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Eric-Emmanuel Schmitt

OSCAR E LA DAMA IN ROSA

(Oscar et la dame rose)

Traduzione di Fabrizio Ascari

Oscar ha solo dieci anni, ma la sua vita sta già per finire.

La leucemia lo sta uccidendo. E lui lo sa. Lo sa ma non può

parlarne con nessuno, perché i grandi per paura fanno finta di

non saperlo.

Nell'ospedale in cui il bimbo passa le sue giornate, solo

l'anziana signora vestita di rosa, che va sempre a trovarlo,

intuisce la sua voglia di risposte. E gli suggerisce un gioco:

fingere di vivere dieci anni in un giorno e scrivere a Dio per

raccontargli la sua vita.

Oscar ci sta, così si immagina di vivere a vent'anni, a

quaranta, a novanta. A centodieci, dieci giorni dopo l'inizio del

gioco, si addormenta. Ha lasciato un biglietto sul comodino:

"Solo Dio ha il diritto di svegliarmi".

Eric-Emmanuel Schmitt (Lione 1960) è drammaturgo, saggista e

romanziere di fama internazionale. Tra i suoi libri ricordiamo Il

vangelo secondo Pilato (2002) e Monsieur Ibrahim e i fiori del

Corano (2003), dal quale è stato tratto il film omonimo con Omar

Sharif.

A Danielle Darrieux

Caro Dio,

mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al

gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i

pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a

causa dei miei studi, non ho avuto tempo.

Ti avverto subito: detesto scrivere. Bisogna davvero che ci

sia obbligato. Perché scrivere è soltanto una bugia che

abbellisce la realtà. Una cosa da adulti.

La prova? Per esempio, prendi l'inizio della mia lettera:

«Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto,

al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci

rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa

dei miei studi, non ho avuto tempo».

Avrei potuto esordire dicendo: «Mi chiamano Testa d'uovo,

dimostro sette anni, vivo all'ospedale a causa del cancro e non

ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno che tu

esista».

Ma se ti scrivo una roba del genere, fa un brutto effetto e

ti interesseresti meno a me. E io ho bisogno che t'interessi.

Inoltre mi farebbe comodo che tu avessi il tempo di farmi

due o tre piaceri.

Ti spiego.

L'ospedale è un posto strasimpatico, con un sacco di adulti

di buon umore che parlano forte, con un mucchio di giocattoli e

di signore in rosa che vogliono divertirsi con i bambini, con

amichetti sempre disponibili come Bacon, Einstein o Pop Corn,

insomma. L'ospedale è molto gradevole se sei un malato gradito.

Io non faccio più piacere. Da quando sono stato sottoposto

al trapianto di midollo osseo, sento proprio che non faccio più

piacere.

Quando il dottor Düsseldorf mi visita, la mattina, lo fa di

malavoglia, lo deludo. Mi guarda senza dire nulla, come se avessi

commesso un errore.

Eppure ho affrontato con impegno l'operazione; sono stato

bravo, mi sono lasciato addormentare, ho avuto male senza

gridare, ho preso tutte le medicine. Certi giorni ho voglia di

insultarlo, di dirgli che è stato forse lui, il dottor

Düsseldorf, con le sue sopracciglia nere, a sbagliarla,

l'operazione. Ma ha un'aria talmente infelice che gli insulti mi

restano in gola. Più il dottor Düsseldorf tace con il suo sguardo

sconsolato, più mi sento colpevole. Ho capito che sono diventato

un cattivo malato, un malato che impedisce di credere che la

medicina sia straordinaria.

Il pensiero di un medico è contagioso.

Adesso tutto il piano, le infermiere, gli interni e le donne

delle pulizie mi guardano nello stesso modo. Hanno l'aria triste

quando sono di buon umore; si sforzano di ridere quando racconto

una storiella. È vero, non ridono più come prima.

Solo Nonna Rosa non è cambiata. Secondo me, è comunque

troppo vecchia per cambiare. E poi è anche troppo Nonna Rosa.

Nonna Rosa non te la presento, Dio, è una tua buona amica, visto

che è stata lei a dirmi di scriverti. Il problema è che sono

l'unico a chiamarla Nonna Rosa. Dunque, devi fare uno sforzo per

capire di chi parlo: fra le signore in camice rosa che vengono da

fuori a passare del tempo con i bambini malati, è la più vecchia

di tutte.

«Quanti anni ha, Nonna Rosa?»

«Riesci a tenere a mente i numeri con tredici cifre, Oscar?»

«Oh! Lei esagera!»

«No. Qui non devono assolutamente sapere la mia età,

altrimenti mi cacciano e non ci vedremo più.»

«Perché?»

«Sono qui di contrabbando. C'è un'età limite per essere una

signora in rosa. E io l'ho superata abbondantemente.»

«È scaduta?»

«Sì.»

«Come uno yogurt?»

«Sss!»

«O.K.! Non dirò nulla.»

È stata davvero coraggiosa a confessarmi il suo segreto. Ma

con me ha avuto fortuna. Sarò muto anche se trovo strano, viste

tutte le rughe simili a raggi di sole che ha attorno agli occhi,

che a nessuno sia venuto il sospetto.

Un'altra volta sono venuto a conoscenza di un altro suo

segreto e così sono sicuro, Dio, che potrai identificarla.

Passeggiavamo nel parco dell'ospedale e lei ha pestato una

cacca.

«Merda!»

«Nonna Rosa, ma che brutte parole dice!»

«Oh, ragazzino, lasciami in pace! Parlo come voglio.»

«Oh, Nonna Rosa!»

«E muovi le chiappe. Stiamo passeggiando, non facendo una

corsa di lumache.»

Quando ci siamo seduti su una panchina per succhiare una

caramella, le ho chiesto:

«Com'è che parla così male?»

«Deformazione professionale, piccolo mio. Nel mio mestiere

ero fottuta se avevo un vocabolario troppo delicato.»

«E che mestiere faceva?»

«Non mi crederai...»

«Le giuro di sì.»

«Lottatrice di catch.»

«Non le credo!»

«Lottatrice di catch! Mi avevano soprannominata la

Strangolatrice del Languedoc.»

Da quel momento, quando ho una botta di tristezza e Nonna

Rosa è sicura che nessuno può sentirci, mi racconta i suoi grandi

tornei: la Strangolatrice del Languedoc contro la Macellaia del

Limousine; la sua lotta per vent'anni contro la Diabolica

Sinclair, un'olandese che aveva delle granate al posto delle

tette; e soprattutto la vittoria della coppa del mondo contro

Ulla-Ulla, detta la Cagna di Buchenwald, che non era mai stata

battuta, nemmeno da Cosce di Acciaio, il grande modello di Nonna

Rosa quando era lottatrice. I suoi combattimenti mi fanno

sognare, perché immagino la mia amica sul ring com'è adesso, una

vecchietta in camice rosa un po'"traballante, intenta a dare un

sacco di botte a delle orchesse in costume da bagno. Ho

l'impressione di essere io.

Divento il più forte. Mi vendico.

Dio, se con tutti questi indizi non indovini chi è Nonna

Rosa, o la Strangolatrice del Languedoc, allora devi smettere di

essere Dio e andare in pensione. Sono stato chiaro?

Torno ai fatti miei.

Insomma, il mio trapianto ha molto deluso qui. Anche la mia

chemio deludeva, ma era meno grave finché c'era la speranza del

trapianto.

Adesso ho l'impressione che i medici non sappiano più che

cosa proporre, e che mi considerino un caso pietoso. Il dottor

Düsseldorf, che la mamma trova così bello, anche se per me è un

po' forte di sopracciglia, ha l'aria sconsolata di un Babbo

Natale che non abbia più regali nella sua gerla.

L'atmosfera si deteriora. Ne ho parlato al mio amico Bacon.

Per la verità non si chiama Bacon, ma Yves. Lo abbiamo chiamato

Bacon perché gli si addice molto di più, visto che è un grande

ustionato.

«Bacon, ho l'impressione che i medici non mi vogliano più

bene. Li deprimo.»

«Figurati, Testa d'uovo! I medici sono tosti. Progettano

sempre un sacco di operazioni da farti. Io ho calcolato che me ne

hanno promesse almeno sei.»

«Forse li ispiri.»

«Probabilmente.»

«Ma perché non mi dicono semplicemente che morirò?»

Allora Bacon ha fatto come tutti all'ospedale: è diventato

sordo. Se dici «morire» in un ospedale, nessuno sente. Puoi star

sicuro che ci sarà un vuoto d'aria e che si parlerà d'altro. Ho

fatto la prova con tutti. Tranne con Nonna Rosa.

Allora stamattina ho voluto vedere se anche lei in quel

momento diventava dura d'orecchi.

«Nonna Rosa, ho l'impressione che nessuno mi dica che

morirò.»

Mi ha guardato. Avrebbe reagito come gli altri? Per favore,

Strangolatrice del Languedoc, resisti e conserva l'udito!

«Perché vuoi che te lo dicano se lo sai già, Oscar?»

Uffa, ha sentito.

«Ho l'impressione, Nonna Rosa, che abbiano inventato un

ospedale diverso da quello che esiste veramente. Fanno come se si

venisse all'ospedale solo per guarire. Mentre ci si viene anche

per morire.»

«Hai ragione, Oscar. E credo che si commetta lo stesso

errore per la vita. Dimentichiamo che la vita è fragile,

friabile, effimera. Facciamo tutti finta di essere immortali.»

«È fallita la mia operazione, Nonna Rosa?»

Nonna Rosa non ha risposto. Era il suo modo di dire di sì.

Quando è stata sicura che avevo capito, si è avvicinata e mi ha

chiesto, in tono supplichevole: «Non ti ho detto nulla,

naturalmente.

Me lo giuri?».

«Giuro.»

Abbiamo taciuto un momentino per riflettere un po'.

«E se scrivessi a Dio, Oscar?»

«Ah no, non lei, Nonna Rosa!»

«Cosa, non io?»

«Non lei! Credevo che non fosse bugiarda.»

«Ma non ti dico bugie...»

«Allora perché mi parla di Dio? Mi hanno già raccontato la

frottola di Babbo Natale. Una volta basta!»

«Oscar, non c'è alcun rapporto fra Dio e Babbo Natale.»

