pagine di letteratura

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EDITORE BULGARINI FIRENZE L. BALDI S. CIUCHINI F. MACCHIONI PAGINE DI LETTERATURA

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Page 1: PAGINE DI LETTERATURA

E D I T O R E B U L G A R I N I F I R E N Z E

L. BALDI • S. CIUCHINI • F. MACCHIONI

PAGINE DI LETTERATURA

Page 2: PAGINE DI LETTERATURA

Prima edizione febbraio 2008

Ristampe

1 2 3 4 5 6 2011 2010 2009 2008

Finito di stampare

per i tipi della tipolitografia Stiav s.r.l.

in Firenze

Editing Francesca Muzzi

Redazione Lucia Bernardini

Progettoe coordinamento grafico Arianna De Lapi

Videoimpaginazione Francesca Naldi

Disegni Roberto Luciani

Copertina Roberto Luciani

Copyright © 2008 EditorE Bulgarini FirEnzE

Editore Bulgarini Firenze Via Petrolini, 8/10 – 50137 Firenze

Tel. 055 61611 Fax. 055 6161230

www.bulgarini.it

[email protected]

Testo conformealle norme e avvertenze tecniche previstedal D.M. 7-12-’99 n. 547

UNI EN ISO 9001

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Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamentoalla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale, pos-sono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

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IL MONDO DELL’EPICA CLASSICALa memoria di imprese gloriose (10) L’epica greca (11) L’epica latina (11)

Verifica 12

�L’Iliade: il poema della conquista 14

L’antefatto 14

L’argomento generale 15

Gli dèi nella guerra di Troia 16

Gli uomini e le donne nella guerra di Troia 17

Proemio 18

��� Le Muse 18

La terribile lite 19

��� Il potere del re nella Grecia arcaica 21

Ettore e Andromaca 24

Ettore e Achille 28

��� L’intervento degli dèi 30

Priamo alla tenda di Achille 34

�L’Odissea: il poema del viaggio 36

L’antefatto 36

L’argomento generale 37

I personaggi principali 39

L’inganno di Penelope 40

��� La «Telemachia» 40

Dall’isola di Calipso a quella di Nausicaa 43

��� L’ospitalità 48

Il mostruoso Polifemo 50

Argo, il cane fedele 58

La strage dei Proci 60

Penelope e Odisseo 62

�L’Eneide: il poema degli antichi valori 64

L’argomento generale 65

I personaggi principali 67

Il cavallo di legno 68

��� Gli indovini 72

La morte di Didone 75

Didone nell’oltretomba 80

Eurialo e Niso 82

La morte di Turno 86

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IL MONDO DELL’EPICA MEDIEVALECavalieri ed eroi (90)

Verifica 91

� Il ciclo carolingio: Orlando 92

Il consiglio dei baroni 93

La morte di Orlando 96

� Il ciclo bretone: Artù 98

La spada nella roccia 99

��� La “Tavola Rotonda” 100

Ginevra e il Cavaliere della Carretta 104

�L’epica nordica: Sigfrido 108

L’argomento generale 109

La morte di Sigfrido 110

IL MEDIOEVO Il quadro storico-politico (114) Il quadro culturale (115) Il volgareitaliano (116) L’attivita letteraria in Italia (116)

Verifica 117

�La poesia religiosa umbra 118

San F. d’Assisi Cantico delle Creature 118

J. da Todi Pianto della Madonna 121

��� Le sacre rappresentazioni 122

� Il Dolce Stil Novo 124

G. Guinizzelli Io voglio del ver… 124

D. Alighieri Tanto gentile… 126

D. Alighieri Guido, i’ vorrei… 127

�La poesia comica toscana 128

C. Angiolieri S’i’ fosse foco 128

�Dante la Divina Commedia 130

L’Inferno 131

Nel mezzo del cammin… 132

Il racconto di Ulisse 133

��� Il contrappasso 134

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Page 5: PAGINE DI LETTERATURA

indice 5

Il Purgatorio 137

Manfredi 138

Il Paradiso 141

Cacciaguida e la profezia dell’esilio 142

�Petrarca e il Canzoniere 146

Solo e pensoso… 147

Zephiro torna, e ‘l bel tempo rimena 149

�Boccaccio e il Decameron 150

L’antefatto 151

Chichibio 151

Cisti fornaio 156

IL RINASCIMENTOIl quadro storico-politico (162) Il quadro culturale (163) L’attivitaletteraria in Italia (164)

Verifica 165

�Machiavelli e Il Principe 166

La fortuna e la virtù 167

�Ariosto e l’Orlando furioso 168

L’antefatto 169

L’argomento generale 170

La fuga di Angelica 171

L’ippogrifo rapisce Ruggiero 176

La pazzia di Orlando 178

�Tasso e la Gerusalemme liberata 182

L’argomento generale 183

Il proemio 184

Il concilio dei demoni 185

Erminia fra i pastori 187

La morte di Clorinda 192

IL SEICENTO E IL SETTECENTOIl quadro storico-politico (200) Il quadro culturale (201)

Verifica 203

Page 6: PAGINE DI LETTERATURA

�La Commedia dell’arte e Goldoni 204

Una seduttrice infallibile 206

La barca dei comici 210

�Parini e la poesia 212

La vergine cuccia 213

L’OTTOCENTOIl quadro storico-politico (216) Il quadro culturale (216)

Verifica 219

�Foscolo e il Romanticismo 220

A Zacinto 221

In morte del fratello Giovanni 223

L’urne dei forti 225

�Leopardi, poeta romantico 228

L’infinito 229

A Silvia 231

Il passero solitario 235

La quiete dopo la tempesta 239

�Manzoni tra storia e letteratura 242

Il cinque maggio 243

Don Abbondio incontra i bravi 248

��� I Promessi Sposi 249

Renzo incontra fra Cristoforo 253

L’arte del Romanticismo 258

�Capuana e Verga: il Verismo 260

La mula 261

La roba 268

Il naufragio della “Provvidenza” 274

��� I Malavoglia 274

L’addio di ‘Ntoni 277

L’arte realista dell’Ottocento 282

� Carducci e la poesia 284

Traversando la Maremma toscana 285

Alla stazione in una mattina d’autunno 286

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Page 7: PAGINE DI LETTERATURA

indice 7

IL PRIMO NOVECENTOIl quadro storico-politico (290) Il quadro culturale (291) L’attivitaletteraria in Italia (292)

Verifica 294

� Pascoli: tra vita e poesia 296

Lavandare 297

La mia sera 298

Il lampo 301

� D’Annunzio e il Decadentismo 302

La pioggia nel pineto 303

I pastori 308

L’arte negli anni del Decadentismo 310

� La poesia dei crepuscolari 312

S. Corazzini Desolazione del povero poeta sentimentale 312

G. Gozzano La Signorina Felicita ovvero La Felicità 315

M. Moretti A Cesena 319

A. Palazzeschi Chi sono? 322

� Tra innovazione e sperimentazione 324

F. T. Marinetti Dominare 325

C. Sbarbaro Talor, mentre cammino solo al sole 326

D. Campana Tre giovani fiorentine camminano 328

V. Cardarelli Sera di Gavinana 329

V. Cardarelli Io non so più qual era 331

� Ungaretti: la poesia e la guerra 332

Veglia 333

Fratelli 334

San Martino del Carso 335

Natale 336

L’arte del primo Novecento 338

� Svevo e La Coscienza di Zeno 340

La triplice dichiarazione d’amore 341

��� La coscienza di Zeno 343

L’arte nel primo dopoguerra 348

� Pirandello e Il fu Mattia Pascal 350

Cambio treno 351

��� Il fu Mattia Pascal 352

E ora… dove vado? 354

Page 8: PAGINE DI LETTERATURA

� La produzione teatrale 358

L. Pirandello Eh! La verità? 359

��� Così è (se vi pare) 359

M. Bontempelli L’abito fa il monaco? 364

U. Betti Innocenza e corruzione 367

��� Corruzione al Palazzo di giustizia 368

IL SECONDO NOVECENTOIl quadro storico-politico (374) Il quadro culturale (375) L’attivitaletteraria in Italia (376)

Verifica 377

� I poeti e la condizione umana 378

E. Montale Meriggiare pallido e assorto 379

E. Montale Spesso il male di vivere ho incontrato 381

E. Montale Nel fumo 382

U. Saba La capra 383

U. Saba Ulisse 385

S. Quasimodo Ed è subito sera 386

S. Quasimodo Elegia 387

S. Quasimodo Alle fronde dei salici 388

S. Penna Sul molo il vento soffia forte 389

S. Penna Il giorno ha gli occhi di un fanciullo 390

G. Caproni Preghiera 391

M. Luzi Notizie a Giuseppina dopo tanti anni 392

G. Giudici Il rivale 394

� La narrativa e il Neorealismo 396

I. Silone L’amico del popolo 397

V. Pratolini Il risveglio di via del Corno 403

C. Pavese Non facevo proprio nulla per cambiare 406

A. Moravia Romolo e Remo 412

P.P. Pasolini Nella borgata 419

� La narrativa di fine secolo 424

I. Calvino La strana vita di Cosimo sugli alberi 425

E. Morante Il mondo si apre a Useppe 432

A. Tabucchi Bentornato, Monteiro Rossi 439

Percorsi di arte contemporanea 446

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I L M O N D OD E L L’ E P I C A

C L A S S I C A

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La memoria di imprese gloriose

L’EPICA: I VALORI IN CUI UN POPOLO SI RICONOSCEIl termine “epica” indica un genere letterario di cuifanno parte opere prevalentemente scritte in versie di grandi dimensioni, i cui protagonisti sono uomi-ni che compiono azioni straordinarie. Quando, verso il VII-VI secolo a.C., nacquero i poe-mi omerici (di cui ci occuperemo nelle pagine se-guenti) esisteva già una poesia epica, per lo più ora-le, sia nei Paesi affacciati sul Mediterraneo orientaleche in quelli situati tra il Tigri e l’Eufrate, in Mesopo-tamia. Infatti già dal I millennio a.C. l’uomo aveva af-fidato a questa poesia il compito di tramandare allegenerazioni successive le vicende storiche degnedi essere ricordate perché rappresentavano gli idea-li e i valori di tutto il popolo. Nel racconto orale, tali vicende storiche si arricchi-vano di situazioni che mettevano in luce il valoredei protagonisti – esaltandone il coraggio, l’amoreper la patria, per la famiglia e gli amici – o esprime-vano la paura della morte e dell’aldilà: valori chepossiamo definire universali in quanto, pur avendotrovato espressione diversa nel corso del tempo,sono riconoscibili e condivisibili anche per l’uomodi oggi.

I TRE MASSIMI ESEMPI DELL’EPICA CLASSICAL’epica classica nasce in Grecia con i racconti oralitramandati di padre in figlio dagli aedi, poeti chenarravano vicende straordinarie di divinità ed eroiaccompagnandosi con strumenti musicali a corde,e dai rapsodi, i quali “univano” i vari canti creandocomposizioni più ampie che poi recitavano nellecorti dei re. Quando poi la scrittura iniziò a essereusata, oltre che per gli usi quotidiani e amministra-tivi, anche per le opere letterarie, i racconti traman-dati oralmente furono fissati per scritto.Nacquero così le composizioni epiche in prosa o inpoesia: quelle in poesia sono dette “poemi epici”.L’Iliade e l’Odissea del poeta greco Omero, l’Enei-de del poeta latino Virgilio sono i tre grandi poemiepici della classicità che conosceremo in queste pa-

gine. Ogni poema ha caratteristiche proprie, ma al-cuni personaggi si ritrovano in ciascuno di essi. Lestorie narrate prendono infatti tutte origine da ununico grande evento: la guerra che nel XIII secoloa.C. contrappose gli Achei (Greci) agli abitanti dellacittà di Troia, in Asia Minore, che alla fine venne con-quistata e incendiata.

LE CARATTERISTICHE RICORRENTI NEI POEMI EPICIIn generale, nella grande varietà che i poemi epicipresentano per i contenuti delle vicende racconta-te e per il tipo di società in cui vennero creati, talipoemi presentano alcune caratteristiche ricorrenti,come per esempio: - la divisione in capitoli detti libri;

- la presentazione dell’argomento in una parte ini-ziale che prende il nome di proemio, nel quale èpresente l’invocazione a una divinità perché offral’ispirazione al poeta;

- la presenza della divinità, che interviene nelle vi-cende narrate;

- l’uso di epiteti, cioè di espressioni che evidenzia-no qualità legate a un personaggio (per esempio,per la sua velocità, Achille viene definito «piede ra-pido»);

- l’uso di patronimici, vale a dire di termini derivatida quello del padre o dell’antenato dell’eroe (peresempio, Achille viene detto «Pelìde» perché figliodi Peleo);

- la presenza di similitudini, che per rendere piùchiara e viva una descrizione o un’immagine la pa-ragonano a un’altra più semplice e più nota.Numerosi anche i temi che caratterizzano l’epicaclassica, tra cui hanno grande importanza quellodella conquista, soprattutto nell’Iliade, e quello del-l’avventura, nell’Odissea e nell’Eneide. Si tratta didue temi essenziali per comprendere il rapportodell’uomo con la realtà e spesso strettamente lega-ti fra loro, come dimostrano le vicende e gli eroiprotagonisti dell’epica greca e romana.

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L’epica greca

L’epica latinaInizialmente Roma non ebbe una cultura originalepropria. Come in politica, infatti, anche in altri cam-pi la futura Urbe subì l’influsso etrusco al quale poisubentrò, più lungo e profondo, quello greco per iltramite del Meridione d’Italia (la Magna Grecia).Non è dunque un caso che gli autori più antichi del-la storia letteraria romano-latina siano tutti di originemeridionale e che il primo testo di cui si ha notiziasia la traduzione dell’Odissea.Se però greci sono i modelli sia della prosa, sia dellapoesia e del teatro, non è greco lo spirito nuovo cheanima la produzione culturale latina, che si segnala

soprattutto per la concretezza e il realismo, ma an-che per il fortissimo senso della comunità, rappre-sentata dalla famiglia, dalla città e dallo Stato.Il poema più importante dell’epica latina è l’Eneide,composto alla fine del I secolo a. C. da Virgilio. Diversamente da quanto accade per Omero, abbia-mo notizie certe sulla vita e l’opera di Virgilio, cheavrebbe lavorato al suo grande poema epico ininter-rottamente fino alla morte, avvenuta nel 19 a. C. Sisa anche che il poeta scrisse l’Eneide per volontà del-l’imperatore Ottaviano Augusto e con uno scopo benpreciso: esaltare la grandezza e la potenza di Roma.

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OMERO È REALMENTE ESISTITO?Del poeta Omero sappiamo pochissimo: in realtànon abbiamo neppure la certezza che sia realmenteesistito un poeta con questo nome autore dell’Iliadee dell’Odissea. Ma ciò che è importante è che gli an-tichi Greci non ne misero in dubbio l’esistenza, rite-nendo tra l’altro fondamentale che la voce della lorocultura e delle loro tradizioni avesse un nome unicoe un luogo di nascita certo, tanto che ben sette cittàdella Grecia e dell’Asia Minore affermavano di essereil luogo in cui era nato il poeta, senza però poter for-nire prove decisive a sostegno di tale affermazione. Tuttavia, poiché la lingua base di questi poemi è ildialetto ionico – diffuso per lo più nella zona costie-ra dell’Asia Minore – gli antichi scelsero l’isola diChio come luogo di nascita di Omero, che sarebbevissuto nell’VIII secolo a.C.

UN CANTORE CIECOSecondo la tradizione Omero era cieco: il nomestesso significa “colui che non vede”.Si tratterebbe però, con ogni probabilità, di un nomesimbolico. Se infatti la cecità rendeva difficoltose mol-te attività, non impediva affatto la composizione e ladeclamazione poetica, stimate al punto che gli anti-chi attribuirono alla mancanza della vista un significa-to quasi magico: il dio toglieva al poeta la vista, ma gliconsentiva di “vedere”con la fantasia e l’immagina-

zione quello che avrebbe narrato nella sua poesia. Lo stesso Omero, del resto, inserisce tra i personaggidell’OdisseaDemòdoco, un cantore anziano e cieco,che godeva del massimo rispetto da parte di tutti. Ilpoeta ci conferma così che l’arte degli aedi e dei rap-sodi era allora circondata da un rispetto quasi religio-so e, poiché tali consuetudini non si creano in brevetempo, che quell’arte aveva origini antichissime.

LA “QUESTIONE OMERICA”I poemi Iliade e Odissea hanno da sempre solleva-to una serie di problemi che vanno sotto il nomeconvenzionale di “questione omerica” e che riguar-dano non solo l’esistenza o meno di Omero, maanche la possibilità di attribuire le due opere a unoo più autori. Oggi la maggioranza degli studiosi con-ferma l’opinione degli antichi: un solo autore si èoccupato sia della saldatura di composizioni poeti-che (spesso in forma orale) già esistenti e legate aun personaggio o a un determinato episodio, siadella creazione delle parti nuove. È vero che tra unpoema e l’altro esistono differenze anche notevoli,ma tali differenze possono essere giustificate ipotiz-zando che nell’Iliade Omero usi il materiale già di-sponibile senza modificarlo più di tanto, mentrenell’Odissea componga un poema in cui la leggen-da più antica era rielaborata alla luce della cultura edella visione morale dei suoi tempi.

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Verifica 1. Da cosa è costituito il genere letterario indicato con il termine“epica”? a. da opere generalmente in prosa di grandi dimensioni, i cuiprotagonisti compiono azioni eccezionali

b. da opere generalmente in versi di grandi dimensioni, i cuiprotagonisti compiono azioni straordinarie

c. da opere tramandate solo oralmente, che celebrano gli ideali e i valori di un popolo

2. In quale area geografica videro la luce i primi esempi di poesiaepica in forma orale? a. Asia Minoreb. Mediterraneo orientale e Mesopotamiac. Magna Grecia

3. I poemi omerici rappresentano il primo esempio di poesia epica?a. sì, prima del VII secolo a.C. nessun poeta aveva narrato vicendestoriche degne di essere ricordate

b. no, fin dal I millennio l’uomo era ricorso a questo genere di poesiaper tramandare vicende storiche importanti

c. no, prima del VII secolo a.C. Virgilio si era servito della poesiaepica per narrare le vicende di Troia

4. Indica quale delle seguenti frasi è corretta.a. l’epica classica nasce in Grecia con i racconti scritti in versi dairapsodi, che avevano come argomento le vicende degli Achei

b. l’epica classica nasce in Grecia con i racconti scritti in versi dalpoeta Omero alla fine del I secolo a.C.

c. l’epica classica nasce in Grecia con i racconti orali tramandati dagliaedi, che narravano vicende di eroi e divinità acccompagnandosicon strumenti musicali

5. Qual è l’evento da cui prendono origine i poemi epici di Omero eVirgilio?a. la guerra combattuta nel VII-VI secolo a.C. tra i Greci e gli abitanti della città di Troia

b. la guerra che nel XIII secolo a.C. contrappose gli Achei agli abitanti della città di Troia

c. la guerra vinta da Ottaviano Augusto nel 19 a.C. contro gli abitantidella città di Troia

6. Nei poemi omerici, le divinità prendono parte alle vicende narrate?a. sì, intervengono nelle vicende narrate dai poetib. no, si disinteressano delle vicende umanec. sì, ma soltanto offrendo l’ispirazione al poeta

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7. Come si chiama la parte iniziale del poema? Cosa contiene?a. si chiama introduzione e contiene la divisione in capitoli del poemab. si chiama proemio e contiene l’invocazione del poeta alla divinitàc. si chiama primo libro e contiene l’elenco delle opere usate comemodello

8. Quando visse il poeta greco Omero? Quali opere gli vengonoattribuite? a. visse nell’VIII secolo a.C. e gli sono attribuite l’Iliade e l’Odisseab. visse nel I secolo a.C. ed è considerato l’autore dell’Odissea edell’Iliade

c. visse nel XIII secolo a.C. e gli vengono attribuite l’Odissea e l’Eneide

9. Indica quale delle seguenti frasi è corretta.a. l’espressione “questione omerica” indica una serie di problemilegati al luogo di nascita di Omero e alla possibilità di attribuirel’Odissea e l’Iliade a due autori diversi

b. l’espressione “questione omerica” indica una serie di problemilegati all’esistenza o meno di Omero e alla possibilità di attribuirel’Eneide e l’Odissea a uno o più autori

c. l’espressione “questione omerica” indica una serie di problemilegati all’esistenza o meno di Omero e alla possibilità di attribuirel’Odissea e l’Iliade a uno o più autori

10. Perché gli autori più antichi della storia letteraria romano-latinasono tutti di origine meridionale? a. perché inizialmente Roma subì l’influsso culturale greco attraversogli autori della Magna Grecia

b. perché inizialmente la letteratura romana fu un modello per quellagreca

c. perché le migliori scuole poetiche erano tutte nell’Italia meridionale

11. Indica le principali caratteristiche dell’epica latina completandoil brano con i termini mancanti.La produzione culturale latina si segnala soprattutto per la …………e il realismo, ma anche per il fortissimo senso della comunità,rappresentata dalla ……………., dalla città e dallo ……………. .

12. Quando, e da chi, venne composta l’Eneide?a. alla fine del I secolo a.C. dal poeta latino Virgiliob. agli inizi del VI secolo a.C. dal poeta latino Omeroc. dopo il 19 a.C dal poeta greco Virgilio

13. Quale scopo si prefiggeva l’autore dell’Eneide?a. narrare le vicende storiche di Roma per contrapporle alle gestadegli eroi achei

b. esaltare la potenza di Roma durante il regno di Ottaviano Augustoc. sottolineare il coraggio dei protagonisti delle vicende narrate

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L’Iliade: il poema della conquista

Attribuita al poeta greco Omero, l’Iliade racconta la storia della conqui-sta di Troia, una potente città dell’Asia Minore detta anche Ilio, da cuiil nome dell’opera, da parte dei Greci. Costituito da 24 libri scritti in ver-si, il poema narra gli episodi accaduti nel decimo e ultimo anno dell’as-sedio della città.

Costruita intorno al 1600 a.C., Troia era situata in una posizione assai for-tunata: controllava infatti gli stretti sul Mar Nero (odierni Bosforo e Darda-nelli) e, quindi, il commercio che vi si svolgeva; sorta inoltre sulla sommitàdi una collina, a una certa distanza dalla costa, non doveva neanche teme-re attacchi provenienti dal mare. Il tentativo di sottrarre alla città il control-lo del commercio con le terre affacciate sul Mar Nero fu senz’altro lungo edifficile, anche se alla fine i Greci riuscirono nel loro intento.

La conferma che questo drammatico conflitto avvenne realmente è statadata dalla scoperta dell’archeologo tedesco Heinrich Schliemann che,nella seconda metà dell’Ottocento, individuato il sito di Troia, ne riportòalla luce i resti, trovando tracce di un terribile incendio.Tra i numerosi cantori del mito nato intorno alle vicende della città è ap-punto da annoverare anche Omero, che affidò alla poesia scritta i suoicanti ispirati alla guerra tra Greci e Troiani, celebrando le vicende dei tregrandi protagonisti: Achille, Ettore e Odisseo, che sarà il personaggioprincipale dell’Odissea.

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I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C A

I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C A

L’antefattoDurante il matrimonio di Peleo, re di Ftia, e Teti, ninfa del mare, la dea Eris,esclusa dal banchetto perché sempre pronta a seminare discordia, vuole ven-dicarsi. Lancia così nella sala una bellissima mela d’oro su cui è scritto «Allapiù bella».Subito tre dee invitate al banchetto – Era, Atena e Afrodite – credendo cia-scuna di essere la più bella, pretendono di aver diritto alla mela e scoppiacosì una lite. Il re degli dèi Zeus, allora, per porre fine alla discussione, le invi-ta a rimettersi al giudizio del primo uomo che avessero incontrato sul monteIda, presso Troia.Lì le tre dee incontrano Paride, il figlio del re Priamo. Il giovane assegna lamela ad Afrodite, che gli ha promesso l’amore della donna più bella del mon-do, attirando su di sé l’ira di Era, che gli ha promesso la potenza, e di Atena,che se fosse stata prescelta gli avrebbe donato la sapienza.

La scelta di Paride

Chi è la più bella?

Il banchetto di nozze e la mela d’oro

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Per mantenere fede al suo impegno, Afrodite fa in modo che in occasionedella permanenza di Paride a Sparta, nella reggia di re Menelao, il giovane siinnamori, ricambiato, proprio della moglie del re, Elena, considerata la piùbella del mondo. Paride rapisce la donna, portandola con sé a Troia. Mene-lao, deciso a vendicarsi per il torto subìto, persuade allora molti re delle cit-tà greche, a cui è legato da amicizia e parentela, a coalizzarsi e a muovereguerra a Troia. Inizia così un conflitto lungo e difficile, durante il quale l’AsiaMinore si schiera dalla parte di Troia.

L’argomento generaleDieci anni sono trascorsi da quando le navi greche sono approdate sulle rive diTroia, la città del re Priamo, che resiste inespugnabile. Crise, un vecchio sacer-dote di Apollo, va al campo dei guerrieri greci per chiedere il riscatto della fi-glia Criseide, schiava di guerra di Agamennone, re di Micene e capo di tutte learmate achee. Agamennone però rifiuta la proposta e Apollo si vendica dell’af-fronto fatto a Crise facendo scoppiare una pestilenza tra i Greci: Agamennoneè dunque costretto a consegnare Criseide al padre, ma pretende però in cam-bio la schiava di Achille, Briseide, provocando così l’ira di quest’ultimo, che de-cide di abbandonare il campo di battaglia. L’assenza di Achille dal campoacheo favorisce la vittoria dei Troiani. Dopo molti scontri fuori delle mura Et-tore, il figlio di Priamo, rientra in città per riabbracciare il figlio e la moglie An-dromaca, che cerca invano di convincerlo ad abbandonare la battaglia.Intanto Patroclo, sconvolto dalle sconfitte subìte dagli Achei, chiede all’ami-co Achille di lasciargli indossare le sue armi per mettere paura ai Troiani.Achille acconsente, pregandolo però di non affrontare Ettore, che il dio Apol-lo protegge. Patroclo non gli dà retta e viene ucciso da Ettore. Achille allo-ra, disperato per la fine dell’amico, ritorna a combattere per vendicarne lamorte. Nel duello tra Achille e Ettore quest’ultimo ha la peggio e il suo cada-vere, legato al carro del vincitore, viene trascinato intorno alle mura di Tro-ia sotto gli occhi di Priamo e della sua famiglia. A questo punto Zeus decide di far conoscere la sua volontà ad Achille e a Pria-mo: vada Priamo alle tende di Achille e questi gli riconsegni il corpo di Etto-re. Achille accoglie benevolmente l’anziano re e gli consegna il corpo del fi-glio, concedendo tra l’altro dodici giorni di tregua per i riti funebri.Priamo ritorna così a Troia, dove, tra le lacrime sincere di tutta la sua gente,l’eroe troiano sarà sepolto.

L’intervento di Zeuse il ritorno a Troiadi Priamo

La morte di Patrocloe di Ettore

La richiesta di Crisee la terribile lite

Il rapimento di Elena e la guerradi Troia

15l’iliade: il poema della conquista

Page 16: PAGINE DI LETTERATURA

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Gli dèi nella guerra diTroiadalla parte dei greci

EraSorella e moglie di Zeus, è la reginadell’Olimpo. Al torto ricevuto da Paride,che le ha preferito Afrodite nella garadi bellezza, risponde prendendo posi-zione a favore dei Greci contro i Troiani.

AtenaFiglia di Zeus, è la dea delle arti femmi-nili, ma anche della guerra e dei com-battimenti; i suoi protetti sono gli eroigreci, tra cui predilige Achille e Odis-seo, l’eroe protagonista dell’Odissea.

dalla parte dei troiani

AfroditeÈ la dea della bellezza e dell’amore.Paride la giudica la più bella delle deee lei lo ricambia assicurandogli l’amo-re di Elena e appoggiando i Troianidurante la guerra.

ApolloDio del Sole, della luce e delle arti, fa-vorisce i Troiani e, inviando nel cam-po greco una terribile pestilenza, pu-nisce il torto arrecato da Agamennoneal suo sacerdote Crise, a cui era statonegato il riscatto della figlia Criseide.

ZeusÈ il maggiore e più poten-te fra tutti gli dèi. La suasede è l’Olimpo, la monta-gna più alta della Grecia.Non parteggia per nessu-na delle due fazioni inlotta.

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dalla parte dei greci

AchilleFiglio di Peleo e della dea Teti,partecipa alla guerra contro Troiaed è il più coraggioso dei Greci.La lite con Agamennone, che glitoglie la schiava Briseide, lo in-duce ad allontanarsi dalla batta-glia. Riprenderà a combattere pervendicare la morte dell’amico Pa-troclo, uccidendo Ettore.

AgamennoneCapo di tutte le forze greche pre-senti a Troia, prende parte allaguerra per vendicare l’offesa rice-vuta da suo fratello Menelao, lacui moglie Elena è stata rapitadal principe troiano Paride.

PatrocloAmico fraterno di Achille, ne in-dossa le armi per spaventare iTroiani e aiutare i Greci. La suamorte per mano di Ettore vienevendicata da Achille.

dalla parte dei troiani

PriamoÈ il vecchio saggio e leale re diTroia, che invidiato per potenza,ricchezza, numerosa discenden-za, è però condannato da un de-stino crudele ad assistere alla ro-vina della sua gente e della suacittà.

AndromacaÈ la moglie di Ettore e la madredel piccolo Astianatte. Il suo ul-timo incontro con il marito è unodei momenti più commoventi delpoema: un episodio di vita fami-liare rattristato dalla guerra cheporterà per tutti rovina e morte.

TetiNon dea, ma ninfa ha tuttavia lestesse caratteristiche degli dèi,fra cui l’immortalità. Ha sposatoil mortale Peleo ed è madre diAchille. È sempre pronta ad aiu-tare il figlio e a confortarlo neimomenti di dolore.

BriseideDivenuta schiava di Achille comebottino di guerra, è la causa in-diretta dell’ira di Achille, inquanto Agamennone la pretendeal posto di Criseide.

CriseideÈ la schiava di Agamennone che ilpadre Crise vuole riscattare. Il ri-fiuto del capo greco provoca pri-ma l’ira di Apollo – che fa scop-piare una pestilenza nel campotroiano – e poi quella di Achille,costretto a consegnare la propriaschiava Briseide al posto di Cri-seide, che ritorna al padre.

EcubaMadre di Ettore, il primogenito, e di Paride, il più piccolo dei suoi figli. Fra le sue figlie si ricordano Creusa, laprima moglie di Enea, e Cassandra, la profetessa che prediceva il futuro ma non era mai creduta da nessuno.Assiste dalla torre di Troia allo scempio del corpo del figlio Ettore, trascinato intorno alle mura dal cocchiodi Achille.

EttoreFiglio del re Priamo, ha il coman-do di tutte le forze troiane. Tre-mendo in battaglia, è un marito eun padre affettuosissimo. Ha spo-sato Andromaca, dalla quale haavuto un solo figlio: Astianatte.

Gli uomini e le donne nella guerra diTroia

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I brani riportati sono tratti da Omero, Iliade, traduzione a cura di R. Calzecchi Onesti, Einaudi

ProemioCanta, o dea, l’ira d’Achille Pelìde,rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,gettò in preda all’Ade molte vite gagliarded’eroi, ne fece il bottino dei cani,

5 di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compiva –da quando prima si divisero contendendol’Atride signore d’eroi e Achille glorioso.

Libro I, vv. 1-7

Le Muse Il proemio si apre con l’invocazione alladea della poesia epica, che è una delle nove Muse. Chi sono leMuse? Secondo quanto racconta il mito, le Muse sono nove so-relle figlie di Zeus e di Mnemosine, la dea che personifica lamemoria. Abitano alle pendici del monte Elicona in Beozia,una regione della Grecia centrale, e si riuniscono sotto la gui-da di Apollo per danzare e cantare presso una fonte magicache favorisce l’ispirazione. Le Muse non sono soltanto le divi-nità del canto e della danza, ma presiedono a tutte le manife-stazioni del pensiero: saggezza, scienza, eloquenza. A ciascu-na di loro è stata attribuita una funzione: per esempio, Callio-pe presiede alla poesia epica, Tersicore alla danza e così via.

Canta, o dea, la collera tremenda diAchille, figlio di Peleo, che provocò aiGreci grandi dolori, che gettò negli Infe-ri le vite di molti giovani eroi, facendonepasto per cani (5) e uccelli – se questoavvenne fu per volontà di Zeus – daquando Agamennone, figlio di Atreo, ca-po degli eroi greci e il gloriosoAchille divennero nemici in se-guito a una violenta lite.

lavo

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to 1.Qual è il soggetto, cioè l’argomento principale delpoema, così come appare dal primo rigo?a. l’ira di Achilleb. la tragedia dei Troianic. la gloria di Agamennone

2.Quali saranno le conseguenze dell’ira d’Achille?

3.Achille è chiamato Pelìde, cioè figlio di Peleo. Si trat-ta di un patronimico, cioè di un nome derivato daquello del padre. Come sono detti per la stessa ragionei due fratelli Agamennone e Menelao, figli di Atreo?

2. Achei: nei poemi omeri-ci è la designazione gene-rica dei Greci, insieme aDanai e Argivi. 3. Ade: è Plutone, il dio delmondo sotterraneo, ma iltermine indica anche il suoregno, cioè gli Inferi.

