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Jus-online 1/2015 1 Ombretta Fumagalli Carulli Direttore di Jus Il matrimonio in Italia tra dimensione religiosa e secolarizzazione 1 SOMMARIO: 1. Dalla secolarizzazione al dissolvimento del matrimonio civile. 2. Matrimonio e convivenza: l’“ideologia dell’indifferenziato”. 3. Secolarizzazione e matrimonio concordatario. 4. La libertà religiosa matrimoniale. 5. Sfide europee alla concezione matrimoniale. 6. Il ritorno del sacro e il ruolo delle religioni nel rispondere alle sfide della secolarizzazione. 1. Dalla secolarizzazione al dissolvimento del matrimonio civile. In Italia la nascita del matrimonio civile, nella seconda metà dell’Ottocento, segna l’avvio di uno di quei percorsi nei quali s’incanala la secolarizzazione nel suo significato di autonomia delle scelte della persona dalle religioni e riduzione della religione a questione solo privata. Ricordiamolo brevemente. Negli anni tra Restaurazione e Unità d’Italia il processo di secolarizzazione non ha ancora investito il matrimonio, il monopolio ecclesiastico su esso caratterizzando la legislazione degli ex Stati 2 . Per fare alcuni esempi, l’art. 108 Codice civile per gli Stati del Re di Sardegna (1837) statuisce che “il matrimonio si celebra giusta le regole, e colle solennità prescritte dalla Chiesa cattolica”, il Codice sabaudo limitandosi unicamente a statuire sugli effetti civili nascenti dal matrimonio. Analoghe statuizioni erano già nel § 75 Codice civile generale austriaco (ABGB) per il Regno Lombardo- Veneto (1811) e nell’art. 67 Codice civile per il Regno delle Due Sicilie (1819). La situazione cambia radicalmente in età unitaria, quando, nel 1865, la politica liberale separatista introduce come obbligatorio il matrimonio civile (R.D. 25 giugno 1865, n. 2358, art. 55 ss.) e relega il matrimonio religioso a fatto meramente privato, del quale lo Stato si disinteressa. La disciplina del matrimonio passa allora dal monopolio religioso al monopolio civile. Contro ogni principio di pluralità degli ordinamenti (che solo in età democratica la Costituzione del 1948 introdurrà) e in coerenza con il dogma liberale dell’esclusivismo giuridico statale, lo Stato rivendica di essere unica fonte di 1 Relazione di apertura al Convegno di Palermo Il matrimonio religioso oggi: le nuove sfide della secolarizzazione, 18 aprile 2015, organizzato, in occasione della Giornata dell’Università Cattolica, dall’Istituto Giuseppe Toniolo, dall’Associazione Amici dell’Università Cattolica e dall’Università degli Studi di Palermo, con il Patrocinio del Pontificio Consiglio per la Cultura. 2 Una sintesi in G. Mantuano, Rilevanza civile del matrimonio religioso negli Stati dell’Unione Europea, I, Sistemi matrimoniali a confronto: matrimonio civile obbligatorio o facoltativo, Ancona 1997, p. 40 ss. Si veda anche F. Franceschi, I progetti per l’introduzione del divorzio in Italia in epoca post-unitaria, in www.statoechiese.it, n. 34/2012, 12 novembre 2012.

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Jus-online 1/2015

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Ombretta Fumagalli Carulli

Direttore di Jus

Il matrimonio in Italia tra dimensione religiosa e secolarizzazione1

SOMMARIO: 1. Dalla secolarizzazione al dissolvimento del matrimonio civile. 2. Matrimonio e convivenza: l’“ideologia dell’indifferenziato”. 3. Secolarizzazione e matrimonio concordatario. 4. La libertà religiosa matrimoniale. 5. Sfide europee alla concezione matrimoniale. 6. Il ritorno del sacro e il ruolo delle religioni nel rispondere alle sfide della secolarizzazione.

1. Dalla secolarizzazione al dissolvimento del matrimonio civile.

In Italia la nascita del matrimonio civile, nella seconda metà

dell’Ottocento, segna l’avvio di uno di quei percorsi nei quali s’incanala la

secolarizzazione nel suo significato di autonomia delle scelte della persona

dalle religioni e riduzione della religione a questione solo privata. Ricordiamolo

brevemente.

Negli anni tra Restaurazione e Unità d’Italia il processo di

secolarizzazione non ha ancora investito il matrimonio, il monopolio

ecclesiastico su esso caratterizzando la legislazione degli ex Stati2. Per fare

alcuni esempi, l’art. 108 Codice civile per gli Stati del Re di Sardegna (1837)

statuisce che “il matrimonio si celebra giusta le regole, e colle solennità

prescritte dalla Chiesa cattolica”, il Codice sabaudo limitandosi unicamente a

statuire sugli effetti civili nascenti dal matrimonio. Analoghe statuizioni erano

già nel § 75 Codice civile generale austriaco (ABGB) per il Regno Lombardo-

Veneto (1811) e nell’art. 67 Codice civile per il Regno delle Due Sicilie (1819).

La situazione cambia radicalmente in età unitaria, quando, nel 1865, la

politica liberale separatista introduce come obbligatorio il matrimonio civile

(R.D. 25 giugno 1865, n. 2358, art. 55 ss.) e relega il matrimonio religioso a

fatto meramente privato, del quale lo Stato si disinteressa. La disciplina del

matrimonio passa allora dal monopolio religioso al monopolio civile. Contro

ogni principio di pluralità degli ordinamenti (che solo in età democratica la

Costituzione del 1948 introdurrà) e in coerenza con il dogma liberale

dell’esclusivismo giuridico statale, lo Stato rivendica di essere unica fonte di

1 Relazione di apertura al Convegno di Palermo Il matrimonio religioso oggi: le nuove sfide della

secolarizzazione, 18 aprile 2015, organizzato, in occasione della Giornata dell’Università Cattolica,

dall’Istituto Giuseppe Toniolo, dall’Associazione Amici dell’Università Cattolica e dall’Università degli

Studi di Palermo, con il Patrocinio del Pontificio Consiglio per la Cultura. 2 Una sintesi in G. Mantuano, Rilevanza civile del matrimonio religioso negli Stati dell’Unione Europea, I,

Sistemi matrimoniali a confronto: matrimonio civile obbligatorio o facoltativo, Ancona 1997, p. 40 ss. Si veda

anche F. Franceschi, I progetti per l’introduzione del divorzio in Italia in epoca post-unitaria, in www.statoechiese.it,

n. 34/2012, 12 novembre 2012.

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tutti i diritti, compresi quelli matrimoniali. Tuttavia gran parte della disciplina

del matrimonio civile è mutuata dal diritto canonico, compresa l’indissolubilità,

sia perché ritenuta favorevole alla donna come soggetto debole, sia perché lo

Stato non intende esasperare il conflitto con il Papa. Siamo a quattro anni

dall’unificazione e a cinque prima della breccia di Porta Pia.

Il Codice del 1865 non si spinge sino a colpire con pesanti sanzioni chi

celebra matrimonio religioso prima del matrimonio civile3, non accogliendo

dunque la tendenza punitiva dapprima illuminista, poi della Rivoluzione

francese, infine del Code Napoleon (1801)4. Si limita a considerare civilmente

irrilevante il matrimonio religioso.

Inizia allora il sistema del doppio regime: per essere validamente sposato

sia davanti alla Chiesa sia davanti allo Stato, il cattolico deve rivolgersi a

entrambi gli ordinamenti, canonico e civile, e pertanto contrarre due distinti e

separati matrimoni.

Il doppio regime viene meno nel 1929 con il Concordato lateranense.

Nasce l’unico matrimonio così detto concordatario, contratto in facie Ecclesiae,

disciplinato dal diritto canonico (sia quanto al momento iniziale della validità

sia quanto all’eventuale momento finale della nullità) e valido anche per lo

Stato (art. 34). Per gli acattolici provvede, sempre nel 1929, la legge sui culti

ammessi (24 giugno 1929, n. 1159), consentendo la celebrazione religiosa

davanti a un ministro di culto del matrimonio civile. Per chi non scelga la

celebrazione religiosa, rimane comunque il matrimonio civile davanti al

Sindaco.

All’inizio e poi per lunghi anni dell’età democratica matrimonio civile e

matrimoni religiosi coesistono pacificamente. L’analogia di normativa

rispecchia il prevalente costume e pensiero sociale. Il quadro generale cambia

via via che la rivoluzione industriale trasforma la famiglia patriarcale in famiglia

coniugale.

