemente

ricevuta. Si rammenti, quindi, che il ‘dopo’ è sempre frutto di un ‘prima’. Ciò a cui l’attività del

pastore deve sempre puntare quindi è al ‘prima’, ossia, alla nascita e allo sviluppo dell’uomo nuovo

in Cristo per Cristo e con Cristo. Il matrimonio sacramento deve essere visto come un ‘dopo’,

lungamente, ponderatamente, prudentemente preparato secondo le verità della fede debitamente

acquisite in lunghi e permanenti itinerari di formazione alla vita cristiana13. Esso deve

necessariamente essere legato e condizionato al ‘prima’. Se il matrimonio viene, infatti, sganciato

dal prima (Battesimo, Riconciliazione, Cresima ed Eucarestia), mancherà ad esso il fondamento su

cui ergersi. Su questa verità ancora il Pontefice insiste in Amoris laetitia:

«il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del battesimo

che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. Nella reciproca

accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e apertura alla

vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro,

12 L’immagine di Gesù che accompagna e fonda la fede dei discepoli di Emmaus mi sembra la più eloquente

per esprimere il lavoro pastorale odierno. Questo è teso a fondare, partendo dall’oggettività della Scrittura, un vero

cammino di fede che passa per la grazia e accompagna fino alla fine dei suoi giorni il fedele. 13 «Un primo rimedio lo indico nella formazione dei giovani, mediante un adeguato cammino di preparazione

volto a riscoprire il matrimonio e la famiglia secondo il disegno di Dio. Si tratta di aiutare i futuri sposi a cogliere e

gustare la grazia, la bellezza e la gioia del vero amore, salvato e redento da Gesù. La comunità cristiana alla quale i

nubendi si rivolgono è chiamata ad annunciare cordialmente il Vangelo a queste persone, perché la loro esperienza di

amore possa diventare un sacramento, un segno efficace della salvezza. In questa circostanza, la missione redentrice di

Gesù raggiunge l’uomo e la donna nella concretezza della loro vita di amore». FRANCESCO, Discorso del Santo Padre

Francesco in occasione dell’inaugurazione dell’anno Giudiziario del Tribunale della Rota Romana, 21 gennaio 2017.

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prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella

fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante

l’aiuto della grazia del sacramento»14.

Finché la nostra pastorale non riprenderà la sua verità di origine, ossia la cristificazione

dell’uomo, la creazione, nell’uomo, del cuore nuovo, non si potrà che essere costretti a tornare

indietro, ai tempi di Mosè e concedere l’atto di ripudio. Una tale ipotesi, in termini rivelati, non è

data perché proprio tutta una lettera, quella agli Ebrei in modo specialissimo, è destinata al mondo

giudaico perché si apra, in Cristo, al definitivo passaggio dall’Antica alleanza, non più salvifica, alla

Nuova Alleanza alla cui essenza ogni uomo è invitato ad aderire per mezzo della conversione (cf.

Mt, 28,16-20). Dunque, la Chiesa non ha potere di reintrodurre ciò che Cristo ha dichiarato

sorpassato. La differenza che deve portarci a riflettere considerevolmente, sta nel fatto che, mentre

ai tempi di Mosè, ossia, prima della morte e risurrezione di Cristo, si era nell’impossibilità naturale

di vivere la Legge, in Cristo l’impossibilità è trasformata in possibilità. Non bisogna dimenticare,

quindi, che il rifiuto di Cristo diviene responsabilità; tale responsabilità può giungere a toccare

finanche la vita eterna15. La non possibilità, il non potere, in Cristo, con Cristo e per Cristo

diventano possibilità, potere. Questo principio rivelato sposta l’asse di riferimento dalla

involontarietà alla volontarietà, nel caso, dalla colpa al dolo, giuridicamente parlando. Detto

altrimenti, con una immagine tratta dalla Scrittura antica, ai rinati da acqua e Spirito Santo non è

possibile più pregare con le parole di Davide: «Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha

concepito mia madre» (Sal 51,7). Infatti, i credenti, pur se generati nella colpa, grazie al Battesimo

vengono ri-generati da Dio, come dice San Giovanni nel suo Prologo: «a quanti però l’hanno

accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da

sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1, 12-

13)16. Per cui, ciò che Davide chiese a Dio attraverso la famosa invocazione: «crea in me, o Dio, un

cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Sal 51,12), Dio lo ha concesso, lo ha reso possibile in

Cristo Gesù.

Primo compito del pastore, quindi, è donare Cristo all’uomo. Cristo opera, nello Spirito Santo,

la creazione del cuore nuovo che permetterà all’uomo – una volta assunto volontariamente, e

liberamente – di poter vivere nella fedeltà l’amore di Dio, fedeltà che inevitabilmente si

14 FRANCESCO, Esort. Ap. Post-Sinodale, Amoris laetitia, 1 aprile 2016, in AAS, 108 (2016), n. 73, d’ora in poi

così abbreviata, AL. 15 «Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel

nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3, 18). 16 «Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo

realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Chiunque è stato generato da Dio non

commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio. In questo si

distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il

suo fratello» (1Gv 3,1.9-10).

ANTONIO COZZOLINO

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concretizzerà nell’osservanza dei comandamenti e del Vangelo. Amoris laetitia sul punto così si

esprime:

«da Cristo attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia necessaria per

testimoniare l’amore di Dio e vivere la vita di comunione. Il Vangelo della famiglia attraversa la

storia del mondo sin dalla creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen

1,26-27) fino al compimento del mistero dell’Alleanza in Cristo alla fine dei secoli con le nozze

dell’Agnello (cfr. Ap 19,9)»17.

Non a caso San Giovanni nella sua lettera afferma a chiare lettere che:

«chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato,

ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando

amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l'amore di Dio,

nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato

generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E

chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?» (1 Gv 5,1-5).

Lavoro del pastore, quindi, è quello di formare in ogni uomo il cuore nuovo. Far rinascere da

acqua e Spirito Santo ogni uomo18. Questo è un comando esplicito di Cristo consegnato alla Chiesa,

e, in special modo, ai pastori: «andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome

del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho

comandato» (Mt 28, 19-20).

La creazione del “cuore nuovo”, però, non deve e non può essere vista come un atto

unidirezionale di Cristo. In Cristo il dono è concesso, ma al dono si accede mediante la conversione

e la fede in Lui. Riprendendo come modello, quanto accaduto a Davide, bisogna affermare che, se è

vero che il perdono non è per merito, ma solo per amore, per misericordia, per pietà, allora è vero

anche che, Dio lo elargisce soltanto a chi riconosce il suo peccato e chiede umilmente perdono;

riconoscere il proprio peccato e bussare al cuore di Dio per ottenerne il perdono è l’inizio della

salvezza. Il peccato si riconosce, del peccato ci si pente, per il peccato si chiede perdono: questa è la

17 AL, n. 63. 18 «La comunione tra Dio e gli uomini trova il suo compimento definitivo in Gesù Cristo, lo Sposo che ama e si

dona come Salvatore dell’umanità, unendola a Sé come suo corpo. Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la

verità del «principio» (cfr. Gen 2,24; Mt 19,5) e, liberando l’uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di

realizzarla interamente. Questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d’amore che il Verbo di Dio fa

all’umanità assumendo la natura umana, e nel sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla Croce per la sua Sposa, la

Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della

donna, fin dalla loro creazione (cfr. Ef 5,32s); il matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed

eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo. Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la

donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente

ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la

carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce». GIOVANNI PAOLO II, Esort. Ap., Familiaris consortio, 22 novembre

1981, in AAS, 74 (1982), n.13; d’ora in poi FC.

ANTONIO COZZOLINO

10

retta via per la sua remissione. Se una di queste tre condizioni viene meno, l’uomo rimane con il suo

peccato nell’anima, nella coscienza, nello spirito, nel corpo19.

La domanda che bisogna porsi, però, e che ci apre al compito primo dei pastori, ossia

l’annuncio, è: qual è la via da percorrere affinché l’uomo si senta trafiggere il cuore e comprenda il

suo stato di peccato? In altri termini, chi, o cosa, ha permesso a Davide di riconoscere il suo

peccato?20 Il profeta. Il profeta è voce di Dio nella Storia. Compito del pastore e della pastorale è

quella di annunciare a tutti le verità del Vangelo, offrendo ad ogni uomo l’invito alla conversione.

Nell’antico Testamento e fino a Giovanni il Battista, quando i profeti invitano l’uomo a lavarsi,

purificarsi, togliere il male dalla vista del loro Dio e Signore, intendevano precisamente queste

quattro azioni, svolte in necessaria sequenza: conoscenza, pentimento, richiesta di perdono,

proponimento di una vita nella fedeltà alla Parola21. Si può ricordare come Davide non senta il peso

per aver ucciso un uomo, né perché ha commesso adulterio con una donna, né perché ha fatto

uccidere altre persone per coprire la sua colpa: finezza e sensibilità spirituale di Davide sono tutte

racchiuse in una frase: «Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io

l’ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio». Lui ha peccato contro il suo

Dio. Lui ha offeso il suo Signore. Lui ha rinnegato colui che lo ha innalzato e fatto. Lui ha

oltraggiato il suo unico e solo benefattore. Lui si è scagliato contro l’Autore di ogni suo bene. Lui

ha calpestato il suo Dio. Lo ha cancellato dalla sua vita22.

