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L’ADEMPIMENTO DEDOTTO IN CONDIZIONE: PROBLEMI E DISCIPLINA SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi. - 2. L’orientamento dottrinale contrario all’ammissibilità della deduzione in condizione dell’ adempimento. - 3. L’orientamento dottrinale favorevole. - 3.1 Segue: altre opinioni favorevoli. - 4. L'orientamento giurisprudenziale contrario. - 5. L'orientamento giurisprudenziale favorevole. - 6. Osservazioni conclusive sulla condizione sospensiva di adempimento: il problema della causa. - 6.1 Segue: il problema dell’oggetto. - 6.2 Segue: il problema dell’estrinsecità. - 6.3 Segue: il problema dell’incertezza. - 6.4 Segue: il problema della condizione meramente potestativa. - 7. Osservazioni conclusive sulla condizione risolutiva di inadempimento: riflessioni tratte da un caso giurisprudenziale. 1. Cenni introduttivi Il problema della condizione di adempimento è noto ai giuristi da quando, nel lontano 1954, per la prima volta la Suprema Corte di Cassazione 1 ebbe ad occuparsene limitandosi in quella circostanza ad affermare l’inammissibilità nel nostro ordinamento della condizione tacita di adempimento; ciò in conseguenza della mancata formulazione nel codice vigente del vecchio articolo 1165 del codice civile del 1865, il quale affermava espressamente il principio secondo il quale la risoluzione del contratto per inadempimento di uno dei contraenti seguiva al verificarsi di una condizione tacitamente apposta dalle parti ed in base alla quale la mancata realizzazione di una delle prestazioni oggetto del contratto determinava lo scioglimento dello stesso. Risolto velocemente e definitivamente il problema della condizione tacita di adempimento, la S.C. dovrà però tornare numerose volte, successivamente, sul problema della condizione di adempimento questa volta per chiarire se sia o meno ammissibile una sua previsione espressa; in altri termini se le parti, nel loro potere di autonomia contrattuale, possano inserire nel regolamento negoziale una condizione, sospensiva o risolutiva, deducendo, quale evento al cui verificarsi è subordinata l’efficacia del contratto, lo stesso adempimento -nel primo caso- o inadempimento -nel secondo- di una delle due parti. Più di mezzo secolo è passato da allora ed ancora la questione della condizione di adempimento rappresenta infatti un nodo rimasto privo di una soluzione pacifica ed univoca sia nella giurisprudenza italiana sia in dottrina: un problema che al contrario continua a contrapporre favorevoli e contrari ed all’interno dei due orientamenti giustificazioni diverse; un problema, infine, la cui rilevanza è di immediata percezione soltanto considerando come esso investa non solo le tematiche direttamente coinvolte, ovvero della condizione del contratto e dell’adempimento, ma anche altre essenziali del diritto dei contratti, quali, esclusivamente a titolo esemplificativo, la causa, l’oggetto, l’autonomia dei privati, la risoluzione, la tutela del credito, oltre ad ulteriori fattispecie riguardanti in modo specifico la compravendita (si pensi alla vendita con riserva di proprietà). Alla luce della complessità dell’indagine è opportuno pertanto procedere in primo luogo ad una ricostruzione delle principali opinioni espresse sia in dottrina sia in giurisprudenza, per poi commentarle e cercare di individuare una soluzione, 1 CASS., 10 luglio 1954, n. 2446, in Mass. Foro It., 1954.

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L’ADEMPIMENTO DEDOTTO IN CONDIZIONE: PROBLEMI E

DISCIPLINA

SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi. - 2. L’orientamento dottrinale contrario all’ammissibilità della deduzione in condizione dell’ adempimento. - 3. L’orientamento dottrinale favorevole. - 3.1 Segue: altre opinioni favorevoli. - 4. L'orientamento giurisprudenziale contrario. - 5. L'orientamento giurisprudenziale favorevole. - 6. Osservazioni conclusive sulla condizione sospensiva di adempimento: il problema della causa. - 6.1 Segue: il problema dell’oggetto. - 6.2 Segue: il problema dell’estrinsecità. - 6.3 Segue: il problema dell’incertezza. - 6.4 Segue: il problema della condizione meramente potestativa. - 7. Osservazioni conclusive sulla condizione risolutiva di inadempimento: riflessioni tratte da un caso giurisprudenziale.

1. Cenni introduttivi

Il problema della condizione di adempimento è noto ai giuristi da quando, nel lontano 1954, per la prima volta la Suprema Corte di Cassazione 1 ebbe ad occuparsene limitandosi in quella circostanza ad affermare l’inammissibilità nel nostro ordinamento della condizione tacita di adempimento; ciò in conseguenza della mancata formulazione nel codice vigente del vecchio articolo 1165 del codice civile del 1865, il quale affermava espressamente il principio secondo il quale la risoluzione del contratto per inadempimento di uno dei contraenti seguiva al verificarsi di una condizione tacitamente apposta dalle parti ed in base alla quale la mancata realizzazione di una delle prestazioni oggetto del contratto determinava lo scioglimento dello stesso. Risolto velocemente e definitivamente il problema della condizione tacita di adempimento, la S.C. dovrà però tornare numerose volte, successivamente, sul problema della condizione di adempimento questa volta per chiarire se sia o meno ammissibile una sua previsione espressa; in altri termini se le parti, nel loro potere di autonomia contrattuale, possano inserire nel regolamento negoziale una condizione, sospensiva o risolutiva, deducendo, quale evento al cui verificarsi è subordinata l’efficacia del contratto, lo stesso adempimento -nel primo caso- o inadempimento -nel secondo- di una delle due parti. Più di mezzo secolo è passato da allora ed ancora la questione della condizione di adempimento rappresenta infatti un nodo rimasto privo di una soluzione pacifica ed univoca sia nella giurisprudenza italiana sia in dottrina: un problema che al contrario continua a contrapporre favorevoli e contrari ed all’interno dei due orientamenti giustificazioni diverse; un problema, infine, la cui rilevanza è di immediata percezione soltanto considerando come esso investa non solo le tematiche direttamente coinvolte, ovvero della condizione del contratto e dell’adempimento, ma anche altre essenziali del diritto dei contratti, quali, esclusivamente a titolo esemplificativo, la causa, l’oggetto, l’autonomia dei privati, la risoluzione, la tutela del credito, oltre ad ulteriori fattispecie riguardanti in modo specifico la compravendita (si pensi alla vendita con riserva di proprietà). Alla luce della complessità dell’indagine è opportuno pertanto procedere in primo luogo ad una ricostruzione delle principali opinioni espresse sia in dottrina sia in giurisprudenza, per poi commentarle e cercare di individuare una soluzione,

1 CASS., 10 luglio 1954, n. 2446, in Mass. Foro It., 1954.

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dogmaticamente coerente, capace di fornire una disciplina concretamente applicabile da parte degli operatori giuridici. 2. L’orientamento dottrinale contrario all’ammissibilità della deduzione in

condizione dell’ adempimento

L’obiezione principale che tradizionalmente viene mossa alla deducibilità in condizione dell’adempimento è rappresentata senza dubbio dal carattere accidentale ed estrinseco della condizione intesa in senso tecnico. Risalente e consolidata nel tempo è siffatta opinione2, secondo la quale in primis accidentalità significa autosufficienza del programma negoziale rispetto al meccanismo condizionale: in altri termini la circostanza che in un contratto manchi la previsione della clausola condizionale non inficia né la rilevanza giuridica né l’efficacia di quello; ne discende che la deduzione in condizione di un evento al contrario “naturalmente o giuridicamente necessario” deve considerarsi come “pro non adiecta”. La natura accidentale della condizione è propria “qualità logicamente e

giuridicamente indeclinabile” sia nei contratti tipici sia in quelli atipici, laddove l’accertamento di essa “è ugualmente verificabile nei programmi atipici

avvalendosi della medesima prova di resistenza ed accertando se essi,

logicamente ed empiricamente, sono realizzabili nel diritto anche senza il

meccanismo condizionale”. La caratteristica in parola viene meno solo se il programma negoziale viene analizzato sotto una luce diversa, ossia come fatto storico, allorchè il meccanismo condizionale assume carattere necessario poiché vincola le parti alla stessa stregua della dichiarazione di volontà principale. Distinta dall’accidentalità è l’estrinsecità, qualità della condizione in quanto tramite l’impiego di quest’ultima la parte intende perseguire un interesse esterno, vale a dire un interesse non tutelabile attraverso la mera applicazione della norma nella sua formulazione positiva e configurazione tipica: quando una parte utilizza il meccanismo condizionale essa infatti ha sia un interesse interno, per il cui conseguimento non ha che sfruttare lo strumento normativo predisposto dal legislatore, sia però un interesse esterno che, non solo, come dicevamo, non è soddisfatto sic et simpliciter dalla norma, ma per di più è incompatibile con il primo nel senso che perseguendo l’uno si sacrifica l’altro; la parte è posta dinanzi pertanto ad una secca alternativa, tutelare l’uno o l’altro, senza vie di uscita, tranne, per l’appunto, quella rappresentata dallo strumento della condizione. Facciamo un esempio per comprendere meglio il ragionamento: un soggetto, in attesa di un trasferimento di lavoro in una sede diversa da quella di sua attuale residenza, ha l’interesse (interno) a predisporsi un’abitazione per quell’eventualità (giudicata più o meno probabile), in modo tale da poter prendere immediatamente servizio presso il nuovo ufficio senza le complicanze rappresentate dalla ricerca di un alloggio; decide così di stipulare un contratto di compravendita o di locazione ad uso abitativo già prima di conoscere l’esito della sua domanda di trasferimento. Così facendo egli indubbiamente soddisfa la sua esigenza prima evidenziata, ma allo stesso tempo certamente si espone ad un rischio ben preciso, consistente, nell’eventualità in cui la sua istanza al contrario non sia accolta, nell’acquistare o locare un’abitazione in una sede diversa da quella in cui egli lavora: l’interesse a

2 FALZEA, voce Condizione, in Enciclopedia giuridica, Roma, 1988, pp. 2 ss.; FALZEA, La

condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, pp. 8 ss..

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non correre detto rischio è, per l’appunto, l’interesse esterno di cui prima parlavamo e che un contratto di compravendita o di locazione non condizionato non può certamente soddisfare; l’unico modo per contemperare entrambe le esigenze, apparentemente inconciliabili, è costituito dall’inserimento nel contratto di una condizione che subordini, nel caso di specie in via sospensiva, l’efficacia del contratto al fatto futuro ed incerto del trasferimento. L’interesse esterno, come si deduce anche dall’esempio fatto, è giudicato dalla parte prevalente rispetto a quello interno, poiché nel caso di conflitto tra di essi quello interno è destinato inevitabilmente a soccombere; tanto è vero che qualora la condizione non si verifichi i suoi effetti non iniziano -e non inizieranno mai- a prodursi (in caso di condizione sospensiva), oppure cesseranno di prodursi e quelli già prodotti subiranno una rimozione giuridica per quanto concretamente possibile (in caso di condizione risolutiva). Tornando all’esempio sopra esposto, la parte, prevedendo la clausola condizionale, ha già risolto negativamente il giudizio di convenienza in ordine alla possibilità di avere un’abitazione presso una sede diversa da quella in cui egli lavora, nell’eventualità di mancato accoglimento della domanda di trasferimento. In altri termini “la realizzazione degli interessi per i quali è predisposto il

programma è voluta solo se non sopravvengono altri interessi ritenuti dal

dichiarante così prevalenti e incompatibili con gli interessi del programma da

esigere la contemporanea costituzione di un controprogramma che valga a

preservarli”.3 L’estrinsecità sostanziale della norma, esposta sopra, è seguita da quella strutturale, poiché, proprio dal punto di vista degli elementi costitutivi della fattispecie legale, è possibile distinguere tra dichiarazione principale, clausola condizionale e dichiarazione complessiva che, da sola, è idonea a soddisfare l’intero assetto di molteplici e contrastanti interessi di cui è titolare la parte contrattuale. Proprio su queste basi numerosi autori 4 hanno escluso l’ammissibilità della condizione (sospensiva) di adempimento e (risolutiva) di inadempimento, sostenendo come in tali casi, pur essendo qualificabile l’evento quale futuro ed incerto, manchino tuttavia in esso i requisiti, sopra descritti, dell’accidentalità e dell’estrinsecità. In primo luogo la condizione difetterebbe di accidentalità in quanto, deducendo in essa il comportamento contrattualmente dovuto -positivamente o negativamente considerato- verrebbe meno un elemento essenziale del contratto ex art.1325 c.c., ovvero la causa del contratto, senza il quale il contratto è destinato inesorabilmente ad essere nullo ex art.1418 c.c.. Né l’autonomia contrattuale ex art.1322 c.c. potrebbe mai essere tale da autorizzare i privati a tramutare un elemento essenziale, quale l’adempimento, in elemento accidentale, poiché comunque la libertà dei privati, come precisa la

3 FALZEA, voce Condizione, cit., p. 2. 4 SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, p. 199; C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 1999, pp. 544 ss.; FUSCO, L’adempimento come condizione del contratto, in Vita Notarile, 1983, I, pp. 304 ss; ID., Ancora in tema di adempimento come condizione, in Vita Notarile, 1984, pp. 291 ss.; CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, p. 213; SMIROLDO, Condizione unilaterale di vendita o preliminare di vendita immobiliare collegata al

rilascio della licenza edilizia, nota a Trib. Verona, 2 gennaio 1975, in Giur. it., 1976, I, 2, p. 571; BARASSI, Teoria generale delle obbligazioni, II, sec. ed., ristampa, Milano, 1964, pp. 166 ss.; GAZZARA, in La vendita obbligatoria, Milano, 1957, pp. 58 ss.; PELOSI, La proprietà risolubile

nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975, pp. 217 ss.; CASTIGLIA, Promesse unilaterali

atipiche, in Riv. dir. comm., 1983, I, pp. 375 ss.; AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, p. 96.