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La terribile liteCrise al campo acheo

Ma chi fra gli dèi li fece lottare in contesa?Il figlio di Zeus e Latona; egli, irato col re,

10 mala peste fe’ nascer nel campo, la gente moriva,perché Crise l’Atride trattò malamente,il sacerdote; costui venne alle navi rapide degli Acheiper liberare la figlia, con riscatto infinito,avendo tra mano le bende d’Apollo che lungi saetta,

15 intorno allo scettro d’oro, e pregava tutti gli Acheima sopra tutto i due Atridi, ordinatori d’eserciti:«Atridi, e voi tutti, Achei schinieri robusti,a voi diano gli dèi, che hanno le case d’Olimpo,d’abbattere la città di Priamo, di ben tornare in patria;

20 e voi liberate la mia creatura, accettate il riscatto,venerando il figlio di Zeus, Apollo che lungi saetta».Allora gli altri Achei tutti lo acclamarono,fosse onorato quel sacerdote, accolto quel ricco riscatto.

Crise al campo acheo Ma chi fra gli dèi fu causa della lite? Apol-lo, figlio di Zeus e di Latona; arrabbiato con Agamennone (10)provocò una terribile pestilenza nel campo [greco]; la gente mo-riva perché Agamennone figlio di Atreo maltrattò il sacerdote

Crise; costui era venuto presso le veloci navi degli Acheiper riscattare la figlia con molti doni, avendo fra le

mani le bende sacre ad Apollo che scaglia le suefrecce da lontano (15) intorno allo scettro d’oro,e pregava tutti gli Achei ma soprattutto Aga-mennone e Menelao, figli di Atreo, capi dieserciti: «O Atridi, e voi tutti Achei dai robu-sti gambali; gli dèi che hanno la loro sede nel-l’Olimpo vi concedano di abbattere la città diTroia e di tornare felicemente in patria; (20)voi liberate mia figlia, accettate il riscatto ri-spettando [così] l’arciere Apollo, figlio di Zeus».Tutti gli Achei approvarono [la sua richiesta]: sionori il sacerdote, si accetti il riscatto.

9. Il figlio di Zeus e Latona:è Apollo, nato nell’isola diDelo insieme alla sorellaArtemide, dea della caccia.Apollo era rappresentatoarmato di arco e frecce.11. Atride: patronimico diAgamennone, discendenteda Atreo.13. la figlia: è Criseide, laschiava di Agamennone.14. bende: fasce di lanabianca portate dai sacer-doti intorno al capo comesegno di legame con la di-vinità.17. schinieri: armaturache proteggeva la parteanteriore delle gambe.

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C L A S S I C ALa risposta di Agamennone

Ma non piaceva in cuore al figlio d’Atreo, Agamennone,25 e lo cacciò malamente, aggiunse comando brutale:

«Mai te colga, vecchio, presso le navi concave,non adesso a indugiare, non in futuro a tornare,che non dovesse servirti più nulla lo scettro, la benda del dio!Io non la libererò: prima la coglierà vecchiaia

30 nella mia casa, in Argo, lontano dalla patria,mentre va e viene al telaio e accorre al mio letto.Ma vattene, non mi irritare, perché sano e salvo tu parta».

Impaurito Crise si allontana dal campo acheo e, giunto sulle rive del ma-re, chiede vendetta al dio Apollo, che fa scoppiare una terribile pestilen-za presso i Greci. Sconvolti, questi si rivolgono all’indovino Calcante per-ché spieghi loro la ragione di una così grave sciagura. Calcante rispondeche l’ira del dio Apollo si placherà solo se Crise riavrà sua figlia. Agamen-none è allora costretto dall’assemblea a consegnare la sua schiava Crisei-de, ma in cambio vuole un dono altrettanto prezioso. La richiesta di Aga-mennone irrita Achille.

La liteMa guardandolo bieco Achille piede rapido disse:«Ah vestito di spudoratezza, avido di guadagno,

150 come può volentieri obbedirti un acheo,o marciando o battendosi contro guerrieri con forza?Davvero non pei Troiani bellicosi io sono venutoa combattere qui, non contro di me son colpevoli:mai le mie vacche han rapito o i cavalli,

155 mai a Ftia dai bei campi, nutrice d’eroi,

La risposta di Agamennone Ma la richiesta non piacque ad Agamennone figlio diAtreo, che (25) lo cacciò malamente con parole minacciose: «Che non ti trovi mai piùpresso le navi ricurve né a sostare ora o a tornare in futuro, poiché non ti servirebbe aniente né lo scettro, né la benda del dio [Apollo].Io non la libererò: prima invecchierà (30) nella mia casa ad Argo lontana dalla sua pa-tria mentre si dedica al lavoro del telaio e viene nel mio letto. Vattene, non farmi arrab-biare, se vuoi allontanarti sano e salvo».La lite Ma guardandolo minaccioso Achille dal piede veloce disse: «O sfacciato, desi-deroso di guadagno (150), come può obbedirti volentieri un acheo marciando in guer-ra o battendosi coraggiosamente contro i guerrieri? Certo non sono venuto qui a com-battere per colpa dei Troiani battaglieri, che non hanno fatto niente contro di me: nonhanno mai rapito le mie mandrie né i miei cavalli, (155) né hanno distrutto il raccolto

30. Argo: Omero indica Aga -mennone talvolta come redi Argo, talvolta come re diMicene.155. Ftia: città della Ftia-de, in Tessaglia, governatada Peleo, padre di Achille.

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han distrutto il raccolto, poiché molti e molti nel mezzoci sono monti ombrosi e il mare sonante.Ma te, o del tutto sfrontato, seguimmo, perché tu gioissi, cercando soddisfazione per Menelao, per te, brutto cane,

160 da parte dei Teucri; e tu questo non pensi, non ti preoccupi,anzi, minacci che verrai a togliermi il donopel quale ho molto sudato; i figli degli Achei me l’han dato.Però un dono pari a te non ricevo, quando gli Acheigettano a terra un borgo ben popolato dei Teucri;

165 ma il più della guerra tumultuosale mani mie lo governano; se poi si venga alle parti,a te spetta il dono più grosso. Io un dono piccolo e caromi porto indietro alle navi, dopo che peno a combattere.Ma ora andrò a Ftia, perché certo è molto meglio

170 andarsene in patria sopra le concave navi. Io non intendo per te,restando qui umiliato, raccoglier beni e ricchezze».Lo ricambiò allora il sire d’eroi Agamennone:«Vattene, se il cuore ti spinge; io davveronon ti pregherò di restare con me, con me ci son altri

160. Teucri: sono i Troiani,così chiamati perché di-scendenti da Teucro, ante-nato della famiglia realedi Troia.

della terra di Ftia, madre di eroi, poiché ilmare sonante e molti monti ombrosi sifrappongono [fra Troia e Ftia]. Ma seguim-mo te, sfacciato, perché tu potessi averesoddisfazione in seguito all’offesa, o brut-to cane, recata a Menelao (160) dai Troiani.E tu non pensi a questo, non ti preoccupi,anzi minacci di prendermi il dono per ilquale ho molto faticato. I Greci me lo han-no dato. Però non ricevo mai un dono parial tuo, quando gli Achei abbattono una cit-tà dei Troiani [ricca e] popolosa; (165) mala maggiore responsabilità della guerra ter-ribile è nelle mie mani: quando poi si divi-de il bottino di guerra, a te spetta il donopiù grande. Io mi porto alle navi un donopiccolo ma caro, dopo che ho faticato acombattere. Ma ora me ne ritornerò a Ftiaperché è molto meglio [per me] (170) ritor-nare in patria sopra le navi ricurve. Io nonvoglio più raccogliere beni e ricchezze perte ricevendo solo umiliazioni». Così gli ri-spose il re degli eroi Agamennone: «Vatte-ne se vuoi così, io non ti pregherò davverodi restare con me; con me ci sono altri eroi

Il potere del re nella Grecia arcaicaDopo aver letto l’episodio della lite fra Achille e Agamennone,viene spontaneo chiedersi quali rapporti di potere intercorreva-no fra i vari eroi greci. Perché Achille, pur essendo un re, il re diFtia, un soldato molto coraggioso e il capo di un esercito po-tente, deve cedere di fronte all’autorità di Agamennone? Qualepotere avevano gli altri capi come, per esempio, Menelao?Si riesce a capire meglio il mondo descritto da Omero, se sipensa che in parte rispecchia la società greca delle origini.Omero si riferisce infatti a quel periodo storico in cui i popo-li della Grecia erano organizzati in tribù e ciascuna tribùaveva un proprio capo, che risiedeva nella città più impor-tante della regione. In ogni città, dunque, un palazzo acco-glieva più capitribù, tutti pari fra loro per potere e dignità.Per i contatti con gli altri popoli o in caso di guerra, questicapi eleggevano uno di loro perché li rappresentasse o li gui-dasse in battaglia. Nasceva così il re, o basileus: Agamenno-ne è uno di loro ed è stato designato da tutti i rappresentan-ti degli altri popoli come capo della spedizione greca. La suasuperiorità è quindi dovuta al fatto che, essendo stato sceltocome suprema guida militare, deve avere l’obbedienza e il ri-spetto di tutti, anche del coraggioso Achille.

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175 che mi faranno onore, soprattutto c’è il saggio Zeus.Ma tu sei più odioso per me tra i re alunni di Zeus:contesa sempre t’è cara, e guerre e battaglie:se tu sei tanto forte, questo un Dio te l’ha dato!vattene a casa, con le tue navi, coi tuoi compagni,

180 regna sopra i Mirmidoni: di te non mi preoccupo,non ti temo adirato; anzi, questo dichiaro:poi che Criseide mi porta via Febo Apollo,io lei con la mia nave e con i miei compagnirimanderò; ma mi prendo Briseide guancia graziosa,

185 andando io stesso alla tenda, il tuo dono sì, che tu sappiaquanto sono più forte di te, e tremi anche un altro di parlarmi alla pari, o di levarmisi a fronte».

(175) a rendermi onore e c’è soprattutto il saggio Zeus. Ma tu sei il più odioso tra i re di-scepoli di Zeus: cerchi sempre le liti, le guerre, le battaglie e se sei tanto forte è perché undio ti ha dato questa forza. Vattene a casa con le tue navi, con i tuoi compagni, (180) re-gna sui Mirmidoni. Io non mi preoccupo di te e non ho paura della tua ira. Anzi ti dico que-sto: poiché Apollo mi porta via Criseide, io la rimanderò al padre con la mia nave e i mieicompagni, ma mi prendo la tua schiava Briseide dalle belle guance, (185) andando io stes-so alla tua tenda perché tu sappia quanto sono più forte di te e tremi chiunque altro osiparlarmi alla pari o ribellarsi ai miei ordini».

180. Mirmidoni: i Mirmi-doni appartengono al po-polo tessalo, sul quale re-gnava Achille.

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A queste parole Achille va su tutte le furie e mette mano alla spada: uc-ciderebbe Agamennone se non intervenisse Atena, invisibile a tutti tran-ne che a lui. La dea lo invita a non commettere azioni precipitose e a of-fendere Agamennone solo con le parole. Achille obbedisce ad Atena e an-nuncia che abbandonerà il campo di battaglia, causando così un gravedanno all’esercito greco.

Il giuramento di AchilleQuesto sarà il giuramento.

240 Certo un giorno rimpianto d’Achille prenderà i figli degli Achei,tutti quanti, e allora tu in nulla potrai, benché afflitto,aiutarli, quando molti per mano d’Ettore massacratorecadranno morenti; e tu dentro lacererai il cuore,rabbioso che non ripagasti il più forte degli Achei».

245 Disse così il Pelide e scagliò in terra lo scettrodisseminato di chiodi d’oro. Poi egli sedette.Dall’altra parte l’Atride era furioso.

Libro I vv. 8-32, 148-187, 239-247

Il giuramento di Achille Il giuramento sarà questo. (240) Sicuramente un giorno tut-ti quanti i figli dei Greci rimpiangeranno Achille, e allora tu, benché addolorato, nonpotrai aiutarli, quando molti cadranno morenti per mano di Ettore massacratore; e pro-verai nel tuo cuore un fortissimo dispiacere per non aver [giustamente] ripagato il piùforte dei Greci». (245) Così parlò il Pelide e scagliò in terra lo scettro tempestato dichiodi d’oro. Poi si mise seduto. Dall’altra parte l’Atride era furioso.

245. scagliò … lo scettro:il ge sto es prime, oltre chel’ira, la volontà di Achilleche nessuno parli più do-po di lui.247. l’Atride: è Agamen-none.

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1. L’episodio che hai appena letto descrive una terribile lite fra Achille e Agamennone, i più impor-tanti capi dell’esercito greco. Chi, fra gli dèi, ha provocato la lite? Perché?

2. L’antefatto della lite è dato dalla richiesta di Crise, il sacerdote di Apollo che va al campo acheoper chiedere il riscatto della propria figlia Criseide. Come reagisce Agamennone alla richiesta diCrise?

3. Cosa chiede Agamennone in cambio di Criseide?

4.Di cosa si lamenta Achille con Agamennone?

5. Come risponde Agamennone alle violente parole di Achille?

6.Alla richiesta di Agamennone, la lite raggiunge il culmine: Achille sta per ucciderlo. Chi lo ferma?

7. Come si conclude l’episodio? Cosa fa Achille?

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C L A S S I C AEttore e AndromacaL’assemblea dei Greci convocata da Agamennone, decide la ripresa deicombattimenti anche senza Achille. La presenza in campo di Ettore, l’eroepiù forte e coraggioso dei Troiani, favorisce l’esercito troiano, che fa stra-ge dei Greci. Nel corso dei combattimenti Ettore rientra in città per salu-tare la moglie e il figlio, da lui incontrati alle porte Scee. Nel vedere il pic-colo Astianate, Ettore sorride ma Andromaca gli si avvicina con l’intenzio-ne di tenerlo lontano dal campo di battaglia, e piangendo ricorda la pro-pria famiglia distrutta dalla guerra: il padre, la madre e i sette fratelli.Non le rimane che suo marito, Ettore.

Il lamento di AndromacaEttore, tu sei per me padre e nobile madre

430 e fratello, tu sei il mio sposo fiorente;ah! dunque, abbi pietà, rimani qui sulla torre,non fare orfano il figlio, vedova la sposa;ferma l’esercito presso il caprifico, là dove è moltofacile assalir la città, più accessibile il muro;

435 per tre volte venendo in questo luogo l’hanno tentato i miglioricompagni dei due Aiaci, di Idomenèo famoso,compagni degli Atridi, del forte figlio di Tidèo:o l’abbia detto loro chi ben conosce i responsi,oppure ve li spinga l’animo stesso e li guidi!».

La risposta di Ettore440 E allora Ettore grande, elmo abbagliante, le disse:

«Donna, anch’io, sì, penso a tutto questo; ma ho tropporossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo,se resto come un vile lontano dalla guerra.Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte436. due Aiaci: sono Aia-

ce Te lamonio, il cosiddet-to Gran de Aiace, re di Lo-cri, e Aiace Oileo, re di Sa-lamina. – Idomenèo: il redi Creta.437. Atridi: Agamennonee Menelao, figli di Atreo. –figlio di Tidèo: è Diomede.442. peplo: veste di lanabianca formata da un am-pio rettangolo di stoffa,lun go fino ai piedi, appun-tato sulle spalle per mezzodi fibbie e stretto in vitada una cintura.

Il lamento di Andromaca Ettore tu sei per me padre, nobile madre (430) e fratello, tusei il mio sposo nel fiore della giovinezza, ah! dunque abbi pietà, rimani qui sulla tor-re, non rendere orfano [tuo] figlio e vedova la [tua] sposa; ferma l’esercito presso il fi-co selvatico, là dove è molto facile assalire la città e più accessibili sono le sue mura;(435) per tre volte tentarono l’assalto da quel luogo i migliori compagni dei due Aiaci,quelli del famoso Idomeneo; quelli dei due Atridi, quelli del figlio di Tideo: o l’abbiadetto loro qualche indovino che ben conosce le profezie degli dèi, o [l’abbiano scoper-to da sé] spinti e guidati dal loro coraggio».La risposta di Ettore Allora il valoroso Ettore dall’elmo abbagliante le disse: «Donna,anch’io penso a tutto questo; ma ho troppa vergogna dei Troiani e delle Troiane dallelunghe vesti se restassi lontano dalla guerra come un vigliacco. Né il mio cuore lo vuo-

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445 sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani,al padre procurando grande gloria e a me stesso.Io lo so bene questo dentro l’anima e il cuore:giorno verrà che Ilio sacra perisca,e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia:

450 ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri,non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo,e non per i fratelli, che molti e gagliardicadranno nella polvere per mano dei nemici,quanto per te, che qualche Acheo chitone di bronzo,

455 trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti:allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela,e portar acqua di Messeìde o Iperéa,costretta a tutto: grave destino sarà su di te.E dirà qualcuno che ti vedrà lacrimosa:

460 «Ecco la sposa d’Ettore, ch’era il più forte a combatterefra i Troiani domatori di cavalli, quando lottavan per Ilio!».Così dirà allora qualcuno; sarà strazio nuovo per te,priva dell’uomo che schiavo giorno avrebbe potuto tenerti lontano.Morto, però, m’imprigioni la terra su me riversata,

465 prima ch’io le tue grida, il tuo rapimento conosca!».

Padre e figlioE dicendo così, tese al figlio le braccia Ettore illustre:ma indietro il bambino, sul petto della balia bella cinturasi piegò con un grido, atterrito all’aspetto del padre,

le, perché ho imparato a essere sempre forte (445), a combattere insieme ai primi dei Tro-iani, procurando a me stesso e a mio padre grande gloria. So bene questo nella mente e nelcuore: un giorno la sacra Troia sarà distrutta, [così come saranno sconfitti] Priamo corag-gioso a combattere con la lancia e la sua gente: (450) ma non proverò tanto dolore per iTroiani, né per la stessa Ecuba, non per il re Priamo e non per i miei fratelli, che numerosie forti cadranno nella polvere per mano dei nemici; quanto per te che (455) sarai trascina-ta via piangendo, perdendo così la libertà per mano di un Greco dalla veste di bronzo: al-lora, vivendo in Argo, dovrai tessere la tela per un’altra donna [divenuta tua signora] eprendere acqua alla fonte Messeide o alla fonte Iperea, costretta a [fare] qualsiasi cosa. Equalcuno vedendoti piangente dirà: (460) «Ecco la sposa di Ettore, che era il più forte deiTroiani domatori di cavalli, quando lottavano per Troia!» Così dirà allora qualcuno; questeparole saranno un nuovo dolore per te, privata dell’uomo che avrebbe potuto tenere lonta-no da te il giorno della schiavitù. Ma che la terra mi ricopra (465) prima che possa udire letue grida e che sappia del tuo rapimento!».

Padre e figlio Così dicendo il coraggioso Ettore tese le braccia al figlio: ma il bambino sivoltò con un grido verso il seno della nutrice dalla bella cintura, spaventato alla vista del

451. Ecuba: seconda mo-glie di Priamo, è la madredi Ettore.454. chitone: tunica di la-na leggera, senza mani-che, fissata alle spalle permezzo di bottoni o piccolefibbie; qui significa “co-razza”.457. Messeide … Iperea:due celebri fontane, la pri-ma in Laconia, dove re-gnava Menelao, la secon-da in Tessaglia, dove re-gnava Achille.

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padre, impaurito [dall’elmo di] bronzo e dal pen-nacchio fatto con la criniera di un cavallo(470) che vedeva ondeggiare terribile sullacima dell’elmo. Sorrisero il caro padre e lanobile madre, e subito il coraggioso Ettore sitolse di testa l’elmo e lo posò scintillante perterra; poi baciò il caro figlio, lo sollevò tra lebraccia (475) e supplicando Zeus e gli altri dèidisse: «Zeus e voi tutti dèi, fate che mio figliocresca e diventi come me uno dei primi tra i Tro-iani, pieno di forze, e regni sovrano su Troia; e ungiorno qualcuno dica: «È molto più forte del padre!»(480) quando tornerà dalla guerra. E che porti le ar-mi insanguinate del nemico sconfitto e ne goda, incuor [suo], la madre!» Dopo aver detto queste paro-le, mise in braccio suo figlio alla moglie; e lei lostrinse al seno profumato, sorridendo tra le lacri-me; s’intenerì il marito a guardarla,

483. il figlio suo: vano ri-sulterà il desiderio di Etto-re. Un destino crudele at-tende il fanciullo, che du-rante l’incendio di Troiaverrà scagliato giù dallemura, morendo così in mo-do orribile.

spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato,470 che vedeva ondeggiare terribile in cima all’elmo.

Sorrise il caro padre, e la nobile madre,e subito Ettore illustre si tolse l’elmo di testa,e lo posò scintillante per terra;e poi baciò il caro figlio, lo sollevò fra le braccia,

475 e disse, supplicando a Zeus e agli altri numi:«Zeus, e voi numi tutti, fate che cresca questomio figlio, così come io sono, distinto fra i Teucri,così gagliardo di forze, e regni su Ilio sovrano;e un giorno dica qualcuno: «È molto più forte del padre!»,

480 quando verrà dalla lotta. Porti egli le spoglie cruentedel nemico abbattuto, goda in cuore la madre!».Dopo che disse così, mise in braccio alla sposail figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso,sorridendo fra il pianto; s’intenerì lo sposo a guardarla,

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485 l’accarezzò con la mano, le disse parole, parlò così:«Misera, non t’affliggere troppo nel cuore!nessuno contro il destino potrà gettarmi nell’Ade;ma la Moira, ti dico, non c’è uomo che possa evitarla,sia valoroso o vile, dal momento ch’è nato.

490 Su, torna a casa, e pensa all’opere tue,telaio, e fuso; e alle ancelle comandadi badare al lavoro; alla guerra penseran gli uominitutti e io sopra tutti, quanti nacquero ad Ilio».

Libro VI, vv. 429-493

488. Moira: è la personifi-cazione del destino di cia-scun uomo.

COMMENTONel mondo antico, greco e romano, la virtù eraintesa come l’insieme di più valori: il coraggio inbattaglia, l’amore per la patria, il rispetto delledivinità e per i genitori. Qualità, queste, che su-scitavano l’ammirazione di tutti. Proprio perquesto, Ettore nel momento decisivo del suo de-stino, andando incontro alla morte, dice alla mo-glie che vorrebbe trattenerlo: «terribile è la ver-gogna … se mi tengo lontano dalla battaglia».Sa di avere gli occhi di tutti puntati addosso esottrarsi al suo dovere di guerriero comportereb-be la perdita di stima presso i suoi. Rinunciare acombattere sarebbe un grave disonore per lui eper suo figlio. La virtù, anche quando non è fa-vorita dal successo (Ettore è sicuro che morirà),riscuote l’ammirazione generale e la fama che nederiva porta alla gloria e all’immortalità. Perquesto, l’eroe non può deludere chi crede nel suovalore e, pur cosciente dell’inutilità del suo sa-crificio, va incontro alla morte dopo aver dettoaddio alle cose e alle persone che più gli sonocare: Troia, entro le cui mura non ritornerà più,la moglie Andromaca e il figlio Astianatte.

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1.Alla supplica della moglie, che pureama molto, Ettore risponde con un ri-fiuto. Deve continuare a combattere, esempre tra i primi. Per quale motivo?a. vuol coprirsi di gloriab. ama il suo popoloc. tiene molto al proprio onore

2.Nella parte centrale del colloquio, Et-tore predice un fatto che si avvererà.Quale sarà la sorte di Troia? Cosa suc-cederà ad Andromaca?

3. Cosa spaventa il piccolo Astianatte?

4. Cosa chiede Ettore agli dèi per suo fi-glio Astianatte?

5.Quali gesti compie Ettore rivolgendosial figlioletto Astianatte? Individuali etrascrivili.

6. Come si conclude il colloquio tra Ettoree Andromaca? Cosa dice l’eroe alla mo-glie?

(485) l’accarezzò con la mano e le parlò così: «Infelice, non essere troppo triste [per me]nel tuo cuore! Nessuno potrà uccidermi contro il mio destino; ma sappi che il destino nes-sun uomo, sia esso coraggioso o vigliacco, può evitarlo sin dalla nascita. (490) Su tornaa casa e pensa ai tuoi lavori, al telaio e al fuso, e alle ancelle ordina di dedicarsi ai lavori[di casa], alla guerra penseranno gli uomini che nacquero a Troia, e io più degli altri».

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I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C AEttore e AchilleRiprendono i combattimenti, che si concludono con la vittoria dei Troia-ni. Patroclo allora prega l’amico Achille di riprendere il suo posto in bat-taglia. Di fronte al suo rifiuto, ottiene di combattere al posto di Achilleindossandone l’armatura, ma lo attende la morte per mano di Ettore.La tragica fine di Patroclo getta nella disperazione Achille che, deciso avendicare l’amico con le armi che sua madre Teti ha fatto fare per lui daldio Efesto, ritorna a combattere facendo strage di Troiani: continuerà auccidere finché non si scontrerà in duello con Ettore. L’eroe troiano, cheinizialmente era fuggito di fronte al guerriero greco, ora è pronto ad af-frontare la morte, salvando così il proprio onore.

Il dialogo fra i due avversariE quando furono vicini marciando uno sull’altro,il grande Ettore elmo lucente parlò per primo ad Achille:

250 «Non fuggo più davanti a te, figlio di Peleo, come or oracorsi tre volte intorno alla grande rocca di Priamo, e non seppisostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spingea starti a fronte, debba io vincere o essere vinto.Su, invochiamo gli dèi: essi i migliori

255 testimoni saranno e custodi dei patti;io non intendo sconciarti orrendamente, se Zeusmi darà la forza e riesco a strapparti la vita;ma quando, o Achille, t’abbia spogliato l’inclite armi,renderò il corpo agli Achei: e anche tu fa’ così».

260 E guardandolo bieco, Achille piede rapido disse:«Ettore, non mi parlare, maledetto, di patti:come non v’è fida alleanza fra uomo e leone,e lupo e agnello non han mai cuori concordi,ma s’odiano senza riposo uno con l’altro,

255. testimoni … dei patti:nell’imminenza del duel loche vedrà la morte di unodei due guerrieri, Ettorechiede che sia rispettato ilcorpo del vinto e gli sia da-ta una sepoltura onorevo-le. Di questo patto chiamaa testimoni gli dèi.

Il dialogo fra i due avversari E quando furono vicini marciando l’uno contro l’altro, il co-raggioso Ettore dall’elmo lucente parlò per primo ad Achille: (250) «Non fuggo più davan-ti a te, o figlio di Peleo, come ho fatto finora girando per tre volte intorno alla grande roc-ca di Priamo, perché non seppi sostenere il tuo attacco; adesso il mio cuore mi spinge adaffrontarti, debba io vincere o essere vinto. Su invochiamo gli dèi, loro saranno i miglio-ri (255) testimoni e i custodi [sacri] dei nostri accordi; se Zeus mi darà la forza di riusci-re a ucciderti, io non intendo fare a pezzi il tuo corpo in modo orribile e quando, o Achil-le, ti avrò tolto le nobili armi, restituirò il tuo corpo ai Greci: anche tu fai lo stesso».(260) E Achille dal piede veloce guardandolo minaccioso disse: «Ettore, maledetto, nonparlarmi di accordi: come non può esserci leale alleanza tra uomo e leone, e lupo eagnello non hanno mai sentimenti simili, ma si odiano sempre, (265) allo stesso modo

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265 così mai potrà darsi che ci amiamo, io e te; fra di noinon saran patti, se prima uno, caduto,non sazierà col sangue Ares, il guerriero indomabile.Ogni bravura ricorda; ora sì che tu deviesser perfetto con l’asta e audace a lottare!

270 Tu non hai via di scampo, ma Pallade Atenat’uccide con la mia lancia: pagherai tutte insiemele sofferenze dei miei, che uccidesti infuriando con l’asta».

A questo punto Pallade Atena interviene nel duello assumendo l’aspettodi Deifobo, il fratello di Ettore. Quando però Ettore si rivolge a lui perchiedere l’arma che ha perduto nel combattimento, Deifobo è sparito el’eroe è solo di fronte alla furia vendicativa di Achille.

La disperazione di Ettore296 Comprese allora Ettore in cuore e gridò:

«Ahi! Davvero gli dèi mi chiamano a morte.Credevo d’aver accanto il forte Deifobo:ma è fra le mura, Atena m’ha teso un inganno.

300 M’è accanto la mala morte, non è più lontana,non è evitabile ormai, e questo da tempo era caroa Zeus e al figlio arciero di Zeus, che tante voltem’han salvato benigni. Ormai m’ha raggiunto la Moira.Ebbene, non senza lotta, non senza gloria morrò,

305 ma avendo compiuto qualcosa di grande, che anche i futuri lo sappiano».

267. Ares: il dio dellaguerra.270. Pallade Atena: Palladeè un epiteto di Atena. Se-condo una leggenda Pal -lade era una giovane amicadel la dea, che l’aveva ucci-sa accidentalmente. In suoonore Atena aveva presotale nome e aveva plasma-to il Palladio, una statuet-ta che assicurava fortunaalla città che la venerava.298. Deifobo: è il fratellopreferito di Ettore. Moriràdurante la conquista diTroia.303. Moira: divinità chestabiliva il destino di mor-te degli uomini.

non potrà mai essere che noi due ci amiamo; fra noi non ci sarà nessun accordo finchéuno dei due non cada e non sazi con il suo sangue l’invincibile Ares. Cerca di ricordareogni tua abilità di guerriero; adesso sì che devi essere straordinario nell’uso della lan-cia e coraggioso nel combattimento! (270) Non hai via di scampo, ma Pallade Atena ti ucciderà con la mia lancia: pagheraitutte insieme le sofferenze dei miei compagni, che hai ucciso infuriando con la lancia».

La disperazione di Ettore Ettore allora capì [che gli dèi lo avevano ingannato] e gridò:«Ahi! È proprio vero che gli dèi mi vogliono morto. Credevo di avere accanto il forte Dei-fobo, ma si trova dentro le mura, la dea Atena mi ha ingannato. (300) Ormai mi è vicinauna morte triste, non è più lontana, non è più evitabile, e questo già da tempo volevanoZeus e [suo] figlio arciere [Apollo], che tante volte mi hanno salvato con la loro benevo-lenza. Ormai mi ha raggiunto la Morte. Ebbene, morirò, ma non senza aver lottato, nonsenza gloria, (305) ma dopo aver compiuto qualcosa di grande che anche le generazionifuture lo vengano a sapere».

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I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C AI due avversari si scagliano l’uno contro l’altro, Ettore con la spada eAchille con l’asta. Quest’ultimo cerca di colpire il nemico attraverso la co-razza in passato sua e ora indossata da Ettore.

Lo scontro finaleTutta coprivan la pelle l’armi bronzee, bellissime,ch’Ettore aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo;là solo appariva, dove le clavicole dividon le spalle

325 dalla gola e dal collo, e là è rapidissimo uccider la vita.Qui Achille glorioso lo colse con l’asta mentre infuriava,dritta corse la punta traverso al morbido collo;però il faggio greve non gli tagliò la strozza,così che poteva parlare, scambiando parole.

330 Stramazzò nella polvere: si vantò Achille glorioso:«Ettore, credesti forse, mentre spogliavi Patroclo,di restare impunito: di me lontano non ti curavi,bestia! ma difensore di lui, e molto più forte,io rimanevo sopra le concave navi.

335 Io che ti ho sciolto i ginocchi. Te ora cani e uccellisconceranno sbranandoti, ma lui seppelliranno gli Achei».Gli rispose senza più forza, Ettore elmo lucente:

335. ti ho sciolto i ginoc-chi: espressione ricorrentenel poema per indicare laperdita delle forze che pre-cede la morte.

Lo scontro finale Tutto il [suo] corpo era co-perto da splendide armi di bronzo, quelle tol-te da Ettore a Patroclo morto; il corpo era sco-perto solo dove le clavicole dividono le spalle(325) dalla gola e dal collo, e in quel punto èassai facile togliere la vita. Qui il gloriosoAchille colpì il suo nemico con l’asta mentreinfuriava [nella lotta], e la punta trapassò ve-locemente il collo morbido; però la pesante[asta di legno di] faggio non tagliò la gola,tanto che Ettore poteva ancora parlare. (330)Crollò al suolo; così si vantava il gloriosoAchille: «Ettore, forse quando spogliavi Patro-clo pensasti che non saresti stato punito:stolto! Di me che ero lontano non ti preoccu-pavi; ma io ero sulle navi concave, difensoredi Patroclo e molto più forte di lui. (335) Ioche ti ho fatto cadere nella polvere. Cani e uc-celli ti faranno a pezzi sbranandoti, mentre iGreci seppelliranno Patroclo». Ormai senza piùforza, Ettore dall’elmo splendente gli rispose:

L’intervento degli dèi Gli dèi omericiintervengono continuamente nella vita dell’uomo e sonocausa di importanti cambiamenti. Nel brano che hai ap-pena letto, ad esempio, Atena compare sulla scena assu-mendo l’aspetto di Deifobo per porre fine alla vita di Et-tore. Nel mito greco esistono due mondi paralleli – quellodell’uomo e quello degli dèi – molto simili tra loro: bastipensare che la divinità si mostra capricciosa e invidiosa oequilibrata e saggia proprio come gli esseri umani. Il rap-porto tra questi due mondi è molto stretto. Tutto ciò chel’uomo fa con passione, mettendo in gioco anche la pro-pria vita, è guidato dagli dèi. Questo però non vuol direche l’uomo sia una marionetta nelle mani del dio. Nellaconcezione omerica la volontà dell’uomo è infatti libera,e il dio che interviene nel combattimento va piuttosto in-terpretato come una personificazione del destino favore-vole o contrario. L’eroe si può opporre solo al destino,non certo alla divinità che deve sempre e comunque ri-spettare, altrimenti la punizione è immediata.

