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Ombretta Fumagalli Carulli
Direttore di Jus
Il matrimonio in Italia tra dimensione religiosa e secolarizzazione1
SOMMARIO: 1. Dalla secolarizzazione al dissolvimento del matrimonio civile. 2. Matrimonio e convivenza: l’“ideologia dell’indifferenziato”. 3. Secolarizzazione e matrimonio concordatario. 4. La libertà religiosa matrimoniale. 5. Sfide europee alla concezione matrimoniale. 6. Il ritorno del sacro e il ruolo delle religioni nel rispondere alle sfide della secolarizzazione.
1. Dalla secolarizzazione al dissolvimento del matrimonio civile.
In Italia la nascita del matrimonio civile, nella seconda metà
dell’Ottocento, segna l’avvio di uno di quei percorsi nei quali s’incanala la
secolarizzazione nel suo significato di autonomia delle scelte della persona
dalle religioni e riduzione della religione a questione solo privata. Ricordiamolo
brevemente.
Negli anni tra Restaurazione e Unità d’Italia il processo di
secolarizzazione non ha ancora investito il matrimonio, il monopolio
ecclesiastico su esso caratterizzando la legislazione degli ex Stati2. Per fare
alcuni esempi, l’art. 108 Codice civile per gli Stati del Re di Sardegna (1837)
statuisce che “il matrimonio si celebra giusta le regole, e colle solennità
prescritte dalla Chiesa cattolica”, il Codice sabaudo limitandosi unicamente a
statuire sugli effetti civili nascenti dal matrimonio. Analoghe statuizioni erano
già nel § 75 Codice civile generale austriaco (ABGB) per il Regno Lombardo-
Veneto (1811) e nell’art. 67 Codice civile per il Regno delle Due Sicilie (1819).
La situazione cambia radicalmente in età unitaria, quando, nel 1865, la
politica liberale separatista introduce come obbligatorio il matrimonio civile
(R.D. 25 giugno 1865, n. 2358, art. 55 ss.) e relega il matrimonio religioso a
fatto meramente privato, del quale lo Stato si disinteressa. La disciplina del
matrimonio passa allora dal monopolio religioso al monopolio civile. Contro
ogni principio di pluralità degli ordinamenti (che solo in età democratica la
Costituzione del 1948 introdurrà) e in coerenza con il dogma liberale
dell’esclusivismo giuridico statale, lo Stato rivendica di essere unica fonte di
1 Relazione di apertura al Convegno di Palermo Il matrimonio religioso oggi: le nuove sfide della
secolarizzazione, 18 aprile 2015, organizzato, in occasione della Giornata dell’Università Cattolica,
dall’Istituto Giuseppe Toniolo, dall’Associazione Amici dell’Università Cattolica e dall’Università degli
Studi di Palermo, con il Patrocinio del Pontificio Consiglio per la Cultura. 2 Una sintesi in G. Mantuano, Rilevanza civile del matrimonio religioso negli Stati dell’Unione Europea, I,
Sistemi matrimoniali a confronto: matrimonio civile obbligatorio o facoltativo, Ancona 1997, p. 40 ss. Si veda
anche F. Franceschi, I progetti per l’introduzione del divorzio in Italia in epoca post-unitaria, in www.statoechiese.it,
n. 34/2012, 12 novembre 2012.
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tutti i diritti, compresi quelli matrimoniali. Tuttavia gran parte della disciplina
del matrimonio civile è mutuata dal diritto canonico, compresa l’indissolubilità,
sia perché ritenuta favorevole alla donna come soggetto debole, sia perché lo
Stato non intende esasperare il conflitto con il Papa. Siamo a quattro anni
dall’unificazione e a cinque prima della breccia di Porta Pia.
Il Codice del 1865 non si spinge sino a colpire con pesanti sanzioni chi
celebra matrimonio religioso prima del matrimonio civile3, non accogliendo
dunque la tendenza punitiva dapprima illuminista, poi della Rivoluzione
francese, infine del Code Napoleon (1801)4. Si limita a considerare civilmente
irrilevante il matrimonio religioso.
Inizia allora il sistema del doppio regime: per essere validamente sposato
sia davanti alla Chiesa sia davanti allo Stato, il cattolico deve rivolgersi a
entrambi gli ordinamenti, canonico e civile, e pertanto contrarre due distinti e
separati matrimoni.
Il doppio regime viene meno nel 1929 con il Concordato lateranense.
Nasce l’unico matrimonio così detto concordatario, contratto in facie Ecclesiae,
disciplinato dal diritto canonico (sia quanto al momento iniziale della validità
sia quanto all’eventuale momento finale della nullità) e valido anche per lo
Stato (art. 34). Per gli acattolici provvede, sempre nel 1929, la legge sui culti
ammessi (24 giugno 1929, n. 1159), consentendo la celebrazione religiosa
davanti a un ministro di culto del matrimonio civile. Per chi non scelga la
celebrazione religiosa, rimane comunque il matrimonio civile davanti al
Sindaco.
All’inizio e poi per lunghi anni dell’età democratica matrimonio civile e
matrimoni religiosi coesistono pacificamente. L’analogia di normativa
rispecchia il prevalente costume e pensiero sociale. Il quadro generale cambia
via via che la rivoluzione industriale trasforma la famiglia patriarcale in famiglia
coniugale.
3 Un progetto di legge, che intendeva rendere obbligatoria la previa celebrazione civile,
approvato dalla Camera il 18 maggio 1879, non ottenne il consenso del Senato (C. Cardia, Manuale di
diritto ecclesiastico, Bologna, 1996, p. 431). 4 Alcune pagine della storia dei rapporti tra la Chiesa e alcuni Stati, se poste a confronto con
quelle scritte dal nostro Stato liberale ottocentesco, mostrano come il doppio regime (qualunque sia la
dottrina politica, dal quale fiorisce) può trasformarsi in persecuzione religiosa. Ciò avviene, anche nel
Novecento e persino oggi fuori d’Italia, con una conflittualità che arriva sino a gravi sanzioni quando,
nonostante il divieto statale, sia celebrato il matrimonio canonico prima del matrimonio civile. Rinvio
per la casistica a O. Fumagalli Carulli, Matrimonio ed enti tra libertà religiosa ed intervento dello Stato, Milano,
2012, p. 6 ss.
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L’introduzione del divorzio (legge 1 dicembre 1970, n. 898) segna il
passaggio dal modello istituzionale di famiglia, incardinato nell’unità familiare e
nei doveri di garantire non la propria felicità ma quella degli altri membri della
famiglia, al modello volontaristico-individualistico orientato al soddisfacimento
della felicità individuale. E’ una vittoria del “vissuto” contro il “voluto”.
L’estensione della “cessazione degli effetti civili” anche ai matrimoni
concordatari crea una forte frizione con la Santa Sede, convinta che lo Stato si
fosse impegnato in sede concordataria a riconoscere civilmente il matrimonio
canonico in tutte le sue qualità essenziali, prima tra le quali l’indissolubilità. Si
arriva ad un passo dalla denuncia diplomatica della violazione del Concordato5.
L’eco di filosofie esistenzialiste di tipo libertario, riconducibili a filoni della
contestazione sessantottina, più avanti nel tempo, nel 1987, influisce sulla
riduzione del numero di anni (da cinque a tre) di separazione legale necessari
per chiedere il divorzio.
Sulla scia di un orientamento comune agli Stati membri del Consiglio
d’Europa6, si affaccia dapprima e poi si consolida la “privatizzazione del
matrimonio”7, che scardina presto lo stesso impianto8 caratterizzante
l’originaria disciplina italiana del divorzio.