«Sì. È la stessa cosa. Ti riempiono la testa di tutt'e due!»

«Immagini che io, una ex lottatrice di catch con

centosessanta tornei vinti su centosessantacinque, di cui

quarantatré per K. O., la Strangolatrice del Languedoc, possa

credere per un attimo a Babbo Natale?»

«No.»

«Beh, io non credo a Babbo Natale ma credo in Dio. Ecco.»

Ovviamente, detto così, cambiava tutto.

«E perché dovrei scrivere a Dio?»

«Ti sentiresti meno solo.»

«Meno solo con qualcuno che non esiste?»

«Fallo esistere.»

Si è chinata verso di me.

«Ogni volta che crederai in lui, esisterà un po' di più. Se

persisti, esisterà completamente. Allora, ti farà del bene.»

«Che cosa posso scrivergli?»

«Confidagli i tuoi pensieri. I pensieri che non dici sono

pensieri che pesano, che si incrostano, che ti opprimono, che ti

immobilizzano, che prendono il posto delle idee nuove e che ti

infettano. Diventerai una discarica di vecchi pensieri che

puzzano, se non parli.»

«O.K.»

«E poi, a Dio puoi domandare una cosa al giorno. Attenzione!

Una sola.»

«E una nullità, il suo Dio, Nonna Rosa. Aladino aveva

diritto a tre desideri con il genio della lampada.»

«Un desiderio al giorno è meglio di tre in una vita, no?»

«O.K. Allora posso ordinargli tutto? Giocattoli, caramelle,

un'auto...»

«No, Oscar. Dio non è Babbo Natale. Puoi chiedere solo cose

dello spirito.»

«Esempio?»

«Esempio: del coraggio, della pazienza, dei chiarimenti.»

«O.K. Capisco.»

«E puoi anche, Oscar, suggerirgli dei favori per gli altri.»

«Non esageriamo, Nonna Rosa, un desiderio al giorno me lo

tengo per me!»

Ecco. Allora Dio, in occasione di questa prima lettera, ti

ho mostrato un po'"il genere di vita che conduco qui,

all'ospedale, dove adesso mi considerano come un ostacolo alla

medicina, e mi piacerebbe chiederti un chiarimento: guarirò?

Rispondi di sì o di no. Non è molto complicato. Sì o no. Ti

basta cancellare la menzione inutile.

A domani, baci,

Oscar.

P.S. Non ho il tuo indirizzo: come faccio?

***

Caro Dio,

bravo! Sei fortissimo. Addirittura prima che abbia impostato

la lettera, mi hai dato la risposta.

Come fai?

Stamattina giocavo a scacchi con Einstein nella sala di

ricreazione quando Pop Corn è venuto ad avvertirmi: «Ci sono i

tuoi genitori».

«I miei genitori? Non è possibile. Vengono solo la

domenica.»

«Ho visto l'auto, la jeep rossa con il tettuccio bianco.»

«Non è possibile.»

Ho alzato le spalle e ho continuato a giocare con Einstein.

Ma siccome ero preoccupato, Einstein si fregava tutti i miei

pezzi e la cosa mi ha innervosito ancora di più. Se lo chiamiamo

Einstein non è perché sia più intelligente degli altri, ma perché

ha la testa molto più grossa. Sembra che dentro ci sia

dell'acqua. Peccato, se ci fosse stato del cervello, avrebbe

potuto fare grandi cose, Einstein.

Quando ho visto che stavo per perdere, ho smesso di giocare

e ho seguito Pop Corn, la cui camera da sul parcheggio. Aveva

ragione: i miei genitori erano arrivati.

Devo dirti, Dio, che abitiamo lontano, i miei genitori e io.

Non me ne rendevo conto quando ci abitavo, ma adesso che non ci

abito più trovo che è veramente lontano. Perciò i miei genitori

possono venirmi a trovare solo una volta alla settimana, la

domenica, perché la domenica non lavorano e io nemmeno.

«Vedi che avevo ragione» ha detto Pop Corn.

«Cosa mi dai per averti avvertito?»

«Ho dei cioccolatini alle nocciole.»

«Non hai più delle fragole Tagada?»

«No.»

«O.K., vada per i cioccolatini.»

Ovviamente non si ha il diritto di dar da mangiare a Pop

Corn, visto che si trova qui per dimagrire. Novantotto chili a

nove anni, un metro e dieci di altezza per un metro e dieci di

larghezza!

Il solo indumento in cui entri completamente è una tuta

sportiva americana, le cui righe sembrano avere il mal di mare.

Francamente, siccome siamo convinti che non potrà mai smettere di

essere grasso e ci fa pietà tanto la fame lo tormenta, gli diamo

sempre i nostri avanzi. Un cioccolatino è minuscolo rispetto a

una tale massa di lardo! Se abbiamo torto, allora anche le

infermiere smettano di infilargli delle supposte.

Sono ritornato nella mia stanza ad aspettare i miei

genitori. All'inizio non ho visto passare i minuti perché ero

senza fiato, poi mi sono reso conto che avevano avuto quindici

volte il tempo di arrivare da me.

A un tratto, ho capito dov'erano. Mi sono infilato nel

corridoio e, di nascosto, sono sceso dalle scale; poi ho

camminato nella penombra fino allo studio del dottor Düsseldorf.

Bingo! Erano là. Le voci mi arrivavano da dietro la porta.

Siccome ero sfinito per la discesa, mi sono fermato alcuni

secondi per rimettermi il cuore a posto e allora tutto si è

guastato. Ho sentito quello che non avrei dovuto sentire. Mia

madre singhiozzava, il dottor Düsseldorf ripeteva: «Abbiamo

provato di tutto, credetemi, le abbiamo tentate tutte» e mio

padre rispondeva con voce soffocata: «Ne sono sicuro, dottore, ne

sono sicuro».

Sono rimasto con l'orecchio incollato alla porta di ferro.

Non sapevo più che cosa fosse più freddo, se il metallo o io.

Poi il dottor Düsseldorf ha detto: «Volete abbracciarlo?».

«Non ne avrò mai il coraggio» ha detto mia madre.

«Non deve vederci in questo stato» ha aggiunto mio padre.

Ed è stato allora che ho capito che i miei genitori erano

due vigliacchi. Peggio: due vigliacchi che mi prendevano per un

vigliacco!

Siccome dallo studio arrivava il rumore di sedie che si

spostavano, ho intuito che stavano per uscire e ho aperto la

prima porta che mi sono trovato davanti.

È così che mi sono ritrovato nel ripostiglio delle scope

dove ho passato il resto della mattinata perché, forse non lo

sai, Dio, ma i ripostigli delle scope si aprono dall'esterno, non

dall'interno... come se avessero paura che di notte le scope, i

secchi e gli strofinacci tagliassero la corda!

A ogni modo, non mi dava fastidio trovarmi rinchiuso al

buio, perché non avevo più voglia di vedere nessuno e perché le

gambe e le braccia non mi rispondevano più tanto bene, dopo il

colpo che avevo ricevuto sentendo quello che avevo sentito.

Verso mezzogiorno, ho udito un gran trambusto al piano di

sopra. Ascoltavo i passi, le corse. Poi si sono messi a gridare

il mio nome dappertutto:

«Oscar! Oscar!».

Mi faceva bene sentirmi chiamare e non rispondere. Avevo

voglia di scocciare il mondo intero.

Dopo, credo di aver dormito un po', poi ho percepito il

ciabattare della signora N'da, la donna delle pulizie. Ha aperto

la porta e ci siamo fatti paura l'un l'altra e abbiamo urlato

fortissimo: lei perché non si aspettava di trovarmi là dentro, io

perché non mi ricordavo che fosse così nera. Né che gridasse così

forte.

Dopo c'è stata una bella confusione. Sono venuti tutti: il

dottor Düsseldorf, la capoinfermiera, le infermiere di servizio,

le altre donne delle pulizie. Invece di sgridarmi, come avrei

creduto, sembravano sentirsi tutti in colpa e ho capito che

bisognava approfittare in fretta della situazione.

«Voglio vedere Nonna Rosa.»

«Ma dove ti eri cacciato, Oscar? Come ti senti?»

«Voglio vedere Nonna Rosa.»

«Come sei finito in quel ripostiglio? Hai seguito qualcuno?

Hai sentito qualcosa?»

«Voglio vedere Nonna Rosa.»

«Bevi un bicchiere d'acqua.»

«No. Voglio vedere Nonna Rosa.»

«Prendi una boccata di...»

«No. Voglio vedere Nonna Rosa.»

Un pezzo di granito. Una roccia. Una lastra di cemento.

Niente da fare. Non ascoltavo nemmeno più quello che mi dicevano.

Volevo vedere Nonna Rosa.

Davanti ai suoi colleghi, il dottor Düsseldorf appariva

piuttosto seccato di non avere alcuna autorità su di me. Ha

finito col cedere.

«Chiamate quella signora!»

Allora ho acconsentito a riposarmi e ho dormito un po'"nella

mia stanza.

Quando mi sono svegliato, Nonna Rosa era lì.

Sorrideva.

«Bravo, Oscar, ce l'hai fatta. È stato un bello schiaffo per

loro. Ma il risultato è che adesso mi invidiano.»

«Ce ne freghiamo.»

«Sono brave persone, Oscar. Bravissime.»

«Me ne sbatto.»

«Che cosa c'è che non va?»

«Il dottor Düsseldorf ha detto ai miei genitori che sarei

morto e loro sono scappati. Li detesto.»

Le ho raccontato tutto nei particolari, come a te, Dio.

«Mmm» ha fatto Nonna Rosa «mi ricorda il mio torneo a

Béthune contro Sarah Youp La Boum, la lottatrice dal corpo unto

d'olio, l'anguilla dei ring, un'acrobata che si batteva quasi

nuda e che ti sgusciava fra le mani quando cercavi di farle una

presa. Combatteva solo a Béthune dove vinceva ogni anno la coppa

di Béthune. Beh, io la volevo, la coppa di Béthune!»

«Che cos'ha fatto, Nonna Rosa?»

«Dei miei amici le hanno gettato addosso della farina quando

è salita sul ring. Olio più farina, era pronta da friggere. In

tre croci e due movimenti, l'ho spedita al tappeto, Sarah Youp La

Boum. Dopo di me, non la chiamavano più l'anguilla dei ring, ma

il merluzzo impanato!»