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medesima norma appena citata, trova un limite invalicabile nelle disposizioni inderogabili stabilite dall’ordinamento, tra cui rientra certamente l’art.1418 c.c. che espressamente stabilisce la nullità del contratto per difetto di causa; valendo ciò non solo con riferimento ai contratti tipici, ma anche relativamente a quelli innominati, i quali, pur non essendo soggetti ad una disciplina legale apposita, sono comunque sottoposti a quella generale dei contratti per espressa previsione dell’art.1323 c.c.. In sostanza, secondo l’orientamento in esame, dedurre l’adempimento o l’inadempimento in condizione porterebbe a conseguenze incongruenti quale la libertà della parte di decidere se adempiere o meno: qualunque sia infatti la deliberazione, essa sarà sempre immune da responsabilità c.d. contrattuale ex art.1218 c.c. poiché è noto che il mancato avveramento della condizione sospensiva, o il verificarsi della condizione risolutiva, non comportano risultati diversi dall’inefficacia del contratto, rispettivamente definitiva o sopravvenuta. Tutto ciò contrasterebbe con la necessità della causa del contratto quale suo elemento essenziale, nonché con lo stesso divieto contemplato dall’art. 1355 c.c..5 Non tutti da queste considerazioni fanno discendere inevitabilmente la nullità del contratto, in quanto alcuni, premettendo che “non è giuridicamente dovuto ciò che

può essere omesso senza responsabilità alcuna”, qualificano il fenomeno quale patto di opzione, laddove la parte del cui adempimento si tratta “è arbitra della

sorte del contratto”.6 Peraltro non mancano neppure opinioni 7 che fanno discendere l’assenza del requisito dell’accidentalità dalla mancanza non della causa, quanto invece di un altro elemento essenziale del contratto ex art. 1325 c.c., quale il suo oggetto: si afferma infatti che, costituendo la prestazione oggetto del contratto, la sua deduzione in condizione priverebbe il negozio del requisito di cui all’art. 1346 c.c.. In secondo luogo, il fenomeno giuridico in parola difetterebbe anche del requisito dell’estrinsecità, atteso che mediante la clausola in questione le parti mirerebbero a realizzare interessi non dissimili da quelli che le parti perseguono attraverso l’attuazione del c.d. schema puro. In particolar modo, si afferma, deducendo l’inadempimento in condizione risolutiva la parte persegue l’interesse allo scioglimento del contratto il cui regolamento negoziale è stato disatteso ex adverso; interesse tuttavia già tutelato dalle norme sulla risoluzione del contratto per inadempimento ex art.1453 c.c. ss. che intervengono in caso di difetto sopravvenuto della causa del contratto, atteso che il rapporto sinallagmatico intercorrente tra le prestazioni deve, come noto, permanere non solo in fase di formazione del contratto, ma anche in fase di esecuzione e svolgimento del rapporto contrattuale. Non ci sarebbe così un interesse esterno non suscettibile di essere protetto e tutelato col semplice ausilio dello strumento normativo predisposto dal legislatore e da qui la mancanza anche del carattere di estrinsecità. In particolar modo si fa notare che l’effetto della risoluzione ipso iure può essere ottenuto dalla parte attraverso l’inserimento di una clausola risolutiva espressa ex art.1456 c.c.. Proprio a tal ultimo proposito alcuni8 hanno messo in evidenza che effettivamente una differenza tra la condizione di inadempimento (risolutiva) ed il meccanismo

5 In particolar modo sostiene la natura meramente potestativa della condizione sospensiva di adempimento AULETTA, op. e loc. cit., e BOCCHINI, La vendita di cose mobili, Milano, 1994, p. 297. 6 C.M. BIANCA, op. e loc. cit.. 7 GALGANO, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 128. 8 COSTANZA, Della condizione del contratto, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, artt. 1353-1361, 1997, pp. 5 ss., la quale però, pur respingendo l’ammissibilità della condizione di adempimento risolutiva per le ragioni di cui in narrativa, afferma il contrario con riferimento alla

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ora menzionato vi sarebbe, e consiste nella retroattività soltanto obbligatoria di quest’ultimo contro la retroattività invece reale tipica del fenomeno condizionale: in altri termini mentre ai fini dell’opponibilità ai terzi del carattere condizionato del contratto basta che esso sia trascritto come tale, la risoluzione del contratto travolge i diritti dei terzi soltanto qualora la domanda giudiziale sia trascritta prima che analogo adempimento pubblicitario sia eseguito dai terzi in ordine al loro acquisto. Tuttavia proprio tale differenza rappresenterebbe un argomento ulteriore contro l’ammissibilità della condizione di inadempimento, in quanto in virtù del principio di relatività del contratto ex art.1372 secondo comma, è precluso alle parti imporre l’efficacia del contratto -anche nel suo contenuto condizionato- a coloro i quali invece non ne hanno preso parte. Coloro i quali hanno posto in evidenza quest’ultimo ostacolo sostengono pertanto che, qualora le parti subordino l’efficacia del contratto ad una condizione risolutiva di inadempimento, detta clausola dovrebbe essere interpretata quale equivalente a quella espressamente prevista e disciplinata dall’art. 1456 c.c.. Ecco perché, è stato detto, il codice vigente, nel disciplinare la risoluzione del contratto, da un lato, ha ripudiato lo schema, accolto nel codice precedente, della condizione tacita risolutiva; dall’altro ha contemplato espressamente la clausola risolutiva espressa che esclude la retroattività reale tipica invece della condizione.9 Infine, l’ultima obiezione che viene mossa nei confronti del meccanismo in esame è rappresentata dall’assenza del requisito dell’incertezza nell’adempimento; requisito che necessariamente deve caratterizzare l’evento dedotto in condizione, ma di cui sarebbe sprovvisto l’adempimento in quanto, essendo giuridicamente dovuto, sarebbe conseguentemente certo il suo verificarsi.10 3. L’orientamento dottrinale favorevole Nonostante le obiezioni di cui sopra mosse da dottrina autorevole nei confronti dell’ammissibilità della condizione di adempimento, pare oggi dominare tra gli studiosi un’opinione decisamente diversa e ben più propensa ad ammettere il fenomeno giuridico in esame. In ordine al requisito dell’estrinsecità, recentemente è stato rilevato 11 che il soggetto che addivenga alla stipula di un contratto possa non voler impegnarsi ad eseguire la propria prestazione prima che la controparte non abbia eseguito la propria: questo interesse è soddisfatto nei contratti ad effetti obbligatori attraverso la stessa previsione, legale e convenzionale, di specifiche modalità e tempi rispettando i quali debbano essere eseguite le prestazioni; nonché attraverso il meccanismo dell’eccezione di inadempimento contemplato dall’art. 1460 c.c..

condizione sospensiva di adempimento (per le ragioni v. infra); nello stesso senso anche CASTIGLIA, op. cit., p. 376. 9 SANTORO PASSARELLI, op. e loc. cit.. 10 FERRARA-SANTAMARIA, La vendita a rate con riserva di proprietà, Napoli, 1938, pp. 63 ss; NUTI, Dogmatica e pratica della vendita con riserva di proprietà, in Riv. dir. comm., 1947, I, pp. 307 ss.; GORLA, Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, p. 384. 11 LENZI, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela - l’adempimento dedotto in

condizione, Milano, 1996, pp. 93 ss.; l’Autore specifica che analogo problema si presenta anche nell’ipotesi di c.d. contratti ad efficacia finale, quali ad esempio i negozi di attuazione, in cui l’interesse è soddisfatto sic et simpliciter con l’efficacia del negozio.

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Tuttavia nei contratti ad effetti reali per assecondare detta esigenza occorre superare l’ostacolo rappresentato dal principio consensualistico previsto dall’art.1376 c.c., che conduce al prodursi dell’effetto traslativo in virtù della sola espressione del consenso e quindi a prescindere dell’esecuzione della controprestazione. Proprio in questo caso può soccorrere all’uopo l’utilizzo del meccanismo condizionale, in particolar modo l’inserimento nel regolamento negoziale di una condizione sospensiva che, subordinando l’effetto traslativo all’esecuzione della prestazione da parte della controparte, viene a realizzare così una funzione di garanzia per la parte. Conferma dell’ammissibilità di una siffatta previsione sarebbe il carattere dispositivo dell’art. 1376 c.c., nonchè l’attitudine della condizione a fungere da mezzo di disapplicazione di norme derogabili. L’orientamento in parola corrobora ulteriormente l’opinione in esame ricorrendo altresì al concetto di autotutela12. L’autotutela, viene spiegato, comprende ogni ipotesi in cui ad un soggetto sia permesso di difendere un proprio interesse semplicemente tramite una propria attività stragiudiziale idonea a garantirne la conservazione: esempio tipico dello strumento de quo sarebbe rappresentata dall’eccezione di inadempimento ex art.1460 c.c., la quale tuttavia, per i motivi già esposti, si presenta inutilizzabile allorché si tratti di contratti ad efficacia reale. Dunque in quel caso potrebbero essere le parti, nell’esercizio della loro autonomia privata, al fine di ovviare al pericolo, cui è esposta una di esse, di perdere il proprio diritto senza ottenere l’attribuzione corrispettiva, a predisporre un atipico meccanismo di autotutela con l’inserimento nel regolamento negoziale della condizione sospensiva di adempimento. Né a ciò osterebbe la circostanza che, secondo opinione consolidata, gli strumenti di autotutela sono eccezionali e tipicamente previsti dalla legge, in quanto è proprio quest’ultima che offre ai privati la facoltà di utilizzare il meccanismo condizionale quale via per attribuire rilevanza ai motivi individuali. Con riferimento particolare all’ammissibilità della condizione risolutiva di inadempimento, tale orientamento13 pone invece in evidenza le divergenze che intercorrono tra la disciplina della risoluzione del contratto e quella della condizione per dimostrare come sia possibile che le parti, nel dedurre l’inadempimento in condizione risolutiva, mirino ad usufruire di alcune conseguenze che discendono dall’applicazione della disciplina della condizione e che sono estranee invece agli artt.1453 ss. c.c., ossia a) l’effetto risolutivo ipso

iure, che prescinde dal ricorso all’autorità giudiziaria e quindi da una pronuncia costitutiva di essa; b) la retroattività reale, vale a dire erga omnes, di cui abbiamo già detto nel paragrafo precedente e che si distingue da quella semplicemente obbligatoria inter partes sancita invece dal meccanismo della risoluzione del contratto ex art.1458 c.c..14 Si chiarisce altresì di essere ben consapevoli che, in virtù dell’applicazione della disciplina della condizione, la deduzione in condizione risolutiva dell’inadempimento conduce all’assenza di responsabilità ex art.1218 c.c. nell’ipotesi di verificarsi della condizione, ma a tal proposito si afferma che “non

può escludersi ed anzi appare niente affatto strano che l’interesse principale di

12 LENZI, op. cit., pp. 114 ss.. 13 LENZI, op. cit., pp. 84 ss.. 14 A tal proposito si veda anche MAIORCA, voce Condizione, in Digesto disc. civ., V, I, Torino, 1987, p. 277, che sostiene in particolar modo la maggiore efficacia della tutela approntata dal meccanismo condizionale rispetto a quella offerta dal sistema della clausola risolutiva espressa.

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una delle parti non sia tanto il risarcimento dei danni e l’esecuzione in forma

specifica bensì sia nel senso di liberarsi rapidamente da ogni vincolo contrattuale,

ritornando alla situazione precedente la conclusione del contratto senza che gli

effetti interinamente prodotti possano pregiudicare il proprio originario diritto.

Da un lato i tempi delle azioni giudiziali rispetto ad una soluzione automatica e

quindi rapida, dall’altro la maggior garanzia determinata dalla retroattività erga

omnes rispetto alla mera retroattività inter partes possono giustificare, anche

sotto un profilo logico, l’interesse di un contraente a perseguire le proprie

esigenze di tutela mediante l’adozione di una siffatta clausola condizionale in

luogo dei meccanismi risolutori tradizionali”; e ancora che “il modello legale

previsto dall’art.1456, adottato dall’ordinamento come quello più rispondente

all’interesse della parte non inadempiente, costituisce una scelta del legislatore

che non esclude una valutazione da parte dei contraenti e quindi l’adozione di un

regolamento negoziale che rafforzi l’operatività del meccanismo risolutivo,

privilegiando la tutela reale e la rapidità di attuazione rispetto alla tutela

risarcitoria”.15 In altri termini, secondo questa impostazione, in caso di inadempimento l’altra parte può preferire liberarsi a sua volta immediatamente da ogni impegno nei confronti della parte inadempiente e di qualsiasi soggetto che in virtù del negozio rimasto ineseguito abbia acquisito diritti, piuttosto che dare vita, al fine di ottenere l’adempimento oltre l’eventuale risarcimento del danno, ad una controversia giudiziale dai tempi, costi ed esiti incerti. L’autore peraltro qualifica la condizione di inadempimento quale unilaterale e come tale rinunziabile dal contraente nel cui interesse è posta, in modo tale da non privarlo necessariamente della tutela legale, che la parte rimarrebbe sempre libera di invocare abbandonando l’opzione del meccanismo condizionale. Ecco perché, sempre secondo l’opinione in esame, la condizione risolutiva di inadempimento è dotata del requisito dell’estrinsecità, “in quanto mediante tale

clausola i soggetti mirano alla realizzazione di interessi diversi, anche se solo

nelle modalità e nei tempi, e quindi esterni rispetto agli interessi la cui attuazione,

secondo lo schema puro, costituisce il sistema interno di interessi predisposto

dall’ordinamento”.16 Le obiezioni concernenti il requisito dell’accidentalità sono superate, invece, affermando che l’adempimento è dedotto in condizione come fatto storico e non come una previsione contrattuale e, in quanto tale, esso non incide sull’esistenza del negozio, bensì solamente sulla sua esecuzione: pertanto non ricorrerebbe difetto originario ex art.1418 c.c. né di causa -semmai solamente sopravvenuto, il che tuttavia nel nostro ordinamento, come noto, determina l’inefficacia del contratto e non la sua invalidità- né di oggetto.17 L’istituto della vendita con riserva di proprietà, si aggiunge a sostegno di quanto sopra, da questo punto di vista rappresenterebbe un tipico esempio di negozio condizionato sospensivamente in cui evento dedotto è proprio l’adempimento dell’acquirente18 , mentre lo studio della figura giuridica della vendita di cosa futura fornirebbe elementi utili all’indagine in questione in quanto negozio che, condizionato sospensivamente alla venuta ad esistenza della cosa intesa anch’essa

15 LENZI, op. cit., p. 96. 16 LENZI, op. cit., p. 19. 17 LENZI, op. cit., pp. 22 e 38; cfr. anche COSTANZA, op. e loc. cit., la quale, in ordine all’obiezione rappresentata dall’incompatibilità tra l’accidentalità della clausola condizionale e l’essenzialità della prestazione da adempiere, sostiene che essa possa essere agevolmente superata “sia

attraverso la distinzione fra prestazione e adempimento, sia rilevando che non tutte le prestazioni

contrattuali costituiscono elementi essenziali dell’atto”. 18 LENZI, op. cit., pp. 48 ss..

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come fatto storico, sarebbe completo fin dall’inizio essendo munito ab origine anche dell’oggetto ex art.1346 c.c..19 Sempre recentemente è stata sostenuta l’ammissibilità della condizione di adempimento contestando all’opinione contraria che, comunque si intenda il concetto di essenzialità, in ogni caso l’adempimento non può essere qualificato quale elemento essenziale del contratto. 20 Si afferma infatti che, qualora essenzialità volesse dire “tipicità”, allora la deduzione in condizione dell’adempimento determinerebbe soltanto l’atipicità del negozio e non la sua invalidità o inefficacia. Se invece il riferimento fosse ad un elemento necessario alla validità od esistenza del contratto, allora l’obiezione agevole sarebbe che il negozio inadempiuto non è invalido ma semmai solo inefficace. Se infine si facesse coincidere l’essenzialità con l’attitudine a rappresentare elemento imprescindibile per il permanere della logica regolamentare del programma negoziale, allora pure il requisito sarebbe soddisfatto perché, eliminando la condizione di adempimento, il contratto non verrebbe a perdere la propria compiutezza regolamentare. Ma un momento importante dell’orientamento in parola ci pare essere la comparazione tra il meccanismo delle c.d. vendite obbligatorie e quello della condizione di adempimento. L’autore sopra richiamato premette di concordare con chi ritiene che le vendite in questione non siano da annoverare tra i negozi condizionati21 , volendo però specificare che ciò trova la propria ragione non nel carattere doveroso del pagamento del prezzo (nella vendita con riserva di proprietà) o della venuta ad esistenza della cosa (nella vendita di cosa futura), quanto invece nella considerazione che in quelle ipotesi gli elementi sopra citati rivestono un ruolo inerente alla stessa struttura del contratto e dunque non esercitabile dalla condizione. Ma la circostanza -questo è il punto fondamentale- che in via eccezionale l’ordinamento faccia assurgere ad elementi costitutivi della fattispecie elementi che di regola non sono tali, non autorizza a ritenere che in via generale gli stessi debbano considerarsi sempre essenziali e quindi non deducibili mai in condizione. In altri termini l’adempimento nelle c.d. vendite obbligatorie è necessario al perfezionamento di una fattispecie tipica a formazione successiva, mentre al di fuori di quell’ambito, per i motivi già illustrati, la sua mancanza non impedisce il perfezionamento del contratto e dunque è liberamente deducibile in condizione dalle parti nell’esercizio della loro autonomia privata.22 Coloro che sostengono il contrario, sempre secondo l’opinione in esame, confondono il piano della previsione del regolamento con quello della sua esecuzione in concreto: anche in una vendita sottoposta alla condizione del pagamento del prezzo le parti prevedono che l’acquirente sia tenuto al versamento del corrispettivo; così il contratto risulta munito sia di una sua causa sia di un suo oggetto, mentre la circostanza che successivamente il comportamento della parte non sia conforme all’obbligo assunto non influisce minimamente sulla ricorrenza di quegli elementi richiesti dall’art.1325 c.c., a meno che si voglia confondere “il

19 LENZI, op. cit., pp. 24 ss., in particolar modo p. 31. 20 AMADIO, La condizione di inadempimento - contributo alla teoria del negozio condizionato, Padova, 1996, pp. 124 ss.. 21 In tal senso, di recente, ALCARO, Vendita con riserva della proprietà, nel Trattato dei contratti diretto da Rescigno e E. Gabrielli, Torino, 2007, Vol. VII, Tomo II, pp. 737 ss. ed in particolar modo pp. 746 ss.; v. anche GAZZARA, op. cit., p. 59. 22 V. sulla tematica GROSSI, L’interpretazione delle vendite obbligatorie in chiave condizionale:

rilievi critici e profili ricostruttivi, in quest’opera, Cap. 7.

