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Opera Prima - Pietro Salmoiraghi, poesia

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Titolo: Prognosi Riservata Autore: Pietro Salmoiraghi Fonti: “Opera Prima”, n. 8, Cierre Grafica, 2006 A cura di: Luigi Bosco e Poesia 2.0 In copertina: Particolare di un disegno di Giuseppe Pellegrino Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.

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OPERA PRIMA

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PIETRO SALMOIRAGHI

PROGNOSI RISERVATA

(Poesie Scelte)

Anterem, 2010

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Premessa per Prognosi riservata di Pietro Salmoiraghi Ogni storia è incisa in un volto: l’avventura, l’attesa, il pericolo hanno la forza degli occhi e delle labbra. La storia non è una strada tracciata su crinali a noi estranei, un racconto di cui non siamo protagonisti. La storia si identifica con il nostro essere al mondo, con il nostro sguardo posato sulla scena che sta intorno a noi e con le parole che la nostra bocca pronuncia.

Pietro Salmoiraghi si attiene con scrupolo inflessibile a questa esperienza, di cui le tre sezioni del libro – Anamnesi, Indizi, Aporie – sono tre passaggi. Come immaginare una deviazione da questo percorso di conoscenza se l’oggetto è l’essere umano? Ed è sul volto dell’uomo che la luce indagante di Salmoiraghi si accende. È la luce del raggio che scarta il primo strato per scendere subito negli strati più profondi, per mostrarci quel che dal pensiero che calcola e numera è taciuto. Quel raggio ci induce a corrispondere con l’insensatezza della vita umana che ha nel suo destino un solo istante di pienezza assoluta: quello che prelude alla morte. La parola poetica, ci dice Salmoiraghi, ferma quel preciso istante e lo traspone nell’opera, «questa tragicità / inerente al vivere», «tentando / un baratto con un nulla / … più allettante». Salmoiraghi ci trascina davanti all’essere umano. Ce ne descrive la complessità e il potere illusorio. Con pazienza enumera i suoi elementi costitutivi: il limite, la morte, il nulla, il declino… La sua freddezza nello scomporlo, perché ogni parte possa venire da noi conosciuta, rende il poeta simile a un uomo di scienza, a un trattatista lucidissimo: crede che una buona immunizzazione dal male che ci possiede possa venire da questo porsi senza reticenze davanti alle fattezze dell’essere umano, cercando di realizzare un’armonia che tenga insieme i distinti, gli opposti, gli innumerevoli possibili. Il nulla e qualcosa. Generando il pensiero.

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Il nostro tempo è una terra malamente calpestata («tutto è notte senza giorno») e poi riassestata con mezzi risibili, come «barattare l’albero della vita / per quello della scienza». Una terra depredata con metodo («catena della morte: / trasformazione di altri Sé / in altrettanti Sé uccisi»), una terra che attende di tempo in tempo la calata dei nuovi razziatori. Una terra dove le parole sono usate per perpetrare nuovi soprusi. E la speranza è un cartello tolto dal cielo e sepolto sotto molti strati di terra; tanto che l’uomo non attende più resurrezione né altro compimento. È la morte senza illusione, quella che qui va in scena. È il nulla che ritorna sul confine oscillante tra dolore e angoscia. Prognosi riservata è una pagina di quel diario sterminato che quotidianamente scriviamo nell’esporre alla luce la corruzione senza speranza del nostro spirito («L’esperienza del male, della morte, / persuade che nel tempo e nel mondo / non c’è salvezza: / né verità»). È il diario di chi agisce privo di qualsiasi fede e avanza sapendo di non poter eludere il vuoto. È il diario che non ha futuro: quello della nostra distruzione. L’infelicità è inevitabile. Nasce dall’urto tra il carattere illimitato dei desideri e il carattere finito del bene che ogni essere vivente riesce a procurarsi. Sperimentare il limite significa sperimentare l’infelicità. Apprendere la propria finitezza, scoprire che la nostra vita è un errore prospettico, un tutto che è un nulla: è patire.

Flavio Ermini

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1. Non penso a nulla: il nulla è dunque la materia dei miei pensieri? 2. Voci autonome, memorie dissotterrate. Pensieri che irrompono nella nostra mente: quando siamo convinti di non pensare. 3. Privarsi di tutto. Adusti, puritani: e, al contempo, flagellatori. Osservare con la lente del disprezzo, pieni di carità rapace, esprimendo condanna comprensiva. 4. La gioia? Solo illusione: pericolosa, da estirpare: da trasformare in sofferenza.

