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NUMERO/253 in edizione telematica 10 MARZO 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]r Chi è Arianna Fontana? Provate a chiedere in giro ai non addetti e scoprirete che, nonostante tre medaglie ed il nome tutto sommato facile da ricordare, pochi sapranno darvi una risposta esauriente. E questo nonostante la passerella televisiva che l’interessata ha fatto, per esempio, nella trasmissione domenicale di Fabio Fazio. Purtroppo la sensazione della vigilia olimpica che i Giochi invernali – vuoi perché nella lontana Corea, vuoi per un generale disamore delle cui ragioni abbiamo già avuto modo di dire – importassero a ben pochi, si è tramutata in realtà e probabilmente senza il presunto riavvicinamento tra le due Coree e le sparate di Donald Trump se ne sarebbe parlato ancora meno. Il tempo in cui lo sport rappresentava un momento di attenzione per tutti pare lontanissimo: oggi ci si accontenta delle bischerate calcistiche, all’insegna del “tutto fa brodo”. D’altronde basta pensare alla superficialità con cui si affrontano i temi politici: si dà credito a promesse che non stanno né in cielo né in terra, basta essere “contro”, gli anni di Bengodi – con buona pace di Boccaccio – sembrano aver offuscato la capacità dei singoli di approfondire gli argomenti, e sempre in meno paiono saper distinguere le fake news. Basta che una cosa torni a proprio presunto vantaggio e allora va bene. Salvo poi ricredersi e rivoltarsi a chi si era quasi osannato. Ma torniamo allo sport. In archivio i Giochi di Seul, ecco per noi “malati di atletica” proporsi la rassegna iridata indoor in quel di Birmingham, sempre più somigliante ad un buon meeting, però tragicamente diluito in quattro giorni di gare. Non fosse per i premi in denaro elargiti dalla Iaaf probabilmente non vi parteciperebbe nessuno, neppure all’inizio di un anno che – come top – propone soltanto rassegne continentali. Prove con dieci partecipanti, come per esempio gli 800 maschili, ci spingono a chiedere che senso abbia continuare ad inflazionare i programmi con manifestazioni il cui valore specifico è sicuramente limitato. Si rende un pessimo servizio allo sport in generale ed all’atletica in particolare, come testimonia in fatto che ha trovato più spazio la dipartita di Bannister delle gare della quarta giornata, che pure prevedevano l’assegnazione di otto titoli. E la scelta ci pare più che legittima, anche se non sappiamo quanti fra i giovani siano interessati al passato e a quanto può insegnare. Gare modeste, quelle di Birmingham, anche a livello agonistico, con la sparuta pattuglia azzurra a testimoniare che la strada del rilancio è ancora tutta in salita e neppure ad Elio Locatelli riescono i miracoli. Non crediamo infatti che il bronzo di Alessia Trost, ben lontana dai suoi giorni migliori, in una gara di valore tecnico modestissimo, abbia granché significato, se non per l’interessata che, ci auguriamo, può riceverne un’iniezione di fiducia. Ma che dire tecnicamente se i suoi migliori salti – dopo oltre un anno di cura Tamberi – continuano ad essere quelli eseguiti seguendo gli insegnamenti che le diede Gianfranco Chessa? Intanto le stagioni passano e la più che promettente ragazzina di ieri, ormai cresciuta, rischia di fare la fine di Andrew Howe: grandi promesse, risultati più che incoraggianti ma poi, alla resa di conti, lo sprofondare nella mediocrità per infortuni e per colpe non soltanto sue. Il resto si riassume in una discreta staffetta femminile 4x400 e in una velocista figlia d’arte, Anna Bongiorni, che comunque aspettiamo alla verifica estiva (idem per Raphaela Boaheng Lukudo), in gare “vere”, così come Yassin Buith, genitori marocchini trapiantati in Italia da oltre un ventennio, che sognava di diventare uno sprinter e che invece saggiamente Paolo Gilioli ha indirizzato verso il mezzofondo. Degli ostacolisti, ben quattro, meglio non parlare, mentre a Fabrizio Donato va concesso l’onore delle armi: che si può pretendere da un quasi quarantaduenne, logorato per di più da tanti infortuni? Giorgio Barberis

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NUMERO/253 in edizione telematica 10 MARZO 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

Chi è Arianna Fontana? Provate a chiedere in giro ai non addetti e scoprirete che, nonostante tre medaglie ed il nome tutto sommato facile da ricordare, pochi sapranno darvi una risposta esauriente. E questo nonostante la passerella televisiva che l’interessata ha fatto, per esempio, nella trasmissione domenicale di Fabio Fazio. Purtroppo la sensazione della vigilia olimpica che i Giochi invernali – vuoi perché nella lontana Corea, vuoi per un generale disamore delle cui ragioni abbiamo già avuto modo di dire – importassero a ben pochi, si è tramutata in realtà e probabilmente senza il presunto riavvicinamento tra le due Coree e le sparate di Donald Trump se ne sarebbe parlato ancora meno. Il tempo in cui lo sport rappresentava un momento di attenzione per tutti pare lontanissimo: oggi ci si accontenta delle bischerate calcistiche, all’insegna del “tutto fa brodo”. D’altronde basta pensare alla superficialità con cui si affrontano i temi politici: si dà credito a promesse che non stanno né in cielo né in terra, basta essere “contro”, gli anni di Bengodi – con buona pace di Boccaccio – sembrano aver offuscato la capacità dei singoli di approfondire gli argomenti, e sempre in meno paiono saper distinguere le fake news. Basta che una cosa torni a proprio presunto vantaggio e allora va bene. Salvo poi ricredersi e rivoltarsi a chi si era quasi osannato. Ma torniamo allo sport. In archivio i Giochi di Seul, ecco per noi “malati di atletica” proporsi la rassegna iridata indoor in quel di Birmingham, sempre più somigliante ad un buon meeting, però tragicamente diluito in quattro giorni di gare. Non fosse per i premi in denaro elargiti dalla Iaaf probabilmente non vi parteciperebbe nessuno, neppure all’inizio di un anno che – come top – propone soltanto rassegne continentali. Prove con dieci partecipanti, come per esempio gli 800 maschili, ci spingono a chiedere che senso abbia continuare ad

inflazionare i programmi con manifestazioni il cui valore specifico è sicuramente limitato. Si rende un pessimo servizio allo sport in generale ed all’atletica in particolare, come testimonia in fatto che ha trovato più spazio la dipartita di Bannister delle gare della quarta giornata, che pure prevedevano l’assegnazione di otto titoli. E la scelta ci pare più che legittima, anche se non sappiamo quanti fra i giovani siano interessati al passato

e a quanto può insegnare. Gare modeste, quelle di Birmingham, anche a livello agonistico, con la sparuta pattuglia azzurra a testimoniare che la strada del rilancio è ancora tutta in salita e neppure ad Elio Locatelli riescono i miracoli. Non crediamo infatti che il bronzo di Alessia Trost, ben lontana dai suoi giorni migliori, in una gara di valore tecnico modestissimo, abbia granché significato, se non

per l’interessata che, ci auguriamo, può riceverne un’iniezione di fiducia. Ma che dire tecnicamente se i suoi migliori salti – dopo oltre un anno di cura Tamberi – continuano ad essere quelli eseguiti seguendo gli insegnamenti che le diede Gianfranco Chessa? Intanto le stagioni passano e la più che promettente ragazzina di ieri, ormai cresciuta, rischia di fare la fine di Andrew Howe: grandi promesse, risultati più che incoraggianti ma poi, alla resa di conti, lo sprofondare nella mediocrità per infortuni e per colpe non soltanto sue. Il resto si riassume in una discreta staffetta femminile 4x400 e in una velocista figlia d’arte, Anna Bongiorni, che comunque aspettiamo alla verifica estiva (idem per Raphaela Boaheng Lukudo), in gare “vere”, così come Yassin Buith, genitori marocchini trapiantati in Italia da oltre un ventennio, che sognava di diventare uno sprinter e che invece saggiamente Paolo Gilioli ha indirizzato verso il mezzofondo. Degli ostacolisti, ben quattro, meglio non parlare, mentre a Fabrizio Donato va concesso l’onore delle armi: che si può pretendere da un quasi quarantaduenne, logorato per di più da tanti infortuni? Giorgio Barberis

SPIRIDON/2 Si può gioire per l’1.93 della Trost?

