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1 UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari Corso di Laurea in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio Montano NUOVE FORME DI ALLEVAMENTO PER LA MELICOLTURA DEL FUTURO Relatore: Tesi di Laurea di: Prof. Lucio Brancadoro Enrico Marchignani Matricola n. 812152 ANNO ACCADEMICO 201558v9)P))h522494PP)50079(P4))51179(

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO

Facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari

Corso di Laurea in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e

del Territorio Montano

NUOVE FORME DI ALLEVAMENTO PER LA

MELICOLTURA DEL FUTURO

Relatore: Tesi di Laurea di:

Prof. Lucio Brancadoro Enrico Marchignani

Matricola n. 812152

ANNO ACCADEMICO 2015 2016

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SOMMARIO

INTRODUZIONE.......................................................... 5

CAPITOLO PRIMO

LE ROSACEE............................................................ 7

1.1 Il melo............................................................ 8

1.1.1Classificazione botanica.................................... 8

1.1.2Morfologia................................................... 9

1.1.2.1Albero................................................ 9

1.1.2.2 Rami................................................. 9

1.1.2.3 Foglie................................................ 10

1.1.2.4 Gemme.............................................. 10

1.1.2.5 Fiore.................................................. 10

1.1.2.6 Frutto................................................. 10

1.1.3 Storia......................................................... 11

1.1.4 Storia dell’allevamento in Italia........................... 14

1.1.5 Melicoltura estensiva....................................... 17

1.1.6 Melicoltura intensiva........................................ 18

CAPITOLO SECONDO

FORME DI ALLEVAMENTO............................................ 21

2.1 Forme di allevamento in volume............................ 26

2.1.1 Vaso......................................................... 26

2.1.1.1 Vaso regolare....................................... 26

2.1.1.2 Vaso semplificato.................................. 27

2.1.1.3 Vaso ritardato...................................... 28

2.1.1.4 Vaso Oeschberg.................................... 29

2.1.2 Piramide..................................................... 29

2.1.2.1 Piramide a palchi.................................. 29

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2.1.2.2 Piramide spiralata.................................. 30

2.1.2.3 Piramide Oeschberg................................ 30

2.1.3 Fuso........................................................... 30

2.1.3.1 Fusetto (Spindle)................................. 31

2.1.3.2 Fusetto libero................................... 32

2.1.3.3 Fusetto per cultivar spur di melo.............. 33

2.1.3.4 Fusetto slanciato................................. 33

2.1.3.5 Fusetto basso o cespuglio....................... 33

2.1.4 Solaxe....................................................... 34

2.1.5 Sistema a Y (Tatura Trellis)................................ 40

2.1.6 Sistema a V................................................... 41

2.1.7 Lincoln Canopy............................................... 42

2.2 Forme di allevamento appiattite............................. 42

2.2.1 Palmetta...................................................... 43

2.2.1.1 Palmetta regolare a branche oblique........... 44

2.2.1.2 Palmetta anticipata................................ 44

2.2.2 Sistema a drapeau......................................... 45

2.3 Le moderne forme di allevamento in melicoltura...... 46

2.3.1 Il Bibaum.................................................... 47

2.3.2 Il Multiasse................................................... 53

2.3.2.1 Meleto semi pedonabile/pedonabile............ 57

CAPITOLO TERZO

NUOVE TECNICHE DI GESTIONE DEL MELETO..................... 63

3.1 Il diradamento meccanico..................................... 63

3.2 La potatura meccanica........................................ 69

3.3 Le reti multifunzionali......................................... 73

3.4 Diserbo meccanico e gestione dell’interfilare............ 76

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CAPITOLO QUARTO

METODO LOUIS LORETTE............................................. 81

4.1 Significato dei termini........................................... 81

4.2 Scelta delle piante di melo................................... 82

4.3 Fattori che contribuiscono alla fruttificazione............. 82

4.4 Regole di potatura con il metodo Lorette.................. 83

4.5 Le pratiche della potatura.................................... 83

4.6 Principali pratiche di potatura............................... 86

4.7 Potatura di Agosto e Settembre.............................. 86

CONCLUSIONI......................................................... 88

RINGRAZIAMENTI..................................................... 101

BIBLIOGRAFIA – SITOGRAFIA....................................... 103

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INTRODUZIONE

Questo lavoro rappresenta l’esperienza di tirocinio svolta, durante il corso di

laurea triennale in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio

Montano che mi ha reso partecipe alle indagini volte alla valutazione dei

moderni sistemi di allevamento del meleto e all’applicazione delle tecniche

necessarie alla sua gestione, presso l’azienda sperimentale Maso delle Part

della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (TN). L’azienda ha

una superficie coltivata di 10,70 ha, suddivisi in molte parcelle, con indirizzo

frutticolo a scopi sperimentali con prevalenza di meli, ma anche di peri e

ciliegi.

L’obiettivo principale nella coltivazione della mela, oltre ad aumentare la

produttività e la qualità, è quello di aumentare la sostenibilità economica ed

ecologica riducendo l’uso di prodotti chimici.

Lo scopo è quello di illustrare le forme di allevamento del melo partendo

dalle forme in volume (vaso, piramide, fuso, solaxe) fino ad arrivare alle

forme appiattite nel quale si trovano in sperimentazione i multiasse

semipedonabili/pedonabili “Doppio Guyot” presso la suddetta azienda.

In altre zone del mondo, come la Cina, nei sistemi intensivi ancora oggi si

trovano meleti formati da chiome con complesse strutture, con tre livelli di

organizzazione: il fusto principale, la struttura secondaria con rami robusti ed

i rami più corti con portamento legnoso. In esse, ovviamente, si cerca di

mantenere i frutti con la potatura invernale sulla parte periferica della

chioma per ottenere miglior qualità.

Nelle forme di allevamento appiattite o nelle moderne forme di allevamento

del melo si tende a mantenere sempre la struttura primaria, mentre per la

struttura secondaria, si è sperimentato che l’albero non necessita di questa,

perché lo porterebbe ad assumere forme voluminose con un ampiezza di

chioma molto accentuata, oggi non più sostenibile. La struttura primaria

legnosa rimane solamente su gli assi verticali in modo corto, priva di curve e

coperta da germogli fiorali che rivestono completamente il tronco.

I grandi rami causano ombreggiatura di fruttificazione ed hanno bisogno

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dell’operazione di estinzione delle gemme (extinction), di abbondante

potatura invernale a 3 gemme: tutte queste operazioni rendono più

difficoltoso il rinnovamento del legno fruttifero e ostacolano, ove è

consentito, qualsiasi tipo di meccanizzazione come i carri raccolta, il

diradamento meccanico e la potatura meccanica.

Quindi le chiome strette e piatte possono essere ottenute o con processi di

de strutturazione dal normale spindle oppure con la messa a dimora di piante

biasse (Bibaum), preformate in vivaio, dal quale si possono costruire in campo

più assi anche con la tecnica “Doppio Guyot” per ottenere impianti semi

pedonabili e pedonabili. Queste chiome, con profondità non più di un metro,

danno una miglior distribuzione della luce all’interno, e anche in luoghi con

climi caldi come il Cile possono essere applicate grazie alle nuove reti

multifunzione che prevengono la scottatura dei frutti con la loro modalità

ombreggiante.

Pertanto, si può affermare che le tecniche di coltivazione possono creare

differenti chiome in alberi geneticamente identici.

Mentre le forme a spindle raggiungono il loro massimo raccolto intorno al 4^

anno di produzione con una densità d’impianto superintesiva (5.000/6.000

piante ad ettaro) le forme multiasse con una modesta densità d’impianto

(circa 2.000 piante ad ettaro) continuano ad aumentare la produzione il 5/6

anno a scapito di una precoce messa a frutto nei primi anni ma ricompensata

da un minor investimento iniziale. L’ampiezza e l’altezza degli alberi può

essere facilmente ridotta con la potatura estiva “Lorette” per ottenere

impianti semi pedonabili (2,80 metri) o pedonabili (2,30 metri).

Nella gestione delle forme in parete viene ridotta notevolmente la

manodopera ad ettaro ogni anno per facilitare lo svolgimento delle operazioni

colturali nelle suddette chiome, in questo modo si ha anche una migliore

funzionalità nell’apertura e nella chiusura delle reti mono assiali multi

funzionali con la possibilità di effettuare trattamenti con tecniche

d’avanguardia ed il diserbo con pratiche meccaniche entrambi più rispettose

per l’ambiente e conseguentemente più sostenibili.

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CAPITOLO PRIMO

LE ROSACEE

La famiglia delle rosacee include circa 2000 specie distribuite soprattutto

nelle regioni temperate dell’emisfero boreale, che si spingono dalla costa

americana del Pacifico fino all’emisfero australe. Questa comprende piante

legnose ed erbacee con apparato vegetativo provvisto di foglie sparse con

stipole, fiori pentameri, ciclici, con 4 sepali, con 4 7 petali un certo numero

di stami, un certo numero di carpelli formanti un ovario seminifero (Fig. 1.1).

Le notevoli differenze all’interno

della famiglia hanno condotto ad una

suddivisione in sottofamiglie. Le

Spiraeoideae sono formate da un

ricettacolo quasi piano e un gineceo

formato da carpelli. Nelle Rosoideae

i carpelli sono sostenuti da un talamo

piano o concavo. Il frutto è una mora

formata da tante piccole drupe, nel

rovo (Rubus ulmifolius) e nel lampone

(Rubus idaeus); è un cinorrodio, quando numerose nucule si affondano nel

ricettacolo a coppa (Rosa). Nelle

Pomoideae (Fig. 1.2) i carpelli, contenuti

in un talamo cavo e saldati ad esso, sono in

numero di 2/5 e contengono molti ovuli. Il

frutto è il pomo, in cui la parte carnosa è

formata dal ricettacolo avvolgente. Nelle

Prunoideae è presente di solito un solo

carpello ed il frutto è rappresentato dalla

drupa, che può essere carnosa come nel

pesco (Prunus persica) o membranacea

come nel mandorlo (Prunus dulcis). La fecondazione di norma avviene in tutte

Figura 1.1: fiore del melo

Figura 1.2: Pomoideae

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le sottofamiglie per entomogamia. L’importanza economica delle Rosaceae è

rilevante. Basti pensare che buona parte della frutta che si consuma nella

regione mediterranea proviene da specie appartenenti a questa famiglia. Tra

le specie più diffuse ricordiamo il melo (Malus Domestica), il pero (Pyrus

communis), il nespolo del Giappone (Eryobotrya Japonica), il pesco (Prunus

persica), il mandorlo (Prunus dulcis), l’albicocco (Prunus armeniaca), il susino

(Prunus domestica), il ciliegio (Prunus avium), la fragola (Fragaria Vesca) e il

lampone (Rubus idaeus). Alcune rosacee sono diffuse come piante ornamentali

del genere Rosa.

1.1 Il melo

1.1.1 classificazione botanica

Il genere Malus appartiene alla famiglia delle Rosacee, sottofamiglia

Pomoideae. Le specie primarie sono suddivise in 5 sezioni (Malus, Sorbomalus,

Eriolobus, Chloromeles, Docyniopsis), la più importante delle quali è la

sezione Malus suddivisa in tre subsezioni (Pumilae, Sieboldinae, Kansuenses).

Pumilae e Sieboldinae comprendono le specie che hanno contribuito alla

selezione delle varietà coltivate oggi, classificate sotto la specie Malus x

domestica Borkh. Le prime specie nordamericane appartengono sia alla

sezione Malus, subsezione Kansuenses (Malus Fusca) sia alla sezione

Chloromeles (Malus angustifolia, Malus coronaria, Malus ioensis). Il numero

cromosomico del melo è n= 17 che deriverebbe per anfiploidia da due

ancestrali, uno a numero cromosomico n= 8 e uno a numero cromosomico n=9.

La maggior parte delle specie sono diploidi (2n=34), alcune possono essere

anche triploidi (Malus Domestica) e tretaploidi (Malus domestica, Malus

baccata, Malus spectabilis). La Malus coronaria è triploide, ma può essere

anche tretaploide. Alcune specie sono apomittiche, cioè in grado di formare

l’embrione diploide senza fecondazione, come Malus hupehensis, Malus

sikkimensis, Malus sargentii, Malus toringoides e Malus coronaria.

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1.1.2 Morfologia

1.1.2.1 ALBERO

Le tipologie dell’albero del melo sono diverse, ma le più comuni,

caratterizzanti le varietà coltivate, sono l’eretto, l’espanso e il pendulo. La

forma della chioma dipende dall’angolo di inserzione delle branche primarie

sul tronco e delle branche secondarie su quelle primarie, ma anche dalla

vigoria e dalla frequenza dei diversi tipi di rami a frutto. Le piante da seme

sono caratterizzate da una fase giovanile variabile dai 4/5 anni fino a 7/8

anni, in cui le piante sono

spinescenti, hanno foglie

piccole e non differenziano

gemme a fiore. La corteccia

dei rami è di colore rosso

bruno, liscia e con lenticelle

ben evidenti.

1.1.2.2 RAMI

Sono le formazioni assili di

un anno, massimo due, derivanti dai germogli modificati (Fig. 1.1.2.2.1). Si

differenziano in rami a legno quando sono provvisti solamente di gemme a

legno e in rami a frutto, quando sono provvisti sia di gemme a legno che di

gemme a fiore. Particolari tipi di rami a legno sono i succhioni originati da

gemme avventizie o gemme latenti presenti sulle branche e i polloni originati

dalle radici o dal colletto. I rami a frutto del melo sono il brindillo, la

lamburda, la borsa e il ramo misto. Il brindillo è un piccolo ramo, lungo dai 10

ai 30cm, di solito con gemma apicale mista e gemme laterali a legno. La

lamburda si differenzia in lamburda vegetativa (dardo) e in lamburda

fiorifera. La lamburda vegetativa è un ramo molto corto da 1/2cm a 7/8cm,

tozzo provvisto di una sola gemma terminale a legno che nell’anno successivo

evolverà in lamburda fiorifera che ha un gemma terminale mista. Invece, la

borsa deriva dall’ingrossamento della parte basale dell’asse dell’infiorescenza

e porta gemme vegetative che danno origine a dardi, lamburde e brindilli.

Figura 1.1.2.2.1: rami tipici

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1.1.2.3 FOGLIE

Le foglie sono alterne, di colore verde intenso, di forma variabile da

cordiforme a obovata e di varie dimensioni. Il margine può essere crenato,

dentato o seghettato. La pagina superiore, di solito, è glabra mentre quella

inferiore è tomentosa. Il picciolo ha una lunghezza diversa secondo le varietà.

1.1.2.4 GEMME

Nel melo si trovano due tipi di gemme: a legno che sono più piccole e

appuntite e miste che sono più grandi e tondeggianti. Le gemme miste

contengono l’apice vegetativo e i primordi dei fiori.

1.1.2.5 FIORE

È di solito perfetto formato da un calice con 5 lobi e da 5 petali di colore

bianco o bianco rosato, ma anche rosa o rosso, di forma e dimensioni diverse.

Gli stami sono in numero di 15 20 con antere di colore giallo, l’ovario è

infero, suddiviso in 5 logge contenenti ciascuna due ovuli e provvisti di 5 stili

filiformi con stigmi di colore giallastro. Il numero di carpelli è inferiore a 5

fino a un minimo di 2 (Malus fusca). I fiori variabili da un numero di 4 a un

numero di 9 sono riuniti in un corimbo provvisto di una rosetta di foglie. La

fioritura del corimbo inizia dal fiore centrale, dura 10 15 giorni e avviene nel

mese di aprile. Le cultivar triploidi (Renetta del Canada, Bella di Boskoop,

Stayman) producono poco polline con bassa germinabilità, per cui non sono

utilizzabili come impollinatori.

1.1.2.6 FRUTTO

Il frutto commerciale del melo è un falso frutto, detto pomo, che deriva

dall’accrescimento del ricettacolo fiorale ed è formato da un epicarpo, da un

mesocarpo polposo di colore bianco o bianco crema, raramente giallo e rosso

vino, e da un endocarpo coriaceo formato da 5 logge, avvolte da 5 carpelli,

contenenti 2 semi ciascuna. All’esterno si distinguono una cavità peduncolare

e una cavità calicina. Degli elementi di classificazione sono la posizione e la

morfologia della parte centrale del frutto (cuore). Le principali forme del

pomo sono: la sezione longitudinale (appiattito, ellissoidale, sferoidale,

tronco conico oblungo, tronco conico breve) e sezione trasversale (circolare,

costoluto, irregolare solcato).

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1.1.3 Storia

Già dall’antichità il melo era

presente selvatico o coltivato in

un’ampia area compresa tra il Mar

Caspio e l’oceano Atlantico. In

Europa nomi di cultivar appaiono

già nel I°secolo a.C.. Secondo lo

scienziato Valivov la sua origine è

esattamente in Kazakistan nella

parte confinante con la Cina ossia

Turkmenistan, Uzbekistan,

Tagikistan, Kirgizistan. Dopo la colonizzazione romana la sua coltivazione si

diffuse in Europa e in Asia. Prevalentemente esistevano forme selvatiche che

ancora oggi si possono trovare come la Malus sieboldiana (Fig. 1.1.3.1). In

America si diffuse solo dopo 2.000 anni dalla comparsa in Europa. Anche qui si

possono trovare ancora forme selvatiche come Malus docyniopsis. Infatti i

primi coloni trovarono inizialmente solo i crab apples destinate alla

produzione esclusivamente di sidro. Solo successivamente ci fu la prima

spedizione di semi di cultivar europee nel

Massachussets. Lungo il Danubio esistevano

fin dal VII^/VI^ millennio a.C. forme

selvatiche di melo utilizzate da Illiri e Celti

e coltivate nei territori che oggi

corrispondono all’Austria. I Celti

coltivavano questa specie in foresta,

mentre gli antichi sacerdoti celtici

consideravano il melo un albero sacro. In quasi tutta Europa sono state

ritrovate tracce della presenza di questa Rosacea nei villaggi palafitticoli, a

testimonianza dell’uso della mela nell’alimentazione in tempi preistorici.

Molte regioni italiane possono essere ricordate per la sua coltivazione fin

dall’antichità, infatti una varietà antichissima è Mala orcula per la sua

provenienza da Pozzuoli zona famosa per le solfatare e definita da Plinio il

Figura 1.1.3.1: forma selvatica Malus sieboldiana

Figura 1.1.3.2: mela rosa dei Monti Sibillini

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Vecchio l’ingresso degli Inferi. Con il tempo si arrivò al nome definitivo ancora

in vigore: “Annurca”. Anche nelle vallate pedemontane delle Marche si

coltivava la mela rosa dei Monti Sibillini (Fig. 1.1.3.2), che prende il nome

forse dalla sfaccettatura rosa della buccia o dal profumo del fiore, simile a

quello della rosa. In Friuli i primi grandi produttori di mele furono i romani

che crearono la prima varietà di mela autoctona friulana. La diffusione della

mela nel territorio veronese risale sempre all’epoca romana: all’inizio

esisteva la coltura delle mele lanate perché ricoperte da una leggera

lanuggine poi nell’epoca romana arrivò anche la tecnica dell’innesto che

portò la diffusione dell’albero da frutta nella campagna romana. Le invasioni

barbariche causarono un decadimento dell’agricoltura che si protrasse per

oltre mille anni. Così l’uomo tornò a mangiare frutti selvatici e preferì

dedicarsi alla coltivazione dei cereali. Fortunatamente, alcuni monaci si

preoccuparono di salvaguardare e migliorare le varietà del periodo romano

sopravvissute alle invasioni barbariche. Soprattutto in Toscana, durante il

periodo rinascimentale, ci fu un forte impulso verso la frutticoltura. Sorsero

frutteti con varietà di pregio e condotti con tecniche innovative. La

melicoltura nelle Alpi si espanse quando i Conti del Tirolo trasferirono la loro

residenza da Merano a Innsbruck. Iniziò così l’esportazione del vino e delle

mele dell’Alto Adige.

La coltivazione del melo, soprattutto in provincia di Trento, assunse per

l’economia locale un’importanza cruciale (Carta di Regola della Villa di

Dardine). Questa regola derivò dalla necessità di limitare il taglio degli alberi

per gli usi domestici, e per salvaguardare la sopravvivenza degli alberi da

frutto, fondamentali per l’alimentazione della popolazione. La coltivazione

della mela proseguì con un’economia locale di sussistenza. I frutteti furono

impiantati in orti o in piccoli appezzamenti. Nel XVIII sec. ci fu un nuovo

interesse per la rinnovazione della pomologia. In quasi tutti i Paesi europei si

sperimentarono nuove specie, si conservarono e si diffusero le migliori varietà

del momento.