3 Un progetto di legge, che intendeva rendere obbligatoria la previa celebrazione civile,

approvato dalla Camera il 18 maggio 1879, non ottenne il consenso del Senato (C. Cardia, Manuale di

diritto ecclesiastico, Bologna, 1996, p. 431). 4 Alcune pagine della storia dei rapporti tra la Chiesa e alcuni Stati, se poste a confronto con

quelle scritte dal nostro Stato liberale ottocentesco, mostrano come il doppio regime (qualunque sia la

dottrina politica, dal quale fiorisce) può trasformarsi in persecuzione religiosa. Ciò avviene, anche nel

Novecento e persino oggi fuori d’Italia, con una conflittualità che arriva sino a gravi sanzioni quando,

nonostante il divieto statale, sia celebrato il matrimonio canonico prima del matrimonio civile. Rinvio

per la casistica a O. Fumagalli Carulli, Matrimonio ed enti tra libertà religiosa ed intervento dello Stato, Milano,

2012, p. 6 ss.

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L’introduzione del divorzio (legge 1 dicembre 1970, n. 898) segna il

passaggio dal modello istituzionale di famiglia, incardinato nell’unità familiare e

nei doveri di garantire non la propria felicità ma quella degli altri membri della

famiglia, al modello volontaristico-individualistico orientato al soddisfacimento

della felicità individuale. E’ una vittoria del “vissuto” contro il “voluto”.

L’estensione della “cessazione degli effetti civili” anche ai matrimoni

concordatari crea una forte frizione con la Santa Sede, convinta che lo Stato si

fosse impegnato in sede concordataria a riconoscere civilmente il matrimonio

canonico in tutte le sue qualità essenziali, prima tra le quali l’indissolubilità. Si

arriva ad un passo dalla denuncia diplomatica della violazione del Concordato5.

L’eco di filosofie esistenzialiste di tipo libertario, riconducibili a filoni della

contestazione sessantottina, più avanti nel tempo, nel 1987, influisce sulla

riduzione del numero di anni (da cinque a tre) di separazione legale necessari

per chiedere il divorzio.

Sulla scia di un orientamento comune agli Stati membri del Consiglio

d’Europa6, si affaccia dapprima e poi si consolida la “privatizzazione del

matrimonio”7, che scardina presto lo stesso impianto8 caratterizzante

l’originaria disciplina italiana del divorzio.

Oggi, parallelamente al calo delle nozze negli ultimi tre decenni, si

concludono 50.000 divorzi civili, ridotti ormai a forme di recesso ad nutum. La

recente introduzione del divorzio così detto low cost (legge 10 novembre 2014

n. 162) accentua la privatizzazione. I coniugi, purché non ci siano figli né

questioni patrimoniali, inoltrano domanda in Comune per sciogliere il

matrimonio con la spesa minima di 16 euro (l’equivalente dell’imposta da

bollo). Possono farsi assistere da un avvocato, ma è facoltativo. Firmano

l’accordo e una dichiarazione davanti al Sindaco, che li invita a ripresentarsi

dopo trenta giorni per confermare la scelta. Non hanno bisogno della

mediazione né del giudice, né dell’avvocato. Tutto è nelle loro mani.

5 Sui documenti che hanno accompagnato la controversia diplomatica sul divorzio cfr. G. Dalla

Torre, La riforma della legislazione ecclesiastica: testi e documenti per una ricostruzione diplomatica, Bologna, 1984,

p. 128 ss., in particolare per la Nota della Santa Sede p. 138 ss. 6 L. Mengoni, La famiglia nelle delibere del Consiglio d’Europa e nelle recenti riforme: principi e

orientamenti, in E. W. Volonté (a cura di), La famiglia alle soglie del terzo millennio, Lugano, 1996, ora in A.

Nicolussi (a cura di), Diritto civile della famiglia, Milano, 2012, p. 43 ss. 7 R. Navarro Valls, Matrimonio y derecho, Madrid, 1994, p. 57 ss. 8 Sulla compatibilità tra divorzio, come oggetto di un diritto potestativo esercitabile solo

quando sia venuta meno la possibilità della comunione di vita tra i due coniugi, ed essenza del

matrimonio implicante una volontà iniziale di unirsi per tutta la vita, rinvio a L. Mengoni, La famiglia in

una società complessa, in Iustitia, 1990, p. 5, ora anche in A. Nicolussi (a cura di), Diritto civile della famiglia,

p. 39 ss.

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Se poi allarghiamo l’orizzonte alla situazione mondiale, troviamo un dato

OMS: entro il 2031 i coniugati saranno solo il 40% della popolazione

dell’intero pianeta.

Il “vissuto”, insomma, che prevale sul “voluto”, è colorato di precarietà.

C’è ormai da domandarci se non siamo avviati, in Italia come altrove, verso

l’agonia dello stesso matrimonio civile.

2. Matrimonio e convivenza: l’ “ideologia dell’indifferenziato”.

La tendenza verso la privatizzazione delle unioni trova nell’“ideologia

dell’indifferenziato”9 forti spinte. Con essa si intrecciano, nei tempi più recenti,

le “teorie di genere”, che attribuiscono scarso o nullo significato alla nozione

di sesso, sostituita dalla nozione di gender10, quasi a volere legittimare

l’interscambiabilità degli stessi due termini, sesso e gender.

Cosa sia l’ideologia dell’indifferenziato, insieme causa ed effetto della

secolarizzazione, è presto detto quanto alla problematica che stiamo trattando.

Si tratta di considerare “indifferenti” le differenze11, oggi vigenti nel regime

giuridico, tra matrimonio civile e matrimonio religioso, così come tra

convivenze fondate sul matrimonio e convivenze non fondate su esso. Di

conseguenza si pone sullo stesso piano ogni rapporto di coppia, legale o di

fatto, etero o omosessuale.

Se ciò che conta è il “vissuto” e se la stessa identità sessuale è

un’opzione12 slegata dalla corporeità, al fine di darne una qualche

9 Si veda A. Nicolussi, Diritto di famiglia e nuove letture della Costituzione, in Valori costituzionali. Per i

sessanta anni della Costituzione Italiana, Convegno nazionale 2008, Roma, 2010, p. 165, ora anche in

Nicolussi (a cura di), Diritto civile della famiglia, cit., p. 151 ss.; Id., La filiazione nella cultura giuridica

europea, XIII Colloquio Giuridico Internazionale, Roma, 2010, p. 33, ora anche in Diritto civile della

famiglia, cit., p. 341 ss.; Id., Fecondazione eterologa e diritto di conoscere le proprie origini: per un'analisi giuridica di

una possibilità tecnica, in Rivista AIC, 2012, p. 2 nota 18, p. 6 e p. 18, ora anche in Diritto civile della

famiglia, cit., p. 453 ss.; Id., La famiglia: una concezione neo-istituzionale?, in Eur. dir. priv., 2012, p. 171, ora

anche in Diritto civile della famiglia, cit., p. 11 ss.; Id., La filiazione e le sue forme: la prospettiva giuridica, in

Allargare lo spazio familiare, Milano, 2014, p. 11 nota 10. In precedenza cenni assai significativi in

Mengoni, La famiglia in una società complessa, cit., p. 3.; Id., La famiglia nelle delibere del Consiglio di Europa e

nelle recenti riforme: principi e orientamenti, cit., ora anche in Diritto civile della famiglia, cit., p. 53 ss. 10 Per un’interessante panoramica rinvio a L. Palazzani, Identità di genere come problema biogiuridico,

relazione al Convegno nazionale Identità sessuale e identità della persona, Palermo 9-11 dicembre 2010,

Iustitia, 2/2011, p. 157 ss. 11 Sui paradossi ai quali portano le “differenze indifferenti” nell’evoluzione dei diritti individuali

da parte di legislazioni, che liberano l’identità di genere da connotati corporali, rinvio, condividendone

le osservazioni critiche, a M. Cartabia, Avventure giuridiche della differenza sessuale, relazione al Convegno

nazionale Identità sessuale e identità della persona, cit., Iustitia, 2/2011, p. 293 ss. Spunti interessanti in M.J.

Sandel, Liberalism and the Limits of Justice, Cambridge, 1998, p. 178 ss. 12 J. Butler, Scambi di genere, Identità, sesso e desiderio, trad. it., Milano, 2004, p.12

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legittimazione si persegue ogni via, anche indiretta o alternativa, in attesa che il

Parlamento si pronunci e con l’obiettivo di condizionarlo.

