ostalgie, ovvero nostalgia del passato perduto. a ... · ostalgie, ovvero nostalgia del passato...
TRANSCRIPT
1
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
OSTALGIE, OVVERO NOSTALGIA DEL PASSATO PERDUTO. A PROPOSITO
DELL’IDENTITÀ TEDESCA ORIENTALE.
di Tiziana Gislimberti
A partire dall’abbattimento della divisione tra Est e Ovest del 1989 e con ciò dal
superamento del bipolarismo instauratosi dopo la seconda guerra mondiale, si è avuta una
rinascita delle diverse etnie e delle diverse storie. Si è avuto un “risveglio della storia”1,
intendendo con ciò non la storia specialistica, ma la storia come passato che si ricorda, e
che fornisce continuità e identità al gruppo che in essa si riconosce.
La Germania, invece, rappresenta un unicum nella storia recente dell’Europa
Occidentale: qui non c’è stato il rifiorire di diverse etnie e il recupero di storie particolari, al
contrario dopo l’unificazione e il superamento della divisione, instauratasi nel 1949 con la
doppia statualità che faceva capo a un ordine politico e simbolico diverso e contrapposto,
si è tornati - o meglio si sta tentando di tornare - alla radice culturale e nazionale comune,
non senza problematizzazioni e spesso inutili recriminazioni. Per quarant’anni i due stati
tedeschi hanno costruito la loro identità in reciproca contrapposizione, divenendo quasi - a
livello ufficiale - l’ombra l’uno dell’altro. Nel 1989 è venuto a mancare improvvisamente per
entrambi il polo di contrapposizione, l’ombra sulla quale si poteva tranquillamente
proiettare il negativo rifiutato e anche nel contempo - a livello privato - l’idealizzazione
dell’altro. Il Westfernsehen, la televisione occidentale, portava nelle case un mondo e una
modo di vita che aveva tutto ciò che nella società chiusa della Germania democratica era
negato o mancava e, nel contempo, la ex-DDR rappresentava per una parte
dell’intellighentia della BRD la realizzazione di un’alternativa al capitalismo occidentale e
quella real-existierende Traum- und Trostlandschaft2 che aveva mantenuta intatta la
genuinità della cultura e del paesaggio tedesco, in quanto rimasti immuni
1 A questo proposito cfr. Frank Schirrmacher, (a cura di), Im Osten erwacht die Geschichte. Essays zur Revolution im Mittel- und Osteuropa,Stuttgart, 1990 citato in Aleita Assmann, op. cit., p. 67 2«sognato paesaggio culturale » Cfr. H. BUDE, Bilder vom Osten. Wie die Westdeutschen ihre Sehnsüchte projizieren, in .., p.82. dove si analizzano le proiezioni tedesche su un oriente che dalla Russia si sposta, dopo la divisione tedesca, sull’altro interno, caricato di tutti gli aspetti andati persi nella cultura federale del dopoguerra. Negli anni ’80 si può rintracciare una netta linea di tendenza a rendere l’ Est luogo dell’ idillio, dove la Germania era rimasta più tedesca. «Das Eigene lag plötzlich im Fremden. Um dieses Fremde als Eigenes erhalten zu können, wurde die Kultur beschworen. Kultur definierte die imaginäre Einheit einer erst staatlich und dann gesellschaftlich geteilten Nation». A questo proposito Bude cita due testi: H. KRÜGER, Tiefer deutscher Traum. Riesen in die Vergangenheit,Hamburg, 1983; G. GAUS, Wo Deutschland liegt. Eine Ortsbestimmung, Hamburg, 1983 e mette contemporaneamente in evidenza come anche autori quali G. Grass, S. Lenz, H. Bienecke abbiano, seppur in modo diversificato, trasformato già nelle loro prime opere «die verloren gegangenen Ostgebiete in eine kulturelle Traumlandschaft».
2
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
dall’americanizzazione culturale imperante nella BRD. E suona quasi come un’ironia della
storia il fatto che, mentre i cittadini della DDR sempre più avevano un’immagine della
Germania federale come di una ricca e fortunata società dei consumi, una parte
dell’intellighentia critica di quest’ultima vedeva invece l’Est nel suo «matten Glanz von
edler Einfalt und stille Größe»3. L’immagine di questo spazio ideale si è subito modificata
immediatamente dopo la riunificazione, in quanto nei nuovi Bundesländer si cominciò a
individuare soprattutto una nuova ed esasperata società dei consumi, la quale distruggeva
tutto ciò che era appartenuto al suo passato4 per votarsi alle merci provenienti da
occidente e che nascondeva nei suoi paesaggi le tracce di una politica ambientale
inesistente e spericolata.
Destrutturazione dei vecchi simboli di stato. Durante le manifestazioni di protesta dell’autunno del 1989, si cominciarono a
destrutturate, in modo creativo e spesso ironico, i vecchi simboli di stato.
Nella manifestazione berlinese del 4 novembre 1989, per esempio, spiccava un manifesto
in cui la stretta di mano, emblema e simbolo del potere della SED fu tramutato in un gesto
di commiato sotto il quale campeggiava la scritta «und Tschüß!». Nella stessa
manifestazione circolava anche un manifesto con lo slogan: «Ein Vorschlag für den ersten
Mai: Die Führng zieht am Volk vorbei!5», che evidentemente capovolgeva quello che per
quarant’anni era stato un rituale centrale nella storia della DDR, ovverosia il corteo del
primo maggio, in cui le masse festanti dovevano sfilare sotto la tribuna d’onore, occupata
dalla dirigenza della SED e da alcuni rappresentanti del mondo del lavoro, a indicare «Die
Einheit von Volk und Partei»6. La gerarchia veniva capovolta, proprio nello spirito dell’altro
slogan di cui si è detto «Wir sind das Volk» (il popolo siamo noi), che tendeva a riportare la
sovranità al popolo, togliendola ai suoi rappresentanti, i quali sempre meno avevano
l’autorità di rappresentarlo. Come nel rituale del primo maggio il popolo della DDR faceva
sfilare nel corteo in bella mostra i ritratti della dirigenza della SED, così nelle
3«sicuro splendore di nobile semplicità e tranquilla granzezza» Ivi, p. 83. Il riferimento è evidentemente a Winckelmann. 4 Nel 1990 i tedeschi orientale produssero 1,2 tonnellate di immondizia pro capite, tre volte più dei tedeschi occidentali. Cfr. TH. AHBE, Ostalgie. Zum Umgang mit der DDR-Vergangenheit in 1990er Jahren, Landeszentrale für politische Bildung, 2005, p. 6. 5 «Proposta per il primo maggio: la dirigenza sfila davanti al popolo». 6«L’ unione di popolo e partito». Cosa che era sempre stata alquanto problematica nella DDR.
3
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
manifestazioni dell’autunno del 1989 i dimostranti utilizzavano ancora i ritratti della stessa
gerarchia, che nel frattempo, però, era stata messa in manette.
Dopo l’apertura del muro, che aveva di fatto statuito la divisione Est-Ovest, vi fu una
prima fase di euforia, caratterizzata dallo slogan - mediamente condiviso - «Wir sind ein
Volk»7, il quale metteva l’accento sull’appartenenza comune a un’unica nazione. In questa
fase i simboli della vecchia DDR vennero completamente svuotati di senso, non più
utilizzati nel confronto con i detentori del potere, a cui si parlava con le stesse modalità
comunicative che da loro erano state utilizzate per quarant’anni, divennero semplicemente
un fardello inutilizzabile e connotato con tutto ciò che di negativo aveva rappresentato la
DDR. Per cui si cominciò, per esempio, a ritagliare dalle bandiere della DDR l’emblema
della stessa. Gli emblemi della vecchia Germania orientale vennero anche bruciati
pubblicamente. Già nella manifestazione dell’11 dicembre a Lipsia il tenore della
comunicazione che veniva dalle piazze era nettamente cambiato. Ciò che prevaleva era il
desiderio e la speranza di prendere parte al benessere occidentale attraverso una rapida
riunificazione, cosa che fu direttamente espressa nello slogan: «Kommt die D-Mark,
bleiben wir. Kommt sie nicht, geh’n wir zu ihr!»8.
In seguito alla ‘normalizzazione’ a livello storico-politico della situazione tedesca si è
giunti attraverso gli anni Novanta, sicuramente anche a causa degli errori economico-
politici connessi al processo di unificazione9, oltre che a causa dello scontro di due diverse
Alltagskulturen ad una situazione di stallo, se non di regressione. Ad esprimere lo stato
d’animo di molti tedeschi orientali fu a questo punto il già citato slogan: «Von Honecker
betrogen, von Kohl belogen»10.