Davide non si misura con gli uomini, ma con Dio, con il suo Signore. Questa finezza è

scomparsa dal nostro mondo. Oggi, tempo in cui, nulla più si vede dinanzi a Dio, davanti alla sua

divina ed eterna maestà, gloria, volontà, onore, rispetto, santità, noi non abbiamo più alcuna

possibilità di evitare il peccato. Quando si perde l’unico vero riferimento che è l’offesa arrecata al

Signore, si cade in quella atrofia spirituale per cui tutto diviene indifferente, senza alcuna gravità.

Senza l’esplicita visione dell’offesa arrecata a Dio – che dona la vera gravità di ogni nostro peccato

ogni trasgressione, ogni violazione della sua santa legge –, miseramente, si cade di colpa in colpa e,

di male in male senza più alcun freno. Ogni delitto e ogni nefandezza si possono commettere. Anzi,

tolto Dio dagli occhi, dal cuore, dalla coscienza, lo stesso male è dichiarato bene. Ancora, vi sono

quelli che lottano perché il male morale sia dichiarato bene legale. Bene legale è l’aborto, il

divorzio, lo sposalizio tra persone dello stesso sesso, lo scioglimento di ogni vincolo nel

matrimonio, il matrimonio a tempo, l’eutanasia. Molti già si sono fatta la loro legge e hanno

19 Cf. N. ROTUNDO, Dalla paura al peccato. Breve analisi scritturistica in chiave teologico-morale, in N.

ROTUNDO (a cura di), Teologi in concerto. Scritti in onore di Monsignor Costantino Di Bruno nel suo 70° genetliaco,

Assisi, 2017, 93-146. 20 Cf. A. COZZOLINO, Il dovere/diritto dei sacri pastori di discernere la fragilità, in TRIBUNALE ECCLESIASTICO

INTERDIOCESANO PARTENOPEO E DI APPELLO (a cura di), Iustitia Pro Salute Animarum, Atti e Studi, Napoli, 2018, 96. 21 Cf. Is 1,11-20. 22 Cf. N. ROTUNDO, Dalla paura al peccato. Breve analisi scritturistica in chiave teologico-morale, 98-100.

ANTONIO COZZOLINO

11

dichiarato bene ogni forma di male, anche quella più mostruosa. Quella società che smarrisce la

verità di Dio, all’istante, perde anche la verità dell’uomo: essa sarà tutta governata dalla falsità.

Quando si perde Dio da una sola coscienza, la terra si oscura di moralità e di verità. Dovremmo

pensarci.

Compito di rimettere Dio, il vero Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo in ogni cuore è

missione e mandato precipuo dei pastori mossi e guidati dallo Spirito Santo. Se anche i pastori – i

ministri ordinati – perdono il riferimento a Cristo, unica via che conduce al Padre, essi all’istante

diventano ladri, mercenari e briganti23, lo Spirito Santo non li guiderà più e la loro pastorale

risulterà un imparaticcio umano: in questo modo, si ridurranno – alla stregua di altre organizzazioni

sociali o filantropiche – a farsi promotori di un bene umano, corporale, ma non integrale e

spirituale. Non è certo questo lo specifico della missione ecclesiale24!

Riassumendo, il problema della pastorale, legato al sacramento del Matrimonio, risiede in

radice negli altri sacramenti: Battesimo25, Cresima, Penitenza ed Eucaristia. Questi sacramenti sono

previi al matrimonio, e, affinché si sviluppi fruttuosamente la Grazia di questo sacramento si deve

aver fatto fruttificare la Grazia dei precedenti sacramenti, in un cammino di autentica fede. È su

questi sacramenti che si dovrebbe lavorare prima del matrimonio, perché, se si celebra il

matrimonio, ma non si vive il proprio battesimo; … se ci si sposa, ma non si vive la cresima; … se

si è sposati e non ci si accosta al sacramento della penitenza; … se si è sposati e si sta lontano

dall’Eucaristia, il matrimonio-sacramento mai potrà viversi e realizzarsi secondo verità26. Altre

soluzioni pastorali non vi sono se non si vuole mettere in discussione la fede in Cristo Gesù e nel

suo Vangelo. Il problema della maggior parte dei matrimoni – attenzione! – “falliti”, non nulli, è

solo una conseguenza. Manca il soggetto cristiano che si sposa. Il cuore è di pietra e i suoi frutti

23 Cf. G. CARRABETTA, Il Presbitero. La misericordia di Cristo tra gli uomini, Siena, 2016, in part. 37-77. 24 San Giovanni Paolo II in un Messaggio per la Giornata Mondiale Missionaria, commentando il “Padre

nostro” e richiamandosi alla Redemptoris Missio (Lett. Enc., 7 dicembre 1990), scriveva a proposito dell’invocazione

“dacci oggi il nostro pane quotidiano”: «La comunità cristiana è chiamata a cooperare allo sviluppo e alla pace con

opere di promozione umana, con istituzioni educative e formative al servizio dei giovani, con la costante denuncia delle

oppressioni e delle ingiustizie di ogni genere. Lo specifico apporto della Chiesa è però l’annuncio del Vangelo, la

formazione cristiana dei singoli, delle famiglie, delle comunità, essendo essa ben conscia che la sua missione «non è di

operare direttamente sul piano economico o tecnico o politico o di dare un contributo materiale allo sviluppo, ma

consiste essenzialmente nell’offrire ai popoli non un “avere di più”, ma un “essere di più”, risvegliando le coscienze col

Vangelo. L’autentico sviluppo umano deve affondare le sue radici in un’evangelizzazione sempre più profonda»

(Redemptoris Missio, n. 58). GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, 23 maggio 1999, §

5, consultabile in http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/messages/missions/documents/hf_jp-

ii_mes_25051999_world-day-for-missions-1999.html . 25 «Infatti, mediante il battesimo, l’uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella Nuova ed Eterna

Alleanza, nell’Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione di questo indistruttibile inserimento che

l’intima comunità di vita e di amore coniugale fondata dal Creatore (cfr. «Gaudium et Spes», 48), viene elevata ed

assunta nella carità sponsale del Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice». FC, n. 13. 26 Su questo tema invito a poter acquisire alcune osservazioni assai pertinenti e chiarificatrici di un teologo

esperto: C. DI BRUNO, Prefazione, in G. COMI (a cura di), La famiglia: verità di carta o verità di vita? Spunti di

riflessione dal Magistero di Benedetto XVI, Todi (PG), 2015, 7-21.

ANTONIO COZZOLINO

12

saranno secondo la carne e non secondo lo Spirito. Oggi vi è anche un’altra pericolosa deriva che,

qui, accenniamo solamente. È quella di considerare il matrimonio a tempo. Si vede il ricorso al

tribunale anche ecclesiastico come vera separazione. Lo stesso pontefice, preoccupato infatti di

come era stata presentata dai media internazionali la riforma, ha ribadito, di ritorno dal viaggio

apostolico a Cuba e negli Stati Uniti:

«questo documento, questo Motu Proprio facilita i processi nei tempi, ma non è un divorzio,

perché il matrimonio è indissolubile quando è sacramento, e questo la Chiesa non lo può

cambiare. È dottrina. È un sacramento indissolubile. Il procedimento legale è per provare che

quello che sembrava sacramento non era stato un sacramento»27.

In questo, neanche la legislazione civile più aiuta. Sempre e comunque si può ricorrere al

divorzio. Pertanto, il problema diviene tutto di esclusiva pertinenza della pastorale: come formare

un cristiano e condurlo ad essere vero cristiano. Dopo non si può fare nulla28. Mai l’illegittimo potrà

divenire legittimo. Ai ministri della Parola, ai pastori, l’obbligo di chiamare l’uomo alla

conversione al Vangelo e ad entrare, immergersi e rimanere nella Grazia, ossia quella forza divina

che permette al fedele di vivere tutta la parola del Signore Gesù. Non abbiamo altra potestà.

Desidero terminare questa parte dedicata al lavoro dei pastori con le stesse parole di papa Francesco

che, in Amoris laetitia, richiamano la necessità di legare il matrimonio agli altri sacramenti:

«la complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare richiedono

un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al

matrimonio. È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta

condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale. Riguardo a questa

necessità i Padri sinodali sono stati concordi nel sottolineare l’esigenza di un maggiore

coinvolgimento dell’intera comunità privilegiando la testimonianza delle stesse famiglie, oltre

che di un radicamento della preparazione al matrimonio nel cammino di iniziazione cristiana,

sottolineando il nesso del matrimonio con il battesimo e gli altri sacramenti. Si è parimenti

evidenziata la necessità di programmi specifici per la preparazione prossima al matrimonio che

siano vera esperienza di partecipazione alla vita ecclesiale e approfondiscano i diversi aspetti

della vita familiare. […] Interessa più la qualità che la quantità, e bisogna dare priorità – insieme

ad un rinnovato annuncio del kerygma – a quei contenuti che, trasmessi in modo attraente e

cordiale, li aiutino a impegnarsi in un percorso di tutta la vita «con animo grande e liberalità».