Oggi, parallelamente al calo delle nozze negli ultimi tre decenni, si
concludono 50.000 divorzi civili, ridotti ormai a forme di recesso ad nutum. La
recente introduzione del divorzio così detto low cost (legge 10 novembre 2014
n. 162) accentua la privatizzazione. I coniugi, purché non ci siano figli né
questioni patrimoniali, inoltrano domanda in Comune per sciogliere il
matrimonio con la spesa minima di 16 euro (l’equivalente dell’imposta da
bollo). Possono farsi assistere da un avvocato, ma è facoltativo. Firmano
l’accordo e una dichiarazione davanti al Sindaco, che li invita a ripresentarsi
dopo trenta giorni per confermare la scelta. Non hanno bisogno della
mediazione né del giudice, né dell’avvocato. Tutto è nelle loro mani.
5 Sui documenti che hanno accompagnato la controversia diplomatica sul divorzio cfr. G. Dalla
Torre, La riforma della legislazione ecclesiastica: testi e documenti per una ricostruzione diplomatica, Bologna, 1984,
p. 128 ss., in particolare per la Nota della Santa Sede p. 138 ss. 6 L. Mengoni, La famiglia nelle delibere del Consiglio d’Europa e nelle recenti riforme: principi e
orientamenti, in E. W. Volonté (a cura di), La famiglia alle soglie del terzo millennio, Lugano, 1996, ora in A.
Nicolussi (a cura di), Diritto civile della famiglia, Milano, 2012, p. 43 ss. 7 R. Navarro Valls, Matrimonio y derecho, Madrid, 1994, p. 57 ss. 8 Sulla compatibilità tra divorzio, come oggetto di un diritto potestativo esercitabile solo
quando sia venuta meno la possibilità della comunione di vita tra i due coniugi, ed essenza del
matrimonio implicante una volontà iniziale di unirsi per tutta la vita, rinvio a L. Mengoni, La famiglia in
una società complessa, in Iustitia, 1990, p. 5, ora anche in A. Nicolussi (a cura di), Diritto civile della famiglia,
p. 39 ss.
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Se poi allarghiamo l’orizzonte alla situazione mondiale, troviamo un dato
OMS: entro il 2031 i coniugati saranno solo il 40% della popolazione
dell’intero pianeta.
Il “vissuto”, insomma, che prevale sul “voluto”, è colorato di precarietà.
C’è ormai da domandarci se non siamo avviati, in Italia come altrove, verso
l’agonia dello stesso matrimonio civile.
2. Matrimonio e convivenza: l’ “ideologia dell’indifferenziato”.
La tendenza verso la privatizzazione delle unioni trova nell’“ideologia
dell’indifferenziato”9 forti spinte. Con essa si intrecciano, nei tempi più recenti,
le “teorie di genere”, che attribuiscono scarso o nullo significato alla nozione
di sesso, sostituita dalla nozione di gender10, quasi a volere legittimare
l’interscambiabilità degli stessi due termini, sesso e gender.
Cosa sia l’ideologia dell’indifferenziato, insieme causa ed effetto della
secolarizzazione, è presto detto quanto alla problematica che stiamo trattando.
Si tratta di considerare “indifferenti” le differenze11, oggi vigenti nel regime
giuridico, tra matrimonio civile e matrimonio religioso, così come tra
convivenze fondate sul matrimonio e convivenze non fondate su esso. Di
conseguenza si pone sullo stesso piano ogni rapporto di coppia, legale o di
fatto, etero o omosessuale.
Se ciò che conta è il “vissuto” e se la stessa identità sessuale è
un’opzione12 slegata dalla corporeità, al fine di darne una qualche
9 Si veda A. Nicolussi, Diritto di famiglia e nuove letture della Costituzione, in Valori costituzionali. Per i
sessanta anni della Costituzione Italiana, Convegno nazionale 2008, Roma, 2010, p. 165, ora anche in
Nicolussi (a cura di), Diritto civile della famiglia, cit., p. 151 ss.; Id., La filiazione nella cultura giuridica
europea, XIII Colloquio Giuridico Internazionale, Roma, 2010, p. 33, ora anche in Diritto civile della
famiglia, cit., p. 341 ss.; Id., Fecondazione eterologa e diritto di conoscere le proprie origini: per un'analisi giuridica di
una possibilità tecnica, in Rivista AIC, 2012, p. 2 nota 18, p. 6 e p. 18, ora anche in Diritto civile della
famiglia, cit., p. 453 ss.; Id., La famiglia: una concezione neo-istituzionale?, in Eur. dir. priv., 2012, p. 171, ora
anche in Diritto civile della famiglia, cit., p. 11 ss.; Id., La filiazione e le sue forme: la prospettiva giuridica, in
Allargare lo spazio familiare, Milano, 2014, p. 11 nota 10. In precedenza cenni assai significativi in
Mengoni, La famiglia in una società complessa, cit., p. 3.; Id., La famiglia nelle delibere del Consiglio di Europa e
nelle recenti riforme: principi e orientamenti, cit., ora anche in Diritto civile della famiglia, cit., p. 53 ss. 10 Per un’interessante panoramica rinvio a L. Palazzani, Identità di genere come problema biogiuridico,
relazione al Convegno nazionale Identità sessuale e identità della persona, Palermo 9-11 dicembre 2010,
Iustitia, 2/2011, p. 157 ss. 11 Sui paradossi ai quali portano le “differenze indifferenti” nell’evoluzione dei diritti individuali
da parte di legislazioni, che liberano l’identità di genere da connotati corporali, rinvio, condividendone
le osservazioni critiche, a M. Cartabia, Avventure giuridiche della differenza sessuale, relazione al Convegno
nazionale Identità sessuale e identità della persona, cit., Iustitia, 2/2011, p. 293 ss. Spunti interessanti in M.J.
Sandel, Liberalism and the Limits of Justice, Cambridge, 1998, p. 178 ss. 12 J. Butler, Scambi di genere, Identità, sesso e desiderio, trad. it., Milano, 2004, p.12
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legittimazione si persegue ogni via, anche indiretta o alternativa, in attesa che il
Parlamento si pronunci e con l’obiettivo di condizionarlo.
Un esempio, alla ribalta delle cronache odierne, riguarda le così dette
nozze gay, in Italia non ancora legalizzate, a differenza di altri Paesi13. In attesa
che il Parlamento si pronunci, la via alternativa è la trascrizione nei registri
dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti
all’estero. La soluzione, peraltro di dubbia legittimità giuridica, sta innescando
un contenzioso tra Sindaci e Prefetture, da Roma a Milano, che mette a dura
prova la stessa credibilità delle istituzioni dello Stato14, in un momento, come
l’attuale, nel quale in Italia è già bassa la reputazione della politica.
Di privatizzazione in privatizzazione, l’“indifferenziato” cerca di imporsi
grazie a dottrine innovative, che si spingono sino a forzare la Costituzione al
fine di spazzare via i valori da essa riconosciuti. In questa direzione, l’art. 29
Costituzione, che riconosce i diritti della famiglia come “società naturale
fondata sul matrimonio”, è letto da alcuni come se vi fosse scritto che la
famiglia è fondata “sulla stabile convivenza”; non, come i Costituenti
chiaramente scrissero, “sul matrimonio”. Il matrimonio civile, in altri termini,
diventa una delle tante fattispecie di una categoria più ampia: i patti di
convivenza. Sostituendo la stabile convivenza al matrimonio, le coppie di fatto
sono impropriamente ricondotte allo schema famigliare. In gran parte degli
interpreti appartenenti a questa linea si tende, poi, a elidere ogni riferimento
alla diversità di sesso. Nessuno nega il senso originario della norma, quale
13 Oggi due persone aventi lo stesso sesso possono accedere all'istituto del matrimonio in 21
nazioni: Spagna, Francia, Regno Unito (in gran parte del Paese), Portogallo, Belgio, Lussemburgo,
Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia (a inizio 2017 le prime celebrazioni), Islanda, Norvegia, Svezia, Stati
Uniti (nella capitale e in 38 Stati della Federazione), Canada, Messico (nella capitale e in 2 Stati della
Federazione), Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica, Nuova Zelanda, Slovenia. In Europa sono 9 (su
28) i Paesi che non prevedono nessun tipo di tutela: Italia, Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia,
Slovacchia, Bulgaria e Romania. 14 Una recente pronuncia del Tar Lazio-Roma (9 marzo 2015, n. 3907, 11, 12) ha affermato che
l’annullamento di trascrizioni di matrimoni omosessuali celebrati all’estero può essere disposto solo
dall’Autorità giudiziaria ordinaria, rilevando che “il Ministero dell’Interno e le Prefetture non hanno il
potere di intervenire direttamente”. Il Ministero dell’Interno ha ribadito di avere sempre
coerentemente garantito il quadro normativo attuale in materia di stato civile, che non consente di
celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso, né di trascrivere quelli celebrati all’estero, secondo
un principio confermato anche di recente dalla Cassazione civile (sez. I, sentenza 9 febbraio 2015 n.
