opsel torino infanti e fondazioni barca torino04-libre

16
Ezio Pellizer MITI DI FONDAZIONE E INFANTI ABBANDONATI in: GUGLIELMO, Marcella e GIANOTTI, Gian Franco (eds.), Filosofia, storia, immaginario mitologico Ed. Dell'Orso, Alessandria 1997, pp. 81-93 (Barcellona, 15 luglio 1994 Torino, 9-10 maggio 1996)

Upload: davall

Post on 07-Feb-2016

218 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

opsel torino infanti

TRANSCRIPT

  • Ezio Pellizer

    MITI DI FONDAZIONE E INFANTI ABBANDONATI

    in:

    GUGLIELMO, Marcella e GIANOTTI, Gian Franco (eds.),

    Filosofia, storia, immaginario mitologico

    Ed. Dell'Orso, Alessandria 1997, pp. 81-93

    (Barcellona, 15 luglio 1994

    Torino, 9-10 maggio 1996)

  • Ezio Pellizer

    2

    2

    [81] Alcuni anni or sono, su invito di Diego Lanza, ebbi l'occasione di trat-

    tare a Pavia il problema della "mitologia di fondazione" a un convegno di

    studio sul tema Primordia urbium1. Le riflessioni di allora furono poi ampliate

    su materiali pi vasti, e presero forma come capitolo (il VI) di un mio libro

    sul tema dell'eroe nella mitologia greca, dal titolo La peripezia dell'eletto. (Pa-

    lermo, Sellerio, 1991). Non ripeter qui quello che si pu leggere in quel ca-

    pitolo.

    Vorrei piuttosto ripercorrere in sintesi alcuni punti fermi di quell'anali-

    si, e sviluppare qualche esempio di racconto (o "mito") di fondazione, con-

    ducendovi in una breve passeggiata, o promenade, in un "bosco narrativo", o

    se preferite, in una foresta di simboli che forse ci dar modo di capire un po'

    meglio il meccanismo che regola la apparente complessit e la grande varie-

    t di queste storie di eroi, di citt e di fondazioni. Perch proprio nelle ktseis,

    nelle storie di fondazione, si apprezza meglio che altrove la commistione i-

    nestricabile di mito e storia, di racconto immaginario e discorso che si pone -

    o pretende di porsi - come veritiero.

    La sintassi dei racconti eroici in generale articolata e condizionata, o

    piuttosto sovra-determinata, dalla sanzione, figura discorsiva che nei miti as-

    sume la forma di un arci-sapere oracolare, profetico, in tutti i casi prodigioso

    e di origine soprannaturale. Ci presuppone il costituirsi (come funzione dei

    racconti) di una categoria di "locutori privilegiati del sacro" (vati, poeti, nar-

    ratori di miti) e/o di ispirati interpreti della parola divina, che suscettibile

    di esercitare su una lunga durata una sorta di manipolazione degli enunciatar

    dei racconti, la quale fonda cos a sua volta un universo di credenza (o di

    "fede"), cio istituisce un vasto contratto fiduciario (garantito dall'ispirazione

    divina) con l'insieme dei suoi destinatar. Questi potranno forse non credere

    a qualche particolare inverosimile di una singola storia divina o eroica, ma

    1 Cfr. D. Lanza, (cur.), Primordia urbium. Forme e funzioni dei miti di fondazione del mondo anti-co, Pavia 1988.

  • Miti di fondazione

    3

    3

    non avranno generalmente dubbi sulla verit (o veridicit) del sapere oraco-

    lare, n sulla credibilit generale dei profeti, n sulla fondazione divina (o

    "fatale" o "voluta da dio") di una dinastia dominante o di una istituzione di

    potere. Una sorta di pregnanza genetica [82] delle forme gerarchiche di do-

    minanza, garantita da istanze di ordine religioso, sembra riconoscibile alla

    base della struttura sintattica canonica (o standardizzata e costante) che arti-

    cola i paradigmi del discorso narrativo che siamo soliti chiamare "mitico",

    pur nelle sue diverse versioni e nell'infinita - o per lo meno illimitata - varie-

    t delle sue manifestazioni2.