Un esempio, alla ribalta delle cronache odierne, riguarda le così dette

nozze gay, in Italia non ancora legalizzate, a differenza di altri Paesi13. In attesa

che il Parlamento si pronunci, la via alternativa è la trascrizione nei registri

dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti

all’estero. La soluzione, peraltro di dubbia legittimità giuridica, sta innescando

un contenzioso tra Sindaci e Prefetture, da Roma a Milano, che mette a dura

prova la stessa credibilità delle istituzioni dello Stato14, in un momento, come

l’attuale, nel quale in Italia è già bassa la reputazione della politica.

Di privatizzazione in privatizzazione, l’“indifferenziato” cerca di imporsi

grazie a dottrine innovative, che si spingono sino a forzare la Costituzione al

fine di spazzare via i valori da essa riconosciuti. In questa direzione, l’art. 29

Costituzione, che riconosce i diritti della famiglia come “società naturale

fondata sul matrimonio”, è letto da alcuni come se vi fosse scritto che la

famiglia è fondata “sulla stabile convivenza”; non, come i Costituenti

chiaramente scrissero, “sul matrimonio”. Il matrimonio civile, in altri termini,

diventa una delle tante fattispecie di una categoria più ampia: i patti di

convivenza. Sostituendo la stabile convivenza al matrimonio, le coppie di fatto

sono impropriamente ricondotte allo schema famigliare. In gran parte degli

interpreti appartenenti a questa linea si tende, poi, a elidere ogni riferimento

alla diversità di sesso. Nessuno nega il senso originario della norma, quale

13 Oggi due persone aventi lo stesso sesso possono accedere all'istituto del matrimonio in 21

nazioni: Spagna, Francia, Regno Unito (in gran parte del Paese), Portogallo, Belgio, Lussemburgo,

Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia (a inizio 2017 le prime celebrazioni), Islanda, Norvegia, Svezia, Stati

Uniti (nella capitale e in 38 Stati della Federazione), Canada, Messico (nella capitale e in 2 Stati della

Federazione), Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica, Nuova Zelanda, Slovenia. In Europa sono 9 (su

28) i Paesi che non prevedono nessun tipo di tutela: Italia, Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia,

Slovacchia, Bulgaria e Romania. 14 Una recente pronuncia del Tar Lazio-Roma (9 marzo 2015, n. 3907, 11, 12) ha affermato che

l’annullamento di trascrizioni di matrimoni omosessuali celebrati all’estero può essere disposto solo

dall’Autorità giudiziaria ordinaria, rilevando che “il Ministero dell’Interno e le Prefetture non hanno il

potere di intervenire direttamente”. Il Ministero dell’Interno ha ribadito di avere sempre

coerentemente garantito il quadro normativo attuale in materia di stato civile, che non consente di

celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso, né di trascrivere quelli celebrati all’estero, secondo

un principio confermato anche di recente dalla Cassazione civile (sez. I, sentenza 9 febbraio 2015 n.

2400). Una nota del Segretariato generale della Giustizia Amministrativa (comunicato stampa 9 marzo

2015) precisa che “nel decidere tali controversie, il giudice amministrativo ha eseguito una

ricognizione della normativa comunitaria e nazionale e della giurisprudenza costituzionale e di

legittimità, giungendo ad affermare che l’attuale disciplina nazionale non consente di celebrare

matrimoni tra persone dello stesso sesso e, conseguentemente, matrimoni del genere non sono

trascrivibili”.

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presente ai Costituenti. Esso è, capziosamente, considerato non più

rispondente ai costumi della società.

In breve, una lettura sociologico – storicistica, opposta alla lettura

istituzionale, spoglia la famiglia di gran parte dei suoi elementi costitutivi ed

identificativi. La spoglia in modo così drastico da doverci domandare se siamo

di fronte al medesimo istituto o ad un altro, che abusivamente porta il nome di

famiglia15. Per dirla con un’espressione riassuntiva, “la famiglia non è, ma si

fa”.

A chiarire i termini della questione, vi è chi confida in qualche decisione

della Corte costituzionale. Le ambiguità della stessa Corte, tuttavia, non

mancano. Nell’ordinanza 5 gennaio 2011, n. 416 è chiaramente ribadito che

l’art. 29 Costituzione si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice

civile come unione tra persone di sesso diverso e che questo significato non

può essere superato in via ermeneutica, le unioni omosessuali non potendo

essere ritenute omogenee17 al matrimonio. La Corte, tuttavia, già nella sentenza

138/201018, pur avendo affermato che “il paradigma eterosessuale del

matrimonio è inscritto nella Costituzione”, aveva posto tra le formazioni

sociali anche l’unione omosessuale, “intesa come stabile convivenza tra due

persone dello stesso sesso, cui spetta il fondamentale diritto di vivere

liberamente una condizione di coppia”, rinviando “il riconoscimento giuridico

con i connessi diritti e doveri” ai tempi, modi e limiti stabiliti dalla legge.

Un intervento del Parlamento si rende, dunque, necessario, tanta è ormai

l’incertezza nell’odierno diritto vivente. Lo richiede anche la difesa del

matrimonio civile in quanto unione eterosessuale che, stante l’attuale trend

interpretativo (dottrinale o giurisprudenziale), rischia di essere snaturato.

Personalmente non vedrei ostacoli ad una regolamentazione legislativa di

alcuni aspetti della convivenza di fatto, purché sia chiaro che si tratta di

15 A. Ruggeri, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione, in Quaderni cost., XXVII, n. 4,

dicembre 2007, p. 751 ss. 16 Si veda il bel commento di S. Bordonali, Il matrimonio tra conservazione, evoluzione e fughe in avanti,

in Diritto di famiglia e delle persone, XL, 2/2011, p. 555 ss. 17 Commenti durissimi contro questa affermazione, considerata “pietra tombale”, in I. Massa

Pinto– C. Tripodina, Sul come per la Corte costituzionale le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee

al matrimonio e F. Calzaretti, Coppie di persone dello stesso sesso, richiamati da A. Pugiotto, Una lettura non

reticente della sentenza n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio, in Quaderni costituzionali, II/ 2010,

p. 20. 18 A. Pugiotto, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio,

cit.; contra B. Pezzini, Il matrimonio same sex si potrà fare, in www.rivistaaic.it. Si veda anche P.A. Capotosti,

Matrimonio tra persone dello stesso sesso: infondatezza versus inammissibilità della sentenza n.138/2010 , in

Quaderni costituzionali, II/ 2010, p. 361 ss.

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negozio altro rispetto a quello matrimoniale. I modelli della tutela personale e

patrimoniale di una coppia legata da unione libera non sono rinvenibili nel

diritto di famiglia, ma nel diritto delle persone e dei rapporti patrimoniali. Per

riprendere un’antica espressione di un autorevole Maestro del mio Ateneo

(divenuto poi giudice costituzionale), Luigi Mengoni, matrimonio e unioni

libere sono “entità giuridicamente incommensurabili”19.

Quanto poi all’unione omosessuale si dovrebbe valutare, come ben pochi

fanno, non tanto né solo il rapporto interpersonale tra i due, ma le

conseguenze sul piano della filiazione.

3. Secolarizzazione e matrimonio concordatario

Se le nozze civili sono in uno stato di agonia, per trovare una difesa del

matrimonio monogamico, eterosessuale e indissolubile dobbiamo riferirci

all’ordinamento concordatario, cioè al matrimonio canonico con effetti civili.

Dapprima la disciplina del Concordato lateranense del 1929 e oggi

l’Accordo di revisione 18 febbraio 1984 (e relative leggi di esecuzione)

riconoscono gli effetti civili ai matrimoni canonici regolarmente trascritti nei

registri dello stato civile italiano; riconoscono altresì alle sentenze ecclesiastiche

di nullità matrimoniali di essere dichiarate efficaci nella Repubblica italiana,

cioè delibate, grazie ad un procedimento davanti alla Corte d’Appello. Lo si è

già accennato poc’anzi.

Ciò che ora va sottolineato è che via via che ci avviciniamo ai nostri

giorni la secolarizzazione preme con crescente pervasività anche sui matrimoni

concordatari.