2400). Una nota del Segretariato generale della Giustizia Amministrativa (comunicato stampa 9 marzo
2015) precisa che “nel decidere tali controversie, il giudice amministrativo ha eseguito una
ricognizione della normativa comunitaria e nazionale e della giurisprudenza costituzionale e di
legittimità, giungendo ad affermare che l’attuale disciplina nazionale non consente di celebrare
matrimoni tra persone dello stesso sesso e, conseguentemente, matrimoni del genere non sono
trascrivibili”.
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presente ai Costituenti. Esso è, capziosamente, considerato non più
rispondente ai costumi della società.
In breve, una lettura sociologico – storicistica, opposta alla lettura
istituzionale, spoglia la famiglia di gran parte dei suoi elementi costitutivi ed
identificativi. La spoglia in modo così drastico da doverci domandare se siamo
di fronte al medesimo istituto o ad un altro, che abusivamente porta il nome di
famiglia15. Per dirla con un’espressione riassuntiva, “la famiglia non è, ma si
fa”.
A chiarire i termini della questione, vi è chi confida in qualche decisione
della Corte costituzionale. Le ambiguità della stessa Corte, tuttavia, non
mancano. Nell’ordinanza 5 gennaio 2011, n. 416 è chiaramente ribadito che
l’art. 29 Costituzione si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice
civile come unione tra persone di sesso diverso e che questo significato non
può essere superato in via ermeneutica, le unioni omosessuali non potendo
essere ritenute omogenee17 al matrimonio. La Corte, tuttavia, già nella sentenza
138/201018, pur avendo affermato che “il paradigma eterosessuale del
matrimonio è inscritto nella Costituzione”, aveva posto tra le formazioni
sociali anche l’unione omosessuale, “intesa come stabile convivenza tra due
persone dello stesso sesso, cui spetta il fondamentale diritto di vivere
liberamente una condizione di coppia”, rinviando “il riconoscimento giuridico
con i connessi diritti e doveri” ai tempi, modi e limiti stabiliti dalla legge.
Un intervento del Parlamento si rende, dunque, necessario, tanta è ormai
l’incertezza nell’odierno diritto vivente. Lo richiede anche la difesa del
matrimonio civile in quanto unione eterosessuale che, stante l’attuale trend
interpretativo (dottrinale o giurisprudenziale), rischia di essere snaturato.
Personalmente non vedrei ostacoli ad una regolamentazione legislativa di
alcuni aspetti della convivenza di fatto, purché sia chiaro che si tratta di
15 A. Ruggeri, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione, in Quaderni cost., XXVII, n. 4,
dicembre 2007, p. 751 ss. 16 Si veda il bel commento di S. Bordonali, Il matrimonio tra conservazione, evoluzione e fughe in avanti,
in Diritto di famiglia e delle persone, XL, 2/2011, p. 555 ss. 17 Commenti durissimi contro questa affermazione, considerata “pietra tombale”, in I. Massa
Pinto– C. Tripodina, Sul come per la Corte costituzionale le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee
al matrimonio e F. Calzaretti, Coppie di persone dello stesso sesso, richiamati da A. Pugiotto, Una lettura non
reticente della sentenza n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio, in Quaderni costituzionali, II/ 2010,
p. 20. 18 A. Pugiotto, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio,
cit.; contra B. Pezzini, Il matrimonio same sex si potrà fare, in www.rivistaaic.it. Si veda anche P.A. Capotosti,
Matrimonio tra persone dello stesso sesso: infondatezza versus inammissibilità della sentenza n.138/2010 , in
Quaderni costituzionali, II/ 2010, p. 361 ss.
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negozio altro rispetto a quello matrimoniale. I modelli della tutela personale e
patrimoniale di una coppia legata da unione libera non sono rinvenibili nel
diritto di famiglia, ma nel diritto delle persone e dei rapporti patrimoniali. Per
riprendere un’antica espressione di un autorevole Maestro del mio Ateneo
(divenuto poi giudice costituzionale), Luigi Mengoni, matrimonio e unioni
libere sono “entità giuridicamente incommensurabili”19.
Quanto poi all’unione omosessuale si dovrebbe valutare, come ben pochi
fanno, non tanto né solo il rapporto interpersonale tra i due, ma le
conseguenze sul piano della filiazione.
3. Secolarizzazione e matrimonio concordatario
Se le nozze civili sono in uno stato di agonia, per trovare una difesa del
matrimonio monogamico, eterosessuale e indissolubile dobbiamo riferirci
all’ordinamento concordatario, cioè al matrimonio canonico con effetti civili.
Dapprima la disciplina del Concordato lateranense del 1929 e oggi
l’Accordo di revisione 18 febbraio 1984 (e relative leggi di esecuzione)
riconoscono gli effetti civili ai matrimoni canonici regolarmente trascritti nei
registri dello stato civile italiano; riconoscono altresì alle sentenze ecclesiastiche
di nullità matrimoniali di essere dichiarate efficaci nella Repubblica italiana,
cioè delibate, grazie ad un procedimento davanti alla Corte d’Appello. Lo si è
già accennato poc’anzi.
Ciò che ora va sottolineato è che via via che ci avviciniamo ai nostri
giorni la secolarizzazione preme con crescente pervasività anche sui matrimoni
concordatari.
Anzitutto essa si riversa sulle scelte dei nubenti quanto all’ordinamento
cui rivolgersi: canonico-concordatario o civile? Vero è che i cattolici, che
intendono contrarre matrimonio in Italia, sono tenuti a celebrarlo unicamente
secondo la forma canonica con l'obbligo di avvalersi del riconoscimento agli
effetti civili assicurato dal Concordato, l'Ordinario del luogo potendo
dispensare da tale obbligo soltanto “per gravi motivi pastorali” (Decreto
Generale CEI, 5 novembre 1990, 1). Ma il processo di secolarizzazione sta
affievolendo in molti la coscienza e persino conoscenza dei precetti
concordatari, tanto che da dati Istat risulta un trend in discesa dei matrimoni
canonici con effetti civili (c.d. concordatari), ancorché in una situazione per
così dire altalenante, rispetto alla percentuale di crescita dei matrimoni civili.
19 Mengoni, La famiglia nelle delibere del Consiglio d’Europa e nelle recenti riforme, cit., p. 60.
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Per prendere a titolo esemplificativo un periodo con dati precisi, nel
1991 i matrimoni concordatari sono l’82,5%; nel 2010 il 63,5%. Per i
matrimoni concordatari vi è qualche momento di risalita tra il 2009 e il 2010.
Ma nel 2011, per la prima volta nella storia, nelle regioni del Nord si registra
un sorpasso dei matrimoni civili (51,7% del totale). I dati ISTAT 2013
confermano il generale calo dei matrimoni celebrati in Italia; sono 194.057,
cioè 12.000 in meno rispetto al 2012, pur con tasso di nuzialità più alto nel
Centro Sud e più basso al Nord. Nello stesso 2013 le separazioni toccano
quota 90.000, l’80 % delle quali in via consensuale: privatizzazione delle nozze
e loro fragilità vanno dunque di pari passo.