Si tratta di una sorta di “iniziazione” al sacramento del matrimonio che fornisca loro gli

elementi necessari per poterlo ricevere con le migliori disposizioni e iniziare con una certa

solidità la vita familiare. […]. Tanto la preparazione prossima quanto l’accompagnamento più

prolungato devono fare in modo che i fidanzati non vedano lo sposarsi come il termine del

cammino, ma che assumano il matrimonio come una vocazione che li lancia in avanti, con la

ferma e realistica decisione di attraversare insieme tutte le prove e i momenti difficili. La

pastorale prematrimoniale e la pastorale matrimoniale devono essere prima di tutto una

27 FRANCESCO, Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dagli Stati Uniti d’America, 27

settembre 2015, consultabile in https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september/documents/papa-

francesco_20150927_usa-conferenza-stampa.html . 28 «Solo aprendosi alla verità di Dio [...] è possibile comprendere, e realizzare nella concretezza della vita

anche coniugale e familiare, la verità dell’uomo quale suo figlio, rigenerato dal Battesimo [...]. Il rifiuto della proposta

divina, in effetti conduce ad uno squilibrio profondo in tutte le relazioni umane [...], inclusa quella matrimoniale».

BENEDETTO XVI, Discorso alla Rota Romana, 26 gennaio 2013, in AAS, 105 (2013), 2.

ANTONIO COZZOLINO

13

pastorale del vincolo, dove si apportino elementi che aiutino sia a maturare l’amore sia a

superare i momenti duri»29.

IL LAVORO DEL GIURISTA

Come già accennavo nelle premesse, il lavoro del giurista deve necessariamente far

riferimento alla legge e alle sue disposizioni. Tale dato oggettivo – legge e disposizioni – il giurista

lo riceve attraverso un atto pubblico e ufficiale, qual è la promulgazione di una legge, da parte del

Legislatore canonico. Tale atto è il risultato del primo compito del diritto che, nell’introduzione a

questo intervento, abbiamo definito ordinativo-assertivo. Questo compito vede impegnati esperti in

diritto e legislatore/i a tradurre in norma, ciò che la riflessione teologica ritiene aver maturato come

necessario e vincolante per la vita del fedele. Si pensi a tal proposito alla costituzione della

commissione di esperti, da parte di papa Francesco, del 27 agosto 2014, incaricata di studiare e

proporre un testo che riformasse il processo canonico delle nullità matrimoniali30.

Stando alla riforma vigente, tutto ha origine – persino l’input del processo, ossia il libello –

dalla controversa ‘indagine pregiudiziale’; controversa, perché pur essendo entrata in vigore la

normativa, ancora la maggior parte delle Diocesi stenta a comprenderla e attualizzarla.

Tale indagine ha come finalità ultima quella di aiutare i fedeli separati o divorziati, alla luce

della fede, a riflettere sulla loro condizione ed a verificare l’ipotesi di inoltrare richiesta di verifica

del proprio matrimonio al tribunale ecclesiastico31.

Per non correre il rischio di perderci e rimanere su un piano puramente concettuale e teorico,

richiameremo subito il dato oggettivo della norma vigente sul punto in esame, ossia, l’indagine

pregiudiziale o pastorale, e su questa rifletteremo, suggerendo, di volta in volta, indicazioni sulla

sua corretta applicazione. L’art. 2 delle Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità

matrimoniale, così recita:

«L’indagine pregiudiziale o pastorale, che accoglie nelle strutture parrocchiali o diocesane i

fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti

29 AL, nn. 206-211. 30 Cf. FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al Corso di Formazione promosso dalla Rota Romana sul nuovo

processo matrimoniale e sulla procedura super rato, 12 marzo 2016, in AAS, CVIII (2016-IV), 484-485. 31 Esigenza formalizzata nella Relazione del Sinodo dei Vescovi al Santo padre Francesco, riunito nella XIV

Assemblea Generale Ordinaria del 2015: «Sarà pertanto necessario mettere a disposizione delle persone separate o delle

coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà pure

accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale», consultabile in

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/10/24/0816/01825.html , n. 82.

ANTONIO COZZOLINO

14

della nullità del medesimo, è orientata a conoscere la loro condizione e a raccogliere elementi

utili per l’eventuale celebrazione del processo giudiziale, ordinario o più breve. Tale indagine si

svolgerà nell’ambito della pastorale matrimoniale diocesana unitaria».

Iniziamo con lo scomporre il testo dell’articolo ed a selezionare gli elementi di rilievo.

Subito, possiamo rintracciare come primo elemento – che corrisponde ad uno dei principi

cardine che, a mio avviso, hanno spinto tutta la Riforma di papa Francesco – la necessità

dell’‘accoglienza’. Accoglienza da riservare alle persone divorziate o divorziate risposate32. Per

comprendere la qualità di questa accoglienza33, bisogna andare alle parole stesse di papa Francesco

che, in Evangelii gaudium, così si esprime a riguardo:

«la Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte

dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra

sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità,

con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e

incoraggi a maturare nella vita cristiana. Benché suoni ovvio, l’accompagnamento spirituale

deve condurre sempre più verso Dio, in cui possiamo raggiungere la vera libertà»34.

Tale accoglienza, in ambito giuridico, non si deve tradurre soltanto come una virtù da

coltivare e vivere, ma deve essere intesa come una vera norma, in quanto, il legislatore ha stabilito,

codificato formalmente che, tali persone, tali fedeli, siano accolti in strutture35, parrocchiali o

diocesane, pensate e realizzate proprio per questo tipo di attività. Per tale accoglienza, vi è bisogno,

più che di tecnici, di giuristi36. Quest’ultimi, infatti, non devono difendere la lettera, ma lo spirito

della legge37, secondo quanto il papa stesso richiamava nel suo discorso a conclusione dei lavori

della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, il 24 ottobre 2015:

«i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee

ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa

32 I riferimenti magisteriali alla vicinanza che bisogna dare alle persone divorziate o divorziate risposate, si

moltiplicano negli ultimi decenni. Cf. AL, nn. 311-446, cap. VIII; CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Decreto

generale sul matrimonio canonico, in Notiziario CEI, 10/1990, 259 ss., n. 56; ID., Direttorio di pastorale familiare per

la Chiesa in Italia. Annunciare, celebrare, servire il “Vangelo della famiglia”, fondazione di religione “Santi

Francesco di Assisi e Caterina da Siena”, Roma, 1993, nn. 204-206; PONTIFICIO CONSIGLIO DE LEGUM TESTIBUS,

Istruzione, Dignitas Connubi, in “Communicationes”, 37 (2005), Città del Vaticano, 25 gennaio 2005, art. 113 §1. 33 La sola accoglienza fatta nello Spirito Santo può stravolgere la vita di una persona e ri-orientarla nella luce.

Si pensi all’accoglienza che Gesù riservava ai peccatori, un’accoglienza ricca di grazia, capace di suscitare in loro

ascolto, spirito di conversione, di pentimento e di riparazione. 34 EG, nn. 169-170. 35 Cf. M. J. ARROBA CONDE, La pastoral sudicia y la preparación de la causa en el Motu Proprio Mitis iudex

Dominus Iesus, in O. ORTEGA – M. ELENA (a cura di), Procesos de nulidad matrimonial tras la reforma del papa

Francisco, I ed., Madrid, 2016, 63-82. 36 «Come tutti gli strumenti ecclesiali, anche il diritto si può ritenere ispirato dallo Spirito. La fedeltà allo

Spirito esige senz’altro il rispetto del diritto, ma tale fedeltà sarà anche il criterio per applicarlo e, se necessario,

cambiarlo e riformarlo quando si dimostri inadeguato ai casi concreti». M.J. ARROBA CONDE, Diritto processuale

canonico, 6ͣ ed., Roma, 2006, 27. 37 Cf. G. BONI, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte

terza), consultabile in http://www.statoechiese.it/, Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica, 9 (2016),

57.

ANTONIO COZZOLINO

15

in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma

esaltare la grandezza del vero Dio»38.

Su questo punto bisogna sollevare una duplice questione: da una parte, il ritardo con cui molte

Diocesi si stanno muovendo al fine di creare tali strutture parrocchiali e diocesane preposte e pre-

disposte a tale accoglienza. Dall’altra, la necessità – espressa in Amoris laetitia al n. 244 – che, per

le strutture (ri)volte all’accoglienza di tali fedeli, non solo si formino persone (sia chierici che laici),

ma che, soprattutto, queste persone vengano, dai Vescovi, «consacrate in modo prioritario» a

siffatto servizio ecclesiale. In tal senso è anche l’indicazione che proviene dall’art. 8, §1 delle regole

procedurali:

«nelle diocesi che non hanno un proprio tribunale, il Vescovo si preoccupi di formare quanto

prima, anche mediante corsi di formazione permanente e continua, promossi dalle diocesi o dai

loro raggruppamenti e dalla Sede Apostolica in comunione di intenti, persone che possano

prestare la loro opera nel tribunale per le cause matrimoniali da costituirsi»39.