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profilo statico dell’elemento essenziale alla struttura del rapporto” con il “profilo

dinamico del suo divenire”23. Peraltro, con particolare riferimento alla causa del contratto, viene definita come superata la tradizionale configurazione dell’inadempimento come difetto funzionale di causa, avendo la dottrina più attenta24 individuato il ruolo della causa del contratto nella tutela giuridica non dell’effettiva produzione degli effetti negoziali, bensì dell’astratta capacità del contratto a produrli al momento della sua stipula. Dopo aver chiarito che l’esecuzione, o l’inesecuzione, del contratto possono rappresentare l’evento futuro ed incerto dedotto in condizione in quanto dotati della caratteristica dell’accidentalità, l’attenzione dell’orientamento de quo si concentra nel dimostrare che, a prescindere dalla possibilità di utilizzare il meccanismo condizionale quale strumento di rafforzamento degli interessi interni,25 comunque “la condizione di inadempimento appare finalizzata a tutelare

un risultato (e quindi un intento) che tra quegli interessi non rientra”.26 Infatti, si spiega, l’interesse interno consiste nell’ottenere la prestazione, mentre è interesse esterno l’ottenere una ricomposizione qualitativa del patrimonio in seguito all’inadempimento, che è vero già soddisfatto dal meccanismo risolutorio, ma che è perseguito più efficacemente, per i motivi già visti sopra, attraverso l’inserimento di una condizione di inadempimento; in altri termini quest’ultima rafforza degli interessi, che però non sono interni, bensì esterni. Il fatto poi che sia la legge a prevedere il meccanismo risolutorio non è altro che la riprova, si conclude, dell’estraneità al regolamento negoziale dell’interesse perseguito.27 Infine, parimenti l’orientamento in esame contesta la presunta carenza nel fenomeno in parola dell’incertezza richiesta dall’art. 1353 c.c.: infatti “la

doverosità della prestazione, se intesa come necessità ideale, non elimina

l’incertezza della sua esecuzione spontanea, la quale, dal canto suo, rappresenta

l’evento autenticamente dedotto in condizione”.28

3.1 Segue: altre opinioni favorevoli Di recente, ancora, altri 29 hanno manifestato la propria ferma convinzione in ordine all’ammissibilità della condizione di adempimento/inadempimento, sia sulla base di argomenti analoghi a quelli sopra descritti, sia sulla base di ulteriori considerazioni che può essere utile ripercorrere sinteticamente. In particolare, in ordine alla condizione sospensiva di adempimento, è stata sostenuta la natura apparente del problema30, già accennato sopra, rappresentato dalla circostanza che nell’ambito di tale fenomeno il momento esecutivo precede quello dell’efficacia, al contrario di ciò che normalmente avviene: infatti il 23 Sono le parole di PERLINGIERI, Dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi

dall’adempimento, in Commentario Scialoja e Branca, Libro quarto, Delle obbligazioni (art-1230-1259), Bologna-Roma, 1975, sub art. 1256, p. 443. 24 GIORGIANNI, voce Causa, in Enc. del dir., Vol. VI, Milano, 1960, p. 553. 25 L’Autore si riferisce a LENZI, op. cit., pp. 114 ss., nella parte in cui attribuisce alla condizione di adempimento funzione di autotutela. 26 AMADIO, op. cit., p. 141-142. 27 AMADIO, op. cit., p. 306-308. 28 AMADIO, op. cit., pp. 84 ss.. 29 PETRELLI, La condizione, elemento essenziale del negozio giuridico, Milano, 2000, pp. 431 ss.. 30 Il problema in questione è stato sollevato in questi termini, da AULETTA, op. e loc. cit., e C.M. BIANCA, op. e loc. cit..

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debitore pone in essere un comportamento che non è dovuto, se è vero che prima dell’adempimento il contratto non è efficace e dunque non esiste alcun obbligo in capo al soggetto agente (da qui anche l’opinione per cui mancherebbe l’elemento causale del negozio). Orbene, a tal proposito, viene preliminarmente osservato che questo problema è inesistente allorché non tutto il contratto sia condizionato, bensì esclusivamente la sua efficacia traslativa; in tal caso infatti l’obbligo di eseguire il pagamento del prezzo esiste già prima dell’adempimento e la sua violazione determina l’inefficacia definitiva del contratto limitatamente al trasferimento del diritto, che a sua volta produce l’inefficacia sopravvenuta di tutto il resto del negozio in conseguenza del rapporto sinallagmatico intercorrente tra le prestazioni. Ma anche ove fosse subordinata all’adempimento l’efficacia di tutto il contratto, il problema si rivelerebbe, come appunto dicevamo, apparente, poiché in realtà il nostro ordinamento già prevede una serie di tipiche ipotesi in cui il momento dell’esecuzione sembra precedere quello dell’efficacia: a dimostrazione di ciò vengono citati i negozi di attuazione, la convalida tacita del negozio annullabile, l’accettazione tacita dell’eredità, la revoca del testamento mediante distruzione della scheda olografa o alienazione/trasformazione della cosa legata, il versamento di 1/3 dei conferimenti in denaro nelle società di capitali, la restituzione del prezzo quale presupposto dell’efficacia traslativa della dichiarazione di riscatto ed il contratto preliminare ad esecuzione anticipata. In tutti questi casi, prosegue l’orientamento in esame31, in verità “è ravvisabile,

nel medesimo comportamento, un valore programmatico e, quindi, la nascita

dell’effetto un istante logico anteriore alla realizzazione dell’interesse mediante

esecuzione”; in altri termini l’efficacia precede comunque l’esecuzione, quantomeno da un punto di vista logico, e ciò avverrebbe anche nell’ipotesi della condizione di adempimento, come comprovato dalla titolarità dell’alienante di numerosi e particolarmente incisivi poteri conservativi esercitabili durante la fase di pendenza e che non potrebbero sorgere ove il comportamento dell’acquirente sub condicione non fosse qualificabile come obbligatorio già prima della sua concreta realizzazione: “non sarebbe certo ipotizzabile un sequestro conservativo

o un’azione revocatoria, né tantomeno l’iscrizione di ipoteca sui beni

dell’acquirente”, senza dimenticare la disciplina della finzione di avveramento, per effetto della quale è possibile ottenere risoluzione e risarcimento del danno, il che “postula evidentemente una realtà obbligatoria (sia pure in fase prodromica)

in atto esistente”.32 A corroborazione definitiva di tale assunto vengono infine citate una serie di ipotesi legislative, o comunque pacificamente ammesse dalla giurisprudenza, in cui l’attuazione di una prestazione sinallagmatica viene subordinata all’esecuzione dell’altra, quali l’acquisto a seguito dell’esercizio della prelazione agraria -che, ex art.8 L. 1965 n.590, è sospensivamente condizionato al pagamento del prezzo- la vendita con riserva di proprietà ed il pagamento del prezzo da parte dell’acquirente che condiziona le sentenze di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre. In ordine alla condizione risolutiva di inadempimento, gli stessi, di fronte all’obiezione che essa renderebbe sostanzialmente impossibile l’applicazione della disciplina della risoluzione per inadempimento33, si preoccupano di precisare da un lato la natura disponibile -dimostrata dal suo carattere alternativo rispetto alla pretesa di adempimento- del rimedio risolutorio, cui la parte adempiente ben

31 PETRELLI, op. e loc. cit.. 32 PETRELLI, op. e loc. cit.. 33 Obiezione sollevata da SANTORO PASSARELLI, op. e loc. cit..

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potrebbe rinunciare anche preventivamente; dall’altro lato, anch’essi, la natura unilaterale della condizione di inadempimento, da cui deriva la facoltà per la parte di rinunciare al meccanismo condizionale, con conseguente applicazione di quello risolutorio. Tuttavia -prosegue il pensiero in esame- anche laddove non si concordasse con quanto sopra, comunque ben potrebbe configurarsi un evento condizionale complesso, rappresentato cioè sia dall’inadempimento, sia dal mancato esercizio delle azioni ex artt. 1453 ss. c.c.., il che rimetterebbe ancora una volta alla parte interessata il potere di scegliere tra la tutela offerta dal meccanismo condizionale e quella invece approntata dal meccanismo risolutorio. In relazione all’efficacia della risoluzione nei confronti dei terzi34, la costruzione in parola si limita infine a ribadire le ragioni che giustificano la diversità di disciplina che intercorre tra lo schema delineato dall’art.1458 comma 2 c.c. e quello ex art. 1357 c.c.: nel primo caso esiste la necessità di tutelare l’affidamento dei terzi, in quanto il contratto appariva quale definitivamente efficace, mentre la sopravvenuta efficacia dipende esclusivamente dall’aprirsi di una fase patologica; nel secondo invece l’esigenza in questione manca perché i terzi sono avvertiti della natura condizionata del negozio e conseguentemente della circostanza che la sua efficacia definitiva dipende dal verificarsi o meno di un evento per sua natura incerto. In conclusione “l’elasticità del meccanismo condizionale consente una pluralità

di modalità operative, dalla condizione sospensiva alla risolutiva, dal

condizionamento globale dell’efficacia contrattuale all’apposizione della

condizione alla sola prestazione traslativa, diversamente graduabili in base alla

consistenza degli interessi in gioco, e dimostratesi maggiormente idonee, sia sotto

il profilo sostanziale che -con particolar riferimento alla condizione sospensiva-

sotto quello fiscale, di altre forme di garanzia previste dal codice, quali la vendita

con riserva di proprietà e l’ipoteca legale” 35. L’opinione favorevole all’ammissibilità del fenomeno giuridico in parola non è stata espressa solo recentemente, bensì trova sostenitori autorevoli anche in chi36, già tempo addietro, ebbe a ritenere preferibile la tesi che ravvisa nella distinzione tra momento programmatico e momento esecutivo nella dinamica del contratto l’argomento principale per superare ogni obiezione concernente la pretesa assenza di causa nella compravendita condizionata al pagamento del prezzo. In altri termini è l’obbligo di eseguire la prestazione a non poter essere dedotto, mentre la sua concreta esecuzione rappresenterebbe invece un perfetto esempio di evento futuro ed incerto deducibile in condizione.

34 In relazione a ciò ha sostenuto l’inammissibilità della condizione risolutiva di inadempimento per violazione del principio di relatività del contratto ex art. 1372 c.c. COSTANZA, op. e loc. cit., v. sopra nota 5. 35 PETRELLI, op. e loc. cit., che afferma ciò anche alla luce di quanto sopra e della circostanza che il trasferimento di un bene sospensivamente condizionato all’adempimento sconta, al momento della conclusione del contratto, solamente in misura fissa l’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, essendo rinviata al momento dell’avveramento della condizione l’applicazione in misura proporzionale ex artt. 27 e 19 D.P.R. 1986 n.131 ed ex art. 13 D.Lgs. 1990 n.347, nonché dell’imposta sul valore aggiunto (art.6, primo comma, D.P.R. 1972 n. 633) e dell’imposta sull’incremento di valore degli immobili (art. 31 D.P.R. 1972 n. 643); l’Autore rileva inoltre che, in quanto potestativa e non meramente potestativa, la condizione di adempimento non è esclusa dall’applicazione delle disposizioni citate in narrativa. 36 CAPOZZI, Dei singoli contratti, Vol. I, Milano, 1988, p. 37-38; nello stesso senso MARMOCCHI, Della condizione di adempimento della prestazione, in Riv. not., 1983, pp. 482 ss.; LENZI, In tema

di adempimento come condizione: ammissibilità, qualificazione e disciplina, in Riv. not., 1986, pp. 87 ss..

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Qualora ciò avvenisse, anche la costruzione in esame sostiene che il creditore non verrebbe a perdere neppure la possibilità di chiedere l’adempimento ed il risarcimento del danno, poiché la condizione, in quanto unilaterale, sarebbe inserita nel contratto nel suo interesse esclusivo e ad essa egli potrebbe ben rinunciare. Contemporaneamente diversa dottrina37, altrettanto autorevole, si preoccupava di precisare la natura potestativa, ma non meramente potestativa, della condizione de

qua, attesa, da un lato, l’apprezzabile valutazione di convenienza che l’acquirente pone in essere nel decidere se scegliere o meno di eseguire la prestazione dovuta, consapevole che nel secondo caso verrebbe inesorabilmente a subire l’inefficacia del contratto; dall’altro la meritevolezza di tutela anche dell’interesse del venditore ad usufruire di un meccanismo che elimina la necessità di esperire azioni giudiziarie in caso di inadempimento. Infine altri,38 ancor prima, affermarono che, nonostante gli argomenti contrari alla condizione di adempimento siano da considerarsi seri, comunque non possa escludersi che il meccanismo condizionale sia utilizzato non per il perseguimento di interessi esterni, bensì unicamente per rafforzare quelli interni, poiché l’essenza dell’istituto in parola è quello di stabilire la prevalenza o subordinazione di alcuni interessi rispetto ad altri, indipendentemente dalla loro specie. Né, concludono gli stessi, ciò alterebbe lo schema causale dell’operazione negoziale, in quanto significherebbe solo che “la tutela giuridica (della

realizzazione) di tali interessi, anziché essere affidata per es. allo strumento

dell’obbligo, risulta invece affidata all’operare della condizione”. 4. L'orientamento giurisprudenziale contrario Un primo filone giurisprudenziale39 si occupò, come accennato all'inizio della nostra indagine, di negare l'ammissibilità della condizione tacita di adempimento, vale a dire di contrastare l'idea che una prestazione stabilita dal regolamento negoziale a carico di una delle parti possa essere qualificata, pur in assenza di una previsione espressa in tal senso, quale evento dedotto in condizione, sia che si tratti di prestazione principale sia che si tratti di prestazione accessoria: in entrambi i casi, questa la motivazione addotta più diffusamente dalla S.C., essa costituisce semplicemente il corrispettivo rispetto a quanto ricevuto ex adverso

dalla parte obbligata nell'ambito di un rapporto sinallagmatico in cui proprio lo scambio delle prestazioni rappresenta la causa del contratto; in caso di inadempimento ne deriva che la disciplina applicabile non sarà quella tipica del meccanismo condizionale, bensì quella appositamente prevista dal codice civile del 1942 della risoluzione del contratto che, come noto, fa salvo l'obbligo di risarcimento del danno. In particolar modo una delle pronunce in parola40 ebbe ad oggetto una fattispecie caratterizzata dalla presenza di un contratto preliminare in cui a carico delle parti era previsto, oltre ovviamente al dovere di stipulare il contratto definitivo secondo le condizioni prestabilite, l'obbligo di pagamento immediato del prezzo da parte

37 GALGANO, op. cit., p. 144. 38 DI MAJO, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, p. 177-180. 39 CASS., 24 febbraio 1950, n. 433, inedita; CASS., 10 luglio 1954, n. 2446, loc. cit.; CASS., 15 ottobre 1957, n. 3848, in Rep. Foro it., 1957, 1726; CASS., 21 dicembre 1962, n. 3398, in Foro it., 1963, I, 545; CASS., 7 marzo 1966, n. 649, in Mass. Foro it., 1966, 218; CASS., 3 gennaio 1970, n. 8, in Foro it., 1970, I, 1488, in Giust. civ., 1970, I, 166. 40 CASS., 7 marzo 1966, n. 649, loc. cit..