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5. Oltraggiati dai mali dell’umanità: intenti ad un vanaglorioso ritegno. 6. Non conosceremo la nostra morte. Ecco una verità che non conforta, come vorrebbe: e sbigottisce. 7. La morte, il suo nulla, il suo vuoto: che la mente non può rappresentarsi. Né, in fondo, concepire. 8. Pure, a volte, della morte parliamo. Possiamo, infine, pensarla: sì che il mondo continui senza di noi. Quasi potessimo vederlo: giacendo.

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9. Raffigurare il non-essere: sentire di non essere mai stati. Forse, il ricordo, unico salva dall’esser solo creature immaginarie: mai esistite. 10. Morte: ciò che non siamo. Radicale negazione: questo il suo orrore. 11. Ardua fede quella di credere all’annuncio che non saremo distrutti. Destinati, questo sì, a sparire: ma, infine, solo trasformati. 12 Non rappresentabilità della morte, del nulla. Solo immagini ributtanti di incipienti disfacimenti: repellente gusto necrofilo.

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13. Solo i vivi, i sani, i sopravvissuti posso indagare e scrutare i segni della morte: con implacabile precisione o con amorosa partecipazione la sofferenza e il deperire dei malati, l’agonia dei morenti, la rigidità della morte. Vizioso curiosare nello strazio: stendendo il protocollo dell’annientamento. 14. La storia, (anche la nostra personale storia), è dominata da Tyche: beffarda Fortuna, Destino. Che periodicamente distrugge ogni perfezione realizzata. 15. Oltrepassare la linea del destino. Sfida aleatoria: si può, forse, sfidare il fato, mai sostituirsi ad esso.

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16. Corruzione e declino. Umana impossibilità di governare spazio e tempo: la crisi. Ma è dunque possibile fare la storia? O solo essere nella storia, in un tempo (e uno spazio): determinato. 17. Traiettorie d’azione: possibili in un piano di immanenza assoluta. 18. La visione naturalistica degli antichi pagani? Contro la trascendenza del cristiano, la metafisica e la dialettica dei filosofi, la dialettica dello scienziato? 19. Nella coesistenza di negativo e positivo (che non vuol essere dialettica) sta l’unica apertura alternativa: integralmente immanente.

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20. Necessità o trascendenza? Fuori dalla contraddizione, dal paradosso e dal non senso: coesistere con la crisi. 21 Il nichilismo domina l’epoca: senza speranza. Declino irreversibile: mentre riaffiorano, terribili, gli spettri dell’intolleranza. 22. Dove gli elementi indicativi di possibili resistenze? Senza futuro, quali i margini di reazione positiva, di possibili alternative? Di resistenza anche protesa verso il futuro: futuro passato, sorta di futuro anteriore?

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23. La trascendenza contrapposta alla storia? Redenzione contro corruzione? Messianesimo contrapposto al nichilismo? Si abbandona la dialettica per il rifiuto: individuando in resistenza, violenza, la positiva affermazione dell’essere.

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MAURO MALDONATO

Riflessione critica su Prognosi riservata

di Pietro Salmoiraghi

Non è una poesia sonora o cantabile, quella di Pietro Salmoiraghi, ma una poesia sommessa, mormorata, sul bilico tra voce e silenzio, fatta di frammenti di prosa che si trasfigurano, improvvisi, in liriche, tonalità polemiche, vibrazioni intermittenti. I suoi versi danno luogo a stati onirici, esercizi di perplessità, pulsioni psichiche, movimenti allegorici, dilemmi etici. Il bisturi dell’autocoscienza trafigge evenienze epocali ed esistenziali lasciando affiorare ricordi e riflessioni, in un colloquio ininterrotto di penombre e lirismi. Voci autonome, memorie dissotterrate. / Pensieri che irrompono / nella nostra mente: / quando siamo convinti / di non pensare. Lo sguardo e la scrittura di Salmoiraghi oscillano tra un’impalpabile dimensione privata e repentine prese di posizione critiche sulla storicità contemporanea. Il nichilismo domina l’epoca: / senza speranza. / Declino irreversibile: / mentre riaffiorano, terribili, / gli spettri dell’intolleranza. L’attenzione – dichiara il poeta – non è rivolta alle scene, ma presuppone i cambiamenti d’azione e la ricostruzione di immagini, per affidarsi a una parola poetica, connotata da un sovra-senso sorvegliato, impassibile, translucido.