Non mancano dati di segno opposto in settori da incoraggiare per
contrastare la secolarizzazione, rafforzando la consapevolezza della bellezza e
del valore del matrimonio religioso. Un primo dato riguarda i corsi di
preparazione al matrimonio, organizzati dalle parrocchie e, in numero meno
significativo, da associazioni e movimenti. Secondo un’indagine CEI del
200920 il 3,4% dei partecipanti è già sposato civilmente (media che sale al 5,8%
al Nord Italia), sicché ogni 29 matrimoni concordatari c’è un matrimonio
canonico celebrato con il solo rito religioso, evidentemente chiesto da chi, già
sposato civilmente, ravvisa nelle nozze canoniche valori ed impegni per così
dire più forti rispetto alle nozze civili. Inoltre la crescente presenza di fidanzati
non giovanissimi (un quinto ha più di 35 anni) e da anni lontani dalla pratica
religiosa fa dei corsi di preparazione alle nozze un rinnovato cammino di fede.
Può darsi che, poi, nella vita coniugale i due sposi (o uno di essi) si allontanino
dai valori appresi, ma almeno durante il periodo di preparazione sono aiutati
nella ricerca vocazionale. Un secondo dato positivo riguarda gli animatori della
pastorale familiare: nel 2009 ben 3.716 volontari, tra i trentasei e
sessantacinque anni, operano nei 512 percorsi preparatori, campionati dalla
ricerca. Tra essi non mancano figure professionali, come avvocati, psicologi,
medici, consulenti familiari. Un terzo dei dati da tenere presente ai fini di un
possibile contrasto alla secolarizzazione è la crescita continua sul territorio
italiano dei Centri di difesa della vita e della famiglia (da 487 nel 1991 a 2.385
nel 2010 e 2.949 nel 2011) e, in misura minore, dei consultori familiari (nel
2011 sono 529).
La secolarizzazione, in secondo luogo, si riflette indirettamente su uno
specifico aspetto della disciplina concordataria: gli effetti civili delle sentenze
20 Si tratta di una ricerca sulla preparazione dei fidanzati al matrimonio e alla famiglia compiuta
in 512 parrocchie di tutta Italia, presentata nel corso di un Convegno organizzato in Calabria,
dall’Ufficio Nazionale Pastorale della famiglia della CEI (25 giugno 2009), ora pubblicata in Insieme
verso le nozze. La preparazione del matrimonio cristiano, Siena, 2010.
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ecclesiastiche di nullità. Questa forma di secolarizzazione non dipende da una
libera scelta dei coniugi, anzi urta contro la loro scelta di affidare
all’ordinamento canonico il proprio status coniugale. E’ forma di
secolarizzazione intrinseca ai dinieghi di alcune Corti di Appello di delibare le
sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale.
Mi spiego meglio, cercando di semplificare un argomento complesso
sotto il profilo tecnico-giuridico. Fino agli anni settanta dello scorso secolo le
dichiarazioni di nullità pronunciate dai Tribunali ecclesiastici sono delibate
pressoché automaticamente dalle Corti di Appello competenti. Basta cioè un
controllo formale. Ciò che è o non è matrimonio per la Chiesa, lo è o non lo è
anche per lo Stato. Lo osserva efficacemente la dottrina più autorevole, sin
dall’entrata in vigore della legge esecutiva del Concordato lateranense21.
Negli stessi anni settanta nei quali inizia la lotta, poc’anzi menzionata, tra
modello istituzionalista e modello volontaristico, alcune Corti di Appello
cominciano a sottoporre le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale al
controllo di conformità all’ordine pubblico, secondo un’argomentazione nel
frattempo elaborata da una parte della dottrina. Si tratta di un filtro
nient’affatto previsto dall’allora vigente Concordato del 1929. Per giunta esso è
inteso talora come riferimento all’ordine pubblico internazionale (un filtro a
maglie larghe), altre volte come riferimento all’ordine pubblico interno (filtro a
maglie strette). La disputa continua con l’entrata in vigore della legge 25 marzo
1985, n.121, esecutiva dell’Accordo di revisione concordataria 18 febbraio
1984, tanto più che l’art. 8 n. 2, facendo riferimento (art. 8 n. 2) alle condizioni
previste allora dalla legge italiana per la delibazione di sentenze straniere,
indirettamente recepisce proprio il controllo dell’ordine pubblico.
Nonostante l’impegno sancito chiaramente nel Protocollo Addizionale
dell’Accordo concordatario (art. 4, b), secondo il quale la Corte d’Appello deve
tenere conto della “specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il
vincolo matrimoniale che in esso ha avuto origine”, gran parte delle decisioni
non si curano affatto di detta specificità ed i dinieghi di delibazione via via
aumentano in nome della mera diversità tra disciplina matrimoniale canonica e
disciplina civile22. Il filtro dell’ordine pubblico diventa, insomma, a maglie
sempre più strette.
21 Per tutti cfr. A. C. Jemolo, Trascrizione di matrimonio religioso celebrato all’estero, in Rivista di diritto
privato, 1939, II, p. 193 s. 22 Per le citazioni, rinvio a Fumagalli Carulli, Matrimonio ed enti tra libertà religiosa e intervento dello
Stato, cit., p. 49 ss. e 75 ss.
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La delibazione, negli anni ottanta ancora ispirata alla “maggiore
disponibilità” dell’ordinamento statale riguardo all’ordinamento canonico
rispetto a quella riservata alle sentenze straniere (secondo il criterio ideato dalla
Cassazione all’indomani della dichiarazione secondo la quale la conformità
all’ordine pubblico è “principio supremo”, contenuta nella sentenza
costituzionale 18/1982), oggi è ispirata all’opposto criterio della “minore
disponibilità”.
Vi è ancora chi riferisce l’ordine pubblico a regole fondamentali destinate
a operare in situazioni del tutto eccezionali di netta difformità tra i due
ordinamenti, canonico e civile (es. impedimenti tipicamente confessionali:
disparitas cultus, ordine sacro, voto solenne). Sta, tuttavia, prevalendo chi
considera risolutiva la comparazione tecnico-giuridica della fattispecie della
nullità canonica con quella civile, con la conseguenza di ritenere delibabili solo
le sentenze canoniche fondate su capi di nullità o norme processuali
assimilabili, se non addirittura coincidenti, con quelle previste per il
matrimonio civile.
La mancata delibazione rischia, dunque, oggi di imporsi come regola
anziché eccezione. Per citare una delle ultime svolte interpretative, suscitatrice
di polemiche di segno opposto, vi si fa rientrare la prolungata convivenza. I
dubbi tecnici e giuridici che essa urti per davvero contro l’ordine pubblico
sono molti, ma ormai per il diniego di delibazione si sono pronunciate le
Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (sentenza 17 luglio 2014, n.
16379).
Al di là di considerazioni critiche, che sarebbe lungo esporre, va
sottolineato che a farne le spese è la libertà religiosa matrimoniale. Il cattolico
che, contraendo matrimonio canonico con effetti civili (c.d. matrimonio
concordatario), affida il proprio status coniugale all’ordinamento della Chiesa,
ove vi sia una dichiarazione ecclesiastica di nullità matrimoniale che lo libera
dallo stato coniugale, rischia di continuare a essere considerato coniugato per
lo Stato, in conseguenza di una continua dilatazione interpretativa del concetto
di ordine pubblico.
Anche sotto il profilo dei tempi e costi23, il procedimento per
l’esecutività della nullità canonica è diventato tanto barocco da indurre nella
pratica a trascurarlo in favore della via del divorzio, più rapida ed economica,
ancorché configgente con i principi cattolici.
23 P. Moneta, Matrimonio religioso ed ordinamento civile, Torino, 1996, p. 162.
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Tutto ciò con l’aggravante paradosso che, a seguito della riforma del
diritto internazionale privato, dal 1995 (legge 31 maggio, n. 218) il
procedimento di riconoscimento in Italia di sentenze straniere, anche quelle di
Paesi sconosciuti e dalla cultura lontana dalla nostra, non risponde più al
principio della “minore disponibilità” dell’ordinamento italiano verso le
sentenze straniere. Esso poggia sulla regola generale di un riconoscimento
automatico da parte dell’ufficiale di stato civile (artt. 64 ss.) “senza che sia
necessario il ricorso ad alcun procedimento”. Solo in caso di mancata
ottemperanza o di contestazione della sentenza si ricorre alla delibazione della
Corte d’Appello.