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del compratore, nonchè quello gravante sull'alienante di ottenere dall'autorità amministrativa il cambio di destinazione urbanistica ancora prima della stipula del definitivo: ebbene, in quella occasione, la S.C., pretendendosi di interpretare siffatte prestazioni quali eventi dedotti in condizione sospensiva al cui verificarsi era subordinata l'efficacia del contratto preliminare, affermò che ciò non era possibile in quanto si trattava di elementi essenziali del negozio giuridico e specialmente dell'obbligazione principale del compratore e di quella accessoria gravante sul venditore. Non rileva cioè, secondo l'orientamento in esame, che la prestazione prevista nel contratto non sia caratterizzante il tipo negoziale adottato, che essa non sia principale ma accessoria: in ogni caso l'interprete non può ravvisare la presenza di una condizione tacita di adempimento. Un secondo filone 41 mostra invece di voler nettamente distinguere tra prestazioni principali e prestazioni accessorie, in modo da tale da ritenere che le seconde possano costituire eventi dedotti in altrettante condizioni tacite di adempimento: a tale conclusione la S.C. giunge indirettamente, ossia ribadendo l'inammissibilità della condizione tacita di adempimento, ma precisando questa volta che ciò vale solo qualora la prestazione sia principale. Così, affrontando una fattispecie 42 relativa ad una transazione -tramite la quale le parti erano addivenute alla risoluzione amichevole di una controversia avente ad oggetto l'esecuzione di un contratto di appalto- che si pretendeva essere sottoposta alla condizione sospensiva che tutti gli obblighi ivi previsti fossero adempiuti, la Cassazione ebbe a precisare che ciò non poteva ammettersi essendo l'elemento caratterizzante del contratto di transazione proprio la circostanza che le parti si concedono reciprocamente delle rinunzie rispetto alle proprie opposte ed originarie pretese: una conclusione diversa sarebbe, secondo la S.C., basata su di un criterio "giuridicamente erroneo, perchè confonde la natura giuridica della

condizione, elemento accidentale del negozio, con la prestazione che costituisce

l'oggetto necessario del negozio stesso". Medesime considerazioni sono alla base anche di una successiva pronuncia della nostra giurisprudenza di legittimità 43 , la quale, di fronte ad una clausola interpretata quale condizione risolutiva di inadempimento, ha ribadito l'inconciliabilità tra meccanismo condizionale e prestazioni principali, giungendo a ritenere la condizione in esame quale impossibile giuridicamente e dunque da considerarsi come non apposta ex art. 1354 c.c.: dunque, questa volta, la S.C. non rifiuta l'idea che le parti abbiano voluto dedurre in condizione l'inadempimento, bensì ne prende atto, ma, allo stesso tempo, "boccia" questa previsione catalogandola come impossibile giuridicamente. Nel caso di specie le parti conclusero un contratto di cessione avente ad oggetto la posizione di promissario acquirente di un complesso immobiliare, stabilendo altresì che la somma corrisposta dal cessionario fosse posta in deposito presso un istituto bancario e svincolata solo al momento della consegna da parte del cedente di una determinata concessione edilizia necessaria per l'ampliamento del complesso immobiliare in questione: nonostante si trattasse di una prestazione evidentemente accessoria la Cassazione, come detto, affermò che "nella cessione

di un contratto a titolo oneroso la condizione risolutiva, cui sia assoggettata

l'obbligazione del cessionario relativa al pagamento del prezzo, costituendo tale

obbligazione elemento costitutivo del contratto, è inconciliabile con la causa di

41 CASS., 20 ottobre 1972, n. 3154, in Foro it., 1973, I, 1664 ss., in Giur. it., 1973, I, 1, 1068; CASS., 14 febbraio 1975, n. 566, in Mass. Foro it., 1975. 42 CASS., 20 ottobre 1972, n. 3154, loc. cit.. 43 CASS., 24 giugno 1993, n. 7007, in Giur. it., 1994, I, 1, 902.

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detto negozio, con la conseguenza che va ritenuta impossibile ai sensi dell'art.

1354 c.c. e, quindi, come non apposta” e che “l'obbligazione con la quale chi cede

la posizione di promissario acquirente si impegna a conseguire una concessione

edilizia, integra gli estremi del mandato "in rem propriam" quando il pagamento

del prezzo della cessione medesima sia condizionato al rilascio di tale

concessione. Essendo il prezzo elemento essenziale del contratto di cessione, deve

conseguentemente ritenersi come non apposta ai sensi dell'art. 1354 comma 2 c.c.

la clausola con cui la corresponsione del prezzo viene dalle parti condizionata al

rilascio di una concessione edilizia”. Infine è da segnalare che nel panorama giurisprudenziale contrario all'ammissibilità della condizione di adempimento è possibile riscontrare anche un ulteriore argomento utilizzato dalla S.C. a fondamento della propria posizione, ossia la mancanza del requisito dell'incertezza: nel caso di specie 44 era stato stipulato un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto un terreno edificabile e subordinata l'efficacia del contratto all'ottenimento da parte della società promissaria acquirente di sufficienti finanziamenti bancari; si trattava di stabilire dunque se il conseguimento del finanziamento rappresentasse evento dedotto in condizione oppure se l'attività necessaria al raggiungimento di tale risultato costituisse oggetto di un'obbligazione di facere assunta dalla promissaria acquirente La Cassazione in tale occasione affermò che la prestazione a carico di una delle parti non può essere oggetto di condizione a causa del suo carattere di doverosità che la contraddistingue; in altri termini, indipendentemente dal fatto che essa in concreto sia eseguita o meno, quantomeno dal punto di vista giuridico, è certo che essa sarà eseguita e dunque difetta, come detto, il requisito dell'incertezza, atteso che l'evento dedotto in condizione deve essere, come noto, futuro ed incerto (laddove l'incertezza implica l'impossibilità per alcuna delle parti di prevedere ragionevolmente il verificarsi o meno della condizione). 5. L'orientamento giurisprudenziale favorevole Se, come abbiamo visto, la S.C. ha adottato un orientamento piuttosto restrittivo di fronte a fattispecie in cui le parti non avevano inserito espressamente la condizione in parola nel regolamento negoziale, allorchè invece la prassi contrattuale ha visto crescere significativamente il numero dei casi in cui al contrario ciò avveniva, l’atteggiamento della giurisprudenza di legittimità è radicalmente mutato ponendo in essere aperture per certi versi sorprendenti. Prendendo le mosse dalle stesse conclusioni cui era giunta in tema di condizione tacita, e senza smentirle sotto alcun profilo, la Cassazione ha infatti confermato il convincimento precedentemente espresso per cui una prestazione principale non può essere considerata di per sé evento dedotto in condizione di adempimento/inadempimento, aggiungendo tuttavia che, qualora le parti la deducano ex professo quale evento al cui verificarsi è subordinata l’efficacia del contratto, il potere di autonomia contrattuale stabilito a loro favore dall’art. 1322 c.c., suscettibile di affievolimento esclusivamente di fronte a norme inderogabili dell’ordinamento, fa sì che detta previsione debba considerarsi pienamente valida45.

44 CASS., 5 gennaio 1983, n. 9, in Giust. civ., 1983, I, 1524 ss.. 45 Si vedano in questo senso CASS., 8 febbraio 1963, n. 226, in Foro it., Rep. 1963, voce Obbligazioni e contratti, n. 166; CASS., 7 marzo 1966, n. 649, in Giust. civ., Rep. 1966, voce

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In particolar modo con una fondamentale sentenza del 197546 la S.C. ebbe a pronunciarsi su di una permuta avente ad oggetto la proprietà di un terreno edificabile da un lato, e la proprietà di alcuni immobili che la parte acquirente si obbligava a costruirvi dall’altro; in tale occasione è stato affermato che “il

principio dell’autonomia negoziale importa che le parti, salvo il rispetto di norme

imperative, possono non solo stipulare contratti atipici, ma, pur nell’ambito di un

contratto tipico, modificare il regolamento dei propri interessi secondo l’assetto

che ritengano più opportuno”. La Cassazione tentò altresì in quella circostanza di fornire all’operatore una disciplina concreta applicabile, cercando di ovviare alle possibili interferenze tra meccanismo risolutorio ex artt. 1453 ss. e quello condizionale; si stabilì infatti la possibilità per il soggetto legittimato di domandare alternativamente la risoluzione oppure l’accertamento del mancato verificarsi della condizione, nonché la possibilità di domandare la risoluzione sia in pendenza della condizione -cioè per violazione di obblighi contrattuali distinti da quelli dedotti in condizione- sia dopo il suo mancato avverarsi -vale a dire in conseguenza della mancata esecuzione proprio della prestazione dedotta in condizione-. Tale “abbozzo” di disciplina è il frutto dell’idea, espressa nella stessa sentenza in parola, per cui, una volta dedotta una prestazione principale in condizione, essa non cessa di costituire oggetto di un’obbligazione contrattualmente assunta quale corrispettivo di una controprestazione, ma oltre a ciò viene anche a rappresentare, per espressa previsione delle parti, evento condizionante: ne deriva inevitabilmente che sia la disciplina ordinaria della risoluzione del contratto sia quella ex artt. 1353 ss. c.c. sono liberamente applicabili dalle parti. La sentenza del 1975 di cui sopra è stata poi alla base di successive pronunce che hanno confermato l’orientamento appena esposto47 , avendo modo di specificare altresì che, in mancanza di una previsione espressa della condizione di adempimento, l’interprete è tenuto, attraverso l’applicazione dei canoni contemplati dagli artt. 1362 ss. c.c., ad indagare in ordine all’esistenza di una volontà implicita delle parti di dedurre l’adempimento/inadempimento in condizione. 48

Obbligazioni e contratti, n. 159; CASS., 8 novembre 1967, n. 2701, in Mass. Giust. civ., 1967, 1402; CASS., 10 ottobre 1975, n. 3229, in Riv. legisl. fisc., 1976, p. 258; CASS., 9 maggio 1977, n. 1767, e CASS., 10 maggio 1977, n. 1805, entrambe in Giur. It., 1977, I, 1, c. 1259 ss.; CASS., 29 settembre 1977, n. 4159, in Giust. civ., 1978, I, 526 ss.; CASS., 17 gennaio 1978, n. 192, in Mass.

Giust. civ., 1978, 78; CASS., 9 dicembre 1982, n. 6713, in Mass. Giust. civ., 1982, 2770; CASS., 16 febbraio 1983, n. 1181, in Riv. not., 1983, 481 ss.; CASS., 24 febbraio 1983, n. 1432, in Mass. Giur.

It., 1983, c. 374; CASS., 9 aprile 1983, n. 2529, in Mass. Giust. Civ., 1983, 892 ss.; CASS., 8 agosto 1990, n. 8051, in Foro it., Rep. 1990, voce Contratto in genere, n. 256; CASS., 12 ottobre 1993, n. 10074, in Mass. Giust. civ., 1993, 1461; CASS., 3 marzo 1997, n. 1842, in Corriere giur., 1997, 1102 ss.; CASS., 8 aprile 1999, n. 3415, in Notariato, 1999, 407. 46 CASS., 10 ottobre 1975, n. 3229, in Riv. legisl. fisc., 1976, 258. 47 CASS., 16 febbraio 1983, n. 1181, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 2, Riv. notariato 1983, 481. 48 CASS., 8 agosto 1990, n. 8051, in Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 8, in cui è stato affermato che “per quanto la condizione costituisca di regola un elemento accidentale del negozio giuridico,

come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente previsti per ciascun contratto tipico

dalle rispettive norme, tuttavia, in forza del principio generale della autonomia contrattuale

previsto all'art. 1322 c.c. - dal quale deriva il potere delle parti di determinare liberamente, entro

i limiti imposti dalla legge, il contenuto del contratto anche in ordine alla rilevanza attribuita

all'uno piuttosto che all'altro degli elementi costitutivi della fattispecie astrattamente disciplinata -

i contraenti possono prevedere validamente come evento condizionante (in senso sospensivo o

risolutivo dell'efficacia) il concreto adempimento (o inadempimento) di una delle obbligazioni

principali del contratto; con la conseguenza in tal caso che, ove insorga controversia sulla

esistenza ed effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla parte

che la deduca a sostegno della propria pretesa fornire la prova ed al giudice del merito compiere

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Più recentemente la S.C. ha confermato ulteriormente l’ammissibilità della clausola de qua, provvedendo tuttavia a spiegare il fenomeno giuridico in esame ricorrendo ad un altro istituto, quale segnatamente il recesso convenzionale disciplinato dall’art. 1373 c.c.. La sentenza in parola49, infatti, da un lato conferma l’assunto per cui l’autonomia dei privati consente agli stessi di dedurre in condizione l’inadempimento, dall’altro, equiparando detta condizione risolutiva al recesso, esclude ogni responsabilità ex art. 1218 c.c. in caso di mancato avveramento della condizione risolutiva di inadempimento, apportando dunque una novità assai significativa rispetto alle precedenti pronunce. Peraltro nello stesso anno la S.C., esaminando una fattispecie caratterizzata da contratto di vendita di azioni di società nel quale il cessionario si era impegnato a far conseguire ai cedenti la liberazione dalle fideiussioni prestate verso la società per debiti sociali, ha provveduto altresì a rigettare il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva interpretato la clausola in questione quale condizionante in via sospensiva l'effetto traslativo dei titoli, atteso che “la

previsione di una prestazione contrattuale come condizione sospensiva è

ammissibile nei contratti ad effetti reali, come la compravendita, potendo questa,

come qualunque contratto ad effetti reali, non spiegare gli effetti suoi propri sino

a quando non sia realizzata la condizione sospensiva prevista”.50 In sostanza se ne deduce che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il potere di autonomia dei privati, laddove esercitato per fini meritevoli di tutela, è tale da derogare ad ogni norma avente carattere non imperativo, tra cui anche l’art. 1376 c.c. nella parte in cui prevede l’efficacia reale immediata di ogni contratto traslativo sulla base del semplice consenso legittimamente manifestato. Assai recentemente, infine, la S.C. ha consolidato l’orientamento in esame e precisato ulteriormente che peraltro l’assenza di responsabilità ex art. 1218 c.c. non è una caratteristica inevitabile del fenomeno giuridico in parola, poiché se l’elemento accidentale de qua è inserito nel regolamento negoziale esclusivamente nell’interesse di una delle parti -che questo sia previsto espressamente o risulti implicitamente- la parte in questione può rinunciare all’applicazione del meccanismo condizionale ed invocare la responsabilità contrattuale determinata ex adverso.