I risultati dei mondiali di Birmingham hanno ribadito la pochezza del movimento atletico italiano peraltro ridotto nell’occasione a poche unità di partecipazione. Basti pensare che l’alfiere era Fabrizio Donato che nel 2018 compirà

42 anni e che, pieno di dubbi e di acciacchi, si è arrestato su una prestazione che ci ricorda le misure di Piochi, di Camaioni, non di Cavalli e di Gentile. Escluso da una gara dove avrebbe potuto dire la sua solo con una squillante prestazione oltre i 17 metri. Così gioiamo (sic!) per il bronzo della Trost in una delle più modeste competizioni iridate dell’ultimo ventennio. Non siamo masochisti se scriviamo che avremmo preferito un piazzamento alla medaglia ma con una prestazione vicina ai due metri, misura che la ragazza non sembra in grado di raggiungere, ora e speriamo non mai. La stagione indoor è il piccolo rodaggio prima della più determinante stagione estiva e l’altista è ancora ferma al palo di una stasi biennale che mostra tutta la sua involuzione. L’1.93 del bronzo in

una gara esageratamente mediocre era curiosamente vicino alla misura di qualificazione che ha prodotto il suo ripescaggio. Qualunque amministratore di una piccola e media industria che continuasse a produrre questo modesti risultati di fatturato sarebbe allontanato con una semplice seduta del consiglio di amministrazione. Invece i gestori dell’atletica continuano nel loro dissipato mandato che non mostra possibilità di cambiamento. Immaginiamo l’imbarazzo dei colleghi che logicamente, a fine campionati, hanno dovuto adire all’intervista di rito con una Trost che non poteva bearsi del risultato, un autentico dono del cielo. E il resto? Ci siamo attaccati al quinto posto della staffetta 4 x 400 femminile che in realtà è arrivata ultima per la squalifica di una squadra più forte, capace di limare solo di misura il precedente record in assenza di quelle che dovrebbe essere considerate le più forti quattrocentista italiane. Un risultato che non è foriero di alcuno sviluppo per la stagione all’aperto. Di buono in questo pezzo di stagione i miglioramenti dei nostri maratoneti di punta. Basti però ricordare che performance da “2H10’ sono lontane circa 7’ dall’eccellenza mondiale. Per noi la migliore notizia giunta da Birmingham è l’inasprimento delle condizioni per cambiare nazionalità decisa dalla IAAF per impulso di Sebastian Coe. Si è chiusa la stalla quando i buoi sono già scappati? Probabile. Dato che la Turchia in particolare ha fatto carne di porco delle nazionalizzazioni attingendo senza ritegno dall’Africa e dalle dissolte Repubbliche ex sovietiche. Qualcosa però si è fatto per cercare di ristabilire un’eguaglianza competitiva tra le nazioni in un momento in cui aneliti sovranisti solo all’ordine del giorno. La tratta degli atleti di punta in una Passaportopoli globalizzata è stato uno dei più grossi scandali dello sport planetario del terzo millennio. E anche l’Italia in questo senso non si è fatta mancare niente. Daniele Poto

Vi ricordate il grottesco “caso” che aveva infiorato il dopo la Cinque Mulini di quest’anno quando sui social network scoppiò un can can del diavolo per alcune frasi, certamente mal’interpretate, pronunciate dallo speaker della manifestazione nei confronti di un concorrente un tantino fuori peso? Un vicenda per altro aperta ed alimentata con estrema leggerezza da giornali nazionali che fu gestita a con molto pressapochismo da organizzatori e giudici di gara (per altro tratti in inganno da lacune dei regolamenti federali) che per mettere a tacere il tutto (in ispecie le cazzate dei cosiddetti social network non seppero far di meglio che buttare sale sullo speaker nonostante la sua conclamata professionalità. Beh, se è vero che bonum etiam finem ora finalmente c’è stato l’incontro chiarificatore fra l’amico Brambilla e Marco Ascari che si sono stretti la mano nella sede dell'Us San Vittore Olona organizzatrice dell'evento alla presenza del presidente della società Giuseppe Gallo e del vice presidente Luca Zaffaroni.

SPIRIDON/3

fuori tema

Era un incunabolo, da trattare con guanti immacolati come accade da

secoli nei silenzi delle certose. Ma in un mondo sportivo immiserito non erano in molti ad esserne consapevoli. Roger Bannister fu esponente di una grande atletica, nobilitata da una specialità e da una distanza che forse più di tutte è sangue e cervello, e che più o meno negli stessi anni andava scolpendo negli annali di statistica i nomi di Wes Santee, di John Landy e della mirabile triade ungherese costituita da Sàndor Iharos, Làzló Tàbori, Istvàn Rozsavolgyi. Che la rilevanza tecnica della prestazione realizzata su una distanza non metrica alle diciotto del sei maggio all'Iffley Road fosse stata fin dal primo momento dell'annuncio celebrata, enfatizzata, ostentata e trasmessa all'estero come forse solo i nostri amici d'oltre Manica, nella loro indistruttibile e pure nobile retorica, sanno fare, è indubbio. Ma ciò non toglie un centesimo all'impresa del venticinquenne di Harrow che in chiusura della medesima stagione iniziò un cursus professionale che la stessa Italia, assieme al riconoscimento della sua statura agonistica, riconobbe in due occasioni, prima con la Laurea honoris causa assegnatagli dall'Università di Pavia e più avanti con l'inserimento, con Renato Funiciello, Margherita Hack, Ottavio Missoni ed Eugenio Montale, nel Pantheon dell'Atletica istituito dalla Federazione italiana. C'è una foto, con l'immutabile drammaticità esaltata dal bianco-nero, che di quel pomeriggio inglese costituisce il momento esteticamente più significativo, come in altri grandi momenti nella storia dello sport: penso al Fausto Coppi nel fango e nella neve dello Stelvio, penso alla rovesciata di Carlo Parola in un Fiorentina-Juventus del 1950 eternata dallo scatto di Corrado Bianchi, penso all'arrivo di Dorando ai Giochi del 1908, o le braccia alzate di Pino Dordoni nell'Helsinki olimpica del

1952. È recente la scomparsa di Marco Martini. Perché non si perda occasione per piangerne la perdita, lascio spazio alla scheda, perfetta come tante, che il nostro amico produsse su Bannister nella Garzantina dello sport. Bannister Roger Gilbert (Harrow, Middlesex, 1929) atleta e scienziato britannico. Studente in medicina al St. Mary's Hospital di Londra, si specializza dopo la laurea in neurologia, disciplina in cui diventerà uno dei massimi specialisti internazionali, ricevendo riconoscimenti anche dal mondo accademico italiano, con la Laurea honoris causa assegnatagli dall'Università di Pavia nel 1986. La sua folgorante traiettoria agonistica è legata soprattutto all'impresa realizzata il 6 maggio 1954, al campo di Iffley Road a Oxford, quando abbatte una delle barriere storiche del mezzofondo, i 4 minuti sulla distanza del miglio. Al termine di una gara condotta per circa 1000 m da Chris Brasher, olimpionico sui 3000 siepi due anni dopo a Melbourne, e successivamente, per un altro giro di pista, da Chris Chataway, futuro ministro britannico, l'atleta allenato da Franz Stampfl, tecnico di origine austriaca, crolla sul traguardo battendo di quasi due secondi il precedente primato, appartenente allo svedese Gunder Hägg (4'01"3, Malmoe, 1945), con tempi di passaggio sulle 440 yd di 57"5, 60"7, 62"3, 58"9 e realizzando un tempo finale di 3'59"4. A commento dell'eccezionalità dell'impresa, un quotidiano londinese riporterà anche lo scambio di battute intercorso il giorno successivo tra un professore e lo studente, alle prese con il suo ultimo esame universitario: «Signor Bannister, si rende conto di essere oggi più famoso che se avesse scoperto la cura del cancro? ». «Lo so, e me ne rammarico, signore». «Vuole firmarmi un autografo? ». «Dopo l'esame, grazie, signore». Per il mezzofondista inglese il 1954 viene arricchito dalla vittoria sulla stessa distanza nei Giochi del Commonwealth (Vancouver, 7 agosto, 3'58"8, contro il 3'59"6 del secondo classificato, l'australiano John Landy, altro formidabile mezzofondista dell'epoca), concludendo una stagione perfetta con il titolo europeo sui 1500 m conquistato il 29 agosto a Berna (3'43"8), ultima gara della carriera>>.

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SPIRIDON/4

«Non si vive più, mi fa male il fiato», le parole ansanti di Ambra Mangani quando si estenuava nell'intervall training allo Stadio delle Palme. Correva l'anno 1953, la bionda livornese, figlia di Piero Mangani, prima negli 80 metri, Coppa Sicilia, firmò il cartellino per la Libertas Palermo di Mimmo Ferrito. Piero Mangani era un fedele del Partito Comunista che fu persuaso dal giovane scapigliato Pino Clemente - che con Totò La Rocca e Saro Catania allenava le atlete - a sorvolare su l'estrazione democristiana. Ambra ha immaginato come avrebbe commentato il padre, in sintonia con la bella moglie, la disfatta del P.D., il Sud che si ammanta di 'Stelle', il Nord dominato dal Centro Destra, la Lega di Salvini che, dopo una campagna elettorale tambureggiante a tutela del territorio italiano e del lavoro, prevale a sorpresa su Forza Italia dell'aggregatore Silvio Berlusconi e su Fratelli d'Italia dell'unica donna leader, Giorgia Meloni. Anche a noi, causa conflitti interni che esacerbano le precarie condizioni di salute, fa male il fiato. Il nostro rifugio (Secundis Ornamentum Adversis Refugium si staglia nella Biblioteca Nazionale di Palermo) è l'atletica che, quasi del tutto oscurata dalla TV, ha impresso sigilli memorabili nel 'salotto' di Birmingham. In un contesto caratterizzato da record mirabolanti e da squalifiche che hanno stabilito record insuperabili, l'Italia ha conquistato due finali: il bronzo nel salto in alto con Alessia Trost a 1,93, il quinto posto, al suono del record italiano, 3:31.55 nella 4X400, beneficiando di una squalifica eccellente, la Giamaica. Nell'alto, a livello inferiore alle aspettative, si afferma Marya Lasitskene con notevole distacco su Vashti Cunningham. Quanto all'Italia, i critici severi osservano che solo a Sopot 2014 e Doha 2010 il bilancio fu più scarso, con un solo finalista. A Portland, dove gareggiavano soltanto 5 azzurri, l'oro di Tamberi nell'alto. Unico finalista, Yasine Bouih, undicesimo nei 3000 metri in 7:50.65, personale; Anna Bongiorni, 7.24 nei 60 metri, seconda prestazione italiana al coperto dopo il 7.20 di Manuela Levorato a Maebashi '99, sesta in semifinale. Eliminati nei 60 hs Veronica Borsi, l'esordiente Elisa Maria Di Lazzaro, Paolo Dal Molin e Hassane Fofana, 7.81 per entrambi. Il meglio nel giro pista: Raphaela Lukudo 53.18 in semifinale, 52.98, personale, in batteria, Ayomide Folorunso 53.24. Con Maria Enrica Spacca e Chiara Bazzoni nella 4X400 record con parziali approssimativi: Lukudo 52.49, Folorunso 52.01, Bazzoni 53.45, Spacca 53.40, confermiamo con Andrea Buongiovanni, sulla Gazzetta dello Sport del 5 marzo. L'Italia del C.T. Elio Locatelli è 24esima nel medagliere e 25esima nella classifica a punti, preceduta nel medagliere da numerose squadre europee.