    0. 1. Fondazioni di citt e sapere oracolare

    Dal punto di vista storico, la frequenza di una sanzione oracolare nei

    miti di fondazione trova riscontro ("oggettivo") nelle numerose e frequenti

    interferenze di istituzioni sacrali - come l'oracolo di Delfi - nel decidere la

    deduzione di colonie in tutto il Mediterraneo, come emerge dagli studi di

    Leschhorn e Malkin3. Ma questo fenomeno, come si presenta ripetutamente

    nelle configurazioni finzionali che si riconoscono nei racconti di fondazione,

    appare soprattutto far parte di un meccanismo linguistico molto generale,

    conosciuto dai Greci come eponimia (o, se il caso, come metonomasia), che si

    manifesta come l'ostinata ricerca - (empirica e narrativa) di un'articolazione

    causale soggiacente alla realt naturale, cio come l'elaborazione finzionale

    delle cause (, per lo pi immaginarie) che producono la denominazione

    del mondo naturale, rendendolo cos "culturale", cio antropicamente orga-

    nizzato. Si procede quindi (ed l'attivit "mitografica" di poeti, eruditi ed

    2 In questo senso citavo, a epigrafe del mio volume, una massima di J. L. Borges: "La storia dei tempi che furono fatta piuttosto di archetipi che di individui", (J. L. Borges, Prologhi); intendendo per per "archetipi" delle semplici strutture costanti del discorso narrativo, e non delle forme innate o filogeneticamente consolidate di un per me assai problematico "inconscio collettivo". Sul problema delle definizioni del "mito" e sui suoi complessi rapporti col il discor-so "storico", si legger con profitto la lucida analisi di Cl. Calame, "Illusions de la mythologie", nel suo recente volume Mythe et histoire dans l'Antiquit grecque, Lausanne, Payot, 1996, pp.9-55. 3 Cfr. Wolfgang Leschhorn, Grnder der Stadt. Studien zu einem politisch-religisen Phnomen der griechischen Geschichte, Stuttgart 1984; I. Malkin, Religion and Colonization in Ancient Greece, Leiden-New York 1987, in particolare il cap. 2, "Divination and Foundation", pp. 92-113.

  • Ezio Pellizer

    4

    4

    antiquar) all'elaborazione di un loro inventario in forma di enciclopedia mito-

    logica. In questo senso si pu concepire e intendere nel suo spessore l'affer-

    mazione di Umberto Eco, quando dice che "la funzione dei miti () dar forma

    al disordine dell'esperienza"4. E tale forma, quella di una sorta di lessico uma-

    nizzato, la giustificazione narrativa del linguaggio primordiale "adamitico"

    (come sar chiamato in altre tradizioni); un sistema convenzionale che serve

    a render conto dell'origine [83] dei nomi delle citt, ma anche di quelli delle

    fonti e dei fiumi, delle pietre e delle stelle, e talvolta perfino dei nomi degli

    eroi capostipiti di dinastie o di assetti "politici" esistenti. Si tratta di una sor-

    ta di affabulazione del mondo naturale, che viene "passato attraverso il di-

    scorso del mito": in questo modo, si rende in un certo senso pi umana, an-

    tropomorfica ed "eroica" l'origine stessa del vocabolario.

    0. 2. Il natale di Roma e l'infante fatale

    L'esempio che esaminer brevemente riguarda la fondazione e la de-

    nominazione di una famosa citt: Roma. Tutti sanno (o almeno, tutte le per-

    sone di media cultura della Catalogna, della Grecia, della Svezia, o in gene-

    rale facenti parte della c. d. "civilt occidentale") che il nome di questa celebre

    metropoli deriva da quello del suo eroe fondatore, Romolo (o al massimo,

    da quello di suo fratello Rhmos, pi noto come Remo). Ma le cose non so-

    no cos semplici. Quasi a far esplodere l'aspetto prevalentemente linguistico

    (o etimologico, o pi in generale, semiotico) dei racconti di fondazione, il

    diligente scrittore beotico Plutarco di Cheronea (Vita Rom. 1-4) elenca press'a

    poco una diecina di etimologie o eponimie della citt di Roma, che ne fanno

    risalire le origini alle cause - o alle stirpi - pi disparate, greche, lidie, tirre-

    niche (o "etrusche"), troiane, e cos via.