51 Nella specie, è stato ritenuto che configurasse una condizione risolutiva, e non una clausola risolutiva espressa, la pattuizione con cui le parti avevano previsto, nell'interesse esclusivo del vitaliziato, la risoluzione del contratto di rendita vitalizia nel caso di mancato pagamento da parte del vitaliziante di due rate.

una approfondita indagine per accertare la volontà dei contraenti”; v. anche CASS., 12 ottobre 1993, n. 10074, in Giust. civ. Mass. 1993, 1461 (s.m.). 49 CASS., 24 novembre 2003, n. 17859, in Giust. civ. Mass. 2003, 11, in cui è stato stabilito che “poiché le parti possono, nell'ambito dell'autonomia privata, prevedere l'adempimento o

l'inadempimento di una di esse quale evento condizionante l'efficacia del contratto sia in senso

sospensivo che risolutivo, non configura una illegittima condizione meramente potestativa la

pattuizione che fa dipendere dal comportamento - adempiente o meno - della parte l'effetto

risolutivo del negozio, e ciò non solo per l'efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi

dell'evento dedotto in condizione ma anche perché tale clausola, in quanto attribuisce il diritto di

recesso unilaterale dal contratto - il cui esercizio è rimesso a una valutazione ponderata degli

interessi della stessa parte - non subordina l'efficacia del contratto a una scelta meramente

arbitraria della parte medesima. Ne consegue che l'avveramento della condizione di fatto non

costituisce atto illecito e non è perciò fonte di obbligazione risarcitoria”; V. anche CASS., 6 agosto 2004, n. 15161, in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8. 50 CASS., 25 marzo 2003, n. 4364, in Giust. civ. Mass. 2003, 593. 51 CASS., 15 novembre 2006, n. 24299, in Giust. civ. Mass. 2006, 11; in ordine a tale sentenza v. infra par. 7.

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6. Osservazioni conclusive sulla condizione sospensiva di adempimento: il

problema della causa Una delle più importanti obiezioni che abbiamo visto essere mosse avverso l’ammissione del fenomeno giuridico di cui in oggetto è indubbiamente rappresentata dalla mancanza di causa che condurrebbe alla declaratoria di nullità ex art. 1418 c.c..52 A tale obiezione, come è stato ampiamente esaminato, si ribatte affermando che la condizione non ha ad oggetto la volontà di una parte di adempiere, quanto piuttosto l’evento dell’adempimento considerato come fatto storico, onde il mancato verificarsi della condizione determina la definitiva inefficacia di un contratto tuttavia pienamente valido; chi afferma il contrario, è stato detto, confonde il profilo statico del rapporto con quello dinamico del suo divenire, vale a dire la fase di formazione del contratto con quella della sua esecuzione.53 Per verificare se un contratto sottoposto a condizione sospensiva di adempimento sia munito o meno di causa è tuttavia indispensabile quantomeno accennare brevemente alla pur nota evoluzione che quest’ultimo concetto ha subito in dottrina dalla seconda metà del Novecento fino ad oggi. Come è noto, la teoria tradizionale, formatasi successivamente alla promulgazione del codice civile del 1942, definiva l’elemento in parola quale oggettiva funzione

economico-sociale del contratto, ponendo cioè l’accento sulla sua capacità di assurgere a tecnica di controllo della conformità degli interessi perseguiti dalle parti a quelli invece, di natura sociale ed economica, fatti propri dall’ordinamento statale.54 Tale nozione di causa è ben presto entrata in crisi e così, anche alla luce dei nuovi valori costituzionali di libertà economica, la dottrina ha posto in essere un vero e proprio ribaltamento di prospettiva che ha permesso di concepire la causa non più solo come lo strumento in mano all’ordinamento per reprimere o limitare il potere di autonomia dei privati, ma anche, ed anzi in primo luogo, come criterio guida su cui l’interprete deve basare l’attività ermeneutica al fine di assicurare la “tutela

dell’un contraente nei riguardi dell’altro (…) degli scopi od obiettivi che

ciascuno dei contraenti si pone quando entra in rapporto con altri”.55

52 V. sopra nota 3. 53 Variamente LENZI, op. cit., pp. 22 e 38; AMADIO, op. cit., pp. 124 ss.; CAPOZZI, op. e loc. cit.. 54 Esponente principale di tale orientamento è BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, nel Trattato diretto da Vassalli, Torino, 1960, pp. 170 ss.; cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla

teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, pp. 149 ss.; GORLA, Il contratto. Problemi

fondamentali trattati con il metodo comparatistico e casistica, I, Lineamenti generali, Milano, 1954, pp. 8 ss.; ID., Causa, consideration e forma nell’atto di alienazione inter vivos, in Riv. dir.

comm., 50, 1952, I, pp. 173 ss.: ID., In tema di causa e tipo nella teoria del negozio giuridico (a

proposito di un recente libro), in Riv. trim. dir. proc. civ., 21, 1967, pp. 1497 ss.; ID., La causa nel

pensiero dei giuristi di common law, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz nel XLV anno del suo

insegnamento, Vol. III, Napoli, pp. 319 ss.; GIORGIANNI, op. e loc. cit.; MESSINEO, Teoria

generale del contratto, Milano, 1946, pp. 52 ss.; ID., Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1957, p. 491; ID., Il contratto in genere, I, nel Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1973, pp. 103 ss.; ID., voce Contratto (dir. priv.), in Enc. del

dir., Vol. IX, Milano, 1961, pp. 825 ss.; ID., voce Contratto innominato (atipico), in Enc. del dir., Vol. X, Milano, 1962, pp. 95 ss.; SANTORO PASSARELLI, op. cit., pp. 127 ss. e 172 ss.; PUGLIATTI, Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico, in Diritto civile, Metodo - Teoria- Pratica (Saggi), Milano, 1951, pp. 105 ss.. 55 DI MAJO, voce Causa del negozio giuridico, in Enciclopedia giuridica, 1988, par. 1.3.

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Si è passati dunque dalla definizione di causa come funzione economico-sociale del contratto a quella di funzione economico-individuale, nel duplice senso a) di restituire alla libertà contrattuale l’originario primato sui limiti posti alla sua esplicazione da parte dell’ordinamento -concependo quest’ultimi, in altri termini, non più come la regola bensì come l’eccezione-; b) di considerare non più solo gli interessi ed obiettivi che il legislatore ha in via generale ed astratta ipotizzato che le parti possano perseguire, ma anche e soprattutto gli scopi e le finalità che in

concreto e specificamente i contraenti intendano conseguire attraverso l’attuazione del regolamento negoziale.56 Ciò premesso, il “curioso” destino della causa del contratto ha visto questo concetto trasformarsi negli ultimi anni, nel dibattito dottrinale, da elemento indefettibile della teoria del negozio giuridico a requisito del contratto di cui oggi è discussa perfino la necessità, e questo soprattutto in conseguenza della recente diffusione nel nostro ordinamento del c.d. nuovo diritto dei contratti di derivazione comunitaria: esso infatti (fornendo una disciplina speciale che, dipendendo il suo ambito di applicazione da una qualità soggettiva o condizione della parte, dà vita alla costituzione di un nuovo vero e proprio statuto) si preoccupa di proteggere il c.d. contraente debole -e quindi di giudicare sotto questo profilo la meritevolezza di tutela dell’assetto di interessi configurato dalle parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale- non più attraverso il ricorso ad una nozione generica ed astratta quale quella di causa, bensì incidendo direttamente sul piano del contenuto del contratto al fine di garantire un giusto assetto, imponendo obblighi di trasparenza e condotta che scongiurino il pericolo di un’ingiustificata asimmetria informativa e che assicurino un certo grado di consapevolezza nella manifestazione di volontà della parte.57 Da più parti, recentemente, è stata tuttavia teorizzata giustamente la permanenza di uno spazio, autonomo rispetto alla citata disciplina di derivazione comunitaria, di rilevanza ed utilità giuridica del concetto di causa: infatti “l’entrare in gioco

della disciplina speciale non elide, di per sé, l’applicazione di quella generale”58, atteso che, un conto è il controllo sul contenuto del contratto finalizzato ad assicurare la giustizia tra le parti, altro è certamente la verifica concernente la sussistenza di interessi meritevoli di tutela giuridica da parte dell’ordinamento. Quest’ultimi, infatti, dovranno essere: a) obiettivamente apprezzabili, ossia in

56 G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, pp. 67 ss.; ID., La

causa nella teoria del contratto, in Studi sull’autonomia dei privati, Torino, 1997, pp. 97 ss.; C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2000, pp. 447 ss.; SACCO, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da Sacco, II, Torino, 2004, pp. 439 ss.; BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1998, pp. 227 ss.; CHECCHINI, Regolamento contrattuale e interessi delle parti, in Riv. dir.

civ., 1991, I, pp. 229 ss.; SPADA, Cautio quae indiscrete loquitur: lineamenti funzionali e

strutturali della promessa di pagamento, in Riv. dir. civ., 24, 1978, I, pp. 673 ss.; GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 24, 1978, I, pp. 52 ss.; PELLICANÒ, Causa del contratto e circolazione dei beni, Milano, 1981, pp. 95 ss.; 57 Tutto ciò ha posto la nozione di causa del contratto in una tale situazione di “crisi”, da far parlare taluni perfino di “morte” di essa (per la registrazione di tali opinioni, cfr. BRECCIA, Morte e

resurrezione della causa: la tutela, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di Mazzamuto, Torino, 2002, pp. 241 ss.; cfr. anche ID., Il contratto in generale, nel Trattato diretto da Bessone, Vol. III, Torino, 1999, pp. 3 ss.) nonché da indurre i giuristi europei che si occupano della redazione dei principi di diritto europeo dei contratti a non menzionarla neppure tra i requisiti del contratto affermando che “a contract is concluded if: (a) the parties intend to be

legally bound and (b) they reach a sufficient agreement, without any further requirement” (cfr. Principles of European Contract Law, Parts I and II, The Hague – London – Boston, 2000, 137, art. 2: 101). 58 C. SCOGNAMIGLIO, Problemi della causa e del tipo, in Trattato del Contratto diretto da Roppo, II, Milano, 2006, p. 106.

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grado di fornire alle parti una qualche utilità pratica oggettivamente riconoscibile59; b) leciti, in quanto ex art. 1418 c.c. conformi a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. A conclusione di questo rapido accenno al dibattito dottrinale formatosi recentemente intorno alla nozione di causa -che richiederebbe ben altro spazio ma che rimandiamo ad altra sede non costituendo esso l’oggetto della presente trattazione- occorre pertanto constatare come ancora oggi la causa del contratto, intesa come funzione economico-individuale nel senso sopra descritto, costituisca un elemento essenziale ex art. 1325 c.c., la cui ricorrenza e liceità è presupposto di validità del regolamento fissato dalle parti nell’esercizio del loro potere di autonomia ex art. 1322 c.c..60 Tornando al tema oggetto della presente indagine, è necessario verificare conseguentemente se il contratto condizionato sospensivamente all’adempimento di una delle parti sia o meno munito di causa e, in caso di risposta positiva a tale quesito, se questa sia lecita o meno. A tal fine è utile constatare preliminarmente quali sono le conseguenze pratiche che derivano dalla deduzione in condizione dell’adempimento, ovvero: a) il rinvio dell’effetto traslativo ad un momento successivo rispetto a quello di manifestazione del consenso; b) l’applicazione della disciplina della condizione sospensiva, che prevede in caso di mancato avveramento l’inefficacia definitiva senza altre conseguenze in punto di responsabilità. Perfettamente razionale è dunque che un venditore intenda posticipare il momento traslativo facendolo decorrere esclusivamente dal tempo dell’adempimento della controparte: ciò arreca alla parte in particolar modo un vantaggio, vale a dire l’opponibilità nei confronti dei terzi del carattere condizionato del contratto, indipendentemente dalla trascrizione di una domanda giudiziale anteriore al loro acquisto. Altrettanto razionale è che, al fine di conseguire tale vantaggio, lo stesso venditore si accontenti, in caso di inadempimento, di ottenere indietro quanto eventualmente consegnato rinunciando ad ogni pretesa di natura risarcitoria. Resta da vedere, tuttavia, se tutto ciò supera “l’esame” di liceità a cui è sottoposta, come visto, la causa del contratto, confliggendo quanto sopra con una norma

59 In questo senso cfr. BRECCIA, Morte e resurrezione della causa: la tutela, cit., p. 258, il quale fa l’esempio del contratto con cui una parte, verso un corrispettivo e nell’esercizio della sua attività abituale e quindi professionale, prometta la protezione astrale della controparte: questo accordo, ancor prima di essere sottoposto a controllo in ordine alla sua conformità rispetto alla normativa posta a tutela del consumatore, dovrà necessariamente essere sanzionato come nullo per assenza di una causa meritevole di tutela, stante la sua manifesta irrazionalità ed assurdità.; v. anche NAVARRETTA, Le ragioni della causa e il problema dei rimedi – L’evoluzione storica e le

prospettive nel diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. comm., I, 2003, pp. 981 ss., la quale afferma la permanenza di valenza operativa della causa del contratto al fine di escludere la validità del c.d. nudo patto. 60 Cfr. CASS., 8 maggio 2006, n. 10490, in Riv. notariato 2007, 1, 180, la quale ha recentemente manifestato opinione analoga, in quanto -alle prese con un contratto concernente un'attività di consulenza avente ad oggetto la valutazione di progetti industriali e di acquisizione di azienda intercorso tra una società di consulenza, che ne aveva contrattualmente assunto l'incarico, e un soggetto che la stessa attività "già simmetricamente e specularmente" svolgeva in adempimento delle proprie incombenze di amministratore della medesima società conferente- ha potuto affermare che “la causa di un contratto non è la sua funzione economico-sociale, che si

cristallizzerebbe per ogni contratto tipizzato dal legislatore (ciò che non spiegherebbe, a tacer

d'altro, come un contratto tipico possa avere una causa illecita), ma è la sintesi degli interessi

reali che il singolo, specifico contratto posto in essere è diretto a realizzare (c.d. causa in

concreto)” e che dunque “il contratto con cui si attui lo scambio di una prestazione già dovuta ad

altro titolo da una delle parti verso l'altra, pur se conforme ad un modello tipico previsto dal

legislatore, è nullo per mancanza di causa”.