Nell’ estate del 2004 da una indagine dell’ Institut für Demoskopie Allenbach risulta
che il 54% degli intervistati ha risposto affermativamente alla domanda «Wenn jemand
7 Lo slogan iniziale delle manifestazioni di protesta contro il regime, che erano state organizzate sempre di lunedì a Lipsia era stato «Wir sind das Volk» (Noi siamo il popolo), nell’intento di rivendicare a sé quella sovranità che nello stato dei contadini e lavoratori troppo spesso era stata calpestata dalla burocrazia di partito. Dopo l’apertura del muro, il 9 novembre del 1989, lo slogan si trasformò in breve volger di tempo in «Wir sind ein Volk» (che in italiano potrebbe venir tradotto con ‘siamo un’unica nazione’), mettendo l’accento sulla radice nazionale comune e sulla volontà del superamento della doppia statualità. 8 «Se il marco occidentale arriva rimaniamo, altrimenti da lui ce ne andiamo». Per questa parte rimando in particolare a TH. AHBE, Ostalgie, cit. pp. 10-24. 9 A questo proposito è uscita negli ultimi anni una ricca letteratura. Cf. tra gli ultimi usciti: T. BUSSE-T. DÜRR (edd.), Das neue Deutschland. Die Zukunft als Chance, Berlin, Aufbau Verlag, 2003; H. SCHMIDT, Auf dem Weg zur deutschen Einheit. Bilanz und Ausblick, Reinbeck bei Hamburg, Rowohlt, 2005; U. MÜLLER, Supergau Deutsche Einheit, Berlin, Rowohlt, 2005 e J. BISKY, Die deutsche Frage. Warum die Einheit unser Land gefährdet, Berlin, Rowohlt, 2005. 10 «Da Honecker truffati, da Kohl ingannati».
4
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
über die DDR sagt: ‘Wir waren alle gleich, und wir hatten Arbeit. Darum war es eine
schöne Zeit.’ Würden Sie dem zustimmen oder nicht zustimmen?»11, mentre a metà degli
anni 90 la percentuale di risposte affermative era stata del 48 %. Dalla stessa indagine
risulta anche che stereotipizzazioni negative sono in aumento: il 54% dei tedeschi
occidentali considera quelli orientali scontenti (nel 2002 era un 49 %), mentre il 77% dei
tedeschi orientali considera gli occidentali arroganti (nel 2002 era un 69%)12.
Questa tendenza sembrerebbe smentire l’ interpretazioni del rapporto e degli
stereotipi Est – Ovest sulla scia dello shock culturale, causato dall’estraneità, e dalle
semplici differenze di codice comunicativo, intervenute dopo quarant’anni di divisione,
dall’incontro di due Alltagskulturen ormai divaricatesi, e che, con il passare del tempo,
dovrebbero ridursi portando a un’ integrazione nel nuovo sistema di valori13. Tuttavia la
linea di tendenza non sembra confermare il modello, dato che col passare del tempo gli
stereotipi e le incomprensioni sembrano aumentare. D’altro canto autori come Wolf
Wagner, sostengono che le difficoltà materiali insorte con l’unificazione non spiegano, da
sole, il persistere di stereotipi e le incomprensioni tra Wessis e Ossis e imputano la
mancata integrazione di molti Ossis nel sistema culturale e di valori proposto da occidente
al blocco delle possibilità di accesso per ampi gruppi di cittadini dell’Est agli ambiti di élites
sociale14. Aspetto che sarebbe determinante nella formazione di controculture di estrema
sinistra (PDS) e di estrema destra (Rechtsradikalen), accomunate da una tendenza al
rimpianto per la scomparsa DDR15. Una nostalgia per la dimensione passata, dunque, che
ha trovato sin dall’immediato post-unificazione la sua espressione semantica nella parola
Ostalgie. La Ostalgie costituisce un fenomeno interessante sia dal punto di vista sociale,
che simbolico.
11«Se qualcuno afferma a riguardo della DDR: ‘Eravamo tutti uguali e avevamo tutti un lavoro. Pertanto quello fu un bel periodo. Sarebbe d’accordo con questa affermazione o no? ». 12 Cfr. Noelle, Elisabeth: Mehr miteinander sprechen. In Deutschland will nicht zusammenwachsen, was zusammengehört. In: Frankfurter Allgemeine Zeitung, 21.07.2004. 13Secondo un modello che si articola in cinque fasi euforia, estraniazione, escalation, incomprensione, comprensione. A questo proposito si veda W. WAGNER, Kulturschock Deutschland. Hamburg 1996 14 Il blocco di accesso all’elité sociale (economica e culturale) è dovuto comunque in ultima analisi ai grossi problemi economici insorti dopo l’unificazione e al fatto che il modello culturale preminente sia quello dei vecchi Bundesländer. È comunque interessante l’analisi condotta dall’autore relativamente ai conflitti insorti da incomprensione a livello comunicativo e che hanno portato a una reciproca stereotipizzazione. Cfr. W. WAGNER, Kulturschok Deutschland. Der zweite Blick, Rotbuch Verlag, Hamburg, 1999, pp. 127-148. 15 A questo proposito si veda W. WAGNER, op. cit., p. 180.«Überall dort, wo der Aufstieg in das neue System möglich geworden ist, sind die Differenzen trotz Schwierigkeiten überwunden. Dort aber, wo der Aufstieg nicht möglich war und immer noch nicht möglich ist,entwickeln sich zunehmend radikale linke und rechte Gegenkulturen. Hier liegt eine ernsthafte Gefahr für die Entwicklung der Demokratie in Deutschland».
5
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
Ostalgie: rinascita dei vecchi simboli. Per quel che riguarda la nascita del neologismo Ostalgie (da Ost e Nostalgie, nostalgia
dell’Est quindi) , pare ci sia anche chi si è assicurato la paternità del termine chiedendo all’
Ufficio brevetti (Deutsches Patentamt) una regolare registrazione: si tratta del noto
cabarettista tedesco orientale Uwe Steimle che lo registrò il 25 novembre 199216. Dal 1993
il termine è entrato nella lingua tedesca per designare quella serie di comportamenti e
vissuti, tra loro anche molto differenziati, che rimandano a una nostalgia per la scomparsa
DDR, che «non è mai il paese che fu, quanto quello che si sarebbe voluto che fosse: come
tale, un rifugio dalle aggressioni della storia, uno spazio di ‘resistenza’ alla cancellazione
del passato, la rivendicazione di una differenza»17.
A pochi anni dall’avvenuta unificazione tedesca il fenomeno si manifesta in un revival
delle vecchie marche dell’ Est. Una rinascita di prodotti che nell’estate del 1990, dopo la
Währungsunion, erano scomparsi da un giorno all’altro e che nessuno più del resto voleva
comprare, tanto da indurre i produttori tedesco orientali a organizzare una delle più curiose
manifestazioni, in cui essi chiedevano direttamente ai consumatori: «Warum kauft ihr
unsere Erzeugnisse nicht?»18. Già verso la fine del 1992 i vecchi prodotti ricominciano a
comparire: cambiano e migliorano qualità e presentazione, ma «Markenname, seine
Symbole wie auch die Geschmackrichtung blieben die alten»19. La merce proposta doveva
essere chiaramente riconoscibile come quella di una volta e la pubblicità puntava in modo
evidente su questo aspetto.
Die Produktwerbung versuchte sowohl die positiven Erinnerungen an die DDR wie auch
die aktuellen Verlustgefühle und Annerkennungsprobleme ihrer ostdeutschen Zielgruppe
anzusprechen. Die filterlose Zigarette Karo galt in der DDR als die Zigarette der
Unangepassten, der Intelektuellen und Künstler. Dieses Image wurde nun in das
vereinigte Deutschland hinein verlängert. Im Jahr 1991 versprach ein Werbe-Slogan für
16 Cfr. P. KATELHÖHN, Was bleibt: tendenze nostalgiche nella lingua tedesca attuale?, in E. BANCHELLI (ed.), Taste the East cit., pp. 33-57, p. 52. 17 E. BANCHELLI, Memoria delle cose, memoria dei luoghi: considerazioni sul fenomeno dell’Ostalgie, in E. BANCHELLI (ed.), Taste the East cit., pp. 9-31, p. 13. 18 «Perché non comprate i nostri prodotti? » Cfr. TH. AHBE, Ostalgie, cit., p. 18. 19 «La marca i suoi simboli e anche il tipo di gusto rimasero i vecchi». Ivi, p. 46.
6
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
die Karo, dass man mit Karo-Rauchen einen „Anschlag auf den Einheitsgeschmack“
verüben könne20.