«Mi scuserà, Nonna Rosa, ma non riesco proprio a capire il

paragone.»

«Ma è lampante! C'è sempre una soluzione, Oscar, c'è sempre

un sacco di farina da qualche parte. Dovresti scrivere a Dio. E"

più forte di me.»

«Anche per il catch?»

«Sì. Anche per il catch, Dio sa il fatto suo. Prova, Oscar.

Che cos'è che ti fa più male?»

«Detesto i miei genitori.»

«Allora detestali moltissimo.»

«È lei a dirmelo, Nonna Rosa?»

«Sì. Detestali moltissimo. Quando ti sarai sfogato, ti

accorgerai che non era il caso. Racconta tutto a Dio e, nella tua

lettera, chiedigli di venirti a trovare.»

«Lui si sposta?»

«A modo suo. Non spesso. Addirittura di rado.»

«Perché? È malato anche lui?»

Allora ho capito dal sospiro di Nonna Rosa che non voleva

confessarmi che anche tu, Dio, sei messo male.

«I tuoi genitori non ti hanno mai parlato di Dio, Oscar?»

«Lasci perdere. I miei genitori sono dei cretini.»

«Certo. Ma non ti hanno mai parlato di Dio?»

«Sì. Solo una volta. Per dire che non ci credevano. Loro

credono giusto a Babbo Natale.»

«Sono proprio così cretini, Oscar?»

«Non se lo immagina! Il giorno in cui sono tornato da scuola

dicendo loro che dovevano finirla di raccontare fesserie, che

sapevo, come tutti i miei compagni, che Babbo Natale non

esisteva, avevano l'aria di cadere dalle nuvole. Siccome ero

piuttosto furioso di essere passato per un idiota nel cortile

della ricreazione, mi hanno giurato che non avevano mai voluto

ingannarmi e che avevano creduto sinceramente che Babbo Natale

esistesse, e che erano molto delusi, ma davvero molto delusi

nell'apprendere che non era vero! Due autentici deficienti, le

dico, Nonna Rosa!»

«Dunque non credono in Dio?»

«No.»

«E la cosa non ti ha incuriosito?»

«Se mi interesso a quello che pensano i cretini, non avrò

più tempo per quello che pensano le persone intelligenti.»

«Hai ragione. Ma il fatto che i tuoi genitori che, secondo

te, sono dei cretini...»

«Sì. Dei veri cretini, Nonna Rosa!»

«Dunque, se i tuoi genitori che si sbagliano non ci credono,

perché non dovresti crederci tu e chiedergli una visita?»

«D'accordo. Ma non mi ha detto che è infermo?»

«No. Ha un modo molto speciale di far visita. Ti viene a

trovare con il pensiero. Nel tuo spirito.»

Questo mi è piaciuto, l'ho trovato fortissimo.

Nonna Rosa ha aggiunto: «Vedrai: le sue visite fanno un gran

bene».

«O.K., gliene parlerò. Per il momento, le visite che mi

fanno più bene sono le sue.»

Nonna Rosa ha sorriso e, quasi timidamente, si è chinata per

darmi un bacio sulla guancia.

Non osava andare fino in fondo. Chiedeva il permesso con lo

sguardo.

«Su. Mi baci. Non lo dirò agli altri. Non voglio rovinarle

la reputazione di ex lottatrice.»

Le sue labbra si sono posate sulla mia guancia e la cosa mi

ha fatto piacere, ho sentito un calore, un solletico, un profumo

di cipria e di sapone.

«Quando torna?»

«Ho il diritto di venire solo due volte alla settimana.»

«Non è possibile, Nonna Rosa! Non aspetterò tre giorni!»

«È il regolamento.»

«Chi lo fa il regolamento?»

«Il dottor Düsseldorf.»

«Il dottor Düsseldorf, in questo momento, se la fa addosso

quando mi vede. Vada a chiedergli il permesso, Nonna Rosa. Non

scherzo.»

Mi ha guardato esitante.

«Non scherzo. Se non viene a trovarmi tutti i giorni, io non

scrivo a Dio.»

«Proverò.»

Nonna Rosa è uscita e mi sono messo a piangere.

Prima non mi ero reso conto di quanto avessi bisogno di

aiuto. Non mi ero reso conto, prima, di quanto fossi veramente

malato. All'idea di non vedere più Nonna Rosa, capivo tutto e mi

scioglievo in lacrime che mi bruciavano le guance.

Per fortuna ho avuto un po'"di tempo per riprendermi prima

che rientrasse.

«È tutto sistemato: ho il permesso. Per dodici giorni posso

venire a trovarti ogni giorno.»

«Me e me soltanto?»

«Te e te soltanto, Oscar. Dodici giorni.»

Allora non so che cosa mi ha preso, ho ricominciato a

singhiozzare. Eppure so che i ragazzi non devono piangere,

soprattutto io, con la mia testa d'uovo, che non somiglio né a un

ragazzo né a una ragazza, ma piuttosto a un marziano.

Niente da fare. Non riuscivo a fermarmi.

«Dodici giorni? Va davvero così male, Nonna Rosa?»

Anche lei aveva voglia di piangere. Si tratteneva a fatica.

L'ex lottatrice impediva alla ragazza di un tempo di lasciarsi

andare. Era bello da vedere e mi ha distratto un po'.

«Che giorno è oggi, Oscar?»

«Diamine! Non vede il mio calendario? È il 20 dicembre.»

«Nel mio paese, Oscar, c'è una leggenda che sostiene che,

durante gli ultimi dodici giorni dell'anno, si può indovinare che

tempo farà nei dodici mesi dell'anno seguente. Basta osservare

ogni giornata per avere, in miniatura, il quadro del mese. Il 20

dicembre rappresenta gennaio, il 21 dicembre febbraio, e così

via, fino al 31 dicembre che prefigura il dicembre seguente.»

«È vero?»

«È una leggenda. La leggenda dei dodici giorni divinatori.

Vorrei che ci giocassimo, tu e io.

Soprattutto tu. A partire da oggi, osserverai ogni giorno

come se ciascuno contasse per dieci anni.»

«Dieci anni?»

«Sì. Un giorno: dieci anni.»

«Allora, fra dodici giorni, avrò centovent'anni!»

«Sì. Te ne rendi conto?»

Nonna Rosa mi ha baciato, ci prende gusto, lo sento, e poi

se n'è andata.

Allora ecco, Dio: stamattina sono nato e non me ne sono reso

conto bene; è diventato più chiaro verso mezzogiorno, quando

avevo cinque anni, ho guadagnato in coscienza ma non è stato per

apprendere delle buone notizie; stasera ho dieci anni ed è l'età

della ragione. Ne approfitto per chiederti una cosa: quando hai

qualcosa da annunciarmi, come a mezzogiorno per i miei cinque

anni, sii meno brutale. Grazie.

A domani, baci,

Oscar.

P.S. Ho una cosa da chiederti. So che ho diritto a un solo

desiderio, ma il mio desiderio di un attimo fa più che un

desiderio era un consiglio.

Sarei d'accordo per una visitina. Una visita in spirito.

Trovo la cosa fortissima. Mi piacerebbe molto che me ne facessi

una. Sono disponibile dalle otto del mattino alle nove di sera.

Il resto del tempo dormo. Talvolta schiaccio dei pisolini anche

durante la giornata, a causa delle cure. Ma se mi trovi così, non

esitare a svegliarmi. Sarebbe stupido mancare all'appuntamento

per così poco, no?

***

Caro Dio,

oggi ho vissuto la mia adolescenza e non è andato tutto

liscio. Che roba! Ho avuto un sacco di noie con i miei amici, con

i miei genitori e tutto a causa delle ragazze. Stasera non sono

scontento di avere vent'anni perché mi dico che, uffa, il peggio

è alle spalle. La pubertà, grazie tante! Una volta sola può

bastare!

In primo luogo, Dio, ti faccio notare che non sei venuto.

Oggi ho dormito pochissimo, visti i problemi di pubertà che ho

avuto. Dunque mi sarei accorto se ti fossi presentato. E poi, te

lo ripeto: se sonnecchio, scuotimi.

Al risveglio Nonna Rosa c'era già. Durante la colazione mi

ha raccontato i suoi combattimenti contro Tetta Reale, una

lottatrice belga, che ingurgitava tre chili di carne cruda al

giorno, annaffiata da ettolitri di birra; sembra che l'arma più

potente di Tetta Reale fosse l'alito, a causa della fermentazione

carne-birra, e che solo quello bastasse a mandare al tappeto le

sue avversarie.

Per sconfiggerla, Nonna Rosa aveva dovuto improvvisare una

nuova tattica: mettere un passamontagna, impregnarlo di lavanda e

farsi chiamare la Giustizierà di Carpentras. Il catch, dice

sempre, richiede anche dei muscoli nel cervello.

«Chi ti piace di più, Oscar?

«Qui? All'ospedale?»

«Sì.»

«Bacon, Einstein, Pop Corn.»

«E fra le ragazze?»

La domanda mi ha bloccato. Non avevo voglia di rispondere.

Ma Nonna Rosa aspettava e, davanti a una lottatrice a livello

internazionale, non si può tergiversare più di tanto.

«Peggy Blue.»

Peggy Blue è la bambina blu. Sta nella penultima stanza in

fondo al corridoio. Sorride gentilmente ma non parla quasi mai.

Si direbbe una fata che si riposi un po'"all'ospedale. Ha una

malattia complicata, la sindrome del bambino blu, un problema di

sangue che dovrebbe andare ai polmoni e che non ci va, rendendo

tutta la pelle azzurrognola. È in attesa di un'operazione che la

renderà rosa. Io trovo che sia un peccato. La trovo bellissima in

blu, Peggy Blue. C'è un sacco di luce e di silenzio attorno a

lei, si ha l'impressione di entrare in una cappella quando ci si

avvicina.

«Glielo hai detto?»

«Non mi pianterò davanti a lei per dirle "Peggy Blue, mi

piaci tanto".»

«Sì. Perché non lo fai?»

«Non so nemmeno se sa che esisto.»

«Ragione di più.»

«Ha visto la testa che ho? Dovrebbe apprezzare gli

extraterrestri, e di questo non sono sicuro.»

