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Nuovi indicatori della dispersione insediativa nella valutazione ambientale strategica: un’applicazione dell’indice di Gini alla pianura cremonese Egidio Battistini 1 , Pier Luigi Paolillo 2 e Giorgia Servente 3 1. Il contenimento della dispersione insediativa e la valutazione ambientale strategica 1.1. Sono del tutto manifeste le sembianze fisiche dei processi di controurbanizzazione, disurbanizzazione, periferizzazione convulsamente accavallatisi negli ultimi decenni, e i brandelli di costruito – che in modo pervasivo e irreversibile marcano tanto insiemi metropolitani quanto valli e litorali – attestano all’occhio del viaggiatore i nefasti effetti omologativi del diffu- so «non luogo», generato dall’assenza di quadri strategici di riferimento, di procedure negoziali formali e argomentate, di vincoli di coerenza complessiva, di giudizi sull’efficienza allocativa delle risorse nello spazio. Dunque, è il binomio «crescita, dispersione» ad aver caratterizzato l’evoluzione urbanistica del Paese negli ultimi decenni: una smisurata «crescita» del patrimonio edilizio 4 quasi sempre espressa dall’accentuata «dispersione» insediativa dai nuclei consolidati verso un nuovo «spazio rurale urbanizzabile», con un disdicevole pragmatismo progettuale che non ha valutato coerenze e compatibilità rispetto al quadro territoriale, che ha misurato la sola efficacia della scala di prossimità, che ha compromesso l’intervento sugli spazi incerti della transizione periferica con assai scarse iniziative di saturazione della ma- glia esistente, con altrettanto insufficiente recupero delle potenzialità collegate alla dismissione o al sottoutilizzo di molte porzioni urbane, con egualmente scarsa intenzione di riammagliare le incompiutezze dei margini diradati 5 , generando così – in assenza di una disciplina urbanistica che riconoscesse e mantenesse l’armatura storicamente centrata e la sua gerarchia territoriale – copiosi spazi contrassegnati da caratteri insediativi «a-centrati» 6 ; in sintesi, le nuove localizzazioni urbane non sono state pensate all’insegna della conservazione ambientale e agricola, ed è mancato per così dire un «centro» come me- tafora di un principio ordinatore condivisibile, forte e in grado di avvalersi di espliciti «limes» di salvaguardia dello spazio rurale in nome collettivo (Borachia, 1993), in grado di contrapporsi ad assetti a-centrati come sinonimo invece di processi diffusivi incontrollati, di spreco del territorio, di privilegio della sola e insufficiente dimensione comunale, di indifferenza all’armatura storica consolidata o, infine, d’inadeguata risposta a una domanda di piano attenta ai valori dell’ambiente. Diviene indispensabile allora porre rimedio tramite lo strumento del piano provinciale, che gestisca il conflitto urbano- agricolo sugli usi delle risorse fisiche individuando località centrali dove programmare la disponibilità di suolo in funzione della pur necessaria crescita urbana, dove localizzare alternative rispetto all’attuale inaccettabile e indifferenziata dispersio- ne insediativa, dove impedire l’irresponsabile (o responsabilmente egoista) spreco di una risorsa limitata e irriproducibile come è lo spazio rurale, dove infine esprimere nel momento di sintesi del piano il buongoverno territoriale: sintesi tuttavia fattibile solo se, una volta rappresentate le ragioni dello spazio rurale, sia stato all’un tempo innescato anche un processo di riorganizzazione urbana in grado di risolvere le molteplici contraddizioni insediative «all’interno» dell’armatura preesisten- te; laddove non sia stata avvertita tale necessità e non venga elaborato un progetto di contenimento dei «limes» e la città non si sia dimostrata sensibile a verificare la sostenibilità a medio-lungo termine degli interventi urbanistici in direzione della riconquista di un modello «centrato», continueranno a perpetuarsi gli attuali fenomeni di dispersione insediativa, in- 1 Dipartimento di Matematica «Francesco Brioschi» del Politecnico di Milano 2 Dipartimento di Architettura e pianificazione del Politecnico di Milano 3 Assegnista di ricerca in Pianificazione territoriale, Dipartimento di Architettura e pianificazione del Politecnico di Milano 4 Pur talvolta necessaria per rispondere al degrado, al sovraffollamento, ai processi migratori, all’atomizzazione dei nuclei familiari, alle esigenze produttive. 5 Tanto più importanti, oltretutto, queste considerazioni se ricondotte alla realtà di un paese come il nostro dove la rete di centri urbani consolidati non è solo custode di una memoria storica incorporata in architetture, percorsi, atmosfere, scenari, forme peculiari ma rappre- senta soprattutto l’espressione di un’identità locale, di particolarissime specificità e di diversità molteplici che trovano ragione nell’evoluzione dei popolamenti locali e mediante il cui ascolto è possibile progettare luoghi riconoscibili: il modello insediativo diffuso nega tali connotati personali, facendo prevalere i caratteri delle singole funzioni sulla trama insediativa preesistente, la standardizzazione delle tipologie costruttive e la banalità delle morfologie urbanistiche moderne sulla varietà, il disordine della casualità sulla creatività pro- fonda delle forme di autorganizzazione dei luoghi; soprattutto, queste dinamiche manifestano tutto ciò che in altre occasioni abbiamo denunziato come «spreco», termine con cui può definirsi quel cattivo e/o improprio uso di una risorsa limitata e irriproducibile in presen- za di alternative disponibili e operabili (Paolillo, 1988; Borachia e Paolillo, 1993) e che, nel nostro caso, si materializza sia nell’uso indif- ferenziato delle risorse fisiche del territorio come, a monte, nella configurazione del sistema decisional-politico laddove stabilisce gli scopi senza tenere conto dei mezzi, ovvero «fa politica» senza fare amministrazione. 6 Che ha contribuito fortemente a ingenerare un consumo di risorse divenuto «spreco», quel consumo cui sarebbe stato possibile offrire modalità organizzative e forme localizzative alternative, pur nell’ambito del decentramento dei modelli economici locali, giacché ciò non può voler dire – com’è invece accaduto – dispersione incontrollata, generalizzata e indifferente, ma piuttosto avrebbe dovuto rappresen- tare individuazione delle differenti cariche potenziali dei nodi della rete sui quali risultasse coerente la dislocazione di quote insediative aggiuntive.

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Nuovi indicatori della dispersione insediativa nella valutazione ambientale strategica: un’applicazione dell’indice di Gini alla pianura cremonese Egidio Battistini1, Pier Luigi Paolillo2 e Giorgia Servente3 1. Il contenimento della dispersione insediativa e la valutazione ambientale strategica 1.1. Sono del tutto manifeste le sembianze fisiche dei processi di controurbanizzazione, disurbanizzazione, periferizzazione convulsamente accavallatisi negli ultimi decenni, e i brandelli di costruito – che in modo pervasivo e irreversibile marcano tanto insiemi metropolitani quanto valli e litorali – attestano all’occhio del viaggiatore i nefasti effetti omologativi del diffu-so «non luogo», generato dall’assenza di quadri strategici di riferimento, di procedure negoziali formali e argomentate, di vincoli di coerenza complessiva, di giudizi sull’efficienza allocativa delle risorse nello spazio. Dunque, è il binomio «crescita, dispersione» ad aver caratterizzato l’evoluzione urbanistica del Paese negli ultimi decenni: una smisurata «crescita» del patrimonio edilizio4 quasi sempre espressa dall’accentuata «dispersione» insediativa dai nuclei consolidati verso un nuovo «spazio rurale urbanizzabile», con un disdicevole pragmatismo progettuale che non ha valutato coerenze e compatibilità rispetto al quadro territoriale, che ha misurato la sola efficacia della scala di prossimità, che ha compromesso l’intervento sugli spazi incerti della transizione periferica con assai scarse iniziative di saturazione della ma-glia esistente, con altrettanto insufficiente recupero delle potenzialità collegate alla dismissione o al sottoutilizzo di molte porzioni urbane, con egualmente scarsa intenzione di riammagliare le incompiutezze dei margini diradati5, generando così – in assenza di una disciplina urbanistica che riconoscesse e mantenesse l’armatura storicamente centrata e la sua gerarchia territoriale – copiosi spazi contrassegnati da caratteri insediativi «a-centrati»6; in sintesi, le nuove localizzazioni urbane non sono state pensate all’insegna della conservazione ambientale e agricola, ed è mancato per così dire un «centro» come me-tafora di un principio ordinatore condivisibile, forte e in grado di avvalersi di espliciti «limes» di salvaguardia dello spazio rurale in nome collettivo (Borachia, 1993), in grado di contrapporsi ad assetti a-centrati come sinonimo invece di processi diffusivi incontrollati, di spreco del territorio, di privilegio della sola e insufficiente dimensione comunale, di indifferenza all’armatura storica consolidata o, infine, d’inadeguata risposta a una domanda di piano attenta ai valori dell’ambiente. Diviene indispensabile allora porre rimedio tramite lo strumento del piano provinciale, che gestisca il conflitto urbano-agricolo sugli usi delle risorse fisiche individuando località centrali dove programmare la disponibilità di suolo in funzione della pur necessaria crescita urbana, dove localizzare alternative rispetto all’attuale inaccettabile e indifferenziata dispersio-ne insediativa, dove impedire l’irresponsabile (o responsabilmente egoista) spreco di una risorsa limitata e irriproducibile come è lo spazio rurale, dove infine esprimere nel momento di sintesi del piano il buongoverno territoriale: sintesi tuttavia fattibile solo se, una volta rappresentate le ragioni dello spazio rurale, sia stato all’un tempo innescato anche un processo di riorganizzazione urbana in grado di risolvere le molteplici contraddizioni insediative «all’interno» dell’armatura preesisten-te; laddove non sia stata avvertita tale necessità e non venga elaborato un progetto di contenimento dei «limes» e la città non si sia dimostrata sensibile a verificare la sostenibilità a medio-lungo termine degli interventi urbanistici in direzione della riconquista di un modello «centrato», continueranno a perpetuarsi gli attuali fenomeni di dispersione insediativa, in- 1 Dipartimento di Matematica «Francesco Brioschi» del Politecnico di Milano 2 Dipartimento di Architettura e pianificazione del Politecnico di Milano 3 Assegnista di ricerca in Pianificazione territoriale, Dipartimento di Architettura e pianificazione del Politecnico di Milano 4 Pur talvolta necessaria per rispondere al degrado, al sovraffollamento, ai processi migratori, all’atomizzazione dei nuclei familiari, alle esigenze produttive. 5 Tanto più importanti, oltretutto, queste considerazioni se ricondotte alla realtà di un paese come il nostro dove la rete di centri urbani consolidati non è solo custode di una memoria storica incorporata in architetture, percorsi, atmosfere, scenari, forme peculiari ma rappre-senta soprattutto l’espressione di un’identità locale, di particolarissime specificità e di diversità molteplici che trovano ragione nell’evoluzione dei popolamenti locali e mediante il cui ascolto è possibile progettare luoghi riconoscibili: il modello insediativo diffuso nega tali connotati personali, facendo prevalere i caratteri delle singole funzioni sulla trama insediativa preesistente, la standardizzazione delle tipologie costruttive e la banalità delle morfologie urbanistiche moderne sulla varietà, il disordine della casualità sulla creatività pro-fonda delle forme di autorganizzazione dei luoghi; soprattutto, queste dinamiche manifestano tutto ciò che in altre occasioni abbiamo denunziato come «spreco», termine con cui può definirsi quel cattivo e/o improprio uso di una risorsa limitata e irriproducibile in presen-za di alternative disponibili e operabili (Paolillo, 1988; Borachia e Paolillo, 1993) e che, nel nostro caso, si materializza sia nell’uso indif-ferenziato delle risorse fisiche del territorio come, a monte, nella configurazione del sistema decisional-politico laddove stabilisce gli scopi senza tenere conto dei mezzi, ovvero «fa politica» senza fare amministrazione. 6 Che ha contribuito fortemente a ingenerare un consumo di risorse divenuto «spreco», quel consumo cui sarebbe stato possibile offrire modalità organizzative e forme localizzative alternative, pur nell’ambito del decentramento dei modelli economici locali, giacché ciò non può voler dire – com’è invece accaduto – dispersione incontrollata, generalizzata e indifferente, ma piuttosto avrebbe dovuto rappresen-tare individuazione delle differenti cariche potenziali dei nodi della rete sui quali risultasse coerente la dislocazione di quote insediative aggiuntive.