Lo slogan delle sigarette Karo è indicativo, in quanto mostra, da un lato, come i prodotti
occidentali, un tempo tenuti in grande considerazione nella loro ricchezza di variazioni e
raffinatezza, vengano ora ridotti a un molto prosaico e banale Eiheitsgeschmack;
dall’altro, indica specularmene come i vecchi prodotti, un tempo considerati solo dei
surrogati di bassa qualità rispetto a quelli occidentali, vengano ora rivalutati come autentici
e genuini. Mentre un tempo il vero caffè e la vera cioccolata venivano solo da occidente ,
negli anni 1990 si inverte la tendenza. Nel 1997 viene lanciato con grande successo sul
mercato addirittura il caffè Rondo, che ai tempi della DDR era mediamente considerato un
pessimo caffè. Anche il cioccolato Knusperflocken, il caffè Mokka-fix, la Vita-Cola
(surrogato della Coca-Cola), le sigarette Cabinett (unverfälsch und unparfümiert), lo
spumante Rotkäppchen diventano nuovamente in, e per i più giovani sono una modalità
consumisticamente postmoderna di riappropriarsi di quegli oggetti concreti che avevano
costituito la quotidianità dei loro genitori e solo in parte la loro21. In fin dei conti questa
rinascita dei vecchi prodotti DDR è una costruzione che costituisce:
[...] eine Antwort auf die bis dahin in den Medien vorgenommene Abwerutng des in der
DDR geführten Lebens. Die Verbraucher bekennen sich zum eigenen, in der DDR
geführten Leben, indem sie sich zu den Produkten und Marken, die dieses Leben in der
DDR begleitet hatten, bekennen und ihnen besondere Wertschätzung zukommen
lassen22.
Interessante mi sembra il fatto che vi sia per molti di questi prodotti non solo un
recupero delle radici DDR degli stessi, ma spesso anche un diretto riferimento all’ideologia
20 TH. AHBE, Ostalgie, cit., p. 47. «La pubblicità cercava di appellarsi ai ricordi positivi della DDR e nel contempo anche alla sensazione di perdita e ai problemi di riconoscimento dei suoi destinatari tedesco-orientali. Le sigarette senza filtro Caro erano nella DDR le sigarette di chi non era allineato, degli intellettuali e degli artisti. Questa immagine fu prolungata dopo l’unificazione. Nel 1991 uno slogan pubblicitario prometteva che con le sigarette Karo si poteva “dare un colpo al gusto unitario”». 21 Nel frattempo si possono trovare in rete molti siti che vendono i vecchi prodotti DDR. Si veda per es. il sito http://www.ossiladen.de/shopping/index.php. 22TH. AHBE, Ostalgie, cit., p. 50. « [...] una risposta alla svalutazione della vita condotta nella DDR. I consumatori si identificano con la propria vita trascorsa nella DDR , riconoscendosi nei prodotti e nelle marche che questa vita avevano accompagnato e dando loro particolare importanza». Cfr. TH. AHBE, Ostalgie, cit., pp.52-53.
7
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
socialista e ai suoi simboli che diventano ora strumento di marketing. Ahbe riporta
l’esempio di una nuova birra ‘Roter Oktober’ lanciata nel 1999, la cui etichetta è rossa,
nella parte superiore v’è una corona di spighe entro la quale campeggia la stella sovietica.
Il nome della birra è scritto in lettere maiuscole e la R è speculare in modo da sembrare
cirillica. Lo slogan pubblicitario chiede: “Heute schon Genossen?”, giocando sulla duplicità
semantica del termine genossen, che in quanto verbo è il participio passato di genießen
(gustare), in quanto sostantivo, scritto con la lettera maiuscola rimanda al termine
compagno e al sistema di riferimento comunista23.
Alla metà degli anni ’90 vi fu poi un exploit di un altro interessante fenomeno, ovverosia
dei cosiddetti DDR-Partys. Erano feste organizzate in discoteche, dove - in memoria dei
tempi passati - si doveva fare la coda per entrare, dove si potevano consumare i vecchi
prodotti DDR, dove per una sera si poteva fare a finta di essere tornati nella vecchia
Germania Orientale24. Erano delle «Mischungen aus Karneval und popkultureller Revival-
Party, aus Volksfest und Performance»25.
Nel 2003 un film di grande successo ( sei milioni di spettatori) quale Good Bye,
Lenin!26 del regista occidentale Wolfgang Becker con Katrin Saß come protagonista
femminile27, contribuiscono insieme ad altri fattori allo scatenarsi di quella Ostalgiewelle28
che per un certo lasso di tempo ha avuto un forte riflesso mass-mediatico, ora forse
scemato. Il film inaugura anche un nuovo modo di parlare in pubblico della DDR, non più
vista solo come sistema repressivo e dittatoriale29. Dato il grande successo del film,
23 Cfr. TH. AHBE, Ostalgie, cit., pp.52-53. 24 Vi fu anche la ripresa da parte di molte città orientali del Subotnik, giornata in cui i cittadini lavoravano a favore della collettività. Il rito laico della Jugendweihe, che aveva scandito l’ingresso nell’età adulta dei cittadini DDR non è mai caduto in disuso. Attiva rimase anche la Volkssolidarität, organizzazione che si occupa in senso ‘comunitario’ soprattutto delle persone anziane e non più autosufficienti, o bisognose di aiuto. Cfr. P. KATELHÖHN, Was bleibt cit., p. 52. 25 «Un miscuglio di carnevale e di cultura popolare, di festa popolare e perfoermanc». Cfr. TH. AHBE, Ostalgie, cit. , p. 43. Per una descrizione più dettagliata dei party, ivi pp. 43-45. Interessante è anche il fatto che negli anni 1990 vi fossero anche organizzatori professionisti di questi party. Il più noto fu Ralf Heckel che organizzò il suo ultimo Ostalgieparty nel 1999, in occasione del primo decennio della Wende. Qui si passa da una Ostalgie considerato i senso stretto da Ahbe come Selbsttherapie a un fenomeno Ostalgie più ampio e commerciale. 26 Nel 1999 era già uscito un altro film, divenuto cult: Sonnenallee, diretto da L. Haußmann e da lui sceneggiato in collaborazione con lo scrittore Thomas Brussig. Per approfondimenti cf. G. CARRARA, Immagini di un’immagine. La rappresentazione della Repubblica Democratica Tedesca dallo stereotipo all’utopia nel cinema dell’Ostalgie, in Taste the East, cit. 27 L’attrice è anche autrice di una autobiografia, K. SAß, Das Glück wird niemals alt, Berlin, 2005. 28 Ondata ostalgica. 29 Cfr. TH. AHBE, Ostalgie, cit. , p.59.
8
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
seguono sulle reti televisive una serie di shows 30, in cui entrano in scena accanto ai
conduttori personaggi noti nella ex-DDR come la pattinatrice Katharina Witt31, il pugile
Henry Maske, insieme a complessi musicali come i Pudhys o Karat. Fino a questo
momento il discorso televisivo sulla ex-DDR aveva teso a mettere in luce piuttosto gli
aspetti legati alla dittatura, i crimini e i deficit dello stato socialista, escludendo un altro
piano del discorso:
Nun wurde die DDR auch unterhaltend dargestellt, beispielweise indem die Leistungen der
Sportler oder die Popkultur der DDR, die für einen Teil der Ostdeutschen heute noch
immer Identifikationsobjekte darstellen, ins Rampenlicht gerückt wurde. Hier gab es dann
auch noch eine interessante Verschiebung der Präsentation von Leistungen in der DDR
hin zu Leistungen von Personen aus der DDR [...]32.