«Io ti trovo molto bello, Oscar.»

Allora Nonna Rosa ha frenato un po'"la conversazione. È

piacevole sentire questo genere di cose, fa drizzare i peli, ma

non si sa più cosa rispondere esattamente.

«Non voglio sedurre solo con il mio corpo, Nonna Rosa.»»

«Che cosa provi per lei?»

«Ho voglia di proteggerla dai fantasmi.»

«Cosa? Ci sono dei fantasmi, qui?»

«Sì. Tutte le notti. Ci svegliano e non si sa perché. Si ha

male perché pizzicano. Si ha paura perché non si vedono. Si fa

fatica a riaddormentarsi.»

«Ne percepisci spesso, tu, di fantasmi?»

«No. Io ho un sonno molto profondo. Ma Peggy Blue la sento

spesso gridare la notte. Mi piacerebbe molto proteggerla.»

«Vaglielo a dire.»

«A ogni modo, non potrei farlo veramente perché, la notte,

non si ha il permesso di lasciare la propria stanza. È il

regolamento.»

«I fantasmi conoscono il regolamento? No. Sicuramente no.

Sii furbo: se ti sentono annunciare a Peggy Blue che monterai di

guardia per proteggerla da loro, non oseranno venire stasera.»

«Ma... ma...»

«Quanti anni hai, Oscar?»

«Non lo so. Che ore sono?»

«Le dieci. Vai per i quindici anni. Non credi che sia ora di

avere il coraggio dei tuoi sentimenti?»

Alle dieci e mezzo mi sono deciso e sono andato fino alla

porta della sua stanza, che era aperta.

«Ciao, Peggy, sono Oscar.»

Era sdraiata sul suo letto, sembrava Biancaneve quando

aspetta il principe, quando quei coglioni di nani credono che sia

morta, Biancaneve come le foto di neve in cui la neve è azzurra e

non bianca.

Si è girata verso di me e allora mi sono chiesto se mi

avrebbe scambiato per il principe o per uno dei nani. Io avrei

detto «nano» a causa della mia testa d'uovo, ma lei non ha aperto

bocca ed è questo il bello con Peggy Blue, che non dice mai

niente e che tutto resta misterioso.

«Sono venuto ad annunciarti che stasera e tutte le sere a

venire, se vuoi, monterò di guardia davanti alla tua stanza per

proteggerti dai fantasmi.»

Mi ha guardato, ha battuto le ciglia e ho avuto

l'impressione che il film andasse al rallentatore, che l'aria

diventasse più rarefatta, il silenzio più silenzioso, che

camminassi come nell'acqua e che tutto cambiasse avvicinandomi al

suo letto, illuminato da una luce che scendeva da chissà dove.

«Ehi, vacci piano, Testa d'uovo: sarò io a montar di guardia

a Peggy!»

Pop Corn stava nel vano della porta, o piuttosto riempiva il

vano della porta. Ho tremato.

Certo che, se avesse fatto lui la guardia, nessun fantasma

sarebbe più riuscito a passare.

Pop Corn ha strizzato l'occhio a Peggy.

«Eh, Peggy? Tu e io siamo amici, no?»

Peggy ha guardato il soffitto. Pop Corn ha ritenuto fosse

una conferma e mi ha trascinato fuori.

«Se vuoi una ragazza, prendi Sandrine. Peggy è zona

proibita.»

«Con quale diritto?»

«Con il diritto che ero qui prima di te. Se non sei

contento, possiamo batterci.»

«In realtà sono supercontento.»

Ero un po'"stanco e sono andato a sedermi nella sala dei

giochi, dove, per l'appunto, c'era Sandrine. È leucemica come me,

ma la sua cura sembra riuscire. La chiamano la Cinese perché

porta una parrucca nera, lucida, dai capelli dritti, con una

frangia, che la fa somigliare a una cinese. Mi guarda e fa

scoppiare una bolla di gomma americana.

«Puoi baciarmi, se vuoi.»

«Perché? La gomma non ti basta?»

«Non sei nemmeno capace, scemo. Sono sicura che non lo hai

mai fatto. »

«Questa poi, mi fai proprio ridere! A quindici anni l'ho già

fatto parecchie volte, posso assicurartelo.»

«Hai quindici anni?» mi fa lei, sorpresa.

Controllo il mio orologio.

«Sì. Quindici anni passati.»

«Ho sempre sognato di essere baciata da un grande di

quindici anni.»

«Certo, è allettante.»

E allora mi fa una smorfia impossibile con le labbra che

spinge in avanti, simili a una ventosa che si schiacci su un

vetro e capisco che aspetta un bacio.

Voltandomi, vedo tutti i compagni che mi osservano. Non ho

modo di tirarmi indietro. Devo essere un uomo. E il momento.

Mi avvicino e la bacio. Mi afferra con le braccia, non

riesco più a staccarmi, sento del bagnato e, tutt'a un tratto,

senza avvertimenti, mi rifila la sua gomma. Per la sorpresa, l'ho

mandata giù.

Ero furioso.

È in quel momento che una mano mi ha battuto sulla schiena.

Le disgrazie non arrivano mai sole: i miei genitori. Era domenica

e lo avevo scordato!

«Ci presenti la tua amica, Oscar?»

«Non è mia amica.»

«Ce la presenti lo stesso?»

«Sandrine. I miei genitori. Sandrine.»

«Sono lietissima di conoscervi» dice la Cinese assumendo

un'aria sdolcinata.

L'avrei strozzata.

«Vuoi che Sandrine venga con noi nella tua stanza?»

«No. Sandrine resta qui.»

Tornato a letto, mi sono reso conto che ero stanco e ho

dormito un po'. A ogni modo, non volevo parlare con loro.

Quando mi sono svegliato, ho visto che naturalmente mi

avevano portato dei regali. Da quando sono ricoverato in

permanenza all'ospedale, i miei genitori hanno qualche difficoltà

con la conversazione; allora mi portano dei regali e trascorrono

dei pomeriggi schifosi a leggere le regole del gioco e le

istruzioni per l'uso. Mio padre si accanisce nello studio dei

foglietti illustrativi: anche quando sono in turco o in

giapponese, non si scoraggia. È campione del mondo del pomeriggio

domenicale sciupato.

Oggi mi ha portato un lettore di compact. Non l'ho potuto

criticare anche se ne avevo voglia.

«Non siete venuti ieri?»

«Ieri? Perché mai? Possiamo solo la domenica. Che cosa te lo

fa pensare?»

«Qualcuno ha visto la vostra auto nel parcheggio.»

«Non c'è una sola jeep rossa al mondo. Le macchine sono

intercambiabili.»

«Sì. Non sono come i genitori. Peccato.»

Sono rimasti impietriti. Allora ho preso il lettore e ho

ascoltato per due volte Lo schiaccianoci, senza fermarmi, davanti

a loro. Due ore senza che potessero dire una parola. Sistemati.

«Ti piace?»

«Sì. Ho sonno.»

Hanno capito che dovevano andarsene. Erano a disagio in modo

evidente. Non riuscivano a decidersi. Sentivo che volevano dirmi

delle cose e che non ce la facevano. Era bello vederli soffrire a

loro volta.

Poi mia madre si è precipitata contro di me, mi ha stretto

molto forte, troppo forte, e ha detto con voce scossa: «Ti voglio

bene, mio piccolo Oscar, ti voglio tanto bene».

Avrei voluto resistere, ma all'ultimo momento l'ho lasciata

fare, mi ricordava il tempo passato, il tempo delle coccole pure

e semplici, il tempo in cui non aveva un tono angosciato per

dirmi che mi voleva bene.

Dopo credo di essermi addormentato un po'.

Nonna Rosa è la campionessa del risveglio.

Arriva sempre al traguardo, nel momento in cui apro gli

occhi. E in quel momento ha sempre un sorriso.

«Allora, i tuoi genitori?»

«Nulli come al solito. Beh, mi hanno regalato Lo

schiaccianoci.»

«Lo schiaccianoci? Questa è bella. Avevo un'amica che si

chiamava così. Una campionessa formidabile. Spezzava il collo

delle sue avversarie fra le cosce. E Peggy Blue, sei andato a

trovarla?»

«Non me ne parli. È fidanzata con Pop Corn.»

«Te lo ha detto lei?»

«No, è stato lui.»

«Un bluff!»

«Non credo. Sono sicuro che le piace più di me. È più forte,

più rassicurante.»

«Un bluff, ti dico! Io, che sembravo un topo sul ring, ne ho

battute tante di lottatrici che somigliavano a balene o a

ippopotami. Per esempio, Plum Pudding, l'irlandese,

centocinquanta chili a digiuno in slip prima della sua Guinness,

avambraccia come cosce, bicipiti come prosciutti, gambe come

colonne. Niente vita, impossibili le prese. Imbattibile!»

«Come ha fatto?»

«Quando non è possibile la presa, vuol dire che una è

rotonda e che rotola. L'ho fatta correre, per stancarla, e poi

l'ho atterrata, Plum Pudding. Ci è voluto un argano per

rialzarla. Tu, Oscar, hai l'ossatura leggera e poca ciccia,

questo è certo, ma la seduzione non dipende solo dall'osso e

dalla carne, dipende anche dalle qualità del cuore. E di qualità

del cuore tu ne hai in abbondanza.»

«Io?»

«Và a trovare Peggy Blue e dille quello che hai sullo

stomaco.»

«Sono un po'"stanco.»

«Stanco? Che età hai a quest'ora? Diciott'anni? A

diciott'anni non si è mai stanchi.»

Nonna Rosa ha un modo di parlare che dà energia.

La notte era scesa, i rumori risuonavano più forti nella

penombra, il linoleum del corridoio rifletteva la luna.

Sono entrato da Peggy e le ho allungato il mio lettore di

compact.

«Tieni. Ascolta il valzer dei fiocchi di neve. È talmente

bello che mi fa pensare a te.»

Peggy ha ascoltato il valzer dei fiocchi di neve.

Sorrideva come se il valzer fosse un vecchio amico che le

raccontava cose buffe all'orecchio.

Mi ha restituito l'apparecchio e mi ha detto:

«È bello».

Era la sua prima parola. È carina, no, come prima parola?