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differenziata nelle sue tipologie e forme d’uso e condizioni strutturali e indifferente alle componenti fisiche: una vera iattura quasi a un punto di non ritorno, perlomeno nel caso italiano7. 1.2. È allora necessario che la pianificazione provinciale cominci a valutare, selezionare, indirizzare le scelte locali, immet-tendo cospicue quote di fattori razionali affinché non abbiano più luogo onerose competizioni tra crescita urbana e spazio rurale, così che gli strumenti comunali si misurino con la sostenibilità ambientale interrogandosi sui limiti d’uso delle risor-se fisiche e sugli strumenti più efficaci a misurarli: il problema – ormai ineludibile – è rimasto troppo a lungo nel vago, e pretende oggi nuove forme di piano dove l’attenzione alle risorse fisiche identifichi, valuti e affronti esplicitamente quan-tomeno i principali termini del conflitto con la sostenibilità territoriale: dalla mancata conservazione del patrimonio natura-le all’inquinamento e spreco dei beni fisici finiti o lentamente rinnovabili, dall’indifferenza ai processi di costruzione e rico-struzione dei paesaggi storico-culturali al deterioramento e omologazione delle specificità locali e delle individualità urba-ne. Le tante pressioni generate dall’espansione urbana (la frammentazione del tessuto agrario e degli habitat naturali e la perdi-ta di suoli ad alta capacità d’uso agricolo, la banalizzazione e compromissione del paesaggio sensibile, l’aumento del carico inquinante sulle acque superficiali e sotterranee, gli elevati costi ambientali dovuti ai fenomeni di dispersione insediativa) inducono così la necessità di valutare la sostenibilità delle scelte localizzative comunali rispetto al consumo e spreco di suo-lo, acqua, aria, paesaggi, modificandone (in caso di insostenibilità manifesta) i caratteri quantitativi e le derivanti opzioni spaziali. È ben vero che continua a permanere uno scarso interesse alla valutazione delle ripercussioni ambientali della pianificazio-ne: per dirne una, tanta è stata l’attenzione iniziale per la Valutazione d’impatto ambientale, tanta è stata poi la semplifica-zione estrema dei suoi metodi e contenuti analitici, associata a uno strumentario di routine e all’assenza di valenze strategi-che, così da trasformare la Via in un accessorio «di corredo» nel repertorio dei documenti d’obbligo per legge; lo stesso sembra profilarsi oggi per la Valutazione ambientale strategica8, al punto che le poche Vas fin qui prodotte (Paolillo, 2005) sembrano rivelare: 1) deboli apparati analitici, mascherati da astratte divagazioni scarsamente operabili; 2) protocolli appli-cativi non in grado di valutare la sostenibilità delle espansioni urbane rispetto alle variabili ambientali; 3) l’indispensabilità, dunque, di dotare i piani di marchingegni valutativi col duplice ruolo di ‘attrezzi di giudizio’ delle localizzazioni insediative e di simulatori di opzioni alternative, supportati da indicatori di performance spaziale in grado di individuare specifiche so-glie di sostenibilità e fornendo al contempo misure quantitative su cui fondare il discrimine. La Valutazione ambientale strategica si prefigura dunque come risposta all’esigenza di perseguire uno sviluppo effettiva-mente sostenibile, improntando a nuove valenze la cultura del piano e fornendole, di conseguenza, gli attrezzi per navigare nella complessità sistemica tra interdipendenze ambientali e nuova dimensione locale delle politiche di piano; alla valenza strategica e visionaria s’aggiunga la consapevolezza dell’evoluzione sistemica dei contesti territoriali, chiudendo la fase sta-tica delle analisi e articolandosi per offrire – alla cultura del piano – metodi nuovi basati sui tre aspetti finora assenti: a) la valutazione preliminare dei possibili effetti; b) il monitoraggio delle trasformazioni e degli esiti derivanti; c) la conseguente rimodulazione degli obiettivi sulla base dei risultati intermedi, il che comporterà – per il complesso delle risorse fisiche chiave (acqua, aria, suolo ecc.) – i) la descrizione quantificata dell’assetto in atto; ii) l’individuazione degli obiettivi a breve e medio termine; iii) la valutazione dell’impatto prevedibile delle strategie e interventi sull’assetto in atto; emerge qui

7 In un documento elaborato già nel 1996 per iniziativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, venivano esplicitati alcuni criteri da assumere nel progetto della città compatta: «una definizione netta del confine urbano/rurale, che scoraggi processi di sprawl; una densifi-cazione insediativa in corrispondenza degli spazi liberi o delle aree dismesse presenti in città; una densificazione mirata in corrisponden-za dei sub-centri esterni alla conurbazione densa ben serviti dal trasporto pubblico e organizzati in senso reticolare e policentrico (il mo-dello danese della decentralized concentration); una diversificazione funzionale del tessuto urbano in queste nodalità compatte; un de-congestionamento della città centrale e una sua riorganizzazione in senso reticolare e policentrico a scala metropolitana”. Si veda Presi-denza del Consiglio dei Ministri (1996): il rapporto di Camagni, R. trova origine nei lavori del Comitato di progetto della Fondazione Cariplo per la Ricerca Scientifica (composto, per il coordinamento, dallo stesso Camagni e da Boscacci, F., e inoltre da Berni, P., De Ca-rolis, G., Lechi, F., Magnani, I., Paolillo, P.L., Roccella, A.) che ha organizzato il workshop (1993), “Processi di utilizzazione e difesa dei suoli nelle fasce periurbane: dal conflitto alla cooperazione fra città e campagna”, Milano, 1-3 dicembre; cfr. la sintesi delle risultanze nello scritto di Camagni, R. (con lo stesso titolo) in Boscacci e Camagni (1994). 8 La stessa Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome aveva affrontato già nel luglio 2000 il tema della valutazione degli effetti ambientali dei piani e programmi mostrando ampia volontà di attuare la direttiva comunitaria, impegnandosi ad adottare i provvedimenti regionali necessari e chiedendo al Governo l’istituzione di una sede concertativa giacché (sempre secondo la Conferenza dei Presidenti): i) la valutazione ambientale è strumento utile a raggiungere lo sviluppo sostenibile facendo interagire i temi ambientali e gli altri temi affrontati dai piani; ii) in una forte cooperazione tra le diverse autorità e soggetti coinvolti; iii) introducendo nei piani obietti-vi, criteri e indicatori di sostenibilità; iv) avviando attività di monitoraggio (con una selezione di opportuni indicatori di qualità ambienta-le) per la valutazione in itinere ed ex-post degli effetti ambientali dei piani posti in atto; v) assoggettando anche le revisioni e varianti dei piani alle risultanze del processo di valutazione ambientale strategica.

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l’opportunità di valutazioni quantitative dall’inizio e, allo scopo, servono indicatori appropriati (tuttavia non ancora del tut-to a punto). Una fase delicata nell’intero iter di Vas e, al contempo, la più difficoltosa e discutibile risulta appunto la costruzione di in-dicatori quantitativi per descrivere la complessità sistemica, le interazioni tra le diverse componenti e la loro combinazione finale per l’espressione dei limiti d’uso delle risorse fisiche: un problema non da poco, affrontato finora in maniera troppo distante dai molteplici ambiti disciplinari, in grado di suscitare discussioni anche aspre; ma, in campo di consumo delle ri-sorse fisiche suolo, aria e acqua non sembra ora esservi posto e tempo per lasciarsi prendere da ulteriori perplessità, e stru-menti così prossimi agli attori e alle esigenze locali – e così finalizzati a governare l’uso delle risorse fisiche – come i piani comunali e d’area vasta non vedono ragioni per cui, anche se la Vas può ancora essere affetta da difficoltà e incertezze ap-plicative, essa non debba venire usata vantaggiosamente a favore delle ragioni dell’ambiente giacché – oltre a contribuire allo sviluppo della democrazia partecipativa ai processi politici del piano – fornisce percorsi efficaci di conoscenza ambien-tale integrata, il che indubbiamente migliora la fase analitica e, di conseguenza, anche quella decisionale dei piani. 1.3. Assumiamo allora come funzione di sostenibilità delle localizzazioni espansive dei piani comunali: (a) la compattezza delle forme insediative (a pari quantità di suoli urbanizzati, morfologie perimetrali compatte generano minori distanze dai centri, minor interferenza nei continui agricoli e conseguenti minori costi economici e ambientali); (b) l’entità ed estensio-ne dei nuovi nuclei urbanizzati (scelte urbanizzative in favore di nuclei di ridotta dimensione o, peggio, di natura puntifor-me provocano una polverizzazione dell’armatura insediativa, più elevati consumi di suolo e maggiori costi ambientali e di trasporto); (c) la dispersione insediativa (scelte localizzative indirizzate a saturare le porosità del tessuto urbano e a comple-tare le aree intercluse, a completare la città esistente ricucendo episodi di frangia, a fornire continuità al sistema insediativo, rappresentano modelli urbanistici sostenibili contrariamente a configurazioni a-centrate, discontinue, diffusive, foriere di frammentazione dei sistemi agro-forestali e di alterazione delle loro funzioni); (d) il consumo di suoli ad alta capacità d’uso o elevato grado di naturalità (sovente la scelta delle zone espansive non tiene minimamente conto della qualità pe-dologica dei suoli coinvolti); (e) il rischio idraulico connesso a localizzazioni di nuove aree urbane in fasce d’espansione fluviale; (f) il contenimento delle pressioni sui sistemi naturali (scelte sostenibili prediligono localizzazioni espansive a in-tereferenza minima o assente da boschi, riserve, aree umide potenzialmente danneggiabili dalla presenza antropica)9. In una serie di lavori (sintetizzati in Paolillo, 2005), abbiamo selezionato indicatori e procedure utili a quantificare le com-ponenti del modello (costruendo qualche nuovo indicatore e adattandone altri per misurare la struttura spaziale insediativa e distributiva10, due componenti per le quali – in mancanza di consolidati riferimenti di letteratura – più pressante è apparsa l’urgenza di trovare modelli di classificazione dell’armatura urbana e urbanizzabile rispetto allo spreco di suolo inducibile e indotto); abbiamo infine delineato un percorso strutturato nelle seguenti sei componenti:

9 In altri termini, la funzione di sostenibilità delle localizzazioni espansive dei piani comunali sarà calcolata stimando le interdipendenze di un modello a sei componenti: (1) la morfologia perimetrale (riferita alla variazione della forma d’ogni perimetro insediativo, assunto che l’accentuazione della sua frastagliatura generalmente attira nuovo consumo di suolo; Paolillo, 1988); (2) la struttura spaziale insedia-tiva (riferita alla variazione dell’armatura territoriale, assunto che l’aumento del peso degli insediamenti costituiti da piccoli nuclei urba-nizzati esprime logiche localizzative dispersive; Paolillo, 1999a, b); (3) la struttura spaziale distributiva (riferita alla variazione del pattern insediativo, assunto che l’aumento del grado di dispersione dell’armatura spaziale attesta logiche localizzative a-centrate, molti-plicatrici della tarmatura dello spazio agricolo, confermatici della mancata saturazione dei vuoti urbani disponibili e generatrici di spreco di suolo; Paolillo, 2000); (4) l’assetto pedologico (valutando il consumo di suolo rispetto alla sua capacità d’uso, assunto che elevati con-sumi di suoli di buona classe rappresentano indicatori di scelte localizzative indifferenti alle peculiarità pedologiche esistenti; Paolillo, 2001a, b); (5) il rischio idraulico (nei casi di zone espansive localizzate in bacini fluviali o torrentizi dove, per maggior probabilità di e-sondazione, indubbiamente è basso il grado di sostenibilità; Franzetti e Teruzzi, 2003a, b; Larcan e Mambretti, 2003); (6) la sensibilità dei fattori naturali (si quantifica qui l’influenza esercitata dalle zone espansive sulle aree naturali presenti, assunto che l’espansione so-stenibile deve – tra l’altro – localizzarsi alla maggior distanza da spazi di elevato pregio naturalistico, per minimizzare l’interferenza an-tropica). 10 In particolare gli indicatori di continuità (appositamente costruito nella ricerca) ed eterogeneità spaziale (adattando l’indicatore di ete-rogeneità di Shannon-Weaver); quest’ultimo mutua (La Rosa, 2002) quello introdotto nelle analisi ecologiche da Shannon e Weaver per descrivere la distribuzione di n tipologie di specie in un ecosistema dato; nel nostro caso, per tipi i – con cui, nella formulazione classica dell’indice, normalmente s’identifica una tipologia di specie – vengono qui considerate le maglie spaziali di campionamento dell’area studio mentre, con pi (la classica % di individui della specie i-esima sulla popolazione totale), s’intenderà invece la % dei nuclei urbaniz-zati ricadenti nell’i-esima cella rispetto alla totalità dei nuclei urbanizzati nell’area studio; è misurabile così l’eterogeneità dell’assetto in-sediativo o, in altri termini, la variabilità della disposizione dei nuclei urbanizzati per ogni cella (= 1 kmq) e, dunque, la differente intensi-tà di consumo di suolo generata da strutture di nuclei urbanizzati differentemente disposte nello spazio; l’indicatore assumerà valori bassi (vicini allo 0) in caso di nuclei urbanizzati compresi in poche celle o, al limite, in una sola; i valori saranno invece crescenti all’aumentare dell’uniformità della distribuzione spaziale dei nuclei urbanizzati nelle celle, generando infine un valore massimo laddove, a parità di numero totale di nuclei n, in ogni cella s’ottenga un ugual numero di nuclei (situazione che comporta quindi un elevato consumo di suo-lo, ottenendosi un’intensa distribuzione omogenea nello spazio).

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Componenti Indicatori Finalità dell’indicatore (1) Morfologia perimetrale

(Indicatore 11) CF = coefficiente di forma = P/Pc, dove: P = perimetro dell’i-esimo nucleo urbano; Pc = perimetro di un cerchio con area pari alla superfi-cie dell’i-esimo nucleo urbano

Misura la frastagliatura morfologica dei singoli nuclei urbani e, in termini medi, di un territorio comunale.

(2) Struttura distributiva (Indicatori 21, 22, 23)

DISP1 = coefficiente di distribuzione dell’urbanizzato puntiforme = superficie dell’urbanizzato puntiforme / superficie urbanizzata totale

Misura il peso dell’urbanizzato puntiforme rispet-to alla superficie urbanizzata totale.

DISP2 = coefficiente di distribuzione dei nuclei minori (< 1,5 ha) = superficie dei nuclei minori / superficie ur-banizzata totale

Misura il peso dei nuclei minori rispetto alla su-perficie totale.

DISP3 = coefficiente di distribuzione dei nuclei mag-giori (> 1,5 ha) = superficie del nucleo più esteso / su-perficie urbanizzata totale

Misura il peso dei più estesi nuclei edificati rispet-to alla superficie totale.

(3) Struttura insediativa (Indicatori 31, 32, 33, 34)

DUP = coefficiente di densità dell’urbanizzato poligo-nale = numero di poligoni insediativi / superficie urba-nizzata totale

Misura il grado di frammentazione rispetto alla superficie urbanizzata totale.

CONN = coefficiente di connettività = n. dei nodi / n. degli archi

Valuta l’intensità delle connessioni infrastrutturali agli insediamenti.

ETE = coefficiente di eterogeneità spaziale

= ∑−N

i t

i

t

i )nnln(

nn

dove: i = cella; N = numero delle celle; ni = numero dei nuclei appartenenti all’i-esima cella; nt = numero dei nuclei totali

Misura l’eterogeneità spaziale dell’assetto urba-nizzato in termini di dispersione (alti valore dell’indicatore) o compattezza (bassi valori dell’indicatore)11.

CONT = coefficiente di continuità =

∑∑−

=

= ⎭⎬⎫

⎩⎨⎧

+++++−1

1

1

1 )],1(),1,1(),1,(),1,1(),,[(n

i

n

j jiDjiDjiDjiDjDif

con: D(i) = 1 se nella cella i è presente un nucleo ur-banizzato; D(i) = 0 in caso negativo.

Esprime una misura di conurbazione attraverso il computo delle relazioni di contiguità esistenti tra le celle urbanizzate.

(4) Assetto pedologico dei suoli

(Indicatore 41)

Q = coefficiente di qualità pedologica dei suoli interes-sati da espansioni

Analizza il consumo di suolo agricolo, causato dalle scelte localizzative dei piani comunali, attra-verso l’identificazione e classificazione della qua-lità pedologica dei suoli.

(5) Rischio idraulico (Indicatore 51)

R = coefficiente di rischio idraulico = P × E, dove: P = pericolosità = probabilità di esondazione; E = e-sposizione = superficie delle aree d’espansione insedia-tivi interessate

Esprime il rischio di coinvolgimento degli inse-diamenti localizzati dentro le fasce esondabili.

(6) Sensibilità degli elementi naturali

(Indicatore 61)

I = coefficiente di interferenza delle aree urbanizzate ri-spetto agli elementi naturali: Iij= Vi/Dij, dove: Vi = valore di naturalità della cella i; Dij = distanza tra la cella j di urbanizzato e la più vicina cella i appartenente a un biotopo o elemento naturale

Esprime il grado d’interferenza esercitato dalle a-ree di espansione insediativa sugli elementi appar-tenenti ad habitat naturali.

La stima dell’intensità dei fenomeni per ognuna delle sei componenti viene ottenuta alle soglie del to (l’assetto insediativo consolidato) e del t1 (l’assetto di previsione, derivabile dal grado attuativo dei piani comunali), individuando quindi un ∆ al cui aumentare corrisponda il decremento di sostenibilità delle scelte localizzative; le variazioni d’intensità delle sei compo- 11 L’indicatore di eterogeneità spaziale deriva dalla reinterpretazione dell’indice di diversità introdotto da Shannon e Weaver, 1963, usato tra l’altro in ecologia per esprimere la diversità specifica di una distribuzione di n specie in un ecosistema dato; nel nostro caso i sono gli isospazi di campionatura di un’area studio (ossia il territorio comunale e le celle di 100 m di lato), mentre

ntni

=ip è la percentuale dei

nuclei urbanizzati ricadenti nell’i-esima maglia rispetto alla totalità dei nuclei urbanizzati nell’area studio; verrà così misurata l’eterogeneità spaziale dell’assetto insediativo, ossia la variabilità della disposizione dei nuclei urbanizzati per una superficie di riferimen-to (la cella).

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nenti vengono quindi normalizzate e aggregate12, generando così la stima del grado di sostenibilità GS delle scelte insedia-tive assunte dalla strumentazione urbanistica comunale; il grado di sostenibilità dei vincoli localizzativi espansivi dipenderà pertanto (Paolillo, La Rosa e Gabaldi, 2005) dalla variazione nel tempo dell’intensità assunta dalle diverse componenti de-scrittive di:

)dt

t)y(xdIf(tyxfGS i ,,),,( == , dove:

GS = grado di sostenibilità per ogni cella di coordinate (x, y); Ii = intensità della i-esima componente; i = 1, ..., 6 = I1 (com-ponente della morfologia perimetrale), I2 (componente della struttura spaziale distributiva), I3 (componente della struttura spaziale insediativa), I4 (componente dell’assetto pedologico), I5 (componente del rischio idraulico), I6 (componente della sensibilità degli elementi naturali). La funzione è data dalla Σ pesata delle sei componenti, per cui si otterrà:

∑=

==n

i

ii

i )dt

t)y(xdI(p)dt

tyxdIf(GS1

,,),,(, in cui:

pi = peso attribuito all’i-esima componente, vale a dire: p1 = 1/12; p2 = 1/12; p3 = 1/12; p4 = 1/4; p5 = 1/4; p6 = 1/4. Nell’orizzonte temporale finito ∆t, periodo compreso tra una soglia iniziale data (con t = 0 corrispondente allo stato di fatto dell’armatura urbana comunale) e una soglia finale con t = Prg (in cui si considerano attuate le scelte localizzative espansi-ve d’ogni piano regolatore generale), si otterrà:

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

Δ

−=⎥⎦

⎤⎢⎣⎡

Δ−Δ+

=⎥⎦⎤

⎢⎣⎡

Δ== ==

===∑∑∑ t

yxIyxIp

ttyxIttyxIp

t(t)ΔIptyxfGS tiPRGtin

ii

iin

ii

in

ii

0

111

),(),(),,(),,(),,(

)yxIyx(I tiPRGti 0),(),( == −

)yxIyx(I tiPRGti 0),(),( == − 3,2,1=∀i

PRGti yxI =),( 6,5,4=∀i

(quest’ultima è tale, poiché le componenti 4, 5 e 6 – rispettivamente assetto pedologico, rischio idraulico e sensibilità degli elementi naturali – coinvolgono già la valutazione delle aree espansive riguardanti la variazione tra la soglia di Prg e quella in atto e, dunque, per esse non occorre procedere al calcolo della differenza). Ognuna delle componenti Ii è, a sua volta, descritta da uno o più indicatori:

∑=

==im

j

ijij C)f(CIi1

con:

ijC = indicatore normalizzato j-esimo della componente i; mi = numero di indicatori rappresentativi della componente i, dato da:

Componente (i) Numero indicatori (j) rappresentativi 1 1 2 3 3 4 4 1 5 1 6 1

ijC può quindi essere considerato in questo caso come una matrice 6 x 4 (ovvero, in generale, i x j) del tipo:

C11 0 0 0 C21 C22 C23 0 C31 C32 C33 C34 C41 0 0 0 C51 0 0 0 C61 0 0 0

12 Il calcolo, la normalizzazione e l’aggregazione degli indicatori vengono condotti in ambiente ArcView® in base alla discretizzazione dell’area studio in celle di 250 m di lato, dimensione di accettabile compromesso tra la necessità di arrivare alla lettura sub-comunale dei fenomeni insediativi e i limiti di scala minima utilizzabile per il calcolo di alcuni indicatori.