    Qualche esempio: Roma fu fondata, e/o prese il nome:

    4 U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani 1994, p. 107 (Norton Lectures, Harvard 1992-93).

  • Miti di fondazione

    5

    5

    a) dai Pelasgi fuggitivi, cacciati dalla loro terra, che erano dotati di grande

    forza in battaglia: forza in greco si dice rhme

    b) da una donna troiana, di nome appunto Rhme

    c) da una figlia di Telefo della stirpe di Eracle (o di Italo), anch'essa chiamata

    Rhme, che sarebbe andata in isposa a Enea troiano o a suo figlio Ascanio

    d) da un figlio di Odisseo e della maga Circe, di nome Romano (Rhomans)

    e) da un certo Rhmos, mandato in Italia da Troia

    f) da un tiranno dei Latini, di nome Rhmis

    [84]

    g) e finalmente da Romolo, ma qui si trova una grande divergenza di opinio-

    ni sulla sua origine, che si moltiplicano a dismisura, producendo numerose

    altre versioni (o varianti di versioni analoghe).

    Ecco dunque che il fondatore dell'Urbe, l'eroe Romolo, con il suo fratel-

    lo gemello, sarebbe stato figlio:

    1) di Enea troiano e Dexitha, e sarebbe stato portato in Italia da bambino,

    insieme col fratello Rhmos (cio Remo)

    2) di Latino (che a sua volta era figlio di Telemaco, dunque discendente di

    Ulisse in persona) e di Rhme, figlia di una donna troiana5

    3) del dio Ares (il Mars dei Romani) e di Emilia, figlia di Enea e di Lavinia

    5 Una certa Leucaria, cfr. Dionys. Halic. Ant. Rom. 1, 72 6: , e Plut. V. Rom. 2, 1.

  • Ezio Pellizer

    6

    6

    4) di una schiava della figlia di un tiranno di Alba, in Etruria (come vedremo

    pi avanti) che concep in modo prodigioso

    5) di Ilia o Rhea Silvia, figlia di Numitre, la quale rimase incinta per opera

    del dio Ares; o, secondo una versione assai pi interessante - e perfida - per

    opera del suo stesso zio paterno, Amulio, fratello minore di Numitore, il qua-

    le la avrebbe depulzellata () dopo averla rapita, armato di

    tutto punto6.

    0. 3. Strutture narrative canoniche e motivi ricorrenti

    Soffermiamoci un momento su quest'ultima versione, che appare la pi

    accreditata (cfr. Tito Livio; Plutarco cita come fonte attendibile Diocle di Pe-

    pareto, seguito da Fabio Pittore)7; anche in essa, a prescindere quindi [85]

    dalla sua "veridicit" o "storicit", che qui non ci interessa, visto che i nostri

    problemi sono piuttosto di teoria dell'informazione, giocano motivi e strut-

    ture del racconto abbastanza generali e di grande diffusione, che si ritrovano

    anche nel racconto detto folclorico; varr la pena di segnalare qualcuna di

    queste ricorrenze, per mettere in evidenza la stretta connessione che si ri-

    scontra tra la sintassi che organizza la peripezia eroica e il progetto di spie-

    gazione o di giustificazione mitica della fondazione di una citt (o di un re-

    gno, o di un rituale, o di un'istituzione religiosa, e cos via).

    1) due fratelli si contendono il regno (o altra eredit di famiglia); un caso comu-

    ne, e molto produttivo, che si collega con il motivo pi specifico dei "gemelli

    che litigano gi nel ventre materno". Ricordo la leggenda di Acrisio e Preto nella

    6 Si veda in proposito, di Maurizio Bettini, Antropologia e cultura romana. Parentela, tempo, immagini dell'anima, Firenze, La Nuova Italia, 1986, le pp. 34-38. 7 Cfr. anche il particolareggiato racconto che ne fornisce Dionigi di Alicarnasso: ...

  • Miti di fondazione

    7

    7

    tradizione argiva, o quella meno nota, focese, di Panopeo e Crisos8. Ci

    comporta il problema della spartizione dell'eredit paterna, che nel nostro ca-

    so ricorda da vicino quella che avviene tra Eteocle e Polinice, i figli di Edipo,

    nel mito tebano9. A Numitore tocca il regno, ad Amulio vanno i beni mobili

    (khrmata ). Ma costui, che il fratello minore, usurpa per s il regno, e scac-

    cia suo fratello maggiore10.