La ratio del nostro nuovo diritto internazionale privato poggia sulla
disarticolazione del sistema delle fonti normative e il ripensamento della
sovranità statale. E’ volta ad aprire l’ordinamento italiano all’accoglimento di
ordinamenti di altri Stati. Risponde alla coesistenza e non alla omologazione
degli ordinamenti. Il monopolio statale della giurisdizione, insomma, non è più
dogma intoccabile. L’apertura alle sentenze straniere –si noti- è così ampia che
in dottrina vi è chi24, non a torto, ipotizza una violazione dell’art.11
Costituzione, secondo il quale l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli
altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”.
Eppure, nonostante quest’ estesa apertura agli ordinamenti stranieri,
l’ordinamento italiano continua in una paradossale crescente diffidenza
riguardo all’ordinamento canonico. Delibazioni a maglie strettissime sono
applicate oggi solo alle sentenze ecclesiastiche. Se nel 1865 il matrimonio
civile nasceva “sui ginocchi della Chiesa”25 e, in un certo senso, era steso sul
letto di Procuste del matrimonio canonico, oggi il letto di Procuste vede il
matrimonio canonico steso sulla disciplina del matrimonio civile.
4. La libertà religiosa matrimoniale
Focalizziamo ulteriormente la tutela nel nostro Paese della libertà
religiosa matrimoniale, di sposarsi, cioè, davanti alla propria Chiesa e di vedere
il matrimonio, una volta trascritto nei registri dello stato civile, disciplinato
dalla propria confessione.
Della libertà del cattolico si è appena detto: essa continua oggi a essere
tutelata dall’art. 8 Accordo di revisione concordataria, ancorché con forti
restrizioni per la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità.
24 G. Dalla Torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2011, p.199. 25 O. Giacchi, Riforma del matrimonio civile e diritto canonico, in Jus, 1974, p. 21.
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Per le altre confessioni - lo abbiamo accennato all’inizio ed è bene ora
entrare nei particolari - è tutelata soltanto la libertà di celebrare il matrimonio
con rito religioso, non quella di vederlo disciplinato dall’ordinamento
confessionale. Questa diversità, rispetto alla confessione cattolica, è dovuta sia
al fatto che solo la Chiesa cattolica fa valere di avere un ordinamento sovrano,
sia alle scelte delle stesse confessioni religiose di affidarsi all’ordinamento civile
quanto al regime della validità-nullità del matrimonio.
Già in età fascista, la legge 1159/1929 (Regolamento di attuazione
289/1930; articoli 7-12) consente agli acattolici di celebrare religiosamente il
proprio matrimonio civile. La legge, tuttora vigente per le confessioni prive di
Intesa con lo Stato, presenta alcune limitazioni di libertà. Ne evidenzio almeno
due. La prima è che si applica solo ai fedeli delle confessioni rientranti nella
categoria dei “culti ammessi”, tali essendo ritenuti “i culti che non professano
principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume”
(art.1). La seconda limitazione è nella discrezionalità del ministro di culto, che,
pur assumendo l’esercizio di pubblica funzione, può rifiutarsi di celebrare il
matrimonio, ove ritenga di non doverlo fare per suoi insindacabili motivi. Né
egli deve prestare la propria opera solo per nubenti appartenenti alla propria
confessione26.
Più ampia la libertà religiosa matrimoniale degli acattolici si ha in età
democratica grazie alle Intese con specifiche confessioni27, che sopprimono
due presupposti della legge del 1929 (l’approvazione del ministro di culto e
l’autorizzazione a questi rilasciata dall’ufficiale di stato civile). Il
riconoscimento della libertà religiosa matrimoniale è nei termini pattuiti dalle
stesse confessioni con lo Stato, in omaggio e applicazione della loro identità
religiosa. Ogni Intesa prevede una propria forma di celebrazione, ancorché
secondo un modello sostanzialmente unitario. Alla celebrazione è abilitato
qualunque ministro, purché egli sia della specifica confessione, abbia
cittadinanza italiana (fatta eccezione per l’Intesa valdese) e sia riconosciuto
dalla medesima confessione. In conseguenza dell’autonomia riconosciuta alla
26 P. A. D’Avack, Il diritto matrimoniale dei culti acattolici nell’ordinamento giuridico italiano, Roma,
1933, p. 173 ss. 27 Le confessioni provviste di Intesa approvata con legge sono le seguenti: Tavola valdese (l.
449/1984, l. 409/1993, l. 68/2009); Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (l.
516/1988, 637/1996, 67/2009); Assemblee di Dio in Italia (l. 517/1988); Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane, UCEI (l. 101/1989, l. 638/1996); Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia,
UCEBI (l. 116/1995, e l. 34/2012); Chiesa Evangelica Luterana in Italia, CELI (l. 520/1995); Sacra
Arcidiocesi d'Italia ed Esarcato per l'Europa meridionale (l. 126/2012); Chiesa di Gesù Cristo dei Santi
degli ultimi giorni (l. 127/2012 ); Chiesa Apostolica in Italia (l. 128/2012); Unione Buddhista italiana,
UBI, (l. 245/2012); Unione Induista italiana, UII (l. 246/2012).
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confessione con l’Intesa, il ministro di culto non è delegato dell’ufficiale di
stato civile, bensì organo confessionale indipendente. Fa eccezione l’Intesa con
l’Unione Buddhista Italiana (UBI), che nulla prevede, essendo il matrimonio
buddhista solo un reciproco impegno assunto dagli sposi durante una
cerimonia rituale di benedizione, convenzionalmente accettato dalla comunità,
senza che da esso sorga vincolo legale.
Essendo il matrimonio acattolico sostanzialmente un matrimonio civile
celebrato in forma religiosa, si applicano le cause di nullità e di scioglimento
previste dal codice civile e la giurisdizione competente è quella civile.
De iure condendo piena tutela della libertà religiosa matrimoniale28 sarebbe
realizzata se si adottasse il sistema degli Statuti personali (come in altri Paesi:
es. Libano29). Si tratterebbe di dare diretta rilevanza nell’ordinamento statale al
matrimonio religioso, celebrato in uno o altro culto, senza bisogno di
trascrizione nei registri dello stato civile. Unici limiti dovrebbero essere aspetti
del credo religioso tanto configgenti con i principi dell’ordinamento italiano ed
europeo, da fare dubitare della loro compatibilità con essi.
Il nostro Stato democratico ha scelto, già nella sua Costituzione
repubblicana, di avere a stella polare la tutela della persona e il pluralismo delle
confessioni. Intende la libertà non in senso formale, ma in senso sostanziale.
Presenta, dunque, tutte le condizioni per adottare il modello degli Statuti
personali.
Come gli esperti del settore ben sanno, la meta è, tuttavia, lontana.
Per giunta a preoccupare è la presenza di matrimoni religiosi difformi dal
modello europeo. Basti un cenno alla questione della poligamia, ammessa nel
28 Sul punto sono sempre efficaci le osservazioni di L. Spinelli, Matrimonio civile e matrimonio
religioso (problemi e prospettive de iure condendo, in Rapporti attuali tra Stato e Chiesa in Italia, Atti del XXVI
Convegno Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (6-8 dicembre 1975), in Quaderni di Iustitia,
Milano 1976, p. 182 ss.; Id., Stato e Chiesa per la promozione dell’istituto matrimoniale oggi in Italia, in
Documentazioni di Iustitia, 24 aprile 1977, 4/5, p. 12 ss. Si veda anche G. Dalla Torre, Intervento XXVI
Convegno Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (6-8 dicembre 1975), p. 232 ss. 29 La Costituzione libanese (art. 9) considera le 17 comunità confessionali riconosciute (12
cristiane, di cui 6 comunità cattoliche; 4 musulmane e 1 israelita) parte integrante del sistema giuridico,
in quanto entità giuridiche aventi ognuna il proprio diritto e i propri tribunali in materia di Statuto
personale. Le materie oggetto degli Statuti personali sono: 1. Fidanzamento: validità, rottura, nullità. 2.