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mentre, a sua volta, il valore degli indicatori normalizzati ijC è dato dall’espressione:

)(C)(C)(CCC

ijij

ijijij

minmaxmin−

−= , essendo:

max (Cij) = valore massimo assunto dall’indicatore nell’area di studio; min (Cij) = valore minimo assunto dall’indicatore nell’area di studio. È tuttavia ben vero che – tranne I4 (componente dell’assetto pedologico), I5 (componente del rischio idraulico) e I6 (com-ponente della sensibilità degli elementi naturali), espressive di fattori fisici a statuto per così dire peculiare e non supplibile con indicatori sintetici d’altra natura – tutte le altre componenti di carattere urbanistico I1 (morfologia perimetrale), I2 (strut-tura spaziale distributiva) e I3 (struttura spaziale insediativa) potrebbero apparire ridondanti nella stima della dispersione territoriale; vogliamo pertanto verificarne l’esaustività nel raffronto con qualche differente descrittore, che apporti informa-zione nuova e non pleonastica, animati soprattutto dal bisogno di introdurre razionalità oggettivante in un ambito – quello urbanistico – che sovente dall’oggettivazione (matematica) è sembrato rifuggire. 2. Concentrazione vs. dispersione insediativa: la rilevanza dell’indice di Gini nella descrizione dell’assetto territo-riale Partiamo con un’osservazione: man mano che giungono a maturità, le diverse branche del sapere si matematizzano, tro-vando nella matematica il linguaggio «naturale» che le esprime, forse addirittura le contiene. Ovviamente anche la mate-matica deve avere un grado di complessità adeguato alla realtà che si vuole indagare. Quando la matematica non è (anco-ra?) abbastanza sofisticata per fornire un modello, l’uomo si avvale (e si è avvalso) di modelli non matematici per sintetiz-zare/comunicare dei concetti: la sostanza non cambia, solo l’oggetto è più impreciso. La matematica parla di modelli, che nascono dall’interazione con la realtà permettendone la descrizione in termini generali, così generali da poter essere utiliz-zati anche in settori diversi da quello di origine. Addirittura ha la complessità/potenza per poter parlare di se stessa: si pos-sono costruire delle proposizioni che parlano di matematica, pur rimanendo «frasi» di matematica e non di filosofia. Col senno di poi (galileiano, ma non solo) possiamo affermare che «non si chiede di credere al modello, si chiede al modello di funzionare». Il modello non è dunque un oggetto di fede. La costruzione e la relativa adozione di modelli (matematici) per rendere ragione di varia fenomenologia è sempre in mo-vimento: i modelli di oggi non sono quelli di ieri, nella migliore delle ipotesi li comprendono come casi particolari o come casi limite. È l’osservazione sperimentale (i nostri sensi, eventualmente ampliati dall’uso di strumenti) a suggerire, validare o confutare i modelli. Il modello (che non è ciò che osserviamo, ma una nostra costruzione mentale) può anche essere coe-rente al suo interno, ma non essere (o divenire non) adeguato a rendere ragione di ciò che percepiamo. Ricordiamo a tale scopo che qualunque modello matematico al di fuori del suo ambito è un’estrapolazione, ed essendo «locale» la nostra per-cezione di ciò che ci circonda, dovremmo sempre avere la coscienza della «non globalità» di ogni (utilizzo di un) modello. Basti l’esempio della geometria euclidea, fino a non molto tempo fa pensata come «naturale» e quindi come «la» geome-tria. Ora è divenuta, più modestamente, locale, pur mantenendo la sua validità e coerenza all’interno della matematica: co-me modello della realtà, funziona sempre come descrizione su certi ordini di grandezza, al di fuori di questi è sostituita da altre geometrie. Si badi che la costruzione di un modello non è riferita solo alle grandi teorie relative alla natura dell’universo, ma più in generale (e modestamente) anche per micro-fenomeni. In altre parole, la realtà può essere descritta anche localmente con modelli che non pretendono di dire alcunché sulla natura dell’universo; occorre solo che funzionino nell’ambito ristretto per il quale sono stati pensati, cioè che abbiano una sufficiente potenza descrittiva/predittiva. Può esse-re che vengano poi riconosciuti come facenti parte di una teoria unitaria più generale, ma non è questo lo spirito con il qua-le vengono pensati. A volte la natura matematica di quel che era stato pensato come un modello evocativo (non matematico, verbale o pittori-co) viene riconosciuta poi. Per esempio, nella Divina Commedia è possibile riconoscere nell’ipersfera quadridimensionale il modello con cui viene descritto il Paradiso, dove i cieli costituiscono le superfici di livello di tale ipersfera. Per compren-derlo basta infatti estendere per analogia il caso della sfera ordinaria in cui i paralleli, circonferenze, costituiscono delle li-nee di livello; per tale ipersfera le «linee di livello» sono in realtà delle superfici sferiche di livello. È chiaro che Dante non pensava all’ipersfera, ma è sorprendente la penetrazione della matematica in ambiti così inaspettati. Per rimanere pertinenti con la pianificazione territoriale, e assumendo l’esempio della morfologia, i problemi della forma ottimale di un circuito integrato e di una città hanno la stessa risposta. A questo risultato si perviene attraverso un’opportuna formalizzazione. Il modello matematico utilizzato per i circuiti integrati si rivela dunque fruibile in ambiti di-versi da quello per cui era stato pensato. Cambiando ambito matematico e considerando la probabilità e la statistica (o me-glio, la statistica descrittiva, la probabilità e la statistica inferenziale), si osserva come concetti e metodi originati da forma-lizzazioni in ambito economico possono divenire utili strumenti analitici per il pianificatore territoriale.

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Vediamo un concetto trasversale: la misura (teoria della, branca della matematica). In statistica descrittiva la misura è riferi-ta alla frequenza relativa, nel calcolo delle probabilità, alla probabilità. La «massa» (di frequenza o di probabilità), oggetto di misura, è in sostanza un attributo che ci consente di trattare quantitativamente i problemi legati all’incerto (sia con dati già raccolti, frequenza, sia con modelli di previsione, probabilità). Volendo ricorrere alla dualità consuntivo/preventivo, in statistica descrittiva si opera con una «misura consuntiva», mentre in probabilità con una «misura preventiva». La massa oggetto di misura è, nel caso dei dati osservati, descritta dalla distribuzione cumulativa delle frequenze relative mentre, nel caso di un modello probabilistico, dalla distribuzione cumulativa delle probabilità. Anche in ambiti diversi (consunti-vo/preventivo) può essere (ed è) necessario lavorare con degli oggetti più sintetici che non le distribuzioni di massa (di fre-quenza/probabilità). Di qui diversi indici, spesso omonimi, che hanno però significato differente a seconda del contesto in cui si trovano: saranno riassunti di osservazione nel caso dei dati acquisiti e riassunti di previsione quando sintesi di model-li. In realtà, se si pensa a tali indici riassuntivi come riferiti genericamente a una misura, si recupera l’unitarietà. Per esem-

pio la media è un indice riassuntivo che, se riferito ai dati osservati, ha l’espressione ∑=

=n

iix

nx

1

_ 1, se riferito al modello

probabilistico ha ∫ℜ

= )(xdFx Xμ . Queste due definizioni si possono pensare come la particolarizzazione di una stessa

definizione, ∫Ω

)(dxx μ , riferita però a due misure diverse. Nel primo caso si tratta di misura di frequenza, nel secondo ca-

so di misura di probabilità che, nel caso di modelli continui, diviene ∫ℜ

dxxfx X )( , mentre nel caso di modelli discreti di-

venta )(xpx Xx

∑ . La diversità di significato sarà nei due casi dovuta alla diversità di misura adottata, e non a una diffe-

rente definizione. Proseguendo nella sintesi dei dati osservati, s’introduce un indice della loro dispersione rispetto a qualche indice di centrali-tà, per esempio la media. Analogamente, per il modello probabilistico è interessante sapere quanto la massa di probabilità è dispersa attorno alla media. In entrambi i casi il problema è risolto mediante la varianza che, alla luce di quanto esposto per la media, a fronte di una stessa definizione si calcola con due diverse espressioni, in virtù del riferimento a due misure dif-ferenti. Un altro problema è quello della concentrazione, introdotta da Lorenz (1905) e soprattutto da Gini (1912, 1955) in ambito socio-economico, dove trova tuttora grande applicazione. Quando si parla di concentrazione si fa riferimento innanzitutto alla curva di Lorenz o di Lorenz-Gini: anche in questo caso, la definizione può essere riferita ai dati osservati oppure a un modello di previsione (variabile aleatoria) e, nel suo contesto originario (descrittivo di dati osservati), la curva è costituita da punti che hanno in ascissa la frazione cumulata della popolazione, avendo ordinato la popolazione per reddito crescente, e in ordinata la corrispondente frazione cumulata del reddito totale. È possibile definire la concentrazione anche in relazione a un modello di previsione. Sia, in tal caso, X la variabile aleatoria che assumiamo per semplicità continua, positiva e dotata di valore atteso )(XE=μ , di distribuzione cumulativa F e con

densità f. Sia inoltre { }xtFtxF XtX ≥=− )(:inf)(1 . La curva di concentrazione di X si definisce come

∫ ≤≤= −− p

o X pdttFpL .10,)()( 11μ

Di ritorno, si può vedere che se indichiamo con =)(* xFX (# osservazioni ≤ x)/(# totale osservazioni) la funzione di distri-buzione cumulativa osservata (o empirica), la definizione precedente contiene quella «storica» a patto di sostituire

)(1 xFX− con )(1* xFX

− . Il punto (p,L(p)) ha come ordinata la frazione dei redditi posseduta dalla frazione p della popola-

zione meno abbiente. Infatti ∫ −1 1 )(o X dttF è la media E(X), che è proporzionale al reddito totale e, se riferito alla distribu-

zione osservata )(* xFX basata sui dati nxx ,...,1 , lo stesso integrale conduce a ∑=

n

iix

n 1)(

1, che è la media ∑

=

n

iix

n 1

1 (men-

tre )(ix sono i dati riordinati dal più piccolo al più grande). Questo valore, moltiplicato per il totale della popolazione (n in-

dividui), fornisce il reddito totale. L’integrale ∫ −p

o X dttF )(1 è proporzionale (con la stessa costante di proporzionalità del

precedente) alla media dei redditi posseduta dalla frazione p meno abbiente della popolazione. Se riferito, invece, alla di-

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stribuzione osservata )(* xFX basata sui dati nxx ,...,1 , conduce al valore ⎣ ⎦

∑=

np

iix

n 1)(

1(e ⎣ ⎦np è la parte intera inferiore del

numero np). Ancora, moltiplicando questo valore per n si ha il reddito totale degli ⎣ ⎦np soggetti più poveri. È dunque evi-

dente che il valore L(p) coincide con il rapporto

⎣ ⎦

=

=n

ii

np

ii

x

x

1

1)(

(la definizione originaria). Di più, volendo fare inferenza sul va-

lore L(p), pensato in riferimento a una variabile aleatoria X di cui si è osservato un campione nxx ,...,1 , l’espressione ⎣ ⎦

=

=n

ii

np

ii

x

x

1

1)(

ne costituisce una stima, ottenuta con lo stimatore

⎣ ⎦

=

=n

ii

np

ii

X

X

1

1)(

.

La curva di Lorenz è sempre concava (nel caso osservato i punti della funzione L(p) hanno ascissa multipla di n1

e vengo-

no congiunti con segmenti di retta, ottenendo una spezzata continua). L’informazione contenuta nella curva di Lorenz si sintetizza, ovviamente con perdita di informazione, con l’indice di Gini, numero che s’ottiene dalla curva di concentrazione sopra definita calcolandone l’area compresa fra la curva di concentra-zione in caso di equidistribuzione (cioè della distribuzione uniforme, che è la bisettrice del primo e terzo quadrante ristretta all’intervallo [0,1]) e la curva di Lorenz della popolazione in esame, dividendola per 1/2 (l’area sottesa dalla curva di con-

centrazione in caso di equidistribuzione). Al solito, se riferito ai dati osservati avrà l’espressione nX

XX

n

jn

ii

j

ii

j12

1

1

1)(

∑∑

∑=

=

=

⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜

mentre se riferita alla variabile aleatoria sarà ∫ ∫ ⎟⎠⎞⎜

⎝⎛ ⎟

⎠⎞⎜

⎝⎛− −−1

0

11 ))(2 dpdttFpp

o Xμ .