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Quando l’anima si congeda /e libera, espressiva, / ulteriorità di senso, / racconta la sua trama: / e nelle parti / del gioco degli equivoci / estesamente dispiega / le scene che la trama racconta. L’umana condizione, fallibile e incerta, esposta ai rischi e alle intimazioni del disumano storico-sociale, ritrova l’umana natura solo nel trasumanare e nel sovra-umano, nel trascendere: L’esperienza del male, della morte, persuade che nel tempo e nel mondo / non c’è salvezza: / né verità. / Trascendere, andar oltre: questa l’essenza dell’uomo / che mai smette di inventare, tra eterno / e caduco, mortale: / la natura (e l’animale) /non sa della morte, / non dell’anima”. La parola poetica – perfettamente antitetica alla parola fonologica, alla scrittura amministrativa, al banale repertorio del lessico sociale, all’arida pulsione calcolante – vive (e sopravvive) assumendo il vuoto che queste, scomparendo, lasciano in essa. Più di quarant’anni fa, in Presso il Bisenzio, Mario Luzi disse, con veggenza profetica, che questo tempo di totalità tecnica e di relazioni post-umane non vuole «la profondità, né l’ardimento, / ma la ripetizione di parole, / la mimesi senza perché né come / dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine». La voce poetica proviene da una indispensabile, forse ontologica solitudine. Ma proprio questa solitudine – che è immemorabile ferita, profondità di sguardo, meditazione sul destino di ogni uomo e aperture del cuore – dice con il silenzio e senza nessuna illusione, la nostra condizione di uomini atomizzati, solitari forzati in una scena occupata dalle moltitudini. E la voce poetica, anche quando si rivela inattingibile, aspra, risentita o distante, appare nel fondo una voce amica, apertura-sorgività come pura forma dell’accadere.

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In quei pensieri che irrompono nella mente quando crediamo di non pensare appaiono i fantasmi dei poteri, di quei domini tecnoscientifici che si pretendono neutrali e che invece intendono controllare le anime e manipolare, invadere i corpi. «Scienza del bene e del male: / paralizzare la morale in un giudizio / Nel giudizio: ovvero in ragione. / Dice Quevedo: / ‘più amo la morte con il giudizio, / che la vita senza di esso’». E dunque poi il rischio estremo: «Mortale, e di conseguenza infernale, / barattare l’albero della vita / per quello della scienza». L’idea del male appare al poeta né oggettiva né etica, ma una tragedia interiore irrimediabile: una «Sofferenza interna all’essere / nudo soggetto». Anche dare la morte, l’orrenda colpa del crimine contro la vita altrui, è diventato un evento asettico, casuale, indifferente; una colpa neutralizzata, priva di ogni senso di colpa, dove l’eco della confessione di Raskolnikov (nel finale di Delitto e castigo) – quando riconosce, contro ogni estremo alibi morale, di avere ucciso se stesso commettendo il duplice omicidio – è stravolto dalla scomparsa dell’angoscia e dall’assenza della redenzione che invece animavano le pagine di Dostoevski (Aporie XV). Salmoiraghi intuisce le tenebre, ne ode il silenzio, muovendo incontro agli emblemi dell’assoluta assenza (Aporie XVI), sulla traccia di diversi percorsi della poesia contemporanea. Negli ultimi versi la non responsabilità consustanziale all’ordine dell’inconscio sembra fare, in un apparente contromovimento, un disperato appello a una responsabilità-libertà di un ordine (arrischiato e forse impossibile) ri-naturalizzato, ri-umanizzato, inscritto in un’etica delle relazioni con l’altro uomo, per scongiurare l’abisso di un inconscio assoluto. La poesia si rivela la lingua profonda del sogno, ove affiora, nonostante le angosce e le disillusioni delle epoche storiche, la purezza dell’elemento e la trepidazione del sentire umano. La sua innocenza non è più ignara, ma è un’innocenza sapiente che eccede ogni supponenza e illusione dottrinal-razionalista.