L’accoglienza è finalizzata – secondo elemento da rilevare – a:

1) conoscere la loro condizione;

2) raccogliere elementi utili per l’eventuale celebrazione del processo giudiziale, ordinario o

più breve.

Queste due azioni, ‘conoscere’ e ‘raccogliere’, segnano, a mio avviso, il confine tra pastorale

e diritto. Il conoscere, infatti, è ancora un momento prettamente pastorale, che introduce la necessità

di rilevare se vi siano elementi utili per un’eventuale celebrazione del processo giudiziale.

Quest’ultima valutazione può essere fatta soltanto, e sottolineo “soltanto”, da un “addetto ai lavori”,

licenziato o dottorato in Diritto canonico o da chi – come nel codice si usa definire – sia veramente

esperto in tale materia. Parroci e laici che, poco o nulla sanno sui capitoli di nullità e sugli schemi

probatori che la dottrina ha elaborato per verificarne l’esistenza/sussistenza, potrebbero finire

persino per scoraggiare tali persone. Anche la proposta di un primo approccio lasciato al solo

parroco, come avanzato da qualcuno che si limitasse, semplicemente, a verificare se i problemi del

matrimonio in esame sono sorti dopo lo stesso, personalmente, non mi convince40.

38 FRANCESCO, Discorso del Santo Padre Francesco a conclusione dei lavori della XIV assemblea generale

ordinaria del sinodo dei vescovi, 24 ottobre 2015, in

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151024_sinodo-

conclusione-lavori.html. 39 FRANCESCO, Litteræ Apostolicæ motu proprio datæ “Mitis Iudex Dominus Iesus”, 15 augustii 2015, in AAS,

CVII (2015-X), 946-970, qui 955; d’ora in poi, sarà così abbreviato MIDI. 40 «Per esempio potrebbe riferirsi in prima battuta al suo parroco o ad altro sacerdote conosciuto; questi

potrebbe dare un primo consiglio in base alle informazioni essenziali riferite dall’interessato. A questi sacerdoti si

potrebbe suggerire questo criterio basilare: se dal racconto delle persone è chiaro che il fallimento del matrimonio è

ANTONIO COZZOLINO

16

Oggi più che mai, bisogna riprendere e rispettare la verità secondo cui, non tutti possono fare

tutto: a ciascuno è bene che venga riconosciuta la propria competenza. Proprio per questo e,

rispettando le esigenze che vengono fuori dal MITIS e dagli apporti magisteriali – sulla questione

dell’accoglienza e consulenza tecnica da offrire a persone divorziate e, soprattutto, a quelle

divorziate risposate – mi sembra improponibile lasciare questo approccio a persone che, pur di

buona volontà, non possono sostenere l’onere di tale indagine:

«pensiamo (nei colloqui non solo con le parti ma anche coi possibili testi) alle facili maldestre

intromissioni e lesioni della riservatezza di quelle personalissime relazioni che si sviluppano nel

coniugio, alla violazione della privacy di dati ‘sensibili’, per evitare le quali (…) non basta

l’umanità o la discrezione di cristiani di buona volontà»41.

I fedeli, secondo le previsioni della legge, hanno il diritto ad una consulenza seria, fatta da

persone preparate e capaci di metterle a proprio agio. Non dimentichiamo come, con grande

difficoltà, tali fedeli si accostano alla “chiesa struttura” sentendosi, da se stesse e non

necessariamente da altri, spesso già giudicate e condannate in partenza. Vista la fragilità di certe

situazioni, un giudizio avventato e non informato, potrebbe determinare per sempre un

allontanamento del fedele, rischioso, se non addirittura dannoso per la salus dello stesso.

Ci troviamo, a questo punto, esattamente nel momento i cui la persona competente e dotata

della virtù, quasi codificata – tanta è l’attenzione del legislatore su tale aspetto – dell’accoglienza, è

chiamata a verificare ciò che, in gergo giuridico, viene chiamato fumus, cioè, il fumo. Il fumus boni

iuris42 è ciò che consente l’accesso al procedimento, accesso che, papa Francesco, in ossequio alla

Tradizione, ha voluto lasciare giudiziario, non consentendo la via amministrativa; questo perché

come lo stesso legislatore afferma, tutela di più e meglio il principio – dalla dottrina assunto come

assoluto – del sacro vincolo43. È necessario, rimanendo nella metafora, comprendere che il

fumus/’fumo’ non è ancora la ‘carne’; quest’ultima potrebbe, in sede processuale, anche non

riscontrarsi. Per cui al fedele bisogna far sapere che, seppure in questa fase previa potrebbe

avvenuto qualche anno dopo per motivi precisi e relativi a quel momento, mentre l’inizio del matrimonio avvenne in

modo normalissimo, non sembra esserci motivo per dubitare della validità del matrimonio. Se invece emerge che già

all’inizio c’era qualcosa di problematico, allora si può avviare la persona ad uno specialista in materia». E. ZANETTI,

L’indagine pregiudiziale o pastorale, il primo colloquio, la raccolta degli elementi utili e la redazione del libello, in

Prassi e sfide dopo l’entrata in vigore del M.p. Mitis Iudex Dominus Iesus e del Rescriptum ex audientia del 7 dicembre

2015, Città del Vaticano, 2018, 15-16. 41 G. BONI, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte terza),

57. 42 «Comunque sia, dall’indicazione dei fatti deve emergere il sufficiente “fumus boni iuris”, o meglio, non deve

emergere la sua palese inesistenza». M.J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Roma, 2006, 326. 43 «Ho fatto ciò, comunque, seguendo le orme dei miei Predecessori, i quali hanno voluto che le cause di nullità

del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa, non perché lo imponga la natura della cosa,

ma piuttosto lo esiga la necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo: e ciò è esattamente assicurato

dalle garanzie dell’ordine giudiziario». MIDI, 947.

ANTONIO COZZOLINO

17

intravedersi la possibilità di ottenere la declaratoria di nullità, non è detto che il processo,

necessariamente, termini con tale esito. Questo al fine di non indurre il fedele a facili e non sicure

speranze.

Si dà il caso anche che, non sia sempre possibile adire un processo giudiziale, ordinario o più

breve che sia. Ad esempio è il caso in cui manca del tutto il c.d. fumus boni iuris, in quanto, i

matrimoni potrebbero – e di fatto bisogna ammettere, a fronte di chi, oggi, afferma il contrario –

essere falliti successivamente al costituirsi dello stesso, per motivi del tutto estranei ai c.d. capitoli

di nullità matrimoniale. Questo è ciò che nelle premesse rilevavamo come problema prettamente

pastorale a cui il diritto non può, e non deve porvi rimedio, se non vuole sconfessare quanto papa

Francesco, facendosi espressione dell’episcopato mondiale, a più riprese dichiara circa

l’intenzionalità della riforma processuale, riforma volta a favorire, come afferma il proemio al

MIDI:

«non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità,

affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il

chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio»44.

In questa fase, è giusto ribadire come oggi si stia incorrendo anche in un altro pericolo,

ovverosia, quello che vede i fedeli, divorziati o divorziati risposati, decidere o pensare di poter

decidere da loro stessi, se il loro matrimonio sia valido o meno. Su tale punto si rimanda a quanto

già affermato in un altro convegno, tenutosi a Sant’Anastasia il 13 luglio scorso45 e che, qui,

riprendo solo in parte.

Resta per cui indiscutibile il principio che, chi deve decidere se una unione è illegittima,

invalida, nulla al momento della sua celebrazione canonica non sono i coniugi. Essi sono obbligati a

sottoporsi al giudizio della Chiesa che, oggi, emette il suo giudizio o, per la via episcopale46 o, per

44 Ivi, 959. 45 «Appare evidente che l’assenza di riferimenti certi ed oggettivi nella valutazione della validità/verità di un

sacramento, porterebbe nella Chiesa una situazione di incertezza destabilizzante. Se la criteriologia, per giudicare della

verità di un sacramento come del resto della verità o moralità di un’azione, fosse nel soggetto agente, […] sia l’impianto

sacramentale che quello giudiziale, cadrebbero in un solo istante. Non solo. Se un mafioso dovesse giudicare da se

stesso della delittuosità e immoralità dei suoi crimini, capite bene le conseguenze. Lo stesso dicasi per uno speculatore

finanziario, un truffatore, ecc. Se fosse possibile alla coscienza di giudicarsi da se stessa, non avrebbe senso la

mediazione della Chiesa sia in ordine al governo, sia in ordine al discernimento, sia in ordine all’annunzio, sia in ordine

al potere di “sciogliere e di legare”. Ancora, non avrebbe alcun senso la mediazione della giustizia. Non avrebbe più

senso nulla di ciò che insegniamo e amministriamo e non avremmo senso neppure noi come ministri e mediatori di

giustizia». A. COZZOLINO, Le incidenze del Mitis Iudex nel processo ordinario di dichiarazione della nullità

matrimoniale, in U.A.M.S.A (a cura di), Il processo di nullità matrimoniale nella riforma di Papa Francesco e gli

effetti nell’ordinamento giuridico interno. Profili sostanziali e processuali, Acerra (NA), 2017, 27-28. 46 «É il Vescovo diocesano che deve pronunziare la sentenza e tale competenza esclusiva non può essere

delegata ad un Tribunale diocesano o interdiocesano e ciò per le seguenti ragioni: a) per una ragione di ordine

teologico-giuridico sottesa alla riforma (che vuole proprio il Vescovo farsi personalmente segno della vicinanza della

giustizia ecclesiastica ai fedeli e garante contro possibili abusi); b) per una ragione di ordine sistematico, perché il

vaglio di un eventuale appello sarà rimesso comunque al Metropolita o al Decano della Rota Romana, e ciò non sarebbe

ANTONIO COZZOLINO

18

la via del tribunale. Ma è sempre la Chiesa che deve decidere attraverso quale via giungere

all’emanazione della sentenza o del giudizio. Vescovi e uomini incaricati del giudizio si dovranno

assumere dinanzi a Dio, per l’eternità, la responsabilità di una sentenza secondo verità accertata.