«Peggy Blue, volevo dirti: non voglio che ti faccia operare.

Sei bella così. Sei bella in blu.»

Ho visto bene che le mie parole le facevano piacere. Non lo

avevo detto per questo, ma era chiaro che le faceva piacere.

«Voglio che sia tu, Oscar, a proteggermi dai fantasmi.»

«Conta su di me, Peggy.»

Ero fiero da matti. Alla fine, ero stato io a vincere!

«Baciami.»

E" veramente una cosa da ragazze il bacio, come se per loro

fosse davvero un bisogno. Ma Peggy, a differenza della Cinese,

non è una viziosa, mi ha teso la guancia e darle un bacio è

piaciuto anche a me, per davvero.

«Buonanotte, Peggy.»

«Buonanotte, Oscar.»

Ecco, Dio, questa è stata la mia giornata.

Capisco che l'adolescenza venga definita l'età ingrata.

È dura. Ma alla fine, a vent'anni suonati, le cose si

aggiustano. Allora ti rivolgo la mia richiesta del giorno: vorrei

che Peggy e io ci sposassimo. Non sono certo che il matrimonio

appartenga alle cose dello spirito, se è questo il tuo settore.

Esaudisci questo genere di desiderio, il desiderio da

agenzia matrimoniale? Se non è di tua competenza, dimmelo al più

presto affinché possa rivolgermi alla persona giusta. Senza voler

metterti fretta, ti segnalo che non ho molto tempo.

Dunque: matrimonio di Oscar e Peggy Blue. Sì o no.

Vedi se ce la fai, la cosa mi andrebbe proprio.

A domani, baci,

Oscar.

P.S. A proposito: qual è, insomma, il tuo indirizzo?

***

Caro Dio,

ecco fatto, sono sposato. È il 22 dicembre, mi avvicino ai

trent'anni e mi sono sposato. Per i figli,

Peggy Blue e io abbiamo deciso di rimandare a più avanti. In

effetti, credo che non sia pronta.

È successo stanotte.

Verso l'una del mattino ho sentito i lamenti di Peggy Blue

che mi hanno fatto saltar su a sedere sul letto. I fantasmi!

Peggy Blue era tormentata dai fantasmi mentre le avevo promesso

di montare di guardia. Si sarebbe resa conto che ero un incapace,

non mi avrebbe più rivolto la parola e avrebbe avuto ragione.

Mi sono alzato e ho camminato fino alle urla.

Arrivando alla stanza di Peggy, l'ho vista seduta sul letto

che mi guardava venire, sorpresa.

Anch'io dovevo avere un'aria stupita, poiché all'improvviso

avevo Peggy Blue di fronte a me intenta a fissarmi con la bocca

chiusa, eppure continuavo a sentire le grida.

Allora ho proseguito fino alla porta seguente e ho capito

che era Bacon che si torceva nel letto a causa delle sue ustioni.

Per un attimo mi sono sentito la coscienza sporca, ho ripensato

al giorno in cui avevo appiccato il fuoco alla casa, al gatto, al

cane, quando avevo persino arrostito i pesci rossi (beh, credo

che più che altro siano bolliti).

Ho pensato a quello che dovevano aver vissuto e mi sono

detto che, dopotutto, era meglio che ci fossero rimasti piuttosto

che avere continuamente a che fare con i ricordi e le ustioni,

come Bacon, malgrado gli innesti e le creme.

Bacon si è raggomitolato e ha smesso di gemere. Sono

ritornato da Peggy Blue.

«Allora non eri tu, Peggy? Ho sempre immaginato che fossi tu

a gridare la notte.»

«E io credevo che fossi tu...»

Stentavamo a credere a ciò che succedeva e a ciò che ci

dicevamo: in realtà ciascuno pensava all'altro da un pezzo.

Peggy Blue è diventata ancora più blu, il che significava

che era molto imbarazzata.

«Che cosa fai, adesso, Oscar?»

«E tu, Peggy?»

È pazzesco quanti punti in comune abbiamo, le stesse idee,

le stesse domande.

«Vuoi dormire con me?»

Le ragazze sono incredibili. Io, una frase così, ci avrei

messo delle ore, delle settimane, dei mesi a rimuginarla nella

mia testa prima di pronunciarla. Lei, invece, me l'ha detta così,

con naturalezza e semplicità.

«O.K.»

E sono salito sul suo letto. Si stava un poco stretti ma

abbiamo passato una notte straordinaria. Peggy Blue profuma di

nocciola e ha la pelle morbida come la mia all'interno delle

braccia, ma lei è morbida dappertutto. Abbiamo dormito molto,

sognato molto, ci siamo tenuti stretti, ci siamo raccontati le

nostre vite.

Certo che al mattino, quando la signora Gommette, la

capoinfermiera, ci ha trovati insieme, è stato uno spettacolo. Si

è messa a urlare, anche l'infermiera di notte si è messa a

urlare, si sono urlate addosso, poi se la sono presa con Peggy e

con me, le porte sbattevano, prendevano gli altri a testimone, ci

trattavano da «piccoli sciagurati» mentre noi eravamo molto

felici e ci è voluto l'arrivo di Nonna Rosa per mettere fine al

concerto.

«Volete lasciare in pace questi bambini? Dovete soddisfare i

pazienti o attenervi al regolamento? Non me ne frega niente del

vostro regolamento, me lo metto sotto i piedi. Adesso, silenzio.

Andate ad accapigliarvi altrove. Non siamo in uno spogliatoio,

qui.»

Non era possibile replicare, come sempre con Nonna Rosa. Mi

ha riportato nella mia stanza e ho dormito un po'.

Al risveglio, abbiamo potuto chiacchierare.

«Allora, Oscar, è una cosa seria con Peggy?»

«Serissima, Nonna Rosa. Sono strafelice. Ci siamo sposati

stanotte.»

«Sposati?»

«Sì. Abbiamo fatto tutto ciò che fanno un uomo e una donna

che sono sposati.»

«Ah, davvero?»

«Per chi mi prende? Ho... che ore sono... ho vent'anni

passati, conduco la mia vita come voglio, no?»

«Certo.»

«E poi si figuri che tutte le cose che prima mi

disgustavano, quando ero giovane, i baci, le carezze, beh, alla

fin fine, mi sono piaciute. È buffo come si cambia, no?»

«Sono contentissima per te, Oscar. Cresci bene.»

«C'è solo una cosa che non abbiamo fatto: il bacio lingua in

bocca. Peggy Blue aveva paura di restare incinta. Che cosa ne

pensa?»

«Penso che abbia ragione.»

«Ah, davvero? È possibile avere dei bambini se ci si bacia

sulla bocca? Allora ne avrò con la Cinese.»

«Calmati, Oscar, ci sono però scarse probabilità.

Scarsissime.»

Sembrava sicura di sé, Nonna Rosa, e questo mi ha calmato un

po'"perché, devo dirlo a te,

Dio, e solo a te, con Peggy Blue, una volta, addirittura

due, addirittura di più, ci eravamo messi la lingua in bocca.

Ho dormito un po'. Abbiamo pranzato insieme, Nonna Rosa e

io, e ho cominciato a stare meglio.

«Com'ero stanco, stamattina!»

«È normale, fra i venti e i venticinque anni. Si esce la

sera, si gozzoviglia, si fa la bella vita, non ci si risparmia. E

questo si paga. Se andassimo a trovare Dio?»

«Ah, ecco, ha il suo indirizzo?»

«Penso che sia nella cappella.»

Nonna Rosa mi ha vestito come se si partisse per il Polo

Nord, mi ha preso fra le sue braccia e mi ha accompagnato alla

cappella che si trova in fondo al parco dell'ospedale, oltre i

prati gelati.

Insomma, non sto a spiegarti dov'è, visto che è casa tua.

È stato un colpo quando ho visto la tua statua, insomma,

quando ho visto in che stato eri, quasi nudo, magro magro sulla

tua croce, con delle ferite dappertutto, il cranio sanguinante

sotto le spine e la testa che non stava nemmeno più sul collo. Mi

ha dato da pensare. Mi sono sentito rivoltare. Se fossi Dio, io,

come te, non mi sarei lasciato ridurre in quel modo.

«Nonna Rosa, sia seria: lei che era lottatrice di catch, lei

che è stata una grande campionessa, non si fiderà di

quell'essere!»

«Perché, Oscar? Daresti più credito a Dio se vedessi un

culturista con i muscoli gonfi, la pelle unta d'olio, i capelli

corti e il minislip che ne fa risaltare la virilità?»

«Beh...»

«Rifletti, Oscar. A chi ti senti più vicino? A un Dio che

non prova niente o a un Dio che soffre?»

«A quello che soffre, ovviamente. Ma se fossi lui, se fossi

Dio, se, come lui, avessi i mezzi, avrei evitato di soffrire.»

«Nessuno può evitare di soffrire. Né Dio né tu. Né i tuoi

genitori né io.»

«Bene. D'accordo. Ma perché soffrire?»

«Per l'appunto. C'è sofferenza e sofferenza. Guarda meglio

il suo viso. Osserva. Sembra che soffra?»

«No. È curioso. Non sembra che abbia male.»

«Ecco. Bisogna distinguere due pene, Oscar, la sofferenza

fisica e la sofferenza morale. La sofferenza fisica la si

subisce. La sofferenza morale la si sceglie.»

«Non capisco.»

«Se ti piantano dei chiodi nei polsi o nei piedi, non puoi

far altro che avere male. Subisci. Invece, all'idea di morire,

non sei obbligato ad avere male. Non sai che cos'è. Dipende

dunque da te.»

«Ne conosce, lei, di persone che si rallegrano all'idea di

morire?»

«Sì, ne conosco. Mia madre era così. Sul suo letto di morte,

sorrideva di avidità, era impaziente, aveva fretta di scoprire

che cosa sarebbe successo.»

Non potevo più discutere. Dato che m'interessava conoscere

il seguito, ho lasciato passare un po' di tempo riflettendo su

quanto mi diceva.