Anzitutto essa si riversa sulle scelte dei nubenti quanto all’ordinamento

cui rivolgersi: canonico-concordatario o civile? Vero è che i cattolici, che

intendono contrarre matrimonio in Italia, sono tenuti a celebrarlo unicamente

secondo la forma canonica con l'obbligo di avvalersi del riconoscimento agli

effetti civili assicurato dal Concordato, l'Ordinario del luogo potendo

dispensare da tale obbligo soltanto “per gravi motivi pastorali” (Decreto

Generale CEI, 5 novembre 1990, 1). Ma il processo di secolarizzazione sta

affievolendo in molti la coscienza e persino conoscenza dei precetti

concordatari, tanto che da dati Istat risulta un trend in discesa dei matrimoni

canonici con effetti civili (c.d. concordatari), ancorché in una situazione per

così dire altalenante, rispetto alla percentuale di crescita dei matrimoni civili.

19 Mengoni, La famiglia nelle delibere del Consiglio d’Europa e nelle recenti riforme, cit., p. 60.

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Per prendere a titolo esemplificativo un periodo con dati precisi, nel

1991 i matrimoni concordatari sono l’82,5%; nel 2010 il 63,5%. Per i

matrimoni concordatari vi è qualche momento di risalita tra il 2009 e il 2010.

Ma nel 2011, per la prima volta nella storia, nelle regioni del Nord si registra

un sorpasso dei matrimoni civili (51,7% del totale). I dati ISTAT 2013

confermano il generale calo dei matrimoni celebrati in Italia; sono 194.057,

cioè 12.000 in meno rispetto al 2012, pur con tasso di nuzialità più alto nel

Centro Sud e più basso al Nord. Nello stesso 2013 le separazioni toccano

quota 90.000, l’80 % delle quali in via consensuale: privatizzazione delle nozze

e loro fragilità vanno dunque di pari passo.

Non mancano dati di segno opposto in settori da incoraggiare per

contrastare la secolarizzazione, rafforzando la consapevolezza della bellezza e

del valore del matrimonio religioso. Un primo dato riguarda i corsi di

preparazione al matrimonio, organizzati dalle parrocchie e, in numero meno

significativo, da associazioni e movimenti. Secondo un’indagine CEI del

200920 il 3,4% dei partecipanti è già sposato civilmente (media che sale al 5,8%

al Nord Italia), sicché ogni 29 matrimoni concordatari c’è un matrimonio

canonico celebrato con il solo rito religioso, evidentemente chiesto da chi, già

sposato civilmente, ravvisa nelle nozze canoniche valori ed impegni per così

dire più forti rispetto alle nozze civili. Inoltre la crescente presenza di fidanzati

non giovanissimi (un quinto ha più di 35 anni) e da anni lontani dalla pratica

religiosa fa dei corsi di preparazione alle nozze un rinnovato cammino di fede.

Può darsi che, poi, nella vita coniugale i due sposi (o uno di essi) si allontanino

dai valori appresi, ma almeno durante il periodo di preparazione sono aiutati

nella ricerca vocazionale. Un secondo dato positivo riguarda gli animatori della

pastorale familiare: nel 2009 ben 3.716 volontari, tra i trentasei e

sessantacinque anni, operano nei 512 percorsi preparatori, campionati dalla

ricerca. Tra essi non mancano figure professionali, come avvocati, psicologi,

medici, consulenti familiari. Un terzo dei dati da tenere presente ai fini di un

possibile contrasto alla secolarizzazione è la crescita continua sul territorio

italiano dei Centri di difesa della vita e della famiglia (da 487 nel 1991 a 2.385

nel 2010 e 2.949 nel 2011) e, in misura minore, dei consultori familiari (nel

2011 sono 529).

La secolarizzazione, in secondo luogo, si riflette indirettamente su uno

specifico aspetto della disciplina concordataria: gli effetti civili delle sentenze

20 Si tratta di una ricerca sulla preparazione dei fidanzati al matrimonio e alla famiglia compiuta

in 512 parrocchie di tutta Italia, presentata nel corso di un Convegno organizzato in Calabria,

dall’Ufficio Nazionale Pastorale della famiglia della CEI (25 giugno 2009), ora pubblicata in Insieme

verso le nozze. La preparazione del matrimonio cristiano, Siena, 2010.

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ecclesiastiche di nullità. Questa forma di secolarizzazione non dipende da una

libera scelta dei coniugi, anzi urta contro la loro scelta di affidare

all’ordinamento canonico il proprio status coniugale. E’ forma di

secolarizzazione intrinseca ai dinieghi di alcune Corti di Appello di delibare le

sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale.

Mi spiego meglio, cercando di semplificare un argomento complesso

sotto il profilo tecnico-giuridico. Fino agli anni settanta dello scorso secolo le

dichiarazioni di nullità pronunciate dai Tribunali ecclesiastici sono delibate

pressoché automaticamente dalle Corti di Appello competenti. Basta cioè un

controllo formale. Ciò che è o non è matrimonio per la Chiesa, lo è o non lo è

anche per lo Stato. Lo osserva efficacemente la dottrina più autorevole, sin

dall’entrata in vigore della legge esecutiva del Concordato lateranense21.

Negli stessi anni settanta nei quali inizia la lotta, poc’anzi menzionata, tra

modello istituzionalista e modello volontaristico, alcune Corti di Appello

cominciano a sottoporre le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale al

controllo di conformità all’ordine pubblico, secondo un’argomentazione nel

frattempo elaborata da una parte della dottrina. Si tratta di un filtro

nient’affatto previsto dall’allora vigente Concordato del 1929. Per giunta esso è

inteso talora come riferimento all’ordine pubblico internazionale (un filtro a

maglie larghe), altre volte come riferimento all’ordine pubblico interno (filtro a

maglie strette). La disputa continua con l’entrata in vigore della legge 25 marzo

1985, n.121, esecutiva dell’Accordo di revisione concordataria 18 febbraio

1984, tanto più che l’art. 8 n. 2, facendo riferimento (art. 8 n. 2) alle condizioni

previste allora dalla legge italiana per la delibazione di sentenze straniere,

indirettamente recepisce proprio il controllo dell’ordine pubblico.

Nonostante l’impegno sancito chiaramente nel Protocollo Addizionale

dell’Accordo concordatario (art. 4, b), secondo il quale la Corte d’Appello deve

tenere conto della “specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il

vincolo matrimoniale che in esso ha avuto origine”, gran parte delle decisioni

non si curano affatto di detta specificità ed i dinieghi di delibazione via via

aumentano in nome della mera diversità tra disciplina matrimoniale canonica e

disciplina civile22. Il filtro dell’ordine pubblico diventa, insomma, a maglie

sempre più strette.

21 Per tutti cfr. A. C. Jemolo, Trascrizione di matrimonio religioso celebrato all’estero, in Rivista di diritto

privato, 1939, II, p. 193 s. 22 Per le citazioni, rinvio a Fumagalli Carulli, Matrimonio ed enti tra libertà religiosa e intervento dello

Stato, cit., p. 49 ss. e 75 ss.

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La delibazione, negli anni ottanta ancora ispirata alla “maggiore

disponibilità” dell’ordinamento statale riguardo all’ordinamento canonico

rispetto a quella riservata alle sentenze straniere (secondo il criterio ideato dalla

Cassazione all’indomani della dichiarazione secondo la quale la conformità

all’ordine pubblico è “principio supremo”, contenuta nella sentenza

costituzionale 18/1982), oggi è ispirata all’opposto criterio della “minore

disponibilità”.

Vi è ancora chi riferisce l’ordine pubblico a regole fondamentali destinate

a operare in situazioni del tutto eccezionali di netta difformità tra i due

ordinamenti, canonico e civile (es. impedimenti tipicamente confessionali:

disparitas cultus, ordine sacro, voto solenne). Sta, tuttavia, prevalendo chi

considera risolutiva la comparazione tecnico-giuridica della fattispecie della

nullità canonica con quella civile, con la conseguenza di ritenere delibabili solo

le sentenze canoniche fondate su capi di nullità o norme processuali

assimilabili, se non addirittura coincidenti, con quelle previste per il

matrimonio civile.

La mancata delibazione rischia, dunque, oggi di imporsi come regola

anziché eccezione. Per citare una delle ultime svolte interpretative, suscitatrice

di polemiche di segno opposto, vi si fa rientrare la prolungata convivenza. I

dubbi tecnici e giuridici che essa urti per davvero contro l’ordine pubblico

sono molti, ma ormai per il diniego di delibazione si sono pronunciate le

Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (sentenza 17 luglio 2014, n.