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342. perché del fuoco...: lacerimonia d’onore prevede-va di dare fuoco al cadave-re. Se invece il cadavereveniva fatto a pezzi da ca-ni e uccelli era un disono-re, e lo spirito del mortonon avrebbe potuto trova-re pace nell’oltretomba.

«Ti prego per la tua vita, per i tuoi ginocchi, per i tuoi geni-tori, non permettere che presso le navi mi sbranino i cani(340) dei Greci, ma accetta in dono oro e bronzo in grandeabbondanza da mio padre e dalla mia nobile madre: resti-tuisci il corpo alla mia patria perché i Troiani e le loro spo-se possano bruciare il mio cadavere sul rogo...». Ma guardan-dolo minaccioso, Achille dal piede veloce disse: (345) «No, ca-ne, non mi pregare né per i ginocchi, né per i miei genitori: la rab-bia e il furore dovrebbero spingermi a sbranare il tuo corpo e a di-vorarlo, per quello che mi hai fatto: nessuno potrà tenere lonta-ne le cagne dal tuo corpo, nemmeno se moltiplicasse per dieci oper venti il prezzo del tuo riscatto, (350) o mi promette chis-sà cos’altro; nemmeno se Priamo figlio di Dardano volesse ri-scattarti a peso d’oro, nemmeno così la nobile madre potrà pian-gere steso sul letto il figlio che ha partorito, ma cani e uccelli tisbraneranno tutto». (355) Ormai morente Ettoredall’elmo lucente rispose: «Và, lo capiscoguardandoti! Non potevo persuaderti,no di certo, perché hai un cuore du-ro. Sta attento però che io non siaper te causa dell’ira degli dèi, quan-

«Ti prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori,non lasciare che presso le navi mi sbranino i cani

340 degli Achei, ma accetta oro e bronzo infinito,i doni che ti daranno il padre e la nobile madre:rendi il mio corpo alla patria, perché del fuocodiano parte a me morto i Teucri e le spose dei Teucri...».Ma bieco guardando, Achille piede rapido disse:

345 «No, cane, non mi pregare, né pei ginocchi né pei genitori;ah! che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me a tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che m’hai

fatto:nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne, nemmeno se dieci volte, venti volte infinito riscatto

350 mi pesassero qui, altro promettessero ancora;nemmeno se a peso d’oro vorrà riscattartiPriamo dardanide, neanche così la nobile madrepiangerà steso sul letto il figlio che ha partorito,ma cani e uccelli tutto ti sbraneranno».

355 Rispose morendo Ettore elmo lucente:«Va’, ti conosco guardandoti! Io non potevopersuaderti, no certo, ché in petto hai un cuore di ferro.Bada però, ch’io non ti sia causa dell’ira dei numi,

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C L A S S I C Aquel giorno che Paride e Febo Apollo con lui

360 t’uccideranno, quantunque gagliardo, sopra le Scee».Mentre diceva così, l’avvolse la morte:la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade,piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore.

Per vendicare l’amico Patroclo, Achille decide di trascinare intorno allemura di Troia il corpo di Ettore legato a un carro.

La vendetta di Achille395 Disse e meditò ignominia contro Ettore glorioso:

gli forò i tendini dietro ai due piedidalla caviglia al calcagno, vi passò due corregge di cuoio,lo legò al cocchio, lasciando strasciconi la testa,e balzato sul cocchio, alte levando le nobili armi,

400 frustò per andare: vogliosi i cavalli volarono.E intorno al corpo trainato s’alzò la polvere: i capellineri si scompigliarono; tutta giaceva in mezzo alla polverela testa, così bella prima: ma allora Zeus ai nemicilo diede, che lo sconciassero nella sua patria.

405 Così tutta s’impolverava la testa; e la madreprese a strapparsi i capelli, gettò via lo splendido velo,lontano, scoppiò in singhiozzi violenti a vedere il figlio.Gemeva da far pietà il padre caro, e il popolo intornoera in preda al singhiozzo e ai lamenti per la città.

Libro XXII, vv. 248-272, 296-306, 322-363, 395-409

360. sopra le Scee: secon-do una delle molte versionirelative alla morte di Achil-le – predetta da Ettore mo-rente – è presso le porteScee che Pa ride, aiutato daApollo, scaglierà la frecciache colpirà l’eroe al tallo-ne, unico punto vulnerabi-le del suo corpo.

do un giorno Paride, e con lui Febo Apollo, (360) ti uccideranno, benché [tu sia] forte,presso le porte Scee». Mentre così parlava lo prese la morte: la vita volò via dal suo corpoe scese nell’oltretomba piangendo il suo destino, lasciando la forza e la giovinezza. La vendetta di Achille Così disse e decise [di compiere un] atto vergognoso contro ilglorioso Ettore: gli forò i tendini dietro i piedi, dalla caviglia al calcagno, vi fece passa-re due lacci di cuoio, lo legò al cocchio e, lasciando a terra la testa e balzato sul cocchiosollevando le armi nobili, (400) frustò i cavalli perché partissero: desiderosi [di correre]i cavalli volarono. E intorno al corpo trascinato si alzò la polvere: i capelli neri si scom-pigliarono; la testa, prima così bella, giaceva ora in mezzo alla polvere: Zeus lo abbando-nò [completamente] ai nemici, perché ne facessero scempio nella sua stessa patria.(405) Così tutta la testa si impolverava; e la madre cominciò a strapparsi i capelli, gettòvia lo splendido velo, scoppiò in singhiozzi a vedere [suo] figlio. Si lamentava da fare pie-tà il caro padre, e la gente intorno [a loro] era in preda a lamenti e singhiozzi.

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1. In cosa consiste il patto cheEttore vuole fare con Achille?Cosa promette di fare Ettore seriesce a sconfiggere il rivale?Cosa chiede ad Achille?

2. Chi invoca Ettore come testi-mone di tale patto?

3.Qual è la reazione di Achille?

4. In questo episodio l’interventodi una divinità favorisce lasconfitta di Ettore. Di chi sitratta?

5.Quale parte del corpo, non pro-tetta dalla corazza, è quellache Achille colpisce per uccide-re il suo rivale?

6.Ormai in punto di morte, Ettorerivolge al rivale alcune paroleprofetiche. Cosa dice?

7.Qual è il crudele trattamentoche Achille riserva al corpo diEttore?

COMMENTONel duello fra Ettore e Achille, l’eroe troiano promet-te al nemico – qualora questi muoia in combattimen-to – di restituire il suo corpo agli Achei e di nonostacolare la cerimonia funebre, invitandolo a farealtrettanto. Così facendo, Ettore si fa portavoce diuna tradizione antichissima e propria di ogni cultu-ra: quella che invita al rispetto dei morti, primo se-gno della civiltà di un popolo. In tal modo Omero evidenzia un importante aspettoculturale della Grecia arcaica: il morto doveva essereonorato da tutti – e in particolare dai familiari – concelebrazioni funebri e non doveva essere lasciato in-sepolto, altrimenti la sua anima avrebbe vagato sen-za sosta lungo la riva dei fiumi infernali. Non seppel-lirne il cadavere era la punizione più feroce da inflig-gere a un nemico, perché lo privava della “pace eter-na”. Nel brano che hai appena letto, Achille, prima direstituire a Priamo il corpo del figlio Ettore, fa scem-pio del cadavere dell’eroe, dimostrando così di nontenere in alcun conto la richiesta iniziale di Ettore e,soprattutto, di farsi travolgere dal desiderio di ven-detta. In un secondo momento, però, mosso a pietàdalle parole di Priamo, che lo implora di pensare aisuoi genitori – anche loro anziani, ma ancora con unfiglio che può aver cura di loro – Achille recupereràil valore sacro del rispetto dei morti.

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Priamo alla tenda di AchilleCon la morte di Ettore si è compiuta la vendetta di Achille, che ora può oc-cuparsi degli onori funebri per Patroclo. Lo stesso desiderio ha il padre di Et-tore, che vorrebbe dare l’ultimo saluto al figlio con i dovuti onori. Questo delresto vogliono anche gli dèi dell’Olimpo, che inviano Teti dal figlio Achille –perché abbandoni il suo comportamento violento – e Iride dal vecchio re, perconvincerlo a richiedere ad Achille il corpo di Ettore. Priamo riempie così uncarro di doni preziosi per riscattare il corpo del figlio e, protetto dagli stessidèi, si reca alla tenda dell’eroe greco, ai cui piedi si inginocchia piangendo.

485 Ma Priamo prendendo a pregare gli disse parola:«Pensa al tuo padre, Achille pari agli dèi,coetaneo mio, come me sulla soglia tetra della vecchiaia,e lo tormentano forse i vicini, standogli intorno,perché non c’è nessuno che il danno e il male allontani.

490 Pure sentendo dire che tu ancora sei vivo,gode in cuor, e spera ogni giornodi veder il figliolo tornare da Troia.E io sono infelice del tutto, che generai forti figlinell’ampia Troia, e non me ne resta nessuno.

495 Cinquanta ne avevo quando vennero i figli dei Dànai,e diciannove venivano tutti da un seno,gli altri altre donne me li partorirono in casa:ma Ares furente ha sciolto i ginocchi di molti,e quello che solo restava, che proteggeva la rocca e la gente,

500 tu ieri l’hai ucciso, mentre per la sua patria lottava.Ettore… Per lui vengo ora alle navi dei Dànai,per riscattarlo da te, ti porto doni infiniti.Achille, rispetta i numi, abbi pietà di me,pensando al padre tuo: ma io son più misero,

505 ho patito quanto nessun altro mortale,portare alla bocca la mano dell’uomo che ha ucciso i miei figli!».

486. Pensa al tuo padre:Peleo che vive a Ftia, nellasperanza che il figlio ritor-ni. Priamo parla abilmenteper cercare di convincereAchille a restituirgli il cor-po del figlio.487. tetra: crudele, malva-gia.

Ma Priamo, iniziando a supplicare, gli disse: «Achille, simile agli dèi, pensa a tuo padre che ha la mia stessa età e comeme [è] ormai sulla scura soglia della vecchiaia e forse lo assillano i vicini che gli stanno accanto perché non c’è nessuno[dei suoi cari] che allontani [da lui] il danno e il male. (490) Pur tuttavia, sapendo che sei ancora vivo, gode nel suo cuo-re e spera sempre di vedere il figlio tornare da Troia. Io invece sono del tutto infelice, io che misi al mondo forti figli nel-la vasta [pianura di] Troia e ora non me ne resta nessuno. (495) Cinquanta figli avevo prima che giungessero qui i Grecie diciannove erano tutti della stessa madre; gli altri li partorirono altre donne nella mia casa; ma il furioso Ares li ha uc-cisi tutti e mi restava solo Ettore, che difendeva la rocca [di Troia] e i suoi concittadini, e (500) tu me l’hai ucciso ierimentre lottava per difendere la sua patria. Per lui vengo ora qui presso le navi dei Greci per ottenerne il riscatto e perquesto ti porto doni infiniti. Achille, rispetta la volontà degli dèi, abbi pietà di me pensando a tuo padre: ma io sono mol-to più infelice di lui, (505) ho sofferto più di qualsiasi altro uomo, baciando la mano dell’uomo che ha ucciso mio figlio!».

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Disse così, e gli fece nascere brama di piangere il padre:allora gli prese la mano e scostò piano il vecchio;entrambi pensavano e uno piangeva Ettore massacratore

510 a lungo, rannicchiandosi ai piedi di Achille,ma Achille piangeva il padre, e ogni tantoanche Patroclo; s’alzava per la dimora quel pianto.

Libro XXIV, vv. 485-512

Achille, commosso dalle parole di Priamo, gli restituisce la salma di Etto-re unta con profumi e balsami, e avvolta in uno splendido mantello. Ac-canto al corpo dell’eroe rientrato a Troia si innalzano i lamenti di Andro-maca e delle altre donne. Intanto Priamo ordina ai sudditi di provvedereal rogo funebre: per nove giorni tutti sono impegnati a procurarsi i tron-chi d’albero, poi, all’alba del decimo giorno, il corpo di Ettore viene postosul rogo a cui viene dato fuoco. La narrazione di Omero si conclude con ilbanchetto funebre in onore dell’eroe troiano.

Così parlò [Priamo] e fece nascere in lui il desiderio di piangere [pensando al] padre. Al-lora prese la mano del vecchio [re] e la scostò dolcemente. Entrambi pensavano, e Pria-mo ricordava il figlio vincitore di tanti nemici (510) rannicchiandosi ai piedi di Achille,che piangeva [al ricordo del] padre e talvolta anche [al ricordo di] Patroclo. [Tutta] latenda risuonava del loro pianto.

1. Cosa chiede Priamo ad Achille con tono di supplica?

2.Per quale motivo Achille decide di restituire la salma diEttore al padre?a. perché sente di aver commesso un grande sbaglio uc-cidendo Ettore e vuole rimediare

b. perché la vista e le parole di Priamo lo intenerisconoe lo rendono più disponibile alla volontà di Zeus

c. perché, sia pur malvolentieri, cede alla volontà degli dèi

3. Come si conclude l’episodio che hai appena letto? Qualecomportamento accomuna i due protagonisti?

4. Trova tre aggettivi per descrivere il comportamento diAchille e tre per descrivere quello di Priamo.

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L’Odissea prende il nome dal suo protagonista Ulisse, chiamato in gre-co Odisseo. I 24 libri che formano il poema narrano infatti le vicendedell’eroe che, partito da Troia ormai distrutta, riesce a tornare nella suapatria Itaca solo dopo un viaggio durato dieci lunghi anni, durante ilquale affronta mostri, compie imprese straordinarie, supera prove dif-ficili, esplora terre a volte meravigliose e a volte piene di pericoli, ri-solve inganni creati dalla magia.

Le avventure di Odisseo fanno riferimento a una realtà storica ben pre-cisa: l’esplorazione del Mediterraneo e del Mar Nero effettuata dai Gre-ci intorno al VII secolo a.C. L’aumento della popolazione registrato inquel periodo, rese infatti necessaria la conquista di nuovi territori, tan-t’è vero che all’esplorazione fece seguito la colonizzazione della Sicilia,della Francia meridionale, di alcune zone del Mar Nero e della Cirenai-ca, cioè in gran parte proprio dei luoghi raggiunti da Odisseo.

Il racconto di Omero non si limita alla descrizione del viaggio dell’eroe.Odisseo infatti, che si caratterizza soprattutto per l’astuzia e la sete diconoscenza, è continuamente costretto a misurarsi con se stesso. Giànel proemio, viene definito «colui che città vide molte, e delle gentil’indol conobbe», cioè come un uomo spinto dalla curiosità, che è se-gno di intelligenza. L’intelligenza e la rapidità di ragionamento, più chel’astuzia per la quale si era distinto nell’ultima fase della guerra di Tro-ia, sono le qualità che lo salvano in molte situazioni difficili. Le sue imprese sono tante, e tutte caratterizzate da solitudine e soffe-renza: Odisseo sarà perfino costretto a mendicare, a chiedere aiuto a chiincontra eppure, quando gli viene offerta l’immortalità, sceglie di resta-re semplicemente un uomo che desidera tornare a casa dalla moglie e dalfiglio. Egli dunque subisce un cambiamento evidente (da re a mendican-te), ma al tempo stesso acquista, oltre alla sete di conoscenza, una“nuova” qualità: la capacità di provare affetto e sentimenti profondi.

L’antefattoRecatosi alla tenda di Achille, Priamo ha ottenuto il corpo del figlio Ettore,in onore del quale vengono preparate le onoranze funebri. Durante la treguaconcordata con gli Achei, Achille si innamora di Polissena, la figlia di Pria-mo, uscita dalla città per prendere acqua da un pozzo. Chiede così la ragaz-

La morte di Achille

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C L A S S I C AL’Odissea: il poema del viaggio

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za in moglie a Priamo che, sia pure malvolentieri, gliela concede in sposa.Durante la cerimonia di nozze, però, Paride può colpire indisturbato Achillenel tallone, l’unico punto vulnerabile del corpo dell’eroe greco, che muoreper la ferita ricevuta. La guerra riprende. Senza Achille i Greci sono in evidente difficoltà, per cui Odisseo decide di ri-correre all’astuzia. Fa così partire l’esercito, che si rifugia in un’isola vicina,e contemporaneamente lascia sulla spiaggia un enorme cavallo di legno alcui interno si sono nascosti i migliori eroi greci. Il cavallo viene introdottodai Troiani ignari dentro le mura e, durante la notte, escono dal suo ventre iGreci, che aprono le porte all’esercito nel frattempo ritornato indietro, emettono a ferro e fuoco la città. Priamo e i suoi figli cadono sotto i colpi dei Greci, mentre le donne della fa-miglia sono fatte schiave dai vincitori. Il figlio di Ettore, Astianatte, vienescaraventato giù dalle mura di Troia perché con la sua morte si estingua ladinastia del padre, e durante l’assalto e l’incendio di Troia i Greci commetto-no molte crudeltà, per le quali dovranno subire un giusto castigo. Alcuni eroi Greci trovano infatti la morte durante il loro viaggio di ritorno oaddirittura una volta a casa, come Agamennone che viene ucciso dalla moglieClitennestra e dal suo amante Egisto. Anche per Odisseo, che salpa da Troiadiretto alla sua piccola isola Itaca, il destino ha preparato un triste ritorno.

L’argomento generale Odisseo è ormai da ben sette anni nell’isola di Ogigia presso la ninfa Calipsoche, innamoratasi di lui, gli impedisce di ripartire. Zeus, per intercessione del-la dea Atena, decide di intervenire e fa liberare l’eroe che, dopo una tremendatempesta, giunge all’isola dei Feaci, dove narra le sue precedenti avventure alre Alcinoo. Racconta così di aver raggiunto la terra dei Ciconi e quella dei Loto-fagi, che avevano offerto ai suoi compagni la pianta che faceva dimenticaretutto e tutti, di aver costretto i suoi compagni a riprendere il viaggio per mare,di aver accecato il gigante Polifemo che aveva divorato quattro suoi compagni. Racconta anche di come era stato aiutato da Eolo, il dio dei venti, di come erasfuggito ai Lestrigoni – feroci cannibali – e aveva raggiunto le coste dell’Ita-lia, dove era stato trattenuto dalla maga Circe, che aveva trasformato i suoicompagni in porci, dandogli però utili consigli per scendere negli Inferi. Ri-corda poi di aver salvato i suoi compagni e se stesso dalle sirene – che con illoro canto affascinano i marinai per divorarli – di essere sfuggito ai terribili

Le prove di Odisseolontano da Itaca

Il ritorno a casadegli Achei

La caduta di Troia

Lo stratagemmadel cavallo

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mostri Scilla e Cariddi che ingoiavano le navi di passaggio, perdendo però nel-l’isola di Trinacria tutti i suoi amici per la vendetta del dio Sole, delle cui vac-che sacre si erano cibati e così, ormai solo, di aver raggiunto l’isola di Ogigiae poi quella dei Feaci.Finalmente, con una nave fornita da Alcinoo, Odisseo giunge a Itaca, dove pe-rò lo aspettano altre terribili prove. Qui Atena modifica il suo aspetto facendo-lo sembrare un mendicante, perché possa riacquistare più facilmente il tronodi cui i principi locali, i Proci, intendono impadronirsi sposando sua moglie Pe-nelope. Il fedele servitore Eumeo lo mette al corrente della situazione e gli faincontrare il figlio Telemaco, a cui Odisseo svela la propria identità. Poi Eumeolo accompagna alla reggia, dove viene riconosciuto dal vecchio cane Argo, chemuore dopo averlo rivisto, e dall’anziana nutrice Euriclea che, lavando i piedidel mendicante, riconosce il suo re da una cicatrice. Insieme a Telemaco, Odisseo mette a punto la sua vendetta e dopo aver parte-cipato a una gara con l’arco, al termine della quale Penelope avrebbe sposatoil vincitore, fa strage dei Proci. Si incontra poi con Penelope, ancora dubbiosasulla sua identità, alla quale ricorda un particolare del letto matrimoniale no-to solo ai due sposi. Penelope, ormai certa di aver di fronte il marito, gli si get-ta tra le braccia in lacrime e Odisseo finalmente torna a essere il re di Itaca.

Le prove di Odisseoa Itaca

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C L A S S I C A

MAR EGEO

MA

RM E D I T E R R A

NE

O

1 Troia

12 Itaca

2 CICONI

3 LOTOFAGI

4 CICLOPI

5 EOLO

6 LESTRIGONI

7 CIRCE

8 SIRENE

9 SCILLA E CARIDDI

10 CALIPSO

11 FEACI

Creta

Delo

IL VIAGGIO DI ODISSEO

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GLI DèI

ZeusRe degli dèi, osserva dall’alto del-l’Olimpo le vicende che coinvolgo-no Odisseo, intervenendo al mo-mento opportuno.

PoseidonePotentissimo dio del mare e fra-tello di Zeus, odia Odisseo, per-ché questi gli ha accecato il fi-glio Polifemo. Perciò scatena unaterribile tempesta quando l’eroeè ormai vicino alla terra dei Fea-ci. L’autorità di Poseidone è cosìgrande, che solo in sua assenzaZeus decide di intervenire in fa-vore di Odisseo.

AtenaDea protettrice di Odisseo e dellasua famiglia, aiuta l’eroe nelledifficoltà e interviene in favoredel figlio Telemaco.Riesce anche a calmare le ansiedi Penelope, ma non può far nul-la per aiutare Odisseo quandoquesti è in mare, sul quale domi-na il potentissimo dio Poseidone.

GLI UOMINI E LE DONNE

PriamoÈ il vecchio saggio e leale re diTroia, che invidiato per potenza,ricchezza, numerosa discenden-za, è però condannato da un de-stino crudele ad assistere alla ro-vina della sua gente e della suacittà.

AndromacaÈ la moglie di Ettore e la madredel piccolo Astianatte. Il suo ul-timo incontro con il marito è unodei momenti più commoventi delpoema: un episodio di vita fami-liare rattristato dalla guerra cheporterà per tutti rovina e morte.

ErmesÈ il messaggero degli dèi. Vienemandato da Zeus nell’isola di Ogi-gia presso la ninfa Calipso, perconvincerla a lasciar partire Odis-seo.

EoloDio dei venti, accoglie benevol-mente Odisseo e gli offre un otrein cui ha rinchiuso tutti i venticontrari alla navigazione, lascian-do fuori solo Zefiro, perché il viag-gio possa procedere tranquillo.

EcubaMadre di Ettore, il primogenito, e di Paride, il più piccolo dei suoi figli. Fra le sue figlie si ricordano Creusa, laprima moglie di Enea, e Cassandra, la profetessa che prediceva il futuro ma non era mai creduta da nessuno.Assiste dalla torre di Troia allo scempio del corpo del figlio Ettore, trascinato intorno alle mura dal cocchiodi Achille.

EttoreFiglio del re Priamo, ha il coman-do di tutte le forze troiane. Tre-mendo in battaglia, è un marito eun padre affettuosissimo. Ha spo-sato Andromaca, dalla quale haavuto un solo figlio: Astianatte.

GLI DèI

ZeusRe degli dèi, osserva dall’alto del-l’Olimpo le vicende che coinvolgo-no Odisseo, intervenendo al mo-mento opportuno.

GLI UOMINI E LE DONNE

PoseidonePotentissimo dio del mare e fratel-lo di Zeus, odia Odisseo perchéquesti gli ha accecato il figlio Po-lifemo. Perciò scatena una terribi-le tempesta quando l’eroe è ormaivicino alla terra dei Feaci. L’autori-tà di Poseidone è così grande, chesolo in sua assenza Zeus decide diintervenire in favore di Odisseo.

AtenaDea protettrice di Odisseo e dellasua famiglia, aiuta l’eroe nelledifficoltà e interviene in favoredel figlio Telemaco.Riesce anche a calmare le ansiedi Penelope, ma non può far nul-la per aiutare Odisseo quandoquesti è in mare, sul quale domi-na il potentissimo dio Poseidone.

ErmesÈ il messaggero degli dèi. Vienemandato da Zeus nell’isola diOgigia presso la ninfa Calipso,per convincerla a lasciar partireOdisseo.

EoloDio dei venti, accoglie benevol-mente Odisseo e gli offre un otrein cui ha rinchiuso tutti i venticontrari alla navigazione, lascian-do fuori solo Zefiro, perché il viag-gio possa procedere tranquillo.

I personaggi principali

OdisseoRe di Itaca, dopo la caduta diTroia è il protagonista di pericolo-se avventure in mare prima diraggiungere la patria, dove, conl’aiuto del figlio Telemaco, libere-rà la sua reggia dai Proci.

TelemacoFiglio di Odisseo, è nato poco pri-ma della partenza del padre perTroia. Compie un viaggio in Greciaper avere notizie del padre, chepoi aiuterà contro i Proci.

ProciSono i giovani delle migliori fa-miglie di Itaca. Ognuno di loro, especialmente l’arrogante Anti-noo, vorrebbe sposare Penelopeper diventare re dell’isola. Furbie aggressivi, cercano anche diuccidere Telemaco per imposses-sarsi del regno.

CalipsoÈ la bella ninfa che, dopo averaccolto Odisseo nella splendidaisola di Ogigia ai confini delmondo conosciuto, se ne inna-mora al punto da volerlo sposare.

PolifemoFiglio di Poseidone, è un ciclope,cioè una creatura di statura gi-gantesca fornita di un solo oc-chio. Divora quattro compagni diOdisseo e quest’ultimo si vendicarendendolo cieco.

CirceÈ la maga che regna sull’isola diEea. Prima è ostile a Odisseo e aisuoi compagni poi, innamoratasidell’eroe, diventa sua amica e be-nefattrice e lo trattiene presso disé per un anno.

NausicaaFiglia del re dei Feaci Alcinoo,accoglie Odisseo benevolmente.È ancora un’adolescente cheaspetta il grande amore della suavita. Prova un’immediata simpa-tia per lo sconosciuto arrivatonell’isola in cui vive.

EuricleaNutrice di Odisseo, nel momentoin cui aiuta il mendicante a fareil bagno, riconosce in lui l’eroeda una ferita su una gamba cheun cinghiale gli ha procuratoquando era ancora bambino.

PenelopeMoglie di Odisseo, che aspetta da venti anni rifiutando ogni pro-spettiva di nuove nozze.Prudente, saggia e paziente, è stata spesso ingannata da sconosciutiche, sperando in una ricca ricompensa, le hanno portato false noti-zie del marito.

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L’inganno di PenelopeDopo il proemio, il poema si apre con due assemblee: la prima sull’Olimpofra gli dèi, la seconda a Itaca. Tutti gli dèi, eccetto Poseidone – il qualenon può dimenticare che l’eroe gli ha accecato il figlio Polifemo – prova-no pietà per Odisseo, che da sette anni è prigioniero di Calipso. Approfit-tando della lontananza dall’Olimpo di Poseidone, Atena prega Zeus di ri-cordarsi dell’infelice Odisseo e di inviare alla ninfa il dio Ermete come mes-saggero, con l’ordine di lasciar libero l’eroe. Intanto la stessa Atena scen-derà a Itaca per infondere forza e coraggio a Telemaco – il protagonistadei primi quattro libri del poema – che ormai è cresciuto e vuole perciò as-sumersi la responsabilità di capofamiglia e guida della comunità. Convo-ca così un’assemblea per chiedere aiuto agli Itacesi, accusando i Proci, chevorrebbero sposare sua madre Penelope, di voler distruggere il patrimoniopaterno. Poi scoppia in un pianto irrefrenabile che commuove tutti.

E qui tutti gli altri stavano muti; nessuno ebbe cuoredi ricambiare con male parole Telemaco;Antinoo solo rispondendo gli disse:

85 «Telemaco arringatore, sfrenato nell’ira, che hai dettoper calunniarci! Tu vuoi coprirci d’infamia.Verso di te non i pretendenti Achei sono colpevoli,ma la madre tua cara, che sa troppe astuzie.

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E mentre tutti gli altri tace-vano non avendo il coraggiodi rispondere a Telemacocon male parole, solo Anti-noo [si alzò per] controbat-tere dicendogli (85): «Tele-maco, persuasore di assem-blee, furioso, quali parolehai detto per calunniarci einfamarci! Non siamo noi,che vogliamo sposare tuamadre, colpevoli verso di te,ma la tua cara madre che saagire con furbizia.

85. arringatore: l’arringa èun discorso fatto in pub-blico, di notevole lunghez-za e impegno.

La «Telemachia» Il nome Telemachia indica i primi quat-tro libri dell’Odissea, dedicati al giovane figlio di Odisseo, Telemaco, ealla sua ricerca del padre. In origine tali libri forse costituivano un’operaautonoma, poi collocata a premessa di quella maggiore.Dal punto di vista narrativo la Telemachia svolge tre funzioni importanti: - presenta il quadro della situazione che Odisseo troverà al momento delsuo ritorno a Itaca;

- crea un raccordo, un filo di continuità tra passato e presente;- prepara, con una specie di suspense, la comparsa in scena del protago-nista, che avverrà solo nel quinto libro, dopo che il lettore (come delresto anche il figlio, che non lo ha praticamente mai visto) avrà avutomodo di conoscere Odisseo attraverso le parole degli altri personaggi.

I brani riportati sono tratti da Omero, Odissea, traduzione a cura di R. Calzecchi Onesti, Einaudi

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Già da tre anni, e ora si avvicina il quarto, (90) illude le speranze di noi Greci e promet-te inviando messaggi a ciascuno di noi mentre pensa ad altri [inganni]. Ed ecco l’ingan-no che ha pensato: nelle sue stanze tesseva una grande tela (95) sottile e ci disse «Omiei pretendenti, se il glorioso Odisseo è morto, anche se siete impazienti di sposarmiaspettate che io finisca questo lenzuolo e non sia stato inutile il mio lavoro. [Questo]lenzuolo funebre [dovrà avvolgere il corpo] di Laerte, quando dopo lungo dolore la mor-te (100) lo prenderà. Che nessuna fra le donne achee mi rimproveri qualora un uomo dicosì grande valore dovesse giacere [nella tomba] senza il lenzuolo funebre. Parlò cosìpersuadendo il nostro animo superbo.

99. Laerte: è il padre diOdisseo, e dunque il suo-cero di Penelope.

È già il terzo anno, e vien presto il quarto,90 che illude il cuore nel petto agli Achei,

e tutti induce a sperare, fa promesse a ciascunomandando messaggi, ma la mente altro macchina.Ed ecco il raggiro che ha pensato nel cuore:ordita nelle sue stanze una gran tela tesseva,

95 una tela sottile, smisurata; e ci disse:“Giovani miei pretendenti, se è morto Odisseo luminoso,aspettate, benché impazienti delle mie nozze, che terminiquesto lenzuolo, e non mi si perdano al vento le fila:sudario di morte per Laerte divino, il giorno che Moira

100 crudele di morte lungo strazio lo colga:che nessuna fra il popolo delle Achee mi rimproveri,quando senza sudario giacesse chi tanto acquistò!Disse così e persuaso fu il nostro cuore superbo.

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Allora di giorno la gran tela tesseva,105 e la sfaceva la notte, con le fiaccole accanto.

Così tre anni tenne nascosto l’inganno e illuse gli Achei.Ma quando arrivò il quarto anno e le stagioni tornarono,una donna lo disse, che bene sapevae la cogliemmo a disfare la splendida tela.

110 L’ha dunque dovuta finire, sia pur contro voglia, per forza.

Libro II vv. 82-110

Telemaco risponde che non imporrà nuove nozze alla madre. Poi, rivol-gendosi all’assemblea, chiede una nave per andare dagli amici di Odisseoin cerca di notizie del padre.

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Allora di giorno tesseva la grande tela (105) e di notte, al lume delle fiaccole, la disfa-ceva. Così ci tenne nascosto l’inganno e ci dette false speranze per tre anni. Ma quan-do arrivò il quarto anno una serva, che ne era a conoscenza, ci avvertì [dell’inganno] enoi la sorprendemmo a disfare la splendida tela. (110) È stata costretta dunque a ter-minarla, sia pure controvoglia.

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1.Perché Telemaco convoca l’assemblea degli Itacesi?a. per parlare con i Proci del futuro della madre Penelopeb. per ottenere una nave per andare alla ricerca del padrec. per scacciare i Proci dalla reggia

2.Di fronte all’assemblea degli Itacesi, Telemaco rivolge ai Proci accusemolto dure, ma soltanto uno dei presenti ha il coraggio di rispondergli.Di chi si tratta?

3. «Verso di te non i pretendenti Achei sono colpevoli, ma la madre tuacara, che sa troppe astuzie». Chi pronuncia queste parole? Cosa signi-ficano? Spiegale con parole tue.

4.Quale stratagemma ha ideato Penelope per riuscire a rimandare la pro-pria decisione?

5. In che modo i Proci scoprono l’inganno di Penelope?

6. Cosa succede dopo che tale inganno è stato scoperto? Cosa viene co-stretta a fare Penelope?

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Dall’isola di Calipso a quella di NausicaaMentre Atena fa la sua comparsa a Itaca, Ermete, eseguendo l’ordine diZeus, va nell’isola di Ogigia.