Tra la fine del XVIII^ secolo e con la seconda metà del XIX^ la coltivazione

della mela diventa di tipo imprenditoriale. In Friuli già nel 1885 si parlava di

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esportazione, le mele prendevano la strada dell’Europa asburgica e

dell’Egitto. Invece la frutticoltura piemontese nacque nel XVIII^, quando i

contadini oltrepassarono le Alpi in cerca di lavoro; essi importarono dalla

Francia nuovi innesti e nuove tecniche colturali. L’attività frutticola si

espanse sempre di più grazie all’Accademia di Agricoltura, fondata nel 1785 a

Torino. Molto importanti in Piemonte furono nel 1800 i vivai Burdin che con i

loro cataloghi oltre a far conoscere l’ampio assortimento varietale (oltre 800

varietà), indicarono nuove tecniche di frutticoltura. In Trentino invece,

sempre per lo stesso scopo, fu affidato il compito dal 1884 al maestro

ambulante di agricoltura. Successivamente per avere materiale cartaceo da

leggere e approfondire le tecniche di coltivazione, nacque il “bollettino

agrario” grazie al quale fu potenziata l’attività e la presenza sul territorio

dell’Istituto Agrario Provinciale di San Michele all’Adige. Partì inizialmente la

diffusione dei vivai privati, per poi arrivare alla costruzione di un vivaio

centrale curato direttamente dai tecnici. Già nel 1823 in Trentino Alto Adige,

con la fondazione della prima scuola di pomologia a Bressanone e

successivamente nel 1874 con il potenziamento dell’Istituto Agrario di San

Michele all’Adige iniziò la coltura del melo su larga scala. Si organizzarono le

prime e importanti mostre frutticole. Nel 1851 con l’istituzione della camera

di Commercio e Industria, a Bolzano si diffuse la frutticoltura con esposizioni,

sovvenzioni e incentivi agli agricoltori. Aumentò la diffusione della coltura con

il commercio della frutta resa possibile dalla costruzione della Ferrovia del

Brennero nel 1866. Nel 1895 fu formata la prima Società per lo scambio di

frutta trentina che contribuì sostanzialmente a far conoscere la produzione

locale e a diffondere i giusti criteri per la lavorazione e l’imballo della frutta.

I primi del Novecento iniziò la produzione frutticola su larga scala anche nel

veronese. Dal 1950 ad oggi parliamo di frutticoltura moderna, che ha visto e

sta vedendo ancora oggi tecniche di coltivazione e varietà in rapidissima

evoluzione. Per esempio la rivoluzione dei portainnesti nanizzanti,

introduzione di nuove varietà (Golden Delicious, Stark Delicious, Gala e Fuji).

Nella frutticoltura italiana più recente dobbiamo registrare un progressivo

spostamento delle coltivazioni dalle zone di pianura alle pedemontane e

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montane dell’arco alpino che, soprattutto negli ultimi anni, hanno confermato

una vera e propria vocazione per la produzione della mela.

La particolare produzione di mele “Renetta del Canada” nel 1949 spinse, oltre

ad attivare specifiche promozioni e pubblicità, l’adozione di un bollino

adesivo, da mettere sui singoli frutti, che garantisse l’origine e quindi la

bontà delle mele che venivano immesse sul mercato.

1.1.4 Storia dell’allevamento in Italia

Durante il primo periodo della dominazione Romana i frutteti venivano

coltivati nell’hortus, piccola proprietà contadina, in un’economia di

autoconsumo. Nel periodo successivo gli alberi da frutto come il melo

concorrono con le piante ornamentali. Con la decadenza dell’Impero Romano

d’occidente si creò un’agricoltura povera al limite della sussistenza. La

frutticoltura medioevale fu ristretta agli orti dei monasteri o ai giardini dei

castelli fortificati, protetta dai danneggiamenti degli animali o dalle

incursioni dei nemici. Nei giardini patrizi medioevali le piante da frutto

avevano un forte valore decorativo. Gli alberi da frutto (meli, fichi, peri,

ciliegi, cotogni, susini, noci, noccioli) si trovavano piantati, oltre che nei

giardini, ai bordi dei coltivi, nei brolii (orti alberati), nei prati o nei campi e

lungo i margini delle vigne per segnalare i confini. Il “giardino dei frutti”

diventa parte di un giardino più ampio e complesso. Con l’aumentare del

carattere ornamentale e di rappresentanza del giardino, il frutteto diventa

sempre più importante principalmente per le sue funzioni produttive. Infatti il

paesaggio agrario è l’insieme delle opere di bonifica e di irrigazione, delle

sistemazioni dei terreni, necessarie per il loro razionale sfruttamento.

Il paesaggio si estende e si apre verso nuovi orizzonti, verso le colline, spesso

trasformate dalle sistemazioni a ciglioni e poi a terrazze con i ripiani sostenuti

dai muri a secco. In Italia il rinnovamento culturale che interessa l’Europa lo

si può riscontrare nelle ville e nelle tenute dei principi che hanno gran parte

delle terre come proprietà. Il paesaggio si riorganizza in grandi aziende che

impiegano capitali non più solo per opere di abbellimento ma ai fini di un vero

e proprio investimento produttivo. In alcuni poderi si adottano modelli

colturali e varietà presenti in altre nazioni. Vengono effettuate opere di

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bonifica per ampliare le superfici coltivabili, sorgono Accademie Scientifiche e

di Agricoltura che diffondono l’istruzione tecnica. Le conoscenze agronomiche

innovative avviano le sperimentazioni in frutticoltura. Nascono i primi vivai

nei quali vengono allevati nuovi fruttiferi. Nonostante tutto, la frutticoltura

rimane di tipo familiare con produzioni eccellenti dovute per di più alla

rusticità delle cultivar e all’ambiente vocato rispetto alle tecniche.

Nel 1800, con l’unificazione d’Italia, il migliorare delle condizioni economiche

e il progredire dei mezzi di trasporto, fanno aumentare la domanda di frutta.

Così inizia la frutticoltura su larga scala nei territori dell’Alta Val d’Adige con

l’impiego di macchine operatrici. Inoltre con le nuove conoscenze scientifiche

e la formazione di tecnici specializzati si è potuto soddisfare le nuove

richieste. In questi anni le piante di mele vengono innestate su portainnesti

franchi (Fig. 1.1.4.1), molto vigorosi in quanto le piante dovevano superare i

50 anni di età. Perciò i meli vengono lasciati sviluppare liberamente. In tal

modo si contribuisce alla formazione di un paesaggio che fa parte della

melicoltura estensiva. Pure negli orti e nei giardini delle ville e dei castelli il

melo abbellisce l’ambiente. In essi prevalgono forme d’allevamento elaborate

da giardinieri esperti di metodologia francese i quali realizzarono palmette.

Successivamente alla seconda guerra mondiale la frutticoltura si espande

grazie all’orientamento dei consumatori non solamente su beni di prima

Figura 1.1.4.1: melo su portainnesto franco

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necessità come pane e pasta. La melicoltura si localizza inizialmente nella

Pianura Padana e sull’Arco Alpino. Si ha un primato produttivo negli anni ’50

in Emilia Romagna. Però dopo venti anni la produzione di mele si sposta verso

le regioni alpine. Così sono state introdotte nuove varietà, principalmente

americane, che hanno sostituito quelle coltivate da secoli. Le forme di

allevamento, piramide e vaso prima, seguite dalla palmetta sono state

sostituite successivamente dal fuso e dal fusetto. È stata mutata la fisionomia

dei meleti e conseguentemente quella dei paesaggi agrari con l’introduzione

di portainnesti nanizzanti, con l’affinamento delle tecniche di gestione del

suolo, con l’adozione di sistemi di irrigazione a goccia, con l’adozione di

difesa dalle avversità meteoriche e la meccanizzazione spinta di tutte le

operazioni colturali. Concludendo muta il paesaggio: dalla melicoltura

estensiva con piante di grossa taglia, sparse e consociate ad altre colture

agrarie si passa alla coltura intensiva moderna con filari ordinati, media alta

densità d’impianto e piante di dimensioni contenute.

Il paesaggio contiene e mostra la storia di un territorio che è segnato dalle

continue metamorfosi attuate dall’uomo che lo hanno abitato e lo abitano

tutt’ora. Principalmente è il luogo dove si incontra la storia e la natura. La

varietà dei paesaggi esprime le diversità naturali, i patrimoni colturali e

culturali e il modo di vivere e lavorare. In molti di questi paesaggi

“addomesticati” dall’uomo si legge la storia degli alberi da frutto da sempre

considerati utili e belli e che secondo Socrate “ è bello ciò che è adatto allo

scopo”. L’evoluzione della melicoltura verso sistemi intensivi e specializzati

ha determinato l’abbandono di vaste aree, soprattutto quelle svantaggiate dal

punto di vista orografico, un tempo destinate alla melicoltura estensiva.

Questi mutamenti hanno fatto sì che in Europa e soprattutto nel nostro paese

si possono distinguere due melicolture che originano paesaggi agrari

profondamente diversi tra di loro: sistemi estensivi quasi scomparsi o sempre

più rari rimanenti in aree marginali e sistemi intensivi tipici delle zone a

frutticoltura “ricca”. Tutte e due svolgono un ruolo importante nella società

contemporanea. Infatti l’agricoltura non si limita a svolgere ruoli primari ma

deve svolgere sempre più spesso ruoli multifunzionali o pluriattivi, legata alla

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produzione di nuovi servizi per la società, come il mantenimento del

paesaggio e della cultura locale. Occorre infatti che pure i paesaggi di

melicoltura intensiva esprimano la loro valorizzazione con i rispettivi ruoli

multifunzionali. L’ambiente frutticolo offre piacere e salute oltre che

paesaggio. Il viaggiatore che si muove con curiosità e interesse per scoprire le

produzioni del territorio è generalmente disposto ad imparare, ed ecco che le

mele acquistate in un certo posto sono in grado di raccontare la loro storia, di

come sono prodotte e di come e quando devono essere consumate per

gustarle meglio. Infatti le aree melicole sono in armonia con il turismo lento,

attento ai particolari, che si sviluppa in sinergia con il territorio.

1.1.5 Melicoltura estensiva

Nelle aree con orografia meno favorevole, dove da secoli l’ambiente serviva

per ottenere raccolti, anche se non abbondanti, di qualità particolare, sono

presenti ancora cultivar antiche, dai frutti con sapori unici e inconfondibili.

Fin da secoli, sistemazioni a terrazzi o gradoni fatti da muretti a secco e

sentieri precedevano gli impianti con ingegnose opere di canalizzazione. In

questi sistemi gli alberi sono disposti in modo sparso nei prati spesso in

coltura promiscua con altre essenze arboree o consociati con piante erbacee.

Questi paesaggi sono capaci di ricordare le vicende umane, il lavoro, la storia

le tradizioni e generazioni dopo generazioni. Nel caso del melo si tratta di

mele antiche che suscitano interesse e fascinazione. Ma per esigenze

economiche le cultivar autoctone sono state sostituite da quelle commerciali.

Esse hanno buone possibilità di sviluppo e interessanti prospettive di reddito

se vengono inserite in comparti economici particolari, con il recupero di usi

tradizionali e l’individuazione di prodotti innovativi per mercati di nicchia.

Mettendo insieme molte tipicità è possibile consentire la sopravvivenza di

aziende situate in zone interne e marginali, a patto che sappiano trasformare

i punti di debolezza (frammentazione, estensività, orografia) in punti di forza

(tipicità, salubrità, paesaggio).

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1.1.6 Melicoltura intensiva

La totalità dei raccolti proviene da sistemi frutticoli intensivi che

caratterizzano la melicoltura da reddito. In Italia la superficie coltivata a

melo è circa 70.000 ha con

una produzione annua di

circa più di 2 milioni di

tonnellate. Abbiamo sistemi

disposti in lunghi filari, che

formano numerose linee

rette che creano un

paesaggio geometrico (Fig.

1.1.6.1). Gli areali melicoli

italiani più importanti si

trovano sull’Arco Alpino

dove i frutteti sono

incorniciati dalle vette

d’alta quota. I suoli, i

conoidi alluvionali e i depositi glaciali trasportati a valle nel corso di millenni,

sono ricchi di microelementi indispensabili alle funzioni fisiologiche delle

piante. Le valli alpine e le loro vallette laterali sono in grado di fornire ai

frutteti riparo e buona esposizione. I terreni declivi favoriscono lo sgrondo

delle acque e l’intercettazione della radiazione luminosa. L’ambiente

montano migliora le qualità organolettiche delle mele che presentano un

giusto rapporto zuccheri/acidi, polpa croccante e succosa, colorazione più

accentuata; la freschezza notturna riduce la respirazione che consuma gli

zuccheri elaborati attraverso la fotosintesi durante il giorno. L’intensa

radiazione luminosa e gli sbalzi termici giorno/notte accentuano il sovracco

lore della buccia per la presenza di pigmenti colorati (antociani) delle mele

rosse, mentre la bassa umidità atmosferica riduce gli attacchi dei parassiti e

limita gli interventi di difesa fitosanitaria. Le mele di montagna sono, inoltre,

meno rugginose e più intensamente colorate di quelle di pianura, hanno la

polpa più croccante e si conservano meglio. Le regioni dell’arco alpino

Figura 1.1.6.1: paesaggi geometrici che formano numerose linee rette

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Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige certificano e premiano sia la

qualità dei raccolti sia le valenze paesaggistiche dei luoghi di produzione delle

mele. In Piemonte la coltura si sviluppa tra i 250 e 800 m s.l.m., ai piedi della

catena alpina, nello scenario di rara bellezza del Monviso, dove le mele

prendono la denominazione di “mela rossa di Cuneo”. L’areale piemontese

comprende 58 comuni della provincia di Cuneo e 20 comuni della provincia di

Torino con una superficie di circa 1800 ha e una produzione media di circa

70.000 t/ha. In Valtellina la melicoltura risale al Medioevo. Le prime

associazioni di produttori nacquero negli anni 20 del Novecento, a partire

dalla zona di Ponte dove i vigneti vennero convertiti in meleti per contrastare

la crisi della viticoltura. Nel 1992 si costituì il Consorzio di Tutela delle Mele

di Valtellina. La Valtellina si trova nel cuore delle Alpi Retiche e si estende da

Est a Ovest con quote che variano dai 200 m. s.l.m. ai 4.000 m. s.l.m. della

cima del Bernina. I meleti si estendono dai 200 fino ai 900 m di altitudine sul

versante settentrionale e su quello esposto a sud. La produzione delle tre

cooperative più grandi Ponte in Valtellina, Villa di Tirano e Alta Valtellina

ammonta a 30.000t/annui e interessa una superficie di 1.000 ha distribuita su

circa 1.100 piccole imprese.

Invece la mela della Val di Non in Trentino è stata la prima mela italiana ad

ottenere, nel 2003, il marchio DOP. Le mele DOP Val di Non sono prodotte

nell’area limitata della parte Nord Ovest della provincia di Trento a

un’altitudine compresa tra 450 e 900m s.l.m.. A protezione dell’ambiente i

frutticoltori che aderiscono al consorzio di tutela commercializzano le proprie

mele con il marchio Melinda, e devono rispettare sia il disciplinare della

produzione della DOP sia il disciplinare Melinda. Le regole prevedono il

rispetto del frutteto come parte integrante dell’ecosistema, la coltivazione e

la difesa delle piante come produzione integrata e il confezionamento

manuale delle mele. Inoltre, viene disciplinata anche la qualità intrinseca dei

frutti come il contenuto zuccherino, acidità, durezza; sono stabiliti vincoli per

la produzione/ha di mele e il numero massimo di piante/ha che si possono

mettere a dimora.

La Val Venosta, in Alto Adige, si estende dal Passo Resia fino a Merano. È una

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delle più importanti zone melicole altoatesine e la commercializzazione dei

frutti interessa soprattutto la Germania. La coltivazione si estende dai 500m

s.l.m. ai 1.100m s.l.m.. Il microclima secco, le ampie escursioni termiche e la

presenza di sole per oltre 200 giorni/anno favoriscono raccolti di qualità.

Tutte le aziende sono di piccole dimensioni e fanno capo a cooperative più o

meno grandi. Le mele della Val Venosta sono distribuite dal consorzio

Associazione Produttori Ortofrutticoli della Val Venosta, con il marchio della

coccinella. Il consorzio delle cooperative ortofrutticole dell’Alto Adige, è la

più importante organizzazione europea per la commercializzazione delle

mele. L’area di coltura delle mele si trova lungo l’Adige tra Salorno e il

Burgraviato e nell’area frutticola nei pressi di Bressanone. Queste sono zone

che godono di condizioni climatiche particolari: circa 300 giorni di sole

all’anno, un’alternarsi di aria fredda e calda, terreni alluvionali leggeri o di

medio impasto e con un modesto contenuto di argilla. Di questo consorzio

fanno parte circa 21 cooperative ortofrutticole per un totale di circa 5600

aziende. Anche nelle regioni Centro Meridionali si stanno evolvendo, anche se

in numero limitato, sistemi melicoli intensivi. Come nel caso degli impianti

sorti nella Val d’Agri in Basilicata e alle pendici dell’Etna in Sicilia.

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CAPITOLO SECONDO

FORME DI ALLEVAMENTO

La tecnica di riproduzione sessuale (propagazione gamica) della pianta del

melo è desueta perché i semenzali (cioè le piante derivate da seme) sono

molto disformi, impiegano un

tempo molto più lungo per

superare la fase improduttiva.

La disformità delle piante

propagate per seme dipende

dall’elevata eterogeneità gene

tica (eterozigosi). Le piante

sono ottenute mediante

moltiplicazione agamica cioè

una tecnica molto antica che

già veniva citata nel Libro del profeta Ezechiele (17, 22 23).Tale tecnica

consiste nell’unire porzioni di piante diverse in modo da ottenere un unico

individuo: il nesto (chioma) o oggetto o gentile (epibionte) e il portainnesto

(radici) o soggetto (ipobionte) (Fig. 2.1). Questa moltiplicazione consente sia

uno sviluppo più rapido della pianta rispetto alla semina sia di ottenere

individui identici alla pianta madre. In questa situazione bisogna fare molta

attenzione alla trasmissione dello

stato sanitario. Nel caso del melo

il portainnesto può essere

propagato da seme, e in questo

caso si chiama franco oppure come

lo è nella melicoltura moderna

propagato per auto radicazione

(portainnesto clonale).

I portainnesti clonali

Serie M

Figura 2.2: sistema di allevamento per portainnesti clonali

Figura 2.1: innesto

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Sono il frutto di ricerche iniziate nel 1912, con la raccolta di numerosi tipi

spontanei in tutta Europa, ad opera di Wellington e proseguite da Hatton

presso la East Malling Research Station di East Malling, Maidstone, Kent,

Inghilterra.

Serie MM

È il frutto della collaborazione, iniziata nel 1922, tra la stazione sperimentale

di East Malling e lo John Innes Horticoltural Institute di Merton. A questo

progetto collaborarono Tydeman di East Malling e Crane di Merton. Lo scopo

iniziale era quello di formare portainnesti resistenti all’afide lanigero

(Eriosoma Lanigerum) che in quegli anni stava arrecando gravissimi danni ai

frutticoltori australiani. La fonte di resistenza a questo parassita fu

individuata nel Northern Spy e successivamente per molto fu utilizzato questo

portainnesto americano che poi cadde in disuso per la suscettibilità ad alcune

virosi.

Il portainnesto M7 è di media vigoria, ha l’apparato radicale espanso, ha una

buona precocità di messa a frutto con elevata tendenza ad emettere polloni

radicali. Preferisce buoni terreni ma sopporta anche quelli umidi e siccitosi.

Spesso è una valida alternativa all’MM106 per terreni umidi. È resistente agli

attacchi di Phytophtora mentre è sensibile agli attacchi di Agrobacterium

tumefaciens.

L’MM106 è un portainnesto di medio vigore che possiede un apparato radicale

ben sviluppato, con ancoraggio che varia da buono ad ottimo. Fornisce piante

di sviluppo paragonabile a quelle su M7. In alcune combinazioni d’innesto

induce una buona messa a frutto però è suscettibile all’oidio. Da evitare in

terreni poco drenati perché è sensibile al marciume del colletto.

I portainnesti conferiscono alla pianta da frutto precise caratteristiche:

vigoria, resistenza alla siccità e condizioni climatiche, adattamenti ai diversi

tipi di terreno e molto importante la regolazione della produzione e qualità

della frutta. La vigoria determina lo sviluppo e le dimensioni che verranno

raggiunte nel corso degli anni dalla pianta, ossia lo spazio fisico che verrà ad

occupare. Dal portainnesto dipende la distanza che le piante avranno nel

luogo d’impianto e il numero che potrà essere messo a dimora. Secondo la

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vigoria il portainnesto viene

classificato in: vigoroso, di media

vigoria, debole o poco vigoroso.