Spetta alla loro sapienza, accortezza, libertà di cuore e di mente, evitare di cadere nelle trappole

dell’inganno, della menzogna, della falsità, della superficialità, della compera e della vendita di una

sentenza47. Il loro discernimento dovrà essere solo il frutto di una indagine rigorosa per

l’accertamento della verità storica48.

Stando agli altri articoli del MITIS, dove esplicitamente si fa riferimento all’indagine

pastorale o pregiudiziale, è opportuno ancora riflettere sulla preoccupazione che, il legislatore

manifesta in relazione alla designazione delle persone deputate a tale indagine. L’art. 3 così recita:

«la stessa indagine sarà affidata a persone ritenute idonee dall’Ordinario del luogo, dotate di

competenze anche se non esclusivamente giuridico-canoniche. Tra di esse vi sono in primo

luogo il parroco proprio o quello che ha preparato i coniugi alla celebrazione delle nozze.

Questo compito di consulenza può essere affidato anche ad altri chierici, consacrati o laici

approvati dall’Ordinario del luogo»49.

possibile se la sentenza venisse emessa da un tribunale collegiale». TRIBUNALE APOSTOLICO DELLA ROTA ROMANA,

Sussidio applicativo del Motu pr. Mitis Iudex Dominus Iesus, Città del Vaticano, 2016, 40. 47 «La deontologia del giudice ha il suo criterio ispiratore nell’amore per la verità. Egli dunque deve essere

innanzitutto convinto che la verità esiste. Occorre perciò cercarla con desiderio autentico di conoscerla, malgrado tutti

gli inconvenienti che da tale conoscenza possano derivare. Bisogna resistere alla paura della verità, che a volte può

nascere dal timore di urtare le persone. La verità, che è Cristo stesso (cfr Gv 8, 32 e 36), ci libera da ogni forma di

compromesso con le menzogne interessate. Il giudice che veramente agisce da giudice, cioè con giustizia, non si lascia

condizionare né da sentimenti di falsa compassione per le persone, né da falsi modelli di pensiero, anche se diffusi

nell’ambiente. Egli sa che le sentenze ingiuste non costituiscono mai una vera soluzione pastorale, e che il giudizio di

Dio sul proprio agire è ciò che conta per l’eternità. Il giudice deve poi attenersi alle leggi canoniche, rettamente

interpretate. Egli perciò non deve mai perdere di vista l’intrinseca connessione delle norme giuridiche con la dottrina

della Chiesa. Qualche volta, infatti, si pretende di separare le leggi della Chiesa dagli insegnamenti magisteriali, come

se appartenessero a due sfere distinte, di cui la prima sarebbe l’unica ad avere forza giuridicamente vincolante, mentre

la seconda avrebbe un valore meramente orientativo od esortativo. Una simile impostazione rivela in fondo una

mentalità positivistica, che è in contrasto con la migliore tradizione giuridica classica e cristiana sul diritto. In realtà,

l’interpretazione autentica della parola di Dio, operata dal magistero della Chiesa (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. sulla

divina Rivelazione Dei Verbum, 10 § 2), ha valore giuridico nella misura in cui riguarda l’ambito del diritto, senza aver

bisogno di nessun ulteriore passaggio formale per diventare giuridicamente e moralmente vincolante. Per una sana

ermeneutica giuridica è poi indispensabile cogliere l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, collocando

organicamente ogni affermazione nell’alveo della tradizione. In questo modo si potrà rifuggire sia da interpretazioni

selettive e distorte, sia da critiche sterili a singoli passi». GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Rota romana, 29 gennaio

2005, in AAS, XCVII (2005), n. 5-6, 164-165. 48 «Il grandioso edificio della disciplina canonistica del matrimonio, frutto di una straordinaria e raffinatissima

riflessione bi millenaria, non s’è cristallizzato in un ferreo e gelido arroccamento a baluardo di un istituto astratto, ma ha

tradotto l’incubazione e la tutela dell’identità vera del matrimonio contro influenze esterne che potessero alterarlo e

inquinarlo. Del pari, ma su altro versante, solo chi è edotto delle (pur non eccessive ma essenziali) formalità processuali

è in grado di condurre una procedura che sia rispettosa del diritto di difesa delle parti e che faccia pervenire alla verità,

sovente attingibile con difficoltà». G. BONI, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi,

criticità, dubbi (parte prima), 67. 49 MIDI, 967.

ANTONIO COZZOLINO

19

Anche l’art. 3 necessita di alcune chiarificazioni per essere inteso correttamente. Innanzitutto,

va sottolineato il compito degli Ordinari del luogo di affidare a persone ritenute idonee, l’indagine

in questione. La scelta delle persone, pertanto, rimane di competenza degli Ordinari del luogo; il

principio, però, a cui andrebbe legata la scelta è, a mio avviso, quello formulato formalmente nel n.

61 del direttorio Apostolorum successores50. Il principio riguarda il dovere che incombe sui Vescovi

nel conferimento degli incarichi, ossia, quello della persona giusta al posto giusto.

«Nel conferire gli uffici all’interno della diocesi, il Vescovo sia guidato unicamente da criteri

soprannaturali e dal solo bene pastorale della Chiesa particolare. Perciò egli guardi anzitutto al

bene delle anime, rispetti la dignità delle persone e ne utilizzi le capacità, nel modo più idoneo e

utile possibile, a servizio della comunità, assegnando sempre la persona giusta al posto giusto».

Collegando il principio della persona giusta al posto giusto, espresso in Apostolorum

successores, al n. 244 di Amoris laetitia che così recita:

«Perciò, “l’attuazione di questi documenti (si riferisce ai due motu propri con cui il processo è

stato riformato) costituisce una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a

giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli

alla giustizia. Ciò implica la preparazione di un personale sufficiente, composto di chierici e

laici, che si consacri in modo prioritario a questo servizio ecclesiale. Sarà pertanto necessario

mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione,

di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà pure accogliere le persone

in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale (cfr Mitis Iudex, art. 2-3)”»51

… si avrà, come logica interpretativa, – rispetto alle competenze che dovrebbero avere le

persone ritenute idonee dagli Ordinari del Luogo, da collegare mutatis mutandis – una logica già

presente nel codice, che va dalla piena competenza verificata e dichiarata dalle Università

Pontificie, con il più alto grado accademico, il dottorato, per passare alla licenza e, per ragioni di

necessità, giungere a chi risultasse almeno «vere peritus» in tale materia52. È impensabile, infatti, –

diversamente da quanto abbiamo fatto – interpretare il testo di questo art. 3, permettendo a persone

totalmente ignare della materia (sovente anche sacerdoti), di occuparsi dell’indagine pregiudiziale o

pastorale finalizzata a conoscere ed a raccogliere elementi utili per un’eventuale celebrazione del

processo giudiziale53. Molti sono i canonisti che richiamano tale necessità: «servono persone

50 CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi “Apostolorum

Successores”, 61. 51AL, n. 244. 52 Cf. M. DEL POZZO, L’organizzazione giudiziaria ecclesiastica alla luce del m. p. “Mitis iudex”, in Stato,

Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 36/2015, 23 novembre 2015, 23; cf. can.

379, §1, n. 5 CIC. 53 «Riteniamo comunque che nella mens Legislatoris il ruolo consultivo pregiudiziale costituisca un profilo

assai caratterizzante dello spirito e della logica del nuovo processo matrimoniale e non basta che sia assicurato in

maniera un po’ approsimativa e sbrigativa dai parroci» M. DEL POZZO, L’organizzazione giudiziaria ecclesiastica alla

luce del m. p. “Mitis iudex”, 24.

ANTONIO COZZOLINO

20

preparate o con qualche elemento certo di diritto matrimoniale canonico. Gli operatori infatti vanno

adeguatamente formati»54.

Ancora, su tale questione è giusto – al fine di far emergere la necessità, più che l’opportunità,

che l’indagine pregiudiziale sia affidata a persone realmente competenti – richiamare la distinzione,

chiara in dottrina, tra ‘diritto’ e ‘Grazia’. Al processo giudiziale di dichiarazione di nullità, nel caso

vi siano gli elementi (per intenderci … il fumus di cui si parlava precedentemente), i fedeli hanno

diritto55. Al diritto, corrisponde un dovere da parte della Chiesa, per cui, bisognerà adeguarsi a

rispondere a tali diritti assumendosene la responsabilità.