Ermete vola da CalipsoSubito sotto i piedi legò i sandali belli,

45 ambrosii, d’oro, che lo portavano sul maree sulla terra infinita, insieme col soffio del vento.E prese la verga con cui gli occhi degli uomini affascina,di quelli che vuole, e può svegliare chi dorme.Questa tenendo in mano, volò il potente Argheifonte.

50 Sulla Pieria balzato, piombò dal cielo sul mare;e si slanciò sull’onde, come il gabbiano,che negli abissi paurosi del mare instancabile,i pesci cacciando, fitte l’ali bagna nell’acqua salata;simile a questo, sui flutti infiniti Ermete correva.

55 Ma quando arrivò nell’isola lontana,allora, dal livido mare balzato sul lido,andava, finché fu alla grande spelonca, dove la ninfatrecce belle abitava: e la trovò ch’era in casa.

81 Ma il generoso Odisseo, dentro non lo trovò;sul promontorio piangeva, seduto, là dove sempre,con lacrime, gemiti e pene straziandosi il cuore,e al mare mai stanco guardava, lasciando scorrere lacrime.

Libro V, vv. 44-58; 81-84

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45. ambrosii: profumatid’ambrosia. L’ambrosia è ilcibo degli dèi e dona l’im-mortalità.47. verga … dorme: il dioErmete ha in mano un ba-stone dai poteri straordi-nari, al quale sono attorci-gliati due serpenti.49. Argheifonte: è un ap-pellativo di Ermete (Mer-curio); il suo significato è“uccisore di Argo”, un mo-stro dai cento occhi.50. Pieria: è una regionedella Macedonia.

Ermete vola da Calipso Subito legò sotto i piedi i bei sandali d’oro (45) [profumati]d’ambrosia, che sorretti dal soffio del vento lo portavano sul mare e sulle infinite diste-se terrestri. E prese il bastone con cui ha il potere di incantare gli occhi di chi vuole edi svegliare chi dorme. Tenendo questo in mano volò il potente Ermete uccisore di Ar-go. (50) Balzato sulla [terra di] Pieria, piombò dal cielo sul mare; come un gabbianoche cacciando senza sosta i pesci negli abissi profondi del mare bagna più volte le alinell’acqua salata, [Ermete] si slanciò sulle onde; simile a questo, Ermete correva sul ma-re sconfinato. (55) Ma quando arrivò nell’isola lontana, balzato sulla spiaggia dal marescuro, camminò finché arrivò alla grande grotta dove abitava la ninfa dalle belle trec-ce: la trovò in casa.…(81) Ma non trovò con lei il nobile Odisseo; egli era seduto sul promontorio dell’isolanel solito luogo, piangendo e lamentandosi dolorosamente nel profondo del cuore e fa-ceva scorrere le sue lacrime guardando il moto incessante del mare.

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87. lavare … sporche: nelmondo arcaico greco leprincipesse, come del re-sto anche le regine, aveva-no gli stessi compiti delleloro ancelle. Infatti dove-vano filare, tessere, lavarei panni nel fiume pestan-doli con i piedi.

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Le ancelle di Nausicaa al fiume E quando giunsero al fiume dalla corrente limpida, doveerano i lavatoi inesauribili, dove scorreva molta acqua pulita, [tanto] da lavare vesti anchemolto sporche, allora [le ancelle] staccarono le mule dai carri e le spinsero (90) a brucare l’er-ba tenera lungo il fiume vorticoso; poi presero dal carro le vesti sulle braccia e le immerserocon i piedi nell’acqua fonda e, a gara, le calpestavano rapidamente nei fossi per lavarle. E dopo averle lavate, le stesero in fila ben pulite lungo la riva del mare, dove (95) l’on-da rendeva più pulita la ghiaia. Poi, dopo essersi lavate anche loro e unte con l’olio, [le ancelle] si misero a mangiaresulle rive del fiume; giocando a palla e togliendosi il velo dalla testa, aspettavano cheil sole asciugasse le loro vesti; (100) tra loro [era] Nausicaa dalle braccia splendenti[che] intonava un canto.

Ermete comunica a Calipso gli ordini di Zeus: la bella ninfa, innamoratadi Odisseo, obbedisce con grande tristezza. Ottenuto il permesso di parti-re, l’eroe prepara una zattera per tornare a Itaca. Poseidone però, quan-do vede in mare la zattera di Odisseo, furibondo perché l’eroe gli ha ac-cecato il figlio Polifemo, scatena una terribile tempesta. A fatica e conl’aiuto di Leucotea, una ninfa del mare, Odisseo si salva dalla violenzadelle onde e riesce a raggiungere a nuoto la terraferma, trovando rifugioin un boschetto dove si addormenta.Mentre l’eroe dorme profondamente, Nausicaa – la figlia del re dei Feaci,nella cui isola Odisseo è arrivato – decide di andare al fiume con le sueancelle per lavare i panni. È una decisione questa che le ha suggerito insogno Atena, desiderosa di far incontrare la giovane principessa con Odis-seo, in modo che possa aiutarlo e proteggerlo.

Le ancelle di Nausicaa al fiume85 E quando giunsero alla corrente del fiume, bellissima,

dov’erano i lavatoi perenni, molt’acquabella sgorgava, da lavare anche vesti assai sporche,allora le mule sciolsero, dal carro staccandole,e lungo il fiume vorticoso le spinsero

90 a brucar dolce gramigna; e loro dal carro le vestisulle braccia prendevano e le portavano nell’acqua bruna,le calpestavano velocemente nei botri, sfidandosi a gara.Lavate che l’ebbero, portato via tutto il sudicio,in fila le stesero lungo la riva del mare, là dove più

95 la ghiaia sul lido il mare lavava.Poi, lavate anche loro e unte con olio lucente,presero il pasto sulle rive del fiume, e aspettavanoche al raggio del sole le vesti asciugassero,giocando a palla, gettando via i veli del capo;

100 e fra loro Nausicàa braccio bianco il canto intonava.

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Nausicaa viene paragonata ad Artemide che, inseguendo cervi e cinghialisui monti, spicca per bellezza su tutte le ninfe che vanno a caccia con lei.

110 Ma quando fu per tornarsene a casa,aggiogate le mule, piegate le belle vesti,altro allora pensò la dea Atena occhio azzurro,perché Odisseo si svegliasse, vedesse la giovinetta begli occhi,e lei dei Feaci alla città lo guidasse.

115 La palla dunque lanciò la regina a un’ancella,fallì l’ancella, scagliò la palla nel gorgo profondo.Quelle un grido lungo gettarono: e si svegliò Odisseo luminoso...

L’eroe si alza e, dopo essersi coperto il corpo nudo con alcuni rami, va versole fanciulle. Vedendolo sporco e coperto di salsedine, le ancelle fuggono via.

110. Ma … casa: il sogget-to della frase è Nausicaa,insieme alle sue compa-gne.115. la regina: si tratta diNausicaa.

(110) Ma quando, legate le mule al giogo e piegate le belle vesti, già stava per tornarea casa, Atena dagli occhi azzurri fece in modo che Odisseo si svegliasse e vedesse lafanciulla dagli occhi belli, che l’avrebbe poi condotto alla città dei Feaci. (115) Dunquela regina lanciò la palla a un’ancella, che non riuscì a prenderla e la palla cadde nel fiu-me profondo. Le altre fanciulle gridarono a lungo, e Odisseo si svegliò...

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L’incontro di Odisseo e NausicaaSola, la figlia d’Alcinoo restò, perché Atena

140 le infuse coraggio nel cuore, e il tremore delle membra le tolse.Dritta stette, aspettandolo: e fu in dubbio Odisseose, le ginocchia afferrandole, pregar la fanciulla occhi belli,o con parole di miele, fermo così, da lontano,pregarla che la città gli insegnasse e gli desse una veste.

145 Così, pensando, gli parve cosa migliore,pregar di lontano, con parole di miele,ché a toccarle i ginocchi non si sdegnasse in cuore la vergine.Subito dolce accorta parola parlò:«Io mi t’inchino, signora: sei dea o mortale?

150 Se dea tu sei, di quelli che il vasto cielo possiedono,Artemide, certo, la figlia del massimo Zeus,per bellezza e grandezza e figura mi sembri.Ma se tu sei mortale, di quelli che vivono in terra,tre volte beati il padre e la madre sovrana,

155 tre volte beati i fratelli: perché sempre il cuores’intenerisce loro di gioia, in grazia di te,quando contemplano un tal boccio muovere a danza.Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto,chi soverchiando coi doni, ti porterà a casa sua.

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L’incontro di Odisseo e Nausicaa Restò solo [Nausicaa], la figlia di Alcinoo, perchéAtena (140) le dette il coraggio e le tolse la paura. Se ne stava in piedi aspettandolo:e Odisseo fu incerto se pregare la fanciulla dagli occhi bellissimi abbracciandole le gi-nocchia, o se invece restare fermo lontano da lei e pregarla con parole dolci di mostrar-gli [dov’era] la città e di dargli un vestito. (145) Così pensando, giudicò che la cosa mi-gliore fosse rivolgersi a lei da lontano con parole dolci, perché se le avesse toccato leginocchia la fanciulla avrebbe potuto irritarsi. Con molta dolcezza e attenzione, si ri-volse a lei così: «Io mi inchino a te, o signora, sei una dea o [una creatura] mortale?(150) Se tu sei una dea, di quelle che se ne stanno nel grande cielo, per [la tua] bellez-za, per [la tua] alta statura e per [il tuo] aspetto assomigli ad Artemide, la figlia del-l’onnipotente Zeus. Ma se invece sei una creatura mortale, di quelle che vivono sullaterra, tre volte beati saranno il padre, la madre (155) e i fratelli: perché nel veder muo-versi un simile bocciolo con tanta grazia, il loro cuore si riempie di gioia. Ma soprattut-to sarà fortunatissimo colui che, superando con i [suoi] doni [tutti gli altri che vorreb-bero sposarti], ti prenderà in moglie.

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160 Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,né uomo, né donna.

Odisseo ricorda qui un prodigio a cui ha assistito nell’isola di Delo, dove,presso l’altare di Apollo, ha visto nascere all’improvviso una palma.

... te, donna, ammiro, e sono incantato e ho paura tremendaad abbracciarti i ginocchi: ma duro strazio m’accora.

170 Ieri scampai dopo venti giornate dal livido mare:fin qui l’onda sempre m’ha spinto e le procelle rapaci,dall’isola Ogigia; e qui m’ha gettato un dio,certo perché soffra ancora dolori: non credoche finiranno, ma molti ancora vorranno darmene i numi.

175 Ma tu, signora, abbi pietà: dopo molto soffrire,a te, per prima, mi prostro, nessuno conosco degli altriuomini, che hanno questa città e questa terra.La rocca insegnami e dammi un cencio da mettermi addosso,se avevi un cencio da avvolgere i panni, venendo.

180 A te tanti doni facciano i numi, quanti in cuore desideri,marito, casa ti diano, e la concordia gloriosaa compagna; niente è più bello, più prezioso di questo,quando con un’anima sola dirigono la casal’uomo e la donna: molta rabbia ai maligni

185 ma per gli amici è gioia, e loro han fama splendida».

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169. m’accora: mi sgomen-ta, mi affligge.170. Ieri … mare: Odisseoaccenna alle sue sventuratevicende per rendersi più bi-sognoso agli occhi di Nau-sicaa.

(160) Non ho mai visto con i miei occhi qualcosa di simile [alla tua bellezza], né di uo-mo, né di donna.

… io, o donna, ti ammiro e sono affascinato [da te], ma ho una gran paura ad abbrac-ciare le tue ginocchia: d’altra parte provo [anche] un grande dolore. (170) Solo ieri, do-po venti giorni [di furiosa tempesta], mi sono messo in salvo [dalle acque] del marescuro; le onde e le tempeste violente mi hanno spinto fin qui dall’isola di Ogigia: e si-curamente un dio mi ha fatto arrivare su questa terra perché soffra ancora: non credo[infatti] che le mie sofferenze siano finite, ma piuttosto che gli dèi me ne vorrannocausare altre. (175) Ma tu, o signora, abbi pietà: dopo aver tanto sofferto, a te, per pri-ma, mi inchino, non conosco nessuno degli uomini che possiedono questa città e que-sta terra. Indicami qual è la strada per la città e dammi qualcosa da mettermi addosso,magari un cencio con cui avvolgi i panni. (180) A te gli dèi facciano tutti i doni che de-sideri: ti diano un marito, una casa e facciamo in modo che l’armonia sia sempre con te;niente è più bello e prezioso di questo, [cioè] quando un uomo e una donna provvedo-no alla loro famiglia [andando] d’accordo: ciò è motivo di rabbia per gli invidiosi, (185)ma per gli amici è una gioia, e loro hanno una fama meravigliosa».

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C L A S S I C A

Nausicaa accoglie le richieste di Odisseo Così glirispose Nausicaa dalle braccia bianche: «O stra-niero, non mi sembri un uomo sciocco o cattivo,ma Zeus stesso, che vive nell’Olimpo, distribui-sce la fortuna fra gli uomini buoni e cattivi co-me vuole lui: (190) a te è toccato questo, biso-gna che tu lo sopporti. Ora però che sei arrivatoalla nostra terra e alla nostra città, ti verrà datauna veste e qualsiasi altra cosa è giusto che ot-tenga lo sventurato che supplica. Ti indicheròqual è la città e ti dirò il nome del popolo [che viabita]. (195) I Feaci sono i padroni di queste ter-re e di questa città e io sono la figlia del generosoAlcinoo, che ha il potere e il comando di questo po-polo». Così parlò, e rivolgendosi alle ancelle dai beicapelli gridò: «Fermatevi ancelle, dove scappate ve-dendo un uomo? (200) Credete che si tratti di unnemico? Non esiste, né mai potrà esistere, un uo-mo che arrivi al paese dei Feaci portando la guerra: perché noi siamomolto cari agli dèi. Viviamo in disparte, in mezzo al mare sconfinato

L’ospitalità Greci eRomani credevano che gli ospi-ti fossero protetti personal-mente da Zeus, e quindi li rite-nevano sacri. Omero fa spessoriferimento, direttamente o in-direttamente, all’antica tradi-zione secondo la quale gli stra-nieri o gli ospiti dovevano es-sere accolti con generosità,riempiti di doni e forniti di tut-to ciò di cui potevano aver bi-sogno. Nell’Odissea, per esem-pio, il protagonista viene sfa-mato e accolto con tutti glionori alla corte di Alcinoo, il redei Feaci, molto prima che rive-li la propria identità.

Nausicaa accoglie le richieste di OdisseoGli replicò Nausicaa braccio bianco:«Straniero, non sembri uomo stolto o malvagio,ma Zeus Olimpio, lui stesso, divide fortuna tra gli uomini,buoni e cattivi, come vuole a ciascuno:

190 a te ha detto questo, bisogna che tu lo sopporti.Ora però, che sei giunto alla nostra terra, alla nostra città,né panno ti mancherà, né altra cosa,quanto è giusto ottenga il meschino, che supplica.La rocca t’insegnerò e dirò il nome del popolo.

195 I Feaci possiedono terra e città,e io son la figlia del magnanimo Alcìnoo,che tra i Feaci regge la forza e il potere».Disse, e gridò alle ancelle bei riccioli:«Fermatevi, ancelle: dove fuggite alla vista d’un uomo?

200 Forse un nemico credete che sia?Non esiste uomo vivente, né mai potrà esistere,che arrivi al paese delle genti feaceportando guerra: perché noi siam molto cari agli dèi.Viviamo in disparte, nel mare flutti infiniti,

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205 lontani, nessuno viene fra noi degli altri mortali.Ma questi è un misero naufrago, che c’è capitato,e dobbiamo curarcene: vengon tutti da Zeusgli ospiti e i poveri; e un dono, anche piccolo, è caro.Via, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere,

210 e nel fiume lavatelo, dov’è riparo dal vento».

Libro VI, vv. 85-100, 110-117, 139-161, 168-210

Seguendo i consigli di Nausicaa, Odisseo arriva in città e viene accolto be-nevolmente alla reggia di Alcinoo.

l’odissea: il poema del viaggio 49

(205) e nessuno degli altri esseri umani arriva fino a noi. Ma quest’uomo è un poveronaufrago che è capitato qui, e dobbiamo averne cura: gli ospiti e i poveri sono manda-ti tutti da Zeus; e un dono, anche se piccolo, è sempre gradito. Date dunque a questoospite, o ancelle, qualcosa da mangiare e da bere, (210) e lavatelo nel fiume in un po-sto riparato dal vento».

1. Ermete, il messaggero di Zeus, si reca dalla ninfa Calipso in cerca di Odis-seo, ma non lo trova subito. Dov’è Odisseo? Cosa sta facendo?

2. Ermete indossa sandali d’oro e ha in mano un bastone. Cosa è in grado difare grazie a tali oggetti?

3. L’episodio dell’incontro fra Nausicaa e Odisseo è piuttosto articolato: ri-costruisci la successione dei fatti inserendo nei quadratini un numeroprogressivo.a. le ancelle giocano a palla �

b. le ancelle gridano e Odisseo si sveglia �

c. le ancelle vanno al fiume a lavare le vesti �

d. la palla cade nel fiume �

e. Atena vuole che Odisseo si svegli e veda Nausicaa �

4.Alla vista di Odisseo tutte le fanciulle, tranne Nausicaa, fuggono spaven-tate. Perché Nausicaa non scappa?

5.Qual è il dubbio di Odisseo quando si trova di fronte a Nausicaa? Cosa de-cide di fare?

6.Quali “complimenti” Odisseo fa a Nausicaa?

7.Odisseo racconta a Nausicaa le sue disgrazie, chiedendole aiuto e prote-zione. Come risponde la fanciulla? Cosa dice alle sue ancelle?

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Il mostruoso PolifemoOdisseo viene accolto in modo ospitale da re Alcinoo, a cui racconta le av-venture del suo viaggio. Fra queste, la tappa fatta all’Isola delle Capre dadove, con una nave e dodici compagni, si è messo in viaggio verso la mi-steriosa terra dei Ciclopi. Raggiunto il luogo in cui vivono tali giganti,Odisseo entra con i compagni nella grotta di Polifemo.

L’arrivo del Ciclope… e l’aspettammo dentro,seduti, finché venne pascendo; portava un carico grevedi legna secca, per la sua cena.

235 E dentro l’antro gettandolo produsse rimbombo:noi atterriti balzammo nel fondo dell’antro.Lui nell’ampia caverna spinse le pecore pingui,tutte quante ne aveva da mungere; ma i maschi li lasciò fuori,montoni, caproni, all’aperto nell’alto steccato.

240 Poi, sollevandolo, aggiustò un masso enorme, pesante,che chiudeva la porta: io dico che ventidue carribuoni, da quattro ruote, non l’avrebbero smosso da terra,tale immensa roccia, scoscesa, mise a chiuder la porta.Seduto, quindi, mungeva le pecore e le capre belanti,

245 ognuna per ordine, e cacciò sotto a tutte il lattonzolo.E subito cagliò una metà del candido latte,e, rappreso, lo mise nei canestrelli intrecciati;metà nei boccali lo tenne, per averne da prenderee bere, che gli facesse da cena.

250 Come rapidamente i suoi lavori ebbe fatto,allora accese il fuoco e ci vide e ci disse:

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237. Lui … mungere: Poli-femo, che più tardi mostre-rà la sua ferocia sbranandoquattro compagni di Odis-seo, inizialmente apparecome un pastore premuro-so nei confronti delle pro-prie pecore.

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L’arrivo del Ciclope … e l’aspettammo dentro, finché tornò dal pascolo con le peco-re; portava un pesante carico di legna secca [che gli sarebbe servito] per [preparare] lacena. (235) E buttando [il carico] dentro la grotta, creò un rimbombo: noi impauriti an-dammo con un balzo in fondo alla grotta. Lui spinse nella grande caverna le pecoregrasse, che doveva mungere tutte quante; i maschi, montoni e caproni, li lasciò invecefuori, all’interno dell’alto steccato. (240) Poi, sollevandolo, mise un masso enorme epesante a chiusura [della grotta]: io dico che ventidue carri saldi, a quattro ruote, nonsarebbero riusciti a muoverlo da terra, tanto la roccia posta a chiusura dell’ingresso eraimmensa e senza appigli. Quindi, seduto, mungeva le pecore e le capre belanti (245) emetteva sotto a ognuna un piccolo lattante. E fece coagulare subito metà del biancolatte e, una volta diventato denso, lo mise nei canestrelli intrecciati; [ne] conservò me-tà nei boccali per berlo [la sera], in modo che gli facesse da cena. (250) Appena ebbeportato a termine i suoi lavori, accese rapidamente il fuoco, [ma] ci vide e ci disse:

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«Stranieri, chi siete? e di dove navigate i sentieri dell’acqua?forse per qualche commercio, o andate errando così, senza metasul mare, come i predoni, che errano

255 giocando la vita, danno agli altri portando?».Così disse, e a noi si spezzò il caro cuoredalla paura di quella voce pesante e di quell’orrido mostro.

Odisseo si presenta a PolifemoMa anche così, gli risposi parola, gli dissi:«Noi siamo Achei, nel tornare da Troia travolti

260 da tutti i venti sul grande abisso del mare;diretti alla patria, altri viaggi, altri sentieribattemmo: così Zeus volle decidere.Ci vantiamo guerrieri dell’Atride Agamennonedi cui massima è ora sotto il cielo la fama,

265 tale città ha distrutto, ha annientato guerrieriinnumerevoli. E ora alle tue ginocchia veniamosupplici, se un dono ospitale ci dessi, o anche altrimentici regalassi qualcosa; questo è norma per gli ospiti.Rispetta, ottimo, i numi; siamo tuoi supplici.

270 E Zeus è il vendicatore degli stranieri e dei supplici,Zeus ospitale, che gli ospiti venerandi accompagna».Così dicevo; e subito rispose con cuore spietato:«Sei uno sciocco, o straniero, o vieni ben da lontanotu che pretendi di farmi temere e rispettare gli dèi.

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253. forse … commercio:Polifemo chiede a Odisseoe ai suoi compagni se sonomercanti.270. E … ven di ca to re: Odis -seo ricorda a Polifemo l’in-violabilità degli ospiti, chelo stesso Zeus protegge ven-dicando i torti che vengo-no loro fatti.

«Stranieri chi siete? da quale paese avete preso la via del mare? Forse [navigate] perqualche commercio oppure vagate senza meta per mare, come i pirati che (255), ri-schiando la vita, vanno all’assalto dei naviganti?». Parlò così, e a noi si spezzò il carocuore per la paura di quella voce cupa e di quell’orribile mostro.

Odisseo si presenta a Polifemo Ma nonostante tutto gli risposi, e gli dissi: «Noi siamoGreci, e siamo stati travolti (260) da tutti i venti [che soffiano] sulle vaste profondità delmare; pur essendo diretti verso la nostra patria, ci siamo avventurati per altri viaggi, peraltre strade: questo fu il volere di Zeus. Ci vantiamo di essere guerrieri di Agamennone,figlio di Atreo, la cui fama è notissima sotto il cielo (265), ora che ha distrutto la città diTroia e ucciso moltissimi guerrieri. E adesso veniamo supplicanti alle tue ginocchia per-ché tu ci offra un dono di ospitalità, o altrimenti ci regali qualcosa; è questa la regola pergli ospiti. Rispetta, o grande, gli dèi; noi ti preghiamo. (270) [Ricorda che] Zeus vendicachi maltratta gli stranieri e coloro che implorano, Zeus ospitale che protegge gli ospitidegni di rispetto». Così gli dissi, e subito rispose con cuore spietato: «Sei uno sciocco,straniero, o tu che pretendi di farmi temere e rispettare gli dèi vieni da molto lontano.

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275 Ma non si dànno pensiero di Zeus egìoco i Ciclopiné dei numi beati, perché siam più forti.Non certo evitando l’ira di Zeus ti vorrò risparmiare,né te, né i compagni, se non vuole il mio cuore.Ma dimmi dove lasciasti la nave ben fabbricata,

280 se laggiù in fondo all’isola o vicino, che sappia».Così disse tentandomi, ma non mi sfuggì, perché sono accorto.E rispondendogli dissi con false parole:«La nave me l’ha spezzata Poseidone enosìctono,contro gli scogli cacciandola, al limite del vostro paese;

285 proprio sul promontorio: il vento dal largo spingeva.Io solo fuggii con questi l’abisso di morte».

Polifemo divora i compagni di OdisseoCosì dicevo: nulla rispose nel suo cuore spietato,ma con un balzo sui miei compagni le mani gettavae afferrandone due, come cuccioli a terra

290 li sbatteva, scorreva fuori il cervello e bagnava la terra.E fattili a pezzi, si preparava la cena;li maciullava come leone montano; non lasciò indietroné interiora, né carni, né ossa o midollo.E noi piangendo a Zeus tendevamo le braccia

295 vedendo cose terribili: ci sentivamo impotenti.Quando il Ciclope ebbe riempito il gran ventre,carne umana mangiando e latte puro bevendo,si distese nell’antro, sdraiato in mezzo alle pecore.

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275. egìoco: significa “ar-mato di scudo”.281. perché sono accorto: ladomanda di Polifemo na-sconde una trappola chenon sfugge alla furbizia diOdisseo. In realtà le navi ei compagni dell’eroe sonorimasti nell’isola delle Caprein attesa del suo ritorno. 283. enosìctono: che scuo-te la terra.

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(275) Ma i Ciclopi non si preoccupano di Zeus egìoco né degli dèi beati, perché siamopiù forti. Di certo, se il mio cuore non vuole, non risparmierò né te né i tuoi compagniper evitare la furia di Zeus. Ma dimmi dove hai lasciato la nave solida, (280) se laggiùin fondo all’isola o vicino, lo voglio sapere». Parlò così per tendermi una trappola, ma[la sua intenzione] non mi sfuggì, perché sono attento.E gli risposi con una bugia: «La nave me l’ha spezzata Poseidone enosìctono, sbattendolacontro gli scogli vicino al vostro paese; (285) proprio sul promontorio: il vento soffiava dallargo. Io solo sono riuscito a fuggire con questi [miei compagni] dall’abisso della morte».

Polifemo divora i compagni di Odisseo Così parlai: [il Ciclope], con il suo cuore crude-le, non rispose ma con un balzo mise le mani su miei compagni afferrandone due, e comefossero cuccioli (290) li batteva per terra, il [loro] cervello usciva fuori [dal cranio] e ba-gnava la terra. E dopo averli fatti a pezzi, si preparava la cena; li sbranava come [fa] il leo-ne di montagna, non lasciò né interiora né carne né ossa o midollo. E noi tendevamo lebraccia a Zeus piangendo (295), vedendo [queste] cose terribili: ci sentivamo impotenti.Quando il Ciclope ebbe riempito il suo grande stomaco mangiando carne umana e beven-do latte puro, si distese nella caverna sdraiandosi in mezzo alle pecore.

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Ed io pensai nel mio cuore magnanimo300 d’avvicinarmi e la spada puntata dalla coscia sguainando,

piantarla nel petto, dove il fegato s’attacca al diaframma,cercando a tastoni; ma mi trattenne un altro pensiero.Infatti noi pure là perivamo di morte terribile:non potevamo certo dall’alta apertura

305 a forza di braccia spostare l’enorme roccia, che vi aveva addossata.

E io, nel mio cuore generoso, pensai (300) di avvicinarmi, di sguainare dal fianco la spa-da a punta e di conficcarla nel suo petto cercando a tastoni il punto in cui il fegato è at-taccato al diaframma. Ma mi trattenne un altro pensiero. Infatti anche noi avremmo fat-to una fine terribile: non potevamo certo, dall’ampia apertura [della grotta], (305) spo-stare con la forza delle [nostre] braccia l’enorme roccia che [Polifemo] vi aveva appog-giato.

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Il giorno seguente il Ciclope, dopo aver afferrato e fatto a pezzi altri duecompagni di Odisseo, solleva l’enorme macigno che chiude la grotta per farandare al pascolo le pecore e, uscito anche lui dalla caverna, lo rimette alsuo posto. Non riuscendo a smuovere il masso, Odisseo pensa a come sal-vare se stesso e i compagni: rende appuntita la cima di un tronco enormee la indurisce con il fuoco. Poi a sera, quando Polifemo ritorna nella grot-ta, gli offre del vino che aveva portato con sé e lo fa bere abbondantemen-te. Il Ciclope, contento per il dono ricevuto, chiede all’ospite il suo nomeper poter contraccambiare in qualche modo.

La terribile vendettaMa quando al Ciclope intorno al cuore il vino fu sceso,allora io gli parlai con parole di miele:«Ciclope, domandi il mio nome glorioso? Ma certo,

365 lo dirò; e tu dammi il dono ospitale come hai promesso.Nessuno ho nome. Nessuno mi chiamanomadre e padre e tutti quanti i compagni».Così dicevo; e subito mi rispondeva con cuore spietato:«Nessuno io mangerò per ultimo, dopo i compagni;

370 gli altri prima; questo sarà il dono ospitale».Disse, e s’arrovesciò cadendo supino, e di colpogiacque, piegando il grosso collo di lato: lo vinseil sonno che tutto doma: e dalla gola vino gli usciva,e pezzi di carne umana; vomitava ubriaco.

375 Allora il palo cacciai sotto la molta brage,finché fu rovente; e con parole a tutti i compagnifacevo coraggio, perché nessuno atterrito, si ritirasse.

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366. Nessuno: è il nuovonome di Odisseo che, pre-vedendo quello che acca-drà, gioca sul significatodi questo termine per libe-rare se stesso e i compagnidalla furia dei Ciclopi.

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La terribile vendetta Ma quando il vino penetrò nel corpo di Polifemo, gli rivolsi paroledolci come il miele: «Ciclope tu chiedi il mio nome famoso? Ma certo, (365) [te] lo dirò; etu dammi il dono destinato agli ospiti che hai promesso. Il mio nome è Nessuno. Nessunomi chiama mio padre e mia madre, e tutti i miei compagni». Così gli dissi, e subito mi ri-spose senza pietà nel cuore: «Mangerò per ultimo Nessuno, dopo i [suoi] compagni; (370)gli altri [li mangerò] prima, e questo sarà il mio dono per gli ospiti». Parlò così e cadde apancia in su, si stese di colpo piegando di lato il grosso collo: lo prese il sonno che cal-ma ogni cosa: e dalla gola gli uscivano vino e pezzi di carne umana; vomitava ubriaco.(375) Allora tenni il palo sotto un mucchio di brace, finché non diventò incandescen-te; e con le mie parole facevo coraggio ai miei compagni perché nessuno, impaurito, siritirasse.

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Quando il palo d’ulivo nel fuoco già stavaper infiammarsi, benché fosse verde, splendeva terribilmente,

380 allora in fretta io lo toglievo dal fuoco, e intorno i compagnimi stavano; certo un dio c’ispirò gran coraggio.Essi, alzando il palo puntuto d’olivo,nell’occhio lo spinsero e io premendo da sopragiravo, come un uomo col trapano un asse navale

385 trapana; altri sotto con la cinghia lo girano,tenendola di qua e di là: il trapano corre costante;così ficcato nell’occhio del mostro il tizzone infuocato,lo giravamo; il sangue scorreva intorno all’ardente tizzone;arse tutta la palpebra in giro e le ciglia, la vampa

390 della pupilla infuocata; nel fuoco le radici friggevano.Come un fabbro una gran scure o un’ascianell’acqua fredda immerge, con sibilo acuto,temprandola: e questa è appunto la forza del ferro;così strideva l’occhio del mostro intorno al palo d’olivo.

395 Paurosamente gemette, n’urlò tutta intorno la roccia;atterriti balzammo indietro: esso il tizzonestrappò dall’occhio, grondante di sangue,e lo scagliò lontano da sé, agitando le braccia,e i Ciclopi chiamava gridando, che in giro

400 vivevano nelle spelonche e sulle cime ventose.

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379. benché … verde: il le-gno brucia più facilmentequando è secco, è dunquenon più di colore verde.384. come … trapana: Ome -ro ricorre spesso alle simi-litudini; alcune fanno rife-rimento ad animali ferociin lotta fra loro (quando ilpoeta descrive duelli), al-tre si riferiscono all’attivi-tà svolta da operai, comenei versi 384 e 391.

Quando ormai il palo d’olivo stava per prendere fuoco benché fosse ancora verde, splen-deva [talmente] da far quasi paura, (380) lo tolsi in fretta dal fuoco mentre i compagnimi stavano intorno; certamente fu un dio a darmi tanto coraggio. Essi, alzando il paloappuntito d’olivo, lo spinsero nell’occhio [del Ciclope] e io giravo premendo da sopra,come quando si fora un’asse di una nave con un trapano (385); altri giravano il palo conuna cinghia, tenendola alle due estremità: il trapano girava senza interruzioni; così gi-ravamo il tizzone infuocato nell’occhio del mostro; scorreva il sangue intorno al tizzo-ne arroventato; la vampata (390) della pupilla infuocata bruciò tutt’intorno la palpebrae le ciglia; nel fuoco ardevano i nervi dell’occhio. Come un fabbro immerge, con un si-bilo acuto, nell’acqua fredda una grande scure o un’ascia temprandola, facendo così di-ventare il ferro rigido e forte, allo stesso modo strideva l’occhio del mostro intorno alpalo d’olivo. (395) Gemette in modo pauroso e tutta la roccia intorno rimandò l’urlo;spaventati balzammo indietro: [il Ciclope si] strappò il tizzone dall’occhio grondante disangue e lo gettò lontano agitando le braccia, e gridando chiamava gli altri Ciclopi che(400) vivevano nelle grotte vicine e sulle cime esposte al vento.