16379).

Al di là di considerazioni critiche, che sarebbe lungo esporre, va

sottolineato che a farne le spese è la libertà religiosa matrimoniale. Il cattolico

che, contraendo matrimonio canonico con effetti civili (c.d. matrimonio

concordatario), affida il proprio status coniugale all’ordinamento della Chiesa,

ove vi sia una dichiarazione ecclesiastica di nullità matrimoniale che lo libera

dallo stato coniugale, rischia di continuare a essere considerato coniugato per

lo Stato, in conseguenza di una continua dilatazione interpretativa del concetto

di ordine pubblico.

Anche sotto il profilo dei tempi e costi23, il procedimento per

l’esecutività della nullità canonica è diventato tanto barocco da indurre nella

pratica a trascurarlo in favore della via del divorzio, più rapida ed economica,

ancorché configgente con i principi cattolici.

23 P. Moneta, Matrimonio religioso ed ordinamento civile, Torino, 1996, p. 162.

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Tutto ciò con l’aggravante paradosso che, a seguito della riforma del

diritto internazionale privato, dal 1995 (legge 31 maggio, n. 218) il

procedimento di riconoscimento in Italia di sentenze straniere, anche quelle di

Paesi sconosciuti e dalla cultura lontana dalla nostra, non risponde più al

principio della “minore disponibilità” dell’ordinamento italiano verso le

sentenze straniere. Esso poggia sulla regola generale di un riconoscimento

automatico da parte dell’ufficiale di stato civile (artt. 64 ss.) “senza che sia

necessario il ricorso ad alcun procedimento”. Solo in caso di mancata

ottemperanza o di contestazione della sentenza si ricorre alla delibazione della

Corte d’Appello.

La ratio del nostro nuovo diritto internazionale privato poggia sulla

disarticolazione del sistema delle fonti normative e il ripensamento della

sovranità statale. E’ volta ad aprire l’ordinamento italiano all’accoglimento di

ordinamenti di altri Stati. Risponde alla coesistenza e non alla omologazione

degli ordinamenti. Il monopolio statale della giurisdizione, insomma, non è più

dogma intoccabile. L’apertura alle sentenze straniere –si noti- è così ampia che

in dottrina vi è chi24, non a torto, ipotizza una violazione dell’art.11

Costituzione, secondo il quale l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli

altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che

assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”.

Eppure, nonostante quest’ estesa apertura agli ordinamenti stranieri,

l’ordinamento italiano continua in una paradossale crescente diffidenza

riguardo all’ordinamento canonico. Delibazioni a maglie strettissime sono

applicate oggi solo alle sentenze ecclesiastiche. Se nel 1865 il matrimonio

civile nasceva “sui ginocchi della Chiesa”25 e, in un certo senso, era steso sul

letto di Procuste del matrimonio canonico, oggi il letto di Procuste vede il

matrimonio canonico steso sulla disciplina del matrimonio civile.

4. La libertà religiosa matrimoniale

Focalizziamo ulteriormente la tutela nel nostro Paese della libertà

religiosa matrimoniale, di sposarsi, cioè, davanti alla propria Chiesa e di vedere

il matrimonio, una volta trascritto nei registri dello stato civile, disciplinato

dalla propria confessione.

Della libertà del cattolico si è appena detto: essa continua oggi a essere

tutelata dall’art. 8 Accordo di revisione concordataria, ancorché con forti

restrizioni per la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità.

24 G. Dalla Torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2011, p.199. 25 O. Giacchi, Riforma del matrimonio civile e diritto canonico, in Jus, 1974, p. 21.

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Per le altre confessioni - lo abbiamo accennato all’inizio ed è bene ora

entrare nei particolari - è tutelata soltanto la libertà di celebrare il matrimonio

con rito religioso, non quella di vederlo disciplinato dall’ordinamento

confessionale. Questa diversità, rispetto alla confessione cattolica, è dovuta sia

al fatto che solo la Chiesa cattolica fa valere di avere un ordinamento sovrano,

sia alle scelte delle stesse confessioni religiose di affidarsi all’ordinamento civile

quanto al regime della validità-nullità del matrimonio.

Già in età fascista, la legge 1159/1929 (Regolamento di attuazione

289/1930; articoli 7-12) consente agli acattolici di celebrare religiosamente il

proprio matrimonio civile. La legge, tuttora vigente per le confessioni prive di

Intesa con lo Stato, presenta alcune limitazioni di libertà. Ne evidenzio almeno

due. La prima è che si applica solo ai fedeli delle confessioni rientranti nella

categoria dei “culti ammessi”, tali essendo ritenuti “i culti che non professano

principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume”

(art.1). La seconda limitazione è nella discrezionalità del ministro di culto, che,

pur assumendo l’esercizio di pubblica funzione, può rifiutarsi di celebrare il

matrimonio, ove ritenga di non doverlo fare per suoi insindacabili motivi. Né

egli deve prestare la propria opera solo per nubenti appartenenti alla propria

confessione26.

Più ampia la libertà religiosa matrimoniale degli acattolici si ha in età

democratica grazie alle Intese con specifiche confessioni27, che sopprimono

due presupposti della legge del 1929 (l’approvazione del ministro di culto e

l’autorizzazione a questi rilasciata dall’ufficiale di stato civile). Il

riconoscimento della libertà religiosa matrimoniale è nei termini pattuiti dalle

stesse confessioni con lo Stato, in omaggio e applicazione della loro identità

religiosa. Ogni Intesa prevede una propria forma di celebrazione, ancorché

secondo un modello sostanzialmente unitario. Alla celebrazione è abilitato

qualunque ministro, purché egli sia della specifica confessione, abbia

cittadinanza italiana (fatta eccezione per l’Intesa valdese) e sia riconosciuto

dalla medesima confessione. In conseguenza dell’autonomia riconosciuta alla

26 P. A. D’Avack, Il diritto matrimoniale dei culti acattolici nell’ordinamento giuridico italiano, Roma,

1933, p. 173 ss. 27 Le confessioni provviste di Intesa approvata con legge sono le seguenti: Tavola valdese (l.

449/1984, l. 409/1993, l. 68/2009); Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (l.

516/1988, 637/1996, 67/2009); Assemblee di Dio in Italia (l. 517/1988); Unione delle Comunità

Ebraiche Italiane, UCEI (l. 101/1989, l. 638/1996); Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia,

UCEBI (l. 116/1995, e l. 34/2012); Chiesa Evangelica Luterana in Italia, CELI (l. 520/1995); Sacra

Arcidiocesi d'Italia ed Esarcato per l'Europa meridionale (l. 126/2012); Chiesa di Gesù Cristo dei Santi

degli ultimi giorni (l. 127/2012 ); Chiesa Apostolica in Italia (l. 128/2012); Unione Buddhista italiana,

UBI, (l. 245/2012); Unione Induista italiana, UII (l. 246/2012).

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confessione con l’Intesa, il ministro di culto non è delegato dell’ufficiale di

stato civile, bensì organo confessionale indipendente. Fa eccezione l’Intesa con

l’Unione Buddhista Italiana (UBI), che nulla prevede, essendo il matrimonio

buddhista solo un reciproco impegno assunto dagli sposi durante una

cerimonia rituale di benedizione, convenzionalmente accettato dalla comunità,

senza che da esso sorga vincolo legale.

Essendo il matrimonio acattolico sostanzialmente un matrimonio civile

celebrato in forma religiosa, si applicano le cause di nullità e di scioglimento

previste dal codice civile e la giurisdizione competente è quella civile.

De iure condendo piena tutela della libertà religiosa matrimoniale28 sarebbe

realizzata se si adottasse il sistema degli Statuti personali (come in altri Paesi:

es. Libano29). Si tratterebbe di dare diretta rilevanza nell’ordinamento statale al

matrimonio religioso, celebrato in uno o altro culto, senza bisogno di

trascrizione nei registri dello stato civile. Unici limiti dovrebbero essere aspetti

del credo religioso tanto configgenti con i principi dell’ordinamento italiano ed

europeo, da fare dubitare della loro compatibilità con essi.

Il nostro Stato democratico ha scelto, già nella sua Costituzione

repubblicana, di avere a stella polare la tutela della persona e il pluralismo delle

confessioni. Intende la libertà non in senso formale, ma in senso sostanziale.