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contemplata dal nostro codice civile, vale a dire l’art. 1376 c.c., che prevede il passaggio traslativo per effetto del solo consenso legittimamente manifestato. A tal proposito, autorevole pensiero ha chiarito anche recentemente come “il

principio consensualistico, ricollegando l’effetto derivativo alla sola volontà delle

parti contraenti, non vieta affatto che esse possano liberamente differire l’effetto

derivativo, anzitutto apponendo al contratto che lo prevede un termine iniziale

ovvero (…) una condizione sospensiva”61: nel primo caso non si tratterà neppure di una deroga, in quanto l’art. 1376 c.c. non impone che l’effetto traslativo si produca immediatamente dopo la manifestazione del consenso, ma solo che successivamente a detta manifestazione non sia necessario il compimento di alcun altro atto; nel secondo caso, invece, le parti legittimamente convengono che l’effetto traslativo sia subordinato al compimento o verificarsi di un ulteriore e distinto atto o fatto. La prima conclusione, cui può giungersi in ordine all’ammissibilità della condizione sospensiva di adempimento, è dunque che una previsione contrattuale di tal fatta non priva il negozio di un suo elemento essenziale ex art. 1325 c.c., quale appunto quello della causa del contratto, né inficia la sua liceità. 6.1 Segue: il problema dell’oggetto Ad analoga conclusione occorre giungere considerando un altro elemento essenziale del contratto, vale a dire il suo oggetto. Un rapido excursus storico delle teorie principali che nel corso del tempo si sono formate intorno alla nozione di oggetto del contratto conduce all’individuazione di tre orientamenti: a) quello che identifica l’oggetto del contratto con le prestazioni in esso dedotte;62 b) l’opinione che al contrario lo individua nell’oggetto della prestazione caratteristica, vale a dire nel bene;63 c) quello che infine lo equipara addirittura allo stesso contenuto del contratto.64 Più recentemente la dottrina moderna ha proceduto ad abbracciare o una visione idealistica65 dell’oggetto del contratto, inteso quale rappresentazione descrittiva di 61 SIRENA, Effetti e vincolo, in Trattato del Contratto diretto da Roppo, 2006, Milano, p. 41; v. anche VECCHI, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicative, Milano, 1999, pp. 56 ss.; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, pp. 826 ss.; NAVARRETTA, La causa e

le prestazioni isolate, Milano, 2000, pp. 22 ss.. 62 OSTI, voce Contratto, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1959, p. 503-504; PERLINGIERI, I negozi sui

beni futuri. I. La compravendita di cosa futura, Napoli, 1962, pp. 60 ss.; DE NOVA, L’oggetto del

contratto di informatica: considerazioni di metodo, già in Dir. inf., 1986, p. 804 ora in Alpa-Zeno-Zencovich, I contratti di informatica. Profili civilistici, tributari e di bilancio, Milano, 1987, p. 22; ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, p. 233. 63 CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Morano, 1949, p. 578; ALLARA, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957, p. 42; MESSINEO, Il contratto in genere, nel Trattato diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1986, p. 138; G. GABRIELLI, L’oggetto della

conferma ex art. 590 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, p. 1367 nota 2; GALGANO, Il negozio

giuridico, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2002, p. 121; G.B. FERRI, Capacità e oggetto nel negozio

giuridico: due temi meritevoli di ulteriori riflessioni, già in Quadrim., 1989, p. 11-12, ora in ID., Le anamorfosi del diritto civile attuale, Collana Saggi, Padova, 1994, p. 350. 64 SACCO, op. cit., p. 4; CARRESI, Il contenuto del contratto, in Riv. dir. civ., 1963, I, pp. 372 ss.; ID., Il contratto, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Vol. XXI, 1, Milano, 1987, pp. 211 ss.; IRTI, voce Oggetto del negozio

giuridico, in Noviss. Dig. It., Vol. XI, Torino, 1965, pp. 803 ss.; C.M. BIANCA, op. ult. cit., p. 320-321; FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, cit., p. 300. 65 IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrato altrui, Milano, 1967, pp. 127 ss.; FURGIUELE, Vendita di cosa futura e aspetti di teoria del contratto, Milano, 1974, pp. 129 ss.; E.

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un oggetto esistente o comunque possibile in rerum natura, oppure una concezione materialistica che tuttavia miri a combinare le nozioni di oggetto del contratto sopra esposte partendo innanzitutto dalla distinzione tra contratti ad effetti obbligatori -in cui l’oggetto del contratto si identificherebbe con il diritto alla prestazione o con la prestazione tout court- e contratti a contenuto dispositivo, in cui l’oggetto del contratto si identificherebbe con il diritto alla cosa o con la cosa tout court ovvero con il rapporto giuridico preesistente.66 Le conclusioni stesse cui è giunta la prevalente dottrina moderna in tema di oggetto del contratto paiono dunque smentire l’idea per cui, deducendo in condizione l’adempimento, il contratto rimarrebbe privo di oggetto: o perché l’adempimento è dedotto come fatto storico, mentre l’oggetto è invece una mera rappresentazione descrittiva (concezione idealistica); oppure in quanto in un contratto ad effetti reali l’oggetto è da identificarsi con il bene (concezione materialistica), che certo non ha nulla a che fare con l’evento dedotto in condizione nel caso di specie, che consiste invece nel pagamento del prezzo. L’opinione contraria, aggiungiamo, pare inoltre figlia di una qualche confusione concettuale tra le diverse nozioni di oggetto del contratto e suo contenuto. Storicamente l’oggetto del contratto è sempre stato tenuto distinto dal contenuto di esso: molto tempo addietro fu affermato che i soggetti che concludono il contratto e l’oggetto su cui ricadono gli effetti “restano semplicemente i termini

fra i quali e sul quale il negozio si forma: sebbene necessari per l’esistenza del

negozio, sono non dentro, ma fuori del negozio medesimo”.67 Oggi, alla luce delle conclusioni sopra esposte cui è giunta la dottrina moderna in tema di oggetto del contratto, si può provare a definire il contenuto del contratto, quale insieme delle clausole contrattuali destinate a costituire il regolamento negoziale predisposto dalle parti, e l’oggetto del contratto, quale frammento di quel regolamento negoziale ove le parti rappresentano il bene giuridico caratteristico in ordine al quale pattuiscono reciproci diritti ed obblighi di natura personale o reale. Dunque deducendo in condizione l’adempimento non viene meno l’oggetto del contratto anche perché, come è stato affermato recentemente, “la condizione

inerisce al contenuto del contratto, non all’oggetto, che è concetto più ristretto”.68 Ecco che allora, in ragione di ciò che è stato esposto fin qui, non può che escludersi il difetto di accidentalità nella condizione di adempimento anche con riferimento all’oggetto del contratto. 6.2 Segue: il problema dell’estrinsecità Chiarito quanto sopra, l’estrinsecità rappresenta l’altra caratteristica fondamentale che, come abbiamo visto 69 , la letteratura classica attribuisce al meccanismo GABRIELLI, La consegna di una cosa diversa, Napoli, 1987, pp. 113 ss.; ID, Il contenuto e

l’oggetto, in Vol. I del Trattato dei Contratti diretto da Rescigno, Torino, 1999, pp. 651 ss.; ID., L’oggetto del contratto, in Comm. Schlesinger, Milano, 2001, pp. 28 ss.; AURICCHIO, La

individuazione dei beni immobili, Napoli, 1960, pp. 93 ss.. 66 GITTI, Problemi dell’oggetto, in Vol. II del Trattato del Contratto diretto da Roppo, Milano, 2006, p. 11; BARENGHI, Determinabilità e determinazione unilaterale nel contratto, Napoli, 2005, p. 166. 67 SANTORO PASSARELLI, Istituzioni di diritto civile. I. Dottrine generali, Napoli, 1945, p. 87; ID., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986, p. 129-130. 68 CARUSI, Condizione e termini, nel Trattato del contratto diretto da Roppo, Vol. III, Milano, 2006, p. 284. 69 Cfr. sopra pp. 2 ss..

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condizionale: è sempre stato ripetuto che l’uso dello strumento della condizione permette alle parti di attribuire rilevanza ai propri motivi individuali attraverso la subordinazione dell’efficacia del contratto al mancato futuro sopraggiungere di circostanze, in presenza delle quali esse non reputino più conveniente l’attuazione del regolamento negoziale. Oggi, anche alla luce della sopra esposta nozione di causa quale funzione

economico-individuale, possiamo definire interessi interni quegli scopi ed obiettivi che le parti si prefiggono nella conclusione di un contratto; per soddisfare detti interessi è sufficiente l’attuazione del c.d. schema puro, senza bisogno cioè di apporre al contratto un elemento accidentale ed in particolar modo una condizione. Sono invece qualificabili interessi esterni quei diversi scopi ed obiettivi, il cui conseguimento, ove sopravvenissero determinate nuove circostanze, sarebbe al contrario precluso dall’attuazione del regolamento negoziale. In tale eventuale e futura situazione di contrasto tra interessi interni ed esterni, le parti, tramite un giudizio di convenienza posto in essere ex ante, preferiscono far prevalere i secondi anziché i primi: l’unico modo affinché ciò avvenga consiste appunto nell’inserimento nel contratto dell’elemento condizionale.70 Tuttavia nello specifico caso della condizione di adempimento pare che le parti non utilizzino lo strumento condizionale per salvaguardare interessi esterni, ma che esse al contrario intendano pel tramite del meccanismo condizionale continuare a preservare proprio gli interessi interni seppur innovando rispetto a quanto previsto dalla disciplina legale per l’eventualità di una loro violazione. Infatti, deducendo in condizione l’adempimento, l’alienante -derogando al principio consensualistico ex art. 1376 c.c. e condizionando sospensivamente il prodursi dell’effetto traslativo al ricorrere dell’adempimento quale presupposto ulteriore rispetto alla legittima manifestazione del consenso- intende conseguire il risultato consistente nel non perdere la proprietà del bene oggetto della vendita prima di aver ricevuto il pagamento del prezzo: dunque non fa altro che assicurarsi in ordine al fatto che lo scambio voluto ed accettato sia effettivamente realizzato senza dover subire alcuna perdita. Rispetto ai rimedi predisposti dal legislatore, l’utilità pratica che discende al venditore da tutto ciò, è bene ribadire ancora una volta, è che egli potrà opporre il carattere condizionato del contratto nei confronti di eventuali terzi aventi causa dell’acquirente, rispetto ai quali non apparirà come colui il quale pretende di tornare ad essere il proprietario in virtù della risoluzione di un vincolo -rischiando così di rimanere insoddisfatta detta pretesa a causa della retroattività obbligatoria di cui all’art. 1458 c.c.- bensì come chi non ha mai cessato un solo attimo di essere il dominus, e dunque nulla ha da temere da eventuali atti di disposizione posti in essere medio tempore dall’acquirente grazie all’operare del combinato disposto degli artt. 1357 e 2659 comma 2 c.c.. Il carattere esterno può forse essere affermato, come infatti abbiamo visto essere fatto da alcuni autori,71 nel senso che, per tutelare gli interessi interni in modo diverso rispetto al sistema rimediale predisposto dal legislatore, le parti hanno bisogno di ricorrere al meccanismo condizionale e non possono al contrario affidarsi solamente all’attuazione dello schema “puro”; 72 oppure distinguendo l’interesse ad ottenere una ricomposizione qualitativa del patrimonio in seguito

70 Per un esempio concreto v. sopra p. 2. 71 LENZI, op. cit., p. 19. 72 V. su questo punto MARCELLO, L’uso della condizione in prospettiva rimediale, in quest’opera, Cap. 10.

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all’inadempimento rispetto a quello volto invece a conseguire l’esecuzione della prestazione.73 In ogni caso anche un’eventuale ammissione, concernente l’assenza del carattere di estrinsecità nella condizione di adempimento, non potrebbe comunque condurre, per ciò solo, ad affermare che tale meccanismo sia precluso all’autonomia dei privati: come recentemente è stato giustamente detto74, non esiste alcuna norma nell’ambito degli artt. 1353 ss. c.c. che imponga che l’utilizzo dello strumento condizionale debba essere finalizzato necessariamente alla soddisfazione di interessi esterni, nonostante tradizionalmente ciò sia sempre avvenuto nella prassi contrattuale e di questo la dottrina prevalente si sia limitata a fornire una fedele rappresentazione.75 6.3 Segue: il problema dell’incertezza L’obiezione che viene mossa alla condizione di adempimento, per cui, essendo l’esecuzione della prestazione dovuta giuridicamente, difetterebbe il requisito dell’incertezza nell’evento in essa dedotto, pare essere, tra tutte, la più agevole da confutare. Indubbio è che, nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, ciascuna parte abbia diritto all’esecuzione della controprestazione, e che dunque quest’ultima integri un comportamento dovuto: tuttavia, come è ovvio constatare, non è affatto detto che esso riceva esecuzione spontanea da parte del soggetto obbligato, tanto è vero che lo stesso ordinamento giuridico conosce e regolamenta dettagliatamente l’eventualità contraria, predisponendo una serie di norme che mirano ad assicurare effettiva tutela giuridica anche in tal caso innanzitutto pel tramite di un adempimento coattivo. Nella condizione di adempimento l’evento dedotto è invece rappresentato senz’altro dall’adempimento spontaneo: il venditore, come visto, mira ad una più veloce possibile attuazione dello scambio, ed in caso di mancato adempimento spontaneo preferisce liberarsi rapidamente da ogni vincolo piuttosto che azionare una qualsiasi tutela giuridica dai costi e tempi incerti. Dunque la parte, volendo utilizzare un’espressione acutamente già usata da alcuni 76 , adoperando lo strumento della condizione di adempimento sceglie l’autotutela piuttosto che la tutela giuridica apprestata dall’ordinamento. E’ stato giustamente affermato che coloro i quali sostengono la carenza dell’incertezza nell’adempimento confondono “tra discorso descrittivo e

precettivo, tra il piano dell’essere (un comportamento futuro è per definizione

incerto) e quello della norma (un comportamento è obbligatorio)”:77 tuttavia da quanto abbiamo esposto sopra emerge che, anche a non voler essere in sintonia con siffatta affermazione, il che non è, il carattere incerto dell’adempimento comunque ricorre avendo riguardo non solo alla realtà fattuale, ma anche alla stessa realtà normativa, ossia a ciò che la stessa legge prevede a proposito.

6.4 Segue: il problema della condizione meramente potestativa

73 AMADIO, op. cit., p. 306-308. 74 CARUSI, op. cit., p. 358; AMADIO, op. cit., pp. 104 ss. e 304 ss.; cfr. RESCIGNO, Manuale di

diritto privato, Milano, 2000, pp. 285 ss.. 75 In questo senso v. DI MAJO, L’esecuzione del contratto, cit., p.177-180. 76 LENZI, op. cit., pp. 114 ss.. 77 CARUSI, op. cit., p. 356-357; AMADIO, op. cit., pp. 84 ss..