E’ rilevante in primo luogo sottolineare che il discorso mediatico è stato costruito, dal
punto di vista di detenzione dei mezzi di informazione, da parte occidentale, rimandando
ciononostante un’immagine della ex-DDR - che per quanto criticata, considerata
banalizzante e a volte anche politicamente pericolosa33 – rifletteva evidentemente bene la
necessità di recuperare una parte del passato DDR inerente quella Alltagskultur, che da
un giorno all’altro era completamente scomparsa. Gli Ostalgie-Shows nella tarda estate
del 2003 mettono in luce tre aspetti fondamentali. In primo luogo che l’interpretazione del
passato DDR da parte della maggioranza dei tedeschi orientali34 è diversa da quella
30 La ZDF cominciò il suo “Ostalgie-Show” nell’agosto 2003, seguì MDR con “Ein Kessel DDR”, vennero poi SAT-1 con “Meyer und Schulz – die ultimative Ost-show e il DDR- Show sulla RTL. L’ “Ostalgie-Show” della ZDF ebbe una percentuale di visione del 33,9% nei nuovi Bundesländer, solo del 18,4% se si considera l’intera Germania. Cfr. . TH. AHBE, Ostalgie, cit. , p. 57. 31 Personaggio centrale anche nell’immaginario di Klaus Uhltzscht, protagonista del romanzo di TH. BRUSSIG, Helden wie wir, Verlag Volk und Welt GmbH, Berlin, 1995. 32 «Ora la DDR venne rappresentata anche in modo piacevole e divertente, per esempio mettendo sotto i riflettori le prestazioni di campioni del mondo dello sport o quelle della cultura pop, che per una parte dei tedeschi orientali rappresentavano pur sempre oggetti di identificazione. Ci fu anche un interessante spostamento dalla presentazione di prestazioni nella DDR a prestazioni di personaggi provenienti dalla DDR». Cfr. TH. AHBE, Ostalgie, cit. , p.57. 33 Cfr ad esempio Jirgel Reinhard: Kadaverliebe. Die Wiedergeburt der DDR aus dem Geist der Folklore in: Neue Zürcher Zeitung, 02.10.2003 ; Jens Biskj, Zonensucht. Über die neue Ostalgie, in Merkur, Heft 2 Februar 2004, pp 117-127; Die Ostalgie ist ungeheuer gefährlich. In : Die Welt, 23.08.2003. Per il Bürgerrechtler Markus Merkel se si accettano shows sulla vita quotidiana della DDR si dovrebbero allora accettare anche shows sulla stessa nel terzo Reich cfr. M.MECKEL, in BZ-Berlin, 17 agosto 2003, p.23. Dello stesso tenore anche Rainer Eppelman, secondo cui tali shows contravvengono qualsiasi regola di ‘igene politica’. Cfr. R. EPPELMAN in BZ- Berlin, 17 agosto 2003, p. 23. Entrambi citati in TH. AHBE, Ostalgie, cit. , p. 59. 34 Secondo Ahbe un indicatore rivelatorio può essere quello legato alla percentuale di tedesco orientali che ha fatto richiesta di prendere visione degli atti della Stasi che li concernono. Fino al 1995 furono presentate un milione di
9
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
fornita dall’ elite politica, che punta soprattutto a descrivere la DDR come una totalitäre
Herrschaftsstruktur. In secondo luogo questi shows hanno posto l’accento sulla normalità
della vita quotidiana e hanno rilevato l’esistenza di diversi modelli di vita anche nella ex-
DDR. In terzo luogo che finalmente il discorso ostalgico, presente già in altri ambiti, aveva
raggiunto anche la televisione e con essa un pubblico molto più vasto35.
Ostalgie: modelli interpretativi.
Molti sono ormai gli studi sul fenomeno e diverse le prospettive e metodologie utilizzate
per indagarlo. Costante comune a molte indagini è l’affermazione conclusiva che il
fenomeno non va interpretato come volontà degli Ossis di ritornare al vecchio stato
governato dalla SED, ma piuttosto che lo spazio della ex-DDR costituisca per la
maggioranza dei tedeschi orientali un «Symbol der Identitätskonstruktion und der
Selbsverteidigung»36.
Lothar Fritze37 sosteneva già nel 1995 che una vera e propria nostalgia per il passato
DDR in toto non era affatto presente, che quella che si poteva rilevare era piuttosto una
nostalgia per alcuni aspetti del periodo passato, che appartenevano alla realtà della ex-
DDR e che venivano rimpianti, nonostante lo Stato socialista dei contadini e lavoratori
fosse stato rifiutato dai suoi cittadini. Si trattava, dunque, di una Partial-Nostalgie, possibile
perché, nonostante i rivolgimenti del 1989, non era stato rifiutato in blocco tutto ciò che
aveva rappresentato il realismo socialista tedesco orientale: alcuni elementi dell’ideologia
e alcuni aspetti tipici delle modalità di vita della ex-DDR non venivano respinti, ma
piuttosto affermati anche dopo la Wende. «Ein Großteil der DDR-Bürger hatte sozilistische
Wertvorstellungen verinnerlicht. Dazu gehörten Vorstellungen von sozialer Gerechtigkeit,
Verteilungsgerechtigkeit, gleichen Lebenschanchen und Solidarität»38. Inoltre la società
tedesco-orientale aveva rappresentato per molti, nonostante la critica al monopolio SED e
richieste, che fino al 2000 raggiunsero quasi i due milioni. Se si prendono come riferimento i 10 milioni di lavoratori attivi nella ex DDR nel 1989, si può supporre che di questi ben 8 milioni – ovverosia un 80 % - non avevano avuto particolari esperienze di repressione politica nella DDR. Cfr TH. AHBE, Ostalgie, cit. , p.42. 35 Cfr. TH. AHBE, Ostalgie, cit. , p.60-61. 36 «Un simbolo autodifensivo di costruzione identitaria ». Cfr D. POLLAK, Osdeutsche Anerkennungsprobleme. Autobiographische Erfahrungen in soziologischer Perspektive, in Vorgänge, 1/2003, pp.4-13, p. 10. 37 L. FRITZE, Identifikation mit dem gelebten Leben. Gibt es DDR-Nostalgie in den neuen Bundesländer? In R. ALTENHOF-E. JESSE (edd.), Das wiedervereinigte Deutschland. Zwischenbilanz und Perspektiven, Düsseldorf, Droste Verlag 1995, pp. 275-292. 38«Gran parte dei cittadini DDR aveva interiorizzato il sistema di valori socialista. Vi faceva parte l’idea di giustizia sociale, giustizia distributiva, di garanzia di uguali possibilità e di solidarietà». Ivi, p. 278.
10
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
alla gerarchia di partito una «säkulare Großutopie»39, capace di fornire ‘orientamento’,
indirettamente anche ai dissidenti. Il pluralismo viene, invece, spesso vissuto come
incapacità di trovare un punto di vista, come complessità che comporta una difficoltà
notevole di orientamento.40 Molto spesso questa nostalgia è comunque consapevole della
irrealizzabilità dei suoi oggetti a livello sociale e economico, e si limita ad un
atteggiamento che si condensa nella formula ‘come sarebbe bello se’. La Pseudo-
Nostalgie nasce invece dal fatto che con la scomparsa del vecchio stato socialista, con
l’inserimento dell’economia di mercato e delle strutture amministrative occidentali
moltissime esperienze e competenze che nella ex-DDR avevano avuto un loro posto,
vengono svalutate da un giorno all’altro. Se coi rivolgimenti del 1989 gli Ossis avevano
avuto la possibilità di rifiutare il tutoraggio da parte della SED e divenire protagonisti in
prima persona, ora, dopo la Wende, si ripropone una situazione di Fremdbestimmung, in
cui a decidere sono comunque gli altri, in questo caso i Wessis.
Diese “Ossi-Identität” ist genetisch betrachtet eine Reaktion auf die empfundene kollektive
Subalternität [...], funktional betrachtet ein Schutzwall gegen befürchtete soziale und
moralische Deklassierung sowie ein Medium der Artikulation gemeinsamer Ost-
Interessen41
Nell’insieme questa identità e questa nostalgia, che trova terreno fertile nelle speranze
deluse di molti tedeschi orientali in un rapido miglioramento delle condizioni di vita e nella
totale svalutazione delle proprie esperienze, rappresenta purtuttavia un «Verlangen nach
einem angemessenen Platz in dieser Gesellschaft, nicht ein sehnsüchtiger Verlangen
nach dem alten».42
Non diversamente anche Detlef Pollak sembra considerare, a otto anni di distanza, la
nostalgia come «eine dritte Möglichkeit des Reagierens auf die Entwertungs- und
39 Ivi, p. 283. 40 A questo proposito si vedano anche le analisi dei testi autobiografici riportate più avanti.i 41 «Questa identità Ossi è da considerarsi dal punto di vista genetico come reazione a quella che viene sentita come subalternità collettiva [...], dal punto di vista funzionale come muro protettivo contro il temuto declassamento sociale e morale e come strumento di articolazione di comuni interessi orientali ». L. FRITZE, Identifikation mit dem gelebten Leben cit., p. 286-287. 42 «La pretese di un posto consono in questa società, piuttosto che la pretesa nostalgica di avere indietro il passato». Ivi, p. 287.
11
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
Ungleichheitserfahrungen nach 1989»43. Terza possibilità in quanto le altre due sono:
l’iperintegrazione e l’identificazione totale col punto di vista tedesco occidentale o il ritirarsi
completamente dalla sfera politica, considerata una ‘faccenda sporca’. Sostanzialmente
dunque gli Ossis non sarebbero altro che il prodotto di un’integrazione fallita:
In gewisser Weise ist der trotzig seine Identität behauptende Ossi das Ergebnis des Blicks
der Westdeutschen auf die Ostdeutschen und der Umwertung der ihm zugeschriebene
Merkmale44.
Contrariamente a quanto affermato da Engler45 l’identità Ossis nasce solo dopo la
scomparsa della DDR, e diviene spazio proiettivo di costruzione identitaria e autodifensiva.