Portainnesti vigorosi ritardano la

“messa a frutto” mentre quelli

deboli o di media vigoria

consentono una più rapida

entrata in produzione. Le forme

di allevamento si basano sulla

resistenza alla siccità e alle

condizioni climatiche ossia la

capacità per esempio di

adattarsi a una coltivazione

senza impianto di irrigazione. Il portainnesto influenza il rapporto vegetazione

e quantità di frutti prodotti, interferisce con la regolazione della produzione e

qualità della frutta e inoltre per alcune cultivar interviene sulle qualità

organolettiche e sulla conservazione post raccolta.

Successivamente negli anni ’60 vennero proposti degli impianti fitti di melo

per razionalizzare la frutticoltura italiana. Diffusi già da tempo in Olanda e in

Belgio su portainnesti deboli M9 e M26. All’inizio si ritenne che i portainnesti

deboli non avrebbero sopportato il freddo invernale, che le piccole strutture

delle piante non portassero le produzione desiderate e che un simile sistema

d’impianto fitto su portainnesti deboli fosse troppo complicato nella gestione

e troppo costoso. All’inizio si consigliarono distanze di 3,5 x 1,25m fino a 3,5 x

1,50m nel sistema a fila singola. Si passò ad una densità d’impianto dalle 600

800 piante fino ad arrivare alle 1800 2000 piante/ha. La forma dello slender

spindle (Fig. 2.3) assomiglia ad un cono/piramide con una parte basale più

larga mentre si restringe verso la sommità. Presenta tre o quattro branche

che si dipartono dal fusto intorno ai 50cm di altezza da terra, accompagnate

da branchette molto corte inserite elicoidalmente lungo il fusto che raggiunge

un’altezza di 2,5m/3m. All’impianto se l’astone è provvisto di rami anticipati,

di questi si scelgono i più adatti a formare il primo palco di branche, oppure si

Figura 2.3: slender spindle con ampiezza di chioma di 0,70 0,90 cm

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spunta l’astone a 80 90cm da terra, allevando il germoglio più alto per

formare la freccia e altri 3 4 per formare il primo palco di branche. Verso la

fine dell’estate del primo anno di vegetazione i rami destinati a formare il

primo palco di branche vengono inclinati in posizione orizzontale. I rami sorti

sotto il primo palco vengono eliminati, come eventuali concorrenti dell’asse

centrale e della freccia. Durante la vegetazione del secondo anno si cimano e

si piegano i germogli vigorosi (soprattutto quelli con portamento verticale).

Alla fine del secondo anno si individuano altri rami adatti a formare un

secondo gruppo di branche. Il numero di esse dipende dallo sviluppo che

hanno assunto quelle più basse, per evitare di richiamare vegetazione in alto

e di limitare la vigoria della prima impalcatura. Al terzo anno la potatura di

formazione si fonde con quella di produzione. Gli interventi consistono nel

favorire lo sviluppo di rami tendenti all’orizzontale, nel diradare le formazioni

fruttifere per proporzionare la produzione allo sviluppo dell’albero,

alleggerire la parte alta della chioma e eliminare i rami sorti dorsalmente alle

branche. L’obiettivo è quello di mantenere anche la larghezza dell’albero

entro i 70 90cm per agevolare le operazioni meccanizzabili. Furono realizzati

anche sistemi a due o più file con un numero di piante/ha più elevato, per

avere produzioni iniziali ancora più abbondanti. I sesti potevano variare da

3,5m x 1/1,5m a 4 x 1,2/1,8m; gli investimenti teorici sono compresi fra le

2850 4000 piante per ettaro. Negli impianti ultrafitti vennero proposti di 0,5

1m con corsie di passaggio di 2,5m; la densità d’impianto risultava di 7000

14000 piante/ha. Lo scopo a più file fu l’utilizzo ancora più intenso della

superficie con minor corsie di transito per le macchine. La difficoltà era nel

ricavare spazio sufficiente tra le file interne, per facilitare il passaggio degli

operatori nelle operazioni colturali, e nell’ottenimento di una sufficiente

illuminazione della vegetazione per ottenere una buona produzione di qualità

soprattutto nell’età della piena capacità produttiva degli impianti. Si può

ottenere più produzione sulla fila singola del fusetto (slender spindle)

aumentando l’altezza delle piante fino ad un massimo circa di 3 metri. Si

prevede che per ogni 10 cm di altezza delle piante si ottengono circa 2 t/ha di

incremento produttivo. Per le operazioni colturali si ha maggior onerosità:

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raccolta, potatura, diradamento manuale dei frutti (carri raccolta o uso di

scale). Si corre il rischio di un eccessivo ombreggiamento della parte inferiore

e interna delle piante, minor efficienza produttiva e qualità meno pregiata

dei frutti in queste parti della chioma. Per esempio la potatura verde può

essere applicata sia a mano, sia con barre falcianti, che portano ad avere una

lunghezza dei rami al di sotto di 0,5m. La potatura verde effettuata ad inizio

estate e quella effettuata in post raccolta è la principale tecnica che

permette di contenere la taglia delle piante e illuminare costantemente la

parte prossimale ai rami. Le piante coltivate a slender spindle possono

originare un muro fruttifero in questo caso chiamato parete. Questa parete

fruttifera è un frutteto siepe in cui la parte bassa del filare è stretta quasi

quanto la cima. Questo è possibile in ambienti dove gli alberi ad asse singolo

vegetano molto poco, come nel caso di numerose zone montane.

Portainnesto M9: induce una vigoria estremamente contenuta; gli alberi su di

esso innestati entrano precocemente in produzione; i frutti sono grossi e di

buon colore anche se tendenzialmente rotondi rispetto ad allungati.

L’apparato radicale è superficiale, con scarso ancoraggio, e per questo

necessita di sostegni. Predilige terreni fertili, umiferi, permeabili, irrigui ma

ha dimostrato buona adattabilità anche a terreni un po’ difficili, purché non

soggetti a ristagni idrici. Quando la temperatura del terreno raggiunge o

supera i 25 °C si ha un rallentamento dell’accrescimento dell’apparato

radicale di questo portainnesto. Induce sui giovani frutticini abbastanza

resistenza ai danni causati dalle gelate tardive. Ha una buona affinità

Figura 2.4: esempi di vigoria di alcuni portainnesti

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d’innesto con tutte le cultivar anche se presenta un vistoso e caratteristico

ingrossamento al punto d’innesto. È adatto alla formazione di piante di vigoria

contenuta con forma di allevamento a fusetto, a palmetta e a spindel.

Portainnesto M16: caratteristiche da vigoroso a molto vigoroso; induce una

discreta resistenza ai freddi invernali ed un ritardo nel germogliamento alla

primavera; sopporta temperature

del terreno fino a 28°C. Mostra

buon ancoraggio ma non induce

una messa a frutto precoce. Si

propaga meglio per margotta di

ceppaia e propaggine di trincea.

Portainnesto M26: ottenuto

dall’incrocio M16 x M9. È stato

diffuso commercialmente nel 1959. Di limitato vigore, intermedio tra M9 e

M7, assicura un discreto ancoraggio della pianta pur mantenendo la necessità

di sostegni. Non radica molto facilmente. È molto sensibile, durante la

stagione vegetativa, agli eccessi di umidità. Adatto per la formazione di

piante di dimensioni medio piccole. Induce una certa resistenza ai danni dalle

gelate tardive.

2.1 Forme di allevamento in volume

Chioma sviluppata sia in altezza, che in larghezza che in spessore.

2.1.1 Vaso

Questa forma (Fig. 2.1.1.1), ormai oltrepassata, può essere ottenuta tramite

portainnesto propagato da seme (franco). Il franco presenta un apparato

radicale molto espanso che assicura un ottimo ancoraggio. Esso risulta rustico,

di notevole vigoria ed è caratterizzato da un buon adattamento alle diverse

condizioni del terreno, anche alle più difficili. Purtroppo, essendo derivato da

seme, è molto eterogeneo nel suo comportamento. È sicuramente un

portainnesto esente da virus. L’utilizzazione del franco come portainnesto del

melo è nettamente in contrazione con le metodologie della moderna

melicoltura. Il franco va a costituire nella pianta una forma a vaso.

2.1.1.1 VASO REGOLARE

Figura 2.1.1.1: forma a vaso

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Il vaso è formato da un tronco dal quale si dipartono tre branche principali

inclinate di circa 30 45°rispetto alla verticale rivestite da branche secondarie

e terziarie disposte elicoidalmente. Le branche vanno a formare la struttura

scheletrica della chioma. Le branche secondarie sono inserite lateralmente

alle primarie, con distanza dall’inserzione delle primarie al fusto di 60 100

cm. Le secondarie sono più inclinate rispetto alle primarie. Ciascuna branca

secondaria porta branchette di sfruttamento e produzioni fruttifere. Delle

varianti potrebbero essere, per esempio, il vaso californiano con una

ramificazione in due e il vaso ritardato con l’impalcatura del primo e del

secondo anno. Le operazioni necessarie per la costruzione di un vaso sono:

primo anno a Marzo effettuare la spuntatura dell’astone a circa 60 80cm, a

Giugno Luglio scelta di tre germogli, con angolo di inserzione sul piano

orizzontale di 120°, che formeranno le branche principali poi in inverno

raccorciamento dei tre rami; il secondo anno a Giugno Luglio scelta di due

germogli per branca di cui il primo per prolungare la branca primaria e il

secondo per prolungare la sottobranca poi in inverno raccorciamento delle tre

branche e delle tre sottobranche; terzo e quarto anno scelta di due germogli

per branca e la seconda sottobranca sarà posizionata nella parte opposta alla

prima poi in inverno raccorciamento delle tre branche primarie a 80 100cm

dal taglio precedente. Le branche secondarie che sulle principali sorgono più

vicine al tronco sono chiamate branche secondarie di primo ordine; quelle

successive, branche secondarie di secondo ordine, e così via. Di solito, in un

vaso regolare ogni branca principale porta 3 4 branche secondarie.

2.1.1.2 VASO SEMPLIFICATO

È un vaso formato da tre branche principali inclinate di circa 45°rispetto alla

verticale, rivestite con branche secondarie molto corte e ricche di

vegetazione fruttificante, è adottata soprattutto per il pesco, con cultivar non

vigorose o in terreni di modesta fertilità. Non si provvede alla formazione di

normali branche secondarie e terziarie; già sulle branche principali si lascia

sviluppare subito (nel secondo anno dopo la piantagione) una certa

produzione e dopo, ricorrendo alla potatura a tutta cima, si utilizzano alcune

ramificazioni laterali di ogni branca principale per formare corte branchette

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laterali. Le parti terminali delle branche principali devono sempre essere

mantenute leggere diradando i germogli anticipati. Per le cultivar meno

vigorose l’allungamento delle branche principali è frenato dalla fruttificazione

del prolungamento che si curva sotto il peso dei frutti; alla base cresce un

nuovo germoglio che lo sostituisce senza determinare un ulteriore

allungamento. Per le cultivar più vigorose è necessario un taglio di ritorno da

effettuare, durante il terzo o quarto anno, al di sopra del ramo di un anno,

diradando fortemente i rami vicini. Sulle branchette secondarie si diradano i

rami cercando di lasciare quelli inseriti più vicino alla base.

2.1.1.3 VASO RITARDATO

Dall’omonimo nome è un vaso che assume la sua forma dopo alcuni anni dalla

sua impostazione. Questa forma si ottiene facendo rivestire, nei primi anni,

l’asse principale dell’albero allevando a partire da 40 50cm alcune branche

laterali, distanziate e disposte su una linea elicoidale. Quando le branche si

sono ben sviluppate, si procede al taglio dell’asse di prolungamento sopra

l’ultima branca (Morettini,

1963). Per formare esso, dopo

aver spuntato l’astone all’altezza

voluta, si scelgono i 4 5 germogli

destinati a formare le branche

del vaso e si cimano gli altri

tranne quello che, sorto vicino al

taglio, riforma il prolungamento dell’astone. Questo prolungamento nei primi

tre/quattro anni, viene lasciato crescere in base alla proporzione delle

branche del vaso. Dopo i primi tre/quattro anni l’asse centrale viene

eliminato e così l’albero assume la forma definitiva. Le branche principali

sono rivestite da branche secondarie molto corte e ricche di vegetazione

fruttificante. L’abbondante fruttificazione iniziale permette di contenere lo

sviluppo vegetativo a vantaggio di tutte le operazioni colturali.

Ci sono inoltre, anche alcune varianti del vaso: il globo tipico degli agrumi, il

vaso cespugliato tipico dell’olivo e l’alberello tipico della vite.

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2.1.1.4 VASO OESCHBERG

Negli anni cinquanta, in melicoltura, come forma si usava la Oeschberg,

originaria della Svizzera (dall’omonima località) che, nonostante la struttura

molto grande delle piante, permetteva una migliore penetrazione della luce

nella chioma e quindi anche una migliore qualità dei frutti prodotti, rispetto

al vaso naturale, grande e fitto. Per gli alberi su franco si consigliano sesti di

6 8m x 5 7m; per quelli innestati su portainnesti clonali, di meno vigore, i

sesti appaiono leggermente minori. Si arriva ad una densità d’impianto di 180

330 piante/ha. Si raggiunge un’altezza della pianta di circa 8 metri. La

precocità è veramente molto scarsa con un raggiungimento della messa a

frutto di anche 8 10 anni. Sono forme molte onerose dal punto di vista della

mano d’opera, impraticabili per le moderne operazioni di meccanizzazione.

Conseguentemente necessitano di scale per la potatura e la raccolta che sono

dei mezzi molto pericolosi dal punto di vista di sicurezza dell’operatore. La

forma di allevamento a vaso suscita ancora un certo interesse nei frutteti di

certe dimensioni, soprattutto in aree marginali, in agriturismi e frutticoltura

amatoriale.

2.1.2 Piramide

L’economia di mercato ha causato molti cambiamenti. Uno di questi è stato

anche l’intensificazione dell’agricoltura che ha comportato l’alta efficienza

della produzione e la capacità di

concorrenza dei produttori sul

mercato. Sono forme di melo più

basse. In questo metodo la pianta

viene lasciata ramificare natural

mente. Secondo gli schemi classici in

questa forma di allevamento l’albero è formato da un fusto verticale in cui la

freccia sorpassa la chioma e sul quale sono inserite le branche primarie,

inclinate di circa 45°e lunghe circa 1/3 della distanza che intercorre fra la

loro inserzione e l’apice del fusto.

2.1.2.1 PIRAMIDE A PALCHI

Qui le branche sono disposte a palchi ben distinti, ossia 50 100cm l’uno

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dall’altro a seconda della vigoria dell’albero. Ogni palco è formato da 3 o 4

branche ed ogni branca è rivestita con branche secondarie e terziarie. La

forma può essere effettuata con la spuntatura dell’astone a 60 80cm da terra.

Vengono individuati i germogli che devono formare l’asse centrale e le

branche del primo palco. Le branche di quest’ultimo devono essere inclinate

di circa 45° rispetto alla verticale e dirette in modo da formare l’una con

l’altra angoli di 120°o di 90°. Questa forma può essere molto conveniente per

specie e cultivar con forte dominanza apicale, nelle quali la spuntatura

determina la nascita di vari germogli dalle gemme più vicine al punto di

taglio.

2.1.2.2 PIRAMIDE SPIRALATA

In questa forma le branche sono distribuite a spirale sull’asse centrale, con

opportuna distanza a seconda della vigoria dell’albero. Può essere formata

con discreta facilità con specie che emettono facilmente germogli anticipati

fra i quali è possibile scegliere ogni anno quelli meglio distribuiti lungo la

freccia.

2.1.2.3 PIRAMIDE OESCHBERG

Questa forma è formata da un asse centrale e da un unico palco di branche

che si trovano ad una altezza di 100 120cm da terra, rivestite con branche

secondarie e terziarie con andamento tendente all’orizzontale. L’asse

centrale, sopra l’impalcatura, è rivestito di corte branche orizzontali di

lunghezza decrescente dalla base verso l’apice. Tutti i germogli che sorgono

dorsalmente vengono eliminati. Le branche primarie vengono fatte crescere

con un’inclinazione limitata, pari a circa 30°rispetto alla verticale. È una

forma molto adatta per una razionale utilizzazione dell’energia luminosa nelle

regioni settentrionali.

2.1.3 Fuso

È simile alla piramide, ma differisce da questa per la lunghezza delle branche

che è pari ad 1/5 della distanza che intercorre fra la loro inserzione e l’apice

del fusto. La chioma assume un profilo più stretto e slanciato. Le branche

primarie sono rivestite di formazioni vegetative corte, con andamento

orizzontale e vengono potate in modo che ognuna forma un cono di

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Figura 2.1.3.1.1 forma di

allevamento: fusetto tradizionale

vegetazione.

2.1.3.1 FUSETTO (SPINDLE)

Forma simile al fuso e alla piramide

ma con branche fruttifere

liberamente distribuite lungo il

fusto e con la chioma contenuta

mediante interventi di potatura

estiva. Si rinuncia alla rigida

disposizione dei vari palchi di

branche. Forma di allevamento

(Fig. 2.1.3.1.1) indicata per la

produzione in massa ma anche nel

giardino. Il melo a forma di fusetto ha l’altezza massima di 2,5/3,0 metri.

Nel melo la costruzione di questa forma è molto aiutata da portainnesti

nanizzanti. Almeno l’80% della frutta si può raccogliere direttamente già da

terra. Il fusetto a cespuglio (fuso basso), per esempio, è formato da un

insieme di branche più o meno erette, inserite a varia altezza sul fusto senza

alcuna gerarchia tra di loro. In essa l’asse centrale può anche mancare. È una

forma adatta per allevare alberi bassi con cultivar “spur” o su portainnesto

debole. Il fusetto per il melo prende origine da una forma adottata

nell’Europa centro settentrionale con il nome di spindelbush (cespuglio

fusiforme). Esso è simile a una specie di piramide libera, alta mediamente

3/3,5m, formata da un fusto provvisto di palco di branche a 60 80cm da terra

e di altre branche di lunghezza più o meno decrescente dal basso verso l’alto.

Nella formazione del fusetto il punto d’innesto dovrebbe essere almeno 10cm

sopra la superficie del terreno. L’obiettivo iniziale è quello di ottenere una

freccia di 2,5m di altezza sulla quale ci siano collocate in una spirale, quasi

regolare, delle branche secondarie. Non si può permettere la crescita di

branche primarie. Queste potrebbero rovinare l’equilibrio dell’albero cioè la

forma basale dell’albero potrebbe risultare deformata. L’albero dovrebbe

mantenere per tutta la sua vita la forma piramidale per captare la luce solare

nel migliore dei modi. Nella formazione del fusetto il primo anno in primavera

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viene effettuata una spuntatura dell’astone a 80 90 cm da terra, inoltre se

non è provvisto di rami anticipati il germoglio più alto o l’apice dell’astone

indisturbato formerà la freccia. Successivamente viene effettuata una

cimatura dei germogli vicini alla freccia e scelta dei germogli più aperti. A

fine estate bisogna porre in orizzontale i primi 3 4 rami che formeranno il

primo gruppo di branche. Effettuare un’eliminazione dei rami sottostanti il

primo palco e di quelli concorrenti della freccia. Al secondo anno si cimano o

si piegano i germogli vigorosi verticali e quelli sorti sotto l’impalcatura con la

potatura secca. Al terzo anno si effettua una potatura di formazione e di

produzione insieme. Alla fine di questo anno bisognerà individuare il secondo

palco, favorire lo sviluppo di rami orizzontali, alleggerire la parte alta della

chioma, eliminare i rami sorti sulle branche dorsalmente, eliminare le

formazioni fruttifere invecchiate e infine mantenere le branche entro una

lunghezza di circa 70 120cm con tagli di ritorno. L’albero preformato in vivaio

presenta un asse centrale sul quale sono inserite 4 6 branche laterali inclinate

di circa 75 80° e distanziate tra di loro 50 60cm. Purtroppo risulta essere una

forma non completamente meccanizzabile e non può restringere molto i sesti.

Su portainnesto M7 o MM106 abbiamo sistemi con distanze di 5 x 3m e 4,5 x

3m con una densità d’impianto di 600 800 piante.

2.1.3.2 FUSETTO LIBERO

Si è diffuso per migliorare e accelerare la sua formazione e la sua messa a

frutto (Errani, 1982). Si procede con la spuntatura dell’astone e la scelta di

germogli più aperti, ponendo orizzontalmente verso la fine dell’estate i 3 4

rami che formeranno il primo gruppo di branche. Sulla freccia non si effettua

nessuna spuntatura fino a dopo il germogliamento del secondo anno.