    2) il nuovo re teme che nasca un bambino (suo consanguineo, di solito) vendi-

    catore, che lo punir delle sue colpe e lo spodester, gli toglier il potere.

    [86] Nel nostro caso, Amulio ha paura, teme che dalla figlia dello spode-

    stato Numitore, Rhea Silvia, nascano dei figli (suoi pro-nipoti) che gli fac-

    ciano pagare il fio delle sue malefatte.

    Questa "paura dei padri", o dei nonni o degli zii o pro-zii, un tema

    molto generale11: Cronos e Zeus, Laio ed Edipo, Zeus ed Achille, etc.).

    Ci produce di solito come conseguenza:

    8 Si veda Pausan. II 29, 4; della loro inimicizia parla anche [Tzetz.] Schol. Lycophr. 930, . Pi avanti, Schol. Lycophr. 939, si cita l'esempio biblico dei gemelli Phareus e Zara, Genesi 38, 27-30. 9 O quella, assai meno nota, dei figli di Feaco (Phaiaks), Alcinoo e Locros (Cono, Narr. 3), i quali si spartiscono, dopo una lite, l'eredit: uno si tiene il regno, l'altro va a fondare Locri e a dare il nome alla Locride, portando con s i keimlia e una parte, mira, della popolazione. 10 Si pu notare che qui non si tratta di una lite tra gemelli, ma tra un fratello maggiore (perdente) e un fratello minore (vincente). Nel caso di Eteocle e Polinice le fonti oscillano e non sono concordi, nello stabilire quale dei due fosse il maggiore e quale il minore. Il tratto della gemellarit compare solo nei discendenti (appunto Romolo e Remo) che per litigheranno solo da grandi, mentre da piccoli si amavano teneramente. Sembra che alcuni di questi racconti colmino, o mettano in azione alcune possibilit simmetriche lasciate aperte da altre storie di analoga struttura (altri possibili narrativi rimangono aperti, potremmo dire, anche per racconti ulteriori, non ancora raccontati). La simmetria delle opposizioni che articolano le strutture nar-rative sembra dunque regnare sovrana, creando o preparando le varianti possibili. Qui, ad esempio, a una coppia di gemelli litigiosi fino all'assurdo (nel ventre materno, prodigio, thu-ma) fa riscontro una coppia di gemelli che da piccoli si amano (Romolo interverr per salvare suo fratello Remo), mentre si combatteranno solo al momento della fondazione, sia con la "for-tuna" (predestinazione "fatale", l'osservazione di 6 o di 12 uccelli) sia con la spada, fino al fratricidio. Sul tema dei gemelli nella cultura romana, possiamo leggere ora il bel saggio di Francesca Mencacci, I fratelli amici. La rappresentazione dei gemelli nella cultura romana, Venezia (Marsilio) 1996, con Prefazione di M. Bettini.

  • Ezio Pellizer

    8

    8

    3) la reclusione della fanciulla, che viene costretta a una qualche forma di clau-

    sura che la obblighi a rimanere per sempre vergine.

    La custodia delle vergini sui cui eventuali figli gravano paure o sospet-

    ti, molto diffusa e produttiva. Amulio obbliga alla verginit tra le Vestali la

    nipote Rhea Silvia, la quale per fatalmente rimane incinta. Sfuggita alla

    morte per l'inconsueto intervento di una "cugina", certa Anth, viene nuova-

    mente reclusa12 e confinata in solitudine, questa volta per impedirle di parto-

    rire all'insaputa di Amulio, il tirannico pro-zio (grand'oncle). Ben sorvegliata

    per tutto il tempo della gravidanza, alla fine la vergine Vestale partorisce,

    dando alla luce due gemelli. Parti gemellari, come noto, sono frequenti,

    nelle nascite eroiche, soprattutto quando il loro padre un dio. (Cfr. Amfio-

    ne e Zeto, Eracle e Ificle (Iphikls), etc.).