L’indice non discrimina (per esempio) situazioni con curve di concentrazione simmetriche rispetto all’asse y=-p+1. D’altra parte l’intera informazione è contenuta nella curva di concentrazione e non in una sua proprietà. È anche possibile una sti-ma indiretta dell’indice di Gini, calcolando dapprima i parametri della densità della popolazione, e poi l’indice in funzione di tale densità. L’indice di Gini appartiene alla classe delle misure di disuguaglianza fra distribuzioni, e gode delle seguenti proprietà:

(1) principio di trasferimento: esso afferma che, essendo ,,...,, 21 nXXX dei “redditi” (che, riordinati, divengono

)()2()1( ,...,, nXXX ), qualora per esempio si trasferisca «reddito» da )(iX a )( jX , con i>j, l’indice diminuisce; la gran-

dezza misurata da )(iX può anche non rappresentare un reddito, quel che conta è che sia trasferibile da un soggetto a un al-tro, come accade per i redditi; nel nostro caso la grandezza trasferibile è l’area (urbanizzata);

(2) indipendenza dalla scala: l’indice non muta se ogni «reddito» viene moltiplicato con lo stesso fattore;

(3) proprietà di uguale addizione dei redditi: addizionando a ogni reddito un’uguale quantità l’indice diminuisce, sottraendo un’uguale quantità l’indice aumenta;

(4) proprietà di simmetria: l’indice è invariante nei confronti di ogni permutazione di redditi rispetto ai soggetti ( ,,...,, 21 nXXX ha lo stesso indice di ,,...,,

21 niii XXX se ,,...,, 21 niii è una permutazione di indici); (5)

proprietà di normalizzazione: l’indice varia fra zero (perfetta uguaglianza) e uno (perfetta concentrazione); (6)

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principio di operazionalità: la valutazione dell’indice non dipende da parametri o funzioni che devono essere fissati dallo sperimentatore; partendo quindi dagli stessi dati, sperimentatori differenti ottengono lo stesso risultato indipendentemente dalla loro soggettività. Tali proprietà, possedute dall’indice di Gini, sono auspicabili per qualsiasi altra misura di disuguaglianza fra distribuzioni; altri indici presenti in letteratura (per esempio il coefficiente di variazione, la deviazione media relativa, gli indici di Theile o di Hirschman, l’indice di informazione generalizzato, il rapporto di Atkinson o quello di Kolm) non godono di tutte que-ste proprietà, restano confinati in ambiti particolari, e perciò l’indice di Gini rimane quello più ampiamente accettato. Nel seguito, alcune curve di concentrazione e i relativi indici di Gini per alcune variabili aleatorie (normale, esponenziale, gamma…). I modelli sottostanti sono N(μ, σ2), exp(ν) e Γ(κ, ν), con i valori dei parametri considerati. Si nota che, più la densità è concentrata (deviazione piccola relativamente alla media), più la curva di concentrazione corrispondente tende al-la bisettrice del primo quadrante (perfetta equidistribuzione):

μ 4 σ 1,5 ν 5 κ 3 mentre il contrario accade se la deviazione è grande rispetto alla media:

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μ 20 σ 1,5 ν 5 κ 0,5

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3. I tratti caratterizzanti della diffusione insediativa: il calcolo dell’indice di Gini nello spazio provinciale cremonese 3.1. L’indice di Gini come descrittore rilevante della diffusione insediativa Abbiamo assunto prima che la sostenibilità delle localizzazioni espansive dei piani comunali sia valutabile come f (I1, I2, I3, I4, I5, I6), dove I1 esprime la compattezza delle forme insediative (considerata nella morfologia perimetrale di CF = coeffi-ciente di forma); I2 indaga l’entità ed estensione dei nodi urbanizzati (rappresentata dalla struttura distributiva di DISP1 = distribuzione dell’urbanizzato puntiforme13, DISP2 = distribuzione dei nuclei < 1,5 ha, DISP3 = distribuzione dei nuclei > 1,5 ha); I3 considera la dispersione insediativa della struttura urbana, stimata attraverso DUP = densità dell’urbanizzato po-ligonale, CONN = connettività, ETE = eterogeneità spaziale, CONT = continuità; I4 valuta il consumo di suoli ad alta ca-pacità d’uso o elevato grado di naturalità, I5 coinvolge il rischio idraulico e I6 il contenimento delle pressioni sui sistemi naturali. Abbiamo anche considerato che – escluse le I4, I5, I6 (non supplibili da altri indicatori) – le componenti urbanistiche I1, I2, I3 potrebbero apparire ridondanti nella stima dei caratteri spaziali; si vorrebbe pertanto sperimentare qualche differente de-scrittore, che apporti informazione non pleonastica avvertendo espressamente del grado di concentrazione/dispersione in-sediativa. Abbiamo di conseguenza ritenuto che l’indice di Gini (1912, 1955), espresso tramite una curva di Lorenz (1905)14, possa ben adattarsi a descrivere l’armatura insediativa15; così, la stima della curva (che denomineremo «di Lorenz/Gini»)16 gene-rerà un coefficiente tra 0 e 1, con i casi estremi dell’indice in cui 0 = perfetta eguaglianza17 e 1 = perfetta diseguaglianza; se, pertanto, nomineremo con A l’area tra la linea di perfetta eguaglianza (la bisettrice) e la curva di Lorenz/Gini, e con B l’area sottesa dalla curva di Lorenz, allora il coefficiente di Gini diverrà A/(A + B)18, compreso tra 0 e 1 come nella figura sottostante:

0,00

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,70

0,80

0,90

1,00

0,00

0,05

0,09

0,14

0,18

0,23

0,27

0,32

0,36

0,41

0,45

0,50

0,55

0,59

0,64

0,68

0,73

0,77

0,82

0,86

0,91

0,95

1,00

N nucleo/ N tot nuclei urbanizzati

A n

ucle

o/A

tot n

ucle

i urb

aniz

zati

Linea di perfetta uguaglianza Curva di Lorenz Linea di perfetta disuguaglianza

dove la curva di Lorenz/Gini rappresenta la distribuzione dell’area attribuita a ogni nucleo insediativo di un territorio co-munale, normalizzata rispetto all’area totale di quel territorio19 e variabile rispetto alle situazioni di perfetta: a) eguaglianza

13 Consideriamo come tale una cella insediata, pari a 25 m di lato. 14 Cfr. anche Leti, 1965, 1983. 15 È stato infatti ampiamente utilizzato per identificare eguaglianze o diseguaglianze sociali, per esempio considerando il variare della frazione cumulata del reddito totale rispetto alla frazione di popolazione (normalizzata rispetto al totale e ordinata per reddito crescente). 16 Indubbiamente l’informazione espressa dalle curve di Lorenz è rilevante ma non d’immediata interpretabilità, e dunque la risultanza grafica dell’algoritmo, presentato più oltre, va tradotta in numero (l’indice di Gini): il che, se da un lato inevitabilmente genera perdita in-formativa, dall’altro risulta più trattabile all’indagine statistica, meglio proiettabile in cartografia e più efficace come descrittore della di-spersione insediativa. 17 La curva di Lorentz dell’equidistribuzione, o distribuzione uniforme, sarà espressa dalla bisettrice del I e III quadrante ristretta all’intervallo [0, 1]; in questo caso, se il numero di nodi è elevato, sarà A + B ≅ 1/2. 18 L’indice può essere definito A/(1/2) giacchè, in caso di equidistribuzione, se il numero di nodi è elevato A + B ≅ 1/2. 19 Sulla base dei seguenti step: a) i nodi/poligoni di ciascun comune vengono ordinati in ordine crescente rispetto alla propria area, a par-tire da quello con area minore (cui verrà attribuito il n. 1) fino a quello con area maggiore (cui verrà attribuito il n. uguale al n. totale di nodi/poligoni urbanizzati presenti in quel comune); b) avrà poi luogo la normalizzazione rispetto al valore massimo sia sull’asse x (divi-

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oppure b) diseguaglianza insediativa, permettendo il calcolo dell’indice di Gini attraverso il rapporto fra A e ½ (nel caso in cui tutti i nodi urbanizzati di un territorio comunale esprimano la medesima superficie, tendendo a un modello insediativo massimamente disperso = perfetta eguaglianza in figura a sottostante, l’indice vale 0 mentre, nel caso corrispondente a un solo nucleo di dimensione misurabile, con tutti gli altri di dimensioni non misurabili, trascurabili, puntiformi20 = perfetta diseguaglianza in figura b sottostante, l’indice vale 1).

a) b) Vediamo una prima applicazione (in ambiente Excel®) per due comuni selezionati casualmente, Castelleone e Rivolta d’Adda; s’otterranno le due curve sottostanti, alla cui comparazione già s’evidenzia l’effettiva funzione valutativa della curva di Lorenz/Gini, potendosi constatare che, alla soglia storica del secondo dopoguerra: per Rivolta d’Adda – linea con-tinua – i (pochi) nodi di ridotte dimensioni, in numero di 9, si collocano tutti approssimativamente su una retta che si spez-za alla considerazione dell’ultimo agglomerato, più esteso rispetto a ogni altro nodo, generando un indice di Gini pari a 0,47; mentre Castelleone – linea tratteggiata – presenta invece una superficie urbanizzata più dispersa, dove i (tanti) nodi di minor dimensione, in numero di 51, raggiungono circa la metà dello spazio occupato dal maggior nucleo raggiungendo un indice di Gini di 0,60.

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 10

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

N nucleo/N tot nuclei urbanizzati

A n

ucle

o/A

tot n

ucle

i urb

aniz

zati

Effettuiamo ora un’applicazione completa di Lorenz/Gini alle tre soglie valutative (storica, attuale, di previsione) nei co-muni di Cremona e Capralba, rappresentativi degli estremi provinciali per numero di abitanti e numero e dimensione dei poligoni urbanizzati: Cremona esprime la maggior densità abitativa (1.016,24 ab./km2) con un poligono centrale assai più densamente popolato degli altri suoi poligoni fin dall’immediato dopoguerra, mentre invece Capralba è un comune poco

dendo cioè il n. d’ordine dei poligoni per il n. maggiore di poligoni reperiti nell’area studio, fino all’ultimo poligono che avrà numero 1), sia sull’asse y (l’area di ciascun poligono viene divisa per l’area totale, ossia quella cumulata del poligono maggiore che, nell’asse x, do-po la normalizzazione è diventato il poligono 1); c) verrà calcolata la distribuzione cumulata (per cui il valore yi a una determinata xi sarà uguale al valore xi + xi-1). 20 Intendiamo, per dimensione «trascurabile», «non misurabile», «puntiforme», quella di una cella insediata di 25 m di lato.

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popolato (172 ab./km2), con poligoni grosso modo della stessa dimensione; le curve dei due comuni rappresentano dunque esempi estremi di distribuzione urbanizzativa21. Gli insediamenti urbanizzati nell’immediato dopoguerra trovano qui confronto tra Cremona (rappresentata dalla linea tratteggiata in figura sottostante) con 128 nodi (numero già all’epoca elevato), e Capralba (linea continua) con appena 7: non solo pochi, ma con dimensioni consimili generando una spezzata meno lontana dalla bisettrice del primo quadrante di quella di Cremona, con un indice di Gini pari a 0,46 (contro 0,78 per Cremona).