Successivamente alla fine della fioritura si spunta la freccia sopra a un

germoglio debole e ben aperto e così si favorisce lo sviluppo delle branche

basali. Se queste, durante l’estate, mostrano ancora uno sviluppo debole

rispetto all’asse centrale, non si farà alcun tipo di intervento sulle

ramificazioni ma si interverrà nuovamente sulla freccia con un taglio di

ritorno che permetterà di ridare equilibrio a tutta la pianta. La spuntatura

della freccia dopo il germogliamento e il taglio di ritorno effettuato in estate

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evitano lo sviluppo della vegetazione verso la parte alta della pianta.

Soprattutto la spuntatura se viene effettuata a fine Giugno, favorisce la

formazione di gemme a fiore. Oltre al taglio di ritorno, si può effettuare una

curvatura della freccia, eseguita sempre verso fine Giugno, con liberazione

alla ripresa vegetativa.

Ci sono state due modificazioni di esso condotte in Alto Adige per astoni privi

di rami anticipati (Sansavini e Corelli,l.c.). La prima modificazione prevede di

curvare ad arco l’astone poco dopo la piantagione, in modo da favorirne il

rivestimento con vari germogli, per poi riportarlo in posizione verticale in

estate. La seconda (superspindel) prevede di porre a dimora gli astoni con

distanze molto ridotte e di allevarli a tutta cima cercando di farli vegetare

poco e farli entrare prima in produzione.

2.1.3.3 FUSETTO PER CULTIVAR SPUR DI MELO

Le cultivar spur sono caratterizzate da comportamento basitono e precoce

entrata in produzione. In esse il fusetto si presenta sempre con branche

inclinate ma sempre dirette verso l’alto, al fine di evitarne la basitonia. La

formazione dell’albero non prevede né forti inclinazioni né piegature; è utile

quindi, nei primi anni spuntare i prolungamenti del fusto e delle branche per

richiamare la vegetazione verso l’alto. La potatura verde si limita a dare

un’inclinazione di circa 45°alle branche principali verso la fine dell’estate ed

a togliere i germogli che possono fare concorrenza alla freccia nei primi anni.

Molto importante è la potatura invernale che viene effettuata con

diradamenti e spuntature e con eliminazione o accorciamento energetico di

branche invecchiate.

2.1.3.4 FUSETTO SLANCIATO

Proposto da Lespinasse, in Francia, prevede un allevamento a tutta cima con

fusto rivestito di branchette fruttifere senza formazione di branche

permanenti. La densità di piantagione è molto elevata (circa 2.000 alberi/ha)

potendo porre le piante a circa 1 metro di distanza sulla fila.

2.1.3.5 FUSETTO BASSO O CESPUGLIO

Con questa forma si sfrutta la basitonia costituendo una specie di cespuglio

formato da numerose branche più o meno erette. La formazione è molto

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facile, ma occorre molta attenzione per mantenere vitale la pianta attraverso

imminenti diradamenti e accorciamenti di branche. Anche le cultivar standard

possono essere allevate con questo sistema se vengono innestate su soggetti

molto deboli (portainnesto M27).

2.1.4 Solaxe

Sistema d’impianto proveniente dalla Francia che ha come obiettivo la

diminuzione dei costi d’intervento e della manodopera con una riduzione

della densità di piante per ettaro, precoce

messa a frutto, riduzione dell’alternanza di

produzione e controllo sulla carica

fruttifera. In questo sistema lasciando

sviluppare la branca liberamente si

favorisce l’accrescimento e fruttificazione

migliorandone la qualità e la regolarità

(Lespinasse,1990; Hucbourg e Aymard,

1996), le varietà meno alternanti hanno

borse terminali molto voluminose e

l’autonomia dei brindilli permette

produzioni più regolari e di qualità

superiore (Lespinasse et Delort,1993)(Fig.

2.1.4.1), c’è una relazione tra

diradamento naturale delle lamburde, detto

extinction e la regolarità di produzione borsa

su borsa, si risalta il diradamento artificiale

delle lamburde come mezzo di allevamento

per migliorare la qualità e la regolarità della

fruttificazione nelle varietà che a differenza di

Granny non riescono ad autoregolarsi (Larrive

et al.,2001 ; Larrive, 2002; Lauri et al., 2000;

MAFCOT, 1999), messa in opera della conduite

centrifuge per migliorare la penetrazione della

luce nell’albero, si ha miglior colorazione dei

Figura 2.1.4.1 forma di allevamento: solaxe

Figura 2.1.4.2: acrotonia

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frutti e perennità degli organi fruttiferi (Larrive et al.,2000; MAFCOT, 2000).

La pianta allevata con questo sistema presenta una forma assiale evolutiva

verso l’acrotonia (gradiente vegetativo per cui i germogli terminali di un ramo

tendono a svilupparsi più di quelli mediani e basali) con un portamento più

libero (Fig. 2.1.4.2). Sull’asse centrale, che viene lasciato intero, sono

inserite le branche fruttifere, lasciate anch’esse sempre intere. Quindi, né

l’asse centrale né le branche dovranno essere accorciati o semplificati.

Durante lo sviluppo le branche si rivestono di fruttificazioni secondarie

(brindilli e lamburde), mentre la gemma apicale delle branche fruttifere

evolve a frutto con l’effetto dell’inibizione della dominanza apicale e

contenimento dello sviluppo della branca. In questo modo la pianta raggiunge

in modo naturale un equilibrio tra la messa a frutto e l’accrescimento

vegetativo. La pianta assume una forma di salice piangente, poiché, le

branche con il peso dei frutti o con interventi di piegatura, si orientano verso

il basso. Il controllo della fruttificazione può essere riassunto in 5 punti: 1

favorire la ramificazione alta per assicurare un buon sviluppo delle branche

fruttifere, 2 piegare le branche fruttifere lasciate libere per anticipare

l’induzione fiorale, 3 controllare lo sviluppo dell’albero e del suo equilibrio

con la piegatura della cima e il mantenimento completo della ramificazione, 4

controllare la densità dei punti di fruttificazione con l’eliminazione di parte di

gemme (extinction) per mantenere l’autonomia di produzione sull’intero

albero cercando di distribuire in modo equilibrato il carico produttivo e la

spinta vegetativa, 5 privilegiare i punti di fruttificazione che si sviluppano

nella parte periferica della ramificazione con l’eliminazione graduale di

formazioni fiorali poste nella parte interna della pianta (conduite centrifuge).

Durante la messa a dimora è importante rispettare un’altezza minima di 10

15cm tra il suolo e il punto d’innesto, importante per l’omogeneità del

frutteto e legare le giovani piante per evitare che il vento le scuota troppo

penalizzando l’inizio dell’attività delle radici. Dalla giovane piantina devono

essere eliminati i rami anticipati al di sotto del metro e quelli di vigore uguale

o superiore all’asse centrale. Bisogna favorire lo sviluppo dell’asse centrale e

piegare le branche. Continuare la legatura dell’astone ai fili superiori e

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conservare le ramificazioni. Successivamente piegare i rami al di sotto

dell’orizzontale, di circa 110°rispetto alla verticale, per anticipare

l’induzione a fiore nella parte apicale del ramo. La piegatura deve essere

effettuata o in autunno o all’inizio della primavera su branche che hanno

raggiunto una lunghezza maggiore ai 60cm. Inoltre evitare la piegatura delle

branche lungo il filare, ma disporle verso l’esterno tra i filari, per favorire una

migliore penetrazione della luce. Per dare alle branche il giusto angolo di

curvatura si consiglia l’utilizzo di un filo di ferro di 1,5mm di diametro e di

lunghezza variabile secondo l’esigenza. È consigliato non piegare più di 3 o 4

ramificazioni per pianta perché la piegatura di tutte le branche potrebbe

penalizzare il volume produttivo dell’albero. Rimane il fatto che comunque

più la pianta è vigorosa e più branche verranno piegate. Durante il periodo

Giugno Luglio risulta efficace eliminare i ricacci vegetativi che si sono formati

sul dorso delle branche vicino alle piegature. Al terzo anno viene piegata la

cima dell’asse centrale. La piegatura si effettua quando la cima supera i 70 90

cm l’ultimo filo di sostegno e con una curvatura piuttosto ampia. Questo

migliora l’equilibrio generale dell’albero. In alcune varietà non è sempre

necessario piegare le cime perché si piegano da sole con il peso dei frutti. Al

quarto anno vengono effettuate ancora le piegature alle branche più vigorose

che non si piegano sotto il peso dei frutti. Durante il periodo invernale si crea

un camino di luce nella parte centrale della pianta asportando le lamburde

dell’asse centrale e quelle poste nei primi 15 20cm dal punto di inserzione

delle branche con il tronco.(Conduite Centrifuge) Questa operazione si attua

creando una zona senza vegetazione intorno al tronco che permette alla luce

di penetrare anche nelle parti più basse e interne della pianta. Quest’ultime

operazioni descritte sono un’evoluzione supplementare del solaxe nella

conduzione della ramificazione fruttifera. Questo quarto anno, secondo la

varietà e se non ci sono stati problemi durante la formazione delle piante,

corrisponde al primo anno di forte produzione. Ad esempio, l’assenza di tagli

di ritorno sulla ramificazione porta all’invecchiamento delle branche e

all’aumento, nel tempo, dei punti di fruttificazione. Diventa quindi

importante intervenire sulla pianta per regolare il rapporto tra produzione e

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accrescimento ed evitare di incorrere in fenomeni di alternanza.(Extinction

finale). Si effettua un diradamento degli organi fiorali. Quest’operazione sarà

realizzata manualmente solo sulle branche piegate sotto l’orizzontale e ben

equilibrate, iniziando con l’eliminazione di tutte le lamburde più deboli e di

tutte quelle che si sono sviluppate sotto la ramificazione, perché poco esposte

alla luce e perché producono frutti di scarsa qualità. Appena dopo risulta

importante determinare l’intensità dell’extinction, cioè il numero di organi

fruttiferi ideale da lasciare sulla piante per ottenere produzioni di qualità.

Questa extinction, come tutte le potature, se troppo severa rischia di far

prevalere il vigore mentre se troppo blanda rischia di produrre frutti di scarsa

qualità. Tutti i lavori principalmente riguardanti la conduite centrifuge e

l’extinction sul melo si sono sviluppati in Francia sotto la guida di Jean Marie

Lespinasse (ricercatore INRA di Bordeaux ideatore della taille lounge). Il

gruppo MAFCOT mise a punto un metodo oggettivo di misurazione e controllo

del numero di gemme per ottenere la produzione desiderata. Semplicemente

una sorta di dosaggio dell’operazione extinction. Il metodo si basa sulla

misurazione del diametro delle branche fruttifere e sul calcolo del numero di

gemme a fiore da lasciare per ogni branca. La misurazione delle branche è

improponibile da effettuare sull’intero frutteto, per questo si fanno una serie

di simulazioni misurando un numero di piante rappresentative

dell’appezzamento. In base ad un calcolo che considera la pezzatura

desiderata dei frutti e la produzione ad ettaro che si vuole realizzare viene

deciso il numero di gemme da lasciare per ogni cm² di branca.

Il dosaggio dell’extinction per l’impostazione del calcolo:

valutazione del potenziale produttivo del frutteto con l’aiuto di un

tecnico.

determinare la somma delle sezioni delle branche selezionando 5 piante

rappresentative del frutteto, misurando il diametro delle branche e

calcolando l’area della sezione di ogni branca e per ogni pianta effettuare

il calcolo della media.

determinazione del numero dei punti di fruttificazione per cm² di sezione

della branca.

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CALCOLO AREA DELLA SEZIONE IN CM²: 3,14 x (raggio in mm)²/100

Raggio=diametro/2

Stimando, ad esempio, un potenziale produttivo di un frutteto a 300q/ha di 4

anni, con sesto d’impianto 4 x 1,25m e densità d’impianto di 2.000

piante/ha,per l’obiettivo commerciale di 5,2 frutti per kg (pezzatura frutti

75/80mm per un peso di circa 192 grammi) si ha: 30.000kg/ha x 5,2/2.000

piante x ha= 78 frutti per pianta. Con gli opportuni rilievi in campo ricaviamo

un’area con sezione media delle branche delle piante prese in considerazione

di 20,7 cm².

78frutti/20,7 cm²= 3,76 frutti/cm²di sezione

Considerando un frutto per mazzetto con un margine del 10% per ottenere una

produzione stimata a 300q/ha, con frutti di 190 grammi circa, durante

l’operazione di extinction si dovranno lasciare 4 punti di fruttificazione per

ogni cm² di sezione di branca.

Questo calcolo serve per distribuire il potenziale produttivo del meleto sulla

ramificazione fruttifera; determinando il numero delle gemme da lasciare, in

base alla sezione delle branche, si procede con l’extinction. Questa

operazione trova la sua migliore attuazione nel periodo che va dai mazzetti

affioranti fino alla fioritura. Per migliorare la distribuzione degli organi

fruttiferi sull’insieme della chioma e per velocizzare le operazioni di

extinction viene usato un regolatore chiamato equilifruit (Fig. 2.1.4.3) su cui

è indicata l’area della sezione

della branca e il corrispondente

numero di gemme da mantenere sulla branca stessa; passati i due anni di

extinction la potatura annuale

diventa più semplice basandosi

sull’equilibrio fisiologico della

pianta. Nel solaxe, non essendo

previsti cospicui e laboriosi

interventi di potatura di rinnovo,

quando l’accrescimento della

ramificazione fruttifera nella parte

Figura 2.1.4.3: regolatore equilifruit

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più periferica inizia ad esaurirsi, diventa necessario ringiovanirla con moderati

interventi di ritorno per rinvigorire i punti restanti. Con questa forma de

allevamento si hanno densità d’impianto di circa 2.000 piante/ha, facendole

crescere fino a 2,5m/3,0m di altezza. Una problematica di essa potrebbe

essere che la cima piegata ombreggia spesso in modo eccessivo le parti

sottostanti; nel condurre questa forma di allevamento ci possono essere dei

casi particolari: Jeromine (Red delicious standard), gruppo fuji, gruppo

braeburn e ambrosia.

Jeromine (Red Delicious Standard)

Per questa varietà, poiché è molto sensibile alla butteratura amara, si devono

evitare eccessive eliminazioni di formazioni fruttifere e piegature dei rami

troppo accentuate. Nelle piante più vigorose, dove si devono asportare le

branche mal inserite o in numero eccessivo, si possono effettuare eliminazioni

mediante la tecnica dello strappo che però andrebbe evitata su piante deboli.

Gruppo fuji

Degli accorgimenti che si possono applicare, oltre alla normale gestione a

solaxe, sono: mantenimento del portainnesto al di sopra del piano campagna;

mantenimento di branche un po’ più vigorose nella parte bassa della

pianta per limitare il portamento acropeto;

nelle piante con vigoria scarsa, oltre al primo anno, eliminare la

produzione del secondo in modo di favorire la formazione di punti a frutto

su legno di età diverse;

concentrare le operazioni di potatura in fioritura in modo da riconoscere

le gemme fiorali;

mantenere il più possibile la complessità delle branche evitando tagli di

ritorno che provocherebbero riscoppi vegetativi notevoli;

applicare il diradamento meccanico al fine di regolare il carico produttivo

a partire dalla fioritura;

eventuali raccorciamenti vanno eseguiti nel periodo estivo.

Ambrosia

Cultivar di mela nata in Canada alla fine degli anni ’80. La particolarità di

questa mela è di essere nata per caso grazie ad una mutazione naturale, non

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generata e prodotta in laboratorio. È l’unione di tre tipi di mele diverse: Red

Delicious, Gold Delicious e Jonagold. Fu scoperta dalla famiglia Mennel nella

Similkameen Valley.

Nella fase di produzione è molto importante favorire l’esposizione dei frutti

alla luce eliminando eventuali rami ombreggiati. Infatti è importante formare

il camino centrale e distanziare le branche almeno 40 50cm l’una dall’altra.

Nel corso della potatura secca con buon equilibrio vegeto produttivo è

possibile eseguire tagli di ritorno su due o più anni in prossimità della

lamburda: questa operazione è da evitare in impianti molto vigorosi dove si

consiglia di mantenere le branche lunghe.

Gruppo braeburn

A causa dell’elevata potenzialità di questo gruppo di cultivar la potatura di

produzione dovrà essere attuata anche sui rami di un anno. Per questo deve

essere effettuata con raccorciamenti su rami di due anni su una gemma a

fiore. Sulle piante in piena produzione si dovranno effettuare raccorciamenti

anche sui rami dell’anno. L’applicazione dell’extinction si dovrà operare

solamente da inizio fioritura cioè quando è ben definito il potenziale

produttivo.

2.1.5 Sistema a Y (tatura trellis)

Forma di allevamento proposta in Australia (dal nome della stazione

sperimentale australiana Tatura) adottata maggiormente in cerasicoltura

(figura 2.1.5.1). Dall’astone della

pianta si fanno partire due

germogli che si legano a forma di Y ai fili di sostegno, in modo che dall’alto

possono arrivare i raggi solari a

tutte le parti interne della pianta.

Ogni pianta è formata da due

branche principali a V inserite su

un tronco di 30 50cm e orientate

in direzione opposta all’interfila e

inclinate dai 30° ai 45° rispetto

alla verticale. Una maggior

Figura 2.1.5.1: forma di allevamento ad Y

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apertura conviene per cultivar di melo più vigorose (Bellini, 1990; Sansavini e

Corelli, 1990) Le branche si dipartono dal tronco ad un’altezza di 50 60cm:

questo sistema prevede una doppia intelaiatura fissa di pali e fili. Le

ramificazioni laterali delle due branche vengono fissate all’intelaiatura in

modo da formare una lisca di pesce, mentre quelle che nascono dorsalmente

o inferiormente vengono contenute attraverso cimatura o speronatura o

addirittura eliminate con scacchiatura. Si consiglia per portainnesti di medio

elevato vigore con cultivar di medio elevato vigore; le distanze consigliate

sono di 5,5m x 1,25/2,5m a dipendenza della combinazione prescelta.

L’altezza da terra della parete inclinata raggiunge circa i 3,5m. Questa forma

consente un’elevata densità di piantagione, un’uniforme distribuzione delle

ramificazioni e del fogliame permette una notevole intercettazione

dell’energia luminosa e rende massima l’efficienza fotosintetica delle foglie,

la superficie piana e uniforme della parete consente di poter effettuare

facilmente la potatura di produzione verde e la raccolta. Questo sistema non

si è diffuso nella pratica della melicoltura per un forte impiego di manodopera

nella fase di allevamento come per esempio l’eliminazione di germogli sul lato

della parete rivolta verso l’alto. I costi di produzione e le forti spese per

formare l’intelaiatura di sostegno, risultano molto elevati.

2.1.6 Sistema a V

Serve per preferire il sistema a fila singola e contemporaneamente

intensificare l’impianto. Le distanze d’impianto sono 3,5 x 0,7/0,8m con una

densità d’impianto che varia da 3.500 a 4.000 piante/ha. Con tale sistema si

aumentano le produzioni iniziali e la capacità produttiva. Ciascuna pianta

della fila si lega in modo alternato a destra e a sinistra a un sostegno a forma

di V. I paletti di sostegno si piantano inclinati di 25/30°rispetto alla

perpendicolare del terreno e devono essere alti almeno 2m e aperti in alto

circa 1 metro in modo da permettere alla luce di penetrare tra queste piante

a forma di V. Se viene effettuata una formazione del fusetto corretta si

potrebbe avere una migliore qualità finale per una migliore distribuzione della

luce all’interno della vegetazione. Le varietà a frutto rosso sono quelle che si

adattano meglio a questo impianto, necessita mantenere però una forma

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molto slanciata della pianta altrimenti nella parte bassa e interna dell’albero

si potrebbe verificare una zona d’ombra. Questo tipo di allevamento necessita

di strutture più costose poiché lo sviluppo degli organi vegetativi tende a

forzare verso l’interno con la posizione inclinata, pertanto si richiede più

lavoro di potatura di allevamento e di produzione. Rispetto alla fila singola si

hanno produzioni qualitativamente più elevate, dato il maggior numero di

piante/ha ma non aumentano i quantitativi. Infatti questo sistema di

allevamento è stato applicato molto poco nei frutteti.

2.1.7 Lincoln Canopy

Forma di allevamento studiata presso il Lincoln College di Christchurch in

Nuova Zelanda per formare una chioma che possa permettere l’esecuzione a

macchina della potatura e della raccolta. È formata da un fusto alto circa

1,50m e da una chioma formata a pergolato piatto. Il fusto viene spuntato a

circa 1,50m da terra, e i rami che sorgono presso il punto di taglio, quelli

migliori vengono incrociati. Questi formano due branche orizzontali disposte

lungo il filare. La pergola è larga 2,5/3,0m. Le branche che formano il piano

della pergola sono distanti tra di loro di 30/40cm e sono formate da corte

branchette. I sesti d’impianto consigliati sono 4,5m x 2,4m con una densità di

piantagione di 750 alberi per ettaro. Questa è una forma di allevamento che

richiede un notevole impegno di potatura, soprattutto verde, per limitare lo

sviluppo di germogli e rami verticali sulla parte superiore della pergola. Il

vantaggio rimane in una migliore intercettazione luminosa con possibilità di

realizzare potatura e raccolta meccanizzate.