La Polonia, terza, ha stravolto i pronostici nella 4X400: il quartetto USA era favorito anche dalla corsia e l'ultimo frazionista sembrava imprendibile, ma Jerzewina ha rimontato con frequenza e ampiezza, una frazione nettamente da meno 45" e il record del mondo: Zalewski-Omelko-Krawczuk-Jerzewina 3:01.77, 36 centesimi meno del precedente degli USA a Sopot. Nei 400 maschili, falcidiati dalle squalifiche, Masalak, Repubblica Ceka, è terzo in 45.47, ma sono fatali le infinitesimali infrazioni di Husilos (Spagna) 44.92 e di Santos (Repubblica Domenicana) 45.09, crono portentosi. La gara di corsa maschile più breve, i 60 metri, all'americano Coleman, 6.37, secondo crono di sempre, di misura sul cinese Zhenye Xie, 6.42. Senza precedenti l'uno-due ivoriano, Murielle Hahorè, 6.77 da incorniciare, Makie Josse, 7.05. Nel mezzofondo dominio africano, nel maschile e nel femminile, doppietta della keniana Genzebe Dibaba, 1500 e 3000 metri, affermazione del diciottenne etiope Samuel Tefera nei 3000 metri. Nei 1500 metri, la britannica Muir al secondo posto nel regno keniano-etiope. Doppio titolo, 60 ostacoli 7.70 e nei 60 metri alla statunitense Kendra Harrison. Nei 60 ostacoli maschili Andrey Pozzi, britannico di origini italiane, 7.46. Come spesso accade, il meglio dai salti. Al cardiopalmo il lungo maschile che ha incoronato il podio con misure da top ten: Juan Eckevarria, metri 8,46, Luvo Mamyonga, Sud Africa, metri 8,44, Marquis Dendy, USA, metri 8,42. Nell'asta, Renaud Lavillenie al terzo titolo, metri 5,90, al femminile, Sandy Morris (USA) 4,95. Nell'alto, il ventenne ucraino Danil Lysenko, grande presenza, 2,36 e il titolo nel silenzio dello stadio. Nel triplo, infortunio subitaneo nel settimo mondiale di capitan Donato, titolo all'americano Will Clay, 17,43, con Yulimar Rojas (Venezuela) a 14,63… Nell'eptathlon, il fuoriclasse francese Kevin Myer, 6348 punti, la miseria di 5 punti sul canadese Damian Warner, e Katharina Johnson (USA), 4750 punti, con il verdetto nell'epilogo: i 2:16.17 nei quattro giri decidono il distacco su Ivona Dadic. Nel peso maschile, la formidabile gittata da metri 22,43 del neozelandese Walsh. Nel peso femminile torna alla vittoria l'Ungheria con Anita Marton con 19,48. Si chiude con un record di squalificati, 27, 8 nei 400 metri e nella 4X400 per infrazioni minime: qualcosa, o molto, è da rivedere. Pino Clemente

SPIRIDON/5

Animula vagula, blandula... scelti da Frasca

Andremo avanti fino alla fine, combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e gli oceani, combatteremo con fiducia crescente e forza crescente nell'aria, difenderemo la nostra isola, qualunque sia il costo, combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui terreni di atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline, non ci arrenderemo mai, e anche se, cosa che escludo, quest'isola o gran parte di essa venisse sottomessa e affamata, allora il nostro impero oltre i mari, armato e sorvegliato dalla flotta britannica, continuerebbe a lottare, finché, nelle mani di Dio, il nuovo mondo, con tutto il suo potere e la sua forza, si solleverà per salvare e liberare il vecchio. Winston Churchill (Woodstock 1874-Londra 1965) al Parlamento inglese, Londra, 4 giugno 1940.

Il 16 dicembre 1969, l'anarchico Giuseppe Pinelli s'abbatteva sul selciato della questura milanese. Malore, suicidio, omicidio. Mai del

tutto accertate le cause della caduta. Il giudice istruttore Gerardo D'Ambrosio, di cui era noto l'orientamento non propriamente favorevole ai sistemi adottati dalle forze dell'ordine, scagionò il commissario Luigi Calabresi. Il 6 giugno 1970, su Lotta Continua, si lesse <<il proletariato ha già emesso la sentenza: Calabresi è responsabile dell'omicidio di Pinelli. Dovrà pagarla chiara>>. Il 13 giugno 1971 il settimanale l'Espresso pubblicò un manifesto titolato <<Calabresi porta la responsabilità della fine di Giuseppe Pinelli>>. 757 i firmatari, tra cui Nanni Loy, Franca Rame, Umberto Eco, Giulio Einaudi, Inge Feltrinelli, Giulio Carlo Argan, Giorgio Benvenuto, Carlo Salinari, Laura Betti, Dario Fo, Eugenio Scalfari, Norberto Bobbio, Giorgio Bocca, Alberto Moravia, Toni Negri, Tinto Brass, Luigi Nono, Giancarlo Pajetta, Paolo Mieli, Oliviero Toscani, Carlo Ripa di Meana, Umberto Terracini, Camilla Cederna, Renato Guttuso, Furio Colombo, Natalia Ginzburg, Margherita Hack, Pier Paolo Pasolini, Carlo Levi, Gillo Pontecorvo, Ferdinanda Pivano, Pierre Carniti, Bruno Trentin. Folco Quilici e Olivero Toscani, inseriti nell'elenco, negarono di averne mai fatto parte. Mieli e Ripa di Meana ritrattarono la sottoscrizione. Bobbio rivide la posizione. Ripa di Meana, unico, scrisse una lettera di scuse alla signora Calabresi. Il 17 maggio 1972, Luigi Calabresi fu assassinato sotto casa. Il giorno successivo, Lotta Continua scrisse <<Ucciso Calabresi, il maggior responsabile dell'omicidio di Pinelli. Era un assassino>>.

M'hanno portato a Baia; con questo caldo di luglio il tragitto è stato penoso, ma in riva al mare respiro meglio. L'onda manda sulla riva il suo mormorio, fruscio di seta e carezza; godo ancora le lunghe sere rosate… Il piccolo gruppo degli intimi si stringe al mio capezzale… Diotimo singhiozza, la testa affondata nei guanciali. Ho assicurato il suo avvenire; non ama l'Italia; potrà realizzare il suo sogno di far ritorno a Gadara e aprirvi con un amico una scuola d'eloquenza; con la mia morte, non ha nulla da perdere. E, tuttavia, l'esile spalla si agita convulsamente sotto le pieghe della tunica; sento sotto le dita queste lacrime deliziose. Fino all'ultimo istante, Adriano sarà stato amato d'amore umano. Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più… Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti… Da Mémoires d'Hadrien, di Marguerite Yourcenar (Bruxelles 1903-Mount Desert 1987), Librairie Plon 1951, Paris.

Pioveva su tutte le langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra. Era mancato nella notte di giovedì l'altro e lo seppellimmo domenica, tra le due messe. Fortuna che il mio padrone m'aveva anticipato tre marenghi, altrimenti in tutta casa nostra non c'era di che pagare i preti e la cassa e il pranzo ai parenti. La pietra gliel'avremmo messa più avanti, quando avessimo potuto tirare un po' su testa. Io ero ripartito la mattina di mercoledì… Mentre facevo la mia strada a piedi, ero calmo, sfogato, mio fratello Emilio che studiava da prete sarebbe stato tranquillo e contento se m'avesse saputo così rassegnato dentro di me. Ma il momento che dall'alto di Benevello vidi sulla langa bassa la cascina di Tobia la rassegnazione mi scappò tutta. Avevo appena sotterrato mio padre e già andavo a ripigliare in tutto e per tutto la mia vita grama… da La malora, di Beppe Fenoglio (Alba 1922-Torino 1963), Giulio Einaudi editore, Torino 1954.