Matrimonio: celebrazione, validità, nullità, dissoluzione. 3. Filiazione: legittima, illegittima,
legittimazione. Adozione. Potere paterno sui figli, custodia e educazione dei figli. 4. Pensione
alimentare. 5. Tutela dei minori. 6. Beni religiosi: costituzione, mutamento, amministrazione,
alienazione.7. Luoghi di culto: Chiese, istituzioni sociali di beneficenza, di educazione, di sanità. 8.
Testamento e successioni dei chierici. 9. Azioni giudiziarie confessionali. 10. Spese giudiziarie, gratuito
patrocinio, onorari degli avvocati. 11. Conflitti tra membri del clero. Alcune materie (es. i testamenti)
si aggiungono per le giurisdizioni musulmane.
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matrimonio islamico (non solo da esso: si pensi al matrimonio mormone), di
dubbia conformità all’ordine pubblico italiano, come a quello europeo.
E’ questione da affrontare con la serenità dei principi del diritto. Come
chiarito da un autorevole internazionalista30, se la visione personalistica
europea postula sia assicurata completa eguaglianza tra uomo e donna, il
riconoscimento dello Statuto personale di cittadini di Paesi islamici non potrà
operare riguardo ad uno straniero islamico, unito da un primo matrimonio
celebrato nel suo Paese d’origine, che voglia concludere nell’Unione un
secondo matrimonio. Un riconoscimento così esteso, infatti, renderebbe
concreta una situazione matrimoniale di tipo poligamico contrastante con i
principi dell’Unione31. Ciò però non significa che un matrimonio islamico non
possa essere posto in essere nell’Unione, ma solo che esso può essere
contratto a condizione che costituisca il primo matrimonio32. Argomenti tutti,
a mio avviso, applicabili anche all’ordine pubblico italiano.
5. Sfide europee alla concezione matrimoniale.
Allarghiamo l’orizzonte sull’Europa per domandarci cosa essa statuisce e
quali sfide pone.
Su matrimonio e famiglia i singoli Stati presentano profonde diversità di
legislazione. Di qui la scelta dell’Unione Europea di rispettare la competenza
del legislatore nazionale (art. 5 Trattato sull’Unione Europea) in forza del
principio di attribuzione.
Non dovrebbero, dunque, esserci particolari problemi, oltre a quelli
presenti nelle realtà giuridiche dei singoli Paesi. Ma non è così. Qualche
dubbio nasce dall’art. 9 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea,
che tutela “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia, secondo le
leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.
30 P. Mengozzi, Cittadinanza comune e identità nazionali e culturali, in Verso una Costituzione europea, a
cura di L. Leuzzi – C. Mirabelli, Lungro di Cosenza, 2003, p. 488. Si veda anche C. Campiglio, Il diritto
di famiglia islamico nella prassi italiana, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2008, p. 43 ss.; E.
Giarnieri, Matrimonio islamico e limiti di compatibilità con l’ordinamento italiano, in Comunità islamiche in Italia.
Identità e forme giuridiche, a cura di C. Cardia - G. Dalla Torre, Torino, 2015, p. 348 ss. 31 Si veda D. Durisotto, Poligamia e ordinamenti europei, in Comunità islamiche in Italia. Identità e forme
giuridiche, p. 358. Per una diversa prospettazione: N. Colajanni, Poligamia e principi di diritto europeo, in
Studi in onore di Anna Ravà, a cura di C. Cardia, Torino 2003, p. 190 ss. 32 Ben diversa situazione si avrebbe se il figlio, residente in un paese dell’Unione, della seconda
moglie di un soggetto unito a lei da un matrimonio poligamico contratto in Marocco, intenta
nell’Unione una causa di accertamento della sua qualità di figlio legittimo: non è considerato contrario
alla concezione europea dei diritti dell’uomo che i giudici degli Stati membri riconoscano efficacia alla
legge marocchina (che considera il figlio legittimo in quanto nato dal secondo matrimonio del padre).
In questo senso Mengozzi, Cittadinanza comune e identità nazionali e culturali, cit., p. 488.
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La statuizione a un primo approccio appare in continuità con remoti
chiari antecedenti33 di difesa del modello eterosessuale. Tra essi, l’art. 12
Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) riserva espressamente
il diritto di sposarsi e costituire una famiglia a “uomini e donne”, cioè a coppie
eterosessuali. In realtà l’art. 9 della Carta, se letto più attentamente, compie un
primo passo di discontinuità con il passato. A differenza della CEDU,
menziona in modo disgiunto il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una
famiglia. Inoltre non menziona la specificazione del sesso. Di qui due
interrogativi, che dividono gli interpreti: si può ritenere che i due diritti sono
separati e indipendenti e che dunque il diritto di costituire famiglia è tutelato a
prescindere dal diritto di sposarsi? Il silenzio sulla diversità di sesso è o no una
porta aperta alla famiglia omosessuale?
E’ ben vero che l’interpretazione dell’art. 9 deve rispettare i modelli di
famiglia previsti nei diversi ordinamenti costituzionali: dunque va sempre fatto
riferimento a quanto il legislatore nazionale consente. Ma vi è sempre il
pericolo che la Carta dei Diritti sia intesa da interpreti creativi anche al fine di
scardinare le norme costituzionali di singoli Stati.
C’è di più. Nel corso degli ultimi due decenni, diversi interventi
dell’Unione in specifici settori (ad esempio, direttive in materia di circolazione
e soggiorno 2004/38/CE art. 2, par. 2; cooperazione giudiziaria in materia
civile ex art. 81, par. 3 del Trattato di Lisbona) o disposizioni generali
plurivoche (il diritto alla “vita familiare” ex art. 7 Carta dei Diritti34 comprende
qualunque modello familiare, compresa l’unione omosessuale?) sembrano
incidere indirettamente sul modello di famiglia. Analoghe tendenze si
registrano in risoluzioni del Parlamento Europeo, che, pur non avendo
carattere vincolante, sono importanti casse di risonanza politica.
Anche recenti indirizzi giurisprudenziali europei sono in controtendenza
rispetto all’orientamento consolidato35 di ritenere pacifico che il termine
33 Art. 16, par. 1, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; art. 23, par. 2, Patto
Internazionale sui Diritti Civili e Politici; art. 12, Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. 34 Rinvio a F. Caggia, Il rispetto della vita familiare, in I diritti fondamentali in Europa, Atti del
Colloquio biennale dell’Associazione italiana di diritto comparato, Messina-Taormina, 31 maggio - 2
giugno 2001, Milano 2002, p. 41 ss. 35 Ancora nella sentenza 17 febbraio 1998 (C-249/96) la Corte di Giustizia riteneva “pacifico
che il termine matrimonio secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, designi
un’unione tra due persone di sesso diverso”; orientamento sino allora seguito anche dalla Corte
Europea dei Diritti dell’uomo (Cfr. Rees c. United Kingdom, sentenza 17 ottobre 1986: “Il diritto di
sposarsi garantito dall’art. 2 CEDU fa riferimento al matrimonio tradizionale tra persone
biologicamente di sesso diverso. Ciò risulta altresì dalla lettura dell’articolo, là dove si evince con
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matrimonio designi l’unione tra due persone di sesso diverso. Intendo riferirmi
a pronunce sia della Corte di Giustizia sia della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo. Esse radicano nel principio di non discriminazione di
orientamento sessuale l’estensione al partner o al coniuge omosessuale
(ovviamente nei Paesi in cui vi è il riconoscimento dell’unione o del
matrimonio omosessuale) di specifici diritti, con argomenti che finiscono con
il portare acqua al mulino della possibile equiparazione tra famiglie legittime e
nuove unioni (siano esse etero o omosessuali). Si parte dall’affermazione che
in un Paese, che ha legalizzato l’unione civile registrata tra eterosessuali (in
questa situazione sono molti Paesi europei), la non estensione del regime delle
unioni civili alle unioni omosessuali è contraria al divieto di discriminazione.