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L’inganno del nome E udendo il grido quelli accorrevano in massa, chi da una partechi dall’altra; e stando intorno alla grotta chiedevano che cosa volesse: «Perché, Poli-femo, ci hai svegliato durante la dolce notte gridando con tanta disperazione? (405)Forse qualcuno ti ruba le pecore, tuo malgrado? Oppure qualcuno tenta di ucciderti conla forza o l’inganno?». E dalla grotta Polifemo rispose loro energico: «Amici, Nessunomi uccide con l’inganno e non con la forza». E quelli gli risposero con parole frettolo-se: (410) «Se dunque nessuno ti fa violenza e sei da solo, non c’è scampo dal male chemanda Zeus; piuttosto prega tuo padre, il re Poseidone». Così gli dissero andandosene: e in cuor mio ridevo per come il nome e la bella trovata l’ave-vano ingannato.

L’inganno del nomeE udendo il grido quelli correvano in folla, chi di qua, chi di là;e stando intorno alla grotta chiedevano che cosa volesse:«Perché, Polifemo, con tanto strazio hai gridatonella notte ambrosia, e ci hai fatto svegliare?

405 Forse qualche mortale ti ruba, tuo malgrado, le pecore?O t’ammazza qualcuno con la forza o l’inganno?».E a loro dall’antro rispose Polifemo gagliardo:«Nessuno, amici, m’uccide d’inganno e non con la forza».E quelli in risposta parole fugaci dicevano:

410 «Se dunque nessuno ti fa violenza e sei solo,dal male che manda il gran Zeus non c’è scampo;piuttosto prega il padre tuo, Poseidone sovrano».Così dicevano andandosene: e il mio cuore rideva,come l’aveva ingannato il nome e la buona trovata.

Libro IX, vv. 232-305, 362-414

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COMMENTOIl Ciclope Polifemo ha un aspetto così imponente e terribile che il poe-ta stesso non sembra avere neppure il coraggio di descriverlo diretta-mente: lo presenta infatti attraverso i gesti che compie, gesti di un es-sere mostruoso che conduce una vita primitiva, non riconosce le leggidell’ospitalità e si ciba di carne umana. La parola “mostro” e l’aggettivo “mostruoso” derivano entrambi dal la-tino monstrum, che significava “qualcosa di straordinario, di fuori dalcomune”. Poi il termine è passato a indicare anche ciò che è brutto epauroso, e proprio questo è il significato oggi attribuito ai mostri. Nell’antichità, invece, gli esseri mostruosi erano semplicemente creatu-re fuori dal comune, nel senso di “fuori dalla misura”, disarmoniche. Edal momento che nella mentalità greca e latina il concetto di misura,sia nel comportamento che nell’aspetto fisico, era una qualità indispen-sabile per raggiungere la perfezione, tali creature erano “imperfette”perché prive di proporzioni e di armonia.

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to 1.All’arrivo del Ciclope, Odisseo si rifugia con i suoi compagni in fondoalla grotta. Quali sono le azioni compiute da Polifemo prima di vedereOdisseo e i suoi compagni?

2.Rivolgendosi al Ciclope, Odisseo gli ricorda le leggi sacre dell’ospitali-tà. Cosa gli risponde Polifemo?

3. Cosa succede a due compagni di Odisseo?

4.Odisseo è furibondo. Cosa vorrebbe fare? Perché non porta a compi-mento il suo progetto?

5. In cosa consiste l’inganno che Odisseo tende al Ciclope?

6. Come si svolge la vendetta di Odisseo e dei suoi compagni?

Intanto Polifemo, dovendo far uscire le greggi per farle andare al pasco-lo, toglie il macigno che chiude la grotta e si siede sulla soglia con le ma-ni distese, in modo da afferrare chiunque tenti di uscire nascondendosifra le pecore. Odisseo e i compagni riescono però a sfuggire al Ciclope ag-grappandosi sotto gli arieti, e a fare ritorno all’Isola delle Capre.Partiti di qui, li attendono nuove e terribili avventure: infatti, perdonotutti la vita per essersi cibati delle giovenche sacre al dio Sole, tranneOdisseo che non si era macchiato di questa colpa. Rimasto solo, l’eroe ap-proda nell’isola di Ogigia, ultima tappa prima di giungere alla terra deiFeaci. Al termine del lungo racconto, il re Alcinoo conforta l’ospite e gliassicura tutto il suo aiuto per un felice ritorno in patria.

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C L A S S I C AArgo, il cane fedeleArrivato a Itaca con la nave dei Feaci, e trasformato da Atena in un men-dicante perché nessuno lo riconosca, Odisseo viene accolto benevolmen-te dal vecchio pastore Eumeo. L’eroe si fa però riconoscere da suo figlio,che è appena rientrato a Itaca dopo aver sventato il tentativo dei Procidi assassinarlo. Infine va con Eumeo alla reggia e si ferma a parlare conlui sulla soglia.

Essi dunque tra loro così scambiavano queste parole,quando un cane lì giacente drizzò testa ed orecchi,Argo, che una volta Odisseo stesso allevò paziente,senza goderlo, [...]

295 allora, nell’assenza del padrone, giaceva trascuratoin un mucchio di letame che stava dinnanzi alle portein abbondanza [...]Qui giaceva il cane Argo e le zecche lo ricoprivano.Allora come si accorse che Odisseo gli era vicino,dimenò la coda e lasciò ricadere entrambe le orecchie,ma non ebbe abbastanza forza per accostarsi a lui.

305 Odisseo, guardando lontano, si asciugò una lacrima,celandosi ad Eumeo, poi distrattamente così gli disse:«Eumeo, è strano che un cane simile giaccia nel letame,è davvero di aspetto bello e fiero, ma del tutto ignorose, oltre che bello, fu anche veloce nella corsa,

310 o solamente fu uno di quei cani da mensa lussuosache certi signori mantengono per la loro bellezza».E a lui rispondendo, così dicevi, porcaro Eumeo:«Certamente questo è il cane d’un uomo morto lontano.Se ancora così fosse nell’aspetto e nelle imprese,

293. Argo: è il cane di Odis-seo, verso il quale, nono-stante ven t’anni di lonta-nanza dell’eroe, ha mante-nuto l’attaccamento e la fe-deltà. È l’unico che ricono-sce immediatamente Odis-seo benché sia ormai passa-to tanto tempo e il suo pa-drone abbia l’aspetto di unmendicante.

Stavano così parlando fra loro quando un cane sdraiato lì vicino drizzò le orecchie e latesta. Era Argo, il cane che un tempo Odisseo stesso aveva pazientemente allevato sen-za però avere avuto il tempo di vederlo crescere... (295) e ora, durante l’assenza del pa-drone, era trascurato da tutti e giaceva in mezzo al letame [sparso] abbondantementedavanti alle porte [della reggia]… Qui se ne stava Argo ricoperto di zecche. Quando siaccorse che Odisseo gli era vicino, agitò la coda e per la gioia abbassò le orecchie, manon ebbe la forza di avvicinarsi a lui. (305) Odisseo se ne accorse da lontano e i suoiocchi si riempirono di lacrime; ma non si fece vedere da Eumeo, a cui poi con tono di-stratto disse: «Eumeo, è strano che un cane di aspetto bello e forte giaccia nel letame.Ma non so se oltre che bello fu anche veloce nella corsa (310) o appartiene a quella raz-za di cani che certi signori tengono per la loro bellezza presso le mense lussuose».E a lui rispose Eumeo, il guardiano dei porci: «Questo è il cane di un uomo ormai mortolontano. Se fosse, nell’aspetto e nel comportamento

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l’odissea: il poema del viaggio 59

315 come lo lasciò Odisseo, quando si imbarcò per Ilio,davvero stupiresti mirandone l’agilità e la forza.Non una fiera gli sfuggiva nei recessi delle selve:una volta scovata, dalle sole orme la rintracciava.Ora l’opprime la sventura: lontano morì il suo padrone

320 e per nulla lo curano le ancelle negligenti e infide.I servi invero se più non li comandano i padronipiù non sanno, né vogliono compiere il loro dovere.Il grande Zeus infatti toglie la metà del sennoall’uomo da quel giorno in cui è divenuto schiavo».

325 Così disse Eumeo, poi entrò nella comoda reggiae, attraversato l’atrio, andò verso i Proci superbi.Proprio allora la nera morte colse il cane Argonel rivedere il divino Odisseo, dopo vent’anni.

Libro XVII, vv. 291-328

323. toglie … senno: pergli antichi quando un uo-mo viene privato della li-bertà viene anche privatodella sua capacità di in-tendere e di volere, poichédeve fare solo ciò che vuo-le il padrone.

(315), come lo lasciò Odisseo quando partì per Troia, sicuramente ti meraviglieresti ve-dendo la sua agilità e la sua forza. A caccia non gli sfuggiva nessuna bestia feroce, nep-pure nei luoghi più nascosti del bosco, una volta che l’aveva scovata dopo averne segui-to le impronte. Ora è oppresso dal dolore. Il suo padrone è morto lontano (320) e le an-celle pigre e infedeli non lo curano più. D’altra parte i servi, quando non li comandano ipadroni, non sanno e non vogliono fare il loro dovere. Il giorno in cui un uomo [perdela sua libertà] diventando schiavo, Zeus gli toglie la metà della ragione». (325) Cosìparlò Eumeo, poi entrò nella grande reggia e, dopo aver attraversato l’entrata, si dires-se verso gli arroganti Proci. Fu allora che il cane Argo, rivisto [il padrone] Odisseo do-po vent’anni, chiuse gli occhi per sempre.

1. Solo il vecchio cane riconosce immediatamente Odisseo. Quali delle seguenti qualità di Argo so-no citate nel brano?a. velocità e. agilitàb. forza f. bellezzac. fiuto g. resistenzad. vista acuta h. obbedienza

2.Da quale particolare Argo riconosce il proprio padrone?

3. Come si conclude l’episodio che hai appena letto?

4.Qual è, a tuo parere, il significato dell’episodio che ha come protagonista il cane Argo?a. l’insensibilità dell’uomo, che non si prende cura di un cane vecchio e malatob. la fedeltà del cane, che dopo vent’anni riconosce il suo padronec. l’ostilità del destino: Odisseo non può avvicinarsi ad Argo né chiamarlo per nome

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I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C ALa strage dei ProciIl “mendicante” Odisseo organizza insieme a Telemaco la vendetta suiProci e, per prima cosa, durante la notte toglie le armi dalla sala dellareggia. Poi, incontratosi con Penelope, le racconta di aver ospitato il suosposo all’epoca della guerra di Troia e le assicura che il ritorno del maritoè imminente. Penelope, grata per queste parole, dà subito ordine alle an-celle di prendersi cura del mendicante sconosciuto. La vecchia nutrice Eu-riclea, lavandogli i piedi, riconosce Odisseo da una cicatrice che ha sullacoscia, ma l’eroe le dice di mantenere il segreto. In un colloquio succes-sivo con Penelope, rincuora la moglie e approva la sua idea di sottoporrei Proci alla prova dell’arco. Il giorno dopo la regina, parlando ai suoi pre-tendenti, promette così che sposerà chi saprà piegare l’arco di Odisseo escagliare una freccia attraverso dodici anelli. I Proci accettano, ma nes-suno riesce nell’impresa. Odisseo – che nel frattempo ha rivelato ad Eu-meo la propria identità – ottiene di partecipare anche lui alla gara e, tralo sbalordimento dei nemici, riesce a vincerla. Subito dopo fa un cenno aTelemaco che, armato, si pone al suo fianco.

Allora si denudò dei cenci l’accorto Odisseo,balzò sulla gran soglia, l’arco tenendo e la faretra,piena di frecce, e versò i dardi rapidilì davanti ai suoi piedi, e parlò ai pretendenti:

5 «Questa gara funesta è finita;adesso altro bersaglio, a cui mai tirò uomosaggerò, se lo centro, se mi dà il vanto Apollo».Disse, e su Antínoo puntò il dardo amaro.Quello stava per alzare il bel calice,

10 d’oro, a due anse, lo teneva già in mano,per bere il vino; in cuore la mortenon presagiva: chi avrebbe detto che tra banchettantiun uomo, solo fra molti, fosse pure fortissimo,doveva dargli mala morte, la tenebrosa Chera?

2. faretra: astuccio che siporta a tracolla e in cui siripongono le frecce.14. Chera: la divinità deldestino e della morte.

Allora l’astuto Odisseo si tolse la veste da mendicante, raggiunse con un salto la sogliadella stanza tenendo in mano l’arco e la faretra piena di frecce, che depose i suoi piedi,e parlò così ai Proci. (5) «Questa tragica gara è finita, ora è ben diverso il bersaglio ver-so il quale nessun uomo mai si rivolse; proverò se riesco a centrarlo, se Apollo mi con-cede [questa] gloria». Così disse e puntò la freccia mortale su Antinoo che stava per al-zare il bel calice (10) d’oro a due manici, lo teneva già in mano per bere il vino non pre-vedendo che la morte era vicina. Chi avrebbe mai detto che tra coloro che prendevanoparte al banchetto un uomo solo fra molti, sia pure fortissimo, doveva dargli una mor-te triste, la nera Chera?

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15 Ma Odisseo mirò alla gola e lo colse col dardo:dritta attraverso il collo passò la punta.Si rovesciò sul fianco, il calice cadde di manoal colpito, subito dalle narici uscì un fiotto densodi sangue; rapidamente respinse la mensa

20 scalciando, e i cibi si versarono a terra:pane e carni arrostite s’insanguinarono. Gettarono un urloi pretendenti dentro la sala, a veder l’uomo cadere,dai troni balzarono, in fuga per tutta la sala,dappertutto spiando i solidi muri:

25 né scudo c’era, né asta robusta da prendere.

Libro XXII, vv. 1-25

Segue il massacro di tutti i Proci e delle ancelle infedeli che li hanno fa-voriti.

22. i pretendenti: sono iProci. Il termine “preten-denti” significa sia corteg-giatori che persone cheaspirano a un trono.

l’odissea: il poema del viaggio 61

(15) Ma Odisseo mirò alla gola, che rag-giunse con la sua freccia: la punta pas-sò dritta attraverso il collo. Lui caddesu un fianco e il calice gli cascò di ma-no, e uno schizzo di sangue [gli] uscìdalle narici; con calci rapidi arrovesciòla tavola (20) e i cibi caddero a terra,pane e carne arrostita si macchiarono disangue. Tutti i pretendenti [che erano]nella sala, vedendo l’uomo cadere, fece-ro un urlo e si alzarono di scatto dai lo-ro sedili cercando in fuga la salvezza frai muri solidi: (25) non c’era né scudo néun’asta robusta per difendersi.

1.Dopo essersi tolto le vestida mendicante, Odisseo di-ce di voler colpire un «al-tro bersaglio»: a chi si rife-risce?

2.Da quali parole si capisceche Antinoo non pensa af-fatto di essere in pericolo?Sottolineale nel testo.

3. Come si conclude l’episodioche hai appena letto? Cosafanno i Proci?la

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I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C APenelope e OdisseoPenelope viene a sapere del ritorno del marito e della strage dei Proci, mapensa che tale strage sia stata compiuta da un dio che, sdegnato dal lo-ro comportamento, li ha uccisi. Intanto Odisseo si presenta alla moglieindossando ricche vesti: è identico all’uomo partito vent’anni prima, maPenelope continua ad avere dubbi sulla sua identità, e lo mette alla pro-va invitando la nutrice Euriclea a portar fuori dalla stanza nuziale il let-to per prepararglielo per la notte.

Così parlava, provando lo sposo; ed ecco Odisseosdegnato si volse alla sua donna fedele:«O donna, davvero è penosa questa parola che hai detto!Chi l’ha spostato il mio letto? sarebbe stato difficile

185 anche a un esperto, a meno che un dio venisse in persona,e, facilmente, volendo, lo cambiasse di luogo.Tra gli uomini, no, nessun vivente, neanche in pieno vigore,senza fatica lo sposterebbe, perché c’è un grande segretonel letto ben fatto, che io fabbricai, e nessun altro […]».

Odisseo ricorda a Penelope come, tanti anni prima, ha ricavato il letto da unantichissimo tronco d’albero. L’albero, che è nella loro camera, non può es-sere spostato e dunque neppure il letto: loro soli conoscono questo segreto.

205 Così parlò, e a lei di colpo si sciolsero le ginocchia ed il cuoreperché conobbe il segno sicuro che Odisseo le diceva;e piangendo corse a lui, dritta, le bracciagettò intorno al collo a Odisseo, gli baciò il capo e diceva:«Non t’adirare, Odisseo, con me, tu che in tutto

210 sei il più saggio degli uomini; i numi ci davano il pianto,i numi, invidiosi che uniti godessimola giovinezza e alla soglia di vecchiezza venissimo.Così ora non t’adirare con me, non sdegnarti di questo,

Così parlò [Penelope a Euriclea] mettendo alla prova lo sposo; ed ecco che Odisseo si rivol-se sdegnato alla moglie fedele: «O donna, sono davvero crudeli le parole che hai detto! Chiha spostato il mio letto? Sarebbe stato difficile (185) anche per un esperto, a meno che nonlo avesse aiutato un dio in persona che, volendo, lo avrebbe potuto spostare facilmente. Matra gli uomini nessuno, anche nel pieno delle forze, lo avrebbe potuto spostare senza fati-ca, perché c’è un grande segreto nel letto che ho fabbricato io [stesso] e nessun altro […]».(205) Così parlò [Odisseo] e a Penelope si sciolsero il cuore e le ginocchia perché ebbela certezza della sincerità di Odisseo; e piangendo corse dritta verso di lui, gli gettò lebraccia al collo, gli baciò il capo e disse: «Odisseo, non arrabbiarti con me, tu che in tut-to [e per tutto] (210) sei il più saggio degli uomini; gli dèi, invidiosi della felicità di cuiavremmo goduto uniti dalla giovinezza alla vecchiaia, ci hanno mandato il dolore. Cosìora non arrabbiarti con me, non irritarti per il fatto che appena ti ho visto non ti ho ab-

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l’odissea: il poema del viaggio 63

che subito non t’ho abbracciato come t’ho visto.215 Sempre l’animo dentro il mio petto tremava

che qualcuno venisse a ingannarmi con chiacchiere:perché molti mirano a turpi guadagni».[…]

225 Ma ora il segno certo m’hai datodel nostro letto, che nessuno ha veduto,ma soli tu ed io...»[…]

231 Così disse, e a lui venne più grande la voglia del pianto;piangeva, tenendosi stretta la sposa dolce al cuore, fedele.

Libro XXIII, vv. 181-189, 205-217, 225-227, 231-232

bracciato. (215) Nel mio petto l’animo tremava sempre per la paura che qualcuno venis-se a ingannarmi con delle chiacchiere, perché molti puntano a guadagni malvagi». […](225) Ma ora mi hai dato la prova sicura [della tua sincerità parlandomi] del nostro let-to, che nessuno tranne noi ha [mai] visto…» […](231) Così parlò e a lui venne ancor più voglia di piangere; piangeva tenendo stretta alcuore la sposa dolce e fedele.

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1.Per essere certa che l’uomo che hadi fronte sia davvero il suo sposoOdisseo, Penelope ricorre a unostratagemma. Quale?

2. Come reagisce Odisseo alla richiestadella moglie? Con quale aggettivoviene definito il suo atteggiamento?

3.Quale espressione utilizza Omeroper esprimere la commozione prova-ta da Penelope nel momento in cuiha la certezza che lo sconosciuto siarealmente Odisseo? Trascrivila.

4.Penelope rivolge a Odisseo un tri-plice invito a “non” fare qualcosa.Cosa chiede al marito?

5. Indica, tra i seguenti aggettivi,quali sono riferiti a Odisseo (O) equali a Penelope (P). a. dolce c. fedeleb. saggio d. sdegnato

COMMENTOIl brano che hai appena letto descrive il commoven-te incontro tra Odisseo e la moglie Penelope. I duesono l’uno di fronte all’altra e l’eroe non ha piùl’aspetto lacero di un mendicante, bensì quello cheaveva quando tanti anni prima era partito dalla suapatria Itaca. Penelope però, almeno in apparenza, ri-mane fredda e indifferente, forse perché la sua delu-sione sarebbe troppo grande se quell’uomo non fos-se davvero l’amato marito. Per allontanare ogni dub-bio, chiede allora alla nutrice Euriclea di portare fuo-ri dalla stanza nuziale il letto perché lo sconosciutovi possa riposare. Così facendo Penelope gli tende unpiccolo tranello e quando l’uomo si mostra sconvol-to all’idea che il letto – da lui stesso costruito – siastato spostato, ogni dubbio scompare e Penelope sigetta piangendo tra le sue braccia; anche Odisseopiange, ma questa volta le sue lacrime non sono ditristezza, bensì di gioia. Le storie dei due sposi so-no dunque uguali: entrambi sono stati in pericolo,con pazienza hanno atteso e sopportato le sofferen-ze, ma adesso il dolore è finito e insieme sono tor-nati al centro del loro mondo di affetti, simboleggia-to dal letto ricavato da un solido albero di olivo.

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I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C AL’Eneide: il poemadegli antichi valori

L’Eneide – un poema composto alla fine del I secolo a.C. dal poeta lati-no Virgilio – racconta la storia del nobile principe troiano Enea, figlio diAnchise e della dea Venere, all’indomani della distruzione della sua cit-tà, Troia. Dal punto di vista della struttura, Virgilio costruisce la suaopera sul modello dei due poemi omerici: i primi sei libri, dedicati alleperegrinazioni di Enea, ripetono il modello dell’Odissea, mentre i secon-di sei, dove si descrive la conquista del Lazio, quello dell’Iliade.

Il poema virgiliano rientra nel programma politico dell’imperatore Otta-viano Augusto, che pose tra i propri obiettivi la celebrazione di Roma edelle sue origini e il ritorno agli antichi valori andati perduti in periododi guerra. Le origini della città dovevano dunque essere rivalutate: Ro-ma non doveva più nascere come piccolo paese di pastori sulle rive delTevere, simile a tanti altri sorti alle pendici dei Colli Albani, bensì comeluogo prediletto dagli dèi. Si mescolava così realtà storica e fascino delmito, celebrando al tempo stesso gli antichi ideali grazie ai quali un pic-colo villaggio era diventato la “capitale del mondo”. E se il desiderio diAugusto era appunto quello di esaltare la potenza di Roma, l’imperato-re ebbe la fortuna di trovare nei poeti a lui contemporanei, e soprattut-to in Virgilio, coloro che seppero ben realizzare tale aspirazione.

Volendo esaltare la gloria dell’Impero romano fin dalle origini, Virgiliodoveva in qualche modo collegare la storia della fondazione di Roma al-la leggenda di un eroe la cui fama fosse già nota attraverso i poemiomerici. Chi meglio di Enea – celebrato come il progenitore della fami-glia Giulia, alla quale apparteneva lo stesso Ottaviano – poteva essere ilnobile antenato dei Romani? Ed è dunque il suo nome che dà il titolo algrande poema virgiliano. L’invenzione di tutte le avventure di Enea peril Mar Mediterraneo dà inoltre al poeta la possibilità di rivolgere l’atten-zione su tutti quei luoghi che vedranno vittoriose le legioni romane:dall’Asia Minore alla Grecia, dall’Epiro alla Sicilia e alle coste dell’Africa.

publio virgilio marone

Publio Virgilio Marone nacque ad Andes, presso Mantova, il 15 ottobre del 70a.C. Il padre, proprietario terriero, fu in grado di fargli seguire un eccellente cor-so di studi, prima a Cremona e a Milano, poi a Roma.Quando, dopo la spartizione dell’Italia Cisalpina fra i veterani delle guerre ci-vili, le proprietà della sua famiglia furono confiscate, Virgilio dovette abban-

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l’eneide: il poema degli antichi valori 65

donare il proprio paese e stabilirsi a Roma, dove si dedicò alla poesia ottenen-do ben presto fama e successo con la sua prima opera, le Bucoliche, che vennespesso recitata in teatro da attori professionisti. Tra il 37 e il 30 a.C. composele Georgiche, il poema dei campi e del lavoro agricolo scritto su suggerimentodell’amico e protettore Mecenate, il quale a sua volta seguiva le linee generalidella politica culturale dell’imperatore Ottaviano Augusto, tesa a esaltare i va-lori della tradizione romana più antica.Nel 29 a.C. Virgilio iniziò a lavorare all’Eneide, a cui dedicò tutte le sue energieper dieci anni. Quando, nel 19 a.C., la morte lo colse, l’opera non era ancora ul-timata. Nel frattempo, insoddisfatto del proprio lavoro, aveva chiesto agli ami-ci di bruciare il manoscritto. Fu l’imperatore in persona, che conosceva e am-mirava alcune parti del poema, a opporsi, salvando così dalla distruzione que-sto capolavoro della poesia di tutti i tempi.

L’argomento generaleFuggito per mare con il padre Anchise, il figlio Ascanio e un gruppo di com-pagni da Troia in fiamme, Enea viene spinto da una terribile tempesta provo-cata dalla dea Giunone sulle coste cartaginesi, dove è accolto dalla reginaDidone, che allestisce un banchetto in suo onore. Su richiesta della donna,l’eroe inizia a narrare le vicende che hanno portato alla fine di Troia: l’ingan-no del cavallo e il falso racconto di Sinone, l’episodio di Laocoonte, la folliadei Troiani e la caduta della città.Il racconto di queste vicende drammatiche turba profondamente Didone: laregina si innamora dell’eroe che, dimenticando il compito assegnatogli dalFato (raggiungere l’Italia per fondare Roma), ricambia l’amore e si trattieneper un anno intero a Cartagine. Per volere degli dèi, dopo un anno di felicepermanenza, Enea è però costretto a partire senza cedere alle suppliche del-la regina, che cerca di trattenerlo con preghiere e lacrime. Didone, abbando-nata e disperata, si uccide mentre le navi troiane lasciano Cartagine. L’eroetroiano sbarca in Sicilia, a Drepano, dove un anno prima era morto suo padree dove Enea organizza giochi funebri in suo onore. Ripreso il mare, giunge a Cuma e si reca dalla Sibilla, che gli fa da guida nelmondo dell’oltretomba. Qui, dopo aver attraversato il fiume Acheronte sullabarca del terribile traghettatore di anime Caronte, incontra l’ombra di Dido-ne a cui spiega le ragioni del suo crudele abbandono e, nei Campi Elisi, quel-la di Anchise, che gli elenca le future grandezze di Roma.

La discesa agli Inferi

L’amore e il drammadi Didone

La tempesta e il racconto di Enea

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I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C A

MAR EGEO

MAR

IONIOM A R T I R R E N O

M A R M E D I T E R R A N E O

1 Troia

Tevere

13 Foci delTevere

2 TRACIA

6 Butroto

EPIRO

7 CICLOPI

11 Cuma

4 Creta

12 Gaeta

5 Strofadi8-10 Drepano

9 Cartagine

3 Delo

IL VIAGGIO DI ENEA

Dopo varie avventure l’eroe troiano giunge finalmente alle foci del Tevere,ma il suo arrivo provoca una guerra tra le popolazioni italiche. Causa di taleconflitto è Lavinia, la figlia del re del Lazio: il padre Latino decide infatti didarla in moglie a Enea, mentre Amata, la madre, l’aveva già promessa a Tur-no, il re dei Rutuli. In vista della guerra Enea cerca l’alleanza del re Evandro,che gli assegna una schiera di cavalieri con a capo il proprio figlio Pallante.I combattimenti provocano vittime in entrambi gli schieramenti, e tra gli al-tri muoiono anche i giovani troiani Eurialo e Niso, amici inseparabili perfinonella morte. Chiude il poema il duello fra Enea e Turno, la cui morte sancisce la definiti-va vittoria dei Troiani sui Latini, il compimento del Fato predetto a Enea el’inizio della supremazia dell’eroe e dei suoi discendenti sul Lazio.

L’arrivo in Italia e la guerra

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l’eneide: il poema degli antichi valori 67

GLI DèI

ZeusRe degli dèi, osserva dall’alto del-l’Olimpo le vicende che coinvolgo-no Odisseo, intervenendo al mo-mento opportuno.

PoseidonePotentissimo dio del mare e fra-tello di Zeus, odia Odisseo, per-ché questi gli ha accecato il fi-glio Polifemo. Perciò scatena unaterribile tempesta quando l’eroeè ormai vicino alla terra dei Fea-ci. L’autorità di Poseidone è cosìgrande, che solo in sua assenzaZeus decide di intervenire in fa-vore di Odisseo.

AtenaDea protettrice di Odisseo e dellasua famiglia, aiuta l’eroe nelledifficoltà e interviene in favoredel figlio Telemaco.Riesce anche a calmare le ansiedi Penelope, ma non può far nul-la per aiutare Odisseo quandoquesti è in mare, sul quale domi-na il potentissimo dio Poseidone.

GLI UOMINI E LE DONNE

PriamoÈ il vecchio saggio e leale re diTroia, che invidiato per potenza,ricchezza, numerosa discenden-za, è però condannato da un de-stino crudele ad assistere alla ro-vina della sua gente e della suacittà.

AndromacaÈ la moglie di Ettore e la madredel piccolo Astianatte. Il suo ul-timo incontro con il marito è unodei momenti più commoventi delpoema: un episodio di vita fami-liare rattristato dalla guerra cheporterà per tutti rovina e morte.

ErmesÈ il messaggero degli dèi. Vienemandato da Zeus nell’isola di Ogi-gia presso la ninfa Calipso, perconvincerla a lasciar partire Odis-seo.

EoloDio dei venti, accoglie benevol-mente Odisseo e gli offre un otrein cui ha rinchiuso tutti i venticontrari alla navigazione, lascian-do fuori solo Zefiro, perché il viag-gio possa procedere tranquillo.

EcubaMadre di Ettore, il primogenito, e di Paride, il più piccolo dei suoi figli. Fra le sue figlie si ricordano Creusa, laprima moglie di Enea, e Cassandra, la profetessa che prediceva il futuro ma non era mai creduta da nessuno.Assiste dalla torre di Troia allo scempio del corpo del figlio Ettore, trascinato intorno alle mura dal cocchiodi Achille.

EttoreFiglio del re Priamo, ha il coman-do di tutte le forze troiane. Tre-mendo in battaglia, è un marito eun padre affettuosissimo. Ha spo-sato Andromaca, dalla quale haavuto un solo figlio: Astianatte.

GLI DèI

GioveChiamato dai Greci Zeus, è sim-bolo della giustizia e della ragio-ne; anche nell’Eneide, come neipoemi omerici, si sottomette alvolere del Fato, cioè del Destino.

GLI UOMINI E LE DONNE

GiunoneSorella e moglie di Giove – chia-mata dai greci Era – perseguitaEnea perché sa che la futura Ro-ma, destinata a nascere dalla suastirpe, distruggerà la sua cittàprediletta, Cartagine.

VenereIdentificata con la dea greca Afro-dite, è la madre di Enea, che pro-tegge sempre. Favorisce l’amoretra Enea e Didone in modo che ilfiglio abbia una buona accoglien-za presso la regina.

I personaggi principali

Enea Figlio di Venere, è l’eroe protago-nista del poema. Destinato dalFato a dare origine alla potentestirpe romana, vaga a lungo peril Mediterraneo affrontando, conl’aiuto degli dèi, numerose av-venture. La pietà verso i parentie il rispetto per la divinità sonole sue virtù più note.

TurnoOrgoglioso e sfrontato capo deiRutuli, è il promesso sposo di La-vinia, che il re Latino decide in-vece di dare in moglie a Enea. Nenasce una guerra nel corso dellaquale il giovane Turno morirà.

AscanioUnico figlio di Enea, ha un’età in-definibile: a volte sembra un de-licato fanciullo, a volte un adole-scente robusto. Viene chiamatoanche Iulo.

LaviniaFiglia di Latino, è la promessasposa di Turno. La decisione delpadre di darla in moglie a Enea ècausa di una sanguinosa guerratra le popolazioni italiche.

DidoneÈ la giovane e bella regina di Car-tagine. Esule dalla Fenicia, doveha perso il marito e abbandonatola propria città Tiro, regna onora-ta dai sudditi e dai re vicini. Ac-coglie in modo ospitale Enea, dicui si innamora, e quando l’eroel’abbandona si uccide.

AnchiseÈ il padre di Enea. Durante l’in-cendio di Troia, Enea lo salva dal-le fiamme. È la guida del figlio davivo, e nell’aldilà gli è affidata laprofezia dei gloriosi discendentidi Enea e della futura grandezzadi Roma.

LatinoRe del Lazio. Accoglie benevol-mente Enea a cui promette inmoglie la figlia Lavinia scatenan-do così l’ira di Turno, a cui lafanciulla era già stata promessa.

CreusaÈ la sposa di Enea, madre di Asca-nio. Sparisce durante l’incendio diTroia e ad Enea, che torna a cer-carla, appare sotto forma di om-bra, invitandolo a continuare lafuga senza di lei. Questo è infattiil volere degli dèi.