SPIRIDON/6

Dai cioccolatai di Eurosport ai bonbon di mamma Rai

Il nome alla radice fa Discovery Communications, la casa madre americana cui fa capo il paneuropeo Eurosport, il quale Eurosport, dopo avere sbandierato per mesi la vieppiù imminente magnificenza della sua copertura televisiva dell'Olimpiade coreana, ormai giunti ad un paio di giorni dalla cerimonia d'apertura fa sapere quatto quatto che gli utenti di Eurosport sulla piattaforma di Sky resteranno senza Giochi, dovendosi accontentare della riproposizione di imperdibili partite di biliardo e calcetto, questo perché non è stato trovato un accordo con Sky, al contrario di quanto avvenuto con l'altra piattaforma televisiva di Mediaset Premium. Nessun rispetto per la fetta più considerevole della propria utenza contrapposto alla magra consolazione di avere celato il più a lungo possibile la propria condizione alla resa dei conti di poveri cioccolatai sul moderno mercato dei diritti televisivi. Certo, in chiaro e per tutti è rimasta mamma Rai, in primis col faccione rubicondo e le pantagonne bene in vista della conduttrice da studio Sabrina Gandolfi, sempre pronta a riproporci, anziché biliardo e calcetto, tutte le volte in pista di Arianna Fontana in quello short track che sta al classico pattinaggio di velocità su ghiaccio come il burlesque sta al teatro greco. C'era anche il bob - pure senza italiani - a questa come a tutte le edizioni olimpiche: doti atletiche di prim'ordine ed uno spruzzo di tecnologia, non una aggiunta di stampo circense di quelle suggerite all'apertissimo ed ultra-egalitario CIO dai suoi innumerevoli consigliori pescati a piene mani nel mondo civil-sportivo per stare al passo (ed alla confusione) di questi tempi moderni. L'avete visto voi il bob?

Corto circuito

Risulta davvero difficile pensare che gli antichi greci avrebbero mai sospeso una guerra per farsi una partita a bocce sul ghiaccio, e ve lo immaginate voi un guerriero (od un vero atleta se è per questo) che si mette quarto e in coda di una finale a quattro di staffetta nello short track per arrivare secondo? Tanto lì davanti uno che non finisce e uno che sarà poi squalificato si trovano quasi sempre…

Un oro d'onore

Guardavi la faccia delle ragazze americane dell'hockey sul secondo gradino del podio olimpico di Sochi quattro anni fa e capivi benissimo che se avessero avuto nei paraggi la sputacchiera di Un dollaro d'onore (Rio Bravo) ce lo avrebbero buttato tutte quell'argento. L'hockey al femminile è USA e Canada. Dopo, molto dopo, viene il resto del mondo. Avevano vinto il primo oro olimpico del loro sport al femminile nel 1998 le americane, poi sempre seconde ad un soffio dalle canadesi. E cosa conta essere ben davanti a tutto il resto del mondo se hai un solo rivale e continui a sbatterci il grugno (letteralmente)? Questa volta è toccato alle canadesi perdere la finale sbagliando il primo rigore della serie extra dopo che tempi regolari, supplementare e serie regolare di rigori erano finiti in parità: facce da funerale e una di loro, Jocelyne Laroque, neanche il tempo di avere al collo quell'argento che subito se lo sfila. Sarà, anzi è stato, essendo lei ancora sul podio olimpico, un gesto di mancanza di rispetto verso ciò che una Olimpiade rappresenta, il pubblico che dagli spalti - americani soprattutto mannaggia a loro! - le gridava di rimettersela quella medaglia, ma quel gesto è stato tutto fuorché imprevisto, dato il particolare contesto in cui è maturato. Dell'indomani le scuse di circostanza di Jocelyne. Del resto lo dice anche il celebre motto olimpico: “l'importante non è vincere, ma partecipare con spirito vincente”. Solo vincente, rimarcano convinte più che mai americane e canadesi dell'hockey.

Sopravvalutate

Chez nous – pure se, dato il soggetto, avrebbe più senso il tedesco – Carolina Kostner ha chiuso quinta, ben distante da quel podio che complice una serie di circostanze favorevoli aveva raggiunto a Sochi. Restano, al solito, una innegabile grazia nella presentazione dell'esercizio, una certa propensione di tanto in tanto a mettere mano se non chiappa sul ghiaccio ed a chiudere in modo approssimativo le figure più impegnative. Stordente in compenso la propensione dei telecronisti nostrani ad esaltarla ben oltre misura. Lindsey Vonn invece con il tempo è assunta al ruolo di rockstar applicato al circo bianco. Certo, in coppa del mondo ha vinto parecchio, ma quando più conta - come bene illustrato da certi suoi connazionali sciatori al livello olimpico - pur avendo saltato Sochi causa infortunio, siamo a 4 edizioni partecipate e ad una sola medaglia d'oro. Niente a che vedere con un Al Oerter. E neanche con una Hanni Wenzel.

Mio Dio, come sono caduta in basso!

Vedi gli atleti del biathlon a tutta birra sugli sci che spezzano l'azione e, imbracciata la carabina che portano sulla schiena, si mettono a sparare, da terra od in piedi, verso una serie di bersagli. Chiaro il richiamo guerresco, mai così vero come fu per la Guerra d'inverno, quella dei fanti finlandesi vestiti di bianco che nell'inverno 1939-40 si opposero, armati di sci e carabina, all'aggressione di un'armata rossa soverchiante per uomini e mezzi, prima della inevitabile resa con la temporanea perdita della Carelia finlandese. Indro Montanelli raccontò da par suo quella guerra sul Corriere, a partire dalla “ragazza dagli occhi color acqua di scoglio” che lo accolse al suo arrivo fino all'episodio degli attempati profughi (tutti veri) che in marcia, dopo avere incendiato la propria casa prima di abbandonarla al nemico, rincorrono un passerotto mezzo assiderato ed inabile al volo, riscaldandolo col loro fiato. Fu la lotta di un popolo indomito che primeggiava peraltro anche nello sport, esempio di alta civiltà a tutto tondo, l'indipendenza

SPIRIDON/ 7 nazionale allora fresca di poco più di vent'anni ma un senso di identità e di appartenenza veramente a prova di bomba. Nulla hanno raccolto in Corea nel biathlon i finlandesi. Sport finlandese di cui tocca oggi constatare (come per la Nokia: ricordate i suoi cellulari?) l'incontestabile declino. Declino non spiegabile con la semplice ragione dei numeri che vedono la piccola Finlandia opposta ai gargantua che tutti sappiamo (la Norvegia, dominante a livello invernale, è ancor più piccola) ma piuttosto con una propria rilassatezza che incontra l'altrui migliore interesse ed organizzazione nello sport attuale. Il medagliere dei Giochi invernali dice ancora di 167 medaglie loro (settimi in assoluto, con meno di sei milioni di abitanti) contro le nostre 124, ad esempio, ma solo 6 e solo una d'oro l'aggiunta coreana, anche se quell'oro di Livo Niskanen, essendo venuto dalla più lunga delle distanze del fondo maschile, è certo tra le medaglie più pesanti di una Olimpiade. A proposito, si accorgeranno al CIO che, sempre più, non tutte le medaglie hanno lo stesso peso? Pesano i soldi che le medaglie portano, al CIO, mica le medaglie. Mauro Molinari [email protected]

La palla di neve Visto che nevica ancora a marzo voglio raccontarvi la “Collecta nivis”, un’antica usanza goliardica che legava gli

studenti dell’Università di Bologna al Reale Collegio di Spagna. In occasione della prima nevicata, dal 1500 fino a metà del 1800, gli studenti in corteo portavano al Rettore del Collegio una palla di neve in un bacile d’argento, e ne ricevevano in cambio un cospicuo obolo. Erano, quelli, i tempi (durati fino al 1800) in cui lo Studium Bononiense era ancora una “Universitas Scholarium”, cioè un’istituzione riconosciuta dalle massime autorità, ma gestita dagli studenti, tra i quali veniva scelto il Rettore. Ed erano gli studenti, con le loro rette, a pagare i docenti, scegliendoli fra i migliori di ogni disciplina. Eternamente squattrinati, i goliardi s’ingegnavano in tutti i modi a questuare oboli per i loro divertimenti e le loro feste.