    I meccanismi della sintassi narrativa esigono a questo punto, visto che

    sui due infanti pesavano paure e destini pericolosi per il patruus, lo zio pa-

    terno della loro madre:

    4) un tentativo di eliminazione, di soppressione dell'eroe infante, in questo caso

    di entrambi i gemelli. I due bambini vengono esposti e abbandonati in una

    skphe, sorta di culla a forma di barchetta, per il solito intervento dell'aiutante

    inaspettato, o dell' "esecutore intenerito", (o anche: "sgherro di buon cuore",

    cfr. il cacciatore nella storia di Biancaneve). L'ordine era invece di gettare i

    due infanti nel fiume, per ucciderli, farli annegare.

    Perseo viene gettato in mare in una cassa, lrnax, che sar portata in [87]

    salvo a Serifo per intervento dell'aiutante, o meglio dell'arci-Adj.: Zeus, fin-

    ch verr tratta a riva da un altro Adj.2: Ditti (Dktys), e perfino Edipo, in una

    11 un po' quello che gli psicanalisti chiamano appunto il "Complesso di Cronos". Sul questo tema, cfr. il volume collettivo a cura di E. Pellizer e N. Zorzetti, La paura dei padri nella societ antica e medievale, Roma-Bari 1983. 12 una ridondanza che fa entrare in gioco il tema della "fanciulla imprigionata", cfr. Danae da Acrisios, o lassai meno noto racconto di Seuchoros e sua figlia (che resta anonima), Peri-pezia, pp. 43-44; sugli sviluppi narrativi delle tematiche relative ai padri e alle figlie in et da

  • Miti di fondazione

    9

    9

    variante che si legge negli Scol a Euripide, fu gettato in mare in unanaloga

    lrnax13, prima di approdare a Sicione ed essere accolto da Polibo.

    Siamo pienamente nell'mbito della sintassi standard delle storie dell'in-

    fante abbandonato (cfr. il mio La Peripezia dell'eletto, Palermo 1991, cap. 1),

    che prevedono immancabilmente la comparsa di

    5) una o pi figure dell'aiutante (Adj.); una serie abbastanza numerosa di

    questi aiutanti interviene a salvare i due gemelli da morte sicura: Adj.1: il

    fiume Tevere; Adj.2: la lupa14, che prodigiosamente allatta i due bambini;

    Adj.3: un picchio, - o - (woodpecker); pi spesso troviamo

    un Adj.4: pastore, o un bovaro, o un cacciatore, o un allevatore di porci, che

    in alcune fonti (della nostra storia) ha anche un nome, Faustolo.

    Si pensi a personaggi come Telefo, chiamato cos perch fu allattato alla

    mammella di una cerva, - 15, o alle peripezie di Paride Alessan-

    dro, oppure allo stesso Zeus allevato da una capra o dalle api. O anche, per

    restare ai gemelli, Amfione e Zeto, anch'essi raccolti dal solito pastore. A vol-

    te, come avviene anche in questo caso, il tipo di aiutante o le circostanze del

    "salvataggio" producono effetti sulla

    6) denominazione dell'infante; nel nostro caso, sembra che proprio dal

    nome della mammella, che gli antichi chiamavano ruma , uno dei due gemel-

    li fu chiamato Rhmos (ovvero Remo), l'altro Rhomlos, cio Romolo (Plu-

    tarch. Vita Rom. 4, 1; 6, 2 ).

    marito, si veda il mio: Padri e figlie nell'immaginario della Grecia antica, in Luisa Accati Levi (cur.), Padre e figlia, Firenze, Rosemberg e Sellier, 1995, pp. 77-94. 13 Cfr. Schol. Eurip. Phoen. 26 e 28: . 14 Donde una curiosa spiegazione "razionalistica" ed "etimologica": in latino lupa significa etera, prostituta. I gemelli sarebbero stati allattati da Larenzia, moglie di Faustolo, che avrebbe esercitato appunto questo infamante mestiere. 15 Cfr. , capezzolo o seno, mammella femminile.

  • Ezio Pellizer

    10

    10

    Sembra dunque giustificato il gioco di parole (o il debole calembour , ef-

    ficace soprattutto in italiano, mentre in molte altre lingue c' la - y - ) che

    mette in evidenza la stretta relazione di vicinanza concettuale tra eti-m-o-logia

    ed eti-o-logia: la spiegazione dell'antroponomastica passa attraverso [88]

    un'esposizione narrativa, una ricostruzione "mitologica" delle cause (itia)

    che hanno condotto alla denominazione di personaggi eroici.