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Il cavallo di legnoCome nell’«Odissea», anche nell’«Eneide» l’azione comincia quando leperegrinazioni dell’eroe si sono in gran parte già svolte. Le navi di Eneainfatti, dopo sette anni di viaggio, sono ormai vicine alle coste dell’Ita-lia, quando una furiosa tempesta le costringe a dirigersi verso Cartagine,la città africana su cui regna Didone. Per accogliere degnamente gli ospi-ti e festeggiarli, la regina ordina che si tenga in loro onore uno splendidobanchetto. Sollecitato dalla stessa Didone, Enea inizia a raccontare la tri-ste fine di Troia e le drammatiche avventure che ha dovuto affrontare pri-ma di giungere alle coste africane.

Il racconto di EneaTacquero tutti e tenevano attento lo sguardo.Allora dall’alto giaciglio il padre Enea cominciò:«Mi chiedi, o regina, di rinnovare un dolore indicibile,il modo tenuto dai Danai nel distruggere la potenza troiana

5 e il regno sventurato, tristissimi fatti dei qualifui testimone e protagonista. Chi mai a raccontarli, Mirmidone o Dolope o soldato del duro Ulisse,frenerebbe le lagrime? E già l’umida notte discendedal cielo e le stelle al tramonto conciliano il sonno.

10 Ma se desideri tanto di conoscere le nostre vicendee di udire brevemente l’estremo travaglio di Troia,sebbene l’animo inorridisca al ricordo e sempre si sia

abbandonato al piantocomincerò. Stremati dalla guerra e respinti dai fati,i capi dei Danai, trascorsi ormai tanti anni,

15 per divina arte di Pallade costruiscono un cavallo

68

4. Danai: vale per Greci. Ilnome deriva da Danao, ilmitico fon datore del Re-gno di Argo.7. Mirmidone o Dolope: iMirmidoni e i Dolopi eranopopoli della Tessaglia, unaregione settentrionale del-la Grecia su cui regnavaAchille.11. l’estremo travaglio: conqueste parole Virgilio indi-ca l’ultima notte di Troia,notte che vide la cadutadella città.15. Pallade: altro nomedella dea Atena, chiamataMinerva dai Romani.

I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C A

Il racconto di Enea Tutti tacquero e rivolsero lo sguardo attento [verso Enea]. AlloraEnea, seduto su un triclinio, cominciò [a parlare]: «O regina, mi chiedi di rinnovare ungrande dolore, di raccontarti come i Greci distrussero la potenza troiana (5) e lo sfortu-nato regno, vicende dolorosissime di cui fui testimone e protagonista. Chi mai, fra glistessi Mirmidoni o fra i Dolopi, soldati del forte Ulisse, potrebbe non piangere nel rac-contare [quelle vicende]?E la notte umida [di rugiada] scende già dal cielo e le stelle invitano al sonno. (10) Mase desideri tanto conoscere le nostre vicende e ascoltare brevemente [il racconto dell’]ultima fatica di Troia, nonostante il mio animo inorridisca al [solo] ricordo e si com-muova, comincerò [a raccontare]. Sfiniti dalla guerra e ostacolati dal destino contrario,i capi dei Greci, [essendosi resi conto che] ormai [sono] trascorsi tanti anni, (15) co-struiscono con l’aiuto divino di Pallade un cavallo simile a un monte, con i fianchi co-

I brani riportati sono tratti da Virgilio, Eneide, traduzione a cura di L. Canali, Einaudi

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a misura di monte e ne intessono i fianchi di abete;simulano un voto per il ritorno, la fama si sparge.Qui rinchiudono di frodo nel fianco oscuro prescelticorpi di eroi designati a sorte, e le vaste

20 profonde caverne del ventre riempiono d’uomini armati.Davanti è Tenedo in vista, famosa isola,florida e ricca durante il regno di Priamoora soltanto una baia, una sosta malfida alle navi;qui, spintisi al largo, si celano nella riva deserta.

25 Pensammo che fossero partiti con il vento diretti a Micene.Allora tutta la Teucria si scioglie da un lungo dolore.Si aprono le porte; piace l’andare, e il doricocampo e i luoghi deserti vedere e la libera spiaggia.Qui la schiera dei Dolopi, qui di Achille crudele la tenda,

30 qui la flotta, qui usavano combattere schierati.Parte al dono esiziale per la vergine Minerva stupisce,ed ammirano la mole del cavallo; e per primo Timeteesorta a introdurlo tra le mura e a collocarlo sulla rocca,si trattasse d’inganno, o già comportasse così

35 il destino di Troia. Ma Capi e quelli che hanno in menteun migliore pensiero, vogliono che si getti in mare il tranellodei Danai, il dono sospetto, o si arda appiccandovi fiamme,o si forino le cavità del ventre e si esplorino i nascondigli.Il popolo incerto si divide in opposti pareri.

l’eneide: il poema degli antichi valori 69

22. Priamo: il re di Troia.25. Micene: potente cittàdell’Argolide (nel centro del -la Grecia) da cui era giun-to un gruppo numeroso diguerrieri sotto il comandodi Agamennone.26. Teucria: la terra deiTroiani, detti anche Teucri.27. dorico: dei Dori. I Dorierano una delle principalistirpi della Grecia.32. Timete: è il fratello delre Priamo.35. Capi: un compagno diEnea.

stituiti da travi di abete unite tra loro: fingono che si tratti di un’offerta votiva per ave-re un ritorno [sicuro e veloce in patria] e la voce si sparge. Rinchiudono di nascosto al-l’interno del cavallo alcuni eroi valorosi tirati a sorte, (20) riempiendo [così] di uominiarmati la vasta cavità del ventre [del cavallo]. Di fronte a Troia è visibile Tenedo, un’iso-la famosa, ricca e rigogliosa durante il regno di Priamo, [ma] ora soltanto un golfo, unapprodo poco sicuro per le navi; qui, una volta preso il mare, [i Greci] si nascondonosulle rive deserte. (25) Noi pensavamo che fossero partiti diretti a Micene. Ed ecco al-lora che la Teucria, liberatasi dalle lunghe sofferenze [che aveva dovuto sopportare fin-ché era durata la guerra], apre le sue porte e tutti corrono a vedere l’accampamentogreco, i luoghi deserti e la spiaggia abbandonata: in questi luoghi si trovavano le schie-re dei Dolopi, qui la tenda del crudele Achille, (30) qui si trovava la flotta, e qui [i Gre-ci] erano soliti schierarsi per la battaglia. Alcuni [Troiani] provano stupore per il donorovinoso [che i Greci dicevano di aver dedicato alla] vergine Atena, e ammirano la gran-dezza del cavallo; e Timete è il primo a insistere per farlo entrare in città e collocarlosulla rocca: non si sa se lo fece per tradimento o perché volesse già così (35) il destinodi Troia. Ma Capi e coloro che si rendevano conto [della pericolosità di quel dono] vo-gliono che si getti in mare il cavallo dei Greci, dono sospetto, o gli si dia fuoco, o siaprano le cavità del ventre perché possano essere esplorate. Il popolo troiano è incer-to [sul da farsi] e diviso in due pareri opposti.

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L’intervento di Laocoonte40 Per primo accorre, davanti a tutti, dall’alto

della rocca Laocoonte adirato, seguito da una grande turba;e di lungi: «Sciagurati cittadini, quale così grande follia?credete partiti i nemici? o stimate alcun donodei Danai privo d’inganni? Così conoscete Ulisse?

45 O chiusi in questo legno si tengono nascosti Achei,o questa macchina è fabbricata a danno delle nostre mura,per spiare le case e sorprendere dall’alto la città,o cela un’altra insidia: Troiani, non credete al cavallo.Di qualunque cosa si tratti, ho timore dei Danai

50 anche se recano doni». Disse, e avventò con vigoregagliardo la grande asta al fianco della fiera ed al ventredalle curve giunture. Quella s’infisse vibrando e dall’alvopercosso risuonarono le cavità e diedero un gemito le caverne.E se i fati degli dèi, se la nostra mente non era funesta,

55 egli ci aveva sospinti a violare il nascondiglio argolico con il ferro;oggi Troia si ergerebbe, e tu, alta rocca di Priamo, dureresti

ancora.

La cattura di un prigioniero grecoIntanto dei pastori dardanidi traevano al recon grande clamore un giovane,con le mani legate sul dorso, che ignoto s’era offerto

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41. Laocoonte: sacerdote diApollo che, istintivamente,diffida del dono greco.55. violare … argolico:aprire il ventre del cavalloche nascondeva i guerrierigreci, chiamati argolici daArgo, una città della Gre-cia.57. dardanidi: discendentidi Dardano, capostipite deiTroiani.58. un giovane: si tratta diSinone, astutissimo amicodi Ulisse.

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C L A S S I C A

L’intervento di Laocoonte Ed ecco accorrere per primo giù dalla rocca, davanti a tut-ti e seguito da una folla numerosa, Laocoonte che da lontano [grida] infuriato: «O in-felici, che pazzia è codesta? Credete che i nemici siano partiti? Che i Greci facciano undono che non nasconde un inganno? È così che conoscete Ulisse? (45) O i Greci se nestanno nascosti in questo [cavallo di] legno o questa macchina è stata costruita perportare danno alle nostre mura, per osservare di nascosto le nostre case e piombare sul-la città dall’alto oppure vi è [sicuramente] nascosto un altro inganno: Troiani, non fi-datevi del cavallo. Di qualunque cosa si tratti, ho paura dei Greci (50) anche quando portano doni». Cosìparlò e scagliò con grande forza una lancia, che colpì il cavallo tra il fianco e il ventre.La lancia si conficcò vibrando e dal ventre colpito [da essa] risuonarono le [ampie] ca-vità. E se il destino non fosse stato sfavorevole [a Troia], se le nostre menti fossero sta-te lucide, (55) [il gesto di] Laocoonte ci avrebbe spinto a scoprire il nascondiglio deiGreci e oggi Troia, con l’alta rocca di Priamo, esisterebbe ancora.

La cattura di un prigioniero greco Intanto alcuni pastori troiani trascinano [di fronte] alre, con forti grida, un giovane sconosciuto con le mani legate dietro la schiena, che si era

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60 a chi veniva, per tramare proprio questo, aprireTroia agli Achei, risoluto d’animo e pronto ad entrambele sorti, ordire inganni o incontrare sicura morte.Per desiderio di vedere, la gioventù troiana s’affollaed accorre da tutte le parti, e gareggiano a schernire il prigioniero.

65 Ora ascolta le insidie dei Danai e dal crimine di uno solo,conoscili tutti.

Sinone, questo è il nome del giovane greco istruito da Ulisse, inventa unastoria che appare credibile ai Troiani, in modo da indurli a trasportare ilcavallo entro le mura di Troia.

Il racconto di Sinone«Ogni speranza dei Danai e fiducia della guerraintrapresa si fondò sempre sull’aiuto di Pallade.Da quando l’empio Tidide e l’inventore di misfatti Ulisse,

165 accinti a strappare dal sacro tempio il fatalePalladio, uccise le sentinelle del sommo della rocca,rapirono la sacra effigie e con le mani insanguinateosarono toccare le virginee bende della dea,da allora la speranza dei Danai rifluì e si ritrasse

170 dileguando, infrante le forze, avversa la mente della dea.Per mezzo d’indubbi prodigi la Tritonia ne diede segni.Appena posero il simulacro nel campo, arsero fiammecorrusche nei suoi occhi sbarrati, e un salso sudore

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65. ascolta: Enea si rivolgea Didone.164. l’empio Titide: il mal-vagio Diomede, figlio diTideo.166. Palladio: è la statuadi Pallade, la protettrice diTroia. Gli oracoli avevanopredetto che finché la sta-tua fosse rimasta al suoposto, la città non sareb-be caduta. Ma Diomede eUlisse l’avevano portata viae da quel momento, secon-do il racconto di Sinone,Atena era divenuta nemicadei Greci.171. Tritonia: è Atena, co-sì chiamata dal nome dellago Tritone (in Libia) do-ve, secondo una leggenda,era nata.

consegnato [spontaneamente] (60) ai Troiani con il piano di aprire [le porte di] Troia aiGreci; sicuro di sé e pronto a entrambe le possibiltà: o compiere l’inganno o essere ucciso.Desiderosa di vedere [cosa sta accadendo], la gioventù troiana si accalca e accorre datutte le parti, e ognuno, a gara, si prende gioco del prigioniero. (65) Ora ascolta gli inganni dei Greci e impara a conoscerli tutti dal comportamentomalvagio di uno solo.

Il racconto di Sinone «Tutte le speranze dei Danai e la fiducia nella vittoria erano ripo-ste nell’aiuto di Atena. Ma da quando lo spietato figlio di Tideo e Ulisse inventore di in-ganni, (165) decisi a rapire dal sacro tempio [di Troia] la statua del Palladio che il Fatoaveva posto a protezione [della città], uccise le sentinelle della parte più alta della roc-ca, portarono via l’immagine sacra e con le mani insanguinate osarono toccare le bende[sacre alla] vergine dea [Atena], da allora le speranze dei Greci vennero meno (170) esvanirono, ora che la volontà della dea era ostile si indebolirono le [loro] forze. La dea det-te chiari segni [della sua ostilità] con prodigi evidenti. Appena posero nel campo la statua[del Palladio], si sprigionarono fiamme rosseggianti dai suoi occhi sbarrati e un sudore sa-

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corse per le sue membra, e tre volte - mirabile a dirsi - 175 sobbalzò lampeggiando sul suolo, brandendo lo scudo e l’asta

vibrante.Subito Calcante vaticina che si deve fuggire per mare,e che Pergamo non si può distruggere con armi argoliche,se non ricerchino auspici ad Argo e riportino il simulacrotrasportandolo con sé sulle acque e sulle curve carene.

180 Ed ora, poiché veleggiarono alla patria Micene,si preparano armi e dèi favorevoli, e rivarcato il maregiungeranno improvvisi. Così interpreta gli auspici Calcante.Esortati da lui collocarono questa effigie in compenso

del Palladio,in compenso del nume offeso, affinché espiasse l’infausto

185 sacrilegio. Tuttavia Calcante ordinò di elevare l’immensamole con roveri conteste, e di erigerla fino al cielo,perché non si potesse accogliere tra le porte o condurre

tra le mura,né proteggesse il popolo all’ombra dell’antica religione.Infatti se la vostra mano violasse i doni offerti a Minerva,

190 allora - prima gli dèi volgano l’auspicio su Calcante! -

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177. Pergamo: è la rocca,la parte più antica e sacradella città di Troia.179. carene: sono gli scafidelle navi.183. questa effigie: è ilcavallo di legno lasciato,dice Sinone, per placarel’ira della dea. È stato co-struito così grande perrenderne difficoltosa lacollocazione all’interno del-le mura della città, doveavrebbe preso il posto delPalladio.

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lato percorse le sue membra, e per tre volte - cosa straordina-ria a dirsi - (175) [la statua] sobbalzò sul suolo lampeggian-do, con in pugno lo scudo e la lancia vibrante. Subito [l’indovino] Calcante predice che si deve fuggire permare e che Pergamo non potrà essere conquistata dalle ar-mi greche se non si cercano, ad Argo, buoni auspici [da par-te degli dèi] e se non si riporta la statua [del Palladio in cit-tà] trasportandola sulle acque [del mare] e sulle navi curve.(180) E ora, dopo che sono partiti diretti alla patria Mice-ne, si preparano in modo da avere l’aiuto militare e il favo-re degli dèi e, attraversato nuovamente il mare, giungeran-no inaspettatamente. Così Calcante interpreta i presagi. Alposto del [trafugato] Palladio e per calmare la divinità of-fesa, esortati dall’indovino Calcante, collocarono questastatua [a forma di cavallo] per espiare (185) il sacrilegioche porta con sé rovina. Tuttavia Calcante ordinò di costrui-re [questo cavallo di] grandezza immensa con [tavole di le-gno di] rovere unite insieme e di innalzarlo fino al cielo inmodo tale che non si potesse farlo entrare [a Troia] attra-verso le porte o portarlo all’interno delle mura dove, secon-do le antiche credenze, avrebbe protetto il popolo. Infattise la vostra mano violasse i doni offerti a Minerva (190) -voglia il cielo che tale auspicio si rivolga contro Calcante -

Gli indovini Nel racconto delle im-prese dei personaggi del mito gli indovinihanno grande importanza: sono uomini edonne ai quali gli dèi e in particolare Apol-lo, dio della divinazione, hanno concesso lacapacità di predire gli avvenimenti futuri.Gli indovini riescono così – in un momentodi ispirazione improvvisa concesso diretta-mente dal dio o attraverso l’interpretazionedei segni naturali (il volo degli uccelli, le vi-scere estratte dagli animali sacrificati, ecc.)– a spiegare all’uomo la volontà degli dèi.Un saggio indovino è, ad esempio, Calcanteche viene interpellato nei momenti più deli-cati della guerra di Troia e dà i suoi respon-si interpretando il volo degli uccelli. È luiche, nel poema L’Iliade, spiega ai Greci l’ori-gine della terribile pestilenza nel loro cam-po: l’epidemia è stata inviata da Apollo, ira-to per l’offesa fatta al suo sacerdote Crise.

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una grande rovina accadrebbe all’impero di Priamo ed ai Frigi;se invece per mano vostra ascendesse alla vostra città,l’Asia verrebbe spontaneamente con grande guerra alle muradi Pelope, e questi fati toccherebbero ai nostri nipoti».

Libro II, vv. 1-66, 162-194

I Troiani, fidandosi delle parole di Sinone,introducono all’interno delle mura il cavallodal cui ventre escono di notte i Greci che visi erano nascosti: essi aprono le porte al-l’esercito ritornato da Tenedo e mettono aferro e fuoco la città. Enea corre in difesa

dei suoi concittadini, precipitandosi verso lareggia, dove assiste impotente alla morte di Pria-mo. Le parole della madre Venere convincono

l’eroe ad abbandonare la città in fiamme insieme alpadre Anchise, al figlio Ascanio e alla moglie Creu-

sa, che però scompare durante la fuga. Dopoaver allestito una flotta, e seguendo la vo-lontà degli dèi, riprende poi il mare in cerca

di una nuova patria, finché una tempesta nonspinge le sue navi sulle coste africane. Qui ter-

mina il racconto di Enea che la regina, affascina-ta, ha seguito con grande interesse.

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192. ascendesse: salisse;Omero usa questo verboperché la rocca è in posi-zione sopraelevata.194. Pelope: padre di Atreoe quindi nonno di Agamen-none e Menelao; dal suonome derivò quello di Pelo-ponneso.

una grande rovina colpirebbe il Regno di Priamo e tutti i Frigi; se invece voi stessi lo in-troduceste nella vostra città, tutta l’Asia entrerebbe in guerra spontaneamente contro[Argo], la città di Pelope e questi eventi si compirebbero [al tempo dei] nostri nipoti».

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I L M O N D O D E L L’ E P I C A

C L A S S I C ACOMMENTOPer ideare il terribile marchinge-gno del cavallo erano necessarietutta l’astuzia e la scaltrezza diUlisse. Ma per riuscire definiti-vamente nell’intento era fonda-mentale la capacità di persua-sione di Sinone: la parte più dif-ficile, infatti, era convincere iTroiani a introdurre il cavallo incittà. Occorreva infatti una pro-fonda conoscenza dell’animo uma-no, perché una parola sbagliatao una piccola contraddizione neldiscorso avrebbero fatto fallire ilpiano. Sinone dimostra di averetutte le qualità del bravo orato-re: sembra un attore espertoche, con grande naturalezza, rie-sce a convincere il pubblico del-la sincerità delle proprie parole.L’episodio di cui l’astuto amicodi Ulisse è protagonista, dimo-stra che nel mondo classico l’ar-te della parola aveva un’impor-tanza determinante: per gli anti-chi Greci chi sapeva parlare inmodo persuasivo aveva la facol-tà di dominare gli altri, di sotto-metterli alla propria volontà, edunque la parola era uno stru-mento indispensabile per acqui-sire potere. Per questo, proprioil mondo greco dette vita alla“retorica”, cioè alla scienza o ar-te dell’eloquenza, della persua-sione, che sarebbe divenuta in-dispensabile nell’educazione delgiovane.

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1. Su invito di Didone, Enea inizia il suo lungo raccon-to. Qual è il «dolore indicibile» a cui allude l’eroe alv. 3?

2. In quale momento della giornata Enea inizia a rac-contare?

3. Fin dall’inizio si stabilisce una relazione tra il cavallodi legno e l’inganno. Si dice che il cavallo è statocostruito per… E invece…

4. Qual è la reazione dei Troiani quando pensano che iGreci se ne siano andati?

5. Cosa dice il sacerdote Laocoonte riguardo al cavallo?

6. Nel brano compare per due volte il nome di un famo-so eroe greco, Ulisse, l’Odisseo omerico. La primavolta (v. 7) è definito «duro»: cosa significa tale ag-gettivo in questo contesto? La seconda volta (v. 164)si lascia invece intendere che Ulisse è un «invento-re» di cosa?

7. Che scopo si prefigge il giovane Sinone?

8. Nel suo racconto, Sinone allude al fatto che la deaAtena ha cessato di proteggere i Greci. Qual è il mo-tivo di questo “voltafaccia”?

9. Con quali “messaggi” la dea esprime tutta la suaostilità?

10. Cos’era il Palladio?a. una lancia sacra ad Apollob. una statuetta posta a protezione della città di Troia

c. un gioiello sacro ad Atena

11. Cosa predice, secondo Sinone, l’indovino greco Cal-cante? Come consiglia di rimediare all’offesa arrecataad Atena?

12. Perché, sempre secondo il racconto di Sinone, si èdeciso di costruire un cavallo di legno di proporzionicosì gigantesche?

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La morte di DidoneDue dee dell’Olimpo, Venere e Giunone, vedono di buon occhio l’amore chenasce nel cuore di Didone per l’eroe troiano. Venere infatti cerca sempre diproteggere suo figlio Enea e dunque fa in modo che la regina si innamoridi lui, mentre Giunone terrà lontano l’eroe dal Lazio e dalla futura poten-za di Roma, la città nemica di Cartagine, che la dea protegge. Entrambefavoriscono così l’amore fra i due, che vivono felicemente insieme per unanno. Successivamente però interviene Giove, richiamando l’eroe al rispet-to della volontà del Fato e ordinandogli di partire. Enea obbedisce lascian-do nella disperazione Didone, che invano ha tentato di trattenerlo.

Il dolore di DidoneE già la prima Aurora, lasciando il croceo letto

585 di Titone, cospargeva di nuova luce la terra.La regina, appena dall’alto della rocca vide biancheggiarela luce, e la flotta procedere a vele allineate,e scorse le rive e i porti vuoti, privi di equipaggi,percuotendo tre e quattro volte con la mano il florido

590 petto, strappandosi le bionde chiome, «O Giove» esclamò,«lo straniero se n’andrà schernendo in tal modo il mio regno?I miei non prenderanno le armi, non accorreranno da tutta la città,non strapperanno le navi dai cantieri? Andate, portateveloci le fiamme, date armi, forzate sui remi!

595 Che dico? dove sono? che follia mi sconvolge la mente?Infelice Didone! adesso le empie azioni ti toccano?Allora dovevano, quando accordavi lo scettro.Ecco la destra e la lealtà di chi si dice che rechi

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584. croceo: di coloregiallo dorato; dal latinocrocus, zafferano.585. Titone: è lo sposodel l’Aurora che chiese perlui l’immortalità, ma nonla giovinezza.591. lo straniero: Enea.

Il dolore di Didone E già l’Aurora, alzandosi dal letto color giallo oro (585) di Titone,spargeva sulla terra la luce di una nuova giornata. La regina appena vide albeggiare dal-l’alto della rocca e [si accorse che] la flotta di Enea stava allontanandosi con le vele al-lineate e vide la spiaggia e il porto deserti, privi di equipaggi, percuotendosi con la ma-no per tre o quattro volte (590) il petto e strappandosi i capelli biondi esclamò: «O Gio-ve, lo straniero se ne andrà disprezzando così il mio regno? I miei concittadini non pren-deranno le armi, non accorreranno da tutta la città, non si imbarcheranno [per combat-tere contro Enea] salendo sulle navi ora ancorate nei cantieri? Andate [dunque], porta-te il fuoco, prendete le armi, ponete mano con forza ai remi! (595) Ma che dico? dovesono? che pazzia mi sconvolge la mente? Povera Didone! solo ora ti accorgi delle [sue]azioni malvagie? Allora dovevi [accorgertene], quando gli offrivi lo scettro [del tuo re-gno facendolo partecipe del potere]. Ecco la fede e la lealtà di chi va dicendo di portare

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con sé i patrii Penati, ed abbia portato in spalla600 il padre stremato dagli anni! Non potevo sbranarne

il corpo e disperderlo nell’onde? e uccidere col ferro i compagnie lo stesso Ascanio, e imbandirlo sulla mensa del padre?Ma incerta era la lotta. E lo fosse stata! Chi mai,moritura, dovevo temere? Avessi portato fiaccole

605 nel campo, e riempito le tolde di fiamme, estinto il figlioe il padre e la stirpe, gettata sul rogo me stessa!

La maledizione di DidoneO sole, che illumini con le fiamme tutte le opere della terra,e tu, Giunone, autrice e complice dei miei affanni,Ecate invocata per la città nei notturni trivii ululando,

610 e Dire vendicatrici, e dèi della morente Elissa,accogliete quello che dico, punite con giusta potenza i malvagie ascoltate le mie preghiere. Se l’infame deve raggiungereil porto e approdare alla terra e questo richiedonoi fati di Giove, e il termine resta immutabile:

615 ma travagliato dalle armi e dalla guerra d’un popolo audace,bandito dalle terre, strappato all’abbraccio di Iulo,implori aiuto, e veda le immeritate mortidei suoi, e quando si sia piegato alle leggi d’una paceiniqua, non goda del regno e del dolce lume;

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600. il padre ... dagli anni:è detto con sarcasmo. L’uo-mo che l’abbandona contanta crudeltà non può es-sere lo stesso che onorò lapatria portandosi dietro lestatuette sacre dei Penati etrasportando il vecchio pa-dre sulle spalle lontano dal-le fiamme di Troia!602. imbandirlo sulla men-sa: preparare un banchettocon le carni di Ascanio do-po averlo ucciso.605. tolde: la tolda è il pia-no superiore e scoperto diuna nave.609. Ecate: è la luna, versola quale ululano lupi e ca-ni, e che era invocata neitrivii (incroci di strade) nelcorso di cerimonie magi-che collegate alla distru-zione e alla morte.610. Dire: sono le Furie,demoni del mondo infer-nale. – Elissa: è l’altro no-me di Didone.616. Iulo: altro nome diAscanio, il figlio di Enea.

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con sé i Penati e di aver portato sulle sue spalle (600) il padre ormai anziano! Non avreipotuto allora sbranare il suo corpo e gettarlo in mare? e uccidere con la spada i [suoi]compagni e lo stesso Ascanio, e presentarlo poi alla mensa del padre? Senza dubbio sa-rebbe stato incerto l’esito della lotta. Ma anche se lo fosse stato, cosa dovevo temere,visto che il mio destino era quello di morire? Avessi incendiato (605) l’accampamento[troiano] e le [loro] navi, avessi ucciso Enea e [suo] figlio e l’intera stirpe [troiana], emi fossi gettata anch’io tra le fiamme!

La maledizione di Didone O sole che illumini con i tuoi raggi tutta la terra e tu Giu-none, artefice e complice di questa mia passione, e tu Luna, invocata con ululati duran-te la notte agli incroci della città (610) e voi Furie vendicatrici, e voi dèi protettori diDidone morente, ascoltate le mie parole, punite i malvagi come si deve e accogliete lemie preghiere. Se ormai è destino che il malvagio [Enea] debba arrivare in porto e ap-prodare a terre [lontane] e se questo è veramente ciò che vogliono gli dèi, e questo èormai inevitabile [che avvenga]: (615) tuttavia, oppresso dalla guerra di un popolo fe-roce, lontano dalla propria patria, separato da Iulo, chieda aiuto e veda morire orren-damente la sua gente, e quando anche avrà dovuto accettare le condizioni di una paceper lui umiliante, non goda del suo regno né della luce [del sole];

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620 ma cada prima dell’ora, insepolto tra la sabbia.Di questo vi prego, col sangue effondo quest’ultima voce.E voi, o Tirii, tormentate con odio la sua stirpee tutta la razza futura, offrite un tal donoalle nostre ceneri. Non vi sia amore né patto tra i popoli.

625 E sorgi, vendicatore, dalle mie ossa,e perseguita col ferro e col fuoco i coloni dardanii,ora, in seguito, o quando se ne presenteranno le forze.Lidi opposti ai lidi, onde ai fluttiauguro, armi alle armi; combattano essi e i nipoti».

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622. E voi ... nipoti: Dido-ne morente invoca e profe-tizza la nascita di un ven-dicatore, Annibale. L’odiodel grande generale carta-ginese per Roma, infatti,non lo abbandonò finchévisse, per quante sconfitteavesse ricevuto.

(620) ma muoia ancora giovane [e rimanga] sulla sabbia senza una sepoltura. Chiedoquesto ed esprimo con il sangue questa mia ultima preghiera. E voi Tirii, perseguitatela sua stirpe e tutta la razza che ne deriverà; offrite questo sacrificio alle mie ceneri.Non esista mai fra i due popoli amore o un qualsiasi accordo. (625) Dalla mia stirpe na-sca un giorno un vendicatore e perséguiti con le armi i coloni troiani ora e sempre, ognivolta che se ne presenterà l’occasione. Che le coste e i mari dei due paesi siano semprein lotta fra loro, ora e in futuro».

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Didone, disperata, pensa subito al suicidio e si rivolge alla nutrice perchévada a chiamare la sorella Anna. Dà poi ordine di preparare una cerimoniasacra che dice di voler compiere per dimenticare Enea. La nutrice non intui-sce la terribile intenzione della regina, e fa quanto le è stato detto.Rimasta sola Didone, fuori di sé, sale sul rogo dove ha fatto porre tutto ciòche era appartenuto a Enea. Sguaina la spada, pronta a rivolgerla contro sestessa, ma si blocca contemplando il letto e le vesti dell’eroe: ora che sta perdistruggere tutti i segni dell’amore e la propria vita, il passato la riafferra.

La tragica fine di DidoneHo vissuto, e percorso la via che aveva assegnato la sorte,e ora la mia ombra gloriosa andrà sotto la terra.

655 Ho fondato una splendida città, ho vedutomura da me costruite, vendicato lo sposo, punitoil fratello nemico; felice, troppo felice, se solo le navidardanie non avessero mai toccato le nostre rive!».Disse, e premendo le labbra sul letto: «Moriremo invendicate,

660 ma moriamo» esclamò. «Così desidero discendere tra le ombre.Beva questo fuoco con gli occhi dal mare il crudeledardanio, e porti con sé la maledizione della mia morte».Disse; e fra tali parole le ancelle la vedono gettarsi sul ferro, la spada schiumante e le mani

665 bagnate di sangue. Vanno le grida negli altiatrii; imperversa la Fama per la città sgomenta.Le case fremono di lamenti, di gemiti, di urlafemminee; il cielo risuona d’un grande pianto.Come se, penetrati i nemici, precipiti tutta

670 Cartagine o l’antica Tiro, e fiamme furentisi propaghino per i tetti degli uomini e i templi degli dèi.

Libro IV, vv. 584-629, 653-671

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655. una splendida città: èCartagine, fondata da Di-done sulle coste dell’odier-na Tunisia.657. il fratello nemico:Pigmalione, il fratello diDidone, aveva ucciso il co-gnato Sicheo per impadro-nirsi delle sue ricchezze,ma non era riuscito nel-l’intento perché Didone erafuggita da Tiro con tutti isuoi beni.

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La tragica fine di Didone «Ho vissuto e portato a termine ciò che la sorte mi avevadestinato, e ora la mia anima gloriosa andrà sotto terra. (655) Ho fondato una splendi-da città, ho visto innalzarsi le mura, ho vendicato mio marito e punito il fratello a menemico; felice, troppo felice se solo le navi troiane non fossero mai giunte da noi!». Co-sì disse e premendo le labbra sul letto esclamò: «Morirò invendicata, (660) ma morirò.Desidero infatti scendere nel regno dei morti. Il crudele Enea veda questo rogo dal mare eporti con sé la maledizione della mia morte». Disse, e mentre pronunciava queste parole leancelle la videro gettarsi sulla spada, [con] la spada e le mani (665) sporche di sangue. Sialzano urla all’interno del palazzo, la notizia si diffonde in tutta la città sgomenta. Le case siriempiono di lamenti, gemiti e urla femminili; il cielo risuona di un gran pianto. Come se, entrati in città i nemici, (670) Cartagine o l’antica Tiro fosse [stata] comple-tamente distrutta e alte fiamme si fossero diffuse fra le case e i templi degli dèi.

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COMMENTOLa feroce maledizione lanciata da Didone rappresenta il culmine della tormentatavicenda d’amore che l’ha sconvolta. Travolta dalla passione e abbandonata da Enea,la regina decide di morire. Ma al desiderio della morte si accompagna quello dellavendetta, che si esprime attraverso la maledizione scagliata sull’eroe, i suoi com-pagni e la sua discendenza. Tutte le maledizioni di Didone, personaggio fiero e ter-ribile, si avvereranno: Enea dovrà lottare a lungo, si separerà dal figlio e morirà pre-cocemente. E la vendetta cartaginese ricadrà molto tempo dopo sui discendentidell’eroe troiano – i Romani – attraverso un vendicatore implacabile, Annibale. È questa la cosiddetta “nemesi storica”, cioè la vendetta della storia che fa ricade-re sui discendenti le colpe dei progenitori. Gli antichi erano talmente convinti chela vendetta si sarebbe compiuta anche a distanza di secoli, da creare una divinità,Nèmesi, cioè la vendetta divina, perché nessuna colpa poteva essere commessa sen-za che il dio, un giorno o l’altro, non ne desse la giusta punizione.