Lo hanno sempre fatto, nei secoli, e l’ho fatto anch’io. Purtroppo è difficilissimo, oggi, suscitare simpatia e ottenere offerte quando ad ogni semaforo, chiesa, ospedale, banca, farmacia, tabaccaio, supermarket c’è un men- dicante, quando le zone pedonali pullulano di vu’ cumprà, quando al ristorante passano due o tre venditori di rose o altre giargiatole. Anche se, a pensarci bene, il medioevo non doveva essere molto diverso, per concorrenza. Ricordo a una festa delle matricole un goliardo in frac e cilindro seduto su uno scalino con quattro ciotole davanti: ognuna aveva un cartello: vino, donne, fumo, gioco. E un grande cartello le sovrastava tutte: scegliete voi cosa finanziarmi, grazie. La gente sorrideva divertita, e le monete fioc- cavano. Non era accattonaggio, quello, era genialità. [email protected]

La neve prevista non si è fatta attendere ed oltre ad un paesaggio più che

suggestivo ha reso il percorso ancora più difficile. La neve non ha smesso di flagellare i corridori che oltre ad un terreno poco gestibile hanno dovuto fare i conti con un freddo polare. Senza timore alcuno gli atleti GAB hanno affrontato il percorso con sicurezza e hanno ottenuto ottimi risultati. Nella bufera di neve si sono agguantati l’ambito titolo di campione ticinese Gabriele Berini (U10) che ha confermato il suo dominio in coppa ticino come per Filippo Balestra (U16) che non ha dato scampo ai suoi avversari. Il titolo viene vinto anche da Mara Moser (U18) che con un finale dirompente si aggiudica il gradino più alto del podio. Gaia Berini (U14), Siro Gentilini (U16) e Giuseppe Gioia (M40+45) salgono nuovamente sul podio, al terzo posto. Mattia Verzaroli (U18) non riesce a dare il meglio sulla neve e si aggiudica la seconda piazza come per Roberto Simone nel cross corto dove con determinazione Elia Bizzozero conquista il primo podio di quest’anno salendo al terzo posto. Ottima prova anche di Gabriele Sboarina (Attivi) che si fa largo nella neve e si

prende la medaglia di bronzo. Brillanti risultati anche per tutti gli altri atleti GAB che hanno affrontato un percorso poco accogliente come ad esempio Siria Cariboni (U16) che arriva 4° a poca distanza dal podio. Bravi a tutti!! (C.D.)

SPIRIDON/8

Davide Astori, Thomas Rodriguez, Vincenzo Lippolis:

La vita è un appuntamento, solo che noi non sappiamo come e dove si spezzerà. Marzo, che a sprazzi e a spruzzi ha l'aria della primavera, è stato fatale per due

calciatori, il 19enne Thomas Rodriguez, promessa del calcio francese, tra i migliori dell'under 20, e il 31enne Davide Astori, nativo di San Giovanni Bianco, giovanili nel Milan e in altre squadre lombarde, esordio in serie A con il Cagliari, poi alla Roma, infine alla Fiorentina, capitano, 14 presenze nella Nazionale. Marzo è fatale anche per il 63enne Vincenzo Enzo Lippolis, Mottola, 1 luglio 1956, laureato all'Università di Perugia, direttore del Museo archeologico di Taranto, con attività di ricerca diversificata connessa alla costruzione di una

conoscenza storica impostata sull'esame del territorio e della sua stratificazione culturale e sociale, con un'attenzione

metodologica per l'analisi dei sistemi contestuali e delle manifestazioni del culto in quanto strumento interpretativo

della realtà antica, e in particolare sulla lettura delle produzioni ceramiche e dei temi di architettura, fino a pochi istanti prima della morte Direttore del Dipartimento

Scienze Antiche dell'Università La Sapienza di Roma. Astori era atteso dai compagni nella hall dell'albergo di Udine, dove la Fiorentina si concentrava per battersi con i bianco-neri del Presidente Pozzo. Il capitano, sempre puntuale, ritardava. Lo hanno trovato esanime ed è stata ''subito sera''. La tragedia si è propagata tramite i media. Il CONI e la Federazione Gioco Calcio, dopo qualche 'attimino', hanno decretato la sospensione delle partite di domenica 4 marzo, e il minuto di silenzio in tutte le manifestazioni e nelle partite venture. L'eco di questo decesso è stato enorme. Il 9 marzo, una tragedia analoga: Thomas Rodriguez, il giocatore del Tours, Serie B francese, muore e la notizia sconvolge non soltanto gli appassionati del calcio. Il 3 marzo, Vincenzo Enzo Lippolis è ospite di Che Tempo che fa, Massimo Gramellini enumera le sue ricerche nel settore dell'Archeologia. Il professore, emozionato nel suo naturale riserbo di studioso delle 'pietre ultra millenarie', prende il Premio meritatissimo: le Scienze Antiche dell'Università La Sapienza vivacchiavano al 101 posto, in sei anni con la sua guida hanno conquistato la cima della classifica tra le Accademie Mondiali, una impresa di 'agonismo storico culturale'. Il Professore sale sul taxi e si procede verso la stazione di Rogoredo-Milano. All'improvviso si accascia e la rianimazione si estingue. Questa morte è descritta nel Caffè di Gramellini, in prima pagina, sulla Stampa, che lo aureola, la corona di Alloro degli Eroi Antichi. La morte di un uomo avanti negli

anni, di cui non erano note le condizioni di salute, un uomo che onorava l'Italia, è una perdita incommensurabile, notata da pochi. Le morti di due 'macchine umane' ben costruite e collaudate, soprattutto per quanto attiene alla funzionalità cardiaca, destano profonda inquietudine, ma anche la morbosità del prossimo attorno al totem del calcio. Attendiamo gli esiti delle perizie scientifiche, gli esami autoptici senza sospetti su eventuali 'scorciatoie' finalizzate a maggiorare la 'cilindrata del motore umano'. Davide Astori è stato 'onorato con il pianto' dai fiorentini, dai tifosi, dai campioni del calcio nel commiato terreno, a Santa Croce, la Cattedrale di Firenze dove riposano gli Spiriti Magni celebrati nel Carme I Sepolcri da Ugo Foscolo. Solo la fede nell'Aldilà può consolare, e il Cardinale Giuseppe Betori

nell'Omelia, ha definito oscura ancora questa morte. I dati statistici delle morti nel sonno per eccesso di bradicardia sono impressionanti. Astori era un uomo generoso e gentile, il compianto di quanti lo hanno conosciuto durerà da qui all'eternità. Restano la moglie affranta e la piccola figlia che non avrà il sostegno paterno. Simile il dolore, che da vivo si cronicizzerà, dei familiari del prof. Lippolis e di Thomas Rodriguez. Pino Clemente

SPIRIDON/9

La Famiglia Salesiana è una famiglia pasquale. Pasquale per numerosi eventi storici, ma pasquale soprattutto nella propria spiritualità. Le Pasque “care” a Don Bosco? 1 aprile 1788. Nasce Margherita Occhiena, mamma di Don Bosco, a Capriglio, paese di circa 400 abitanti nella diocesi di Asti. Viene battezzata nello stesso giorno. 26 marzo 1826. Nessun fanciullo è ammesso alla prima Comunione se non a 12 o a 14 anni. Il parroco don Sismondo è piuttosto

rigido; mamma Margherita spera in una eccezione. Esaudita! Giovanni non ha ancora 11 anni! Durante la Quaresima la madre lo porta ben tre volte a confessarsi. Il 12 aprile 1846, giorno di Pasqua, l’Oratorio, che si trova presso i Molini di Torino, si trasferisce definitivamente sotto una tettoia affittata da Francesco Pinardi, in Valdocco. 8 aprile 1849. Anche per Domenico Savio il giorno di Pasqua è quello della prima Comunione. Addirittura a 7 anni; impensabile per quei tempi. 1855. In diverse occasioni Don Bosco si reca nelle carceri della Generala a trovare i detenuti. In questo anno ottiene dal ministro Rattazzi il permesso di portarli in gita fino al Palazzo Reale di Stupinigi. È una Pasqua indimenticabile, trascorsa nella più grande gioia. Nella Pasqua del 1858 (4 aprile) Don Bosco è presente alla benedizione Urbi et Orbi sulla loggia di San Pietro, con la spalla... sotto i piedi del papa Pio IX! Per Don Bosco le feste di Natale e di Pasqua

hanno sempre meritato una preparazione speciale: durante queste festività organizza anche dei piccoli ritiri destinati a coltivare esclusivamente lo spirito per capire il senso della nascita di Cristo e la centralità della Resurrezione nella vita cristiana. Il suo era un ottimismo fondato sulla roccia della fede, sullo slancio della speranza, sulla Pasqua come ultima parola di Dio nella storia. Ha insegnato che la santità si raggiunge vivendo ogni momento straordinariamente bene. Amiamo il quotidiano perché è lì che Dio ci vuole incontrare: infatti la nostra spiritualità non chiede gesti eroici o straordinari. Siate gente di festa, diceva Don Bosco, perché la santità consiste nello stare molto allegri. Il messaggio pasquale che ogni anno invia ai suoi i giovani è proprio rivolto a far sì che il volto della Chiesa rifletta la bellezza del volto del Signore, crocifisso

e risorto nel giorno di Pasqua. Esorta i giovani a non dimenticarsi mai dell'insegnamento che deriva dalla Pasqua: «È con la Resurrezione di Gesù, la nostra Pasqua - sostiene - che noi uomini siamo in grado di comunicare le ragioni della speranza, cosicché l’ancoraggio della fede diventa garanzia di solidità personale e di solidarietà sociale». Infine, ma è il ricordo più bello: nel giorno di Pasqua del 1934 (1 aprile), a chiusura dell’Anno Santo della Redenzione, Don Bosco viene solennemente canonizzato nella Basilica di San Pietro dal papa Pio XI. Il Santo Padre, che lo ha conosciuto personalmente in una visita all'Oratorio nell'ottobre del 1883, ricorda questi particolare nei discorsi in onore del novello Santo ed aggiunge che questo Anno Santo può dirsi anche "Anno Santo Salesiano". La Chiesa non aveva mai fatto coincidere una canonizzazione con la Pasqua; Pio XI vuole che si faccia una eccezione. La cerimonia, sotto una grande pioggia, è trasmessa per radio. Il cardinale Fossati, in un successivo discorso a circa 20mila pellegrini, rammenterà la definizione del Sommo Pontefice che quel giorno è proprio «Una Pasqua Salesiana!».