    Da uno, o da entrambi questi nomi deriva dunque la denominazione,

    l'"eponimia " di Roma, la citt fatale che dovr governare il mondo.

    0. 4. Versioni "aberranti"?

    Si vede bene in che larga misura anche la leggenda di Roma verta su

    articolazioni canoniche della sintassi narrativa che si ritrovano non solo in

    numerosi miti greci - il che giustificherebbe ipotesi semplicemente deriva-

    zioniste - ma anche in diversi ambiti culturali, sia storici che geografici, co-

    me i progressi degli studi antropologici e di narratologia folclorica mettono

    sempre pi e meglio in evidenza. Ci sembra suggerire piuttosto l'ipotesi

    dell'esistenza di una sorta di "universali narrativi" comuni alle storie dinasti-

    che e di successione, come ai miti di fondazione di comunit sociali diverse

    e lontane tra loro.

    Ma vediamo ora una versione che appare tra le pi sorprendenti, fra le

    tante che Plutarco raccoglie16. La parte finale pi o meno analoga e comu-

    ne, rispetto alla vulgata: i due gemelli nascono, vengono esposti perch

    muoiano, si salvano per l'intervento di aiutanti prodigiosi (della lupa e di

    certi uccelli non specificati), e alla fine sconfiggono e puniscono il crudele

    tiranno che avrebbe dovuto essere il loro nonno (ma come vedremo non lo

    fu!). Ci che diverge, e in modo notevole, l'antefatto, che sar bene narrare

    per esteso. Secondo un certo Promazione (), autore di unopera

    dal titolo "Storie italiche":

  • Miti di fondazione

    11

    11

    Il re degli Albani, Tarcezio (), che era crudelissimo e senza legge, vide apparire nella sua reggia un fantasma soprannaturale (una divina apparizione, ); si trattava di un fallo prodigioso, che si levava, si ergeva dal focolare domestico, e che rimase per molti giorni in quel luogo.

    In Etruria (nella Tirrenia) vi era a quel tempo un oracolo di Tetide (), dal quale fu recato a Tarcezio questo responso: "che una vergine doveva congiungersi con quel fallo; e da lei sarebbe nato [89] un figlio (), destinato a diventare famosissimo, che si sarebbe distinto per virt (), per fortuna () e per forza, ()"17. Tarcezio allora rivel il responso a una delle sue figlie, ordinandole di unirsi con quel fanta-

    smatico fallo. Ma quella non ne volle sapere, e (di nascosto dal padre,) mand al suo posto una serva, una delle sue ancelle, per fornire la bisogna.

    Quando Tarcezio se ne accorse, and su tutte le furie, e fece arrestare entrambe le fanciulle,

    con l'intenzione di metterle a morte: ma gli apparve in sogno Hesta (Vesta, la dea del foco-lare), che gli proib di uccidere le due ragazze. Allora le fece legare a un telaio, e impose loro

    di tessere una tela. Solo quando avessero terminato quella tela, sarebbero state date in ma-trimonio a qualcuno. Le due fanciulle di giorno tessevano, ma di notte altre ancelle, per ordi-

    ne dello stesso Tarcezio, la disfacevano.

    Alla fine, la serva incinta del fallo prodigioso diede alla luce due gemelli. E subito Tarcezio li

    consegn a un certo Terazio (, "l'uomo del prodigio"?) ordinandogli di metterli senz'altro a morte; ma costui li depose presso il fiume.

    Da qui riparte lo schema consueto, con poche e prevedibili varianti; i

    due infanti si salvano anche qui grazie all'intervento di numerosi aiutanti

    prodigiosi, come la lupa, o certi uccelli che accorrono in gran numero a por-

    tar loro il cibo, oppure aiutanti "normali" quanto inevitabili: qui nella figura

    del provvidenziale salvatore dei gemelli compare la figura di un "bovaro". E

    si riparte con la storia della crescita segreta dei gemelli, che finiscono con lo

    sconfiggere e spodestare il nonno malvagio, e fondare una nuova e pi

    grande citt.

    facile osservare come questa strana versione delle origini di Roma

    impieghi nuovi (o antichissimi ...) materiali narrativi: troviamo per esempio

    16 Plutarco stesso, Vita Rom. 2, 3, la considera del tutto "fantasiosa", . Maggior credito sembrava invece prestarvi S. Mazzarino, cfr. Il pensiero storico classico II 1, Bari, Laterza 1966, pp. 63-70. 17 Qui troviamo l'unico, e piuttosto debole, aggancio eponimico con il nome dei gemelli e della citt.