La dinamica, messa in evidenza da questo tipo di analisi funzionale, tende però - secondo
l’autore - a ricondurre tutti i fenomeni a un unico problema di riferimento (in questo caso il
mancato riconoscimento degli Ossis che comporta una serie di reazioni). Tale prospettiva
risulta pertanto alquanto generalizzante e non prende in considerazione la molteplicità di
reazioni possibili rispetto al problema posto, quindi sostanzialmente non pare del tutto
convincente. Sicuramente quarant’anni di vita della DDR hanno portato con sé modalità di
socializzazione e continuità culturali, come per es. il fatto che la maggior parte degli Ossis
diano più importanza a concetti come l’eguaglianza e la sicurezza sociale che non alla
libertà. Tali linee di sviluppo andrebbero indagate attentamente e dovrebbero integrare
una prospettiva puramente funzionale46.
In ogni caso la realtà della situazione tedesca sembra essere il consolidamento delle
incomprensioni:
43 «una terza possibilità di reazione alle esperienze di svalorizzazione e disuguaglianza» Cfr. D. POLLACK, Osdeutsche Anerkennungsprobleme cit., p. 8. 44 «In un certo qual modo l’ Ossis che afferma caparbiamente la sua identità non è altro che il risultato dello sguardo dei tedeschi occidentali e del sovvertimento di valore delle caratteristiche a lui ascritte». Ivi, p. 9. 45 W. ENGLER, Die Ostdeutsche als Atvangarde, Berlin, 2002, p. 22. 46 A questo proposito si veda la critica alla Deformationsthese , che partendo dall’assunto che la DDR fosse una società omogenea in cui l’autoritarismo e l’ideologia del partito unico si rispecchiavano direttamente nel comportamento della popolazione, considera la diminuzione del consenso degli Ossis verso democrazia e economia di mercato come prodotto e mancanza della socializzazione avvenuta nella DDR Altrettanto critico è Pollack riguardo alla Persistenzannahme, cioè l’assunto che modalità di comportamento e posizioni acquisite siano da considerarsi attive e persistenti per tutto l’arco della vita. Cfr. D. POLLACK , Das Bedürfnis nach sozialer Anerkennung. Der wandel der Akzeptanz von Demokratie und Marktwirtschaft in Ostdeutschland, in Aus Politik und Zeitgeschichte, B13/97.
12
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
Die Hoffnungen, die sie [ die Ostdeutschen] einst in die Wiedervereinigung setzten, sind
vergangen. Mit ihnen aber auch die Frustration über die misslingende Kommunikation mit
dem Menschen aus dem anderen Teil Deutschlands. Der kognitive Graben, der Ost und
West nach wie vor trennt, ist zur Normalität geworden. Wenige nehmen ihn noch wahr,
jedenfalls leidet kaum noch einer unter ihm. Man ist angekommen in der westdeutschen
Gegenwart und hat genug anders zu tun, als sich noch um seine ostdeutsche
Empfindlichkeiten zu kümmern47.
Altri studi48 mettono invece in evidenza come l’unità cuturale della Germania sarebbe
già cosa avvenuta e come dal realismo socialista gli Ossis siano passati a muoversi entro
una società consumistica postmoderna, accettando e interiorizzando la contraddizione, in
essa insita, tra eccesso consumistico e insicurezza esistenziale. I valori di uguaglianza e
sicurezza sociale minima, che fino all’ultimo erano stati determinanti per la stabilità della
Germania Orientale, non vengono oggi smentiti, ma considerati appartenenti al passato.
Un passato che viene superato proprio nel momento in cui, potendo articolare interessi
diversi da quelli egemoni (propria identità tedesco orientale, che nasce dopo
l’unificazione), insorge la possibilità, nella dialettica confronto scontro, di una integrazione
culturale49.
Mit Hilfe der Interviews wurde mir sehr schnell klar, dass ironischerweise gerade die
kulturellen Konflikte und die Missverständnisse, welche die Freude über die Einheit zu
verderben schienen, für den dialektischen Mechanismus sorgten, der die rasche kulturelle
Integration der „Ossis“ in den deutschen Konsumkapitalismus betrieb50.
47 «Le speranze che un tempo i tedeschi orientali investivano nell’unificazione sono acqua passata. Con loro se ne è andata però anche la frustrazione per la fallita comunicazione con le persone dell’altra parte della Germania. Il fossato cognitivo, che separa ancora sempre l’Ovest dall’Est è divenuto normalità. Solo pochi lo prendono ancora in considerazione, a nessuno causa più in ogni modo sofferenza. Si è arrivati nel presente occidentale e si ha abbastanza da fare, senza doversi anche occupare delle proprie suscettibilità tedesco-orientali». Cfr. D. POLLACK, Osdeutsche Anerkennungsprobleme cit., p. 13. 48 Cfr. L. McFALLS, Die kulturelle Vereinigung Deutschlands.Ostdeutsche politische und Alltagskultur vom real existierenden Sozialismus zur postmodernen kapitalistischen Konsumkultur, in Aus Politik und Zeitgeschichte, B 11/2001. 49 L’autore si rifà in questo caso alla teoria dell’egemonia culturale gramsciana, Ivi, pp. 27-28. 50«Con l’aiuto delle interviste mi fu ben presto chiaro che, per ironia della sorte, proprio i conflitti culturali e le incomprensioni, che sembravano rovinare la felicità dovuta all’unificazione, costituivano il meccanismo dialettico che permetteva la rapida integrazione culturale degli “Ossis” nel capitalismo consumistico tedesco». Ivi, p. 28.
13
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
Una diversa prospettiva lascia aperta la domanda se la ostdeutsche Teilkultur intesa
come «das subjektive Vermögen», «die mentale Ausstattung der Ostdeutschen»51 sia in
grado di sviluppare impulsi validi per tutta la società tedesca e possa quindi aspirare a
divenire Leitkultur o se sia invece destinata a rimanere espressione del tutto secondaria di
dipendenza culturale ed economica e ad articolare esclusivamente lo scontento dell’Est, e
diventare nel contempo «Projektionsfläche symbolischer Verdrängung»52 per la Germania
occidentale, che vede anticipati ad Est i problemi destinati a investire tutte le società a
capitalismo avanzato.
Da diverse parti il fenomeno è stato criticato come espressione di una modalità che
non vuole fare i conti con il peso di un passato dittatoriale e come tendenza a minimizzare
la brutalità di un sistema che per anni ha spiato i suoi cittadini e li ha costretti entro
limitazioni dei diritti civili e privazioni economiche. Alcune considerazioni di carattere
generale andrebbero comunque fatte, nell’intento di distinguere i piani del discorso e i
diversi ambiti entro cui ci si trova a muoversi.
In primo luogo dal punto di vista socio-politico la quantità innumerevole di studi sul
sistema e la società della ex-DDR, usciti dopo il 1990, sono rappresentativi soprattutto
della sociologia occidentale, mentre la sociologia orientale è rimasta senza voce, in quanto
molti degli istituti e strutture di ricerca, insieme a tante associazioni di base53, sono state
abgewicketl (liquidate). L’unica istituzione originaria tedesco orientale rimasta attiva in
ambito sociologico è il BrandenburgBerliner Institut für Sozialwissenschaftliche Studien
(BISS)54.
In secondo luogo i maggiori modelli interpretativi proposti tendono a essere
unidimensionali, a interpretare la scomparsa Germania Orientale come società
monoliticamente totalitaria, sottolineando la costanza strutturale del sistema politico, senza
51 D. MÜHLBERG, Beobachtete Tendenzen zur Ausbildung einer Ostdeutschen Teilkultur in Aus Politik und Zeitgeschichte, B 11/2001, pp.30-38, p.35-36. L’articolo citato è molto interessante dal punto di vista della definizione della Teilkultur orientale secondo quattro parametri ( sistema di valori e mentalità, modalità di comportamento quotidiano, il sistema di segni e simboli, il sistema dei media) che vengono indagati singolarmente per stabilire quanto dei diversi parametri sia attribuibile alla cultura orientale in quanto tale. 52«superfice proiettiva di rimozione simbolica» Ivi, p. 38. 53 A questo proposito si veda H.GROSCHOPP, Breitenkultur in Ostdeutschland. Herkunft und Wende – wohin?, in: Aus Politik und Zeitgeschichte B 11/ 2001, che mette in evidenza come strutture di aggregazione sociale, nate dal concetto borghese di Volkserziehung alla fine del 19. sec., attraverso la tradizione operaia degli anni ’20 e ’30 e non ultimo attraverso il loro mantenimento almeno parziale anche durante il nazionalsocialismo (per es. la kraft-durch-Freude Organisation), vennero riprese e introdotte come programma socialista nella DDR degli anni ’50, e furono liquidate dopo la Wende, dalla Treuhand. 54 Il sito dell’istituto si trova all’idirizzo: www. Biss.de . A questo proposito cfr. W. DÜMCKE, Das Bild der DDR in der Politikwissenschaft der Bundesrepublik nach 1990 in Berliner Bebatte INITIAL, 9, 1998, pp. 59-69, p. 61.