Ad avvalorare la tesi proposta, secondo cui soltanto un competente in materia possa assolvere

al compito stabilito da Papa Francesco, rispetto alla realizzazione dell’indagine pastorale o

pregiudiziale, resta il fatto che questa debba terminare con la redazione del libello56. Il libello è la

prima azione formale del processo; esso ne costituisce l’impulso iniziale capace di mettere in moto

la macchina processuale57. La cura di quest’atto/domanda è di particolare importanza: la sua

corretta redazione consente, spesso, un sereno prosieguo della causa58. Per tale redazione, specie per

il processo più breve, si palesa l’opportunità, se non la necessità, di un aiuto competente quale è

quello di un avvocato59.

Altro elemento degno di nota, che gli Ordinari del luogo devono sempre ricordare, è la

inopportunità che, chi abbia partecipato prima del processo all’indagine pregiudiziale funga poi da

giudice, assessore o difensore del vincolo nella causa stessa60. Se questa previsione si associa al

fatto che i canonisti sono veramente pochi, ben si comprende come sia necessario che più Diocesi

stiano insieme per fornire non solo una competente consulenza, ma anche per assicurare la giusta

tutela al vincolo matrimoniale che, nella Chiesa rimane un bene pubblico e non privato dei fedeli e

54 A. ZAMBON, Il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus. Prima presentazione. Testo aggiornato al 09

novembre 2015, consultabile in http://www.ascait.org/sites/default/files/MID_Presentazione_2015-11-09%20(1).pdf, 6. 55 «Si ricorda, infatti, che il diritto va sempre distinto e preferito alla grazia, in quanto, esso è teso al

ristabilimento pieno della dignità del fedele. Il diritto non è una “grazia”: la grazia la si chiede, il diritto lo si reclama».

A. COZZOLINO, Le incidenze del Mitis Iudex nel processo ordinario di dichiarazione della nullità matrimoniale, 56. 56 Per uno schema esemplificativo si veda: E. ZANETTI, L’indagine pregiudiziale o pastorale, il primo

colloquio, la raccolta degli elementi utili e la redazione del libello, 19. 57 Cf. A. ZAMBON, La presentazione del libello, in REDAZIONE DI QUADERNI DI DIRITTO ECCLESIALE (a cura di),

La riforma dei processi matrimoniali di Papa Francesco, Milano, 2016, 29-46. 58 Sulla difficoltà di esaminare il “fumus” cf. A. STANCKIEWICZ, De libelli reiectione eiusque impugnatione in

causis matrimonialibus, in Quaderni di studio rotale, 2 (1987), 75. 59 Cf. G. BONI, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi (parte

prima), 61. 60 Cf. A. ZAMBON, Il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus. Prima presentazione. Testo aggiornato al 09

novembre 2015, 6, nota 9.

ANTONIO COZZOLINO

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che, quindi, la consulenza non finisca per impattare sulla terzietà, imparzialità dei giudici istruttori,

dei difensori del vincolo, degli assessori.

CONCLUSIONE

Concludendo, penso si possa ritenere che, le ripetute e frequenti crisi matrimoniali, rivelino

qualcosa di più importante e profondo, ovvero, una crisi generalizzata delle coscienze per mancanza

di un’adeguata formazione. Nel libro del profeta Osea si legge una lamentela del Signore che viene

fatta risuonare con queste parole: «perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu

rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote [Perit populus meus, eo quod non habuerit

scientiam. Quia tu scientiam reppulisti, repellam te, ne sacerdotio fungaris mihi]» (Os 4,6).

Se questo principio rivelato rimane vero, – come io credo – le crisi matrimoniali sono un

segno preoccupante di una crisi identitaria e di fede che, nel gregge, è determinata dall’assenza di

pastori secondo il cuore di Cristo, che siano modelli per il gregge e prima ancora imitatori di Cristo

(cf. 1Pt 5,1-4). Non penso di sbagliare – per il fatto che deduco a partire da un testo biblico e da una

solida tradizione patristica – se affermo che una crisi identitaria più radicale stia determinando tutte

le altre crisi nel corpo ecclesiale: quella dei pastori. Il gregge, infatti, non può divenire tale se non

nell’ascolto del pastore e nell’adesione al cammino che egli stesso, con la propria vita, è chiamato a

tracciare. Ogni pastore, è chiamato a passare per Cristo, porta delle pecore61. Solo così potrà, con il

dono della sua vita in Cristo per Cristo e con Cristo, nutrire il gregge62; solo in questa grazia lui non

si trasformerà in un mercenario, in un ladro e un brigante63.

Nella pastorale odierna, di tutto ci si occupa oggi, fuorché di perpetuare l’opera di Cristo,

ossia, la cristificazione dell’uomo, mediante il dono della Parola e della Grazia. La pastorale oggi è

fatta senza, e spesso, contro la parola di Cristo. Modello del pastore è solo uno: Cristo64. Per cui,

61 «La sofferenza o la morte delle pecore, quasi sempre, è la conseguenza del malessere o del non essere del

pastore. Se, infatti, si scorge che il gregge non è da Cristo, è chiaro, è evidente che il pastore non sarà da Cristo: il

gregge è dal suo pastore. Risolto il problema del pastore, anche il problema del gregge quasi sempre si risolve», G.

CARRABETTA, Il Presbitero. La misericordia di Cristo tra gli uomini, 44-45. 62 «La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente vincolata all’ordine episcopale, partecipa della autorità

con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo. Per questo motivo il sacerdozio dei presbiteri,

pur presupponendo i sacramenti dell’iniziazione cristiana, viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i

presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo

sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, capo della Chiesa». CONCILIUM ŒCUMENICUM VATICANUM II,

Decretum de Presbyterorum ministerio et vita, Presbyterorum ordinis, 7 decembris 1965, in AAS, LVIII (1966), 991-

1024, n. 2, 992. 63 Cf. Gv 10,1-16; G. CARRABETTA, Il Presbitero. La misericordia di Cristo tra gli uomini, 37-51, qui 45. 64 «Infatti Cristo diede agli apostoli ed ai loro successori il mandato e la potestà di ammaestrare tutte le genti,

di santificare gli uomini nella verità e di guidarli. Perciò i vescovi, per virtù dello Spirito Santo che è stato loro dato,

sono divenuti veri ed autentici maestri della fede, pontefici e pastori». CONCILIUM ŒCUMENICUM VATICANUM II,

ANTONIO COZZOLINO

22

come Cristo ha davanti a sé un unico modello, il Padre – per assolvere, in termini di redenzione, la

Sua missione di Pastore universale –, allo stesso modo65, i pastori dovranno avere in Cristo Gesù e

la sua Parola, l’unica modalità di attuazione del loro ministero66.

Il primo compito della pastorale, ancor prima di santificare e governare, è quello di

annunciare67: «andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura»68. Il fine

dell’annuncio è la nascita, lo sviluppo e la maturazione della fede. Tutto è dalla fede, per cui, tutto è

dall’annuncio profetico. Il ministero profetico, in altre parole, potremmo definirlo come il ministero

del discernimento. Come la vera ed unica profezia viene da Dio in Cristo per mezzo dello Spirito,

così il vero discernimento deve scendere da Dio per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Altri tipi di

discernimenti, la Chiesa non li conosce e non li può conoscere, perché la separazione del bene dal

male, solo Dio la può operare. Se su tale discernimento l’uomo si arroga delle competenze non può

che andare incontro, così come Adamo, alla morte.

La profezia, l’annuncio della parola è la vita della Chiesa. La Chiesa è dalla profezia, dalla

Parola di Dio. Essa non può pensarsi o immaginarsi da sé. Può solo accogliere ciò che Cristo

Signore ha fatto di lei: suo Corpo mistico, la luce del mondo e il sale della terra. Ma se il sale

perdesse il suo sapore? Se solo un errore si introducesse nel ministero profetico si creerebbe

all’istante un buco nero nell’ambito della pastorale che, poco alla volta, fagociterebbe tutta la sua

luce. Solo e sempre Dio può decidere cosa è bene e cosa è male. La Chiesa non ha alcun potere di

discernimento in tal senso. Essa dipende dal Signore che, la deve illuminare con la luce del suo

Spirito, giammai a contraddire la verità, ma piuttosto, a comprenderla tutt’intera. Importante,

pertanto, comprendere il delicato compito della pastorale: quello di discernere69 mai da se stessa,

ma sempre dallo Spirito Santo70.