2.2 Forme di allevamento appiattite

La chioma è sviluppata secondo un piano verticale (spalliera) o orizzontale

(pergolati). Sono numerose le forme di allevamento dei fruttiferi aventi in

comune la distribuzione del fusto e delle branche in un unico piano verticale

sostenuto da un’armatura di pali e fili. Lo spessore delle spalliere risulta

molto ridotto. In queste forme si ha una migliore esposizione dell’apparato

fogliare alla luce, una più facile esecuzione dei trattamenti antiparassitari e

delle altre operazioni colturali (potatura e raccolta).

2.2.1 Palmetta

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Forma di allevamento alta, molto antica, nel tempo ha subito molte

evoluzioni: innanzitutto modello rigidamente geometrico palmetta Verrier o

candelabro. Essa è formata da più palchi sovrapposti formati da una coppia di

branche a U. Ci sono diverse tipologie: palmetta regolare a branche

orizzontali, palmetta regolare a branche oblique, palmetta irregolare

anticipata a cui corrisponde il massimo sfruttamento economico della pianta.

Nella palmetta irregolare (o libera), le branche sono oblique ed inserite

irregolarmente sul fusto verticale mentre nella palmetta irregolare anticipata,

la formazione dello scheletro parte dai rami anticipati e si attua secondo i

criteri della potatura a tutta cima.

Alla fine degli anni’50 e negli anni’60 in pianura Padana, soprattutto nel

ferrarese, si sviluppa la forma a palmetta (palmetta ferrarese o palmetta

Baldassarri a branche oblique), con branche portanti oblique che si dipartono

dall’astone centrale su 2 4 piani. Fu introdotta dall’esperto frutticoltore

dell’ispettorato provinciale dell’agricoltura di Ferrara Tomaso Baldassarri. I

principi fondamentali si basarono su: ridurre al minimo la struttura scheletrica

degli alberi, non raccorciare mai i rami di un anno, tranne quelli a formare le

parti principali dello scheletro, limitare al minimo i tagli durante la potatura

di formazione e curare l’opportuna inclinazione delle branche principali per

mantenere in equilibrio la vegetazione delle varie parti della pianta

(Fideghelli e Monastra, l.c.). Essa si presentava come una parete a frutto

stretta e alta lungo il filare. Anche in Alto Adige negli anni ’60 si adottò

questa forma di allevamento. Dopo qualche anno si adottò una nuova forma di

palmetta formata da una o al massimo due impalcature con distanza tra le

due di circa 1 metro. L’asse centrale invece formava uno spindle. Infatti

nell’Alto Adige c’era un solo palco con due branche oppure due palchi formati

da quattro branche. I due palchi formati da quattro branche potevano essere

innestati anche su portainnesto franco con distanze d’impianto di 5m x 5m

oppure 5m x 4m con densità d’impianto di 400/500 piante/ha, mentre con

l’impiego di portainnesti un po’ più vigorosi le distanze risultavano di 4m x 4,5

x 3m con densità d’impianto di circa 800 piante/ha. In questo modo si ottenne

una maggior entrata in produzione, con produzioni più elevate durante gli

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anni e più facile impiego delle macchine lungo i filari.

2.2.1.1 PALMETTA REGOLARE A BRANCHE OBLIQUE

Per la formazione della palmetta il primo anno viene effettuata una

spuntatura dell’astone a 80/90cm. Nel mese di Luglio vengono scelti tre

germogli: quello più vicino al taglio formerà il prolungamento dell’asse

centrale mentre i due laterali, opposti e con angolo di inserzione ampio, le

branche (Fig. 2.2.1.1.1). Poi le branche laterali vengono inclinate a 45°.

Nell’inverno viene tagliato l’asse centrale per la seconda impalcatura. Il

secondo anno, a Luglio,

viene scelta e effettuata

l’inclinazione di tre rami

per la formazione del

secondo palco, mentre in

inverno viene effettuato il

taglio dell’asse centrale

per la terza impalcatura. Il

terzo anno si procede con

le stesse operazioni del

secondo anno. Tra la prima

e la seconda impalcatura si lasciano 2 o 3 rami in posizione orizzontale per

formare branchette di sfruttamento. Esse potranno essere eliminate più tardi

quando verranno sostituite dal rivestimento delle branche primarie. I rami

destinati a formare branche secondarie sulla prima impalcatura vengono messi

in posizione orizzontale lungo la linea del filare. Queste branche sono

destinate a riempire lo spazio che resta libero fra due branche primarie di

piante vicine. Una volta che, in relazione alle distanze fra le piante, scelte in

base alla loro vigoria, le branche laterali hanno raggiunto la lunghezza voluta,

i loro prolungamenti vengono lasciati intatti in modo che fruttifichino. La

pianta raggiunge un’altezza di 3/4 m.

2.2.1.2 PALMETTA ANTICIPATA

È ottenuta partendo da un astone robusto provvisto di rami anticipati che si

sono sviluppati nel vivaio, in maniera che il primo palco di branche possa

Figura 2.2.1.1.1: palmetta regolare a branche oblique

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essere formato con due di essi così subito al primo anno viene individuato il

secondo palco, o utilizzando altri due rami anticipati presenti alla giusta

altezza o utilizzando due rami anticipati che si formano all’altezza voluta. Il

tipo di potatura utilizzato è la potatura a tutta cima. Occorre far sviluppare

nei primi anni la prima impalcatura, prima di procedere alla sua inclinazione

definitiva: questa forma di allevamento è conveniente per terreni fertili e

cultivar vigorose.

2.2.2 Sistema a drapeau

È un vecchio sistema d’allevamento sviluppato inizialmente per gli impianti di

pero negli anni’60 soprattutto in Belgio e in Francia. Si adottò perché le

piante a quel tempo erano innestate su portainnesti più vigorosi con problemi

dovuti allo sviluppo vigoroso delle piante, infatti per questo era troppo

elevato l’impiego di manodopera per la formazione della chioma. Negli anni

’70 e ’80 si pensò che sul melo, con l’impiego di portainnesti deboli, con il

sistema a drapeau, si potesse avere una rapida entrata in produzione, cioè

piante con produzioni più elevate per unità di superficie e ottenere piante di

facile gestione. Le piante si mettono a dimora in fila singola, inclinate con

una angolazione di 45° lungo il piano del filare. Si lasciano crescere germogli

in posizione dorsale. Con la potatura verde, se i germogli risultano essere

numerosi, possono essere frenati in modo da individuare quelli che dovranno

formare le branche primarie. Quest’ultime risultano disposte lungo il piano

del filare ad angolo retto con il fusto, e quindi dirette dalla parte opposta a

quella a cui è rivolto il fusto. I germogli si lasciano crescere liberamente e poi

si inclinano a fine stagione senza spuntatura. Il germoglio più basso deve

trovarsi a 40/50cm da terra mentre gli altri saranno distanziati tra di loro di

50/80cm a secondo del vigore della pianta.

L’inclinazione dei rami favorisce lo sviluppo dei germogli dorsali. Essi possono

essere utilizzati per il rivestimento delle branche con la formazione di corte

branchette secondarie. Nei successivi anni si creano maglie di branche che

vengono riempite delle ramificazioni che sorgono su di esse. Quindi la ripetuta

inclinazione delle branche e le frequenti cimature delle formazioni più giovani

frenano la crescita generale dell’albero. Questa forma, non essendo più

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conveniente della palmetta per l’impiego di manodopera necessario alla

formazione, ha avuto scarsa diffusione in Italia.

2.3 Le moderne forme di allevamento in melicoltura

Per parlare di queste moderne forme di allevamento bisogna partire dal

presupposto che un’attività produttiva è sostenibile se si può mantenere nel

tempo. Innanzitutto è molto importante un adeguato ritorno economico per il

produttore che è misurabile e in seconda battuta un basso impatto ambientale

e sociale anche se i costi ambientali e sociali si avvertono solo quando nel

lungo periodo danno luogo a fenomeni di accumulo difficilmente reversibili.

Quindi è necessario uno schema più complesso che garantisca la durata e la

redditività della melicoltura sul lungo periodo. Questa nuova strategia si basa

anche su una più attenta lettura dei cambiamenti dei consumatori. Oltre a

capire il consumatore (domande che si pone in relazione alla sicurezza,

all’aspetto sanitario e alla provenienza degli alimenti), si devono considerare

tutte le fasi del processo produttivo. Dal punto di vista tecnico la frutticoltura

ha raggiunto ottimi traguardi raddoppiando le rese negli ultimi 25 anni e

mantenendo la qualità. Il diradamento dei frutti è una operazione di potatura

complementare alla potatura stessa in quanto interviene nel regolare la

produzione attraverso gli anni. Viene effettuato perché la maggior parte delle

cultivar tende naturalmente all’alternanza di produzione o a produrre

numerosi frutti ma di limitata pezzatura. Oltre che manualmente il

diradamento può essere fatto anche con numerosi composti chimici. Il NAD

(ammide dell’acido α naftalenacetico), avendo un’azione meno energica di

quella espletata dall’NAA (acido α naftalenacetico), può essere usato con

diametri dei frutti maggiori e anche sulle cultivar che potrebbero essere

diradate dall’acido. L’NMC (carbaryl) chimicamente 1 naftil metilcarbammato

ha purtroppo causato alcuni inconvenienti a livello ambientale, in cui

danneggiando l’entomofauna utile, favorisce lo sviluppo degli acari, è dannoso

per gli insetti pronubi, induce l’insorgenza di rugginosità nella cultivar Golden

Delicious e sembra che aumenti il riscaldo. L’ATS (ammonio tiosolfato) è un

concime fogliare a base di azoto e zolfo che a dosaggi elevati svolge un

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effetto diradante, poiché provoca la disidratazione degli organi fiorali

impedendone la fecondazione. I fiori ancora chiusi o quelli già fecondati non

subiscono nessuna azione diradante. Si possono effettuare diverse

applicazioni: un primo intervento ad inizio caduta petali dei fiori centrali sul

legno vecchio, un secondo intervento, a distanza di 2 3 giorni, per completare

l’azione sul legno giovane in cui i fiori si aprono in un secondo momento e un

eventuale terzo intervento si può effettuare in caso di fioriture intense e

prolungate. Le condizioni ottimali per l’impiego di questo prodotto sono:

pianta asciutta, temperatura compresa tra i 16 e i 20°C e tempo buono e

stabile. Le dosi d’impiego sono: ATS sale (98%) 0,8 kg/hl, azos 300 1,2l/hl e

ger. ATS LG 1l/hl. In termini di sostenibilità ci sono stati dei passi avanti (cioè

principi attivi meno tossici) ma anche indietro (ossia maggior numero di

trattamenti). L’efficacia dei prodotti diradanti è influenzata dalle condizioni

climatiche che si verificano durante l’applicazione e nel corso dei giorni

successivi al trattamento. La strategia diradante da adottare nei diversi

frutteti deve tener conto della varietà, dell’intensità di fioritura e

dall’andamento climatico che si registra durante questa delicata fase.

In particolare la forma di allevamento ha ripercussioni su come si potano le

piante, come si regola la carica dei frutti, come si diserba, sul parco

macchine dell’azienda e sull’efficacia dei trattamenti fitosanitari. Il

fabbisogno annuale di manodopera in un frutteto ben condotto si aggira sulle

500/600 ore ad ettaro (Lang et al.,2004) e forma circa il 55% del costo

d’esercizio globale. Tra le attività manuali come raccolta, potatura e

diradamento comprendono circa 450 ore. La semplificazione delle tre

operazioni colturali contribuirà ad aumentare la sostenibilità economica del

sistema.

2.3.1 Bibaum

L’impianto multiasse ha origini antiche e fu già descritto nel 1925 dal

ricercatore Louis Lorette, che lo preferiva ad altre tipologie d’impianto, per

la formazione di spalliere fruttifere. Un’azienda di Ferrara propone la

produzione in vivaio di alberi a doppio asse, provvisti di rami anticipati,

ottenuti con l’innesto a due gemme direttamente sul portainnesto. Questo

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Figura 2.3.1.1:impianto Bibaum (biasse)

sistema di allevamento è molto apprezzato dove il fusetto non riesce a

formare una parete stretta (fondovalle e pianura). Il bibaum (Fig. 2.3.1.1)

forma un’innovazione tecnica nella gestione della chioma dell’albero

consentendo di ottenere una forma in parete che ne semplifica la gestione

durante la fase di produzione. Si basa sul concetto di allevare piccoli alberi

simili al fusetto utilizzando alberi con due astoni per pianta. Si tratta di astoni

di piccola taglia indipendentemente dalla fertilità indotta dall’ambiente.

In questo caso le giovani piantine si formano a Y

già in vivaio. Per la loro formazione bisogna

ottenere una successione di assi verticali uguali

e disposti alla stessa distanza tra di loro. Il

materiale di base deve essere sdoppiato appena

sopra il punto d’innesto e i due assi devono

essere di pari vigoria e ben ramificati, per

garantire un accrescimento equilibrato di

entrambi gli assi ed è importante mantenere il

punto d’innesto a un’altezza minima di 10/15cm

dal suolo. I sesti da adottare sono di 1,20m sulla

fila, in modo da disporre un’asse ogni 0,60m, e

di 3,80/4,00m (Fig. 2.3.1.2) tra le file, per una densità ad ettaro di

2.000/2.800 piante. Nella

palizzatura degli assi è

necessario mantenere, nella

biforcazione un angolo

inferiore a 50°per evitare

la formazione di ricacci

nella parte interna,

posizionando il primo filo

di ferro per il sostegno

delle piante a 1,20m da terra. Al di sopra del primo filo (Fig. 2.3.1.3), bisogna

mantenere gli assi verticali ed equidistanti tra loro. Eliminare i rami troppo

bassi e quelli troppo vigorosi che ostacolano l’accrescimento dell’asse. Vanno

Figura 2.3.1.2: sesto d'impianto forma Bibaum con distanza tra le file di 4,00m

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asportati i rami che hanno un vigore uguale o superiore del 50% a quello

dell’asse centrale. Le cime non devono

essere spuntate, ma devono essere

lasciate libere di crescere, scaricandole

di frutta e rimuovendo i germogli

concorrenti fino al raggiungimento

dell’ultimo filo in altezza prestabilita

circa 3/3,5m. Di solito è necessario

effettuare la legatura dei rami in quanto

quelli lasciati sono di piccolo calibro.

Conclusa la fase di vigoria nella

formazione dei due assi, l’albero forma dei rametti produttivi orizzontali,

poco vegetativi, tipo brindilli e lamburde che non richiedono piegature.

Completata la formazione della pianta, ogni anno si provvederà alla potatura

di produzione che ha come obiettivo principale il mantenimento

dell’equilibrio vegeto produttivo. Le operazioni di potatura serviranno per:

eliminare le branche troppo vigorose. Durante l’asportazione dei rami, i

tagli non devono essere eseguiti a raso ma è necessario effettuare “un

taglio sporco”, a “becco di luccio”, mantenendo uno sperone di 1 2cm dal

quale prenderanno origine uno o più germogli in sostituzione di quello

eliminato;

raccorciare di 1/3 della loro lunghezza i rami produttivi troppo deboli

oppure procedere con l’eliminazione delle gemme (extinction);

eliminare i succhioni che si trovano sulle branche o all’interno della

biforcazione dei 2 assi;

le cime, una volta raggiunta l’altezza voluta, possono essere lasciate

libere di piegarsi sotto il peso naturale dei frutti, oppure si può effettuare

la cimatura estiva intorno alla metà di Giugno.

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Il bibaum, come la palmetta, tende a formare una parete stretta senza la

necessità di piegare rami e, quando è in produzione, non richiede la potatura

lunga perché distribuisce la vigoria sulla fila anziché verso l’interfila. La

frutta viene tenuta

attaccata al fusto, limitan

do la formazione di legno

strutturale che serve alla

formazione degli assi.

Utilizzando portainnesti

efficienti non si formano i

tipici palchi che richiedono

una fase di allevamento

complessa, ombreggiano e

fanno spostare la produ

zione verso l’alto. Si può

dire che il biasse è più

semplice nell’allevamento, nella precocità e nella produttività e quindi

ottimizza l’intercettazione luminosa. Molto importante di questa forma è la

forte predisposizione per la meccanizzazione oltre lo scopo di superare le rese

produttive delle forme monoassiali. L’obiettivo iniziale di questo impianto

bibaum fu quello di ottenere i vantaggi dell’impianto superfitto con un sesto

d’impianto simile o addirittura inferiore ad esso, quindi con meno di 3000

piante/ha, per eliminare gli inconvenienti di costo, durata e difficoltà della

conduzione del superfitto che dopo anni diventa ingestibile nel suo piccolo

spazio assegnato (Dorigoni et al.,2006). Si dimostrò infatti che negli impianti

biasse si ebbe un accrescimento minore dei germogli rispetto al fusetto.

Gli obiettivi principali che si stanno raggiungendo sono:

aumentare la qualità delle produzioni grazie al mantenimento del

rapporto tra superficie e volume degli alberi su valori elevati,

ottimizzando l’esposizione dei frutti;

sfruttamento della vigoria: se l’ambiente stimola la vegetazione, invece di

contrastare sempre la tendenza a crescere mediante fitoregolatori,

Figura 2.3.1.3: sesto d'impianto Bibaum.

Angolazione della biforcazione. In giallo evidenziato il passaggio del primo e secondo

filo mentre con le frecce in blu si indicano le

legature degli assi

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piegature dei rami o taglio delle radici, si può trasformare quello che è

considerato un punto debole in un vantaggio per il frutticoltore;

avere il controllo dell’altezza degli alberi che può essere regolata in base

alle necessità, raggiungendo anche valori molto bassi, con riduzione delle

operazioni da effettuare con strumenti ausiliari (scale,carri, ecc.);

ridurre di molto la distanza tra le file, con miglior sfruttamento della

superficie;

ottenere una parete fruttifera che crea le condizioni di massima

efficienza per il diradamento meccanico dei fiori;

aumento della resa di manodopera nelle operazioni colturali e alla

raccolta per facilitare l’accesso ai frutti;

ridurre il numero di alberi ad ettaro e quindi l’investimento economico;

formare strutture esili (brindilli e lamburde) che richiedono meno

interventi di piegatura con conseguente riduzione della dipendenza dai

brachizzanti.

limitare la dipendenza dai fitoregolatori ad azione diradante, integrando

il diradamento meccanico;

facilitare la penetrazione dei trattamenti antiparassitari all’interno di una

parete fruttifera di spessore contenuto, continua e con meno fenomeni di

deriva;

rendere possibile la sostituzione del diserbo chimico con il controllo

meccanico delle infestanti nel sottofilare per la maggior distanza degli

alberi sulla fila;

migliorare la sostenibilità in generale del frutteto, e anche la durata degli

impianti a causa del minor numero di piante ad ettaro.

Questa tipologia d’impianto non ha nulla a che vedere con i sofisticati

allevamenti ad Y ed a V. Chi osserva questi impianti ha l’impressione di

trovarsi davanti ad un impianto superfitto però con il doppio delle piante in

questo caso. Si può dedurre che il bibaum può rappresentare un ibrido tra lo

spindel e la palmetta. Le buone metodologie per ottenere questa forma di

allevamento sono:

partire già all’impianto con materiale sdoppiato appena sopra il

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portainnesto e ben ramificato perché è utile raggiungere in tempi brevi i

vantaggi di questa forma di allevamento;

il sesto d’impianto viene scelto in base alla fertilità e quindi mediamente

distanze tra le file di 3,70/3,30m e distanze tra le piante sulla fila di

1,0/1,5m;

mantenere sempre la simmetria della struttura ad U anche se un asse è

più sviluppato dell’altro;

tenere un angolo stretto tra i due assi con angolazione inferiore ai 50° per

evitare il ricaccio nella parte interna. Per questo scopo è necessario

tenere il primo filo di ferro alto circa 1,20m da terra;

dal primo filo di ferro in su mantenere gli assi paralleli, quindi verticali ed

equidistanti tra di loro, allevandoli come due piante singole;

favorire la formazione rapida della pianta nei primi due anni con un

apporto frazionato di azoto in primavera e curando la pulizia del

sottofilare;

eliminare i rami che si sviluppano nella parte bassa, interna alla V.