14
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
interessarsi ai cambiamenti avvenuti dagli anni della fondazione alla fine degli anni Ottanta
(Herrschaftstheorie)55 ; oppure, d’altro lato, a considerarla come espressione di una
società premoderna, con una forte divisione in Stände e un orientamento anticapitalistico e
antimoderno, destinato a andare in crisi con l’avanzare della tecnologia a livello mondiale
e con i forti cambiamenti sociali ad essa connessi56(Modernisierungstheorie). Entro i
termini del discorso così posti, è abbastanza chiaro che da parte orientale, ovverosia da
parte di quei cittadini e di quella società che si trova ad essere oggetto di descrizione,
senza aver molta voce in capitolo, vi sia una reazione difensiva di Abgrenzung, dettata
innanzitutto, prima ancora di entrare nel merito delle problematiche, dalla modalità stessa
in cui esse vengono poste57.
In terzo luogo le schematizzazioni e la riduzione dei cittadini della ex-DDR al ruolo di
Täter, Opfer e Mitläufer non possono che impoverire e restringere la prospettiva su quel
passato, che è ancora vivo nella memoria sociale e comunicativa di chi lo ha vissuto. Gli
Ossis si sono trovati, da un giorno all’altro, in uno spazio del tutto cambiato, con riferimenti
sociali completamente nuovi e contrapposti ai vecchi, e hanno vissuto una frattura netta;
d’altro canto, - anche a distanza di anni - si trovano nella strana condizione di chi, di quel
passato generazionale recente, di cui normalmente si stratificano le tracce nei luoghi del
quotidiano, ha solo esperienza indiretta attraverso l’avvenuta musealizzazione di tutto un
patrimonio, che altrimenti sarebbe stato completamente cancellato. Tanto più, dunque,
viene avvertita l’esigenza di ricostruire quel passato sul piano del racconto e della
condivisione o confronto-scontro dei vissuti.
55 Questi studi si rifanno al testo classico degli anni Cinquanta di C. J. FRIEDRICH, Totalitäre Diktatur, Stuttgart, Kohlhammer, 1957. Per indicazioni bibliografiche più dettagliate a riguardo di un tema, che qui non può essere trattato in modo approfondito, si rimanda ai due studi di D. SEGERT, Was war die DDR? Schnitte durch ihr politisches System, in: Berliner Debatte INITIAL, 9, 1998, pp. 5- 21; e a W. DÜMCKE, Das Bild der DDR... cit. Per i problemi di definizione del sistema politico della DDR si veda anche: TH. GOLL, War die DDR totalitär? Antworten der vergleichenden Politikwissenschaft für die politische Bildung, in TH. GOLL-TH.LEUERER (edd.), Ostalgie als Erinnerungskultur?,Baden-Baden, Nomos, 2004, pp.38-45, in particolare pp. 42-43. 56 A questo proposito il testo più citato è A.MEIER, Abschied von der Ständegesellschaft, in: Aus Politik und Zeitgeschichte, B 16-17, pp. 3-14, citato in W. DÜMCKE, Das Bild der DDR... cit., p. 62. Dümcke considera il libro di H.J. MAAZ, Der Gefühlstau. Ein Psychodram der DDR, Berlin, 1990, come il necessario completamento della Modernisierungstheorie. Maaz descrive la DDR come un sistema teso alla deformazione e alla traumatizzazione dei suoi cittadini, che si trovano a vivere in una paura continua. La Wende rappresenta il «Lösen des Gefühlstaus» (Ivi, p. 63). 57 A questo proposito condivido la conclusione a cui arriva W. DÜMCKE in Das Bild der DDR... cit., p. 68 «Nur eine dritte Position öffnet sich den Ambivalenzen der DDR und ist frei von Präjudizierungen: Die Akzeptanz der DDR als ambivalenter, diskontinuirlicher Neuanfang nach 1945 und integraler Bestandteil der deutschen Geschichte. Nur das Begreifen der DDR als Projekt – mit den vergleichbaren moralischen Ansprüchen und Ausgangintentionen als alternativer Versuch der Gestaltung einer Gesellschaft nach 1945 wie der der Bundesrepublik – schafft Ausgangpunkte, die nicht sofort in einem Erkenntnistunnel münden».
15
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
Die DDR, und insbesondere ihr politisches System, ist ein Gegenstand, an dem sich ganz
unterschiedliche Erfahrungen und daraus entstandene Weltbilder reiben. Sie wird in den
verschiedenen Ecken der deutschen Gesellschaft ganz anders empfunden. Es gibt streng
genommen keine Geschichte (in der Einzahl), sondern nur Geschichichten (im Plural).
Diese Geschichten unterscheiden sich nach dem Ort, wo, der Zeit, wann, und der
Perspektive, unter der sie erlebt worden sind. Wenn man das begreift, kann man ihre nicht
zu übersehenden Gegensätzlichkeiten besser verstehen58.
Molto spesso, a quanto pare, la ricostruzione storica delle peculiarità di una
determinata società, che mirano alla ricerca di una ‘verità oggettivamente condivisibile’, si
collocano sul piano della memoria culturale istituzionalizzata - monopolio, nel nostro caso,
della élite occidentale e della nuova élite politica orientale - e stanno in netto contrasto con
una visione ‘prospettica’ e connotata in modo identitario dei vissuti, con una memoria
autobiografica individuale e con una memoria sociale di gruppo (collettiva). I due ambiti
ricadono entro una divisione già operata da Hallwachs e ripresa sia da Aleida che da Jan
Assman tra storia e memoria ( o, secondo la terminologia di Jan Assmann tra memoria
comunicativa e memoria culturale)59.«La memoria appartiene a portatori viventi con
prospettive di parte; la storia al contrario appartiene «a tutti o a nessuno», è oggettiva e
perciò neutrale per l’identità»60.
Anche Wolfgang Bialas mette molto bene in luce questa contrapposizione
relativamente all’esperienza DDR:
[…] Andererseits sind System- und Lebensgeschichte aber auch keine
Parallelgeschichten, die ohne jegliche Berührung nebeneinander herlaufen würden. Zu
erwarten sind vielmehr wechselseitige Brechungen, Verfremdungen und Spiegelungen. Zu
erwarten ist, daß die Plausibilität der jeweiligen Perspektive aus der Sicht der je anderen
58«La DDR, e in particolare il suo sistema politico, è un oggetto su cui si trovano in frizione diverse esperienze e immagini del mondo. Essa viene percepita in modo diverso nei diversi angoli della società tedesca. A ben vedere non c’è alcuna storia (al singolare), ma solo storie (al plurale). Queste storie si differenziano a seconda del luogo, cioè del dove, del tempo, cioè del quando, e della prospettiva, dalla quale sono state vissute. Se si capisce questo, si possono capire meglio le sue contraddizioni, che non si può fare a finta di non vedere». D. SEGERT, Was war die DDR?... cit., p. 5. 59 Cfr. J. ASSMANN, La memoria culturale cit.,p. 30; A.ASSMANN, Ricordare cit., p. 148. 60A.ASSMANN, Ricordare cit., p. 148.
16
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
in Frage gestellt wird. […] Weder läßt sich Systemgeschichte als Summe gelebter
Biographien konstruieren, noch lassen sich Biographien als Systemgeschichte im kleinen
konstruieren. Menschen sind keine Verdichtung systematischer Koordinaten zur
exemplarischen Biographie eines Systems. Systeme haben keine Biographie. Dennoch
gibt es exemplarischen Biographien, deren Verlauf in besonderer Weise Aufschluss gibt
über die Widerspruchsfelder einer Gesellschaft. Auch solche exemplarischen Biographien
sind jedoch keine biographisch modellierten Systemgeschichten. Vielmehr zeichnen sie
sich dadurch aus, daß in ihnen Menschen soziale, politische und kulturelle Spannungen
ihrer Gesellschaft auszutragen suchen. […] Was heißt das nun für die historische
Erinnerung von Diktaturen? Zunächst bleibt festzuhalten, dass solche Erinnerungen nicht
darauf zielen, die Systemeigenschaften von Diktaturen ‚zu erinnern’. Wenn sie überhaupt
bewußt und gezielt aufgerufen werden, dann suchen sich Menschen in ihnen der
Konsistenz ihrer eigenen Biographie in den Turbolenzen gravierenden Veränderungen und
gesellschaftlichen Umbrüche zu vergewissern. […] Erinnert wird dabei nicht das System
als System, sonder als vertrauter, unproblematischer Kontext des eigenen Lebens. […]
Die biographische Erinnerungen und die historische Rekonstruktion eines politischen
Systems können so zu völlig konträren Bildern dieses System führen61.