  • Ezio Pellizer

    12

    12

    la sostituzione nel talamo, in questo caso (per pudore? per vergogna di casta?)

    di una vergine non nobile, una serva, al posto di una principessa. Ci rende

    possibile quella "nascita umile" che comune a molti bambini di origine divi-

    na.

    Abbiamo poi la condanna delle due vergini a una pena senza fine18; si

    [90] riconosce qui un esplicito richiamo alla "tela di Penelope", che a sua vol-

    ta rientra in un meccanismo pi generale di lavoro fatto di giorno // e disfatto di

    notte, o anche di opera interminabile.

    Ma l'immagine finzionale pi significativa, direi "pregnante", che appa-

    re particolarmente carica di tratti isotopici che permettono di intuirne un pi

    generale senso simbolico, senza dubbio la figura del fallo, il fantasma so-

    prannaturale, divino19, col quale, per il volere di un oracolo (competenza so-

    prannaturale, che manipola gli attanti e sovradetermina l'intera storia) una

    vergine dovr unirsi per generare i due gemelli divini. In questa a prima vista

    intricata foresta di simboli, che all'analisi strutturale e comparativa appare

    sempre pi simile a un "giardino di sentieri che si biforcano" secondo assi

    oppositivi simmetrici e talvolta coerenti, questa icastica immagine riassume

    una casistica innumerevole di "concezioni divine " (in vergini e non), che sem-

    brano essere uno dei nodi di senso pi diffusi e generali, nelle storie eroiche

    delle culture antiche, e della cultura greca, col suo onnipresente Zeus, o con

    altri di seduttori, in particolare. Si tratta di rivendicare e rendere "fatale" il

    fondamento istituzionale e religioso della credenza nell' origine divina della

    sovranit.

    18 Su questo tema, si legger con piacere l'analisi del mito delle Danaidi condotta da Giulia Sissa, La giara delle ingrate, in Ch. Miralles - J.Prtulas, La dona en l'antiguitat, Barcelona 1987, pp. 85-95. 19 Ma non si tratta, con ogni evidenza, di un puro fenomeno eidetico, di una apparizione sol-tanto immateriale, visto che ha il potere di fecondare le fanciulle predestinate.

  • Miti di fondazione

    13

    13

    0. 5. Il fallo prodigioso e la sanzione religiosa della dominanza

    I racconti mitici che narrano di eroi fondatori e della loro nascita pre-

    sentano infatti molto regolarmente qualche configurazione in cui si mette in

    gioco l'interazione tra l'umano e il divino20. La concezione (pregnante) fon-

    damentale che sta alla base di questo genere di racconti evidentemente di

    ordine eugenetico e dinastico: questo sembra essere il senso del fallo prodigio-

    so e divino, del phsma daimnion che si leva dal focolare domestico di Tarce-

    zio, se mai le figure dei miti possiedono un senso (o un senso solo!).

    Alle innumerevoli unioni tra divinit e donne mortali che la tradizione

    greca riporta, fa riscontro il diffuso tentativo di un re senza discendenza ma-

    schile , senza figli maschi, di assicurarsi , da una o pi figlie femmine, una di-

    scendenza eroica geneticamente adeguata, ricorrendo magari all'ubriacatura di

    ospiti illustri, che poi si ritrovavano nel letto inattese fanciulle da deflorare.

    [91] caso di Pitto (Pitthus) di Trezene, che ubriaca Egeo (Aighus ) per

    metterlo a giacere con sua figlia Etra, la quale per l'occasione era gi stata

    ingravidata dal dio Posidone (nascita di Teseo)21; per tacere della burrascosa

    notte in cui Alcmena si un con Zeus in persona (camuffato nell'aspetto del

    suo ospite), e poi con l'ignaro marito Amfitrione (nascita di Eracle e di Ificle,

    Iphikls).