Pierluigi Lazzarini

Exallievo e storico di Don Bosco

SPIRIDON/10

scudetti ai bresciani dell’”Atletica Paratico” che fanno doppietta di titoli, maschile e femminile tempo inclemente, ma grande successo dei

Più forti del maltempo Gli atleti dei Campionati Italiani Master di corsa campestre, a Lucca, con oltre 900 partenti. Una sfida tricolore che esalta la passione e l’entusiasmo dei podisti più forti del maltempo, nonostante la pioggia caduta sul percorso reso a tratti estremamente fangoso, in uno scenario unico: gli spalti delle celebri mura urbane della città toscana. Indubbiamente ha ragione il collega della Gazzetta di Lucca quando scrive che:”Non sono solo muscoli, non basta la sola tecnica. Se c’è una cosa che i Campionati Italiani di Cross Master svoltisi a Lucca ci hanno insegnato, è che per praticare uno sport come la corsa campestre la qualità indispensabile è una passione irrefrenabile”. Non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui oltre un migliaio di atleti da tutta Italia avrebbero affrontato un viaggio spesso lungo, attraversando località paralizzate dal maltempo, per venire a correre alcuni chilometri sugli spalti della nostra bellissima cinta muraria, resa a tratti estremamente fangosa dal tempo inclemente. Assegnati 21 titoli nazionali individuali (11 maschili e 10 femminili) e gli scudetti di società “over 35”. Dopo una serie di gare appassionanti, entrambi i successi per club vanno ai bresciani dell’Atletica Paratico. Tra gli uomini con 1131 punti davanti ai campioni uscenti del Cambiaso Risso Running Team Genova (1105) e al Gs Orecchiella Garfagnana (1043). Anche al femminile l’ordine di classifica è lo stesso per i primi due posti: Atletica

Paratico a quota 859 seguita dalle donne del Cambiaso Risso Running Team Genova (831), terza l’Atletica 85 Faenza con 824 punti. Tre atleti si confermano nella propria fascia di età: netta l’affermazione della maratoneta azzurra Emma Quaglia (Cambiaso Risso Running Team Genova) che domina la prova SF35 come Antonello Landi (Atl. Potenza Picena) tra gli SM40, ma riesce a ripetersi anche Enrica Carrara (Atl. Lumezzane) nella categoria SF50. Molto combattute le gare, come la SM50 vinta da Luca Guatteri (Atl. Malignani Libertas Udine) per lasciarsi alle spalle il campione europeo Valerio Brignone (Cambiaso Risso Running

Team Genova) e quella SF45 in cui la pluricampionessa mondiale master Simona Prunea (Gs Orecchiella Garfagnana) precede l’ex azzurra e tricolore assoluta Patrizia Tisi (Atl. Paratico). L’unico successo individuale per il club campione d’Italia porta la firma di Franco Torresani, o meglio don Franco, il sacerdote della corsa in montagna, che si aggiudica il titolo SM55. Il risultato più importante di giornata è stato naturalmente stabilito da Emilio Giribon, che ha conquistato il titolo nazionale della categoria M80. Atletica Virtus CR di Lucca, organizzatrice dell’evento, esprime attraverso le parole del presidente Caturegli: <<Il tempo è stato inclemente, ma la macchina organizzativa ha saputo reggere e gli atleti di Cross sono abituati ai rovesci metereologici. Purtroppo la neve e la pioggia costante dei giorni scorsi hanno reso tutto più difficile, ma ad ogni atleta a fine gara è stato garantito un bagno caldo e la premiazione si è svolta nella nostra palestra coperta al campo scuola Moreno Martini. Per cui possiamo dire che nonostante tutto la giornata è riuscita nel migliore dei modi. Un ringraziamento speciale va a tutto il nostro personale ad ogni livello, che per giorni hanno lavorato sotto la neve e la pioggia per far si che la manifestazione riuscisse nel migliore dei modi>>. Una soddisfazione condivisa anche da Gerardo Vaiani Lisi, consigliere nazionale FIDAL e responsabile del settore Master Italiano, che interrogato dal collega de La nazione sulla possibilità di tenere a Lucca l’edizione Europea dei Campionati di Cross Master 2019 si è detto molto favorevole: <<Siamo piacevolmente impressionati dalla città di Lucca e dalla capacità organizzativa della Virtus, che già in passato aveva dato prova di saper gestire manifestazioni di grande respiro nel migliore dei modi. Dopo questa ulteriore conferma, Lucca è sicuramente un candidato credibile per futuri eventi di calibro europeo, possibilità che verrà sicuramente discussa nei prossimi mesi nelle sedi adeguate>>.

SPIRIDON/11 Il racconto del mese

"Le balene cantano". Quando mi viene in mente mi domando se questo fatto sia realmente accaduto. È la più

clamorosa sciocchezza nella quale io mi sia mai imbattuta, non sono molte quelle che rammento ma questa non posso dimenticarla.

Sono un'attempata maestra in pensione, ma non così vecchia da non rendermi conto che certi languori sopraggiungono inevitabilmente con l'età. Il ricordo di tutti quei bambini riaffiora spesso, in fondo sono quelle imberbi creature che hanno riempito con la loro vitalità la mia vita. Questa affermazione potrebbe apparire eccessiva ma ognuno vive e considera le cose secondo la propria natura e per quanto mi riguarda è andata proprio in questo modo, visto che non ho mai avuto una famiglia mia, un compagno, dei figli, dei nipoti. Nessuno insomma, tranne loro. Sono troppe le fisionomie che nel corso degli anni si sono accumulate nella mia mente, ora mi appaiono quasi indistinte tranne una: quella di una bambina. Ogni volta che penso a lei finisco per aprire un cassetto, afferrare una cartelletta di cuoio, sciogliere i suoi nastrini annodati e prendere il foglio di protocollo che c'è all'interno. È da tempo che non riesco a iniziare la lettura di quella grafia fitta e minuta, così finisce come al solito: ripongo lo scritto nella cartelletta e richiudo il cassetto pensando che il mio non è un comportamento razionale. Dovrei convincermi di quanto sia assurdo provare sensi di colpa per una vicenda nella quale il mio ruolo è stato assolutamente marginale. Sarà merito del bel tempo primaverile di questa mattina ma è strano come, a volte, si acquisisca tutto ad un tratto la consapevolezza di poter fare qualsiasi cosa, come ad esempio trovare il coraggio di rileggere quel foglio di protocollo ingiallito. Si tratta di un tema scritto da una bambina di dieci anni, un compito che diedi da svolgere a una mia classe di quinta elementare molti anni fa.

Elodie era un tipo molto particolare. Il padre, francese, dopo il divorzio da sua madre era ritornato in Francia, si era risposato e la bambina era stata affidata alla madre. Un rapporto tormentato quello di Elodie con suo padre; dal momento che i loro incontri avvenivano raramente per via della distanza, i suoi stati d'animo risultavano spesso imperscrutabili. Nel corso dei colloqui con sua madre, mi accorsi di quanto quella bambina soffrisse la mancanza del padre, indubbiamente più di quanto quella donna immaginasse o forse più di quanto lei fosse disposta ad accettare.

Il sibilo insistente proveniente dalla cucina mi distoglie momentaneamente da questi pensieri. Il tè è già nel

filtro della teiera, devo solo versare l'acqua bollente e lasciare che prenda colore. La bevanda è pronta, la verso nella tazza, porto il vassoio sul tavolino del soggiorno, apro il cassetto,

prendo la cartelletta di cuoio e mi metto gli occhiali. Tema: " Raccontate un episodio recente che vi ha particolarmente colpiti " Come descrivere una giornata cominciata bene e finita nel peggiore dei modi? - Mi sono appena alzata e sono di buon umore: oggi vedrò il mio papà. Aspettavo questo momento da quattro settimane e finalmente oggi starò con lui tutto il giorno. Mi porterà sicuramente in qualche bel posto... Forse sul lago e magari pranzeremo in un ristorante lungo la riva, poi di nuovo in giro a passeggiare. Adesso devo fare colazione, poi solo aspettare. Mamma mi sta chiamando e poco dopo mi ritrovo a sgranocchiare cerali immersi nel latte tiepido; non sento neanche quello che lei mi sta dicendo perché sto pensando ad altro, per esempio a come mi vestirò: oggi è una giornata speciale. Entro nella doccia, faccio scendere uno scroscio leggero e mi lascio avvolgere poco alla volta dall'acqua bollente, intanto immagino l'incontro dei miei genitori, anzi al loro "non incontro". Mamma mi farà le solite raccomandazioni al di qua della porta e si allontanerà, quando aprirò troverò papà che mi dirà: «Comment est ma princesse?». Mi sto asciugando i capelli e voglio pensare solo a cose gradevoli perché oggi è una giornata di festa per me. Aspetto seduta sul divano in soggiorno, anche se è troppo presto. E' finita come al solito e cioè che ho dovuto vestirmi come ha deciso mamma. È passata più di un'ora e io sto diventando impaziente... Dovrebbe essere qui... Forse il traffico o un guasto dell'auto, il viaggio è lungo... Ma no, tra poco suonerà il campanello e io non dovrò far altro che gettarmi tra le sue braccia. Il telefono sta suonando. Mi precipito e sollevo la cornetta: «Sono papà...» Perché telefona? Nella sua voce avverto un'esitazione e contrariamente al solito mi parla con il suo buffo italiano. Non rispondo, voglio che sia lui a continuare. «Elodie, ascoltami... Non posso venire, scusa se non ti ho telefonato prima... Proprio non ce l'ho fatta, sono avvenuti dei fatti che mi hanno fatto cambiare programma».