61«[…] D’altro lato la storia del sistema e le storie di vita non sono semplicemente storie parallele che scorrono l’una accanto all’altra. Quello che ci si può aspettare sono piuttosto reciproche rifrazioni, straniamenti e rispecchiamenti, Ci si può aspettare che la plausibilità di ciascuna prospettiva venga messa in crisi dal punto di vista dell’altra. […] Né la storia del sistema si lascia costruire come somma di biografie vissute, né le biografie si lasciano costruire come storia del sistema in piccolo. Gli uomini non sono condensazione di coordinate sistematiche nella biografia esemplare di un sistema. I sistemi non hanno biografia. Eppure ci sono biografie esemplari, il cui sviluppo chiarisce in modo particolare le contraddittorietà di una società. Ma anche queste biografie esemplari non sono storia del sistema modellata biograficamente. Esse sono piuttosto caratterizzate dal fatto che i soggetti di tali biografie cercano di risolvere tensioni sociali, politiche e culturali della loro società. […] Che cosa significa ciò per il ricordo storico delle dittature? In primo luogo bisogna affermare che tali ricordi non mirano a ricordare le caratteristiche di sistema delle dittature. Coi ricordi coscienti e mirati la gente cerca di assicurarsi la continuità della propria biografia nelle turbolenze di gravosi cambiamenti e rivolgimenti sociali. […] Si ricorda allora non il sistema in quanto tale, ma come contesto noto e non problematico in cui ci si muove. […] I ricordi biografici e la ricostruzione storica di un sistema politico possono condurre a immagini completamente contrastanti di tale sistema». Cfr. W. BIALAS, Historische Erinnerung und gesellschaftliche Umbruch. Die DDR im Diktaturenvergleich, in: Berliner Debatte INITIAL, 9, 1998, pp. 25-48, p. 29. L’autore si rifà a un modello di spiegazione psicanalitica, che rimanda al famoso testo dei coniugi Mitscherlich (A. u. M. MITSCHERLICH, Die Unfähigkeit zu trauern. Grundlagen kollektiven Verhaltens, München, R. Piper & Co. Verlag, 1967) uscito in Germania alla fine degli anni 1960, con cui gli autori spiegavano lo stato di immobilismo dell’epoca a loro contemporanea, imputandola a una Ich–Entlerung dovuta a una Derealisierung der NS-Vergangenheit. La identificazione narcisistica con il Führer avrebbe dovuto portare la massa dei tedeschi ,alla fine della seconda guerra mondiale, a uno stato di depressione melanconica, che avrebbe comportato una perdita dell’autostima, in quanto l’oggetto dell’identificazione narcisistica (il Führer), non solo era stato battuto, ma era stato ridotto ai termini di una figura irresponsabile, causa della seconda guerra mondiale, nel nome dell’obbedienza al quale si era incorsi in crimini orrendi. Se questa depressione melanconica non si è avuta, ciò è dovuto a una derealizzazione operata dai tedeschi relativamente al passato nazista. Si è cioè sottratta ai fatti, che non potevano più venire negati, la componente affettiva che aveva portato a una condivisione di quella costellazione: i fatti non potevano essere cancellati, il proprio
17
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
Il ricordare un vissuto non problematico e la capacità di orientamento entro il
sistema DDR, non significa necessariamente voler sminuire o abbellire le problematiche
relative a un sistema illiberale e antidemocratico, anche se come abbiamo messo in luce
poco sopra la modalità stessa attraverso cui è stato strutturato il discorso storico-politico
sulla Germania Orientale porta spesso i tedeschi dei nuovi Bundesländer a sentirsi
attaccati in prima persona e ad assumere quindi una posizione difensiva.
D’altro canto, se, come ha dimostrato Jan Assman, rifacendosi a Halbwachs, si
ricorda «solo ciò che si può ricostruire come passato all’interno dei quadri di riferimento di
un presente dato, allora ciò che verrà dimenticato sarà precisamente ciò che in tale
presente è privo di quadri di riferimento»62. Considerando il totale rivolgimento di quadri di
riferimento che si è avuto sul piano sociale dopo la Wende, il rapido cambiamento dei
mediatori della memoria, e la dialettica memoria –oblio, tipica delle società mass-
mediatiche, non mi pare ci sia da stupirsi se il vissuto, che si tende a ricordare e che
diviene significativo sia proprio quello presentabile dai media e fruibile dalla massa: un
vissuto ‘orizzontalizzato’63 che non si pone grossi problemi interpretativi rispetto al
passato, vi proietta piuttosto in modo compensatorio, ciò che gli manca nel presente e si
potrebbe dire con Christoph Dieckmann, giornalista orientale, dal 1991 cronista di die Zeit,
«[…] nun ist auch der Westen DDR: der Staat von hier. Das Drüben fehlt, das Jenseits zu
hier, die Alternative zum hiesigen Tag und somit die alte Zeit. Das ist Ostalgie»64.
coinvolgimento personale poteva, invece, venir negato. Così al posto di una situazione di lutto, in cui si poteva fare i conti con il proprio coinvolgimento e responsabilità individuale, rielaborando e integrando i vissuti si è innestata una situazione di derealizzazione e rimozione della componente affettiva individuale, che può portare a una coazione a ripetere. Per Bialas, che si rifà in questo caso a Brigitte Raschenbach (B. RAUSCHENBACH, Erinnern, Wiederholen, Durcharbeiten. Zur Psycho-Analyse deutscher Wenden, Berlin, 1992), non molto diversamente i tedeschi orientali hanno derealizzato il loro engagement nella DDR: il sistema era dittatoriale, ma i singoli non hanno dimostrato un coinvolgimento affettivo con questo sistema, se non nella misura in cui sono stati costretti ad assumersi un destino. In questo modo il passato rimosso vive come una sorta di objektives Gedächtnis nella dimensione inconscia, causando una continua inquietudine. Solo attraverso una distanziazione e una rielaborazione di questa objektives Gedächtnis si può giungere a una Erinnerung, che permette di ritornare sull’esperienza passata in modo riflessivo, assumendosi la responsabilità delle proprie scelte e considerando l’effettiva esistenza, e quindi la possibilità, anche di scelte alternative. 62 Jan Assman, cit., p. 12 63 Come mette in luce anche Jens Bisky nel suo articolo, Zonensucht,cit. nonostante sia stato fatto un lavoro immane di documentazione della vita della ex-DDR , attraverso il quale la stessa conoscenza dei tedeschi orientali sul loro paese scomparso è di molto aumentata «Erinnert wird aber hauptsächlich die Durchschnitts-DDR, vor allem die sozialistische Konsumgesellschaft unter Honecker. Erinnert wird die Biopgraphie nach Plan: von den Pionieren bis zum ersten Kind nebst Trabant und Wohnung in Plattenbau» p. 121. 64 Cfr. Christoph Dieckmann, Das wahre Leben im Falschen. Geschichten von ostdeutscher Identität, Links Verlag, Berlin, 2000, p. 82 «[…] ora anche l’occidente è DDR: lo stato di qui. Manca a questo punto il ‘di là’, un ‘di là’ rispetto al ‘qui’, l’alternativa al presente e con ciò il buon tempo antico. Questa è ostalgia». Il discorso ostalgico andrebbe comunque anche differenziato in rapporto almeno a tre diverse generazioni (escludendo quella dei fondatori
18
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
Interessante mi pare, per concludere queste riflessioni, la definizione di nostalgia
data da Svetlana Boym65, e soprattutto il tentativo di comprensione del concetto in base
alle due categorie di nostalgia restauratrice e nostalgia riflessiva. Dove l’ultimo termine
risulta utile alla focalizzazione di una serie di aspetti ostalgici.
Questi due tipi di nostalgia [ conservatrice e riflessiva] non rappresentano categorie
assolute; si tratta piuttosto di tendenze, e di modi per dare forma e significato al desiderio.