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 10

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

N nuclei/ N tot nuclei urbanizzati

A n

ucle

o/A

tot n

ucle

i urb

Il confronto delle curve tra la soglia storica e quella contemporanea, in figura sottostante, fa apprezzare nel caso di Ca-pralba un elevato aumento dell’indice di Gini da 0,46 fino a 0,68 (il piccolo comune è andato ampliandosi con maggior vigore del capoluogo provinciale, che difatti esprime un più ridotto aumento da 0,78 a 0,92), anche se dev’essere con-statata la prossimità comportamentale della diffusività dei due casi: i nodi urbanizzati sono aumentati notevolmente sia a Cremona (con una crescita di circa 1/3, da 128 a 173) sia a Capralba (il numero si è più che triplicato, da 7 a 25 nodi).

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 10

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

N nucleo/N nuclei tot urbanizzato

A n

ucle

o/A

nuc

lei t

ot u

rban

izza

to

Infine, l’andamento evolutivo dall’assetto attuale a quello di previsione (in figura sottostante) genera, per il capoluogo provinciale, una contrazione dell’indice di Gini da 0,92 a 0,87 e, per Capralba, da 0,68 a 0,61: è ben vero che Capralba presenta altri 6 nuovi nodi d’espansione prevista, che tuttavia si saldano ai 25 nodi esistenti esprimendo la previsione ancora di 25 nodi (ma questa volta assai più vasti), così come Cremona prevede altri 11 nuovi nodi, ma tuttavia comun-

21 In provincia di Cremona insistono comuni meno densamente popolati di Capralba, ma nella scelta è anche stato considerato il numero di poligoni/nodi effettivamente presenti: si è convenuto pertanto di prendere a esempio un comune con un numero di poligoni/nodi al-meno pari a 6 per ogni soglia, per poter ottenere una curva di Lorenz più definita.

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que tesi a saturare le porosità interne all’urbanizzato attuale, poiché generano un n. complessivo di 130 nodi di previsio-ne contro i 173 attuali, in un processo di saldatura insediativa la cui spirale non sembra avere fine.

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 10

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

N nucleo/N nuclei tot urbanizzato

A n

ucle

o/A

nuc

lei t

ot u

rban

izza

to

La procedura fin qui descritta ha quindi trovato applicazione per tutti i poligoni espressivi dell’armatura insediativa di ogni comune cremonese alle tre soglie (storica, attuale, di previsione), Operando in ambiente Matlab® v. 7.0 col seguente algo-ritmo (creato per rappresentare le curve di Lorenz/Gini nella stessa figura simultaneamente per tutti i comuni): Comuni = [1:115]; clf, z = zeros(115,1); for i = Comuni; A=urb_sto(urb_sto(:,4)==19000+i,:); B=sortrows(A,2); x=[0:size(B,1)]'/size(B,1); y=[0;cumsum(B(:,2))]/sum(B(:,2)); . z(i,1)=diff(x,1,1)'*(y(1:length(y)-1,:)+y(2:length(y),:))/2; z2 = 1 – 2*z; plot(x,y,'k+-') hold on end hold off 3.2. Il calcolo dell’indice di Gini nei comuni cremonesi Nelle immagini successive rappresentiamo la risultanza dell’indice di Gini in quattro classi (da bassa a medio/alta) per co-mune, alle tre differenti soglie: a) alla soglia storica dell’immediato dopoguerra (Gini_sto.shp), i comuni a maggiore indice e, sovente, con un nucleo

centrale di maggior dimensione rispetto ai nodi circostanti erano Cremona e Crema (ancor oggi quelli a maggior densi-tà abitativa), oltre – a nord del territorio provinciale – Vailate e i tre comuni limitrofi di Quintano, Trescore e Cremosa-no; poi, al centro Olmeneta e a sud Pieve d’Olmi, Isola Dovarese, Piadena, Martignana di Po e Casalmaggiore; nei re-stanti comuni, nodi urbani meno numerosi e tutti grosso modo delle stesse dimensioni, con distribuzione all’incirca u-niforme e con modalità insediative sostanzialmente centrate: evidente è, dunque, il fatto che il modello diffusivo a quella data non aveva ancora avuto inizio;

b) l’esame dell’armatura insediativa in atto (Gini_att.shp) fa constatare l’innalzamento dell’indice di Gini per tutta la provincia (si noti il differente intervallo delle classi di «bassa», «media», «alta» e «molto alta» intensità, con valori dell’indice più elevati di 10-1), denunziando una distribuzione insediativa non uniforme nei comuni, a differenza della soglia originaria: sono andati cioè formandosi assai più nodi di entità maggiore rispetto ai primigenii ridotti nuclei

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grosso modo con le stesse dimensioni, generando così – con l’aumento dell’indice di Gini – l’approssimazione alla curva della perfetta diseguaglianza e la constatazione che, anche qui, il modello diffusivo ha fatto presa;

c) all’ultima soglia, generata dalle zone d’espansione dei piani (Gini_esp.shp), s’evidenzia l’ampliamento del processo insediativo e del corrispondente consumo di suolo pur se il numero totale di nodi urbanizzati (come abbiamo visto prima per Capralba) rimane costante, o addirittura diminuisce (Cremona), in quanto la dilatazione generalizzata dei nuclei porta all’inglobamento dei centri limitrofi più piccoli nei nodi urbani maggiori (in termini perfettamente correlati – come appare in Gabaldi, 2004 – con la diminuzione di DISP1 (coefficiente di distribuzione dell’urbanizzato punti-forme) e DISP2 (coefficiente di distribuzione dei nuclei minori) e l’innalzamento di DISP3 (coefficiente di distribuzio-ne dei nuclei maggiori).

indiceGini_storicobassa (0-0.2)media (0.2-0.6)alta (0.6-0.8)molto alta (0.8-1)

20 0 20 40Miles

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indice Gini attualebassa (0-0.2)media (0.2-0.6)alta (0.6-0.8)molto alta (0.8-1)

20 0 20 40Miles

indice Gini espansionebassa (0-0.2)media (0.2-0.6)alta (0.6-0.8)molto alta (0.8-1)

20 0 20 40Miles

Tale processo espansivo appare palesemente contraddittorio rispetto al decremento demografico del 13%, registrato tra il 1951 e il 2001 nella provincia di Cremona, con una costante riduzione nell’arco 1951/1991 e una limitata inversione di tendenza solo nell’ultimo periodo, peraltro frutto di situazioni assai differenziate: mentre il Cremasco cresceva

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dell’8%, tra il 1951 e il 2001 il Cremonese e il Casalasco si contraevano rispettivamente del 2% (1% nell’ultimo quin-quennio) e del 15% (con stabilizzazione solo recente a saldo 0); il tutto, col seguente andamento medio provinciale:

Var.

1961/1951Var.

1971/1961Var.

1981/1971Var.

1991/1981 Var.

2001/1991 Var.

2003/2001Media demografica provinciale – 15,64% – 14,51% – 3,55% + 0,89% + 5,33% + 2,81%

La rappresentazione, per comune, della classe di popolazione residente al 2003 e del tasso di crescita dal 1991 al 2003 evidenzia chiaramente il processo centrifugo da Crema (a nord) e Cremona (al centro) verso le corone periurbane, e per contro – in termini centripeti – dai comuni del Casalasco (a sud) verso il nodo mandamentale di Casalmaggiore (così come, peraltro, conferma l’applicazione dell’indice di Gini alla soglia degli strumenti urbanistici più recenti).

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Potrebbe, in questo senso, ravvisarsi una qualche ragione che giustifichi – ma solo per ridotte porzioni dello spazio pro-vinciale – un aumentato consumo di suolo per motivi di decentramento residenziale mentre invece, a ben guardare la variazione delle unità locali e degli addetti nell’ultimo decennio 2001/1991:

Var. addetti 2001/1991 Var. U.L. 2001/1991 Addetti/U.L. 1991 Addetti/U.L. 2001 Media provinciale 18,88% – 1,63% 3,84 4,55

il valore provinciale delle unità locali appare diminuito pur registrandosi una crescita di addetti, e non sembra pertanto giustificare appieno i processi espansivi delle zone produttive; poi, se osserviamo l’entità spaziale della crescita, artico-lata per fasi temporali degli insediamenti:

Al periodo postbellico Alla soglia attuale Alla soglia previsionale Previsioni/Attuale (Δ %) Tot. provinciale 26,46 kmq 128,35 kmq 186,00 kmq 44,92%

dobbiamo ammettere una situazione di spreco che – a considerare Q = coefficiente di qualità pedologica dei suoli inte-ressati da espansioni – ha coinvolto le seguenti caratterizzazioni22:

Tipologia di suolo consumato (classe pe-dologica se extraurba-no, o porosità se urba-no)

Ha di consu-mo per espan-sioni residen-

ziali

Ha di consumo per espansioni

produttive

Ha di consumo per e-spansioni commercia-

li/direzionali

Ha di consumo per espansioni di

servizi loca-li/sovralocali

Ha di consu-mo per espan-sioni di infra-strutture agri-

cole n. celle

% sul totale della singola

tipologia Classe 1 128,81 332,69 35,69 349,88 65,63 14.603 17,24% Classe 2 284,31 457,56 63,38 735,50 202,19 27.887 32,91% Classe 3 181,94 608,13 17,00 658,75 39,63 24.087 28,43% Classe 4 1,38 26,69 0,00 103,44 0,00 2.104 2,48% Classe 5 0,00 1,00 0,00 63,00 0,00 1.024 1,21% Porosità urbane 231,81 115,25 11,63 569,94 10,31 15.023 17,73% Totale 828,25 1.541,31 127,69 2.480,50 317,75 84.728 100% Il consumo di risorsa fisica, generato dalle previsioni degli strumenti urbanistici comunali, coinvolge addirittura il 50,15% dei suoli di prima e seconda classe (pur dovendosi constatare un buon tasso del 17,73% di completamenti delle porosità negli aggregati urbani). Se consideriamo che le funzioni agricole della provincia di Cremona predominano sugli altri usi del suolo, raggiungen-do il 74,4% (questa è la provincia lombarda col più alto valore di Sau, seguita da Lodi col 71%, Mantova col 70%, a se-guire le altre province23; cfr. la figura sottostante relativa alla Sau sulla superficie totale comunale, al 2001), con una su-perficie agricola utilizzata di circa 134.000 ha a cui s’aggiungono circa 6.000 ha di superficie forestale (comprensiva delle aree ad arboricoltura da legno), si conferma la spiccata vocazione rurale provinciale: qui l’agricoltura ha sempre rappresentato il settore preminente, insieme alla sua filiera di trasformazione e commercializzazione, con produzioni che raggiungono primati nazionali, con una zootecnia di livello europeo, con una maglia irrigua di elevatissimo livello.

22 È stata stimata (Gabaldi, 2004) la sostenibilità delle scelte insediative per gli strumenti urbanistici comunali in tutta la provincia di Cremona; il livello di sostenibilità diminuisce all’aumentare dell’indicatore Q, ossia all’aumentare della qualità e quantità dei suoli coinvolti dalle espansioni (dato che il valore assoluto delle celle con suoli di qualità più elevata risulta maggiore e, dunque, un loro consumo comporta un danno ambientale più elevato rispetto a quello derivante dal consumo dei suoli meno pregiati); le classifica-zioni pedologiche assunte sono le seguenti: Classe I = suoli che presentano pochissimi fattori limitanti, e sono quindi utilizzabili per tutte le colture agrarie. Classe II = suoli che presentano moderate limitazioni e richiedono un’opportuna scelta delle colture e/o moderate pratiche conservative. Classe III = suoli che presentano severe limitazioni, tali da ridurre la scelta delle colture e da richiedere speciali pratiche conservative. Classe IV = suoli che presentano limitazioni molto severe, tali da ridurre drasticamente la scelta delle colture e da richiedere accurate prati-che di coltivazione. Classe V = suoli che, pur non mostrando fenomeni di erosione, presentano tuttavia altre limitazioni difficilmente liminabili, tali da restringere l’uso al pascolo o alla forestazione o come habitat naturali. 23 Fonte Istat, 2000.