L’obiettivo indiretto è equiparare al matrimonio le unioni civili, sia etero sia
omosessuali.
Verso l’equiparazione spinge un orientamento culturale più ampio,
aggirantesi in Europa36, che vede le rivendicazioni dei diritti dei trans-gender
aprire la strada alle equiparazioni delle convivenze omosessuali al matrimonio.
L’avvio si è avuto in materia di rideterminazione anagrafica del genere, con
un’interpretazione in sede europea37 imperniata (anziché sulla discriminazione
sulla base del sesso acquisito a seguito dell’intervento chirurgico) sul diritto al
rispetto della vita privata e familiare. Si è così legittimato un modello di
convivenza liberata dall’identità sessuale e perciò dal corpo. Orientamento già
adottato in alcuni Paesi, tra i quali comunque non è l’Italia. La Spagna38 e il
Regno Unito39 consentono oggi di ottenere la rettifica del nome sui documenti
anagrafici non solo senza che sia avvenuto l’adeguamento chirurgico (come già
in Germania40), ma anche dopo soli due anni di vita continuativa nello stile del
genere prescelto.
chiarezza che l’art. 12 si preoccupa fondamentalmente di proteggere il matrimonio in quanto
fondamento della famiglia”). 36 Si veda Cartabia, Avventure giuridiche della differenza sessuale, cit., p. 304 ss. 37 Ad aprire l’evoluzione in materia di transessualità nel nostro Paese è una ormai remota
sentenza della Corte costituzionale, la n. 161/1985, riguardante la richiesta di modificare i dati
anagrafici di una persona in seguito alla modificazione dei suoi caratteri sessuali (transessualità). Si
noti: a differenza delle successive evoluzioni in sede europea, la nostra Corte costituzionale impernia la
tematica sul diritto alla salute. Nell’analogo caso Gooddwin (sentenza 11 luglio 2002), invece, la Corte
Europea dei diritti dell’uomo fa perno sull’art. 8 della Convenzione che riconosce il diritto al rispetto
della vita privata, inteso dalla Corte come diritto di stabilire i dettagli della propria identità sessuale
secondo la propria scelta individuale. Dall’art. 8 CEDU, va rilevato, fiorisce la gran parte dei diritti di
ultimissima generazione. 38 Ley 3/2007, de 15 de marzo, reguladora de la rectificaciòn registral de la menciòn relativa al sexo de las
personas. 39 Gender Recognition Act 2004. 40 Transexuellengesetz, 10 settembre 1980.
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Una volta ricondotta sul piano culturale l’identità sessuale (anzi di genere,
comprendente i diritti delle persone LGBT lesbian, gay, bisexual and transexual;
sigla oggi aggiornata con altre declinazioni del gender) all’autonoma scelta della
persona, con la predominanza dunque dell’elemento volontaristico a
detrimento del dato fisico, il passaggio ulteriore è porre ad oggetto di scelta il
modello di convivenza da ognuno ritenuto più confacente. Ad agevolarlo in
sede europea è l’applicazione sia del diritto alla privacy, sia e soprattutto il
divieto di discriminazione per orientamento sessuale, secondo una strategia
pronta a coinvolgere la politica legislativa dei singoli Paesi. Il primo prevedibile
passo è l’equiparazione (in sede nazionale) delle unioni registrate eterosessuali
al matrimonio e il secondo è invocare in sede europea il divieto di
discriminazione per orientamento sessuale.
A premere è sempre l’“ideologia dell’indifferenziato”, con una tutela
delle “differenze indifferenti”, che vede il diritto far da cornice neutrale
(appunto: “indifferente”) rispetto alle scelte di campo e l’identità sessuale
(quanto di più fisico vi sia) svincolata da elementi corporali per levarsi a scelta
soggettiva. La tendenza, ora minoritaria, traspare in posizioni giurisdizionali
europee41, che nelle asimmetrie tra le due forme giuridiche non ravvisano
indizio di differenziazione, voluta per disciplinare situazioni diverse, bensì
indizio di discriminazione. Con buona pace, dunque, dell’eguaglianza come il
“dare a ciascuno il suo” e con l’enfatizzazione del “dare a tutti l’eguale”. E,
inoltre, con la non discriminazione intesa come variante prevalente
dell’eguaglianza e la neutralità considerata quale annullamento di tutti i valori.
6. Il ritorno del sacro e il ruolo delle religioni nel rispondere alle
sfide della secolarizzazione.
Le tendenze ora citate, ancorché minoritarie, sembrano volere spingere
l’Europa, nonostante la sua incompetenza formale, a incidere sostanzialmente
sul modello di matrimonio e famiglia.
Sul loro sfondo è la considerazione che le convivenze non matrimoniali
(etero o omosessuali) siano ormai i frutti maturi di una secolarizzazione
causata dalla scomparsa del sacro nelle nostre società. Si tratta di conclusione
affrettata. Nonostante i tanti annunciatori della “morte di Dio”, l’eclissi del
sacro42 non ha in realtà avuto luogo. Anche il sociologo americano Harvey
41 A proposito del caso Jurgen Romer, portato davanti alla Corte di Giustizia (c-147/08), si
vedano le Conclusioni dell’Avvocato generale Nilo Jaaskinen, citate da Cartabia, Avventure giuridiche
della differenza sessuale, cit., p. 301 ss., che comunque riporta altre sentenze successive in senso contrario. 43 È il titolo di un volume di S. Acquaviva (1961), capofila italiano della “sociologia della
secolarizzazione”.
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Cox43, teorizzatore negli anni sessanta dell’indifferentismo religioso, nel giro di
pochi decenni ha riconosciuto l’inatteso “ritorno del sacro”.
Proprio il ritorno del sacro ha indotto i negoziatori europei a inserire
l’eredità religiosa tra i valori richiamati dal Preambolo del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione. Inoltre nel medesimo Trattato l’art. 17, par. 3
istituzionalizza un “dialogo aperto, trasparente e regolare” con le Chiese,
facendo tesoro della prassi di confronto già felicemente utilizzata tra Chiese e
organismi europei nel percorso dell’integrazione europea. La norma, ai tempi
del suo varo, parve un contentino agli insoddisfatti della mancata menzione
delle radici cristiane44. In realtà la sua applicazione, se bene realizzata, può
produrre risultati positivi. Non affidare alla mera benevola attenzione delle
istituzioni comunitarie il dialogo, ma prevederlo come “aperto, trasparente,
regolare” significa inserire le confessioni religiose in un contesto partecipativo.
Certamente l’applicazione concreta dovrà sciogliere vari nodi: se, ad esempio,
ogni identità religiosa sia compatibile con i principi generali dell’Unione,
ricavabili interpretativamente da tutti i valori riconducibili alle tre eredità
(“culturali, religiose, umanistiche”), delle quali parla il Preambolo45. Ma è
indubbio che nell’interpretazione di un testo poggiato sui “valori”, può essere
decisivo il confronto con i “valori” sostenuti dalle Chiese.
Soprattutto le Chiese, che nel lungo percorso europeo si sono dimostrate
levatrici sagge di democrazia46, hanno oggi un compito in più nel dialogo tra
loro, con gli Stati e con l’Unione Europea: dire una parola chiara sul modello
di matrimonio e di famiglia. E’ singolare che nei documenti che stanno
accompagnando la preparazione del Sinodo ordinario sulla famiglia (che avrà
43 Mi riferisco, in particolare, al revirement di H. Cox dalle tesi di The Secular City, New York,
1965 a quelle di Fire from Haeven. The Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-
First Century, Reading (Mass.), 1995. Sul ritorno del sacro nelle società contemporanee v. P. Norris - R.