L’impianto con alberi biasse innestati su portainnesti deboli M9 è indicato per

zone fertili dove persiste il problema di enorme vigore. Le piante biasse

hanno fatto registrare un aumento della sezione del tronco, ma gli assi presi

singolarmente anche se raggiungono la stessa altezza degli alberi a una cima

hanno la sezione del tronco ridotta. Questo è dovuto al fatto che un solo

apparato radicale deve alimentare contemporaneamente due assi. In un

impianto al secondo anno abbiamo una migliore pezzatura, mentre al quarto

anno il numero di frutti per albero incomincia a diventare elevato sia perché

abbiamo due assi sia perché la distanza sulla fila arriva a circa 1,5m. Nei

primissimi anni dell’impianto viene frenata la precocità dalla maggior distanza

delle piante sulla fila. La produzione del biasse trae benefici dalla pezzatura e

dal sovracolore ottenibili nella parte alta della pianta, avendo due cime e una

base più debole. La resa ad ettaro notevole si ha al quarto anno quando

l’impianto entra in piena produzione. Grazie al minore sviluppo di robustezza

del palco di base si hanno filari di minor spessore. La sezione di un asse, di

solito, è maggiore dell’altro e si può affermare in questo caso, allevandoli

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Figura 2.3.2.1: melo triasse con le legature sui fili evidenziati in giallo

sempre verticalmente senza far morire la cima, che la produttività dell’asse

più debole è poco inferiore all’altro e le differenze con il tempo tendono ad

attenuarsi.

2.3.2 Il multiasse

La forma di allevamento multiasse si sviluppa in una parete molto stretta,

quindi più semplice per pali e fili e, soprattutto, può essere molto

meccanizzato. Per la formazione di essa si parte da astoni biasse preformati

in vivaio o allevando in vari modi la pianta (Dorigoni et al., 2008). Occorre

decidere da subito quanti e quali rami anticipati devono essere trasformati in

verticali. Una volta impostati gli assi, vanno gestiti ognuno come un fusetto a

sé, quindi in posizione verticale ed equidistanti, senza incrociarli tra di loro.

Le formazioni da lasciare sull’asse sono esili. La distanza ideale tra un asse e

l’altro è compresa tra 40 e 60cm e di conseguenza la distanza tra gli alberi e

tra le file dipende dal numero di assi che si vogliono ottenere. In questo modo

la pianta si autoregola, formando naturalmente germogli più corti ed esili

perché con un solo apparato radicale deve alimentare più fusti.

Per la formazione della pianta a 3 assi (Fig. 2.3.2.1) si parte da uno spindle

scegliendo due rami anticipati nella parte basale tra loro contrapposti,

eliminando gli altri concorrenti lasciando solo speroni e brindilli lunghi meno

di 30cm . I due futuri assi vengono legati in verticale sul filo di ferro, posto a

un’altezza di 0,9/1,2m.

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Per la formazione della pianta a 4 6 assi (Fig. 2.3.2.2) partendo da un bibaum

si divaricano i due astoni preformati in vivaio e si legano sul filo di ferro a 1

1,5m. Se ci sono rami anticipati idonei se ne scelgono 1 o 2 per asse in modo

da riempire lo spazio in mezzo, oppure la pianta emetterà 1 2 succhioni che

verranno trasformati in assi legandoli al filo di ferro.

Per la formazione della pianta a 6, 8 o 10 assi si può inclinare uno spindle a 90

gradi dalla verticale eliminando gli anticipati sul lato inferiore. Così

otteniamo gli assi voluti stile Guyot (Fig. 2.3.2.3, 2.3.2.4, 2.3.2.5). Un’altra

via (doppio Guyot) è di inclinare l’asse Nord di un Bibaum a Sud e l’asse Sud a

Nord ottenendo oltre 15 assi con un forma che ricorda l’allevamento a Guyot

della vite(Fig. 2.3.2.6, 2.3.2.7, 2.3.2.8).

Figura 2.3.2.4: spindle legatura sul filo di

banchina con angolazione

Figura 2.3.2.3: messa a dimora con leggera inclinazione del gambo

Figura 2.3.2.5: sistema d'impianto con distanza tra le file: 2,25m tra le piante: 1,50m, 1,80m, 2,20m

Figura 2.3.2.2: quattro assi con le relative rilegature indicate dalle frecce blu nei punti gialli

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Figura 2.3.2.6: Bibaum preformato in vivaio

Figura 2.3.2.7: imminente creazione del Doppio Guyot prima dell'inserimento dei fili nell'impianto

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Figura 2.3.2.8: creazione della forma Doppio Guyot

Figura 2.3.2.9: legatura della forma sui rispettivi fili dell'impianto

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Figura 2.3.2.1.1: impianto semi pedonabile, cultivar Golden Delicious, forma di allevamento Bibaum, distanza sulla fila tra le piante 1,20m

2.3.2.1 MELETO SEMI PEDONABILE/PEDONABILE

Partendo da un triasse o multiasse (4 5 6 Guyot Doppio Guyot) si può ottenere

un meleto semi pedonabile (Fig. 2.3.2.1.1, 2.3.2.1.2) ossia con un’altezza

raggiungibile delle piante a circa 2,60 metri.

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Per ottenerlo dobbiamo passare da un tipo di albero con struttura primaria (il

tronco), secondaria (le branche) e una terziaria (i rami produttivi) a un albero

completamente assente della struttura secondaria che forma l’impalcatura di

base nello spindle o le branche vigorose tipiche della potatura lunga. In

termini di vigoria trasformare uno spindle in un albero a più assi equivale a

passare da un portainnesto più forte a uno più debole in seguito alla

ripartizione di un unico apparato radicale su un numero crescente di assi o

“mini spindle”. Molto importante, quindi, risulta essere la scelta all’impianto

del numero di assi perché è una variabile fondamentale per realizzare meleti

con sesti d’impianto diverso, con diversa forma e altezza. È fondamentale

intervenire spesso con la potatura verde per eliminare i rametti concorrenti

anche nell’impianto adulto, legare gli assi che si stanno formando e rimuovere

la frutta da essi. È necessario curare la struttura di sostegno perché la frutta

grava sui fili di ferro e sui pali, infatti i fili non devono essere più distanti di

Figura 2.3.2.1.2: impianto semi pedonabile, cultivar Golden Delicious, altezza massima piante 2,60m, distanza tra le piante 1,20m

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50 cm tra di loro (figura 2.3.2.1.3, 2.3.2.1.4).

Figura 2.3.2.1.3: impianto pedonabile, cultivar Golden Delicious, distanza tra le piante 1,50m, 1,80m, 1,90m

Figura 2.3.2.1.4: impianto pedonabile con

distanza tra le file 2,25m

Figura 2.3.2.1.5: impianto pedonabile, cultivar Gaia e Fujion, distanza tra le piante 1,50m, 1,90m

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Quindi la lenta entrata in produzione e le cure nei primi anni rappresentano il

maggior svantaggio del multiasse semi pedonabile/pedonabile finché non si

disporrà di materiale preformato in vivaio. Se si sceglie di costruire la

struttura primaria (gli assi) in campo, la precocità è molto inferiore sia perché

è inferiore il numero di alberi/ha sia perché nei primi anni parte del

potenziale produttivo dell’albero è indirizzato a completare la struttura

primaria anziché alla produzione.

Tabella 2.3.2.1.2: produzione di cultivar Fuji allevata con uno o più assi

Per non perdere in produttività si tende a ridurre la distanza tra i filari,

piuttosto che aumentare l’altezza degli alberi diminuendo la densità ad ettaro

(tabella 2.3.2.1.1). Si stimano circa 250 ore di manodopera in più nel primo

anno rispetto alle forme passate soprattutto per potature e rilegature sul filo

di banchina (Fig. 2.3.2.1.6, 2.3.2.1.7).

N°assi Distanza tra gli alberi (m)

Distanza tra gli assi (m)

Distanza tra le file (m)

N° piante/ha

1 0,6 0,60 3,3 5.051 2 1,0 0,50 3,0 3.333 3 1,5 0,50 2,8 2.381 4 1,8 0,45 2,7 2.058 6 2,4 0,40 2,5 1.667 10 2,8 0,28 2,2 1.623

Tabella 2.3.2.1.1

Anni 2 3 4 5 6 2 3 4 5 6 N°di assi

Alberi/ha

Kg per albero Tonnellate per ettaro

1 2597 5 8 17 24 19 13 24 52 76 60 2 2381 10 5 25 27 31 25 12 59 64 73 3 2151 10 12 33 18 51 22 25 70 38 110 4 1587 10 3 27 18 44 16 5 42 29 70 6 1515 0,8 14 21 27 64 1 22 32 40 97 8 1299 0,4 13 16 30 56 1 17 20 39 73

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Più assi si formano meno vigore abbiamo e più un meleto a parete stretta

otteniamo. I numerosi assi che si formano hanno un calibro ridotto.

Figura 2.1.3.1.7: legature sul filo di banchina e fiori all'apice dell'asse da togliere

Figura 2.3.2.1.6: impianto pedonabile "Doppio Guyot" cultivar Fuji, si può notare come sono stati tolti i fiori all'apice di ogni piccolo asse per farli avanzare meglio in altezza

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In un triasse di cultivar golden abbiamo circa 230 mele in totale che si

possono ottenere da una singola pianta. Un singolo asse può portare fino a

circa 100/105 mele. Nel multiasse “Doppio Guyot” possiamo avere fino a 15

assi in verticale con in media 8 gemme per asse, quindi in una pianta si

possono raggiungere fino a quasi 200 gemme. Mediamente 10 frutti per metro

lineare, quindi circa 450 frutti a pianta con 15 assi. Con questi sistemi

“Doppio Guyot” otteniamo mediamente circa 20.000 assi in un appezzamento

di un ettaro coltivato a melo. Questi sistemi con numerosissimi assi servono

per l’ottenimento di un Pedonabile in cui l’altezza delle piante rimane

compresa intorno ai 2 metri.

Lo scopo di questi meleti semi pedonabili e pedonabili è di ottenere minor

sacrificio durante la raccolta da parte degli operatori senza l’utilizzo di scale

e carri raccolta (costosi) e nello stesso tempo più sicurezza soprattutto in quei

luoghi con l’orografia non ottimale (sistemazioni a rittochino con pendenze

intorno al 30/40%) tipica dei luoghi alpini e appenninici. Molto importante

risulta essere il raggiungimento di una minor deriva nella distribuzione di

fitofarmaci e una maggior penetrazione di luce all’interno della chioma

perché più radiazione luminosa porta ad avere frutti più colorati. Nel meleto

pedonabile si può affermare che si può fare tutto “a piedi”. Le piante basse

sono meglio predisposte alle reti “multifunzionali” che difendono dalla

grandine, da insetti dannosi, dalla pioggia, regolano la carica della frutta e

proteggono da un’eccessiva intercettazione dell’energia radiante. Si può

produrre la stessa quantità di frutta con piante basse aumentando il numero

di file e quindi stringendo la distanza tra e sulle file. La distanza tra le file

può arrivare anche a 2,05m soprattutto nelle zone montane a bassa vigoria.

Le novità in sperimentazione sono le reti anti pioggia e gli impianti fissi

multifunzione. Le reti antipioggia hanno lo scopo di proteggere le piante

evitando che la pioggia scateni infezioni fungine e dilavi i prodotti

fitosanitari, mentre i secondi oltre alla funzione climatizzante, ha lo scopo di

agevolare i trattamenti fitosanitari limitando o eliminando l’utilizzo degli

atomizzatori anche sotto rete senza il loro avvolgimento.

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CAPITOLO TERZO

NUOVE TECNICHE DI GESTIONE DEL MELETO

Fino ad oggi gli aspetti più studiati e ricercati nelle forme di allevamento sono

stati quelli di massimizzare l’intercettazione luminosa per ottenere la

massima quantità e qualità nelle produzioni, migliorare l’utilizzo degli spazi e

mantenere produttivo un impianto il più a lungo possibile con “l’ormai nota”

forma d’allevamento a Spindle. Il futuro, di cui si è parlato precedentemente,

rappresenta una miglioria nella distribuzione degli agrofarmaci riducendo gli

input chimici nella gestione della vigoria e della carica produttiva. Questo

traguardo viene raggiunto con l’applicazione di una gestione agronomica

efficace che permette l’impiego delle macchine e non solo nelle operazioni

colturali.

3.1 Il diradamento meccanico

Il diradamento è una tecnica

agronomica fondamentale per la

melicoltura moderna e competiti

va. Attraverso degli interventi

mirati in fasi di poco antecedenti

la piena fioritura (bottoni rosa),

l’agricoltore è in grado di ottenere

produzioni costanti e di elevata

qualità per tutta la durata dell’im

pianto. Un intervento più tardivo

potrebbe provocare un’elevata percentuale di frutti deformati. Il diradamento

meccanico nasce in Germania più di 15 anni fa nel Bodensee dall’intuizione di

Hermann Gessler e risulta facilmente applicabile a questi moderni impianti di

melo con metodologia simile all’extinction (tecnica francese che prevede

l’asportazione manuale delle gemme a fiore prima e durante la fioritura). Il

periodo ottimale di esecuzione del lavoro va dalla completa divaricazione dei

Figura 3.1.1: Darwin

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mazzetti fiorali sul legno vecchio fino a inizio caduta petali, per un periodo di

3/5 giorni (Strimmer e Kelderer, 1997) e consiste in una sorta di spazzolatura

dei fiori mediante dei fili in materiale plastico posizionate su un rotore

verticale di altezza di 2/3m portato anteriormente alla trattrice o mediante

attacco a tre punti per l’attacco all’impianto idraulico anteriore della

trattrice (Fig. 3.1.1) o mediante l’attacco senza tre punti per il montaggio in

assenza di un impianto idraulico anteriore, in questo caso la piastra di

montaggio deve essere adattata individualmente per ogni trattrice. Inoltre un

optional valido è lo spostamento idraulico laterale che consente lo

spostamento dell’operatrice di 40 cm. Questa macchina è chiamata e

commercializzata con il nome “Darwin”. Le versioni disponibili sul mercato

oggi sono la Darwin 200, la Darwin 250 e la Darwin 300. Per la 200 l’altezza di

lavoro è di 1,9m, l’altezza macchina di 2,28m e il peso dell’attrezzo di 148

Kg; per la 250 l’altezza di lavoro è di 2,39m, l’altezza macchina di 2,74m e il

peso dell’attrezzo di 155 Kg; per la 300 l’altezza di lavoro è di 2,85m,

l’altezza macchina di 3,20m e il peso dell’attrezzo di 165 Kg. Per ogni

tipologia di Darwin la superficie lavorata è di 1,5/2,5 ha/h con lunghezza dei

fili di 60cm, un numero di essi variabile e con un impianto idraulico che

necessita di 20 l/min di olio. È improponibile in altri tipi di allevamento come

nel caso delle potature lunghe e centrifughe. Nelle nuove forme multiasse

appiattite lo spazzolamento avviene bene anche al centro della pianta con

velocità ridotta di rotazione delle spazzole. L’operazione può essere svolta ad

una velocità di avanzamento della trattrice compresa tra i 4/15Km/h con una

velocità di rotazione dell’apparato spazzolante compreso tra i 180/320

giri/min, inoltre è molto importante stare molto vicini alla parete con la

macchina per ottenere una buona efficacia (Fig. 3.1.2).

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65

L’asportazione meccanica dei fiori comporta dei rischi di sovra diradamento

legati ad un possibile andamento sfavorevole dell’annata. Per questo motivo

si preferisce non puntare ad un diradamento intenso con la macchina, ma

piuttosto rimuovere solamente il 30/40% dei fiori con rotazioni moderate

(220/240 giri/min). Infatti come si può vedere (tabella 3.1.1) l’efficacia

diradante aumenta con la velocità di rotazione ma diminuisce al crescere

della velocità di avanzamento.

Velocità di avanzamento (Km/h)

Efficacia diradante Velocità di rotazione (rpm)

4 210 6 240

8 270 10 300

Figura 3.1.2: macchina in azione

Tabella 3.1.1

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Cultivar Adattabilità Fuji Molto adatta Red Delicious Molto adatta Gala Adatta Golden Adatta Braeburn Abbastanza adatta Pink Lady Abbastanza adatta Granny Smith Poco adatta Morgenduft Poco adatta

Si può affermare che ci possono essere delle cultivar che si adattano meglio o

peggio a questo tipo di operazione (tabella 3.1.2). Nelle 3/4 settimane

seguenti questa operazione, per il leggero shock subito la pianta induce anche

una reazione ormonale che provoca una maggiore cascola dei frutticini. Il

vantaggio risulta essere: operare sia con il freddo, con il vento e perfino con

la pioggia; azione indipendente dalla cultivar aumentando la rotazione delle

spazzole si possono avere risultati diversi e quindi si può scegliere di diradare

tra 0 e 100% dei frutti, già con una variazione di rotazione 10 20 giri/min si

nota molto l’effetto ottenuto sul melo (altissima modulabilità); visibilità

immediata dell’azione diradante che permette di correggere in corso d’opera

l’uso della macchina; autosufficienza dell’agricoltore svincolato dal mezzo

chimico; rapidità di esecuzione circa 1h/ha; le piante diradate

meccanicamente risultano essere molto sensibili all’eventuale successivo

diradamento chimico con acido naftalenacetico e benziladenina (NAA+BA);

integrazione con il diradamento chimico; la precocità ossia diradare presto

permette una carica finale più abbondante; il rispetto per l’ambiente perché

si riduce l’utilizzo in quantità e numero di interventi di prodotti chimici ad

azione diradante; in ambito sociale parziale riduzione del disturbo acustico

rispetto all’intervento con atomizzatore e riduzione del rischio legato alla

manipolazione di prodotti fitosanitari (Fig. 3.1.3, 3.1.4, 3.1.5, 3.1.6, 3.1.7).

Tabella 3.1.2

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Figura 3.1.3: filare ant diradamento

Figura 3.1.4: filare post diradamento ambo i lati effettuato con Darwin

Figura 3.1.5: mazzetti affioranti post diradamento con Darwin

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Le problematiche riscontrate in questo metodo risultano essere:

appezzamenti non del tutto transitabili in zone collinari e di montagna; la

precocità da un lato è un aspetto positivo, dall’altro espone al pericolo di

gelate tardive; i filari spessi più di 2 metri sono difficilmente spazzolabili;

provoca qualche danno alla vegetazione; possibilità di trasmissione di

malattie e in particolare del colpo di fuoco batterico in zone infette; costo di

acquisto elevato della macchina.

Figura 3.1.6: mazzeti affioranti ant diradamento con Darwin

Figura 3.1.7:petali di fiore in parte distrutti dovuti al diradamento meccanico

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3.2 La potatura meccanica

La potatura meccanica può essere eseguita con una o più barre falcianti

applicate anteriormente alla trattrice. Essa è uno degli strumenti più efficaci

per plasmare le piante e mantenerle nelle dimensioni volute, sia in larghezza

che in altezza. La macchina è provvista o di flangiatura standard oppure del

sollevatore frontale, inoltre ha un distributore idraulico per il movimento dei

motori, per lo spostamento laterale, per l’inclinazione della testata falciante

e per la regolazione dell’altezza del gruppo falciante. La barra falciante

verticale è di lunghezza o di 2,10m oppure di 2,50m. Gli elementi opzionali

sono un impianto idraulico indipendente con scambiatore di calore e una

barra orizzontale per il topping (Fig. 3.2.3) e la lama da taglio di 1,20/1,50m

con rientro a comando idraulico. La velocità di avanzamento della trattrice

durante questa operazione deve essere intorno ad 1,5 Km/h.

Cultivar Località Spindel Parete fruttifera

Spessore (cm)

Altezza (cm)

Spessore (cm)

Altezza (cm)

Gemme a fiore sul taglio

“Lorette” (%)

Golden Delicious

Valle dell’Adige 157 324 93 327 17

Gala Valle dell’Adige 203 371 107 367 91 Fuji Valle dell’Adige 212 331 103 346 10 Pink Lady Valle dell’Adige 184 374 97 369 75 Renetta Val di Non 155 371 63 360 25 Gala Val di Non 155 357 101 304 41

Un meleto potato meccanicamente, soprattutto nel periodo di potatura

verde, è più accessibile e richiede meno tempo per la maggior parte delle

operazioni manuali e per la raccolta.

Tabella 3.2.1: variazioni dimensionali da trasformazione di un classico Spindel in parete fruttifera

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Figura 3.2.1: potatrice meccanica metodo "Lorette"

Migliorare l’accessibilità in meleti di difficile transitabilità. Formare una parete fruttifera, con i conseguenti vantaggi (gestionali, agronomici e di sostenibilità) senza l’utilizzo di brachizzanti. Riavvicinare le mele al tronco (azione centripeta). Predisporre il meleto al diradamento meccanico. Contenere lo sviluppo delle cime, soprattutto sotto le reti antigrandine. Semplificare la potatura invernale. Indurre la differenziazione a fiore.