Presenta, dunque, tutte le condizioni per adottare il modello degli Statuti

personali.

Come gli esperti del settore ben sanno, la meta è, tuttavia, lontana.

Per giunta a preoccupare è la presenza di matrimoni religiosi difformi dal

modello europeo. Basti un cenno alla questione della poligamia, ammessa nel

28 Sul punto sono sempre efficaci le osservazioni di L. Spinelli, Matrimonio civile e matrimonio

religioso (problemi e prospettive de iure condendo, in Rapporti attuali tra Stato e Chiesa in Italia, Atti del XXVI

Convegno Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (6-8 dicembre 1975), in Quaderni di Iustitia,

Milano 1976, p. 182 ss.; Id., Stato e Chiesa per la promozione dell’istituto matrimoniale oggi in Italia, in

Documentazioni di Iustitia, 24 aprile 1977, 4/5, p. 12 ss. Si veda anche G. Dalla Torre, Intervento XXVI

Convegno Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (6-8 dicembre 1975), p. 232 ss. 29 La Costituzione libanese (art. 9) considera le 17 comunità confessionali riconosciute (12

cristiane, di cui 6 comunità cattoliche; 4 musulmane e 1 israelita) parte integrante del sistema giuridico,

in quanto entità giuridiche aventi ognuna il proprio diritto e i propri tribunali in materia di Statuto

personale. Le materie oggetto degli Statuti personali sono: 1. Fidanzamento: validità, rottura, nullità. 2.

Matrimonio: celebrazione, validità, nullità, dissoluzione. 3. Filiazione: legittima, illegittima,

legittimazione. Adozione. Potere paterno sui figli, custodia e educazione dei figli. 4. Pensione

alimentare. 5. Tutela dei minori. 6. Beni religiosi: costituzione, mutamento, amministrazione,

alienazione.7. Luoghi di culto: Chiese, istituzioni sociali di beneficenza, di educazione, di sanità. 8.

Testamento e successioni dei chierici. 9. Azioni giudiziarie confessionali. 10. Spese giudiziarie, gratuito

patrocinio, onorari degli avvocati. 11. Conflitti tra membri del clero. Alcune materie (es. i testamenti)

si aggiungono per le giurisdizioni musulmane.

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matrimonio islamico (non solo da esso: si pensi al matrimonio mormone), di

dubbia conformità all’ordine pubblico italiano, come a quello europeo.

E’ questione da affrontare con la serenità dei principi del diritto. Come

chiarito da un autorevole internazionalista30, se la visione personalistica

europea postula sia assicurata completa eguaglianza tra uomo e donna, il

riconoscimento dello Statuto personale di cittadini di Paesi islamici non potrà

operare riguardo ad uno straniero islamico, unito da un primo matrimonio

celebrato nel suo Paese d’origine, che voglia concludere nell’Unione un

secondo matrimonio. Un riconoscimento così esteso, infatti, renderebbe

concreta una situazione matrimoniale di tipo poligamico contrastante con i

principi dell’Unione31. Ciò però non significa che un matrimonio islamico non

possa essere posto in essere nell’Unione, ma solo che esso può essere

contratto a condizione che costituisca il primo matrimonio32. Argomenti tutti,

a mio avviso, applicabili anche all’ordine pubblico italiano.

5. Sfide europee alla concezione matrimoniale.

Allarghiamo l’orizzonte sull’Europa per domandarci cosa essa statuisce e

quali sfide pone.

Su matrimonio e famiglia i singoli Stati presentano profonde diversità di

legislazione. Di qui la scelta dell’Unione Europea di rispettare la competenza

del legislatore nazionale (art. 5 Trattato sull’Unione Europea) in forza del

principio di attribuzione.

Non dovrebbero, dunque, esserci particolari problemi, oltre a quelli

presenti nelle realtà giuridiche dei singoli Paesi. Ma non è così. Qualche

dubbio nasce dall’art. 9 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea,

che tutela “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia, secondo le

leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.

30 P. Mengozzi, Cittadinanza comune e identità nazionali e culturali, in Verso una Costituzione europea, a

cura di L. Leuzzi – C. Mirabelli, Lungro di Cosenza, 2003, p. 488. Si veda anche C. Campiglio, Il diritto

di famiglia islamico nella prassi italiana, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2008, p. 43 ss.; E.

Giarnieri, Matrimonio islamico e limiti di compatibilità con l’ordinamento italiano, in Comunità islamiche in Italia.

Identità e forme giuridiche, a cura di C. Cardia - G. Dalla Torre, Torino, 2015, p. 348 ss. 31 Si veda D. Durisotto, Poligamia e ordinamenti europei, in Comunità islamiche in Italia. Identità e forme

giuridiche, p. 358. Per una diversa prospettazione: N. Colajanni, Poligamia e principi di diritto europeo, in

Studi in onore di Anna Ravà, a cura di C. Cardia, Torino 2003, p. 190 ss. 32 Ben diversa situazione si avrebbe se il figlio, residente in un paese dell’Unione, della seconda

moglie di un soggetto unito a lei da un matrimonio poligamico contratto in Marocco, intenta

nell’Unione una causa di accertamento della sua qualità di figlio legittimo: non è considerato contrario

alla concezione europea dei diritti dell’uomo che i giudici degli Stati membri riconoscano efficacia alla

legge marocchina (che considera il figlio legittimo in quanto nato dal secondo matrimonio del padre).

In questo senso Mengozzi, Cittadinanza comune e identità nazionali e culturali, cit., p. 488.

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La statuizione a un primo approccio appare in continuità con remoti

chiari antecedenti33 di difesa del modello eterosessuale. Tra essi, l’art. 12

Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) riserva espressamente

il diritto di sposarsi e costituire una famiglia a “uomini e donne”, cioè a coppie

eterosessuali. In realtà l’art. 9 della Carta, se letto più attentamente, compie un

primo passo di discontinuità con il passato. A differenza della CEDU,

menziona in modo disgiunto il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una

famiglia. Inoltre non menziona la specificazione del sesso. Di qui due

interrogativi, che dividono gli interpreti: si può ritenere che i due diritti sono

separati e indipendenti e che dunque il diritto di costituire famiglia è tutelato a

prescindere dal diritto di sposarsi? Il silenzio sulla diversità di sesso è o no una

porta aperta alla famiglia omosessuale?

E’ ben vero che l’interpretazione dell’art. 9 deve rispettare i modelli di

famiglia previsti nei diversi ordinamenti costituzionali: dunque va sempre fatto

riferimento a quanto il legislatore nazionale consente. Ma vi è sempre il

pericolo che la Carta dei Diritti sia intesa da interpreti creativi anche al fine di

scardinare le norme costituzionali di singoli Stati.

C’è di più. Nel corso degli ultimi due decenni, diversi interventi

dell’Unione in specifici settori (ad esempio, direttive in materia di circolazione

e soggiorno 2004/38/CE art. 2, par. 2; cooperazione giudiziaria in materia

civile ex art. 81, par. 3 del Trattato di Lisbona) o disposizioni generali

plurivoche (il diritto alla “vita familiare” ex art. 7 Carta dei Diritti34 comprende

qualunque modello familiare, compresa l’unione omosessuale?) sembrano

incidere indirettamente sul modello di famiglia. Analoghe tendenze si

registrano in risoluzioni del Parlamento Europeo, che, pur non avendo

carattere vincolante, sono importanti casse di risonanza politica.