«Ma la maggior parte delle persone sono senza curiosità. Si

aggrappano a ciò che hanno, come il pidocchio nell'orecchio di un

calvo. Prendi Plum Pudding, per esempio, la mia rivale irlandese,

centocinquanta chili a digiuno e in slip prima della sua

Guinness. Mi diceva sempre: " Spiacente, io non morirò, non sono

d'accordo, non ho sottoscritto". Si sbagliava. Nessuno le aveva

detto che la vita doveva essere eterna, nessuno! Si intestardiva

a crederlo, si ribellava, rifiutava l'idea di morire, si

infuriava, è caduta in depressione, è dimagrita, si è ritirata

dall'attività sportiva, non pesava ormai che trentacinque chili,

sembrava una lisca di sogliola, ed è finita in pezzi. Vedi, è

morta lo stesso, come tutti, ma l'idea di morire le ha rovinato

la vita.»

«Era idiota, Plum Pudding, Nonna Rosa.»

«Come tanti.»

Ho assentito con la testa perché ero abbastanza d'accordo.

«Le persone temono di morire perché hanno paura dell'ignoto.

Ma per l'appunto, che cos'è l'ignoto? Ti propongo, Oscar, di non

aver paura ma fiducia. Guarda il viso di Dio sulla croce: subisce

il dolore fisico, ma non prova dolore morale perché ha fiducia.

Perciò i chiodi lo fanno soffrire meno. Si ripete: mi fa male ma

non può essere un male. Ecco! È questo il benefìcio della fede.

Volevo mostrartelo.»

«O.K., Nonna Rosa, quando avrò fifa, mi sforzerò di aver

fiducia.»

Mi ha baciato. In fondo si stava bene in quella chiesa

deserta con te, Dio, che avevi un'aria così tranquilla.

Al ritorno ho dormito a lungo. Ho sempre più sonno. Come un

desiderio irresistibile di dormire. Svegliandomi, ho detto a

Nonna Rosa: «In realtà non ho paura dell'ignoto. È solo che mi

secca perdere quello che conosco».

«Sono come te, Oscar. Se proponessimo a Peggy Blue di venire

a prendere il tè con noi?»

Peggy Blue ha preso il tè con noi, si intendeva benissimo

con Nonna Rosa, abbiamo riso un sacco quando Nonna Rosa ci ha

raccontato il suo combattimento con le Sorelle Giclette, tre

sorelle gemelle che si facevano passare per una sola.

Dopo ogni ripresa, la Giclette che aveva sfinito

l'avversaria saltellando come una cavalletta balzava fuori del

ring con il pretesto di dover andare a fare la pipì, si

precipitava al gabinetto ed era la sorella a ritornare in piena

forma per il nuovo round. E così via. Tutti credevano che ci

fosse una sola Giclette, che fosse una saltatrice instancabile.

Nonna Rosa ha scoperto il trucco, ha chiuso le due sostitute nel

gabinetto gettando la chiave dalla finestra e ha battuto quella

che restava. È uno sport astuto, il catch.

Poi Nonna Rosa se n'è andata. Le infermiere sorvegliano

Peggy Blue e me, come se fossimo dei petardi pronti a esplodere.

Merda, ho trent'anni, però! Peggy Blue mi ha giurato che stasera

sarà lei a raggiungermi non appena potrà; in cambio le ho giurato

che stavolta non le infilerò la lingua in bocca.

È vero, avere dei bambini non è tutto, bisogna anche avere

il tempo di allevarli.

Ecco, Dio. Non so che cosa chiederti stasera perché è stata

una bella giornata. Sì. Fà che l'operazione di Peggy Blue,

domani, vada bene. Non come la mia, se capisci quello che voglio

dire.

A domani, baci,

Oscar.

P.S. Le operazioni non sono cose dello spirito, forse non ce

le hai in magazzino. Allora fà in modo che, qualunque sia il

risultato dell'operazione, Peggy Blue lo prenda bene. Conto su di

te.

***

Caro Dio,

Peggy Blue è stata operata oggi. Ho trascorso dieci anni

terribili. È dura la trentina, è l'età delle preoccupazioni e

delle responsabilità.

In realtà, Peggy non ha potuto raggiungermi stanotte perché

la signora Ducru, l'infermiera di notte, è rimasta nella sua

stanza per prepararla all'anestesia. La barella l'ha portata via

verso le otto. Ho avuto una stretta al cuore quando ho visto

passare Peggy sul letto a rotelle, la si vedeva appena sotto le

lenzuola verde smeraldo tanto era piccola ed esile.

Nonna Rosa mi ha tenuto la mano per evitare che

m'innervosissi.

«Nonna Rosa, perché il tuo Dio permette che ci siano persone

come Peggy e me?»

«È una fortuna che sia così, Oscar, perché la vita sarebbe

meno bella senza di voi.»

«No. Non capisce. Perché Dio permette che siamo malati? O è

cattivo, o non è molto forte.»

«Oscar, la malattia è come la morte. È un fatto.

Non è una punizione.»

«Si vede che lei non è malata!»

«Che cosa ne sai, Oscar?»

Questa non me l'aspettavo. Non avevo mai pensato che Nonna

Rosa, che è sempre così disponibile, così attenta, potesse avere

dei problemi personali.

«Non deve nascondermi le cose, Nonna Rosa, può dirmi tutto.

Ho almeno trentadue anni, un cancro, una moglie in sala

operatoria: la vita la conosco.»

«Ti voglio bene, Oscar.»

«Anch'io. Che cosa posso fare per lei se ha dei guai? Vuole

che l'adotti?»

«Adottarmi?»

«Sì, ho adottato anche Bernard quando ho visto che era giù

di corda.»

«Bernard?»

«Il mio orsacchiotto. Là. Nell'armadio. Sul ripiano. E il

mio vecchio orsacchiotto, non ha più occhi, né bocca, né naso, ha

perso la metà della sua imbottitura e ha delle cicatrici

dappertutto. Le somiglia un po'. L'ho adottato la sera in cui

quegli idioti dei miei genitori mi hanno portato un orsacchiotto

nuovo. Come se avessi potuto accettare di averne uno nuovo! Già

che c'erano, non avevano che da sostituirmi con un figlioletto

nuovo di zecca! Quindi l'ho adottato. Gli lascerò tutto quello

che ho, a Bernard. Voglio adottare anche lei, se la cosa le

facesse piacere.»

«Sì. Lo voglio davvero. Credo che la cosa mi rassicurerebbe,

Oscar.»

«Allora qua la mano, Nonna Rosa.»

Poi siamo andati a preparare la camera di Peggy, a portare i

cioccolatini, a mettere dei fiori per il suo ritorno.

Dopo ho dormito. È pazzesco quanto dormo in questo momento.

Verso la fine del pomeriggio, Nonna Rosa mi ha svegliato

dicendomi che Peggy Blue era tornata e che l'operazione era

riuscita.

Siamo andati insieme a trovarla. I genitori stavano al suo

capezzale. Ignoro chi li avesse avvertiti, Peggy o Nonna Rosa, ma

sembravano sapere chi fossi, mi hanno trattato con molto

rispetto, mi hanno fatto sedere in mezzo a loro e ho potuto

vegliare mia moglie con i miei suoceri.

Ero contento perché Peggy era sempre azzurrognola. Il dottor

Düsseldorf è passato, si è sfregato le sopracciglia e ha detto

che nelle ore seguenti il colore sarebbe cambiato. Ho guardato la

madre di Peggy che non è blu ma molto bella lo stesso e mi sono

detto che dopotutto Peggy, mia moglie, poteva avere il colore che

voleva tanto l'avrei amata ugualmente.

Peggy ha aperto gli occhi, ci ha sorriso, a me e ai suoi

genitori, poi si è riaddormentata.

I suoi genitori erano rassicurati ma dovevano andarsene.

«Ti affidiamo nostra figlia» mi hanno detto.

«Sappiamo di poter contare su di te.»

Con Nonna Rosa ho resistito finché Peggy ha aperto gli occhi

una seconda volta, poi sono andato a riposarmi nella mia stanza.

Finendo la mia lettera, mi rendo conto che oggi, tutto

sommato, è stata una buona giornata.

Una giornata dedicata alla famiglia. Ho adottato Nonna Rosa,

ho simpatizzato con i miei suoceri e mia moglie è in buona

salute, anche se, verso le undici, ha cominciato a diventare

rosa.

A domani, baci,

Oscar.

P.S. Niente desiderio oggi. Così ti riposerai.

***

Caro Dio,

oggi ho avuto da quaranta a cinquant'anni e ho fatto solo

delle fesserie.

Racconto le cose in fretta perché non meritano di più. Peggy

Blue sta bene ma la Cinese, mandata da Pop Corn, che non mi può

più vedere, è andata a spifferarle che l'avevo baciata sulla

bocca.

Perciò Peggy mi ha detto che fra lei e me era finita. Ho

protestato, ho detto che con la Cinese era stato un errore di

gioventù, che era successo assai prima di lei, e che non poteva

farmi pagare il mio passato tutta la vita.

Ma lei ha tenuto duro. È addirittura diventata amica della

Cinese per farmi arrabbiare e le ho sentite che ridevano insieme.

Perciò quando Brigitte, la trisomica, che si appiccica

sempre a tutti perché nei Down l'affettuosità è normale, è venuta

a salutarmi nella mia stanza, ho lasciato che mi baciasse

dappertutto.

Era pazza di gioia che glielo permettessi.

Sembrava un cane intento a fare le feste al suo padrone. Il

problema è che Einstein si trovava nel corridoio. Ha forse

dell'acqua nel cervello ma non delle fette di prosciutto sugli

occhi. Ha visto tutto ed è andato a raccontarlo a Peggy e alla

Cinese. Tutto il piano adesso mi tratta come uno che corre dietro

alle ragazze, mentre non mi sono mosso dalla mia stanza.

«Non so che cosa mi abbia preso con Brigitte, Nonna Rosa...»

«Il demone meridiano, Oscar. Gli uomini sono così, fra i

quarantacinque e i cinquant'anni, vogliono essere rassicurati,

verificano di poter piacere ad altre donne oltre che a colei che

amano.»

«D'accordo, sono normale ma anche del tutto idiota, no?»

«Sì. Sei del tutto normale.»

«Che cosa devo fare?»

«Chi ami?»

«Peggy. Solo Peggy.»

«Allora vai a dirglielo. Una giovane coppia è fragile,

sempre soggetta a scosse, ma bisogna battersi per conservarla, se

è quella buona.»