Si può potare a macchina sia un meleto multi asse sia un classico spindle

(tabella 3.2.1), però con inclinazione della barra falciante di 20/30°rispetto

alla verticale dando così una forma conica alle piante. A questa macchina

possono essere applicate delle “finestre” di taglio che asportano i rami vicino

al tronco anche fino al diametro di 35mm, essa si applica soprattutto in

meleti con interfila superiore ai 3,5m permettendo di far entrare la luce in

alberi voluminosi e riducendo le ore di potatura invernale. Queste finestre

consistono in barrette lunghe

36cm, disposte in secondo

piano di taglio quasi verticale e

il numero può variare in

funzione delle esigenze fino ad

un massimo di 4. Ogni

intervento di “potatura ver

de”, dalla fioritura alla caduta

delle foglie, stimola meno il

ricaccio. In questa operazione

è molto importante il metodo

di potatura “Lorette” (Louis

Lorette, 1925) applicabile

nell’epoca di formazione di

10/14 foglie sul germoglio

dell’anno. Siccome il metodo originale è impossibile proporlo nei moderni

Tabella 3.2.2: vantaggi potatura meccanica estiva

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frutteti con i costi attuali della manodopera allora gli sperimentatori francesi

del Ctifl proposero una versione semplificata con la macchina

precedentemente descritta (Fig. 3.2.1). La pianta di melo in seguito

all’interruzione della dominanza apicale dei germogli tende a risvegliare le

gemme stipolari all’ascella delle foglie vicine al taglio del ramo con

produzione di gemme miste o corte lamburde. Facendo questo

raccorciamento negli anni si ottiene un effetto “centripeto”, cioè si promuove

il rivestimento dei rami con gemme a fiore nella parte interna, vicino al fusto.

Vengono esposte di più le mele perché vengono eliminate le foglie più

esterne. Questo comporta maggior agevolazione delle operazioni colturali,

compresa la raccolta, e la potatura invernale può essere ridotta al minimo.

L’uso di questa macchina nel periodo invernale è importante per velocizzare

la potatura manuale

soprattutto se si impiegano

cimatrici con 2/3 finestre o

per stimolare piante poco

vigorose (tabella 3.2.2).

Nei meleti molto vigorosi

questo tipo di potatura può

essere affiancato dalla pota

tura meccanica delle radici

entro inizio estate per facili

tare la chiusura della vegeta

zione ripristinando il corretto

rapporto tra chioma e radici.

Figura 3.2.2:macchina in azione

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Figura 3.2.3: elementi optional Figura 3.2.4: multiasse post potatura meccanica estiva rifinita manualmente

Figura 3.2.5: quattro assi potato meccanicamente e manualmente in estate

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3.3 Reti multifunzionali

Le reti multifunzionali mono filari, nate in Francia, sono state sperimentate e

introdotte principalmente per sopperire alla regolazione della carica dei

frutti. La rete è di tipologia anti insetto, viene semplicemente appoggiata sul

filo di colmo del filare e lasciata scendere sui lati dell’albero. La larghezza

della rete va da 5 a 8 metri in funzione dell’altezza degli alberi e deve

fasciare completamente gli alberi di melo su entrambi i lati, gli obiettivi da

raggiungere sono due in questo caso: da una parte assicurarsi che la fioritura

si traduca in una produzione abbondante e dall’altra limitare il numero di

frutti per garantire qualità e prevenire l’alternanza. Data la precarietà delle

condizioni meteorologiche primaverili c’è la necessità di favorire

l’impollinazione, a volte, anche con prodotti alleganti e con l’apporto di

pronubi. Successivamente, visto che ogni mazzetto è formato da almeno 5

fiori, mentre si vogliono 1 o 2 frutti per mazzetto, di solito si ricorre a

complesse strategie di diradamento che richiedono fino a 5 trattamenti

chimici. Queste reti, invece, prima permettono che i fiori centrali sul legno

vecchio vengano impollinati liberamente, o anche con alleganti e l’utilizzo di

bombi; trascorso il tempo necessario si chiude la rete intorno alle piante di

melo. Da questo momento in poi i pronubi vengono “fisicamente” esclusi dal

meleto e si ostacola l’impollinazione, che per varietà come Fuji si

protraggono per una o due settimane. La rete esercita anche un’azione

ombreggiante, variabile a seconda del colore e della fittezza delle maglie, in

un periodo in cui i frutticini appena allegati hanno poca capacità di

richiamare i nutrienti necessari alla crescita (Zibordi et al.,2009). Questi due

effetti, sommandosi, normalmente provocano la caduta dei frutticini più

deboli, quelli meno impollinati e di diametro più piccolo.

Le cultivar Golden e Fuji sono mediamente sensibili al diradamento mentre

Gala risulta essere la più difficile da diradare anche chiudendo presto la rete.

Per le varietà che allegano facilmente, se le si vuole diradare occorre

chiudere entro la piena fioritura, quindi 1 o 2 giorni dopo che si sono aperti i

fiori centrali sul legno vecchio, mentre per le cultivar sensibili

all’ombreggiamento, per evitare un possibile sovradiradamento, è necessario

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attendere l’impollinazione e chiudere alcuni giorni dopo la piena fioritura.

All’utilizzo di reti, trattandosi nella maggior parte dei casi di un trattamento

precoce, si possono far seguire diradanti chimici vecchi e nuovi (NAD, NAA,

BA, metamitron) quindi la chiusura della rete in funzione diradante va vista

come uno strumento addizionale, non necessariamente sostitutivo degli

interventi chimici, meccanici o manuali fino ad oggi impiegati per regolare la

carica dei frutti. La funzione di protezione antigrandine della rete è ben

svolta sui meleti, anche per la presenza di un distanziatore in cima a ogni palo

intermedio e 1 filo di ferro per parte. I distanziatori a livello della cima

permettono minor danneggiamento delle mele da parte della grandine. Come

alternativa si può avere la copertura in alto nera per proteggere le scottature

dal sole andando a gestire un problema che il cambiamento climatico in atto

sta aumentando sempre di più ogni anno. Un punto di forza delle reti è la loro

inclinazione quasi verticale, che permette uno scarico totale della grandine e

della neve, aspetto molto importante per le zone montane, in pendenza ed

esposte al rischio di nevicate precoci (figura 3.3.1, 3.3.2, 3.3.3, 3.3.4).

Figura 3.3.1: nelle frecce i due rispettivi capi delle aste dove inserire la manovella per il riavvolgimento e lo svolgimento delle reti

Figura 3.3.2: i distanziatori e le due aste che corrono lungo l'intero filare parallelamente

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Per la coltivazione di meleti sotto rete è vantaggioso eseguire almeno un

intervento di potatura verde a inizio estate, sia della parte laterale sia delle

cime delle piante, tale intervento può essere effettuato a mano o anche a

macchina, facendo seguire il diradamento manuale di rifinitura. Uno scopo

valutato di queste reti è l’effetto brachizzante che hanno sulla pianta di

melo, si contiene così lo sviluppo della pianta rendendolo completamente

pedonabile. Lavorare manualmente camminando sotto la rete è piuttosto

scomodo, quindi è utile mettere a punto dei sistemi semplici per facilitare la

Figura 3.3.3: nelle frecce i distanziatori posti lungo il filare ad ogni palo intermedio

Figura 3.3.4: impianto "Doppio Guyot" pedonabile predisposto a nuove tecniche di reti multifunzionali

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scopertura temporanea dei filari. Se si solleva la rete è importante farlo in

base al comportamento e al ciclo della carpocapsa (Cydia Pomonella) per

evitare ovodeposizioni (Tasin M. et al., 2008) e della Drosophila Suzukii.

Siccome la copertura con rete aumenta l’effetto vela del vento sui filari,

questa multifunzionale è più adatta ad impianti bassi, con altezza inferiore ai

3 metri. Le reti mono filari sono l’unica forma di difesa antigrandine che si

appresta anche all’utilizzo delle irroratrici a tunnel, in questo modo occorre

fare più attenzione agli afidi e all’afide lanigero, perché sono favoriti

dall’ombreggiamento esercitato dalla rete. Queste reti possono essere

utilizzate sui filari di bordo degli appezzamenti delle aree urbane per limitare

sia l’uso di insetticidi sia la deriva dei fitofarmaci (Triloff et al., 2012); le reti

hanno anche la funzione di anti pioggia allo scopo di limitare le infezioni

fungine e ridurre o eliminare il dilavamento dei fitofarmaci. Pertanto se il

fitofarmaco non viene dilavato si può ridurre la dose dello stesso.

Concludendo queste reti, poiché creano un ambiente semi protetto, possono

facilitare il lancio di insetti utili a diretto contatto con i meli.

3.4 Diserbo meccanico e gestione dell’interfilare

Questa tecnica consiste nella pulizia del sottofilare utilizzando dischi, lame,

coltelli e fruste. Essa elimina principalmente il rischio di contaminazione delle

falde con sostanze chimiche diserbanti, quindi meno impattante dal punto di

vista ambientale. Partendo dal presupposto che la corretta gestione delle

malerbe del sottofila garantisce un agevole svolgimento delle operazioni

colturali, riduce la presenza di patogeni fungini e insetti dannosi e limita la

competizione tra la vegetazione spontanea e arborea (Fig. 3.4.1, 3.4.2,

3.4.3), negli ultimi tempi soprattutto sulle nuove forme di allevamento di

melo in parete (bibaum, multiasse semipedonabile/pedonabile) si rende

necessario effettuare lavorazioni del terreno con macchine interceppo,

trinciatura rispetto ad un utilizzo di erbicidi di sintesi. Per esempio nelle

aziende di tipo biologico, dove non è consentito assolutamente l’utilizzo del

diserbo, la gestione delle malerbe è esclusivamente di tipo meccanico.

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Figura 3.4.1: nuovo impianto cultivar Galant ad inizio estate

Figura 3.4.2: filare prima del taglio erba

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Figura 3.4.3: filare post taglio erba

Figura 3.4.4: macchina tagliaerba portata posteriormente alla trattrice

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In passato fu proposto l’impiego del pirodiserbo (lessatura dei tessuti con

fiamma GPL), nelle coltivazioni melicole che purtroppo non ha avuto gli

effetti auspicati a causa dell’elevato costo di gestione e della forte attenzione

da porre in situazioni ambientali di elevata aridità. Le macchine attualmente

disponibili sono di diverso tipo:

le macchine trinciaerba con tagliaerba laterale è costituita da una trincia

portata posteriormente alla trattrice (Fig. 3.4.4) e lateralmente può essere

provvista da un utensile a flagelli, un disco con coltelli oppure altri utensili

per la lavorazione interceppo, tale macchina procede sia alla pulizia

dell’interfila e sia sottofila.

La macchina tagliaerba laterale serve solamente per pulire il sottofilare, di

questo tipo vi sono macchine a coltelli e a flagelli.

Macchine interceppo per la lavorazione del suolo nel sottofila possono essere

portate anteriormente o posteriormente alla trattrice e la stessa macchina

può essere abbinata a diversi tipi di utensili, che possono essere alimentati

autonomamente dal proprio impianto idraulico o da quello del trattore e,

attraverso appositi sensori a sensibilità variabile, possono spostarsi

Figura 3.4.5: inerbimento nuovo impianto forma di allevamento Davor Baum

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automaticamente al contatto con la pianta permettendo di lavorare anche in

impianti fitti, i meccanismi sono azionati dal posto di guida dell’operatore

tramite un distributore idraulico o elettro idraulico. Oltre al controllo delle

infestanti, è stato notato che la lavorazione meccanica del sottofila va a

disturbare l’attività delle arvicole, controllandole indirettamente.

Le macchine interceppo in posizione ventrale sono invece posizionate

lateralmente alla trattrice, consentendo all’operatore una agevole

visualizzazione e controllo della stessa sempre attraverso comandi

elettromeccanici.

Le nuove tecniche di diserbo meccanico saranno rappresentate dall’utilizzo di

acqua ad alta pressione, che irrorata violentemente sulle infestanti ne

provoca la distruzione e rappresenterà una possibilità di controllo naturale ed

ecosostenibile.

Con queste macchine si ha un maggior avvicinamento al tronco senza

danneggiamenti grazie a dei dispositivi elettromeccanici all’avanguardia con

un aumento della velocità di lavoro degli utensili che permette un incremento

della resa oraria di lavoro, lo stesso possono operare anche in situazioni

difficili ossia in presenza di elevato scheletro. Un limite alla diffusione di

queste macchine è il capitale di anticipazione necessario per l’acquisto,

infatti per ovviare a questo inconveniente si è cercato di abbinare ai suddetti

macchinari i diversi tipi di utensili, ottimizzando il capitale investito. Con

questi macchinari il numero di interventi necessari durante l’anno varia in

funzione dell’andamento climatico, che è determinante per lo sviluppo della

cotica erbosa. Mediamente si necessitano 4 interventi e dalle sperimentazioni

risulta molto elevato il costo annuo totale relativo all’impiego di macchine

per la lavorazione ma diventerà un passaggio obbligatorio anche nelle aziende

a produzione integrata in primo momento magari alternandolo al prodotto

chimico ma successivamente sarà l’unica soluzione: questo perché si ha

sempre più necessità di rispettare dei disciplinari che rispettano l’ambiente.

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CAPITOLO QUARTO

METODO DI POTATURA “LOUIS LORETTE”

Questa potatura prende origine da un ricercatore francese, Louis Lorette capo

coltivatore e professore della scuola di agraria di Wagnonville, che a inizio del

1900 sviluppò una tecnica di potatura estiva su melo e pero con degli ottimi

risultati.

4.1 Significato dei termini

La gemma è un nucleo meristematico “germoglio” allo stato embrionale, di

forma subconica o emisferica che di solito si trova all’ascella delle foglie.

Le gemme stipulari sono quelle gemme poco appariscenti che si trovano

all’ascella delle stipule, cioè quei piccoli organi fogliacei che si trovano ai lati

della gemma principale.

Le gemme latenti non si sviluppano e possono rimanere inattive per anni

assecondando lo sviluppo diametrale e rimanendo nella cerchia cambiale.

Il germoglio, o cacciata, è la gemma sviluppata. Una volta arrivato allo stato

legnoso prende il nome di ramo.

Rami anticipati sono i germogli di seconda generazione che possono

svilupparsi sul germoglio o ramo, nello stesso anno in cui questo si è formato.

Il dardo è la gemma rimasta stazionaria ed accompagnata da una rosetta di 2

3 foglie; “è la promessa di fruttificazione del pero”.

La lamburda è un bottone che darà fiori e frutti, infatti termina con una

gemma a legno o con un corto asse con gemme a fiore laterali e apice

vegetativo.

La borsa è tutto quel corpo ingrossato e carnoso, sul quale erano inseriti i fiori

e dopo i frutti. Quest’organo dà, quasi sempre, luogo a dei dardi e a delle

lamburde.

Il corsoncello è la formazione o piccola branca che si forma in seguito alle

vegetazioni sviluppatesi dalla borsa lasciata da un dardo dopo aver fruttificato

e comprende anche il brindillo che è un germoglio debole che diventa ramo,

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ma non raggiunge mai la grandezza di una matita, che invece è quella voluta

in questo metodo per la potatura alla base da giugno a settembre.

4.2 Scelta delle piante

“È meglio acquistare solamente 20 piante sane che 50 ammalate” cioè è

meglio pagare un po’ più care le piante e riceverle di prima scelta piuttosto

che voler usufruire del buon mercato. È molto importante la verifica dello

stato delle piante al ricevimento e non bisogna accontentarsi di ordinare le

piante da un qualsiasi vivaista con la semplice scelta delle varietà ma è

importante che queste piante siano vigorose e sane. La corteccia deve essere

liscia mentre se non lo è vuol dire che le piante sono avvizzite cioè hanno

passato troppo tempo esposte all’aria. I muschi che ricoprono il fusto e i

cancri sono sinonimi di vecchi scarti rimasti a lungo in vivaio. Le radici, ben

conservate e sane, devono essere assenti da ammaccature e muffe. Una

giovane pianta attecchisce poco se le sue radici sono state per molto tempo

esposte all’aria, al sole e ad una temperatura inferiore ad 1°C.

Le piantine che hanno sofferto per il freddo, non devono essere tolte

dall’imballaggio ma devono essere messe in un fosso esposto a Nord ed essere

seppellite ricoprendole con terra in modo di farle disgelare lentamente.

Dopo una quindicina di giorni si toglierà l’imballaggio dalla fossa perché esse

saranno ritornate allo stato normale e saranno pronte per il trapianto.

4.3 I fattori che contribuiscono alla fruttificazione

È ben noto che, ad una certa età, le piante da frutto fruttificano

naturalmente a 5 o 6 anni mentre altre con una potatura lunga dei rami a

legno che si trovano all’estremità delle branche (prolungamenti) fruttificano

già al terzo anno dell’impianto. Ma non bisogna dimenticare che il pieno sole

e la grande aereazione sono delle condizioni indispensabili per permettere

alle formazioni erbacee di trasformarsi velocemente in formazioni fertili. Per

questo occorre saper distanziare le piante tra di loro e lasciare sempre, tra le

branche dell’impalcatura, uno spazio necessario ai raggi del sole perché

eserciti la sua azione vitale.

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Le foglie sono per le piante come i polmoni per l’essere umano e pertanto

bisogna conservarle numerose e ben sviluppate mentre la formazione di

piante per mezzo di gemme stipulari porta ad una fruttificazione più grande,

e questo diminuisce il vigore di certe cultivar.

4.4 Regole di potatura con il metodo “Lorette”

La forma appiattita da lui preferita è l’“U doppio” perché con questo metodo

la linfa è, per due volte, obbligata a suddividersi per ripartirsi su 4 branche

simmetriche e di forza uguale che si riempiono di formazioni fruttifere e

lamburde. I due germogli “cacciate” che devono formare il primo U e quelli

destinati a preparare le seconde U devono partire da uno stesso punto ossia

dallo stesso livello. Però il taglio su due gemme opposte porta dei rami situati

uno più alto dell’altro e per questo bisogna equilibrarli con cura. I

professionisti afferma sono in grado di ottenere l’U perfetto con i germogli

stipulari. L’astone viene piantato a novembre, ad aprile viene effettuata la

potatura a circa 25cm sopra il terreno. Dalla gemma superiore si sviluppa un

ramo che si taglia alla base verso la fine di giugno quando è già legnoso e ad

1/2cm dall’inserzione. Da questa base si sviluppano 2 germogli di forza uguale

situati allo stesso livello. Questi daranno origine alle branche principali.

L’anno seguente, ad aprile, anche questi rami vengono tagliati nei punti in cui

vogliamo che avvenga la biforcazione. Da ognuno si svilupperà un germoglio

(cacciata) che verrà tagliato sulle gemme stipulari e darà luogo a 2 germogli:

così si sono formati con semplicità e in modo perfetto i due U superiori.

4.5 Le pratiche della potatura

Al contrario del metodo classico, che vuole che le piante siano potate in

inverno durante il loro periodo di riposo e sottoposte a cimature durante la

primavera e l’estate, questo sistema si basa su una potatura da eseguirsi a

fine aprile, quando le piante sono completamente in vegetazione: ma poco e

solo sui prolungamenti; una potatura cortissima dei rami verdi che si effettua

a partire da giugno. Si applica a tutti i rami semilegnosi e deve essere assistita

da un’altra a luglio, agosto e settembre secondo i casi.

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I VANTAGGI

La potatura invernale non è necessaria, ed i mesi di cattiva stagione possono

essere dedicati ad altri lavori. Ad aprile il tempo per potare i prolungamenti

richiede solamente un giorno rispetto alla potatura normale in cui serve una

potatura di svariate settimane. Questo metodo è molto semplice, in estate

richiede un leggero lavoro monotono che può essere ritardato anche di

qualche settimana senza che ne derivino inconvenienti. Louis Lorette

afferma:“ la differenza di produzione rispetto alla potatura classica è così

notevole che i professionisti non ne vogliono più sentir parlare”.

POTATURA DEI PROLUNGAMENTI

I prolungamenti, cresciuti all’estremità delle branche di impalcatura nella

primavera precedente e che sono stati conservati per la loro lunghezza,

entrano in vegetazione ad aprile. Il taglio avviene quando la linfa è

abbastanza in movimento e le gemme hanno dato origine a delle cacciate

erbacee di 5/6cm. Un periodo preciso per effettuare questa operazione non

esiste ma varia in base al clima (Fig. 4.5.1, 4.5.2).

Figura 4.5.1: tagli "Lorette" eseguiti con macchina potatrice

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Prima di effettuare la potatura bisogna assicurarsi che le gemme abbiano

ricevuto il sole e l’aria, siano ben formate ed in grado di svilupparsi in rami a

legno; ecco che può essere effettuato il taglio lungo conservando, del

prolungamento, i ¾ della sua lunghezza. Quindi esse nella parte terminale

delle branche di impalcatura, quando hanno raggiunto l’altezza dei sostegni

per essere preparati, in aprile devono essere tagliati alla base cioè nel punto

d’inserzione, e così via per tutti gli anni.