Anche recenti indirizzi giurisprudenziali europei sono in controtendenza

rispetto all’orientamento consolidato35 di ritenere pacifico che il termine

33 Art. 16, par. 1, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; art. 23, par. 2, Patto

Internazionale sui Diritti Civili e Politici; art. 12, Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti

dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. 34 Rinvio a F. Caggia, Il rispetto della vita familiare, in I diritti fondamentali in Europa, Atti del

Colloquio biennale dell’Associazione italiana di diritto comparato, Messina-Taormina, 31 maggio - 2

giugno 2001, Milano 2002, p. 41 ss. 35 Ancora nella sentenza 17 febbraio 1998 (C-249/96) la Corte di Giustizia riteneva “pacifico

che il termine matrimonio secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, designi

un’unione tra due persone di sesso diverso”; orientamento sino allora seguito anche dalla Corte

Europea dei Diritti dell’uomo (Cfr. Rees c. United Kingdom, sentenza 17 ottobre 1986: “Il diritto di

sposarsi garantito dall’art. 2 CEDU fa riferimento al matrimonio tradizionale tra persone

biologicamente di sesso diverso. Ciò risulta altresì dalla lettura dell’articolo, là dove si evince con

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matrimonio designi l’unione tra due persone di sesso diverso. Intendo riferirmi

a pronunce sia della Corte di Giustizia sia della Corte Europea dei Diritti

dell’Uomo. Esse radicano nel principio di non discriminazione di

orientamento sessuale l’estensione al partner o al coniuge omosessuale

(ovviamente nei Paesi in cui vi è il riconoscimento dell’unione o del

matrimonio omosessuale) di specifici diritti, con argomenti che finiscono con

il portare acqua al mulino della possibile equiparazione tra famiglie legittime e

nuove unioni (siano esse etero o omosessuali). Si parte dall’affermazione che

in un Paese, che ha legalizzato l’unione civile registrata tra eterosessuali (in

questa situazione sono molti Paesi europei), la non estensione del regime delle

unioni civili alle unioni omosessuali è contraria al divieto di discriminazione.

L’obiettivo indiretto è equiparare al matrimonio le unioni civili, sia etero sia

omosessuali.

Verso l’equiparazione spinge un orientamento culturale più ampio,

aggirantesi in Europa36, che vede le rivendicazioni dei diritti dei trans-gender

aprire la strada alle equiparazioni delle convivenze omosessuali al matrimonio.

L’avvio si è avuto in materia di rideterminazione anagrafica del genere, con

un’interpretazione in sede europea37 imperniata (anziché sulla discriminazione

sulla base del sesso acquisito a seguito dell’intervento chirurgico) sul diritto al

rispetto della vita privata e familiare. Si è così legittimato un modello di

convivenza liberata dall’identità sessuale e perciò dal corpo. Orientamento già

adottato in alcuni Paesi, tra i quali comunque non è l’Italia. La Spagna38 e il

Regno Unito39 consentono oggi di ottenere la rettifica del nome sui documenti

anagrafici non solo senza che sia avvenuto l’adeguamento chirurgico (come già

in Germania40), ma anche dopo soli due anni di vita continuativa nello stile del

genere prescelto.

chiarezza che l’art. 12 si preoccupa fondamentalmente di proteggere il matrimonio in quanto

fondamento della famiglia”). 36 Si veda Cartabia, Avventure giuridiche della differenza sessuale, cit., p. 304 ss. 37 Ad aprire l’evoluzione in materia di transessualità nel nostro Paese è una ormai remota

sentenza della Corte costituzionale, la n. 161/1985, riguardante la richiesta di modificare i dati

anagrafici di una persona in seguito alla modificazione dei suoi caratteri sessuali (transessualità). Si

noti: a differenza delle successive evoluzioni in sede europea, la nostra Corte costituzionale impernia la

tematica sul diritto alla salute. Nell’analogo caso Gooddwin (sentenza 11 luglio 2002), invece, la Corte

Europea dei diritti dell’uomo fa perno sull’art. 8 della Convenzione che riconosce il diritto al rispetto

della vita privata, inteso dalla Corte come diritto di stabilire i dettagli della propria identità sessuale

secondo la propria scelta individuale. Dall’art. 8 CEDU, va rilevato, fiorisce la gran parte dei diritti di

ultimissima generazione. 38 Ley 3/2007, de 15 de marzo, reguladora de la rectificaciòn registral de la menciòn relativa al sexo de las

personas. 39 Gender Recognition Act 2004. 40 Transexuellengesetz, 10 settembre 1980.

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Una volta ricondotta sul piano culturale l’identità sessuale (anzi di genere,

comprendente i diritti delle persone LGBT lesbian, gay, bisexual and transexual;

sigla oggi aggiornata con altre declinazioni del gender) all’autonoma scelta della

persona, con la predominanza dunque dell’elemento volontaristico a

detrimento del dato fisico, il passaggio ulteriore è porre ad oggetto di scelta il

modello di convivenza da ognuno ritenuto più confacente. Ad agevolarlo in

sede europea è l’applicazione sia del diritto alla privacy, sia e soprattutto il

divieto di discriminazione per orientamento sessuale, secondo una strategia

pronta a coinvolgere la politica legislativa dei singoli Paesi. Il primo prevedibile

passo è l’equiparazione (in sede nazionale) delle unioni registrate eterosessuali

al matrimonio e il secondo è invocare in sede europea il divieto di

discriminazione per orientamento sessuale.

A premere è sempre l’“ideologia dell’indifferenziato”, con una tutela

delle “differenze indifferenti”, che vede il diritto far da cornice neutrale

(appunto: “indifferente”) rispetto alle scelte di campo e l’identità sessuale

(quanto di più fisico vi sia) svincolata da elementi corporali per levarsi a scelta

soggettiva. La tendenza, ora minoritaria, traspare in posizioni giurisdizionali

europee41, che nelle asimmetrie tra le due forme giuridiche non ravvisano

indizio di differenziazione, voluta per disciplinare situazioni diverse, bensì

indizio di discriminazione. Con buona pace, dunque, dell’eguaglianza come il

“dare a ciascuno il suo” e con l’enfatizzazione del “dare a tutti l’eguale”. E,

inoltre, con la non discriminazione intesa come variante prevalente

dell’eguaglianza e la neutralità considerata quale annullamento di tutti i valori.

6. Il ritorno del sacro e il ruolo delle religioni nel rispondere alle

sfide della secolarizzazione.

Le tendenze ora citate, ancorché minoritarie, sembrano volere spingere

l’Europa, nonostante la sua incompetenza formale, a incidere sostanzialmente

sul modello di matrimonio e famiglia.

Sul loro sfondo è la considerazione che le convivenze non matrimoniali

(etero o omosessuali) siano ormai i frutti maturi di una secolarizzazione

causata dalla scomparsa del sacro nelle nostre società. Si tratta di conclusione

affrettata. Nonostante i tanti annunciatori della “morte di Dio”, l’eclissi del

sacro42 non ha in realtà avuto luogo. Anche il sociologo americano Harvey

41 A proposito del caso Jurgen Romer, portato davanti alla Corte di Giustizia (c-147/08), si

vedano le Conclusioni dell’Avvocato generale Nilo Jaaskinen, citate da Cartabia, Avventure giuridiche

della differenza sessuale, cit., p. 301 ss., che comunque riporta altre sentenze successive in senso contrario. 43 È il titolo di un volume di S. Acquaviva (1961), capofila italiano della “sociologia della

secolarizzazione”.

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Cox43, teorizzatore negli anni sessanta dell’indifferentismo religioso, nel giro di

pochi decenni ha riconosciuto l’inatteso “ritorno del sacro”.

Proprio il ritorno del sacro ha indotto i negoziatori europei a inserire

l’eredità religiosa tra i valori richiamati dal Preambolo del Trattato sul

Funzionamento dell’Unione. Inoltre nel medesimo Trattato l’art. 17, par. 3

istituzionalizza un “dialogo aperto, trasparente e regolare” con le Chiese,

facendo tesoro della prassi di confronto già felicemente utilizzata tra Chiese e

organismi europei nel percorso dell’integrazione europea. La norma, ai tempi

del suo varo, parve un contentino agli insoddisfatti della mancata menzione

delle radici cristiane44. In realtà la sua applicazione, se bene realizzata, può

produrre risultati positivi. Non affidare alla mera benevola attenzione delle

istituzioni comunitarie il dialogo, ma prevederlo come “aperto, trasparente,

regolare” significa inserire le confessioni religiose in un contesto partecipativo.

Certamente l’applicazione concreta dovrà sciogliere vari nodi: se, ad esempio,

ogni identità religiosa sia compatibile con i principi generali dell’Unione,

ricavabili interpretativamente da tutti i valori riconducibili alle tre eredità

(“culturali, religiose, umanistiche”), delle quali parla il Preambolo45. Ma è

indubbio che nell’interpretazione di un testo poggiato sui “valori”, può essere

decisivo il confronto con i “valori” sostenuti dalle Chiese.

Soprattutto le Chiese, che nel lungo percorso europeo si sono dimostrate

levatrici sagge di democrazia46, hanno oggi un compito in più nel dialogo tra

loro, con gli Stati e con l’Unione Europea: dire una parola chiara sul modello

di matrimonio e di famiglia. E’ singolare che nei documenti che stanno

accompagnando la preparazione del Sinodo ordinario sulla famiglia (che avrà

43 Mi riferisco, in particolare, al revirement di H. Cox dalle tesi di The Secular City, New York,

1965 a quelle di Fire from Haeven. The Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-

First Century, Reading (Mass.), 1995. Sul ritorno del sacro nelle società contemporanee v. P. Norris - R.