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1. Quando si svolge la scena della morte di Didone?

2. Come viene descritto da Virgilio questo momento del giorno? Con quali colori?

3. Didone vede le navi troiane al largo, sul mare. È presa allora da pensieri e senti-menti drammatici. Qui li riportiamo in ordine casuale; ponili nella giusta succes-sione inserendo in ogni quadratino un numero progressivo.a. invocazione a un futuro e terribile vendicatore �

b. esortazione all’inseguimento dei fuggitivi �

c. pentimento per non aver ucciso Enea, i suoi e perfino Ascanio �

d. rammarico per non aver capito subito la malvagità di Enea �

4. Quali divinità, oltre a Giunone, invoca Didone nella sua maledizione? Cosa chiedeloro?

5. Cosa augura al “traditore” Enea?

6. Nella parte finale Didone invoca la vendetta su Enea e i suoi discendenti. In real-tà, per i contemporanei di Virgilio, la maledizione si era già avverata. Chi è il“vendicatore” di cui si parla al verso 625?a. Annibale, generale cartagineseb. Porsenna, re etruscoc. Antioco, re di Siria

7. Nel momento della morte Didone ricorda le tappe fondamentali della sua vita.Quali sono?

8. Qual è l’ultimo pensiero che la regina rivolge a Enea?

9. Abbandonata e umiliata, Didone vuol morire sola, come è stata, ora lo capisce,sola anche nell’amare. In che modo decide di porre fine alla sua esistenza?

10.Qual è la reazione della città quando si diffonde la notizia della sua morte?

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C L A S S I C ADidone nell’oltretombaPartita da Cartagine, la flotta troiana giunge sulle coste della Sicilia, aDrepano (Trapani), dove l’anno precedente è morto Anchise, il padre diEnea. L’ombra dello stesso Anchise appare in sogno al figlio invitandoloa recarsi a Cuma, dove la Sibilla potrà accompagnarlo negli Inferi. Eneae la Sibilla giungeranno così alla palude Stigia, nella quale vive Caronte,il cui compito è quello di traghettare al di là del fiume le anime di coloroche hanno ricevuto sepoltura. Caronte non intende permettere il passag-gio all’eroe troiano perché è ancora vivo e solo dopo l’intervento della Si-billa, che mostra un ramoscello d’oro come segno del favore degli dèi, ilferoce traghettatore accoglie Enea sulla sua imbarcazione. Approdati sul-l’altra riva i due si imbattono in Cerbero, un mostro infernale che vienemesso a tacere con una focaccia contenente sonnifero. Poi, nell’Antinfer-no, la Sibilla ed Enea incontrano Minosse, che dopo aver giudicato le ani-me le assegna alla loro sede eterna. Non lontano si estendono i Campi delPianto dove, fra boschi di mirti, stanno coloro che sono morti per amore.Tra loro c’è Didone.

450 Tra di esse, fresca della ferita, la fenicia Didoneerrava nella vasta selva; appena l’eroetroiano le ristette vicino e la riconobbe tra le ombreindistinta, quale si vede sorgere la lunaal principio del mese, o si crede di averla veduta tra le nubi,

455 gli sgorgano lagrime, e parlò con dolce amore:«Infelice Didone, vera notizia mi giunse,che avevi cessato di vivere, e cercato la morte col ferro?Ahimè, ho provocato la tua morte? Giuro per le stelleed i celesti, e per la fede se ve n’è nel profondo della terra,

460 a malincuore, o regina, partii dal tuo lido. Ma il volere degli dèi, che ora mi costringe ad andare tra le ombreper luoghi squallidi di desolazione e per la notte profonda,mi spinse con i suoi comandi; non potevo credere

Tra queste la fenicia Didone, con la ferita ancora fresca, vagava nel vasto bosco. Appe-na l’eroe Troiano le fu vicino e la riconobbe indistinta fra le ombre, come chi vede o cre-de di aver visto la luna attraverso le nubi all’inizio del mese, (455) si mise a piangere eparlò con dolce amore: «O infelice Didone, era [dunque] vera la notizia che mi era giun-ta, che eri morta e ti eri uccisa con la spada? Ahimè, sono stato la causa della tua mor-te? Giuro in nome delle stelle e degli dèi celesti e se esiste qualche fede sotto la terraprofonda, che io, (460) o regina, mi sono allontanato dalla tua spiaggia controvoglia.Ma gli ordini degli dèi, che ora mi costringono ad andare tra queste ombre, in questi or-ridi luoghi [infernali] e nella notte profonda mi spinsero con loro comandi. Né ho po-

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di darti con la mia partenza un dolore così grande.465 Ferma il passo, non sottrarti al mio sguardo. Chi fuggi?

Questa è l’ultima volta che il destino mi concede di parlarti.»Con tali parole Enea cercava di lenire quell’anima ardente, dal torvo sguardo, e piangeva. Ella, rivolta altrove, teneva gli occhi fissi

470 al suolo, e il volto immobile all’intrapreso discorso,più che se fosse dura selce o roccia marpesia.Infine si strappò di lì, e fuggì ostilenel bosco pieno d’ombra, dove l’antico sposoSicheo le corrisponde l’affanno e ne uguaglia l’amore.

475 Non meno Enea, scosso dall’ingiusta sventura,la segue di lontano in lagrime e la compiange fuggente.

Libro VI, vv. 450-476

471 marpesia: di Marpes-so, che è un monte del-l’isola di Paro, nell’Egeo,famosa per i suoi marmicandidi e resistenti.

tuto credere di arrecarti un dolore così grande con la mia partenza. (465) Fermati, nonsottrarti al mio sguardo. Chi fuggi? Questa è l'ultima volta che il Fato mi concede di par-larti. Con queste parole Enea cercava di calmare l’animo ardente [di Didone], che [lo]guardava in modo minaccioso e piangeva. Lei [ostile] teneva gli occhi fissi (470) al suolo, con il volto immobile, mentre parlavo,come la dura pietra o la roccia marpesia. Infine si allontana e, nemica, si rifugia nel bo-sco ombroso, dove l’antico marito Sicheo comprende il [suo] dolore e ricambia il [suo]amore in ugual misura. (475) Nondimeno Enea, scosso dall’ingiusta sventura [di Dido-ne], prosegue per lungo tratto in lacrime e prova dolore per lei che si allontana.

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1.Durante l’incontro con Didone agli Inferi, Enea appare diverso da come era al momento dell’ab-bandono. Perché?

2. Secondo te, Enea si sente in colpa nei confronti di Didone? Nel testo sono presenti delle espres-sioni che possono indurti a pensarlo? Se sì, sottolineale.

3.Quali argomentazioni utilizza Enea nel suo discorso a Didone? Cosa dice riguardo alla sua parten-za da Cartagine?

4.All’Enea irremovibile nell’episodio dell’abbandono si oppone ora una Didone irremovibile comeuna roccia. Quale aspetto caratterizza Didone in questo nuovo incontro con Enea? a. il lamento b. un severo silenzio c. il riaccendersi dell’amore

5. La regina cartaginese è ostile a Enea. Con quali espressioni Virgilio evidenzia tale ostilità? Tra-scrivile.

6.Didone non è sola: chi è vicino a lei e la conforta?

7. Individua tutti gli aggettivi e le espressioni che caratterizzano Didone nell’oltretomba.

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C L A S S I C AEurialo e NisoRipreso il viaggio, Enea approda alle foci del Tevere, dove regna Latinoche lo accoglie ospitalmente e, nel ricordo di un’antica profezia, gli pro-mette in moglie la figlia Lavinia. Turno, re dei Rutuli, a cui la fanciullaera stata promessa in sposa, dichiara perciò guerra agli stranieri. MentreEnea si reca dal re Evandro per cercare aiuti, Turno assale l’accampamen-to dei Troiani. Due giovani troiani, Eurialo e Niso, decidono allora di av-vertire Enea passando attraverso le linee nemiche e, approfittando del-l’oscurità, fanno strage di nemici addormentati. Solo quando vedonogiungere una squadra di cavalieri nemici fuggono velocemente, ma men-tre Niso riesce ad arrivare fino al bosco e a nascondersi, Eurialo rimaneindietro e viene raggiunto dai cavalieri nemici, che lo circondano. Ormaial sicuro, Niso si volge indietro in attesa dell’amico, che però non arriva.

Niso alla ricerca di Eurialo390 «Eurialo, infelice, dove mai ti ho lasciato?

E per dove seguirti?». Ripercorrendo tutto l’incerto camminodella selva ingannevole, e insieme scrutando le orme,le percorre a ritroso, ed erra tra i cespugli silenti.Ode i cavalli, ode lo strepito e il richiamo degli inseguitori

395 non passa lungo tempo, quando gli giunge agli orecchiun clamore, e vede Eurialo; già tutta la torma,con improvviso tumulto impetuoso, trascina lui oppresso

dall’ingannodella notte e del luogo, lui che tenta invano ogni difesa.Che fare? con quali forze ed armi oserà salvare

400 il giovane? o si getterà per morire sulle spadenemiche, e affretterà con le ferite la bella morte?Rapidamente ritratto il braccio vibrando l’asta,e guardando l’alta Luna, prega così:

394. i cavalli: è il gruppodei cavalieri rutuli guidatida Volcente, che hannoscoperto Eurialo in fugadopo la strage dei nemici.

Niso alla ricerca di Eurialo «O me infelice, dove mai ti ho lasciato Eurialo? Dove ti cer-cherò?». Ripercorrendo all’indietro lo sconosciuto sentiero del bosco che può indurre inerrore, e osservando le [proprie] tracce nel terreno, Niso vaga nel silenzio dei cespugli.Sente sopraggiungere i cavalli [cavalcati dai nemici], sente le grida e le voci di coloro cheli inseguono; (395) subito dopo gli giunge agli orecchi un rumore confuso e assordante,e vede Eurialo trascinato da tutto lo squadrone [dei nemici] in un assalto improvviso e tu-multuoso, mentre tenta inutilmente di mettersi in salvo, colto dal buio della notte e ine-sperto dei luoghi. Cosa fare? In che modo Niso potrà salvare (400) il giovane [amico]? Si dovrà forse get-tare sulle spade dei nemici in modo da morire insieme a Eurialo? Tirato indietro il brac-cio in fretta, per scagliare una lancia, e guardando in alto la Luna prega così:

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Niso all’attacco«Tu, o dea, favorevole soccorri la nostra sventura,

405 bellezza degli astri, latonia custode dei boschi.Se mai per me il padre Irtaco portò donialle tue are, e io li accrebbi con le mie cacce,o li appesi alla volta del tempio, o li affissi al santo fastigio,fa’ che sconvolga quella schiera, e guida l’arma nell’aria».

410 Disse, e con lo sforzo di tutte le membra scagliò il ferro:l’asta volando flagella le ombre della notte,e di fronte colpisce lo scudo di Sulmone, e ivis’infrange, e attraversa i precordi col legno spezzato.Quello rotola gelido vomitando dal petto

405. latonia: la dea lunaera identificata con Arte-mide o Diana, figlia di La-tona. Di qui l’epiteto “la-tonia”.412. Sulmone: un guerrie-ro rutulo.413. i precordi: la parte an -teriore del torace, in cor ri -spondenza del cuore.

Niso all’attacco «O dea, (405) [tu che sei] il più bello fra gli astri, figlia di Latona, cu-stode dei boschi vieni in nostro aiuto. Se [hai gradito il fatto che mio] padre Irtaco qual-che volta ti abbia offerto doni sui tuoi altari, e io abbia sacrificato a te animali da me cac-ciati oppure li abbia appesi al soffitto o alla sacra porta del tempio, fa’ in modo di guida-re la mia arma così da sconvolgere la schiera [nemica]». (410) Così disse e scagliò congran forza la lancia che, volando, at-traversa le ombre della nottee colpisce lo scudo di Sul-mone: qui si spezza e glitrafigge il cuore conl’asta di legno spezza-ta. Egli cade a terraormai freddo [per lamorte] e dal pettogli esce

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415 un caldo fiotto, e batte i fianchi in lunghi singulti.Scrutano intorno. Imbaldanzito, ecco Nisoscagliare una lancia dalla sommità dell’orecchio.E mentre s’affannano, l’asta attraversa le tempie di Tago,stridendo, e tiepida rimase nel cervello trafitto.

420 Infuria atroce Volcente, e non scorge in nessun luogol’autore del colpo, né dove possa scagliarsi rabbioso.«Ma tu intanto mi pagherai con caldo sanguela pena di entrambi» disse; e snudata la spada,si gettò su Eurialo. Allora sconvolto, impazzito

425 Niso grida – non seppe celarsi più a lungonelle tenebre, o sopportare un tale dolore –:« Io, io, sono io che ho colpito, rivolgete contro di me il ferro,Rutuli! l’insidia è mia; costui non osò e non poténulla (lo attestino il cielo e le consapevoli stelle);

430 soltanto amò troppo lo sventurato amico».

La morte dei due giovani Così diceva; ma la spada vibrata con violenzatrafisse il costato e ruppe il candido petto.Eurialo cade riverso nella morte, il sangue scorreper le belle membra, e il capo si adagia reclino sulla spalla:

435 come un fiore purpureo quando, reciso dall’aratro,languisce morendo, o come i papaveri che chinano il caposul collo stanco, quando la pioggia li opprime.

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432. il costato: il torace diEurialo.436. languisce: perde vi-gore.

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(415) un caldo fiume di sangue, contorcendosi fra i singhiozzi. Tutti si guardano intor-no. Incoraggiato da ciò, Niso scaglia [un’altra] lancia da sopra l’orecchio. E mentre [i ne-mici] scrutano turbati intorno, la lancia attraversa stridendo le tempie di Tago e si con-ficca nel suo cervello. (420) Accecato dalla rabbia è Volcente e non riesce a vedere chiha scagliato quelle lance né sa da che parte colpire il nemico. «Ma tu [o Eurialo] intan-to pagherai con la vita la morte dei miei due [cavalieri]», e tolta dal fodero la spada siscagliò su Eurialo. Allora sconvolto e folle di dolore, (425) Niso non seppe più sopporta-re questa vista standosene nascosto nel buio, uscì allo scoperto e gridò: «Io, io, sono iocolui che ha scagliato le lance, colpite me con la spada, o Rutuli, la colpa è mia: costuinon fece e non poté far niente (ne siano testimoni il cielo e le stelle): (430) la sua solacolpa fu quella di aver amato troppo me, suo sventurato amico».

La morte dei due giovani Così parlò; ma la spada [di Volcente], scagliata con violen-za, trafisse il bianco petto e lo squarciò. Eurialo cade a terra morente, mentre il sanguegli scorre lungo tutto il bel corpo e la testa si piega su una spalla, (435) come quandoun fiore rosso, tagliato dall’aratro, muore o i papaveri si piegano sullo stelo allorché lapioggia ne riempie il calice rendendolo pesante. Ma Niso si scaglia contro la folla dei

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Ma Niso s’avventa sul folto e cerca fra tuttiil solo Volcente, contro il solo Volcente si ostina.

440 I nemici, addensatisi intorno a lui da tutte le parti,lo stringono da presso; egli incalza ugualmentee ruota la spada fulminea, finché non la immersenella bocca del rutulo urlante, e morendo tolse la vitaal nemico. Allora, trafitto, si gettò sull’amico

445 esanime, e alfine riposò in una placida morte.Fortunati entrambi! Se possono qualcosa i miei versi,mai nessun giorno vi sottrarrà alla memoria del tempo,finché la casa di Enea abiti l’immobile rupedel Campidoglio; e il padre romano abbia l’impero.

Libro IX, vv. 390-449

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442. immerse ... urlante:l’orribile morte del Rutulo,raggiunto dalla spada nel-la bocca urlante, contrastacon la malinconica mortedi Eurialo, che piega dol-cemente la testa come unfiore di campo reciso dal-l’aratro.

nemici e cerca Volcente, gli interessa solo Volcente. (440) I nemici, riuniti intorno a luiper fargli da scudo, lo assalgono; Niso, nonostante ciò, si avventa contro di lui e ruotain alto la spada rapida finché non la immerge nella bocca di Volcente che urla e, moren-do, lo uccide. Allora, trafitto, si gettò sul corpo dell’amico (445) [ormai] senza vita efinalmente trovò pace in una morte tranquilla. Fortunati entrambi! Se un qualche valo-re avranno i miei versi, sarete sempre ricordati, finché la stirpe di Enea occuperà la ru-pe del Campidoglio e i Romani governeranno il mondo.

COMMENTOL’episodio che hai appena letto ha come prota-gonisti una coppia di amici, accomunati dalcoraggio e dall’affetto, ma anche dalla sventu-ra e dalla morte. Al centro di tale episodio ècomunque il tema dell’amicizia, celebrato nelmondo antico, tanto greco quanto latino, co-me uno dei più importanti valori dell’uomo.Basti ricordare, oltre a Niso che muore nel ven-dicare la morte dell’amico Eurialo, il pianto di-sperato di Achille sul corpo di Patroclo. Aiutare un amico è un desiderio nobile e gene-roso, e Virgilio esprime questo sentimento ri-flettendo la mentalità del mondo a cui appar-teneva. Nel mondo antico, infatti, chi vive unlegame d’amicizia lo rispetta e lo difende an-che a costo di sacrificare la propria vita: tuttele azioni che Niso compie hanno lo scopo disalvare l’amico Eurialo, ma, fallito il generosoe disperato tentativo, Niso non agirà che pervendicare l’amico e cadere morto al suo fianco.

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1.Quando si svolge l’episodio che ha co-me protagonisti Eurialo e Niso? E do-ve?

2.A quale dea rivolge la sua preghieraNiso?

3.Chi sono i due cavalieri rutuli uccisida Niso?

4. In questo brano ricorrono spesso im-magini di morte. Rintracciale e tra-scrivile.

5. Fra queste immagini di morte, una sem-bra meno orribile delle altre. Della mor-te di quale personaggio si tratta? A cosaviene paragonato?

6.Quali sono le parole finali che Virgiliodice riguardo ai due amici, morti l’unoaccanto all’altro?

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La morte di TurnoEnea fa ritorno all’accampamento troiano e la guerra riprende con episo-di eroici da entrambi le parti. Ormai però lo scontro è al suo epilogo, e siconclude con il duello tra Enea e Turno. Quest’ultimo, assistito dalla so-rella, la ninfa Giuturna, è sfuggito finora alla morte, ma quando Giutur-na deve abbandonarlo perché così vogliono gli dèi, il re dei Rutuli è co-stretto a cimentarsi con Enea.I due sono finalmente uno di fronte all’altro e Turno afferra un macignoper colpire Enea, che l’ha rimproverato per la sua precedente fuga. Turnoperò non ha la forza di muoversi: le sue ginocchia vacillano e la pietralanciata non segue la traiettoria da lui voluta.

Allora volge915 nel cuore sentimenti diversi: guarda i Rutuli e la città,

e indugia nel timore, e trema all’arrivo del colpo;non sa dove scampare, come assalire il nemico,e non vede in nessun luogo il carro e la sorella auriga.Mentre esitava, Enea brandisce l’asta fatale,

920 calcolando la sorte con gli occhi, e la vibra da lontanocon lo slancio di tutto il corpo. Non rombano maicosì le pietre scagliate da una macchina murale,o col fulmine scoppiano simili tuoni. L’asta vola a guisadi nero turbine, portando sinistra rovina, e squarcia

925 l’orlo della corazza, e l’ultimo cerchio del settemplice scudo.Trapassa stridendo la coscia. Il grande Turnocadde in terra, colpito, con le ginocchia piegate.Balzano con un grido i Rutuli, e tutto rimbombail monte d’intorno, e ampiamente i profondi boschi

riecheggiano.

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918. la sorella auriga: Giu-turna, la sorella di Turnoche l’ha assistito guidandoi cavalli del suo carro, èscomparsa.925. settemplice: di settestrati.

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Nel cuore [di Turno] si affollano sentimenti diversi: guarda i [suoi compagni] Rutuli ela città, e indugia timoroso temendo il colpo [dell’arma di Enea]; non sa dove fuggire,come assalire il nemico e non vede più il carro con la sorella Giuturna. E mentre esita-va, Enea impugna la lancia portatrice di morte (920) e calcolando a occhio la distanza,slanciandosi con tutto il corpo, la scaglia da lontano. Non rombano così forte le pietrelanciate da una macchina da guerra o tuoni [che precedono] i fulmini scoppiano con si-mile rumore. La lancia vola come un nero turbine, portando [con sé] rovina mortale, esquarcia (925) la corazza e l’ultimo strato dello scudo dai sette strati. Attraversa stri-dendo la coscia. Il grande Turno, colpito, cade a terra con le ginocchia piegate. Un gri-do si leva dai Rutuli e rimbomba nel monte, e tutt’intorno i boschi ne rimandano am-

Page 87: PAGINE DI LETTERATURA

930 Egli da terra, supplice, protendendo lo sguardo e la destraimplorante: «L’ho meritato» disse «e non me ne dolgo;profitta della tua fortuna; tuttavia, se il pensiero d’un padreinfelice ti tocchi, prego – anche tu avesti un padre,Anchise –, pietà della vecchiaia di Dauno,

935 e rendi me, o se vuoi le membra prive di vita,ai miei. Hai vinto e gli Ausonî mi videro sconfittotendere le mani; ora Lavinia è tua sposa;non procedere oltre con gli odii». Ristette fiero nell’armiEnea, volgendo gli occhi, e trattenne la destra;

940 sempre di più il discorso cominciava a piegarloe a farlo esitare: quando al sommo della spalla apparvel’infausto balteo e rifulsero le cinghie delle note borchiedel giovane Pallante, che Turno aveva vinto e abbattutocon una ferita, e portava sulle spalle il trofeo nemico.

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934. Dauno: è il padre diTurno.936. gli Ausonî: gli Italici.940. a piegarlo: a impie-tosirlo.942. infausto: di malau-gurio. Il balteo è una cin-tura o una fascia portata atracolla che tiene appesala spada.

piamente l’eco. (930) Ed egli da terra, volgendo ad Enea lo sguardo e la [mano] destra, co-sì supplica. «Ho meritato [questa fine] e non me ne addoloro, approfitta della tua buonasorte; tuttavia se ti turba il pensiero di un padre infelice - anche tu hai avuto un padre,Anchise - abbi pietà della vecchiaia di Dauno (935) e consegna me o, se vuoi, il mio cor-po privo di vita ai miei. Hai vinto, e gli Ausonii mi hanno visto, sconfitto, tendere le ma-ni [a te]. Ora Lavinia è tua sposa, non continuare con gli odi». Enea, in armi, si fermò etrattenne l’arma nella mano destra, (940) commosso dalle parole [di Turno] che iniziava-no a farlo esitare. Quand’ecco che vide, in cima alla spalla, la cintura infausta con le cin-ghie splendenti e le borchie [da lui] conosciute dell’armatura del giovane Pallante, che Tur-no aveva vinto e ferito a morte in battaglia, e di cui si adornava come trofeo di guerra.

Page 88: PAGINE DI LETTERATURA

945 Egli, fissato con gli occhi il ricordo del crudele dolore,e la preda, arso dalla furia, e terribilenell’ira: «Tu, vestito delle spoglie dei miei,vorresti sfuggirmi? Pallante con questa ferita,Pallante t’immola, e si vendica sul sangue scellerato».

950 Dicendo così, gli affonda furioso il ferro in pieno petto;a quello le membra si sciolgono nel gelo,e la vita con un gemito fugge sdegnosa tra le ombre.

Libro XII, vv. 914-952

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(945) Allora, ricordando il crudele dolore [per la morte del giovane amico] e vedendo il[suo] cadavere, furioso e terribile nell’ira disse: «Vorresti sfuggirmi, tu che vai vestitodell’armatura dei miei amici? Pallante ti uccide e si vendica con il tuo sangue scellera-to». (950) E così dicendo gli affonda furioso la spada nel petto, e il corpo di lui gela nel-la morte e la vita, gemendo, fugge sprezzante fra le ombre.

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to 1. In quale punto del corpo Turno viene ferito inizialmente da Enea?

2. Ferito, Turno si rivolge a Enea facendo riferimento a due personaggi.Di chi si tratta? Perché Turno parla di loro ad Enea?

3.Perché Enea, contrariamente al suo carattere, infuria con crudeltà controTurno? Cosa lo spinge a questo comportamento?

4. Come si conclude l’episodio?

5. Turno è considerato il primo eroe italico. La sua morte suscita un senti-mento di pietà? Motiva la tua risposta.

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Cavalieri ed eroiIL MONDO DEI CAVALIERITra il VI e il X secolo la Chiesa – i cui rappresentan-ti erano gli unici a saper leggere e scrivere – riela-bora e divulga il mito di Achille, creando però unnuovo eroe che riunisce in sé le doti dell’uomoforte, del suddito leale rispettoso della legge im-periale e del perfetto cristiano profondamente re-ligioso, sottomesso al papa e ai suoi sacerdoti. Co-sì, all’eroe classico che combatteva per la propriagloria personale, come appunto Achille, la Chiesasostituisce il cavaliere legato sia all’autorità politicasia a quella ecclesiastica.Questo personaggio, che talvolta prende origine dauna figura storica, è destinato a grande fortuna: è in-fatti presente in tutta l’epica medievale europea, an-che se in ciascun Paese viene interpretato in modospecifico. Nell’area francese, ad esempio, è Orlan-do (o Rolando), il paladino di Carlo Magno cantatonella Canzone di Orlando, mentre in quella spa-gnola è il Cid Campeador (cioè il “signore guerrie-ro”), protagonista del Poema del Mio Cid. In ognicaso, attraverso il racconto delle imprese dei cava-lieri, I’epica medievale celebra i valori di una nazio-ne – così come aveva fatto l’epica antica – e, in se-guito, quelli della nobiltà.

L’EPICA FRANCESEA partire dall’XI secolo, si diffondono in Francia le co-siddette “canzoni di gesta”, cioè poemi in franceseantico cantati o recitati nelle corti e nelle piazze daigiullari, una sorta di cantastorie del tardo Medioevo.Tali poemi, che successivamente furono organizzatie fissati in manoscritti, sono divisi in cicli, cioè ingruppi che trattano lo stesso argomento. Il più cono-sciuto è il ciclo carolingio, che narra le vicende rea-li e immaginarie di Carlo Magno e dei paladini, no-bili cavalieri della sua corte. Le opere che compon-gono il cielo carolingio celebrano i valori su cui si ba-sa la società feudale: la fedeltà incondizionata al pro-prio signore e la difesa della Chiesa, minacciata da-gli infedeli, detti anche Saraceni o Mori.I paladini si segnalano anche per il coraggio, il deside-rio di gloria, il senso dell’onore e la lealtà, una doteche prevede il rispetto dell’avversario, delle regole delcombattimento e della parola data.

L’EPICA ANGLOSASSONEIntorno al XII secolo si diffonde un nuovo ciclo, il ci-clo bretone, che prende il nome dalla Grande Bre-tagna, odierna Inghilterra. Si tratta di un insieme di ro-manzi scritti da autori noti che narrano le vicende diArtù e dei suoi cavalieri. Artù, figlio di Uther Pendra-gon, diviene re in giovanissima età dopo aver estrat-to dalla roccia in cui è conficcata la spada Excalibur,dotata di poteri magici. Salito dunque al trono, gover-na con saggezza e giustizia grazie anche ai consiglidel mago Merlino e dei cavalieri con i quali si riunisceperiodicamente intorno alla Tavola Rotonda. Il perfetto cavaliere ha grandi virtù: è generoso, al-truista, fedele, leale, coraggioso, buon cristiano,combatte contro chi offende i deboli, salva le don-ne in pericolo, ama senza chiedere nulla in cambio.In altre parole, alle qualità tipiche del paladino diCarlo Magno, il cavaliere della Tavola Rotonda uni-sce la capacità di amare e di dimostrare le sue dotidi guerriero durante giostre e tornei.Diffuse per secoli in Francia e in Inghilterra, nel XVsecolo le vicende del ciclo bretone – chiamato an-che ciclo arturiano dal nome di Artù – ispiraronocome vedremo lo scrittore inglese Thomas Malory,che ne riprese gli argomenti con uno stile semplicee armonioso.

L’EPICA NORDICABen diverso è l’eroe epico dei popoli nordici che,pur venendo a contatto con la cultura cristiana, neresta meno in fluenzato.L’eroe nordico, infatti, non combatte per la fede,ma, sfondo di una natura misteriosa, selvaggia espesso cupa, si batte contro le forze del male, cheat taccano l’uomo incessantemente. E dal momen-to che di solito tali forze han no il sopravvento, la vi-ta dell’eroe nordico è una corsa disperata verso larovina inevitabile.Così è il personaggio di Sigfrido, l’eroe della Canzo-ne dei Nibelunghi, nella quale confluiscono molteleggende raggruppate verso il 1200 da un ignotopoeta austriaco. L’origine di questo poema risale aun fatto storico ben preciso: la distruzione da partedi Attila, nel 437 a Worms, del Regno dei Burgundi,che furono identificati con i Nibelunghi.

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1. Indica quale delle seguenti frasi è corretta.a. tra il VI e il X secolo la Chiesa rielabora e divulga il mito di Achille, presente nell’epica classica

b. tra il VI e il X secolo i giullari delle corti rielaborano e divulgano il mitodi Achille, presente nell’epica classica

c. tra il X e l’XI secolo gli scrittori francesi rielaborano e divulgano il mitodi Achille, presente nell’epica classica

2. Quali sono i valori che il protagonista dell’epica medievale, ovveroil cavaliere, deve mostrare? Indica con una crocetta le risposte cheritieni corrette.a. forza d. profonda religiositàb. ricchezza e. lealtàc. pazienza f. spirito di sopportazione

3. Dove nasce la Canzone di Orlando?a. in Spagna b. in Inghilterra c. in Francia

4. Chi è protagonista del ciclo carolingio?a. Carlo Magno b. Lancillotto c. Artù

5. Quali valori celebrano le opere che formano il ciclo carolingio?a. i valori della società feudaleb. i valori dell’epica classicac. i valori del popolo

6. In che periodo nasce il ciclo bretone (o arturiano)?a. nel X secolo b. nel XII secolo c. nel XIII secolo

7. Chi sono i protagonisti del ciclo bretone?a. Uther Pendragon e Carlo Magnob. Artù e i suoi cavalieric. Sigfrido e i Burgundi

8. Qual è l’elemento distintivo dell’eroe dell’epica nordica?a. combatte per la fede e per la Chiesab. combatte contro le forze del malec. si rifiuta di combattere perché sa che è destinato a morire

9. Sottolinea l’opzione corretta scegliendo tra quelle poste fra parentesi.Il protagonista della Canzone dei Nibelunghi – un poema in cui confluisco-no molte leggende raggruppate verso il (1200/X secolo/XV secolo) da unignoto poeta (francese/spagnolo/austriaco) – è (il Mio Cid/Perceval/Sigfri-do). L’origine di questo poema risale a un fatto storico ben preciso: la di-struzione, nel 437, da parte di (Uther Pendragon/Attila/Carlo Magno), del

Verifica

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Il ciclo carolingio:Orlando

Il ciclo carolingio è costituito da “canzoni di gesta” che hanno in co-mune lo stesso tema narrativo, cioè le imprese compiute da Carlo Ma-gno e dai suoi paladini per difendere la Francia e l’intero mondo cri-stiano dai Saraceni. Questo ciclo si diffonde a partire dall’XI secolo erisponde all’esigenza di autocelebrazione manifestata dai feudatari,cioè dalla classe dominante di quello stesso periodo. I feudatari, no-bili guerrieri, combattono infatti per l’imperatore e per la fede propriocome i paladini di Carlo Magno.

Composta in strofe (dette “stanze”), la Canzone di Orlando è la più fa-mosa del ciclo carolingio ed è arrivata fino a noi grazie a Turoldo, unpoeta vissuto nell’XI secolo. Non si sa con certezza se Turoldo sia l’au-tore dell’opera o semplicemente il copista, ma comunque il suo nomecompare nell’ultima pagina della trascrizione.L’opera, scritta circa due secoli dopo la morte di Carlo Magno, muove daun fatto realmente accaduto. Eginardo, biografo di Carlo Magno, scrive in-fatti che l’esercito dell’imperatore franco fu assalito da una schiera dimontanari baschi (trasformati nel poema in un esercito sterminato di Sa-raceni) a Roncisvalle, mentre si dirigeva verso la Sassonia. Tra i caduti lostorico nomina Rotlando, signore della Bretagna, che con il nome di Or-lando diviene il protagonista della canzone nelle versioni italiane. La Can-zone di Orlando narra l’iniziale scontro fra Orlando – nipote di re Carlo – eil patrigno Gano, il tradimento da parte di quest’ultimo e la morte del pa-ladino Orlando.

Perché si attribuisce a Carlo Magno il merito di aver impedito l’avanza-ta degli Arabi verso la Francia, se essi, in realtà, erano stati fermati cir-ca un secolo prima da Carlo Martello a Poitiers (732)? Evidentementeperché il fondatore del Sacro Romano Impero era ancora visto come ildifensore della Cristianità, il re ideale a cui tutti i sovrani avrebbero do-vuto ispirarsi.Oltre all’esaltazione di Carlo Magno, nella Canzone di Orlando è presen-te l’esaltazione dei Franchi, cioè della Francia, alla quale si credevache Dio avesse affidato la sacra missione di difendere il mondo cristia-no dalla potenza saracena.