Decretum de pastorali Episcoporum munere in Ecclesia, Christus Dominus, 28 octobris 1965, in AAS, LVIII (1966),

673-701, prooemium, n. 2, 674. 65 Cf. Gv 20,21. 66 «Cristo Signore, Figlio di Dio vivo, è venuto per salvare il suo popolo dai peccati e per santificare tutti gli

uomini; com’egli era stato mandato dal Padre, così mandò i suoi apostoli e li santificò dando loro lo Spirito Santo,

affinché, a loro volta, glorificassero il Padre sopra la terra e salvassero gli uomini, «per l’edificazione del suo corpo» (Ef

4,12), che è la Chiesa». CONCILIUM ŒCUMENICUM VATICANUM II, Decretum de pastorali Episcoporum munere in

Ecclesia, Christus Dominus, prooemium, n. 1, 673. 67 «La Chiesa esiste per evangelizzare. Questa non è una delle tante possibili letture della vita della Chiesa che

si possono dare: si tratta invece di una evidenza che emerge dalla stessa nascita della Chiesa e inerisce il suo mistero al

punto tale che [...] se, per assurdo, la Chiesa smettesse di evangelizzare, non sarebbe più Chiesa». S. SEGOLONI RUTA,

Chiesa e sinodalità: indagine sulla struttura ecclesiale a partire dal Vaticano II, in Convivium Assisiense, XIV (2012),

2, 65. 68 Mc 16,15. 69 Antropologicamente parlando, l’atto di ‘discernere’, trae la sua ragion e forza d’essere dalla ‘conoscenza’

della persona che «in tutto il suo agire umano, agire tutto cosciente e libero, […] pone in gioco la sua intelligenza, e la

sua decisione libera della sua volontà libera». T. J. URRESTI, De la Teologίa a la Canonistίca, Salamanca, 1993, 161-

162. 70 «Come per quanto riguarda il contenuto della fede e la lettura della Sacra Scrittura il cristiano deve essere

guidato dalla regula fidei, [...], allo stesso modo per quanto riguarda la disciplina bisogna orientarsi alla regola

ANTONIO COZZOLINO

23

L’attività principale della pastorale è proprio quella di discernere, ossia, separare: la volontà

di Dio dalla volontà dell’uomo, le tenebre dalla luce, il peccato dalla grazia, il vizio dalla virtù ecc.

Il compito della pastorale, infatti, non è mai stato quello di giudicare, ma di illuminare. Il giudizio è

sempre e solo compito del Signore. La misericordia, tanto cara alla Chiesa, non è altro che il dono

all’uomo della Verità e della Grazia. Tale dono è Cristo stesso come dice san Giovanni nel prologo:

«dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo

di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1, 16-17). Mai un dono può

essere dato senza l’altro, perché mai Cristo può essere diviso. La salvezza sta nell’accogliere tutto

Cristo, non nell’accogliere ciò che voglio, o peggio, ciò che mi conviene. La Parola di Cristo sul

matrimonio è chiara, e, chiara deve essere anche la voce della Chiesa. L’adulterio è sempre

adulterio. L’uomo non troverà mai la salvezza senza il dono della verità.

Il capitolo ottavo di Amoris laetitia si apre con l’affermazione di due verità presenti già nella

Sacra Rivelazione: da una parte, la conoscenza che ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la

volontà di Dio71; dall’altra, che l’uomo è un essere fragile. A queste due affermazioni bisogna

aggiungerne una terza, profetizzata nell’Antico Testamento e realizzata pienamente nel Nuovo, in

Cristo Gesù. L’affermazione riguarda il dono della Grazia72 scaturita dal sacrificio di Cristo sulla

Croce73. Tale Grazia, se accolta nello spirito di conversione, permette all’uomo fragile74, dal cuore

apostolica trasmessa dalla Tradizione della Chiesa, la regula ecclesiastica [...]». P. ERDŐ, Teologia del Diritto

canonico. Un approccio storico-istituzionale, Torino, 1996, 11. 71 «Non commettere adulterio. Non desiderare la moglie del tuo prossimo» (Es 20,14.17); «Avete inteso che fu

detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio

con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28); «ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la

espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio» (Mt 5,32); «Perciò io vi dico: Chiunque

ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio» (Mt 19,9); «Il

matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio» (Eb

13,4). 72 «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,16-17); «Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo

capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati» (At 5,31). 73 «San Paolo benedice Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, per i frutti abbondanti della redenzione

che il Figlio ha operato per noi. Si badi bene. San Paolo non parla dei frutti raccolti. Essi possono essere anche pochi,

scarsi, nulli. Parla invece dei frutti offerti all’uomo. Essi sono straordinariamente grandi. Se Dio volesse, non ne

potrebbe pensare per noi di più grandi. Lui, Dio, tutto ha fatto per noi. Tutto ci ha donato. La redenzione è divinamente

perfetta. Ad essa nulla manca. Ora la responsabilità è tutta della Chiesa e dell’uomo. È della Chiesa se non la rivela,

l’annunzia, la manifesta, la predica ad ogni uomo. La redenzione di Cristo va predicata. È dell’uomo, se la rifiuta, la

rinnega, la riceve e poi si stanca di camminare in essa, fino al raggiungimento della pienezza della verità e della carità

nel regno eterno del Padre. Questa verità va gridata oggi alla Chiesa, tentata perché si adegui al mondo e non predichi

più la redenzione. Va gridata anche all’uomo. La salvezza è nell’accoglienza della redenzione così come il Padre dei

cieli l’ha pensata e realizzata per noi». C. DI BRUNO, 2016.BVM.IMM.28.11.2016.doc, consultabile in

http://www.homilyvoice.it/public/Novita/fm_pbcdb_free.php, 136. 74 «Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio

e non da noi» (2 Cor 4,7); «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13).

ANTONIO COZZOLINO

24

di pietra75, da infedele76, di trasformarsi in un uomo forte77, dal cuore di carne78, fedele79. La Grazia

corrisponde all’aiuto che Dio Padre ha voluto concedere all’uomo, in Gesù, per mezzo dello Spirito

Santo. Di tale Grazia è mediatrice e dispensatrice ordinaria la Chiesa attraverso la sua azione

pastorale. Per cui, come Cristo, così anche la Chiesa deve andare in mezzo al mondo con questa

triplice verità: 1) la volontà di Dio; 2) la conoscenza della condizione umana di fragilità; 3) il dono

della Grazia che rende l’uomo forte e capace di vivere il Vangelo.

“Amoris Laetitia” al numero 293 afferma che:

«Coloro “che fanno parte della Chiesa hanno bisogno di un’attenzione pastorale misericordiosa

e incoraggiante”. Infatti, ai Pastori compete non solo la promozione del matrimonio cristiano,

ma anche «il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà»,

per «entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro

vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua

pienezza»80.

L’azione pastorale in ordine al matrimonio, quindi, risulta duplice: da un lato, la promozione

del matrimonio attraverso la creazione dell’uomo nuovo (Battesimo, Confermazione, Eucarestia e

Confessione); dall’altro, il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più

questa realtà81.

75 «Darò loro un cuore nuovo, uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di

pietra, darò loro un cuore di carne» (Ez 11,19). 76 «Non siano come i loro padri, generazione ribelle e ostinata, generazione dal cuore incostante e dallo spirito

infedele a Dio» (Sal 78,8); «Ma come una donna è infedele al suo amante, così voi, casa di Israele, siete stati infedeli a

me. Oracolo del Signore» (Ger 3,20). 77 «Poiché dice il Signore Dio, il Santo di Israele: “Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza,

nell’abbandono confidente sta la vostra forza”» (Is 30,15). 78 «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò

un cuore di carne» (Ez 36,26). 79 «Il Signore rispose: “Qual è dunque l’amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua

servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo

lavoro» (Lc 12,42-43); «Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra

dieci città» (Lc 19,17); «Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1 Cor 4,2). 80 AL, n. 293. 81 «Nel matrimonio cristiano, essendo i due soggetti l’uno responsabile dell’altro, l’uno la vita dell’altro, l’uno

dalla vita dell’altro, è necessario che la nuova vita ricevuta nel Battesimo e nella Cresima cresca senza alcuna

interruzione. Ma essa esiste al momento della celebrazione? Se il cristiano è un cristiano di carta, anche il matrimonio

che celebra sarà di carta. Infatti le carte sono perfette, nulla manca. Poi è il fallimento, lo sfacelo, il divorzio, l’adulterio,

la frantumazione del progetto di Dio. Perché? La vita nuova cresce nella Chiesa se vengono osservate particolari regole.

Essa cresce e si sviluppa: ascoltando la Parola, frequentando con assiduità l’Eucaristia, accostandosi spesso al

sacramento della Confessione, immergendosi nella preghiera, lasciandosi confortare perennemente dalla verità e dalla

grazia di Cristo Signore. Nel distacco dalla Chiesa, il soggetto muore. Morto il soggetto, muore anche il matrimonio.

Questa morte è attestata dalle infinite crisi che poi portano al divorzio. La Chiesa ha perso la sua capacità di

insegnamento perché tutto in essa è divenuto di carta. Essendo il Vangelo di carta, quelli che lo insegnano, lo insegnano

dalla carta. Si è ministri della Parola dalla carta, si formano cristiani di carta. Si celebrano sacramenti di carta. Si dona

grazia di carta. Si forma ad una moralità di carta. Tutto sta divenendo di carta. Finché insegniamo dalla carta, il mondo

mai potrà scoprire la bellezza di Cristo, perché anche Cristo oggi è divenuto un Cristo di carta, che ci parla di un Dio di

carta, di uno Spirito Santo di carta. Un Cristo di carta non attrae nessuno. Vedere oggi il Cristo Crocifisso che si immola

per la salvezza del suo matrimonio, attrae, dona luce alla vita». C. DI BRUNO, Prefazione, in G. COMI (a cura di), La

famiglia: verità di carta o verità di vita?, 18.