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Lingua poetica e lingua dell’indagine filosofica, anche se distinte, tendono ad avvicinarsi ed incontrarsi. Lo vide con genialità di sguardo e di scrittura Leopardi nello Zibaldone: «È tanto mirabile quanto vero, che la poesia la quale cerca per sua naturale proprietà il bello, e la filosofia che essenzialmente ricerca il vero, cioè la cosa più contraria al bello, sieno le facoltà più affini tra loro, tanto che il vero poeta è sommamente disposto a essere un gran filosofo; e il vero filosofo a essere un gran poeta, anzi né l’uno né l’altro non può essere nel gener suo né perfetto né grande s’ei non partecipa più che mediocremente dell’altro genere, quanto all’indole primitiva dell’ingegno alla disposizione naturale, alla forza dell’immaginazione». La poesia sorprende la vita mettendosi all’ascolto della morte. Ma ascoltare la morte vuol dire non perdere neppure un momento della vita. È così che percepire le ultime parole della vita (ogni parola della vita è l’ultima) vuol dire aver fatto già ingresso nella morte, in un misterioso paesaggio che le custodisce e le unifica. Sulla linea di quell’orizzonte, dove la morte e la vita si abbracciano, la poesia diviene ascolto: un ascolto-che-dice, dove la parola si ritrova, ek-statica-mente, fuori di sé, congedata da se stessa, esiliata da se stessa. Se è vero che la poesia fonda un nuovo rapporto con il mondo, rendendo esplicita una prossimità essenziale, è anche vero che essa vive in una separazione inappropriabile, in una distanza inaccessibile al mondo. In questo incessante processo di rimozione e separazione, morire alla vita è il sigillo necessario per rinascere nel linguaggio, dove ogni parola e il suo senso non effabile rivivono, nuova casa e radice, la morte di altre parole ormai indicibili. È in questo movimento che la poesia sospende la parola stessa, facendo vuoti e lacune intorno a sé, spingendosi di soglia in soglia oltre quel limite dove scrivere è ritrovare, ogni volta, lo stupore dell’origine che vive tra il ricordo e l’oblio.

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Pietro Salmoiraghi, architetto, nasce da una vecchia famiglia milanese nel 1941. Docente fin dal 1964 in diverse istituzioni milanesi (in particolare, nella facoltà di Architettura del Politecnico: tuttora Professore Incaricato) svolge al contempo attività di libero professionista. Ha pubblicato progetti e saggi nei principali libri e riviste di settore, ed è autore di numerosi articoli su temi politici e civili, apparsi su vari quotidiani nazionali. Nel 2002 pubblica, per i tipi di Vangelista Editore in Milano, Hortus Conclusus: la sua prima opera di narrativa. Nel 2006 pubblica nella collana di poesia Opera Prima, curata da Flavio Ermini, - Cierre Grafica, Verona - il volume 'Prognosi Riservata'. Numerose sue poesie e varie recensioni sono presenti nelle riviste telematiche "tellusfolio" (www.tellusfolio.it: a cura di Claudio Di Scalzo) e "Poeti e Poesia" (a cura di Elio Pecora), nonché su GRADIVA / International Journal of Italia Poetry, ne' La Mosca di Milano nella rivista La clessidra; da ultimo LA STAMPA - nella rubrica curata da Maurizio Cucchi - ha pubblicato una sua poesia il 21 marzo 2008. Le raccolte inedite RACCOLTA DIFFERENZIATA e NOTE SENZA TESTO, rispettivamente nel 2007 e nel 2008, sono state segnalate nel Premio Lorenzo Montano ed alcune poesie recitate nel corso dell'evento 'Biennale Anterem di Poesia'. Nel 2007 RACCOLTA DIFFERENZIATA ottiene il 2° premio al concorso indetto da Iniziative Letterarie - Associazione Nazionale Scrittori Lombardi. Infine nei volumi della collana editoriale Quaderni di linfera - Antologia 2008, 2009 e 2010 (selezione di poesie introdotta da Maria Luisa Spaziani) sono state inserite poesie tratte dalle raccolte NOTE SENZA TESTO, NOTE A MARGINE e LEGITTIMA SUSPICIONE. Alcuni aforismi con cui ha partecipato al concorso internazionale "Torino in Sintesi" sono stati pubblicati nel volume edito da Joker Edizioni 'ANTOLOGIA aforismi', a cura di Sandro Montalto. La siloge Abduzioni è stata poi inserita nella nuova antologia di aforismi sempre a cura di Sandro Montalto per i tipi della Joker edizioni. Infine Gabriela Fantato ha pubblicato la raccolta di testi inediti dell'autore con il titolo AUTOBIOGRAFIA INVOLONTARIA nella collana SGUARDI (LA VITA FELICE, Milano, 2010). Sue composizioni polimateriche e lavori visivi sono stati recentemente esposti alla Galleria 9 Colonne di Bologna in occasione di Arte Fiera e nella sala mostre della Rocca dei Sanvitale (Comune di Fontanellato).

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