SPIRIDON/12 Cerco di raccogliere le forze per non mettermi a piangere, ora devo parlare con lui attraverso un microfono quando avrei potuto farlo di persona. «Non hai potuto? Ma eravamo d'accordo da tempo... Insomma papà cos'è successo di così importante?». «Sì, è una cosa importante quella che è successa. Sto accompagnando Solange da un professore per una visita medica. Lui ci ha telefonato all'improvviso, non potevamo perdere l'occasione». «Una visita? Lei è ammalata?». «No, direi di no ma ci sono stati dei problemi... Non so come dirtelo... È una cosa bellissima comunque!». «Bellissima? Ma cosa...». «Insomma, se tutto va bene tra qualche mese avrai un fratellino o una sorellina!». L'acqua gelida dell'inizio è diventata grandine ma non devo darlo a vedere. Proprio non ci riesco a fingermi lieta, i mobili girano per la stanza e l'unica cosa che mi riesce di fare è riagganciare. Mi lascio cadere sul divano e fisso il vuoto, poi sento la voce di mamma: «Cos'è successo? Non viene?». - Elodie Blanchet - Classe Quinta Ripongo il foglio e mi accorgo del tremore alle mani, poi mi domando: si poteva evitare quello che avvenne? Tutte le volte che rileggo questo tema mi ripeto che ero solamente un'insegnante elementare, che quando parlavo con la madre di Elodie cercavo di farle capire le silenti richieste d'aiuto che sua figlia lanciava inconsciamente. Elodie Blanchet si tolse la vita una gelida mattina di febbraio, gettandosi da una finestra dell'ultimo piano della scuola media dove frequentava il primo anno.

Bevo il tè e rimango a lungo a fissare l'anello ambrato che il liquido ha lasciato sul bordo della tazza. Poi mi alzo e riporto il vassoio in cucina.

Penso proprio che oggi farò una lunga passeggiata e... Che sciocca! Stavo dimenticando! Un giorno un bambino di seconda scrive sul suo quaderno: "Le balene cantano", io gli domando da chi lo

ha saputo e lui mi risponde: «L'ho letto sul vocabolario!». Gli rispondo maternamente: «Non è possibile che le balene possano cantare caro, faranno tante altre cose ma cantare proprio no! Lo

capisci vero?». Niente da fare, dal suo sguardo trapela la certezza che le balene sanno veramente cantare. Lo conosco, è

un bambino caparbio, uno che non si arrende. «Domani porto il vocabolario e te lo ficco in testa!», mi urla addosso. La mattina successiva il piccolo arriva in classe accompagnato da suo padre che di mestiere fa

l'agricoltore, si fa passare da quest'ultimo il volume già aperto e indica con l'indice, mentre l'uomo alle sue spalle mi guarda gravemente dall'alto con le braccia incrociate sul petto.

Prendo il vocabolario e leggo: "... le balene dal canto loro si differenziano dai pesci... ".

Ermanno Gelati

FOTO D’EPOCA Il marciatore Ugo

Frigerio conclude i 10.000 metri di marcia alla Olimpiadi di Parigi del 1924

SPIRIDON/13

Sono stati oltre 700 i crossisti che hanno tagliato il traguardo nei campionati nazionali di corsa campestre disputatisi sui prati del Parc des Evaux a Onex in ul di Ginevra in condizioni ambientali abbastanza critiche: Le gare sono state accompagnate da neve abbondante com’era già successo l’anno precedente a Berna. La medaglia d'élite di questi campionati, quella sulla distanza di 10 chilometri è stata vinta da Jonas Raess

campione svizzero nel 5000 in carica col tempo di32’.48” seguito da Adrian Lehmann, maratoneta di rango internazionale arrivato col tempo di 32’.50”. Al terzo posto troviamo Sullivan Brunet (Stade Ginevra) tornato in buona forma dopo un infortunio al piede subito in autunno. Il pompiere stadista ha dato l’impressione di poetrsi imporre ma sulle ultime battute ha dovuto cedere le armi di fronte ai più temprati antagonisti.Tutti in un fazzoletto di pochi secondi. Sorpresa sulla gara lunga femminile (8 km), con la vittoria di Nicole Egger (LV Langenthal). Questo è il sui primo titolo di élite nazionale per le corse regolari svizzere, già medaglia

d'argento nei 3000m indoor due settimane prima a Macolin. In seconda posizione troviamo col tempo di 31’ e 22” la nazionale Flavia Stutz (LR Gettnau) mentre il bronzo è stato conquistato con merito da Christine Muller in 31’.31”. Il tempo della vincitrice è stato di 31’.22”.. Bella bagarre nel cross corto maschile (3 km) tra i due compagni di squadra Hochstrasser (BTV Aarau), campione svizzero lì due settimane nel 1500, e Luca Noti (STB), vincitore di 3000 m. Con una vittoria finale con tre secondi di vantaggio per Hochstrasser. Il giovane Bernese Marc Bill completa il podio mancando il suo compagno di club sulla linea. Il miglior Romand, Yan Volery (SA Bulle) si classifica all'8 ° (7 ° campionato svizzero). Nel gross corto femminile (3 km), vittoria per l'ex campione svizzero 1500 Lisa Kurmann davanti ad una Delia Sclabas non ancora al top della forma e Stefanie Barmet. Come Hochstrasser, la Kurmann ha vinto la sua terza medaglia svizzera in due settimane dopo le due conquistate negli indoor. Fra le master affermazione della ticinese Simona Lazei (GAD) prima seguita da Chantal Pape e Carmen Vallat. Fra gli uomini da segnalare il terzo posto dell’italiano Piero Panozzo.

SPIRIDON/14

“La Reggina e i suoi calciatori sopravvissuti alle foibe”

Il giorno 10 febbraio, in ossequio alla Legge istituita dalla Repubblica nel 2004 , si celebra la giornata del ricordo delle vittime delle foibe e alla commemorazione degli esuli giuliano-istriano- dalmati scampati dalla pulizia etnica titina. Sono diversi i personaggi sportivi scampati a questa tragedia, nonché i figli di molti esuli, alcuni di loro nati durante le persecuzioni. Fra questi ricordiamo il pugile Nino Benvenuti, l’atleta Abdon Pamich, il corridore di Formula 1 Mario Gabriele Andretti, l’ex fiorettista Margherita Granbassi, i tennisti Orlando Sirola e Giovanni Cucelli, il campione olimpico di canottaggio Agostino Straulino, Giorgio Oberweger, medaglia di bronzo del ‘Disco’, il cestista Cesare Rubini, il corridore Ottavio Missoni, il calciatore del ‘ Grande Torino’ Ezio Loik, il campione di pentathlon Roberto Roberti.

Anche la Reggina, nel corso della propria storia, annovera calciatori scampati a questa tragedia ed un ex calciatore figlio di esuli fiumani. Difatti, nel corso della stagione calcistica 1947/1948, costituisce memoria storica una foto in cui si riconoscono un gruppo di calciatori amaranto propriamente esuli fiumani, fuggiti in tempo, con le proprie famiglie d’origine, ad una persecuzione che li avrebbe visti gettati nelle voragini carsiche. I calciatori in questione sono i seguenti: Bercarich, Bercich, Guardassanich. Il nome di Erminio Bercarich, fra l’altro, risuona come quello di un calciatore che ha lasciato il segno nella storia della Reggina essendo il più prolifico attaccante in 104 anni storia amaranto: ben 71 le segnature suddivise fra gli anni 1945-1949 e fra la stagione calcistica 1958/1959. Di recente l’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria, nell’ambito di una rivisitazione toponomastica di vie adiacenti allo stadio, ha emanato un apposito Decreto di intitolazione di una via proprio all’ex bomber amaranto, già sfuggito all’olocausto anzidetto. Gino Guardassanich, portiere del tempo, nacque a Fiume nel 1922 e dopo un inizio di carriera nel Gradanski Zagabria nel 1940 e successivamente nel Quarnero Fiume, approda in maglia amaranto nel 1947 dopo un esperienza con la Fiorentina. Ad oggi, proprio a Fiume, quartiere Sussak, allo stadio dell’ Orjent, è possibile visitare la statua dedicata a questo grande portiere del passato, individuato con un nomignolo affettivo:“Gard”. La squadra che ha cresciuto l’ex portiere amaranto, Gradjnki Zagabria non è altro che l’antesignana dell’attuale Dinamo Zagabria, affrontata a Reggio Calabria in amichevole nell’anno 2002, in occasione della presentazione di Nakamura. Il Gradjnki, la società calcistica Fiumana e la F.C. Grion Pola sono ricordate, ad oggi, fra le più importanti società calcistiche del tempo che hanno forgiato molti calciatori italo-slavo-croati ( diversi di loro impegnati nelle rispettive Nazionali di calcio). La memoria di un altro calciatore sopravvissuto alla pulizia etnica è ricordata dal figlio, Mario Bercich, rugbista, cittadino di Reggio Calabria: “mio padre nacque a Fiume nel 1924 e nel 1945, dopo la prigionia in Germania a Bertescgaden, rientrò in Italia. Fu chiamato a Torino da altri giocatori fiumani della Juventus (Varglien, Lipizer) ed anche del Torino (Loik). Poi passò all’Asti ed infine venne a Reggio per giocare nella Reggina”.