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Nei confronti dell’opinione favorevole all’ammissibilità della condizione di adempimento è stato mosso un ulteriore rilievo critico: alcuni78 ritengono, come abbiamo visto, che la condizione di adempimento abbia carattere meramente potestativo, e dunque ricada nel divieto di cui all’art. 1355 c.c.. A tal proposito occorre osservare come il carattere meramente potestativo di una condizione sospensiva ricorra quando il suo verificarsi dipende dall’arbitrio o

mera volontà di una delle parti (dell’alienante o del debitore): quest’ultima, omettendo di manifestare una volontà di segno positivo, persegue esclusivamente l’intento di rendere definitiva l’inefficacia del contratto e così liberarsi da quest’ultimo non incorrendo in alcuna responsabilità; senza che invece detta omissione possa motivarsi con la necessità di evitare l’assunzione di apprezzabili sacrifici ed oneri di natura extracontrattuale.79 Volendo esemplificare, se Tizio si obbliga -per es. a comprare certi macchinari- a condizione che decida di avviare una certa attività imprenditoriale, la determinazione della parte a non avviare quella data attività non può dirsi obiettivamente come potenzialmente motivata dalla sola intenzione di liberarsi dal contratto senza incorrere in alcuna responsabilità nei confronti della controparte; ciò è evidente sol che si pensi al fatto che l’imprenditore, come noto, investe proprio denaro al fine di accumulare nuova ricchezza, ma al rischio di perdere quella già in proprio possesso: dunque Tizio, nel decidere di non avviare alcuna attività economica organizzata ex art. 2082 c.c., persegue, almeno teoricamente, l’interesse di non dover affrontare detto rischio, il che rappresenta un obiettivo apprezzabile e sufficiente a garantire la serietà del vincolo contratto con la stipula del negozio condizionato. In questo senso alcuni hanno giustamente detto che “la condizione potestativa

tutela l’interesse della parte a decidere una propria azione e non l’interesse a

decidere in ordine al contratto” 80 e che la condizione potestativa semplice dipende “da una volontà presidiata da interessi obiettivamente apprezzabili (…)

che (…) non si esauriscano nell’interesse a liberarsi dal contratto a costo zero”.81 Premesso ciò, l’obiezione in parola, mossa avverso la condizione di adempimento, è seria: se infatti un contratto di compravendita è integralmente condizionato in via sospensiva al pagamento del prezzo da parte dell’acquirente, quest’ultimo, non

78 AULETTA, op. e loc. cit.; BOCCHINI, op. e loc. cit.. 79 CARUSI, op. cit., p. 314. 80 C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 1985, pp. 519 ss.. 81 ROPPO, Il contratto, nel Trattato diretto da Iudica e Zatti, Milano, 2001, p. 617; v. anche CASS., 21 luglio 2000, n. 9587, in Giust. civ. Mass. 2000, 1587, e Appalti Urbanistica Edilizia 2002, 41, in cui è stato affermato che “la clausola contrattuale con la quale il sorgere del diritto al

compenso da parte del professionista incaricato del progetto di un'opera viene condizionato

all'ottenimento del finanziamento per l'opera progettata non è configurabile come condizione

meramente potestativa, come tale nulla, atteso che, se è vero che il verificarsi di essa dipende

dalla volontà e dall'attività di una sola delle parti, è anche vero che tale accadimento non è

indifferente per la parte in questione, alla stregua di un mero "si voluero", non potendosi dubitare

della piena funzionabilità della pattuizione ad uno specifico interesse dedotto come tale nel

contratto e perciò oggetto del medesimo”81 e che “la condizione meramente potestativa e la

conseguente sanzione di nullità di cui all'art. 1355 c.c. non sussistono quando l'impegno che la

parte si assume, non è rimesso al suo mero arbitrio ma è collegato ad un gioco di interessi e di

convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche il proprio interesse, mentre

la condizione potestativa invalidante il negozio è quella che dipende dal mero arbitrio del

soggetto obbligato, così da presentarsi come effettiva negazione di ogni vincolo con la

conseguenza che essa deve escludersi quando l'evento dedotto dipenda anche dal concorso di

fattori estrinseci che possono influire sulla determinazione della volontà pur se la relativa

valutazione sia rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato”.

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adempiendo, è in grado di liberarsi dal contratto senza incorrere in alcuna responsabilità e senza che ciò debba essere necessariamente ricollegato ad apprezzabili esigenze autonome, il che è esattamente quello che il legislatore, dettando la norma dell’art. 1355 c.c., intendeva evitare al fine di garantire la serietà del vincolo contrattuale. Per non cadere nel divieto della mera potestatività, come alcuni82 hanno rilevato, l’unica soluzione pare consistere nel condizionare all’adempimento non tutto il contratto, ma solo la sua efficacia traslativa, così che fin dalla sua conclusione sorga nel compratore l’obbligo di pagare il prezzo, e la sua violazione determini l’inefficacia definitiva del contratto limitatamente al trasferimento del diritto; l’inefficacia sopravvenuta di tutto il resto del negozio deriverebbe invece dal rapporto sinallagmatico intercorrente tra le prestazioni. In ogni caso, anche se così non fosse, la contrarietà ad una norma imperativa, e la conseguente nullità del contratto, impongono all’interprete, in virtù del principio della conservazione del negozio -secondo il quale l’autonomia negoziale deve, per quanto possibile, mantenere la sua efficacia- di verificare se ricorrono i presupposti per l’applicazione della norma di cui all’art. 1424 c.c., vale a dire per la conversione del contratto nullo in altro tipo di cui contenga requisiti di sostanza e di forma e che è plausibile ritenere le parti avrebbe stipulato conoscendo la causa di invalidità. Come è noto, opinione diffusa è che il contratto cui sia apposta una condizione sospensiva meramente potestativa possa essere convertito in un patto di opzione: a tal proposito pare giusto rinviare al capitolo dedicato in modo specifico alla condizione meramente potestativa.83 Basti in questa sede osservare, analogamente a quanto già fatto da alcuni84, come forti sembrino le affinità intercorrenti tra il meccanismo opzionale e, segnatamente, la condizione sospensiva di adempimento: infatti -atteso che le conseguenze essenziali che derivano da quest’ultima costruzione sono, come visto, che ove l’acquirente manifesti disinteresse verso gli effetti del contratto rifiutandosi di eseguire la prestazione il diritto del venditore prevale su quelli acquisiti medio tempore dai terzi aventi causa del compratore, mentre la controparte è esente da responsabilità ex art. 1218 c.c.- la causa che in concreto caratterizza l’operazione contrattuale appare coincidere con quella del patto di opzione ex art. 1331 c.c.. Infatti anche in quel caso una delle parti è in grado, in quanto titolare di un diritto potestativo, di decidere in ordine all’efficacia del contratto, mentre l’altra vede soddisfare il proprio interesse diretto a garantire, in ogni caso, l’integrità, in

natura, del proprio patrimonio: da un lato il c.d. opzionario, come è noto, può liberamente decidere se instaurare o meno il rapporto contrattuale, non incorrendo certo in responsabilità ove la deliberazione sia negativa; dall’altro lato il concedente, in quest’ultimo caso, non affronta alcun rischio di perdere il proprio diritto sulla cosa oggetto del contratto finale in quanto, non essendo sorto alcun vincolo negoziale, la res non è mai uscita dal suo patrimonio e dunque non ha mai potuto costituire oggetto di atti di disposizione a favore di terzi (e peraltro anche qualora ciò fosse avvenuto potrebbe solamente configurarsi un acquisto a non

domino rispetto al quale lo stesso concedente ben agevolmente potrebbe difendersi).

82 PETRELLI, op. e loc. cit.. 83 V. CAPONETTI, La condizione potestativa e meramente potestativa. Confronto con le figure del

recesso e dell’opzione, in quest’opera, Cap. 3. 84 C.M. BIANCA, Il contratto, loc. cit..

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7. Osservazioni conclusive sulla condizione risolutiva di inadempimento:

riflessioni tratte da un caso giurisprudenziale

Con la sua più recente sentenza85, pronunciata in tema di condizione, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi nuovamente del problema della condizione risolutiva di inadempimento, segnatamente domandandosi in siffatta occasione se le parti, una volta dedotto, come detto, l’inadempimento in condizione, possano altresì inserire nel regolamento negoziale una clausola penale a carico della parte del cui inadempimento si tratti, o se invece debba concludersi nel senso dell’incompatibilità tra condizione risolutiva di inadempimento e clausola penale. La fattispecie è piuttosto semplice: in un contratto di rendita vitalizia fondiaria le parti prevedono che, in caso di mancato versamento da parte del vitaliziante, di due rate consecutive, dopo venti giorni il contratto debba intendersi risolto di diritto e la proprietà dell’immobile debba considerarsi automaticamente tornata nella titolarità del vitaliziato, a favore del quale è stabilito altresì il diritto di trattenere le some riscosse fino a quel momento a titolo di penale. Puntualmente si verifica l’inadempimento del promittente, il quale, nel frattempo, ha per giunta alienato l’immobile ad un terzo. In primo grado il Tribunale di Roma qualifica la previsione in questione come clausola risolutiva espressa; dunque dichiara ovviamente la risoluzione del contratto, condanna al risarcimento del danno, ma, allo stesso tempo, applicando la disciplina della risoluzione del contratto ex art. 1458 c.c., fa salvo il diritto del terzo in quanto il suo acquisto è stato trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale. La Corte d’Appello di Roma qualifica invece la previsione in questione quale condizione risolutiva di inadempimento e dunque dichiara la riacquisizione della proprietà da parte del beneficiario della rendita in virtù della retroattività reale che, come noto, caratterizza il meccanismo condizionale. La S.C., investita del problema in seguito a ricorso per Cassazione del terzo acquirente, conferma quest’ultimo orientamento. In primo luogo la S.C. esclude infatti il carattere meramente potestativo della condizione risolutiva di inadempimento ponendo alla base di tale posizione due ordini di considerazione: in primis che si tratta condizione risolutiva e dunque non ricadente nel divieto di cui all’art. 1355 c.c. che contempla esclusivamente quella

85 CASS., 15 novembre 2006 , n. 24299, in Giust. civ. Mass. 2006, 11, di cui si riporta la seguente massima: “Nell'ambito dell'autonomia privata, le parti possono prevedere l'adempimento o

l'inadempimento di una di esse quale evento condizionante l'efficacia del contratto in senso

sospensivo o risolutivo, sicché non configura una illegittima condizione meramente potestativa la

pattuizione che fa dipendere dal comportamento - adempiente o meno - della parte l'effetto

risolutivo del negozio, e ciò non solo per l'efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi

dell'evento, ma anche perché tale clausola, in quanto attribuisce il diritto di recesso unilaterale

dal contratto - il cui esercizio è rimesso a una valutazione ponderata degli interessi della stessa

parte - non subordina l'efficacia del contratto a una scelta meramente arbitraria della parte

medesima; d'altra parte, la condizione risolutiva, in quanto prescinde dalla colpa

dell'inadempimento, è compatibile con la previsione di una penale, giacché le parti possono

stabilire che la condizione sia posta nell'esclusivo interesse di uno soltanto dei contraenti,

occorrendo al riguardo una espressa clausola (o quanto meno una serie di elementi idonei ad

indurre il convincimento che l'altra parte non abbia alcun interesse); pertanto, la parte, nel cui

interesse è posta la condizione, ha facoltà di rinunziarvi sia prima che dopo l'avveramento o il

non avveramento di essa, senza che, comunque, l'altra parte possa ostacolarne la volontà. (Nella

specie, è stato ritenuto che configurasse una condizione risolutiva, e non una clausola risolutiva

espressa, la pattuizione con cui le parti avevano previsto, nell'interesse esclusivo del vitaliziato, la

risoluzione del contratto di rendita vitalizia nel caso di mancato pagamento da parte del

vitaliziante di due rate)”.

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sospensiva (a tal proposito ci si limita ad avvertire che, nonostante il fatto che la Cassazione propenda decisamente per un’interpretazione letterale della norma86, in dottrina non mancano autorevoli opinioni contrarie, di chi 87 cioè ritiene che la norma in questione sia riferibile anche alla condizione risolutiva). In secondo luogo la S.C. afferma che non si tratta di condizione meramente potestativa in quanto attribuisce un diritto di recesso unilaterale “il cui esercizio è

rimesso ad una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte”. La Corte pare dunque abbracciare quell’orientamento dottrinale che fa corrispondere perfettamente la condizione risolutiva potestativa all’istituto del recesso 88 : questo stesso orientamento precisa che se il recesso volontario è insindacabile, dunque ad nutum, la clausola che lo prevede si qualifica come condizione risolutiva meramente potestativa e non potestativa semplice, atteso che l’unico limite che la parte incontra nel suo esercizio è rappresentato dall’obbligo di non comportarsi in modo contrario al dovere di buona fede e dunque di non abusare del proprio diritto. Applicando questi principi al caso di specie pare proprio che si debba concludere per la natura potestativa e non meramente potestativa della condizione di inadempimento, dato che l’esercizio del diritto di recesso da parte del vitaliziato non è ad nutum, bensì deve essere giustificato da un valido motivo, rappresentato dall’inadempimento del vitaliziante. Tuttavia occorre anche in questo caso avvertire che non mancano in dottrina opinioni89 che, giustamente, pongono in evidenza la differenza concettuale che intercorre tra condizione risolutiva potestativa e recesso affermando correttamente che nel recesso la volontà di sciogliere il contratto rileva come negozio giuridico, laddove invece nella condizione risolutiva potestativa rileva come fatto giuridico. Da ciò derivano anche conseguenze sotto il profilo della disciplina: ad es. mentre in caso di condizione, trattandosi di un fatto giuridico, non si applicano le norme che impongono la forma scritta ad substantiam, l’esercizio del diritto di recesso deve invece avvenire a pena di nullità tramite dichiarazione scritta ove la legge richieda per il contratto in questione tale forma solenne. 90 Ad ogni modo, chiarita la necessità di prendere posizione in ordine alla qualificazione della condizione di inadempimento, se cioè condizione in senso tecnico o se invece recesso convenzionale ex art. 1373 c.c. -e che dunque sarebbe stato più opportuno che la Corte avesse optato nettamente per una di queste figure giuridiche inquadrando la fattispecie nei rispettivi schemi, senza limitarsi invece, come ha fatto, a rifarsi su tale punto ai propri precedenti91- la

86 CASS., 15 settembre 1999, n. 9840, in Giur. it. 2000, 1161; CASS., 10 febbraio 2004, n. 2497, in Giust. civ. Mass. 2004, 2. 87

RESCIGNO, Voce Condizione, in Enc. del dir., Vol. VIII, Milano, 1961, p. 796; SANTORO

PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1970, p. 199; ROPPO, Il contratto, cit., p. 618. 88 C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2001, pp. 549 ss.; SIRENA, op. cit., p. 115. 89 COSTANZA, Condizione nel contratto, cit., pp. 78 ss.. 90 Sotto il profilo dell’opponibilità nei confronti dei terzi dello scioglimento del contratto non si rinvengono invece differenze significative tra le due discipline: infatti, applicando in via analogica al recesso la disciplina del patto di riscatto (SIRENA, op. cit., p. 137), così come elaborata dalla prevalente dottrina (GAZZONI, La trascrizione immobiliare, I, in Comm. Schlesinger, Milano, 1991, pp. 149 ss.; LUMINOSO, La vendita con riscatto, Artt. 1500-1509, in Comm. Schlesinger, Milano, 1987, p. 409; RUBINO, La compravendita, nel Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1971, p. 1050), nella nota di trascrizione del contratto de quo potrà essere menzionata la clausola di recesso, e ciò sarà utile a rendere opponibile la futura ed eventuale dichiarazione di recesso ad ogni terzo che abbia trascritto il proprio acquisito successivamente alla trascrizione del contratto, similmente a quanto previsto dalla disciplina della condizione e garantendo quindi la retroattività reale anziché meramente obbligatoria. 91 CASS., 24 novembre 2003, n. 17859, in Giust. civ. Mass. 2003, 11.