FORMAZIONE DEI RAMETTI A FRUTTO

Mentre la potatura classica vuole che si formino i rami a frutto dai rami di

prima generazione (nati in numero limitato sui prolungamenti e tagliati a tre

gemme durante l’inverno), questa potatura permette di ottenere delle

formazioni più corte di minor vigore e facilmente provviste di bottoni. Il punto

focale è il bottone, che si forma sui prolungamenti. Una volta fiorito il

bottone si forma una borsa di cui non bisogna dimenticare che porta sempre

delle gemme o dei dardi suscettibili di dare dei nuovi bottoni o dei rami a

legno. Di solito succede che su una prima borsa se ne formino spesso altre in

grado di generare piccole, corte e ramificate formazioni che sono rivestite da

uno spesso fogliame dando origine a numerosi mazzetti di frutti: il motivo di

Figura 4.5.2: tendenza di produzione sempre più vicino al fusto principale

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indirizzare la linfa in queste nuove produzioni, praticando una potatura corta

durante l’estate, è che si possono conservare per metro lineare di ramo, circa

12 frutti assicurando la trasformazione dei dardi di nuova formazione, in

bottoni per l’anno seguente. Brevemente si vuole distribuire la linfa tra frutti

e dardi per ottenere una produzione regolare e costante.

4.6 Principali pratiche di potatura

Nel corsoncello a tre rami se abbiamo un ramo fruttifero troppo vigoroso che

abbia prodotto tre rami o cacciate a legno, questi vengono tagliati tutti e tre

alla base.

Nel corsoncello con un ramo a legno e vari dardi, si taglia il ramo a legno a

qualche centimetro dall’inserzione in modo da conservare oltre alle gemme

stipulari, una gemma normale capace di sviluppare un ramo a legno.

Nel corsoncello con due rami a legno si deve tagliare alla base il ramo

inferiore dove va lasciata una fogliolina mentre il ramo superiore sopra una

gemma ben formata tuttavia il trattamento per essere completo ha bisogno

ad agosto/settembre di essere tagliato alla base il moncone del ramo

superiore.

Anche sulle borse le soppressioni vengono effettuate ugualmente ai rami

vigorosi cioè quando in esse si sviluppano uno o due rami bisogna tagliarli

all’inserzione. Se, successivamente, nascono dalle gemme stipulari uno o più

rami di seconda generazione si tagliano anch’esse alla base: questo processo

viene effettuato fino a quando esse non si trasformano in dardi. Quando su

una borsa c’è un solo brindillo questo deve essere piegato, solamente dopo

questa operazione si riempirà di formazioni fruttifere. Queste potature corte,

con lo scopo di far nascere dei dardi nuovi o di rafforzare quelli esistenti,

danno luogo a formazioni fruttifere che possono assumere aspetti differenti.

4.7 Potatura di agosto e settembre

Dopo aver eseguito i vari tagli in varie volte durante l’estate, la maggioranza

dei dardi che si sono sviluppati per primi si sono trasformati in bottoni. Quindi

in questo periodo molti di essi sono incerti, cioè non sappiamo con sicurezza

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se rimangono dardi oppure sono realmente bottoni per la prossima primavera,

per questo si ricorre a una potatura tardiva ed energica. Questo porta

vantaggio a dardi di sviluppo più avanzato, i quali dopo questa operazione di

taglio ricevono il sufficiente nutrimento per completare la loro trasformazione

in bottoni, il taglio non deve essere troppo abbondante perché potrebbe

trasformarsi in un ramo a legno. Riassumendo, questa potatura consiste nel

taglio sopra un dardo o un bottone, i rami a frutto che terminano ancora con

un ramo a legno: è indispensabile su cultivar vigorose e permette ai dardi, di

completare la loro evoluzione a fine stagione senza aver necessità di vederli

sviluppare in rami a legno.

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CONCLUSIONI

Questo lavoro evidenzia una costante evoluzione delle forme di allevamento

del melo con il trascorrere del tempo che partono dall’antico, bellissimo e

oneroso vaso per passare dalle forme a spindle e palmetta per arrivare ai

giorni nostri con le modernissime forme a multiasse e addirittura semi

pedonabili e pedonabili: tutte tecniche sperimentante dai nostri frutticoltori

nel corso di secoli i quali durante le suddette sperimentazioni erano sempre in

dubbio su come fossero andati i loro risultati in futuro; ma come affermò “il

buon” Lorette: “è meglio sbagliarsi in buona fede, cioè con l’intenzione di

essere utili per il futuro, che parlare inutilmente per impedire di creare e di

produrre per un futuro prodigioso”.

Così si può capire quanto scritto precedentemente: l’altezza e la larghezza

degli alberi non solo influenza la produttività e la qualità ma anche tutte le

pratiche colturali e i sistemi di difesa delle piante di melo. Esiste una

relazione tra l’altezza dell’albero e la distanza tra le file, che a sua volta è

funzione dell’ampiezza della chioma e delle macchine disponibili in azienda

(trattrici, falciatrici, carri raccolta). Senza sminuire le forme di allevamento

in volume, come ad esempio il solaxe che con una robusta struttura

secondaria con la potatura centrifuga ha sempre lo scopo di avere un buon

legno produttivo e maggior raccolto nella parte più esterna della pianta, è

ben noto come sia oneroso e costoso produrre le mele in cima alle piante a

più di 2,5 metri di altezza. Se l’azienda se lo può permettere deve acquistare

il carro o i carri raccolta altrimenti deve fare uso delle scale che sono

scomode, pericolose e comportano un lavoro di raccolta ad ettaro molto

scarso in termini di tempo. Per esempio, si è visto che la parete fruttifera di

un multiasse (3/4 assi) di cultivar Golden Delicious produce circa 80t/ha

(53kg*albero con densità di 1650 alberi/ha) cambiando i sesti d’impianto

come in un normale mono asse. I sesti d’impianto adottati sono di 2,80m tra

le file rispetto allo spindle di 4/5m. Questo comporta un maggior numero di

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file in un appezzamento con altezze e ampiezze di piante di melo più

contenute. La qualità delle mele è più omogenea perché non esiste la

distinzione tra produzione tra dentro e fuori dalla chioma. Cambiando

“l’architettura” della pianta di melo si contribuisce alla sostenibilità

economica ed ecologica dell’intero processo produttivo molto richiesto dalle

ultime misure della PAC. Si notino i valori di ore/ha per i relativi processi

produttivi nei due differenti casi di allevamento e di potatura riportati nella

tabella seguente (tabella 1).

Potatura lunga (2250 piante a spindle; 2250

cime)

Potatura in parete (1680

piante triasse; 5050 cime)

Differenza (ore/ha)

In allevamento i primi 3 anni Sesto d’impianto 3,7 x 1,2 m 3,3 x 1,8 m Legature cime (ore/ha)

94 210 116

Piegatura rami (ore/ha)

105 0 105

Potatura verde (ore/ha)

0 45 45

Ore totali dei primi 3 anni

199 255 56

In produzione (ore/ha per anno) Potatura 91 60 31 Raccolta 420 355 65 Dirado manuale 80 50 30 Diserbo 15 25 10 Totale 606 490 116

La bassa densità di piantagione per ettaro nei multi asse (<2000 piante/ha)

compensa la scarsa precocità di essi. Il progetto di parete fruttifera serve ad

utilizzare dei sistemi di trattamento chimico che esplicano la loro azione in

ambedue i lati come i tunnel e i sistemi fissi in sperimentazione. La superficie

per ettaro di questa parete fruttifera può essere calcolata dalla sua altezza e

Tabella 1: pro e contro riscontrati nelle operazioni effettuate per la formazione e il mantenimento dei due sistemi di allevamento

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dalla distanza tra le file e questo permette di attuare il sistema TRV (Tree

Row Volume). Le finalità di questo sistema è mantenere la costanza del

deposito di formulato sulla superficie fogliare della fila di melo andando ad

adeguare i relativi dosaggi in funzione dell’effettivo volume di vegetazione

riscontrato al momento dell’intervento. Questo sistema negli impianti semi

pedonabili e pedonabili è più facilmente applicabile perché la coltura

presenta una forma regolare che ne consente una determinazione matematica

della volumetria per unità di superficie. Esso ci indica che il volume delle

chiome e la superficie fogliare sono fra loro correlati e il volume fogliare può

servire come scala della superficie fogliare. Il valore finale trovato è espresso

in m³/ha e risulta variabile in base alla specie considerata, forma di

allevamento, portainnesto ecc. . Questo valore di volumetria risulta in

evoluzione nel corso della stagione con un andamento diverso nel corso

dell’habitus vegetativo del melo quindi dal tipo di potatura effettuato e dalla

gestione della chioma delle piante. Per applicare ed avere valori attendibili,

riferito a quanto detto, a questo metodo bisogna fare un sopralluogo sul posto

e al momento della precisa applicazione. Il TRV forma la base per quantificare

il volume di acqua da impiegare in funzione di un coefficiente che esprime

l’entità di vegetazione bagnabile al limite del gocciolamento con un volume

unitario di acqua. Tiene conto delle indicazioni riportate in etichetta (g/hl o

g/ha commisurate ad un volume convenzionale di 1600l/ha ritenuto adeguato

per volumi nell’ordine di 10.000 m³/ha. Presuppone la necessità di 400l/ha

per irrorare al limite del gocciolamento volumi di chioma nell’ordine di 10.000

m³/ha da cui deriva, in funzione del volume di riferimento di 1600l/ha, un

coefficiente di concentrazione base del fitofarmaco 4x, valore che rimane

costante indipendentemente dal volume di bagnatura precedentemente

definito. La dose da applicare (Kg o l/ha)= C(g/l)*V(l/ha)*4

C= concentrazione, calcolabile rapportando volume di bagnatura

convenzionale di riferimento di 1600l/ha e la dose riportata in etichetta (g o

ml/ha)

V= volume di bagnatura calcolata con il metodo TRV

TRV= (altezza della chioma * larghezza della chioma * 10.000)/ distanza tra le

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file di piante di melo.

Questo porta a dei vantaggi di coltivazione e sostenibilità impiegando minori

volumi distributivi di agrofarmaci e conseguentemente, grazie a delle forme

regolari, abbiamo minor volumi di bagnatura con una asciugatura più rapida e

minor deriva con gli innovativi e sperimentali metodi di distribuzione. La

miglior asciugatura è resa possibile sia dal minor quantitativo di prodotto

impiegato che dalla parete stretta che crea un ambiente più facilmente

intercettabile in ogni parte della pianta di melo.

Il concetto di potatura verde dell’inestimabile Louis Lorette si basa sulla sua

filosofia del 1900 che diceva già all’epoca: “la potatura è fatta per dare una

grande superficie produttiva sul più piccolo volume possibile e la forma

principalmente ha la sua influenza perché ogni ramo ha diverse difficoltà di

potatura a seconda della sua posizione”. Questa produce il suo effetto subito

e dirige la linfa verso gli organi che ne hanno bisogno. Già all’epoca, dopo ben

15 anni di esperienze, dimostrò che le gemme stipulari furono molto più fertili

di quanto non furono le gemme poste all’ascella delle foglie. Ogni ramo a

legno si sviluppava a scapito loro. Quindi tagliando i rametti a legno si fanno

formare alla loro base dei dardi e dei bottoni fiorali e gli organi fruttiferi, che

si trovano sul fusto o sulle branche, possono usufruire della linfa, che prima

veniva assorbita da tutti i germogli inutili, perciò essi diventano più grossi e

forti. Dopo la fioritura questi organi lasciano una borsa che darà dei rami a

legno i quali dovranno essere asportati per ottenere dei dardi al posto dei

rami a legno. I successivi bottoni, che si accumulano anno dopo anno, danno

altre borse le quali sono sempre delle riserve di frutta per il futuro. In questo

modo i bottoni fruttiferi invece di avere 5/7 fiori arrivano ad averne fino a 20.

Lorette diceva: “più fiori si hanno e più riescono a ripararsi reciprocamente

dalle intemperie, e quindi si possono avere sempre dei fiori preservati dalle

gelate tardive mentre se si lasciano sviluppare i rametti sulle borse si ha che

questi ultimi tolgono ogni probabilità di fruttificazione”. Questi principi

differiscono tantissimo dai vecchi metodi di potatura invernale a 3 gemme.

Questo ci trasmette che un metodo sperimentato più di un secolo fa e a quel

tempo tanto discusso, criticato e perfino ignorato può essere ripreso in mano,

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anche se in modo semplificato ma per fortuna con la meccanica, magari, si

può dire anche migliorato, ottenendo davvero degli ottimi risultati in termini

di sostenibilità agronomica, ecologica e sociale per un futuro innovativo e

sempre più all’avanguardia per un settore economico come l’agricoltura che

può essere parte integrante dell’ambiente.

Secondo Lorette: “la potatura estiva è molto più facile della potatura

invernale e il numero delle persone che sappiano eseguire bene l’ultima è

molto limitato. Quanti sono in Italia i bravi potatori? Pochi, molto pochi! E lo

vediamo noi professori che ci riusciamo pochissimo a formarne molti. La

grande maggioranza di potatori è costituita solamente da assassinatori di

piante. Questo metodo può essere applicato anche da un ragazzino di 10 anni

senza nessun problema”. Riducendo molto lo spessore e l’altezza dei filari si

ottiene anche una buona percentuale di gemme a fiore sul taglio praticato.

L’effetto brachizzante di questa potatura estiva a macchina è enorme nel

rimodellamento da spindle a parete fruttifera. Porta ad una migliore

esposizione delle mele e anche del sotto pianta. Alla raccolta quasi tutta la

frutta si trova a portata di mano con un aumento della resa oraria di raccolta

di circa il 20%. La potatura a parete ha permesso una riduzione del numero di

ore di potatura invernale da circa 90 ore/ha a circa 60 ore/ha con valori di 40

ore/ha nei multi asse. Il lavoro di piegatura estiva dei rami era una parte

essenziale dell’allevamento centrifugo con circa 35 ore/ha per anno che sono

state la maggior parte eliminate perché i moderni impianti non necessitano di

particolari piegature.

Le reti multifunzionali hanno dato una maggiore pezzatura dei frutti e il

sistema di rete monofilare sembra integrarsi bene con le forme a parete

stretta. Se il filare ha la parete stretta inferiore al metro si può pensare di

scoprire la rete solo da un lato per diradare a mano. La rete assume non più

solamente una funzione antigrandine ma ben di più, come di anti pioggia e

quindi conseguentemente di cambiare il microclima intorno alla pianta a suo

favore. Le ultime reti adattabili alle forme di allevamento “Doppio Guyot”

semi pedonabili/pedonabili permettono di essere chiuse o aperte con un

semplice sistema a manovella applicabile in ogni asta posta lungo tutto il

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filare nella parte bassa della rete e distanziate in cima con degli appositi

distanziatori in plastica che permettono di ridurre il danneggiamento dei

frutti fino al 95%. Questo sistema a manovella può funzionare efficacemente

per filari lunghi circa 100 metri (Fig. 1).

Sistemi d’impianto che si adattano bene a macchine scavallanti per i

trattamenti come ad esempio la macchina trainata LOCHMANN LIPCO (Fig. 2,

3) con un sistema di riciclaggio del prodotto non depositato sulla pianta, ossia

viene raccolto, rifiltrato e ripompato nella cisterna (Fig. 4, 5).

Figura 1: impianto pedonabile con reti monofilari aperte con il sistema a manovella

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Figura 2: macchina scavallante portata Lochmann LIPCO

Figura 3: attacco macchina portata

Figura 4: sistema di raccolta ambo i lati

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La lunghezza della parete del tunnel è di circa 1,25m con un’altezza globale

della macchina di circa 2,20m. Questi trattamenti con questo sistema

comportano una minor deriva verso luoghi pubblici e abitati. Altri sistemi in

fase di sperimentazione, sempre per il solito scopo e con il vantaggio di essere

messi in funzione sotto rete, sono i sistemi di impianti fissi (figura 6, 7, 8).

Figura 5: sistema di raccolta

Figura 6: tipo Cool Figura 7: tipo Strip

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Da come si nota dalle figure precedenti sono in sperimentazione diversi

modelli che prendono il nome dalle diverse tipologie di ugelli. Essi

differiscono tra di loro in base alle tipologie di particelle che vogliamo

ottenere e in base alla portata. Per fare una distribuzione completa

sull’intera fila occorrono circa 3/3,5 minuti e infine finiti i trattamenti la

linea di tubazione può essere completamente lavata internamente.

Il controllo meccanico delle infestanti infine rappresenta un’alternativa

sempre più diffusa all’impiego di prodotti chimici, anche in produzione

integrata, in virtù del minore impatto ambientale richiesto dalla grande

distribuzione e della sempre più frequente comparsa di specie infestanti

resistenti agli antibiotici.

Concludendo è un sistema tutto in evoluzione e in piena sperimentazione in

cui dati certi al 100% su alcune metodiche, non si possono ancora trarre ma si

spera in buone prospettive future sia della tecnica che dell’occupazione

essendo l’agricoltura un ramo che fornisce alla società bene primari

soprattutto in quelle zone montane caratteristiche per le loro tipicità da

portare avanti con processi all’avanguardia che richiedono sempre di più e

con il passare del tempo, oltre al rispetto ambientale e al mantenimento

economico, migliorie a livello territoriale sia sociali che produttive, perché la

Figura 8: tipo Vibro

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tutela del paesaggio e del territorio sono un valore facente completamente

parte delle attività di melicoltura. Un domani, avendo acquisito ancora più

competenze in questo ramo, spero di essere in grado di gestire determinati

aspetti chiave che sono fondamentali per la melicoltura e la frutticoltura del

futuro.

Figura 9: estensione del multiasse pedonabile in parete

Figura 10: prime produzioni di un giovane impianto pedonabile in ambiente montano

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Figura 11: impianto bibaum semi pedonabile in produzione

Figura 12: produzione impianto al secondo anno cultivar Golden Delicious "Doppio Guyot" pedonabile

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Figura 13: produzione impianto di due anni cultivar Golden Delicious e Red Delicious "Doppio Guyot" pedonabile con distanza tra le file di 2,05m

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Figura14: produzione di un multi asse cultivar Golden Delicious

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RINGRAZIAMENTI

Tutto è iniziato con il mio sogno nel cassetto, non appena data la maturità

tecnica, di entrare a far parte del Corpo Forestale dello Stato, previa

acquisizione di una base culturale e scientifica atta alla specializzazione nel

vasto campo delle scienze agrarie. Ho deciso così di intraprendere un primo

percorso universitario iscrivendomi al corso di laurea triennale in

“Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio Montano”.

Ho deciso pertanto di trasferirmi dalla mia città di Orvieto a Edolo: un

cambiamento di paesaggio e di stile di vita, dalla bella campagna umbra,

lontana diverse decine di chilometri dalla catena appenninica alla

pedemontana delle grandi e affascinanti montagne alpine dove i lunghi inverni

rigidi e le abbondanti nevicate favoriscono il raccoglimento e lo studio.

Il settore della frutticoltura ed in particolare della melicoltura, argomento di

discussione della mia tesi di laurea, è particolarmente sviluppato ed in

espansione nelle adiacenti Province autonome di Trento e Bolzano; sarebbe

innovativo sperimentare nell’immediato futuro anche nella mia Umbria (unica

regione dell’Italia peninsulare a non avere sbocchi sul mare e avere un

territorio con il 30% di aree montuose e 70% di aree collinari), queste nuove

tecniche di coltivazioni frutticole ed in particolare delle mele, visto che nel

passato anche i nostri contadini, in piccoli appezzamenti, hanno provato a

impiantare frutteti, magari solo per soddisfare le loro esigenze del pasto

quotidiano e facendone scorta per l’inverno. Naturalmente non si poteva

soddisfare la domanda del consumo sul mercato locale.

Al termine di questo mio lavoro mi corre il dovere ringraziare il chiarissimo

professor Lucio Brancadoro, docente di coltivazioni arboree e relatore di

questo mio lavoro, il dottor Alberto Dorigoni, ricercatore del settore filiere

agroalimentari che mi hanno supportato fino ad oggi e mi hanno fatto scoprire

e illustrare la bellissima “palestra a cielo aperto” dell’azienda sperimentale

Maso delle Part di Mezzolombardo, la commissione di laurea, l’istituto tecnico

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agrario di San Michele all’Adige (fondazione Edmund Mach), la foresteria per

avermi ospitato al meglio durante il mio periodo di tirocinio ed infine ma non

ultimi i miei famigliari che hanno creduto nelle mie capacità ed hanno

sostenuto gli oneri degli studi e della permanenza fuori sede. Un

ringraziamento a tutti coloro che sono presenti per assistere alla mia laurea in

questa bella giornata a coronamento del mio primo approccio universitario.

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A. Dorigoni, F. Micheli, P. Lezzer (N°34 2012), nuovo obiettivo in frutteto:

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