La nostalga restauratrice pone l’accento sul nostos e cerca di ricostruire la dimora perduta
e colmare i vuoti di memoria. La nostalgia riflessiva è fondata sull’algia, sul desiderio e
della DDR con natali alla fine del sec. XIX), che sulla base dei loro vissuti hanno modalità diverse di rapportarsi al passato DDR. A mostrare la tendenza orizzotalizzante e maggiormente orientata al mercato è soprattutto l’ultima generazione. Si veda a questo proposito il paragrafo successivo Mappe della memoria. 65AAVV, Nostalgia. Saggi sul rimpianto del comunismo, Milano, Bruno Mondatori, 2003. In particolare S. BOYM, Ipocondria del cuore: nostalgia, storia e memoria, pp. 1-69. L’autrice, che tratteggia l’evoluzione del concetto dal punto di vista storico-culturale, utilizza, per indagare l’insorgere di fenomeni nostalgici in età moderna, due categorie messe a fuoco da Koselleck: ovverosia lo spazio di esperienza e l’orizzonte di aspettativa (Cfr. R. KOSELLECK, Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten, Frankfurt a.M., Surkamp, 1979; trad. It. Futuro passato, Genova, Marietti, 1986). A Koselleck interessa definire le due categorie dal punto di vista formale, per poi dimostrare con esempi storici come il tempo storico non sia «una determinazione vuota» ma «una grandezza che cambia con la storia, e il cui mutamento potrebbe essere derivato dal mutare della coordinazione tra esperienza e aspettativa» (R. KOSELLECK, Futuro passato…cit., p. 304). Mentre l’esperienza è un «passato presente», l’aspettativa è un «futuro presentificato». Entrambe sono situazioni personali, ma anche interpersonali. «Le esperienze consentono prognosi e le orientano», ma «lo spazio di esperienza precedente non è mai sufficiente per determinare l’orizzonte di aspettativa» (KOSELLECK cit., p. 308). Ora mentre in età premoderna e, secondo Koselleck, fino alla metà del secolo XVII con il prevalere di una visione escatologica della storia si aspettava la fine dei tempi, che veniva posta come momento trascendente la storia, e anche quando la previsione non si avverava «la sua struttura iterativa provvedeva a neutralizzare le esperienze contrarie di questo mondo», in età moderna questa situazione cambia con l’introduzione di un nuovo orizzonte di aspettativa , che trasforma radicalmente lo spazio di esperienza: ovverosia grazie alla comparsa dell’idea di progresso, che «consentì di sostituire alla dottrina del giudizio universale il rischio di un futuro aperto». A questo punto le aspettative si distinguono da tutto ciò che era stato esperito in precedenza e per la prima volta lo spazio di esperienza si divarica dall’orizzonte di aspettativa, che invece di prognosi pragmatica diviene una lunga aspettativa di un futuro nuovo. «Il progresso è il primo concetto autenticamente storico che sia riuscito a unificare in un unico principio la differenza temporale tra esperienza e aspettativa» (KOSELLECK cit., p. 315). A questo punto, secondo la Boym, si inserisce la dimensione della nostalgia, come viene poi da lei stessa descritta: restringendosi sempre di più lo spazio dell’esperienza e assumendo l’asse del tempo un’accelerazione lineare in direzione delle aspettative future, si insinua la dimensione della nostalgia verso quella esperienza sempre più ridotta, che sicuramente non ritornerà più. «Così la nostalgia, come emozione storica, è il desiderio di quello «spazio» sempre più ristretto dell’«esperienza » che non corrisponde più al nuovo orizzonte di aspettativa. Le manifestazioni nostalgiche sono effetti collaterali della teleologia del progresso» (S. BOYM, cit., p. 11). In seguito con le società a capitalismo avanzato, la globalizzazione e la virtualizzazione degli spazi ad opera delle tecnologie digitali, la nuova comprensione del tempo e dello spazio evidenzia ancora più la valenza tra “locale” e “universale”, e se da un lato tende a cancellarne le differenze, dall’altro può sicuramente marcarle. «La creatura nostalgica ha interiorizzato proprio questa divisione, ma invece di aspirare all’universale e al progressivo si guarda indietro e si strugge per il particolare» (BOYM, cit., p. 13). Mi pare che queste ampie categorie storiche individuate, come si è detto da Koselleck, e utilizzate dalla Boym per la definizione della nostalgia come categoria storica, possano essere fruttuose anche nell’applicazione alla situazione specifica della Germania orientale dopo la Wende. Qui lo spazio di esperienza degli Ossis subisce una totale svalutazione e quasi, direi, uno svuotamento, mentre l’orizzonte di aspettativa diviene in un primo momento sostanziale (blühende Landschaften) per definire una nuova esperienza. Problematico sembra, a distanza di tempo, il fatto che anche l’orizzonte di aspettativa si è via via ridotto, venendo a coincidere, per taluni versi, con lo spazio di esperienza negativa.
19
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
sulla perdita, sul processo imperfetto del ricordo. Nella prima categoria i nostalgici non si
considerano tali: sono convinti che il loro progetto riguardi la verità. Questo tipo di
nostalgia caratterizza i revival nazionali e nazionalistici in tutto il mondo […] La nostalgia
restauratrice si manifesta nella ricostruzione totale di monumenti del passato, mentre la
nostalgia riflessiva si sofferma sui ruderi, sulla patina del tempo e della storia, sui sogni di
un altro luogo e un altro tempo66.
La nostalgia riflessiva si basa – secondo l’autrice – su un’intimità culturale che cementa
l’identità nelle esperienze del quotidiano . Mentre per la nostalgia restauratrice il passato è
l’immagine originale che va preservata e a cui si tende a ritornare, la nostalgia riflessiva «è
più incentrata sul tempo storico e individuale, sull’irrevocabilità del passato e la finitudine
umana »; essa «predilige i frammenti del ricordo e temporalizza lo spazio» e,
contrariamente alla nostalgia conservatrice, «può essere ironica e umoristica», essa rivela
inoltre «che il desiderio struggente e il pensiero critico non sono l’uno opposto all’altro, dal
momento che i ricordi e le emozioni non cancellano la compassione, il giudizio o la
riflessione critica»67. Mi pare che entro questa definizione possa ben rientrare tutta la
differenziata gamma di fenomeni ostalgici, chè, come abbiamo visto sopra, non si
propongono come obiettivo quello di reinstaurare il vecchio passato socialista, ma solo di
ricostruirne il ricordo, di dialogarci, con modalità che possono anche essere differenziate,
ma che contribuiscono tutte a «naturalizzare la storia, a renderla vivibile, offrendo il
collante quotidiano dell’intelleggibilità comune»68.
Altrettanto esplicativa del fenomeno Ostalgie mi pare anche l’origine, individuata dalla
Boym, della nostalgia riflessiva, ovverosia «la defamiliarizzazione e il senso della
distanza», elementi che «inducono a raccontare la propria storia, a spiegare il rapporto tra
passato, presente e futuro»69. Un’ultimo elemento, individuato dall’autrice, che sembra
essere caratterizzante per l’ostalgia, questa identità tedesco orientale, nata -come
abbiamo visto - dopo che la DDR è scomparsa dagli atlanti geografici è che «la nostalgia
riflessiva ha in sé elementi sia del lutto, sia della melancolia» ed è «una forma di profondo
66 Ivi, p. 49. 67 Ivi, pp. 50-60. 68 Ivi, p.66. 69 Ivi, p. 60.
20
rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT
novembre 2007 anno II n°4
lutto che elabora il dolore sia ponderando la sofferenza sia con attività che puntano al
futuro»70.
In questa accezione il fenomeno Ostalgie può venir senza dubbio compreso nel suo
potenziale integrativo. Anche se a volte forme e immagini del passato socialista divengono
oggetti cult e commerciali, privati di connotazione politica, o forse proprio grazie a
operazioni di questo tipo, si innesta un processo di confronto-scontro integrativo, che
altrimenti rimarrebbe ideologicamente bloccato71.
[…] Ostalgie [ist] eine Integrationsstrategie. Ostalgie weist – mehr oder weniger
demonstrativ – darauf hin, dass ein Teil der Ostdetschen bei ihrer Integration in das
vereinigte Deutschland, auf ihre eigenen, von denen der westdeutschen Mehrheit
abweichenden Erfahrungen, Erinnerungen und Werte nicht verzichten wollen72.
70 Ivi, p. 68. Per i concetti di lutto e melanconia si rifà evidentemente a Freud. Mentre il lutto è legato alla perdita di una persona amata o di un concetto astratto (patria, libertà etc.) e passa dopo un periodo di elaborazione, nella melanconia la perdita non è ben definita, rimane più indeterminata e inconscia. La melanconia, che è legata in misura inferiore al mondo esterno, non passa con l’elaborazione del dolore. Cfr S.FREUD, Lutto e melanconia, in Opere, vol. VIII, Torino, Boringhieri, 1967-80, pp. 102-118. 71 La Boym racconta di un Cafè Nostalgija, da lei visitato al centro di Lubiana nel 1997. A dieci anni di distanza anche a Berlino vi sono diversi locali nostalgici, dopo gli elementi del passato diventano gioco e citazione e sono assolutamente depoliticizzati. Un esempio può essere il Mauerblümchen a Prenzlauerberg, che propone la vecchia cucina DDR in un ambiente ricco di poster della FDJ, dove l’avventore è circondato dagli slogan del realismo socialista e quando si reca in bagno trova sulla porta la faccia di Honecker a indicare la toilette maschile e quella della moglie sulla corrispondente toilette femminile. 72 Cfr. TH. AHBE, Ostalgie, cit. , p.66.
Sesto San Giovanni (MI) via Monfalcone, 17/19
© Metábasis.it, rivista semestrale di filosofia e comunicazione. Autorizzazione del Tribunale di Varese n. 893 del 23/02/2006. ISSN 1828-1567
Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione- NonCom-merciale-NoOpereDerivate 2.5 Italy. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 559 Nathan Abbott Way, Stanford, California 94305, USA.