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sentenza in esame stabilisce che la presenza di una clausola penale non può escludere il carattere di condizione risolutiva poiché si tratta di una condizione unilaterale, cioè inserita nel regolamento negoziale nell’interesse esclusivo del beneficiario della rendita, il quale ha la facoltà di rinunziarvi sia prima che dopo l’avveramento od il non avveramento di essa. In sostanza secondo la Cassazione le parti possono inserire una clausola penale per l’eventualità che la parte interessata rinunci alla condizione di inadempimento: se questo non accade, come nel caso di specie, la clausola penale semplicemente non opera ed al contrario continua ad esplicare i propri effetti il meccanismo condizionale del quale si applica integralmente la disciplina, inclusa la parte concernente la retroattività reale. Il ragionamento della S.C. conferma così l’ineccepibile assunto, già espresso precedentemente,92 secondo il quale, in caso di condizione di inadempimento, non è ammissibile la contemporanea applicazione sia degli artt. 1353 ss. c.c. sia dell’art. 1218 c.c.: le due discipline sono invece alternative. La disciplina della responsabilità contrattuale e quella della condizione risolutiva non possono coesistere in quanto in aperto contrasto tra di loro: l’una prevede, come noto, l’obbligazione risarcitoria in capo al debitore che non esegua esattamente la prestazione dovuta, l’altra si limita a sancire la sopravvenuta inefficacia, laddove l’omissione operata dagli artt. 1353 ss. c.c. di ogni forma di responsabilità non può certamente considerarsi una lacuna da poter colmare tramite l’applicazione integrativa della disciplina ex art. 1218 c.c., bensì una precisa scelta del legislatore che contraddistingue nettamente la ratio stessa del meccanismo condizionale. In altri termini, deducendo un evento in condizione risolutiva, le parti, concordemente, pattuiscono implicitamente l’assenza di responsabilità in capo ad ognuna di loro in caso di avveramento. Conseguentemente l’operare del regime ordinario di responsabilità contrattuale previsto dall’art. 1218 c.c. è subordinato alla rinuncia della parte interessata al meccanismo della condizione di inadempimento, ed i termini della questione non cambiano se le parti inseriscono nel regolamento negoziale una clausola penale, atteso che ciò, come noto, non incide sull’an della responsabilità, la cui sussistenza dovrà continuare ad essere valutata sulla base dei criteri generali sanciti dall’art. 1218 c.c., bensì incide sul quantum del danno risarcibile che le parti determinano ex ante. Detto ciò, è però utile specificare cosa accade qualora, in un contratto condizionato all’inadempimento, la parte interessata rinunci alla condizione. Le conseguenze che derivano dalla deduzione in condizione dell’inadempimento sono infatti, da un lato, che in caso di avveramento l’inefficacia sopravvenuta del contratto è opponibile anche ai terzi che abbiano trascritto il loro acquisto successivamente alla trascrizione del contratto, essendo sufficiente a tal fine che nella nota di trascrizione sia menzionato il carattere condizionato dell’atto (si tratta della già citata retroattività reale); dall’altro lato l’applicazione della disciplina della condizione risolutiva, che prevede in caso di avveramento l’inefficacia sopravvenuta senza altre conseguenze in punto di responsabilità. E’ evidente come, una volta che la parte abbia rinunciato al meccanismo condizionale vengono meno entrambe le conseguenze e non solo certo quella concernente il regime di responsabilità: dunque la parte potrà chiedere il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento ex art. 1218 c.c., eventualmente in una misura predeterminata ex ante se, come nel caso di specie, è stata prevista una penale, ma in caso di conflitto con terzi acquirenti in ordine alla

92 Cfr. sopra pp. 14 ss..

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titolarità del bene, sarà al contempo costretta ad affrontare i rischi derivanti dalla retroattività obbligatoria prevista dalla disciplina della risoluzione del contratto ex art. 1458 c.c.: vale a dire i terzi prevarranno se avranno trascritto il loro acquisto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale. Dunque la parte adempiente si trova di fronte ad un’alternativa secca, se cioè avanzare pretese risarcitorie, o se invece abbandonare tale proposito preferendo garantirsi, tramite la retroattività reale tipica del fenomeno condizionale, la riacquisizione della proprietà dell’immobile in danno anche dei terzi acquirenti. La S.C. non si è preoccupata di quest’ultimo aspetto -né l’avrebbe potuto fare attesi i limiti oggettivi e soggettivi del giudicato- poiché nel caso di specie il Ricorso, essendo esperito dal terzo acquirente, non verteva anche sul diritto del vitaliziato a trattenere le rate versate, bensì contestava la qualificazione come condizione della clausola in questione, mirando così ad evitare esclusivamente la conseguenza della retroattività reale e dunque l’opponibilità nei suoi confronti dello scioglimento del contratto. Dunque dalla posizione assunta dalla S.C. non è derivato alcun cambiamento per il beneficiario della rendita, il quale difendeva la retroattività reale dello scioglimento del contratto ed esattamente ciò ha visto essergli riconosciuto. Tuttavia pare lecito in via generale chiedersi se, in un contratto condizionato all’inadempimento, in caso di avveramento ed in assenza di rinuncia, non siano configurabili anche altre forme di riparazione che, prescindendo dal requisito dell’imputabilità connaturato al regime di responsabilità contrattuale delineato dall’art. 1218 c.c. ed assumendo dunque carattere indennitario, siano compatibili con il funzionamento del meccanismo condizionale ed anzi trovino la propria fonte proprio nella disciplina di quest’ultimo. Per l’appunto la fattispecie da cui ha tratto origine la sentenza in commento potrebbe rappresentare, ci pare, un esempio di quanto ora prospettato: il secondo comma dell’art. 1360 c.c. prevede infatti che se la condizione risolutiva è apposta ad un contratto ad esecuzione continuata o periodica l’avveramento di essa, in mancanza di patto contrario, non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite; analoga disposizione è rinvenibile nella disciplina del recesso, che analogamente dispone, al secondo comma dell’art. 1373, che in contratti di questo tipo il recesso non ha effetto che per le prestazioni già eseguite. Dunque, avendo ad oggetto l’obbligazione gravante sul vitaliziante per l’appunto una prestazione di carattere periodico, tali norme sono assolutamente applicabili al caso di specie e quindi idonee a fondare il diritto del beneficiario della rendita a trattenere le rate versate fino a quel momento dal promittente, in caso di suo inadempimento: esattamente quanto sarebbe disceso dall’operare di una clausola penale, ma questa volta senza dover rinunciare alla condizione, alla sua retroattività reale e, in definitiva, alla titolarità del bene trasferito a vantaggio del terzo acquirente. 8. Massime delle principali sentenze citate

- CASS., 3 gennaio 1970, n. 8, in Foro it., 1970, I, 1488, in Giust. civ., 1970, I, 166. La condizione è evento futuro ed incerto, cui è subordinata dalla volontà delle

parti l’efficacia iniziale o finale del contratto, e non può mai consistere

nell’esecuzione della prestazione da parte del contraente che deve adempiere per

primo, diversi essendo il concetto e la funzione della condizione e quella

dell’adempimento contrattuale.

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- CASS., 20 ottobre 1972, n. 3154, in Foro it., 1973, I, 1664 ss., in Giur. it., 1973, I, 1, 1068. Non è concepibile, sotto il profilo giuridico, una condizione che si sostanzi

nell’adempimento delle prestazioni negoziali.

- CASS., 10 ottobre 1975, n. 3229, in Riv. legisl. fisc., 1976, 258. Se è vero che la condizione va distinta dalla prestazione, e che, ad esempio in una

vendita, il pagamento del prezzo, costituendo la prestazione assunta nella

principale obbligazione del compratore, non può in genere essere intesa come

condizione cui sia subordinata l'efficacia del contratto, ciò significa che detta

prestazione non può avere di per se valore di condizione, e non toglie che

prestazione e condizione non siano elementi fra loro inconciliabili, e che si rientri

nel concetto tecnico di condizione nell'ipotesi in cui, secondo l'ordine naturale

delle cose, un determinato evento, ancorché costituisca il risultato del

comportamento contrattuale previsto (non meramente potestativo) di una delle

parti, oltre che futuro, sia obiettivamente incerto. Non può escludersi, pertanto,

che il concreto adempimento di una delle parti venga ex professo dedotto come

condizione, e che l'esecuzione di una prestazione costituisca non solo l'oggetto di

un obbligo convenzionalmente assunto da una parte nei confronti dell'altra, ma

anche l'evento condizionante l'efficacia di una pattuizione.

- CASS., 16 febbraio 1983, n. 1181, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 2, Riv. notariato 1983, 481.

Nei contratti bilaterali le reciproche prestazioni integrano gli elementi essenziali

del contratto medesimo, per cui l'accordo in ordine ad essi non può essere

assunto come condizione in senso tecnico, dato che questa costituisce un elemento

accidentale estraneo alla struttura tipica del negozio, mentre le prestazioni

reciproche attengono all'esistenza stessa del negozio, in quanto ne costituiscono

la causa in senso tecnico-giuridico. Ciò, tuttavia, non esclude che, in particolari

ipotesi (da accertare sulla base dell'allegazione di una precisa volontà

contrattuale in tal senso), il concreto adempimento di una delle prestazioni

concordate possa essere dedotta ex professo come una condizione sospensiva, cui

sia consensualmente subordinata la produzione degli effetti giuridici del negozio.

-CASS., 8 agosto 1990, n. 8051, in Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 8.

Per quanto la condizione costituisca di regola un elemento accidentale del

negozio giuridico, come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente

previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive norme, tuttavia, in forza del

principio generale della autonomia contrattuale previsto all'art. 1322 cod. civ. -

dal quale deriva il potere delle parti di determinare liberamente, entro i limiti

imposti dalla legge, il contenuto del contratto anche in ordine alla rilevanza

attribuita all'uno piuttosto che all'altro degli elementi costitutivi della fattispecie

astrattamente disciplinata -, i contraenti possono prevedere validamente come

evento condizionante (in senso sospensivo o risolutivo dell'efficacia) il concreto

adempimento (o inadempimento) di una delle obbligazioni principali del contratto;

con la conseguenza in tal caso che, ove insorga controversia sulla esistenza ed

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effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla

parte che la deduca a sostegno della propria pretesa fornire la prova ed al

giudice del merito compiere una approfondita indagine per accertare la volontà

dei contraenti.

-CASS., 24 giugno 1993, n. 7007, in Giur. it., 1994, I, 1, 902.

Nella cessione di un contratto a titolo oneroso la condizione risolutiva, cui sia

assoggettata l'obbligazione del cessionario relativa al pagamento del prezzo,

costituendo tale obbligazione elemento costitutivo del contratto, è inconciliabile

con la causa di detto negozio, con la conseguenza che va ritenuta impossibile ai

sensi dell'art. 1354 cod. civ. e, quindi, come non apposta.

- CASS., 12 ottobre 1993, n. 10074, in Giust. civ. Mass. 1993, 1461 (s.m.).

La condizione rappresenta di regola un evento esterno rispetto alla fattispecie

contrattuale, non concretandosi in un fatto o atto ricompreso nell'oggetto del

contratto o rappresentante la funzione di esso; l'esecuzione della prestazione da

parte di uno dei contraenti può tuttavia assumere il carattere di condizione del

contratto, quando risulti rigorosamente provata una specifica volontà in tal senso

delle parti stipulanti.

-CASS., 25 marzo 2003, n. 4364, in Giust. civ. Mass. 2003, 593.

La previsione di una prestazione contrattuale come condizione sospensiva è

ammissibile nei contratti ad effetti reali, come la compravendita, potendo questa,

come qualunque contratto ad effetti reali, non spiegare gli effetti suoi propri sino

a quando non sia realizzata la condizione sospensiva prevista (nella fattispecie, la

Suprema Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello,

che, in un contratto di vendita di azioni di società, aveva interpretato le clausole

negoziali nel senso di escludere l'effetto traslativo immediato dei titoli e di

attribuire alla prestazione di controgaranzia del cessionario - che si era

impegnato a far conseguire ai cedenti la liberazione dalle fideiussioni prestate

verso la società - la capacità di condizionare il detto effetto traslativo).

-CASS., 24 novembre 2003, n. 17859, in Giust. civ. Mass. 2003, 11.

Poichè le parti possono, nell'ambito dell'autonomia privata, prevedere

l'adempimento o l'inadempimento di una di esse quale evento condizionante

l'efficacia del contratto sia in senso sospensivo che risolutivo, non configura una

illegittima condizione meramente potestativa la pattuizione che fa dipendere dal

comportamento - adempiente o meno - della parte l'effetto risolutivo del negozio,

e ciò non solo per l'efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi

dell'evento dedotto in condizione ma anche perchè tale clausola, in quanto

attribuisce il diritto di recesso unilaterale dal contratto - il cui esercizio è rimesso

a una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte - non subordina

l'efficacia del contratto a una scelta meramente arbitraria della parte medesima.

Ne consegue che l'avveramento della condizione di fatto non costituisce atto

illecito e non è perciò fonte di obbligazione risarcitoria.

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- CASS., 6 agosto 2004, n. 15161, in Giust. civ. Mass. 2004, 7-8. In tema di mediazione, il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte

in cui, tra le parti avvalsesi della sua opera, si sia validamente costituito un

vincolo giuridico che consenta a ciascuna di esse di agire per l'esecuzione del

contratto, con la conseguenza che anche un contratto preliminare di

compravendita, validamente concluso e rivestito del prescritto requisito di forma

scritta, ove richiesto 'ad substantiam', deve considerarsi "atto conclusivo

dell'affare", idoneo, per l'effetto, a far sorgere in capo al mediatore il diritto alla

provvigione, senza che, in contrario, spieghi influenza la circostanza che al

preliminare non sia poi seguita la stipula del contratto definitivo. Inoltre, qualora

il contratto preliminare preveda che il definitivo debba essere stipulato entro un

termine finale, il diritto alla provvigione sorge alla data della stipula del

preliminare, non a quella coincidente con il termine finale di efficacia e, nel caso

in cui il promittente acquirente abbia la facoltà di recedere, poichè detta facoltà

integra, sostanzialmente, una condizione risolutiva, il suo eventuale esercizio non

fa venire meno il diritto del mediatore alla provvigione.

- CASS., 15 novembre 2006, n. 24299, in Giust. civ. Mass. 2006, 11.

Nell'ambito dell'autonomia privata, le parti possono prevedere l'adempimento o

l'inadempimento di una di esse quale evento condizionante l'efficacia del

contratto in senso sospensivo o risolutivo, sicché non configura una illegittima

condizione meramente potestativa la pattuizione che fa dipendere dal

comportamento -adempiente o menodella parte l'effetto risolutivo del negozio, e

ciò non solo per l'efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi dell'evento,

ma anche perché, in base a tale clausola, l'efficacia della condizione risolutiva

così convenzionalmente stabilita la cui operatività è rimessa a una valutazione

ponderata degli interessi della stessa parte -non è subordinata a una scelta

arbitraria della medesima;d'altra parte, la condizione risolutiva,in quanto

prescinde dalla colpa dell'inadempimento, è compatibile con la previsione di una

penale, giacché le parti possono stabilire che la condizione sia posta

nell'esclusivo interesse di uno soltanto dei contraenti, occorrendo al riguardo una

espressa clausola (o quanto meno una serie di elementi idonei ad indurre il

convincimento che l'altra parte non abbia alcun interesse); pertanto, la parte, nel

cui interesse è posta la condizione, ha facoltà di rinunziarvi sia prima che dopo

l'avveramento o il non avveramento di essa, senza che, comunque, l'altra parte

possa ostacolarne la volontà. (Nella specie, è stato ritenuto che configurasse una

condizione risolutiva, e non una clausola risolutiva espressa, la pattuizione con

cui le parti avevano previsto,nell'interesse esclusivo del vitaliziato, la risoluzione

del contratto di rendita vitalizia nel caso di mancato pagamento da parte del

vitaliziante di due rate). (Rigetta, App. Roma, 3 Settembre 2002)