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Vista prospettica della trama insediativa e infrastrutturale del bacino cremonese,

con rappresentazione della principale armatura idrologica

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3.4. La rilevanza dell’indice di Gini nell’analisi bivariata In un frangente dove la riorganizzazione capitalistica dell’impresa agraria nell’arco 1970/2000 ha visto ridursi forte-mente l’entità aziendale, con una contrazione della superficie condotta del 14,73%, la zootecnia cremonese è comunque riuscita a specializzarsi al punto da raggiungere i più elevati livelli europei24, ma si ritrova a competere col processo in-sediativo diffusivo per l’uso della risorsa suolo25 (e oggi addirittura per l’acqua26), come prova il trattamento27 degli in-dicatori: CF = morfologia perimetrale; DISP1 = distribuzione dell’urbanizzato puntiforme, DISP2 = distribuzione dei nuclei < 1,5 ha, DISP3 = distribuzione dei nuclei > 1,5 ha; DUP = densità dell’urbanizzato poligonale, CONN = connet-tività, ETE = eterogeneità spaziale, CONT = continuità; Gini = concentrazione dell’armatura insediativa. Processiamo dunque la matrice locale, alle tre soglie storiche, per stimare il coefficiente di correlazione di Pearson dove, lo ricordiamo, ρ = 0,0 (assenza di correlazione); ρ = + 1,0 (correlazione perfetta positiva tra le variabili); ρ = – 1,0 (cor-relazione perfetta negativa tra le variabili); avremo così: DISP1 DISP2 DISP3 CF CONN Gini ETE DUP

DISP1  1.0000 – 0.0444 0.0538 0.0300 – 0.1875 – 0.1051 – 0.1192 – 0.0171 DISP2 – 0.0444 1.0000 – 0.4300 – 0.1883 0.5109 0.0202 0.3561 0.8710 DISP3 0.0538 – 0.4300 1.0000 0.3440 – 0.4420 0.2147 – 0.0856 – 0.4487 CF 0.0300 – 0.1883 0.3440 1.0000 – 0.0691 0.3769 0.2866 – 0.2145 Conn – 0.1875 0.5109 – 0.4420 – 0.0691 1.0000 0.4378 0.6596 0.4995 Gini – 0.1051 0.0202 0.2147 0.3769 0.4378 1.0000 0.5769 – 0.0071 ETE – 0.1192 0.3561 – 0.0856 0.2866 0.6596 0.5769 1.0000 0.2855

24 E i suoi obiettivi prospettici – dettati dal piano agricolo provinciale – sono ancora più ambiziosi: a) aumentare l’efficienza produtti-va delle imprese nel rispetto della compatibilità ambientale; b) il rafforzamento della presenza della produzione agro-alimentare pro-vinciale sul mercato nazionale e internazionale specie attraverso la promozione di una politica per la qualità, la valorizzazione delle tipicità e la sicurezza alimentare; c) la valorizzazione della multifunzionalità dell’agricoltura e la salvaguardia del territorio e dell’ambiente rurale; d) il miglioramento della formazione delle risorse umane e della tecnologia; e) l’incentivazione delle risorse e-nergetiche alternative; f) la semplificazione amministrativa del rapporto tra sistema agricolo e pubblica amministrazione. 25 I terreni cremonesi costituiscono un mirabile connubio di favorevoli caratteri fisici (l’origine alluvionale, gli assetti pianeggianti, la prevalentemente equilibrata granulometria e composizione chimica) e antropici (le plurisecolari opere di messa a coltura, sistemazio-ne e fertilizzazione); tuttavia negli ultimi anni sta però accentuandosi, da un lato, la sottrazione di suolo per urbanizzazioni e infra-strutture e, dall’altro, la semplificazione delle scelte colturali con abbandono delle rotazioni a favore delle monosuccessioni. 26 L’acqua irrigua – da cui dipendono in misura determinante gli ordinamenti produttivi dell’agricoltura cremonese – qui abbonda grazie alla fascia dei fontanili cremaschi, al ripiglio a valle degli esuberi delle somministrazioni, al conseguente reimpinguamento della falda, alla presenza della fitta rete di canali artificiali, frutto di iniziative plurisecolari, derivati da Adda e Oglio e dipendenti dalle riserve accumulate nei laghi di Como e Iseo, ma non può più essere percepita come una risorsa illimitata: il suo futuro è destinato a mutare in misura più che significativa poiché anch’essa è coinvolta da una crescente competizione d’uso, al pari del fattore suolo, per necessità civili e industriali; il sistema irriguo cremonese si deve poi confrontare con le conseguenze dei radicali cambiamenti inter-venuti nel regime fondiario (riduzione del numero di aziende, aumento della loro dimensione media e, di riflesso, forte riordino della superficie aziendale), nell’ordinamento produttivo (scomparsa del trifoglio ladino e sviluppo della monocoltura del mais), nelle tecni-che irrigue (con turbìne, a pioggia, a goccia), cambiamenti che hanno spesso condotto ad abbandoni, sovrapposizioni, riduzioni di ef-ficienza, sprechi nella rete irrigua; i gestori della rete irrigua devono poi confrontarsi col deterioramento qualitativo delle acque pro-vocato dagli scarichi non trattati dei privati, delle industrie e delle fognature comunali, ricevuti dai canali irrigui lungo il percorso; in-fine, ma non ultima, la questione del riordino delle utenze irrigue. 27 Per l’analisi statistica delle n variabili della matrice morfo-insediativa sono stati utilizzati i software di programmazione matriciale e analisi statistica Matlab v. 7.0, Addati v. 5.2c, Unscrambler v. 8.0 (SR-1 copyright 1986-2000 CAMO ASA) ed Excel 2003; le ap-plicazioni sono state condotte dapprima su scala comunale, attribuendo un valore degli indicatori a ognuno dei 115 comuni della provincia di Cremona, e in un secondo tempo su scala di dettaglio, attribuendo un valore degli otto indicatori a ciascuna delle celle di 100 m di lato in cui è stato suddiviso lo spazio provincia cremonese, per un complesso di 177.080 celle; nel seguito i risultati delle matrici a scala locale (dalle quali sono state eliminate le celle non urbanizzate; sulla scala utilizzata, alcune considerazioni: a) i dati al-la scala di dettaglio non sono sempre reperibili, e in questi casi si è usato il valore comunale; b) lavorare con una matrice di elevate dimensioni porta a scontrarsi con i limiti di alcuni dei software utilizzati e ciò ha reso necessario adottare una serie di tecniche per su-perarli; c) i risultati comunali sono confrontabili con la componente socio-economica. È stata così ottenuta la matrice dei dati (n x m) in cui, per ogni cella, si stratifica l’informazione assunta per un complesso di 177.080 righe per 8 variabili per 3 soglie temporali (sto-rica, attuale e d’espansione); dalla matrice iniziale sono state eliminate le celle/righe di non urbanizzato, ottenendo alla fine una ma-trice storica di 10.398 x 8, una matrice attuale di 26.601 x 8 e una matrice d’espansione di 5.842 x 8.

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DUP – 0.0171 0.8710 – 0.4487 – 0.2145 0.4995 – 0.0071 0.2855 1.0000 nella tabella soprastante, la matrice storica [10398, 8] alla soglia del secondo dopoguerra, dove la maggior correlazione è tra la dispersione dei piccoli centri (DISP2) e la densità dell’urbanizzato poligonale (DUP), con 0,87; poi, la correla-zione tra connettività (CONN) ed eterogeneità (ETE) vale 0,66, tra GINI ed ETE 0,57, tra CONN e DISP2 0,51, invece CONN è inversamente correlato alla dispersione dei centri di maggiori dimensioni (DISP3) con – 0,44; vediamo ora nel seguito: DISP1 DISP2 DISP3 CF CONN Gini ETE DUP

DISP1  1.0000 0.0026 0.0088 0.0561 0.0362 – 0.0315 – 0.0567 0.0072 DISP2 0.0026 1.0000 – 0.3709 – 0.2533 0.2880 – 0.3585 – 0.0605 0.8626 DISP3 0.0088 – 0.3709 1.0000 – 0.1487 – 0.1190 0.6286 0.0674 – 0.5510 CF 0.0561 – 0.2533 – 0.1487 1.0000 – 0.2602 – 0.2290 – 0.3849 – 0.1816 CONN 0.0362 0.2880 – 0.1190 – 0.2602 1.0000 – 0.0295 0.1290 0.3185 Gini – 0.0315 – 0.3585 0.6286 – 0.2290 – 0.0295 1.0000 0.6246 – 0.5864 ETE – 0.0567 – 0.0605 0.0674 – 0.3849 0.1290 0.6246 1.0000 – 0.2589DUP 0.0072 0.8626 – 0.5510 – 0.1816 0.3185 – 0.5864 – 0.2589 1.0000 la tabella di correlazione della matrice insediativa attuale [26601, 8]: la maggior correlazione è (al pari della precedente matrice storica) tra la dispersione dei piccoli centri (DISP2) e la densità dell’urbanizzato poligonale (DUP), con Pearson = 0,86 mentre la seconda correlazione più alta è quella diretta tra Gini e DISP3 = 0,63 e tra Gini ed ETE (0,62), mentre appare inversa tra DUP e Gini (pari a – 0.59) e tra DUP e DISP3 (pari a – 0,55); l’indice CONN è positivamente corre-lato a DUP con coefficiente pari a 0,32. DISP1 DISP2 DISP3 CF Conn Gini ETE DUP

DISP1  1.0000 0.0466 0.1048 0.0812 0.0673 – 0.1352 – 0.1400 0.0616DISP2 0.0466 1.0000 – 0.0603 – 0.1761 0.3301 – 0.3034 – 0.3157 0.8761DISP3 0.1048 – 0.0603 1.0000 – 0.0582 – 0.0613 – 0.0037 0.0403 – 0.1088CF 0.0812 – 0.1761 – 0.0582 1.0000 – 0.1853 – 0.2178 – 0.2530 – 0.0946CONN 0.0673 0.3301 – 0.0613 – 0.1853 1.0000 – 0.2153 – 0.1949 0.3672Gini – 0.1352 – 0.3034 – 0.0037 – 0.2178 – 0.2153 1.0000 0.9362 – 0.3868ETE – 0.1400 – 0.3157 0.0403 – 0.2530 – 0.1949 0.9362 1.0000 – 0.4213DUP 0.0616 0.8761 – 0.1088 – 0.0946 0.3672 – 0.3868 – 0.4213 1.0000