    Sorgono allora, in queste ripetute e copiose storie di amori divini, casi

    di "doppia paternit", nei quali nascer un figlio "umano" e un figlio semi-

    divino, oppure casi di paternit putativa, dove il padre "umano" allever come

    suo il rampollo di un dio, e talvolta persino casi di paternit dubbia, dove

    compare qualche perfida insinuazione sul comportamento, o sull'onest del-

    la vergine che diventata madre. Si dir allora che la concezione divina non

    20 Oppure dell'infra-umano, come i var mostri o gli animali parlanti o variamente "umaniz-zati"; cfr. Cl. Calame, s. v. mythique (discours, niveau), in: A. J. Greimas e J Courts, Du sens II. Essais smiotiques, Paris, Hachette, 1983, pp. 148-49: "(les) mythes semblent agis par des acteurs que leurs qualits ... situent en gnral dans l'infra- et/ou le supra-humain". 21 Altri casi meno noti in Parthen., Erot. path. I, dove Stphylos si comporta cos con Lyrcos, etc. Il caso limite, che potremmo chiamare il "paradosso di Thestios", vede un esigente sovrano che con l'astuzia fa giacere le sue ben 50 figlie con l'eroe sovrumano Eracle.

  • Ezio Pellizer

    14

    14

    che un'accorta bugia, per nascondere l'amore colpevole di una fanciulla

    non abbastanza ben custodita.

    Compaiono cos varianti in cui si pone in dubbio l'intervento di un dio

    nella fecondazione, e si insinua il sospetto di un rapporto peccaminoso, al di

    fuori delle regole matrimoniali. Non Zeus in forma di pioggia d'oro avrebbe

    reso madre Danae, ma il perfido e furtivo zio paterno, patruus22, Preto. E nel

    mito di Roma, non Ares, o Marte in persona avrebbe sedotto prodigiosamen-

    te la vergine Vestale Ilia (o Rhea Silvia), ma lo stesso zio paterno (patruus)

    Amulio (il racconto non spiega perch avrebbe dovuto farlo, visto che in al-

    tre versioni egli temeva la discendenza nata da Ilia - Rhea Silvia), il quale per

    l'occasione s'era vestito in completa tenuta da guerra, con la panoplia e le

    armi che lo facevano sembrare un'apparizione del feroce dio della guerra.

    Altro che Marte, insinuatosi per divino prodigio tra le coltri della fan-

    ciulla! Nelle storie di doppia paternit per la nascita di eroi, raramente viene

    meno o manca questo sospetto , in una tradizione che si sforza talvolta - de-

    bolmente - di svelare ci che si nasconde sotto queste unioni divine, alla vo-

    lonterosa ricerca di una "verisimiglianza" che appare come uno sforzo "ra-

    zionalistico" di adattare il discorso religioso a diversi livelli simbolici di cre-

    dibilit.

    Sembra quasi vi sia stato (forse gi nelle storie pi antiche, e non soltan-

    to nelle interpretazioni degli storici, come Dionigi o Plutarco, o degli allego-

    risti) un continuo, disperato tentativo di intercalare, di far interferire [92] le

    esigenze di un dubbio empirico nell'onnipotenza del discorso religioso (o "mi-

    tico"), il quale dal canto suo, come ben sappiamo, si disinteressa del "verisi-

    mile" con una libert creativa totale, e con un disprezzo a volte sovrano della

    "credibilit". Eppure continua, per poter funzionare - e in un certo senso, per

    poter sopravvivere - ad attingere perennemente alle figure e ai simboli che si

    incontrano di continuo, lungo i simmetrici percorsi tracciati attraverso i labi-

    rinti dei boschi narrativi, o attraverso i sentieri infinitamente ramificati dei

    meravigliosi giardini del racconto.

  • Miti di fondazione

    15

    15

    Ezio Pellizer

    Villaverde di Fagagna

    (luglio 1994, rivisto nel giugno 1996)

    22 Cfr. in proposito del patruus, il capitolo 2. del citato libro di M. Bettini, op. cit. pp. 27-49.

  • Ezio Pellizer

    16

    16

    Plut. V. Rom 2, 3 - 3, 1:

    2. 3

    . 2. 4 .

    .

    - 2. 5 .

    .

    2. 6

    .

    .

    2. 7

    .

    .

    2. 8

    . (FHG III 203 )

    .

    3. 1

    (FHG III 74 )

    (HRR I 7 ) .