Inglehart, Sacred and Secular. Religion and Politic Worldwide, Cambridge, 2004. 44 Più articolate considerazioni in Fumagalli Carulli, “A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di
Dio”, cit., p. 137 ss.; Id., Dal diritto romano al diritto europeo, Commento alla relazione di P. Casavola, in
Conceptualitation of the person in Social Sciences, XI Plenary Session of the Pontifical Academy of Social
Sciences, 18-22 november 2005, a cura di E. Malinvaud - M. A. Glendon, Città del Vaticano, 2006, p.
206. In particolare sull’art. 17 TFCE si veda V. Marano, Il contributo delle Chiese e delle comunità religiose alla
governance europea, in AA.VV., Lo Stato dell’Unione. L’Europa tra allargamento e costituzionalizzazione,
Torino, 2009, p. 38 ss. 45 Così si esprime il Preambolo: “Ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche
dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona,
della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto”. 46 Rinvio a O. Fumagalli Carulli, Freedom of conscience and religion as Fundamental Human Right, in
Catholic Social Doctrine and Human Rights, XV Plenary Session of the Pontifical Academy of Social
Sciences, 1-5 may 2009, a cura di R. Minnerath – O. Fumagalli Carulli – V. Possenti, Città del
Vaticano, 2010, p. 303 ss.
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luogo dal 4 al 25 ottobre 2015) questo punto non sia specificamente
approfondito.
Quanto alla visione cattolica sono emblematiche le parole di papa
Benedetto XVI, pronunciate il 3 dicembre 2010 nel ricevere l’Ambasciatore di
Ungheria: “Il matrimonio ha dato all’Europa il suo particolare aspetto ed il suo
umanesimo. L’Europa non sarebbe più Europa se tale cellula basilare della
costruzione sociale sparisse o venisse sostanzialmente trasformata. Sappiamo
tutti quanto sono a rischio il matrimonio e la famiglia oggi, da un lato per
l’erosione dei loro valori più intimi di stabilità e indissolubilità a causa di una
crescente liberalizzazione del diritto al divorzio e dell’abitudine, sempre più
diffusa, alla convivenza di un uomo e una donna senza la forma giuridica e la
protezione del matrimonio, dall’altro lato per diversi generi di unione che non
hanno alcun fondamento nella storia della cultura e del diritto in Europa”.
Pensieri, peraltro, già esposti all’ONU47 con la solennità e l’eco di una sede
tanto rilevante.
S’inserisce qui un tema delicato, spesso oggetto di equivoci: le posizioni
delle religioni riguardo alle unioni omosessuali.
Le Chiese cristiane, che ammettono a forme di benedizione o ad altre
cerimonie di unione le coppie del medesimo sesso, non fondano tale
ammissione sul dato religioso - cioè sulla convinzione di un’effettiva
rispondenza dell’unione omosessuale alla volontà trascendente - ma su quello
sociologico della modernità, cui desiderano dare il proprio contributo. È il
caso, parrebbe, della Chiesa valdese, che dal 2010 prevede in Italia un
momento liturgico di riconoscimento dell’unione, di promesse e di
benedizione per le coppie dello stesso sesso. Lo intende principalmente come
offerta di “visibilità istituzionale”48 fatta dalla comunità alle coppie
omosessuali, che in Italia non hanno la possibilità di firmare un patto d’unione.
47 Nel Discorso 18 aprile 2008 all’ONU il Pontefice ricorda che proprio l’azione delle Nazioni
Unite negli ultimi anni ha permesso al dibattito pubblico di offrire punti di vista ispirati da una visione
religiosa in tutte le sue dimensioni, compreso il rito, il culto, l’educazione, la diffusione di
informazione e la libertà di professare e scegliere la propria religione. 48 In generale si veda la “Relazione al Sinodo Valdese 2012”, in www.chiesavaldese.org, p. 6 del
testo dattiloscritto. Più specifico è il documento, anch’esso inserito nel sito ufficiale della Chiesa
valdese, Lo statuto della questione dell’omosessualità nel dibattito ecclesiale. Documento di studio elaborato dalla
Commissione Fede e omosessualità, a cura di J. Perrin ([email protected]), dove la curatrice afferma
di non avere mai pensato che la questione dell’omosessualità potesse avere a che fare con la fedeltà al
Vangelo e l’unità della chiesa, ma di ritenere che la questione della non visibilità dell’omosessualità
tocchi in realtà la questione dei diritti fondamentali delle persone.
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Le fughe in avanti, poi, rispetto al modello di matrimonio eterosessuale
da parte dei vertici di alcune Chiese protestanti spesso non corrispondono
all’effettiva posizione dei fedeli. Anziché portare alla riscoperta del sacro,
rischiano di accentuare la secolarizzazione. L’aspetto andrebbe attentamente
approfondito dal punto di vista sociologico e statistico, ma non mancano
esempi sui quali vale la pena riflettere. È dei primi di dicembre dello scorso
anno la notizia, riportata dalla stampa, che il sostegno pubblico e il plauso
dell’arcivescovo luterano Kari Mäkinen all’approvazione da parte del
parlamento finlandese di una legge (28 novembre 2014), che consente i
matrimoni omosessuali e le adozioni per le coppie gay, hanno scatenato
un'ondata di defezioni da parte dei fedeli della Chiesa luterana finlandese. Nel
corso del fine settimana, infatti, il sito “Lascia la Chiesa” ha registrato un picco
di 12mila iscrizioni49. Il processo per lasciare la Chiesa luterana è molto più
lungo e richiede una lettera all'ufficio del registro locale, ma quanto avvenuto è
indicativo del sentimento di molti fedeli. Pare si siano avute anche
conseguenze ecumeniche, alcuni membri della Chiesa ortodossa russa avendo
annullato un incontro con i luterani finlandesi.
Quasi paradossalmente queste fughe in avanti possono determinare non
il ritorno del sacro, ma la sua eclissi.
Quanto alle riflessioni da compiere con riferimento all’ormai imminente
Sinodo sulla famiglia, l’invito esplicito è di “ripensare con rinnovata freschezza
ed entusiasmo quanto la rivelazione trasmessa nella fede della Chiesa ci dice
sulla bellezza, sul ruolo e sulla dignità della famiglia” (Relatio Synodi, n. 4). Sulle
unioni omosessuali si esprime il punto 55 della medesima Relatio, ancorché
approvato a maggioranza: “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o
stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio
sul matrimonio e la famiglia”. Lo stesso documento puntualizza anche che “gli
uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con
rispetto e delicatezza”. E precisa: “A loro riguardo si eviterà ogni marchio
d’ingiusta discriminazione”, citando le “Considerazioni circa i progetti di
riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” già della
Congregazione per la Dottrina della Fede.
Certo è che una rivitalizzazione del matrimonio religioso non può né
tanto meno deve essere solo una risposta del diritto alle innumerevoli sfide
della secolarizzazione. Deve anzitutto essere risposta convinta delle religioni e
49
http://www.christiantoday.com/article/mass.resignations.from.finnish.lutheran.church.over.same.sex.
marriages.
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dei loro fedeli sul modello di famiglia. Non tanto il diritto e i suoi strumenti,
ma la testimonianza personale, il costume sociale e la pastorale teologica
hanno un ruolo decisivo nell’affrontare e vincere le sfide della
secolarizzazione.
Key words: religious marriage freedom, Concordat, cults, family
Abstract: According to the pluralistic and personalistic feature of our Constitution, the
religious marriage freedom - as a freedom to choose a religious legal order for own marriage
and the right to have such marriage recognized by the State - should be at the center of our
law and jurisprudence. Concordat, agreements between State and religious communities and
law on "tolerated cults" do not grant such right, although they give civil relevance to the
religious marriage. In a future perspective, arranging a different structure (as the Lebanon's
personal statutes) may be advantageous. The return of the sacred in our societies should be
an opportunity to revitalize religious marriages. But such revitalization cannot be just a legal
response to the challenges of secularization. Not only the law and its instruments, but social
custom and pastoral theology have a fundamental role in dealing with and winning the
challenges of the secularization with regard to the model of family.