Inglehart, Sacred and Secular. Religion and Politic Worldwide, Cambridge, 2004. 44 Più articolate considerazioni in Fumagalli Carulli, “A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di

Dio”, cit., p. 137 ss.; Id., Dal diritto romano al diritto europeo, Commento alla relazione di P. Casavola, in

Conceptualitation of the person in Social Sciences, XI Plenary Session of the Pontifical Academy of Social

Sciences, 18-22 november 2005, a cura di E. Malinvaud - M. A. Glendon, Città del Vaticano, 2006, p.

206. In particolare sull’art. 17 TFCE si veda V. Marano, Il contributo delle Chiese e delle comunità religiose alla

governance europea, in AA.VV., Lo Stato dell’Unione. L’Europa tra allargamento e costituzionalizzazione,

Torino, 2009, p. 38 ss. 45 Così si esprime il Preambolo: “Ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche

dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona,

della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto”. 46 Rinvio a O. Fumagalli Carulli, Freedom of conscience and religion as Fundamental Human Right, in

Catholic Social Doctrine and Human Rights, XV Plenary Session of the Pontifical Academy of Social

Sciences, 1-5 may 2009, a cura di R. Minnerath – O. Fumagalli Carulli – V. Possenti, Città del

Vaticano, 2010, p. 303 ss.

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luogo dal 4 al 25 ottobre 2015) questo punto non sia specificamente

approfondito.

Quanto alla visione cattolica sono emblematiche le parole di papa

Benedetto XVI, pronunciate il 3 dicembre 2010 nel ricevere l’Ambasciatore di

Ungheria: “Il matrimonio ha dato all’Europa il suo particolare aspetto ed il suo

umanesimo. L’Europa non sarebbe più Europa se tale cellula basilare della

costruzione sociale sparisse o venisse sostanzialmente trasformata. Sappiamo

tutti quanto sono a rischio il matrimonio e la famiglia oggi, da un lato per

l’erosione dei loro valori più intimi di stabilità e indissolubilità a causa di una

crescente liberalizzazione del diritto al divorzio e dell’abitudine, sempre più

diffusa, alla convivenza di un uomo e una donna senza la forma giuridica e la

protezione del matrimonio, dall’altro lato per diversi generi di unione che non

hanno alcun fondamento nella storia della cultura e del diritto in Europa”.

Pensieri, peraltro, già esposti all’ONU47 con la solennità e l’eco di una sede

tanto rilevante.

S’inserisce qui un tema delicato, spesso oggetto di equivoci: le posizioni

delle religioni riguardo alle unioni omosessuali.

Le Chiese cristiane, che ammettono a forme di benedizione o ad altre

cerimonie di unione le coppie del medesimo sesso, non fondano tale

ammissione sul dato religioso - cioè sulla convinzione di un’effettiva

rispondenza dell’unione omosessuale alla volontà trascendente - ma su quello

sociologico della modernità, cui desiderano dare il proprio contributo. È il

caso, parrebbe, della Chiesa valdese, che dal 2010 prevede in Italia un

momento liturgico di riconoscimento dell’unione, di promesse e di

benedizione per le coppie dello stesso sesso. Lo intende principalmente come

offerta di “visibilità istituzionale”48 fatta dalla comunità alle coppie

omosessuali, che in Italia non hanno la possibilità di firmare un patto d’unione.

47 Nel Discorso 18 aprile 2008 all’ONU il Pontefice ricorda che proprio l’azione delle Nazioni

Unite negli ultimi anni ha permesso al dibattito pubblico di offrire punti di vista ispirati da una visione

religiosa in tutte le sue dimensioni, compreso il rito, il culto, l’educazione, la diffusione di

informazione e la libertà di professare e scegliere la propria religione. 48 In generale si veda la “Relazione al Sinodo Valdese 2012”, in www.chiesavaldese.org, p. 6 del

testo dattiloscritto. Più specifico è il documento, anch’esso inserito nel sito ufficiale della Chiesa

valdese, Lo statuto della questione dell’omosessualità nel dibattito ecclesiale. Documento di studio elaborato dalla

Commissione Fede e omosessualità, a cura di J. Perrin ([email protected]), dove la curatrice afferma

di non avere mai pensato che la questione dell’omosessualità potesse avere a che fare con la fedeltà al

Vangelo e l’unità della chiesa, ma di ritenere che la questione della non visibilità dell’omosessualità

tocchi in realtà la questione dei diritti fondamentali delle persone.

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Le fughe in avanti, poi, rispetto al modello di matrimonio eterosessuale

da parte dei vertici di alcune Chiese protestanti spesso non corrispondono

all’effettiva posizione dei fedeli. Anziché portare alla riscoperta del sacro,

rischiano di accentuare la secolarizzazione. L’aspetto andrebbe attentamente

approfondito dal punto di vista sociologico e statistico, ma non mancano

esempi sui quali vale la pena riflettere. È dei primi di dicembre dello scorso

anno la notizia, riportata dalla stampa, che il sostegno pubblico e il plauso

dell’arcivescovo luterano Kari Mäkinen all’approvazione da parte del

parlamento finlandese di una legge (28 novembre 2014), che consente i

matrimoni omosessuali e le adozioni per le coppie gay, hanno scatenato

un'ondata di defezioni da parte dei fedeli della Chiesa luterana finlandese. Nel

corso del fine settimana, infatti, il sito “Lascia la Chiesa” ha registrato un picco

di 12mila iscrizioni49. Il processo per lasciare la Chiesa luterana è molto più

lungo e richiede una lettera all'ufficio del registro locale, ma quanto avvenuto è

indicativo del sentimento di molti fedeli. Pare si siano avute anche

conseguenze ecumeniche, alcuni membri della Chiesa ortodossa russa avendo

annullato un incontro con i luterani finlandesi.

Quasi paradossalmente queste fughe in avanti possono determinare non

il ritorno del sacro, ma la sua eclissi.

Quanto alle riflessioni da compiere con riferimento all’ormai imminente

Sinodo sulla famiglia, l’invito esplicito è di “ripensare con rinnovata freschezza

ed entusiasmo quanto la rivelazione trasmessa nella fede della Chiesa ci dice

sulla bellezza, sul ruolo e sulla dignità della famiglia” (Relatio Synodi, n. 4). Sulle

unioni omosessuali si esprime il punto 55 della medesima Relatio, ancorché

approvato a maggioranza: “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o

stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio

sul matrimonio e la famiglia”. Lo stesso documento puntualizza anche che “gli

uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con

rispetto e delicatezza”. E precisa: “A loro riguardo si eviterà ogni marchio

d’ingiusta discriminazione”, citando le “Considerazioni circa i progetti di

riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” già della

Congregazione per la Dottrina della Fede.

Certo è che una rivitalizzazione del matrimonio religioso non può né

tanto meno deve essere solo una risposta del diritto alle innumerevoli sfide

della secolarizzazione. Deve anzitutto essere risposta convinta delle religioni e

49

http://www.christiantoday.com/article/mass.resignations.from.finnish.lutheran.church.over.same.sex.

marriages.

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dei loro fedeli sul modello di famiglia. Non tanto il diritto e i suoi strumenti,

ma la testimonianza personale, il costume sociale e la pastorale teologica

hanno un ruolo decisivo nell’affrontare e vincere le sfide della

secolarizzazione.

Key words: religious marriage freedom, Concordat, cults, family

Abstract: According to the pluralistic and personalistic feature of our Constitution, the

religious marriage freedom - as a freedom to choose a religious legal order for own marriage

and the right to have such marriage recognized by the State - should be at the center of our

law and jurisprudence. Concordat, agreements between State and religious communities and

law on "tolerated cults" do not grant such right, although they give civil relevance to the

religious marriage. In a future perspective, arranging a different structure (as the Lebanon's

personal statutes) may be advantageous. The return of the sacred in our societies should be

an opportunity to revitalize religious marriages. But such revitalization cannot be just a legal

response to the challenges of secularization. Not only the law and its instruments, but social

custom and pastoral theology have a fundamental role in dealing with and winning the

challenges of the secularization with regard to the model of family.