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Carta di localizzazione degli esiti del calcolo di ETE (indice di eterogeneità spaziale) alla soglia attuale28 Infine, la matrice delle espansioni insediative [29851, 8] rivela che le variabili maggiormente correlate appaiono l’indice di dispersività di Gini con ETE (0,94), seguite da quelle già più correlate alle soglie precedenti (DUP e DISP2, con Pe-arson = 0,87, e le inversamente correlate ETE e DUP con – 0,42 e Gini e DUP con – 0,39). Questo primo trattamento dei dati agevola l’interpretazione delle successive proiezioni degli oggetti e delle variabili lungo le componenti principali; vediamolo nel seguito. 3.5. La rilevanza dell’indice di Gini nell’analisi multivariata La classificazione morfologica degli assetti insediativi d’area vasta indubbiamente esprime elevati gradi di incertezza, per lo spazio cremonese come in altri, stante la limitata letteratura applicativa: non è a priori nota la rilevanza delle va-riabili assunte, né la presenza di relazioni sistematiche, di effetti sinergici o antagonisti, di rumore sperimentale o infor-mazione spuria o, ancora, di linearità tra descrittori e risposta; giova, dunque, avvalersi della statistica multivariata29 e, in particolare, dell’analisi in componenti principali. 3.5.1. Alla comparazione tra la % di varianza (o inerzia) di calibrazione e quella di validazione, i risultati scaturiti per la matrice storica (alla soglia del secondo dopoguerra) non fanno constatare differenze significative; si può forse ammette-re che, senza gli indici DISP1 e CF, la perdita d’informazione derivante sia minore rispetto agli altri indici considerati, ma in realtà è rilevante il contributo di tutte le otto variabili, anche se fondamentali appaiono le cinque componenti

28 Vengono constatati bassi valori (prossimi allo 0) quando i nuclei urbanizzati sono compresi in poche celle (ognuna di 1 km2) o, al limite in una sola; valori crescenti all’aumentare dell’uniformità della distribuzione spaziale dei nuclei urbanizzati nelle celle; valori elevati (massimo scuro nella rappresentazione cartografica) all’elevata densità urbanizzativa; i maggiori valori dell’indicatore ETE si riscontrano nei contesti di prima e seconda corona dei comuni di Cremona e Crema, oltre alla peculiarità del Casalasco. 29 In questo caso hanno trovato applicazione Addati v. 5.2d® e Unscrambler v. 8.0®, secondo le necessità specifiche, analizzando le componenti principali dei dati quantitativi continui della matrice locale e quindi, dopo opportuna ricodifica, le tipologie della matrice di dati categoriali e le corrispondenze.

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DISP2, DUP, CONN, ETE e Gini; peraltro quest’ultimo indicatore descrive maggiormente la seconda componente principale, perpendicolare alla prima descritta soprattutto dalle altre tre30. In particolare, la prima componente principale da sola descrive il 37% dell’inerzia complessiva del sistema (mentre la seconda coinvolge il 25%, la terza il 13% e la quarta il 9%); pertanto, l’insieme delle prime quattro PC giunge a descri-vere ben l’84% dell’informazione complessiva e, del 25% portato dalla seconda PC, Gini descrive il 33% (mentre, nella prima, giunge appena al 3%); anche CF, che non porta mai informazione alla prima PC, risulta assai importante per la seconda (per la terza, invece, DISP1 da solo assorbe l’83%). Gini sembra dunque apportare informazione nuova e rilevante, anche se non si può certo affermare che riassuma in sé l’informazione complessiva del sistema, ma piuttosto la integra fortemente e, pertanto, rappresenta una componente fondamentale per la descrizione del sistema insediativo storico dello spazio provinciale cremonese.

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20

40

60

80

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120

0 1 2 3 4 5 6 7Numero della componente principale

Var

ianz

a (o

iner

zia)

di c

alib

razi

one

%

DISP1 DISP2 DISP3 CF CONNGINI ETE DUP

Varianza di calibrazione della matrice insediativa storica

30 Nel senso che i coefficienti della combinazione lineare (i loading) della prima componente principale per le variabili DISP2, CONN e ETE sono maggiori. Ogni PC è una combinazione lineare di tutte le altre variabili.

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0

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0 1 2 3 4 5 6 7Numero di componenti principali

Var

ianz

a (o

iner

zia)

di v

alid

azio

ne %

DISP1 DISP2 DISP3 CF CONN GINIETE DUP

Varianza di validazione della matrice insediativa storica

3.5.2. Nel caso della matrice insediativa attuale, con qualche cautela si potrà dedurre che la peggior capacità predittiva del modello si ha in assenza di DUP e Gini (e la migliore senza DISP1). Innanzitutto ricordiamo che la prima componente principale porta il 35% dell’informazione, la seconda il 20%, la terza il 14% e la quarta l’11%, per un complesso esplicativo dell’80% della varianza (o inerzia) complessiva del sistema; del 35% rappresentato dall’informazione portata dalla prima PC, Gini descrive il 23%, e del 20% relativo alla seconda PC Gini raggiunge il 10%. Tutto starebbe a suggerire che l’indice di Gini, insieme a DUP, DISP2 ed ETE, esprime una buona porzione esplicativa; Gini, inoltre, appare sempre direttamente correlato a ETE (e ciò indica che le due variabili portano informazione assai simile) mentre invece CF assume un diverso comportamento, assumendo rilievo solo per la seconda PC (per il 35%, mentre è del tutto irrilevante, addirittura per lo 0%, nella prima PC).

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0 1 2 3 4 5 6 7Numero di componenti principali

Var

ianz

a (o

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zia)

di c

alib

razi

one

%

DISP1 DISP2 DISP3 CF CONN GINI ETE DUP

Varianza di calibrazione della matrice insediativa attuale

0

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0 1 2 3 4 5 6 7Numero di componenti principali

Var

ianz

a (o

iner

zia)

di v

alid

azio

ne %

DISP1 DISP2 DISP3 CF CONN GINI

ETE DUP

Varianza di validazione della matrice insediativa attuale

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3.5.3. Nel caso, infine, dell’ultima soglia considerata (le espansioni residenziali e produttive localizzate dagli strumenti urbanistici comunali), il modello dell’analisi in componenti principali ha fatto riscontrare la seguente % di varianza spiegata e, nella matrice dei loading31, le più importanti variabili tra quelle costitutive delle prime quattro PC: Inerzia Calibrazione cumulata Calibrazione spiegata Validazione spiegata cumulata Validazione spiegata PC_00 0 0 0 0 PC_01 35.292 35.292 26.024 26.024 PC_02 55.113 19.821 40.143 14.119 PC_03 68.859 13.746 50.129 9.986 PC_04 79.957 11.098 59.874 9.745 PC_05 89.934 9.977 73.118 13.244 PC_06 97.803 7.869 91.208 18.09 PC_07 99.257 1.454 94.052 2.844 PC_08 100 0.743 m m

PC1 (spiega il 35%) PC2 (spiega il 20%) PC3 (spiega il 14%) PC4 (spiega l’11%) DISP1 0.01 0.03 0.36 0.55 DISP2 0.20 0.14 0.00 0.00 DISP3 0.00 0.01 0.58 0.33

CF 0.00 0.34 0.05 0.02 CONN 0.08 0.09 0.01 0.03 ETE 0.22 0.15 0.00 0.04 DUP 0.23 0.15 0.00 0.02 Gini 0.24 0.09 0.00 0.00

Laddove si voglia considerare il valore assoluto dei loading, vediamo che la prima PC (esplicativa del 35% dell’informazione complessiva) è descritta in ordine decrescente d’importanza dalle variabili Gini, DUP, ETE e DISP2, fino a giungere alle meno importanti CF e DISP3, seguite da DISP1 e CONN (inoltre, le variabili DUP e DISP2 sono fortemente e direttamente correlate, così come Gini ed ETE); CF, la meno importante per la prima PC, è invece la va-riabile che porta il maggior contenuto informativo sulla seconda PC (il 34%), mentre DISP3 e DISP1 (sempre poco im-portanti per le prime due) sono invece le più rilevanti per la terza PC; la maggior perdita d’informazione si ha senza DUP, Gini, ETE e DISP2 (mentre DISP1, DISP3, CONN e CF risultano meno significative). Le differenze appaiono più ridotte nel caso in cui si costruisca il modello considerando tutte le variabili (come nella va-rianza di calibrazione), mentre diventano assai ben identificabili nella varianza di validazione: come mostrano le figure sottostanti, laddove s’eliminasse la variabile rappresentata dall’indice di Gini il modello perderebbe un’ampia dose d’informazione utile descrivendo, con 5 PC, appena il 90% (al contrario, se non venissero considerate DISP1 o CF, con 5 PC si raggiungerebbe il 97%).

31 Nella matrice ciascun loading è stato elevato al quadrato in modo da eliminare il segno. La somma dei loading al quadrato per tutte le componenti di ciascuna componente principale è pari a 1.

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Numero di componenti principali

Var

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DISP1 DISP2 DISP3 CF CONN GINI ETE DUP

Varianza di calibrazione della matrice insediativa delle previsioni espansive

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100

0 1 2 3 4 5 6 7

Numero di componenti principali

Var

ianz

a(o

iner

zia)

di v

alid

azio

ne c

umul

ata

%

DISP1 DISP2 DISP3 CF CONN GINI ETE DUP

Varianza di validazione della matrice insediativa delle previsioni espansive

Ancora una volta, come nel caso delle precedenti soglie storica e attuale, l’indice di Gini risulta assai rilevante anche nella stima dei nuovi processi urbanizzativi previsti dai piani comunali, rivelandosi non tanto parametro «riassuntivo» (rango che invece spetta alle prime due componenti principali PC1, che spiega il 38%, e PC2 che spiega il 21%), ma come variabile tra le quattro fondamentali che – esse sole – potranno considerarsi sufficienti alla descrizione sintetica dell’andamento in-sediativo diffusivo.

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Otterremo così una considerevole semplificazione del modello f (I1, I2, I3) che valuta la sostenibilità delle localizzazioni e-spansive della pianificazione, giacché la dimensione dell’analisi risulterà dimezzata (da 8 a 4 variabili); in tal caso: a) non servirà calcolare I1 (espressivo della compattezza delle forme insediative) giacché s’è visto che la morfologia

perimetrale di CF = coefficiente della morfologia perimetrale non gioca un ruolo particolarmente significativo; b) per I2 (che indaga l’entità ed estensione dei nuovi nodi urbanizzati), la DISP1 = distribuzione degli urbanizzati

puntiformi potrà venire sottovalutata privilegiando piuttosto DISP2 = distribuzione dei nuclei < 1,5 ha; si potrà evi-tare inoltre di calcolare DISP3 = distribuzione dei nuclei > 1,5 ha la cui quantità di informazione apportata è bassa e non innovativa;

c) nel caso di I3 (la dispersione insediativa della struttura urbana), l’indicatore CONN = connettività potrà venire so-stituito da DUP = densità dell’urbanizzato poligonale;

d) dovrà invece senza dubbio aggiungersi alla valutazione di I3 l’indice di Gini = dispersione/concentrazione dell’armatura insediativa, che ha mostrato risultati di particolare interesse.

Una rappresentazione del processo evolutivo del grafo infrastrutturale alle differenti soglie (indice CONN = connettività) 4. Riferimenti bibliografici Alberti M., Solera G. e Tsetsi V., 1995, La città sostenibile. Analisi, scenari e proposte per un’ecologia urbana in Eu-ropa, Milano, Angeli. Ambiente Italia, 2001, Il nuovo modello di ecosistema urbano. Presentazione della metodologia e dei risultati, Milano. Anpa, 2001, Libro bianco. Lo stato del monitoraggio dell’ambiente in Italia, Roma. Arpa Piemonte, Cresa, 1999, Metodologia ed elenco degli indicatori, Torino. Bennett R.J. and Wilson A.G., 1985, Methods in human geography and planning, Wiley, Chichester. Berke P.R., 2002, «Does sustainable development offer a new direction for planning? Challenges fort the twenty-first century», Journal of Planning Literature, vol. 17, n. 1. Bertuglia C.S., Lombardo S. and Nijkamp P., eds., 1997, Innovative Behaviour in Space and Time, Springer, Berlino. Black T.J, 1996, «The Economics of Sprawl», Urban Land, 55(3):6-52.

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