Domani, Dio, è Natale. Non mi ero mai reso conto che fosse

il tuo compleanno. Fà in modo che mi riconcili con Peggy perché

non so se sia per questo, ma sono molto triste stasera e non ho

più alcun coraggio.

A domani, baci,

Oscar.

P.S. Adesso che siamo amici, che cosa vuoi che ti regali per

il tuo compleanno?

***

Caro Dio,

stamattina, alle otto, ho detto a Peggy Blue che l'amavo,

che amavo solo lei e che non potevo concepire la mia vita senza

di lei. Si è messa a piangere, mi ha confessato che la liberavo

da un grosso dispiacere, perché anche lei amava solo me e non

avrebbe mai trovato nessun altro, soprattutto adesso che era

rosa.

Allora, cosa curiosa, ci siamo ritrovati tutt'e due a

singhiozzare, ma era molto piacevole. E bella, la vita di coppia.

Soprattutto dopo la cinquantina, quando si sono attraversate

delle prove.

Alle dieci in punto mi sono davvero reso conto che era

Natale, che non sarei potuto restare con Peggy perché la sua

famiglia (fratelli, zii, nipoti, cugini) stava per piombare nella

sua stanza e che sarei stato obbligato a sopportare i miei

genitori.

Che cosa mi avrebbero regalato ancora? Un puzzle di

diciottomila pezzi? Dei libri in curdo?

Una scatola di istruzioni per l'uso? Il mio ritratto di

quando ero in buona salute? Con due cretini simili, che hanno

l'intelligenza di un sacco della spazzatura, l'orizzonte era

minaccioso, potevo temere di tutto. C'era un'unica certezza:

quella che avrei trascorso una giornata scema.

Mi sono deciso molto in fretta e ho organizzato la mia fuga.

Un po'"di baratto: i miei giocattoli a Einstein, il mio piumino a

Bacon e le mie caramelle a Pop Corn. Un po'"di osservazione:

Nonna Rosa passava sempre dallo spogliatoio prima di andarsene.

Un po'"di previsione: i miei genitori non sarebbero arrivati

prima di mezzogiorno. Tutto è andato bene: alle undici e mezzo

Nonna Rosa mi ha baciato augurandomi una buona giornata di Natale

con i miei genitori e poi è sparita al piano degli spogliatoi. Ho

fischiato. Pop Corn, Einstein e Bacon mi hanno vestito in gran

fretta, mi hanno portato giù sollevandomi e mi hanno trascinato

fino al trabiccolo di Nonna Rosa, un'automobile che deve risalire

a prima dell'invenzione del motore a scoppio. Pop Corn, che è

molto bravo ad aprire le serrature perché ha avuto la fortuna di

essere allevato in un quartiere degradato, ha scassinato la

portiera posteriore; gli altri mi hanno gettato fra il sedile

anteriore e quello posteriore. Poi sono ritornati dentro alla

chetichella.

Nonna Rosa, dopo un bel po', è salita nella sua auto, l'ha

fatta crepitare dieci, quindici volte prima di avviarla, poi è

partita a velocità folle. È formidabile questo tipo di vettura

antidiluviana, fa talmente baccano che si ha l'impressione di

andare molto in fretta e si balla come sulle giostre.

Il problema è che Nonna Rosa aveva dovuto imparare a guidare

con un amico cascatore: non rispettava né i semafori né i

marciapiedi né le rotonde sicché, ogni tanto, l'auto decollava.

Nell'abitacolo c'era un fracasso d'inferno, Nonna Rosa si è

sfogata a suonare il clacson e ha anche arricchito il mio

vocabolario lanciando ogni sorta di imprecazioni per insultare i

nemici che le sbarravano la strada e mi sono detto ancora una

volta che il catch è stato proprio una buona scuola di vita.

Avevo previsto, all'arrivo, di saltar su e di fare:

«Cucù, Nonna Rosa» ma la corsa a ostacoli per giungere a

casa sua è durata talmente che mi sono dovuto addormentare.

Fatto sta che al mio risveglio era buio, faceva freddo,

c'era silenzio, e mi sono ritrovato da solo sdraiato su un

tappetino umido. È allora che ho pensato per la prima volta di

aver forse commesso una sciocchezza.

Quando sono uscito dall'auto, si è messo a nevicare. Però

era molto meno piacevole del Valzer dei fiocchi di neve ne Lo

schiaccianoci. Battevo i denti dal freddo.

Ho visto una grande casa illuminata. Ho camminato a fatica.

Per raggiungere il campanello, ho dovuto fare un tal salto che mi

sono accasciato sullo zerbino.

È là che mi ha trovato Nonna Rosa.

«Ma... ma...» ha cominciato a dire.

Poi si è chinata verso di me e ha mormorato:

«Tesoro».

Allora ho pensato che forse non avevo commesso una

sciocchezza.

Mi ha portato nel suo salotto, dove aveva preparato un

grande albero di Natale che strizzava gli occhi. Ero meravigliato

di vedere com'era bello da Nonna Rosa. Mi ha riscaldato accanto

al fuoco e abbiamo bevuto una tazzona di cioccolata. Sospettavo

che volesse assicurarsi che stessi bene prima di sgridarmi. Io,

perciò, andavo piano a riprendermi, e del resto mi riusciva

facile poiché ero davvero sfinito.

«Tutti ti cercano all'ospedale, Oscar. Sono in assetto da

combattimento. I tuoi genitori sono disperati. Hanno avvertito la

polizia.»

«Non mi meraviglio di loro. Se sono abbastanza stupidi da

credere che li amerò quando avrò le manette...»

«Di che cosa li accusi?»

«Hanno paura di me. Non osano parlarmi. E meno osano, più ho

l'impressione di essere un mostro. Perché li terrorizzo? Sono

così brutto? Puzzo? Sono diventato idiota senza rendermene

conto?»

«Non hanno paura di te, Oscar. Hanno paura della malattia.»

«La mia malattia fa parte di me. Non devono comportarsi in

modo diverso perché sono malato. O possono amare solo un Oscar in

buona salute?»

«Ti amano, Oscar. Me l'hanno detto.»

«Parla con loro?»

«Sì. Sono molto gelosi che ci intendiamo così bene. No, non

gelosi, tristi. Tristi di non riuscirci anche loro.»

Ho alzato le spalle ma ero già un po'"meno in collera. Nonna

Rosa mi ha preparato una seconda cioccolata calda.

«Sai, Oscar. Morirai, un giorno. Ma anche i tuoi genitori

moriranno.»

Ero stupito da ciò che mi diceva. Non ci avevo mai pensato.

«Sì. Moriranno anche loro. Tutti soli. E con il rimorso

terribile di non essere riusciti a riconciliarsi con il loro

unico figlio, un Oscar che adoravano.»

«Non dica cose del genere, Nonna Rosa, mi fanno venire il

magone.»

«Pensa a loro, Oscar. Hai capito che stai per morire perché

sei un ragazzino molto intelligente. Ma non hai capito che non

sei il solo a morire. Tutti muoiono. I tuoi genitori, un giorno.

Io, un giorno.»

«Sì. Però io passo davanti.»

«È vero. Tu passi davanti. Ma con il pretesto che tu passi

davanti, hai forse tutti i diritti? E il diritto di dimenticare

gli altri?»

«Ho capito, Nonna Rosa. Li chiami.»

Ecco, Dio, il seguito in poche parole perché ho il polso

stanco. Nonna Rosa ha avvertito l'ospedale, che ha avvertito i

miei genitori, che sono venuti da Nonna Rosa dove abbiamo

festeggiato il Natale tutti insieme.

Quando i miei genitori sono arrivati, ho detto loro:

«Scusatemi, avevo dimenticato che anche voi, un giorno,

morirete».

Non so che cosa abbia sbloccato in loro questa mia frase, ma

dopo li ho ritrovati com'erano prima e abbiamo passato una

stupenda serata di Natale.

Al dolce, Nonna Rosa ha proposto di guardare alla

televisione la messa di mezzanotte e anche un incontro di catch

che aveva registrato. Dice che sono anni che guarda un incontro

di catch prima della messa di mezzanotte per tirarsi su, che è

una tradizione, che le fa molto piacere. Perciò abbiamo guardato

tutti un combattimento che aveva messo da parte. Era formidabile.

Méphista contro Giovanna d'Arco! Costumi da bagno e stivali fino

a metà coscia! Che pezzi di femmine! come diceva papà, che era

tutto rosso e sembrava apprezzare molto il catch. Inimmaginabile

il numero di colpi che si sono date in faccia. Io sarei morto

cento volte in un combattimento simile. È una questione di

allenamento, mi ha detto Nonna Rosa, i colpi sulla faccia, più ne

prendi, più puoi prenderne. Bisogna sempre conservare la

speranza. A proposito, è stata Giovanna d'Arco a vincere, mentre,

a dire il vero, all'inizio non lo si sarebbe proprio creduto: ti

avrà fatto piacere.

Ah, mi stavo per scordare, buon compleanno, Dio. Nonna Rosa,

che mi ha appena messo nel letto del figlio maggiore che era

veterinario in Congo con gli elefanti, mi ha suggerito che, come

regalo di compleanno per te, andava benissimo la mia

riconciliazione con i miei genitori.

Io, francamente, lo trovo tirato per i capelli come regalo.

Ma se lo dice Nonna Rosa, che è una tua vecchia amica...

A domani, baci,

Oscar.

P.S. Dimenticavo il mio desiderio: che i miei genitori

restino sempre come stasera. E anch'io.

È stato un bel Natale, soprattutto Méphista contro Giovanna

d'Arco. Spiacente per la tua messa, ho staccato prima.

***

Caro Dio,

ho sessant'anni passati e pago il prezzo di tutti gli

eccessi di ieri sera. Non mi sento in gran forma oggi mi ha fatto

piacere tornare a casa mia, all'ospedale. Quando si è vecchi, si

diventa così, non si ha più voglia di viaggiare. È certo che non

ho più voglia di andarmene.

Quello che non ti ho detto nella mia lettera di ieri è che

da Nonna Rosa, su una mensola, lungo le scale, c'era una statua

di Peggy Blue. Te lo giuro. Esattamente uguale, di gesso, con lo

stesso viso molto dolce, lo stesso colore azzurro sui vestiti e

sulla pelle. Nonna Rosa sostiene che si tratta della Vergine

Maria, tua madre da quanto ho capito, una madonna che si trova in

casa sua da parecchie generazioni. Ha accettato di darmela.