Per maggiore completezza di informazioni si aggiunge che in quella stessa compagine amaranto militava un gioiello d’eccezione, tale Luigi Bertolini, classe 1904, divenuto campione del mondo con la Nazionale di calcio nel 1934 (non esule, a differenza dei compagni di squadra anzidetti).Calciatori davvero molto giovani, perseguitati nella loro patria e colpevoli solo di essere italiani. Ragazzi giovani che hanno saputo reagire, attraverso lo sport, abbracciando il

SPIRIDON/15 valore della vita contrapposto alla subcultura dell’olocausto, onorando la maglia amaranto e stringendosi al popolo di Reggio che li accolti come figli.

Altro calciatore proveniente da una famiglia fuggita dalla persecuzione titina è Livio Manzin, classe 1956, roccioso calciatore della Reggina degli anni settanta. Unitamente a Missiroli ed Elvy Pianca costituiva l’ossatura di una delle compagini più forti della categoria del tempo, a cui la promozione nella serie cadetta è sfuggita solo per un soffio. Il calciatore Livio Manzin risulta essere, ad oggi, l’unica memoria storica vivente in relazione ai calciatori anzidetti. Il pensiero della Reggina verso il calciatore Livio Manzin si manifesta attraverso il portavoce, capo ufficio stampa della società dello Stretto, Dott. Giuseppe Praticò: ”la società Reggina 1914 saluta con affetto e stima il calciatore Livio Manzin e lo ringrazia per la disponibilità ad eventuali, futuri eventi a tema”.

Lo sport e il calcio non sono fenomenologie sganciate dal contesto sociale, ma ne creano un tutt’uno. Pertanto, la società Reggina 1914, da sempre attenta al territorio, sensibile al sociale ed al rispetto dei valori etici, sulla base delle ricerche storiche illustrate in tale pezzo, intende ricordare tutti gli atleti che hanno vestito la maglia amaranto, già risparmiati dal predetto genocidio, nonché estendere il saluto ai discendenti in maglia amaranto tuttora in vita in città.Nel nome dei valori che contraddistingue la nostra storia, abbracciando la deontologia dello sport contro ogni forma di oppressione umana.

Per maggiore completezza sulle preziose e certe fonti storiche fornite riguardo i predetti calciatori esuli giuliano-dalmati che hanno indossato la maglia amaranto, si ringrazia il Dott. Alessandro Lancellotti, Professore di Storia, nonché storico del calcio e della società calcistica Vicenza Calcio.

Domenico Romeo (p.g.c.)

nel centenario della Grande Guerra

Una bella storia quella degli atleti‐soldato che è stata più volte ricordata, e non solo in Italia, basti pensare agli scritti di Pierre Arnaudo di Arnd Krüger e Michael Krüger . Elias e Dunning devono aver preso spunto proprio dall’analisi dei campi di battaglia dell’Ottocento e poi della prima guerra mondiale per formulare la loro teoria della sublimazione degli istinti aggressivi nello sport, avendo di fronte entrambe le tipologie: quella dei campioni che avevano travasato la loro energia nell’assalto guerresco e di eroi soldati che erano stati anche sportivi. Anche lo sport italiano schierò in massa i suoi uomini a favore dell’interventismo, a partire da alcune figure che occupavano posti‐chiave nei ruoli dirigenziali. Un nome per tutti: quello di Carlo Montù, tra i primi piloti italiani feriti in un’azione di guerra in Libia, pluridecorato della prima guerra mondiale. Montù era stato colui che aveva riunito a Montecitorio il 9‐10 giugno 1914 i componenti di quel Comitato Olimpico di cui si diceva e di cui sarebbe poi stato futuro presidente. Montù, che all’epoca era anche

membro del Cio, oltre che presidente della Federazione Canottaggio, di quella del Calcio e dell’Aero Club d’Italia, nonché consigliere della Federazione Scherma e della Lega Aerea Nazionale, diede vita a un Comitato Olimpico permanente che sarebbe stato riconosciuto dal Cio nel 1915. Ma dall’intero mondo sportivo giunse un gran numero di caduti in armi. Si ipotizza una cifra complessiva intorno alle 500 unità su quasi un milione e mezzo di caduti militari, tra atleti, dirigenti e giornalisti. I loro nomi compaiono nei 28 volumi dell’Albo d’oro dei caduti per la Patria conservati negli Archivi dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (Aussme). I tratti principali della ricerca svolta fin qui in Italia si mostrano ampi e in particolare riferiscono di atleti di fama che sono stati

SPIRIDON/16 validi soldati non solo per la loro prestanza fisica, ma anche per il loro spirito guerriero e per la volontà alla lotta ispirati dal loro agonismo, trasformato in generoso eroismo. Sui campi della Grande Guerra coraggio e preparazione atletica si rivelarono doti non di rado preziose, rendendo molti soldati veri e propri eroi, ma anche trasformando alcuni valenti sportivi in

eroi militari, consegnati per sempre alla memoria futura. È il caso di Nazario Sauro, marinaio, ufficiale della Regia Marina italiana ed eroe nazionale decorato di Medaglia d’oro, ma anche sportivo, appassionato di vela e promettente canottiere, fino a ricoprire un posto direttivo come consigliere del Club Canottieri Libertas di Capodistria, sua città natale; o dell’irredentista Giovanni Raicevich, il focoso lottatore, campione europeo nel 1905, campione argentino l’anno successivo, campione mondiale nel 1907 e di nuovo nel 1909. Triestino, allo scoppio della Grande Guerra ottenne la cittadinanza italiana e si arruolò nel Corpo Nazionale Volontari Ciclisti Automobilisti, ben sapendo che sul suo capo pendeva l’accusa di alto tradimento per essersi sottratto al servizio militare in Austria. Combatté con coraggio sui monti Podgora e Sabotino, nel Trentino,

sull’Isonzo e sul Piave, ricevendo anche un encomio solenne alla presa di Gorizia; fin quando, avverando il sogno della sua vita, poté finalmente sventolare il tricolore sulla sua Trieste liberata, il 3 novembre 1918. Bersagliere ciclista fu anche Carlo Oriani: già ciclista pluripremiato nell’anteguerra, egli non esitò, allo scoppio del conflitto, a mettere da parte le corse per tornare a vestire la divisa di bersagliere ciclista combattendo a Plezzo, Vermegliano, Doberdò e Selo. Pur non essendovi conferme ufficiali, le sue biografie narrano che negli ultimi giorni di vita, durante la ritirata di Caporetto, si gettò nelle acque del fiume Tagliamento (secondo alcune versioni il fiume sarebbe il leggendario Piave) per salvare alcuni commilitoni in difficoltà. A causa del generoso gesto si ammalò di polmonite e venne inviato all’ospedale di Caserta, dove morì il 3 dicembre 1917. E ancora, Nedo Nadi, forse il più grande atleta olimpico nella storia della scherma italiana, pluridecorato con la medaglia d’oro e tutt’ora detentore di record insuperati. Partecipò alla Grande Guerra arruolato nel 14esimo Reggimento cavalleria "Alessandria", uno dei più prestigiosi del Regno

d'Italia. Prese parte alle

operazioni di guerra nell’area nord‐orientale d’Italia (Isonzo, Tagliamento, Caporetto), fino alla liberazione di Trento il 3 novembre del 1918, che gli valse la medaglia di bronzo al valor militare. Nedo fu dunque tra quelli che salvarono la vita e ai giochi Interalleati di Joinville‐le‐Pont del 1919 vinse l’oro nel fioretto individuale e l'argento a squadre oltre all'oro nella sciabola a squadre, denunciando una supremazia della scuola italiana che si riconfermerà alle Olimpiadi di Anversa del 1920. Molti gli eroi‐sportivi caduti,

anche tra i calciatori. Tra tutti si può ricordare Virgilio Fossati, 10 volte nazionale (6 da capitano), protagonista della prima partita disputata dalla Nazionale italiana il 15 maggio 1910 a Milano. E come dimenticare, infine, la leggendaria figura di Enrico Toti, l’eroe per eccellenza, che, pur senza una gamba, compì un'incredibile avventura in sella alla sua bicicletta tra Europa e Africa prima di approdare alle colline del Carso che gli furono fatali? E poi Nazario Sauro, canottiere della Libertas Capodistria ed esperto di vela, Cesare Battisti ginnasta e molti altri mitici eroi della Grande Guerra che erano stati sportivi in tempo di pace prima di immolarsi eroicamente per la patria.