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L’Esortazione Apostolica identifica e differenzia: 1) i casi dei battezzati che possono con il

tempo e con un congruo accompagnamento pastorale giungere al matrimonio-sacramento

(conviventi, sposati civilmente)82; 2) e i casi dei battezzati che vivono in una condizione

matrimoniale di “irreversibilità” (divorziati risposati).

Per i primi, il principio della gradualità, ripreso e proposto da san Giovanni Paolo II, è da

considerarsi appropriato e necessario: «nella consapevolezza che l’essere umano “conosce, ama e

realizza il bene morale secondo tappe di crescita”. Non è una “gradualità della legge”, ma una

gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di

comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge»83.

Per i secondi, la Chiesa prevede soltanto due opzioni di cui, una corrisponde al lavoro del

giurista, l’altra risponde all’ambito della pastorale, ossia, rispettivamente: a) verificare, attraverso

l’iter processuale previsto, la validità del matrimonio precedente; b) ricordare che, mai, è lecito ad

un uomo commettere adulterio: «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi

dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo

cuore. […] Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima,

la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio» (Mt 5, 27-28.32).

Siamo nel discorso della montagna di Gesù che si conclude con parole chiare in riferimento al non

ascolto.

La salvezza è nel ritorno alla Parola di Dio – questo è l’ambito della pastorale vera – per tutti

coloro che vi si sono allontanati. Per cui la pastorale della Chiesa cattolica non è chiamata né ad

emarginare, né ad integrare a tutti i costi. Essa è chiamata ad illuminare, con la forza dello Spirito

Santo, l’uomo che riversa, giace nelle tenebre. È l’uomo poi ad essere chiamato ad una scelta:

entrare nella Grazia e nella Verità, oppure, rifiutarla, rinnegarla. All’uomo va data la responsabilità

della misericordia ricevuta e la libertà della scelta. Quanto a dono, la Grazia è perfetta, senza misura

Egli dona lo Spirito, ma, quanto a frutto, la Grazia deve trovare la buona volontà dell’uomo. Questa

è la ragione, per cui, la Chiesa ritiene peccato contro lo Spirito Santo, la presunzione di salvarsi

senza merito (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, §§ 2090-2092).

La pastorale, pertanto, è chiamata ad illuminare tutti, i fedeli prima, il resto degli uomini di

buona volontà poi, non soltanto sulla carità temporale o spirituale, ma altresì sulla necessità di

mettere a frutto la propria fede e i propri talenti naturali e soprannaturali. La pastorale deve

82 «Comunque, “tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in

opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle

e accompagnarle con pazienza e delicatezza”. È quello che ha fatto Gesù con la samaritana (cfr Gv 4,1-26): rivolse una

parola al suo desiderio di amore vero, per liberarla da tutto ciò che oscurava la sua vita e guidarla alla gioia piena del

Vangelo» (AL, 294). 83 AL, n. 295.

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illuminare le coscienze su ‘tutto’ il Vangelo, ovverosia, che noi saremo giudicati, come afferma

‘tutta’ la Scrittura, sulla fede84, sui talenti85 e sulla carità86. Questo dicasi pure in relazione

all’Eucarestia, “corpo di Cristo”. Se per un verso, la Chiesa è tenuta ad invitare ‘tutti’ alla sacra

mensa, in base al comando del Signore (cf. Mt 26, 29), traslato ritualmente in questo modo:

“prendete e mangiatene tutti”, per altro verso, e al contempo, essa deve illuminare ‘tutti’, sul fatto

che, sebbene la mancata partecipazione all’Eucarestia non rappresenti, per nessuno, alcun giudizio

di condanna87, tuttavia, l’accostarsi ad Essa, il mangiarNe, presume – come san Paolo insegna in 1

Cor 11, 27-29 – la previa osservanza, da parte del cristiano, di certe condizioni.

Oggi, purtroppo, si assiste all’abolizione di ogni condizione. Ciò è totalmente avulso dal

pensiero di Cristo che, invece, ha condizionato il dono della salvezza alla nostra buona volontà di

conversione e perseveranza nell’obbedienza alla Parola. Se solo si guarda alla struttura delle

beatitudini, ossia alla nuova Alleanza, si comprenderà, infatti, che i doni da essa promessi sono

concessi a condizione che l’uomo adempia la sua parte: se vuole il Regno dei cieli, ad esempio,

l’uomo è chiamato a vivere povero in spirito; se vuole vedere Dio, è chiamato alla purezza del cuore

ecc. Non è questione, quindi, di ostentare un peccato oggettivo o di non ostentarlo, bensì di

dichiarare che, solo rinnegando il peccato, solo con la conversione, è possibile rientrare nella

comunione con la Chiesa.

Ricapitolando:

1) Compito particolare, della pastorale e del diritto, ciascuna nel proprio ambito e, attraverso

le proprie competenze, sarà quello di discernere, separare, distinguere innanzitutto la verità dalla

falsità88. Tale discernimento potrà essere fatto e, dalla pastorale e, dal diritto soltanto se animate

dallo Spirito Santo.

84 Cf. Mt 25,1-13. 85 Cf. Mt 25,14-30. 86 Cf. Mt 26,31-46. 87 Che ripetiamo spetta esclusivamente a Cristo. 88 «L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui

e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie

vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri

sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,7-9).

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2) Tale ‘discernimento’ non ha come risultato automatico e scontato la salvezza di tutti.

Questo perché a tutti, nel dono della propria volontà, è concesso di rendere vano il progetto di Dio

89.

3) Sia la pastorale che il diritto, mai, dovranno agire per generalizzazioni, dovranno,

all’opposto, tener sempre presente che, ogni persona è a sé, ogni persona è unica e irripetibile. Va

contro la dottrina (giuridica oltre che dogmatica) statuire disposizioni “indifferenziate”, “indistinte”

valide erga omnes, annullando in tal modo la funzione di discernimento personale, particolare,

operata nei diversi ambiti. Con ogni singola persona bisognerà compiere un particolare

discernimento che lo Spirito Santo suggerirà di volta in volta. Qualsiasi azione che non tenesse

conto dello specifico cammino di ciascuno, risulterebbe non conforme alla ratio giuridica, né

dogmatica, ecclesiale. Tutti i tentativi generalizzativi, in ambito pastorale e giudiziale – per loro

natura, sempre determinati dal caso concreto e particolare – sarebbero errori gravi, anzi gravissimi

da evitare, come ad esempio:

a) promulgare un “editto” in cui si dice che, tutti i divorziati risposati possono accedere

all’Eucaristia;

b) togliere al pastore l’ultima parola sul discernimento, per lasciarlo alla coscienza del

singolo;

c) pensare che, la violazione della legge del Signore non sia violazione della legge

(moralmente parlando, credere quindi che, ciò che è intrinsecamente cattivo, male in sé, invece, sia

un bene perché ritenuto tale);

d) pensare che, “il caso per caso”, sia un criterio superficiale nel discernimento, quando

invece, è proprio, tipico del discernimento, separare caso per caso, caso da caso, al fine di

individuare ogni elemento necessario che (ri)conduca alla piena comunione con Cristo (comunione

nella Grazia e nella Verità).

4) Come ultimo punto di conclusione, in modo chiaro, si vuole mettere in guardia, pastori e

giuristi, da pensieri che si vanno formulando ormai in ogni contesto e che non appartengono al

pensiero di Cristo e per conseguenza non possono appartenere al pensiero della Chiesa, Suo

prolungamento visibile. Tali pensieri ritengono che: 1) nella Chiesa cattolica si possa avere accanto

al proprio coniuge un nuovo partner e che la convivenza con questi è ammessa nella prassi; 2) nella

Chiesa cattolica è ammessa di conseguenza una specie di poligamia; 3) nella Chiesa cattolica

89 «Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno

riconosciuto che Dio è giusto. Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il

disegno di Dio su di loro» (Lc 7, 29-30).

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l’osservanza del Sesto Comandamento del Decalogo – tanto odiato da parte della nostra società

moderna ecologica ed illuminata – può avere delle legittime eccezioni; 4) nella Chiesa cattolica, il

principio del progresso morale dell’uomo moderno, secondo il quale si deve accettare la legittimità

degli atti sessuali fuori del matrimonio, è finalmente implicitamente riconosciuto, come se sino ad

ora la Chiesa sia stata retrograda, rigida e nemica della letizia dell’amore e del progresso morale

dell’uomo moderno.

Se si vuole – ciascuno nella propria competenza e nei propri limiti – perseguire la salvezza

delle anime, finalità e della pastorale e del diritto si dovrà: «partire dal presupposto che,

fondamentale punto d’incontro, tra diritto e pastorale è l’amore per la verità: questa infatti non è

mai astratta, ma «si integra nell’itinerario umano e cristiano di ogni fedele»90.

Grazie per l’attenzione.

90 SC, n.29, 129.