L'ho messa sul mio comodino. A ogni modo, tornerà un giorno

nella famiglia di Nonna Rosa, poiché l'ho adottata.

Peggy Blue sta meglio. È venuta a farmi visita in sedia a

rotelle. Non si è riconosciuta nella statua ma abbiamo passato un

bel momento insieme. Abbiamo ascoltato Lo schiaccianoci tenendoci

la mano e la cosa ci ha ricordato i bei tempi.

Non riesco a scriverti di più perché trovo la stilografica

un po'"pesante.

Tutti sono indisposti qui, persino il dottor Düsseldorf, a

causa dell'indigestione da cioccolatini, foies gras, marrons

glacés e dello champagne che tutti i genitori dei pazienti hanno

offerto al personale curante. Mi piacerebbe molto che mi facessi

visita.

A domani, baci,

Oscar.

***

Caro Dio,

oggi ho avuto da settanta a ottant'anni e ho molto

riflettuto.

Ho usato il regalo natalizio di Nonna Rosa.

Non so se te ne avevo parlato. È una pianta del Sahara che

vive tutta la sua vita in un solo giorno.

Non appena il seme riceve dell'acqua germoglia, diventa

stelo, mette le foglie, fa un fiore, produce dei semi,

avvizzisce, si appiattisce e, pugg, la sera è morto. È un regalo

straordinario, ti ringrazio di averlo inventato. L'abbiamo

annaffiata stamattina alle sette, Nonna Rosa, i miei genitori e

io (a proposito, non so se te l'ho detto, in questo momento

abitano da Nonna Rosa perché è meno lontano) e ho potuto seguire

tutta la sua esistenza. Ero commosso. È piuttosto gracile e

striminzita, non ha nulla di un baobab ma ha fatto valorosamente

tutto il suo lavoro di pianta, come una grande, davanti a noi in

una giornata, senza fermarsi.

Con Peggy Blue abbiamo letto a lungo il Dizionario medico. È

il suo libro preferito. Le malattie l'appassionano e si chiede

quali potrà avere in futuro. Io ho cercato le parole che mi

interessavano: «Vita», «Morte», «Fede», «Dio». Forse non mi

crederai, non c'erano! Nota, questo prova già che né la vita, né

la morte, né la fede, né tu siete delle malattie. Il che

rappresenta una notizia piuttosto buona. Però, in un libro così

serio, dovrebbero esserci delle risposte alle domande più serie,

no?

«Nonna Rosa, ho l'impressione che, nel Dizionario medico, ci

siano solo delle cose particolari, dei problemi che possono

capitare a questo o a quel tizio. Ma non ci sono le cose che ci

riguardano tutti: la Vita, la Morte, la Fede, Dio.»

«Forse bisognerebbe consultare un Dizionario filosofico,

Oscar. Tuttavia, anche se trovi le idee che cerchi, rischi

ugualmente di rimanere deluso. Propone parecchie risposte molto

diverse per ogni nozione.»

«Come mai?»

«Le domande più interessanti rimangono domande. Avvolgono un

mistero. A ogni risposta, si deve associare un "forse". Sono solo

le domande senza interesse ad avere una risposta definitiva.»

«Vuole dire che per "Vita" non c'è soluzione?»

«Voglio dire che per "Vita" ci sono parecchie soluzioni,

dunque nessuna soluzione.»

«Quello che penso io, Nonna Rosa, è che l'unica soluzione

per la vita sia vivere.»

Il dottor Düsseldorf è passato a vederci con la sua aria da

cane bastonato che lo rende ancora più espressivo, con le sue

grandi sopracciglia nere.

«Si pettina le sopracciglia, dottor Düsseldorf?» ho chiesto.

Si è guardato attorno molto sorpreso, con l'aria di chiedere

a Nonna Rosa e ai miei genitori se avesse udito bene. Ha finito

col dire di sì con voce soffocata.

«Non bisogna fare una faccia simile, dottor Düsseldorf.

Ascolti, le parlerò francamente perché io sono sempre stato molto

corretto sul piano medicina e lei è stato impeccabile sul piano

malattia. La smetta con quell'espressione colpevole. Non è colpa

sua se è costretto ad annunciare brutte notizie alle persone,

malattie dai nomi latini e guarigioni impossibili. Deve

rilassarsi, distendersi. Non è Dio Padre. Non è lei a comandare

alla natura. Lei è solo un riparatore.

Deve rallentare, dottor Düsseldorf, diminuire la pressione e

non darsi troppa importanza, altrimenti non potrà continuare a

lungo con questo mestiere. Guardi già la faccia che ha.»

Ascoltandomi, il dottor Düsseldorf aveva la bocca come se

stesse bevendo un uovo. Poi ha sorriso, ha fatto un vero sorriso

e mi ha abbracciato.

«Hai ragione, Oscar. Grazie di avermelo ricordato.»

«Di nulla, dottore. Al suo servizio. Torni quando vuole.»

Ecco, Dio. La tua visita, invece, continuo ad aspettarla.

Vieni. Non esitare. Vieni, anche se ho molta gente intorno in

questo momento. Mi farebbe davvero piacere.

A domani, baci,

Oscar.

***

Caro Dio,

Peggy Blue è partita. È ritornata dai suoi genitori.

Non sono stupido, so benissimo che non la rivedrò mai più.

Non ti scriverò perché sono troppo triste.

Abbiamo passato la nostra vita insieme, Peggy e io, e adesso

mi ritrovo solo, calvo, rammollito e stanco nel mio letto. Che

brutta cosa invecchiare!

Oggi non ti voglio più bene.

Oscar.

***

Caro Dio,

grazie di essere venuto.

Hai scelto davvero il momento giusto, perché non stavo bene.

Forse anche perché eri rimasto turbato dalla mia lettera di

ieri...

Quando mi sono svegliato, ho pensato che avevo novant'anni e

ho girato la testa verso la finestra per guardare la neve.

E allora ho indovinato che venivi. Era mattino.

Ero solo sulla terra. Era talmente presto che gli uccelli

dormivano ancora, che persino l'infermiera di notte, la signora

Ducru, aveva dovuto schiacciare un pisolino e tu cercavi di

fabbricare l'alba.

Facevi fatica, ma insistevi. Il cielo impallidiva.

Tingevi l'aria di bianco, di grigio, di azzurro, respingevi

la notte, risvegliavi il mondo. Non ti fermavi.

È stato allora che ho capito la differenza fra te e noi: tu

sei un tipo infaticabile! Uno che non si stanca. Sempre al

lavoro. Ed ecco il giorno! Ed ecco la notte! Ed ecco la

primavera! Ed ecco l'inverno! Ed ecco Peggy Blue! Ed ecco Oscar!

Ed ecco Nonna Rosa! Che salute di ferro!

Ho capito che eri qui. Che mi rivelavi il tuo segreto: ogni

giorno guarda il mondo come se fosse la prima volta.

Allora ho seguito il tuo consiglio con impegno.

La prima volta. Contemplavo la luce, i colori, gli alberi,

gli uccelli, gli animali. Sentivo l'aria che mi passava nelle

narici e mi faceva respirare. Udivo le voci che salivano nel

corridoio come nella volta di una cattedrale. Mi trovavo vivo.

Fremevo di pura gioia. La felicità di esistere. Ero incantato.

Grazie, Dio, di aver fatto questo per me. Avevo

l'impressione che mi prendessi per mano e che mi conducessi nel

cuore del mistero a contemplarlo. Grazie.

A domani, baci,

Oscar.

P.S. Il mio desiderio: puoi rifare il colpo della prima

volta ai miei genitori? Nonna Rosa credo che lo conosca già. E

poi anche a Peggy, se hai il tempo...

***

Caro Dio,

oggi ho cent'anni. Come Nonna Rosa. Dormo molto ma mi sento

bene.

Ho cercato di spiegare ai miei genitori che la vita è uno

strano regalo.

All'inizio lo si sopravvaluta, questo regalo: si crede di

aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo si sottovaluta, lo si trova

scadente, troppo corto, si sarebbe quasi pronti a gettarlo.

Infine ci si rende conto che non era un regalo, ma solo un

prestito. Allora si cerca di meritarlo. Io che ho cent'anni, so

di che cosa parlo. Più si invecchia, più bisogna dar prova di

gusto per apprezzare la vita. Si deve diventare raffinati,

artisti.

Qualunque cretino può godere della vita a dieci o a

vent'anni, ma a cento, quando non ci si può più muovere, bisogna

avvalersi della propria intelligenza.

Non so se li ho convinti del tutto.

Valli a trovare. Finisci il lavoro. Io sono un po' stanco.

A domani, baci,

Oscar.

***

Caro Dio,

centodieci anni. Sono tanti. Credo di cominciare a morire.

Oscar.

***

Caro Dio,

il ragazzino è morto.

Sarò sempre una signora in rosa ma non sarò più Nonna Rosa.

Lo ero soltanto per Oscar.

Si è spento stamattina, durante la mezz'ora in cui i suoi

genitori e io siamo andati a prendere un caffè. Lo ha fatto senza

di noi. Penso che abbia aspettato quel momento per risparmiarci.

Come se volesse evitarci la violenza di vederlo scomparire.

Era lui, in realtà, a vegliare su di noi.

Ho il cuore grosso, ho il cuore pesante, Oscar vi abita e

non posso scacciarlo. Bisogna che tenga ancora le mie lacrime per

me, fino a stasera, perché non voglio confrontare la mia pena con

quella, inesprimibile, dei suoi genitori.

Grazie di avermi fatto conoscere Oscar. Grazie a lui ero

divertente, inventavo delle leggende, me ne intendevo persino di

catch. Grazie a lui ho riso e ho conosciuto la gioia. Mi ha

aiutata a credere in te. Sono piena di un amore ardente, me ne ha

dato tanto che ne ho per tutti gli anni a venire.

A presto,

Nonna Rosa.

P.S. Negli ultimi tre giorni, Oscar aveva posato un

biglietto sul suo comodino. Credo che ti riguardi, Ci aveva

scritto: «Solo Dio ha il diritto di svegliarmi».

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