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Il Consiglio dei baroniRicacciati oltre i Pirenei, i Saraceni si sono stabiliti in Spagna, dove dasette anni l’esercito cristiano di Carlo Magno combatte vittoriosamentecontro di loro ed ha già riconquistato molti territori. Marsilio, il re arabodi Saragozza (l’unica città che ancora resiste), invia all’imperatoreun’ambasceria con molti doni, accompagnati da proposte di pace e dallapromessa di convertirsi al cristianesimo purché Carlo Magno faccia ritor-no in Francia con tutto l’esercito. L’imperatore raduna allora i suoi baro-ni – cioè coloro che hanno ricevuto il feudo direttamente da lui – per de-cidere se dare credito o meno alle offerte di Marsilio.

14 L’Imperator finito ha il suo discorso.Rolando1, allor, decisamente avverso,a contradir si leva, ed al Re dice:«Male sarebbe credere a Marsilio.Siamo in Ispagna da sett’anni interi,ed io per voi Nopla e Commibla ho prese,preso ho Valtierra, la terra di Piñae Balaguera, Tudela e Siviglia2.Ma il re Marsilio sempre vi ha tradito.Già v’inviò quindici suoi pagani,e un ramoscel d’ulivo avea ciascuno3,e queste stesse cose vi promisero.Chiedeste allor consiglio ai vostri Franchi,e, leggermente, vi approvaron essi,ed al pagan due conti voi mandaste.Basilio l’un, l’altro Basano, ed eglidecapitar li fece presso Altilia.Fate la guerra come fu intrapresa,l’oste4 movete contro Saragozza:duri l’assedio vostra vita intera,ma vendicate quei che il vile uccise».

15 L’Imperatore tiene il capo chino,la barba tira, si tormenta i baffi5:né ben né mal risponde a suo nipote.Tacciono i Franchi tutti, tranne Gano6che in piè si leva, si fa innanzi a Carlo,e fieramente sua ragion dichiara,rivolto al Re: «Non ascoltate il pazzo7,né me, né gli altri, ma il ben vostro solo.Poiché Marsilio v’ha mandato a dire

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1. Rolando: sta per Orlando.2. Nopla … Siviglia: perdare autorità alle sue pa-role Orlando elenca i suc-cessi ottenuti in sette an-ni di guerra. Le località ci-tate sono tutte nella Spa-gna settentrionale, esclu-sa Siviglia.3. Già v’inviò … ciascuno:Orlando ricorda quandoquindici ambasciatori sa-raceni, con in mano il sim-bolo della pace, promiserole stesse cose, ma gli in-viati dell’imperatore, Basi-lio e Basano, vennero de-capitati presso Altilia, sul-la strada per Saragozza.4. oste: esercito, truppe.5. si tormenta i baffi: è evi-dente l’imbarazzo di CarloMagno.6. Gano: duca di Maganza;nel poema è marito dellasorella dell’imperatore Car-lo Magno e patrigno di Or-lando.7. il pazzo: per Gano ilpazzo è Orlando, che rifiu-ta queste offerte secondolui molto vantaggiose.

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che vi sarà vassallo8, a mani giunte,e terrà tutta Spagna in vostro dono,e la cristiana legge accetterà,chi a rigettar v’invita tali offertenon cura, Sire, come noi morremo.Giusto non è che la superbia vinca.Non con i pazzi, ma coi saggi stiamo».

16 Subito dopo si fa innanzi Namo9,certo il miglior tra quanti stanno a corte,ed al Re dice: «Voi avete uditoquello che v’ha risposto il conte Gano:saggio consiglio, pur che sia ascoltato!In guerra è stato vinto il re Marsilio,gli avete tolto tutti i suoi castelli,le mura infrante con le vostre macchine10,ed arse le città, vinti i soldati.Ed or che a voi misericordia chiede,voler di più sarebbe gran peccato.Se con ostaggi v’offre garanzia,questa gran guerra più durar non deve».Dicono i Franchi: «Ben parlato ha il duca».

17 «Chi manderemo, Signori baroni,a Saragozza, presso il re Marsilio?»Risponde Namo: «Se volete, io stesso.Guanto e bastone11 datemi qui tosto12».Risponde il Re: «Voi siete un uomo savio:per la mia barba, pei miei baffi, no,da me così lontan voi non andrete.Sedete, ché nessun v’ha chiamato».

18 «Chi manderemo, Signori baroni,al Saracin13 che Saragozza tiene?»Rolando esclama: «Ben io posso andare».Ma Olivier tosto: «No, non voi!» protesta.«Fiero ed ardente troppo è il vostro cuore.Avrei paura che v’accapigliaste.Posso andar io, se così vuole il Re».Risponde Carlo: «State ambedue zitti.Né l’un né l’altro là metterà piede.Per questa barba ’l cui candor vedete14,non sceglierò fra i miei dodici Pari15».

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8. vi sarà vassallo: divente-rà cioè padrone del territo-rio in nome dell’imperato-re, a cui giurerà fedeltà eche difenderà in guerra.9. Namo: è un vecchio esaggio paladino di CarloMagno, oltre che suo con -sigliere.10. macchine: catapulte,torri, balestre e arieti usa-ti in guerra durante gli as-sedi.11. Guanto e bastone: era-no i simboli della dignitàe del potere degli amba-sciatori.12. tosto: presto, rapida-mente.13. Saracin: è Marsilio. GliArabi e i musulmani veni-vano chiamati anche Mori,Saracini o Saraceni.14. Per questa … vedete:l’imperatore Carlo Magno èun saggio vecchio dallabarba bianca, amato e ri-spettato dai suoi vassalli.15. non sceglierò … Pari:Carlo sa che questa mis-sione è rischiosa e perciònon vuole che nessuno deiPari, cioè dei suoi paladi-ni, parta.

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Ecco, tranquilli, tutti i Franchi tacciono.[…]

20 «Miei cavalieri Franchi, dice Carlo,della mia terra scegliete un baroneche messaggero al re Marsilio vada».Rolando esclama: «Gano, il mio padrino».Gridano i Franchi: «Ben saprà egli fare:ambasciator più saggio non avreste».Il conte Gano preso è dall’angoscialascia il mantel di martora16 cadere,e dritto sta in tunica di seta.Ha gli occhi vái17 e molto fiero il viso,gentile il corpo, larghi e saldi i fianchi:sí bello appar, ch’affascina i suoi pari,mentre a Rolando grida: «Pazzo sei!Son tuo patrigno, ben lo sanno tutti:e proprio tu18 vuoi che a Marsilio io vada!Ma, se Dio vuole che di là ritorni,avrai da me sí gran dolori e affanni,che dureranno quanto la tua vita».

da Canzone di Rolando, strofe 14-18, 20, Mondadori

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16. martora: piccolo mam-mifero dalla pelliccia gial-lognola.17. vài: di colore tendenteal nero.18. e proprio tu: apertorimprovero a Orlando, cheegli crede pieno di rancorenei suoi confronti; perquesto gli predice grandidolori e affanni.

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1.Perché Carlo Magno raduna i propri baroni? Chi è Marsilio?

2.Durante il Consiglio dei baroni vengono nominati solo quattro dei dodici Pari, cioè dei paladiniche accompagnavano Carlo Magno nelle sue imprese. Quali?

3.Uno dei baroni è contrario alla richiesta di pace fatta da Marsilio e due invece sono favorevoli.Chi è a favore? Chi è contrario?a. favorevole: ..................................................... b. contrario: .....................................................

4.Qual è la parentela fra Gano e Orlando?

5. Il brano che hai appena letto è composto da sei strofe che potremmo considerare come altret-tante sequenze narrative. Abbiamo dato a ogni sequenza un titolo: ricostruisci la vicenda inse-rendo in ogni quadratino un numero progressivo.a. Carlo Magno non vuole che Orlando e Oliviero partano per Saragozza �

b. Namo si propone come ambasciatore �

c. Gano consiglia di accettare la proposta di Marsilio �

d. Orlando propone come ambasciatore Gano, che si infuria e gli giura vendetta �

e. Orlando mette in guardia l’imperatore dalle proposte di Marsilio �

f. Namo appoggia la proposta di Gano �

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La morte di OrlandoCostretto a guidare l’ambasceria, Gano attua i suoi propositi di vendettaverso Orlando appena giunto da Marsilio. Organizza così, in accordo conil re saraceno, un agguato all’esercito di Carlo: al passo di Roncisvalle,sulla via del ritorno in Francia, l’imponente esercito di Marsilio assale laretroguardia delle truppe franche, guidate dal paladino Orlando. Pur seinferiori di numero, i Franchi compiono prodigi di valore, ma molti di lo-ro cadono in battaglia; lo stesso Orlando è ferito a morte.

171 Poi che a Rolando spenta s’è la vista,in piedi ei s’alza, quanto può si sforza,sì che nel volto si fa tutto esangue.Su un masso bruno che gli sta davanti,per dieci volte, corrucciato, picchia:stride l’acciar1, ma non s’infrange o sbreccia.E il Conte2 dice: «Maria Santa, aiuta!Ah! Durendal3, mia buona, qual sciagura!Io muoio: aver di voi cura non posso.Tante battaglie con voi vinsi in campoe tante vaste terre conquistai,che Carlo tien, che ha la barba canuta4!Non v’abbia uom che innanzi a un altro fugga!A lungo v’ha tenuta un buon vassallo,qual non avrà mai più Francia, la libera»....

175 Rolando sente che il suo tempo fugge.Volto alla Spagna, giace in vetta a un picco;egli si batte con la mano il petto:«Mea culpa5, Dio, per la tua gran virtù,dei miei peccati, maggiori e minori,che feci in vita, da l’ora in cui nacquiad oggi che qui son ferito a morte!».Il destro guanto tende verso Dio,ed a lui scendon gli Angeli del cielo.

da Canzone di Rolando, strofe 171, 175, Mondadori

A Carlo Magno non resta altro che piangere i caduti e pensare alla loro se-poltura. Alla morte di Orlando segue un terribile assalto contro i Sarace-ni; assistito dal favore di Dio, l’imperatore prende Saragozza e punisceGano per il suo tradimento condannandolo a morte.

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1. l’acciar: l’acciaio, cioèla spada che Orlando stacercando di spezzare.2. il Conte: Orlando (o Ro-lando). I paladini, cioè idodici grandi feudatariscelti da Carlo Magno co-me guardia d’onore, sonochiamati anche “conti dipalazzo”. 3. Durendal: è il nome del-la spada di Orlando, chia-mata anche Durlindana.4. barba canuta: cioè barbabianchissima; è questo unepiteto fisso di Carlo Ma-gno.5. Mea culpa: letteralmen-te “per mia colpa”; è unaformula presente in unapreghiera con la quale icattolici chiedono perdo-no a Dio per i loro peccati.

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COMMENTONell’invenzione del personaggio di Orlando è evidente tutta la grandez-za dell’autore della Canzone. Le fonti storiche, infatti, di Orlando dava-no soltanto il nome, Routlandus, e la notizia della morte avvenuta aRoncisvalle, e da questi scarni elementi è stata tratta una figura indi-menticabile. Benché esalti il protagonista del suo poema per gli idealipolitici e religiosi, il poeta non dimentica di sottolinearne le contrad-dizioni del carattere, soprattutto l’orgoglio, che tende a trasformarsi infolle presunzione. Ma tali difetti coesistono, nell’animo di Orlando, congrandi virtù: lealtà, coraggio, generosità. Se infatti, prima di morire,l’eroe ricorda le imprese compiute, non è per orgoglio, bensì per averela consapevolezza di aver fatto il proprio dovere di cavaliere cristiano.All’avvicinarsi della morte, conosce per la prima volta la saggezza el’umiltà: chiede perdono a Dio delle sue colpe e, tenendolo verso il cie-lo, gli porge il guanto della mano destra, come fa un cavaliere leale as-soggettandosi al proprio signore.

lavo

riam

o su

l tes

to 1. La morte di Orlando è il momento centrale di tutta la Canzone. Cosatenta di fare il paladino ormai morente?

2. Cosa dice Orlando alla propria spada? Di cosa si rammarica?

3.A chi rivolge le sue ultime parole il paladino?

4. In punto di morte, Orlando offre il guanto destro a Dio. Secondo te,che significato ha questo gesto?a. assoluta devozione e sottomissioneb. volontà di combatterec. desiderio di sfida

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Il ciclo bretone:Artù

Il ciclo bretone è composto da opere che hanno come argomento lanarrazione delle avventure di re Artù e dei cavalieri della Tavola Roton-da, intorno alla quale si riuniscono in condizione di parità. I romanzi di questo ciclo, diffusosi a partire dal XII secolo, testimo-niano come la società medievale fosse cambiata rispetto al secolo pre-cedente. Lancillotto, Perceval, Ivano e tutti gli altri cavalieri sono in-fatti animati dagli antichi valori (fedeltà all’imperatore e alla Chiesa),ma anche, e soprattutto, dall’amore e dalla ricerca della perfezione,che si può raggiungere soltanto attraverso l’avventura. I cavalieri di-mostrano di avere grande coraggio – e di essere perciò degni delladonna amata – superando prove difficili e di varia natura; per questaragione si allontanano continuamente dalla corte di re Artù e affron-tano l’ignoto, spesso aiutati oppure ostacolati da mezzi magici.

La presenza dell’elemento fantastico e leggendario ha determinato lafortuna del ciclo bretone, tanto che nel XV secolo lo scrittore ingleseThomas Malory – del quale si hanno pochissime notizie biografiche –ne riprese gli argomenti per comporre romanzi cavallereschi dai qualisono tratte le pagine che seguono.La storia di re Artù si muove comunque fra realtà e leggenda. Intornoal 1135, lo storico ed ecclesiastico anglosassone Goffredo di Monmouthcompone in latino la Storia dei re di Britannia, nella quale si legge chenel VI secolo d.C. Artù, re del Galles, fermò l’avanzata degli invasorisassoni e per questo divenne una figura leggendaria. La Storia dei re diBritannia si diffuse ben presto anche in Francia, dando luogo alla na-scita del ciclo bretone.Allora re Artù è veramente esistito? Sembra proprio di sì, ma è altrettan-to vero che la sua vicenda si è arricchita di tanti e tali straordinari elemen-ti, che la leggenda supera di gran lunga la realtà storica.

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La spada nella rocciaLa morte del re Uther Pendragon ha determinato una situazione di graveincertezza in Inghilterra: egli, infatti, non ha lasciato un erede legittimoe i nobili che aspirano alla corona si stanno facendo pericolosi. Vi è dun-que bisogno di un nuovo sovrano, che unifichi il regno e porti la pace. Aquesto scopo vengono convocati tutti i nobili del Paese: sarà Dio stesso,dice il mago Merlino, a designare il re in maniera miracolosa. All’assem-blea dei nobili è presente anche il giovanissimo Artù, il figlio di Uther af-fidato in fasce al mago Merlino, che ha provveduto a farlo allevare da unnobile signore lontano dalla corte e nella completa ignoranza delle sueorigini regali.

Morto Uther Pendragon, il regno restò a lungo in pericolo, perchéogni signore di potenti armate si rafforzava e molti ambivano a dive-nire re. Alla fine Merlino1 si presentò all’arcivescovo di Canterbury2e gli suggerì di convocare a Londra per Natale, sotto pena di scomu-nica3, tutti i nobili e i gentiluomini d’armi del regno, perché Gesù,che era nato in quella notte, nella Sua grande misericordia volevacompiere un miracolo e, come Egli era venuto per essere re del ge-nere umano, intendeva mostrare chi avrebbe dovuto essere il legit-timo sovrano del regno. L’arcivescovo accolse la proposta e seguì ilconsiglio di Merlino, e molti dei baroni convocati pensarono bene dipurificarsi prima di raggiungere Londra, nella speranza che le loropreghiere potessero essere meglio accette a Dio. Fu così che, moltoprima dell’alba del giorno di Natale, tutti gli ordini nobili4 si riuniro-no per pregare nella più grande chiesa della città, si trattasse di SanPaolo o no il libro francese5 non ne fa menzione. E quando i mattu-tini6 e la prima messa ebbero termine, nel camposanto dietro l’alta-re maggiore fu vista una grande roccia quadrangolare simile a unblocco di marmo, che sorreggeva nel mezzo una sorta di incudined’acciaio alta un piede7 in cui era infitta una bella spada. Intorno al-l’arma una scritta in lettere d’oro diceva:

COLUI CHE ESTRARRÀ QUESTA SPADA DALLA ROCCIA E DALL’INCUDINE

È IL LEGITTIMO8 RE DI TUTTA L’INGHILTERRA.

Quelli che la videro andarono a riferirne stupiti all’arcivescovo. – Restate in chiesa a pregare – disse loro il sant’uomo. – E che nessu-no tocchi la spada finché sarà stata celebrata la messa solenne. Ter-minati i servizi divini9, tutti i nobili andarono a vedere la roccia e al-cuni, letta la scritta, tentarono di estrarre la spada nella speranza di

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1. Merlino: mago incanta-tore, è il consigliere piùimportante del re UtherPendragon e, successiva-mente, di Artù.2. arcivescovo di Canterbu-ry: Canterbury è una citta-dina inglese, situata nellaregione del Kent; dal Me-dioevo, il suo arcivescovoè il capo della Chiesa bri-tannica.3. scomunica: sanzione re-ligiosa che consiste nel-l’esclusione del battezzatodal la comunione e daglialtri sacramenti; nel mon-do medievale, nel quale lare ligione costituiva unastrut tura sociale fondamen-tale, equivaleva all’esclu-sione dalla vita civile.4. gli ordini nobili: gliesponenti della nobiltà.5. il libro francese: il libroda cui l’autore dell’opera,Thomas Malory, dice di avertratto notizie.6. mattutini: le preghiereche vengono recitate almattino.7. un piede: unità di misu-ra corrispondente a circa30 cm.8. legittimo: colui che perlegge è stato designato aquesto compito.9. servizi divini: la messae le preghiere del mattino.

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divenire re; ma nessuno riuscì nemmeno a smuoverla. – Colui che viriuscirà non si trova qui – disse l’arcivescovo. Ma non dubitate cheDio ce lo mostrerà. Io intanto consiglio che siano scelti dieci cavalie-ri di grande rinomanza10 perché la custodiscano. Così fu fatto; poivenne bandito che ogni uomo che lo desiderasse avesse la facoltà diprovare a estrarre la spada dalla roccia, e i baroni indissero una gio-stra11 e un torneo per il primo giorno dell’anno e vi invitarono tutti icavalieri allo scopo di non far disperdere i nobili e il popolo, perchél’arcivescovo era certo che Dio gli avrebbe mostrato il vincitore del-la spada. Il giorno di Capodanno, terminata la messa, i baroni caval-carono al campo, alcuni per giostrare, altri per torneare. Tra di essi viera anche ser Ector accompagnato dal figlio ser Kay e dal giovane Ar-tù12, fratello di latte di quest’ultimo. Ser Kay, che era stato fatto cava-liere nel giorno di Ognissanti13, accortosi quando era già in camminodi avere dimenticato la spada nell’alloggio del padre, pregò Artù diandargliela a prendere. – Volentieri – rispose il giovane allontanando-si in fretta. Giunto a casa, scoprì però che la dama e tutti gli altri era-no usciti per assistere alle giostre. Ne fu addolorato, ma poi disse:«Andrò al camposanto a prendere la spada che è infitta nella roccia.Mio fratello non deve rimanere senza un’arma in una giornata comequesta». Si diresse quindi verso il camposanto; scese di sella, legò il

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10. cavalieri … rinomanza:i più famosi e conosciutiper le loro eroiche imprese.11. giostra: gara nella qua-le i partecipanti mostranola propria abilità e de-strezza nel combattere acavallo.12. ser Ector … Artù: serEctor, padre di Kay, è il no-bile al quale Merlino ha af-fidato Artù perché lo alle-vasse come un figlio pro-prio. Artù è fratello di lat-te di Kay perché è stato al-lattato dalla stessa balia.13. Ognissanti: è la festacristiana che si celebra ilprimo di novembre, dedi-cata a tutti i santi.

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La “Tavola Rotonda” Conl’espressione “Tavola Rotonda” veniva indi-cata un’assemblea di nobili cavalieri che siteneva presso la corte inglese e che venneripresa da Artù, il leggendario re dei Breto-ni. Vi partecipavano centocinquanta cava-lieri, scelti in base alla loro nobiltà d’animoe al loro coraggio, che, quando il re li con-vocava a corte, si riunivano intorno a unagrande tavola di forma rotonda, in modoche nessun posto avesse più importanzadegli altri. Questi cavalieri erano i compa-gni del re, del quale condividevano le ge-sta; alcuni furono tra l’altro protagonisti diimprese importanti, come Lancillotto,l’amico più fidato di Artù, e il gruppo deicavalieri dediti alla ricerca del Sacro Graal,la coppa usata da Cristo nell’Ultima Cena.

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cavallo a un montante14 e si avvicinò alla tenda che nascondeva laroccia. Non trovandovi i cavalieri che vi erano stati lasciati di guardiae che infatti erano andati alle giostre, afferrò l’impugnatura della spa-da e la estrasse con uno strappo deciso, ma senza sforzo. Poi ripreseil cavallo e raggiunse ser Kay per consegnargliela. Appena il fratellola vide, la riconobbe subito. Allora si avvicinò al padre e gli disse: – Signore, ecco la spada della roccia. Dunque devo essere io il re diquesta terra. Ser Ector osservò l’arma; quindi tornò indietro con idue giovani, smontò da cavallo, entrò nella chiesa e ordinò a serKay di ripetergli con precisione come l’avesse presa facendolo giu-rare sul Libro Sacro15.– Me l’ha portata mio fratello Artù, signore – disse allora ser Kay. – E tu, come l’hai avuta? – chiese ser Ector ad Artù.– Ecco, signore, quando sono tornato a casa a prendere la spada diser Kay, non ho trovato nessuno che me la potesse dare; allora, pen-sando che mio fratello non dovesse rimanere disarmato, sono venu-to qui e ho estratto l’arma dalla roccia senza alcuna fatica. – Non vi erano cavalieri? – No. – Ora capisco che devi essere tu re di questa terra! – esclamò alloraser Ector.

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14. montante: elemento diforma allungata, per lo piùverticale e infisso nel ter-reno, a cui si legano i ca-valli.15. Libro Sacro: la Bibbia.

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– Perché proprio io?– Perché questa è la volontà di Dio. Nessuno avrebbe potuto pren-dere la spada salvo colui che sarà il legittimo sovrano del paese. Orafammi vedere se sei capace di riporla dov’era e di ritirarla fuori.– Non è difficile – disse Artù, rinfilando la spada nella roccia.E quando ser Ector cercò di estrarla a sua volta, non vi riuscì. […]Quando arrivò la Pentecoste16 molti uomini di diversa estrazione17 simisurarono nel tentativo di tirare fuori la spada dalla roccia, ma viriuscì solo Artù, che la estrasse alla presenza di tutti i nobili e del po-polo riunito. Subito dalla folla si alzò un grido:– Artù deve essere il nostro re! Non vogliamo altri indugi, perchéquesta è la palese18 volontà di Dio. Uccideremo chiunque intendes-se opporsi.Dopo di che ricchi e poveri si inginocchiarono invocando il perdonodi Artù per avere esitato tanto a lungo. Artù li perdonò, poi prese laspada con entrambe le mani e l’offrì sull’altare presso cui si trovaval’arcivescovo. In tal modo fu fatto cavaliere dall’uomo più nobile trai presenti.Subito dopo si procedette all’incoronazione, e Artù giurò ai nobili eal popolo che sarebbe stato un re leale e giusto per tutta la vita.[…]All’inizio del regno di Artù, che era stato scelto come re per caso eper grazia di Dio, la maggior parte dei baroni, non sapendo che erafiglio di Uther Pendragon finché Merlino lo rivelò apertamente, gliavevano mosso guerra, rimanendo però sconfitti.Un giorno poi il re, che nel corso di quegli anni si era quasi semprefatto guidare dai consigli di Merlino, gli disse:– I baroni non mi daranno pace finché non prenderò moglie, ma lofarò solo dietro vostro avviso19.– È bene che vi scegliate una sposa, perché un uomo del vostro ran-go20 e della vostra nobiltà non dovrebbe rimanere senza – convenneMerlino. – Vi è una dama che amate più di ogni altra?– Sì, Ginevra, la figlia di re Leodegrance della terra di Camelerd: èla fanciulla più bella e più onorata che conosca, e inoltre il padrepossiede la Tavola Rotonda che, a quanto mi diceste, ricevette damio padre Uther.– Sire, Ginevra è senz’altro una delle più belle fanciulle del mondo –gli disse allora Merlino – ma se voi non l’amaste tanto e il vostro cuo-re fosse libero, potrei trovarvi un’altra damigella avvenente e dotatadi ogni virtù che potrebbe amarvi e piacesse a voi. Tuttavia, so chequando il cuore di un uomo ha operato la sua scelta, è riluttante avolgersi altrove.

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16. Pentecoste: festa cri-stiana che cade la settimadomenica dopo la Pasquae celebra la discesa delloSpirito Santo sulla Verginee sugli Apostoli.17. di diversa estrazione:provenienti dalle più di-verse classi sociali.18. palese: evidente, chia-ra.19. dietro … avviso: su vo-stro consiglio, cioè soltan-to dopo aver sentito il pa-rere di Merlino.20. un uomo … rango: unapersona che ha una posi-zione sociale così alta; Ar-tù è il re.

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– È vero – gli confermò il re.Merlino però lo mise in guardia, rivelandogli confidenzialmenteche non sarebbe stato saggio da parte sua prendere per moglie pro-prio Ginevra, che un giorno avrebbe ricambiato l’amore che Lan-cillotto avrebbe mostrato per lei. […] Alla fine del colloquio chieseche il re lo facesse accompagnare da alcuni uomini a interpellareGinevra, e il re acconsentì. Così Merlino andò da Leodegrance diCamelerd per metterlo al corrente del fatto che Artù desideravasposare sua figlia.– Che un re tanto illustre per nobiltà e valore voglia prendere in mo-glie Ginevra è la notizia più bella che abbia mai ricevuto – dichiaròil sovrano. – Gli offrirei volentieri anche le mie terre se pensassi dipoterlo compiacere, ma ne ha già tante e sono certo che non ne habisogno. Gli farò quindi un dono che gradirà molto di più, perché gliconsegnerò la Tavola Rotonda che mi fu data da Uther Pendragon.Essa può ospitare un massimo di centocinquanta cavalieri; cento liho io stesso, ma gli altri mi sono stati uccisi.Così Leodegrance affidò a Merlino la figlia insieme alla Tavola Ro-tonda e ai cento cavalieri, ed essi viaggiarono con gran pompa e inallegria per mare e per terra finché arrivarono vicino a Londra.

ad. da Th. Malory, Storia di re Artù, Rizzoli

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to 1. Chi propone di tenere la riunione durante la quale sarà scelto il nuovore d’Inghilterra?

2.Qual è il giorno scelto per tale riunione?

3.Quale prova particolare devono superare gli aspiranti al trono?

4. Chi è l’unico a superarla?

5.Passa il tempo, e il re decide di prendere moglie. Chi è la fanciulla sucui cade la sua scelta?

6.Qual è il parere di Merlino riguardo alla scelta di Artù? Perché?

7. In cosa consiste il dono che il padre della sposa fa ad Artù?

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Ginevra e il Cavaliere della CarrettaSer Lancillotto del Lago è il cavaliere più valoroso della Tavola Rotonda el’amico più caro di re Artù, che conta su di lui per la difesa del regno. Lancil-lotto, però, è innamorato di Ginevra, la moglie di re Artù: a lei dedica le pro-prie vittorie e su di lei vigila, intervenendo rapidamente in caso di pericolo,come quando Meliagant, un cavaliere innamoratosi della regina, la rapisce.

Poco tempo dopo che re Artù era tornato in Inghilterra da Roma1, icavalieri della Tavola Rotonda si riunirono a corte per dedicarsi agiostre e a tornei. Non pochi cavalieri novelli2 compirono onorevoligesta d’armi e superarono i compagni dando prova di valore e diprodezza, ma tra tutti spiccò ser Lancillotto del Lago che fu il miglio-re nei tornei, nelle giostre e nelle prove d’armi sia al primo sia all’ul-timo sangue, e non si fece mai sopraffare se non per tradimento oper incantesimo. Dunque ser Lancillotto si meritò una tale unanimeammirazione che il libro francese3 dice che era il cavaliere miglioredella corte dopo il ritorno del re da Roma. Per tutti questi motivi, laregina Ginevra lo predilesse tra gli altri, e poiché anche egli la ricam-biava amandola più di qualunque altra dama o damigella della suavita, compì per lei molte prodezze d’armi. Ora accadde che nel me-se di maggio la regina Ginevra chiamasse dieci cavalieri della Tavo-la Rotonda avvertendoli che il mattino dopo di buon’ora sarebberoandati a far maggio4 con lei nei boschi e nei campi che circondava-no Westminster5. – Procuratevi buoni cavalli e vestitevi tutti di panno o di seta verde.Io condurrò con me dieci damigelle perché ciascuno di voi ne portiuna dietro la propria sella. Voi invece prendete dieci scudieri e dueservitori con buone cavalcature. Così, al mattino, montarono in sella e si inoltrarono nei prati e nelleforeste con grande gioia e diletto. Non era ancora giorno, perché Gi-nevra aveva stabilito di tornare da re Artù al più tardi per le dieci. Ma Meliagant, figlio di re Bagdemagus, un cavaliere che possedevaallora un castello donatogli da Artù a sette miglia da Westminster,era da molti anni profondamente innamorato di Ginevra. Il libro di-ce che aveva meditato più volte di rapirla, ma che se ne era sempretrattenuto perché non osava tentare l’impresa quando ella era incompagnia di Lancillotto o non lontana da lui. Ora quel giorno Meliagant spiò i movimenti della regina e, accorto-si che Lancillotto non era con lei e che ella era accompagnata solo dadieci cavalieri, si convinse che era un’ottima occasione e si provvi-de6 di buoni uomini d’armi e di un centinaio di arcieri7 per sbaraglia-re il seguito e rapirla. […]

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1. era tornato … da Roma:come ogni cristiano delMedioevo, Artù si è recatoa Roma in pellegrinaggio.2. cavalieri novelli: sono icavalieri divenuti tali dapoco tempo.3. il libro francese: l’autoredell’opera, Thomas Malory,scrive nella prefazione diaver tratto notizie di Artùe dei suoi cavalieri da cer-ti testi francesi, dei qualiperò non sappiamo nulla.4. far maggio: festeggiaregioiosamente la primavera.5. Westminster: è la cele-bre abbazia che oggi si tro-va nel centro di Londra, maall’epoca era situata neidintorni della città, cioè incampagna.6. si provvide: si fornì.7. arcieri: soldati, a caval-lo o a piedi, armati di arco.

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Saputo del rapimento, Lancillotto corre in aiuto della regina.

Ser Lancillotto galoppò a briglia sciolta, e arrivato in fretta sul luogodello scontro tra i dieci cavalieri e ser Meliagant, seguì le tracce deicavalli finché, imboccata una stradina nel bosco, si imbatté nei tren-ta arcieri lasciativi in agguato che gli intimarono8 di tornare indietro. – In nome di quale autorità impedite a un cavaliere della Tavola Ro-tonda di seguire la propria strada? – chiese loro. – Cambia direzione, altrimenti continuerai a piedi, perché ti uccide-remo il cavallo – fu la risposta. – Non sarà certo una grande impresa! Anche quando me lo avreteucciso, io non farò molto conto di voi, foste pure cinquecento di più!– esclamò Lancillotto. Infatti, dopo che gli arcieri ebbero scoccato un nugolo di frecce con-tro il suo cavallo, egli si districò agilmente dalla sella e si incammi-nò a piedi; ma poiché numerosi fossati e varie siepi lo dividevanodagli avversari, non gli fu possibile venire alle mani con loro.

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8. intimarono: ordinarono.

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– Ahimè, che vergogna che un cavaliere ne tradisca un altro! – si dis-se. – Ma c’è un vecchio proverbio che recita: “Il valoroso è davveroin pericolo solo quando si trova in balia di un codardo9”. Continuò a camminare, furibondo perché si sentiva impacciato dal-l’armatura, dallo scudo, dalla lancia e dal corredo10; tuttavia nonaveva intenzione di abbandonare tutto, perché temeva di incappa-re in altri tranelli di Meliagant. Dopo che ebbe percorso un brevetratto, però, la fortuna volle che gli passasse accanto il carretto diun legnaiolo. – Dì un po’, carrettiere, cosa vuoi per lasciarmi saltare su e portar-mi a un castello che si trova a un paio di miglia da qua? – chiese serLancillotto al conducente. – Non posso farvi salire: sono venuto a fare legna per il mio signoreser Meliagant – gli rispose l’uomo. – E proprio con lui che voglio parlare. – Comunque non verrete con me – ripeté l’altro. Allora ser Lancillotto gli balzò accanto e gli vibrò un colpo che lo fe-ce cadere in terra morto stecchito. L’altro carrettiere suo compagno,terrorizzato di finire allo stesso modo, si mise a gridare:– Risparmiatemi, bel signore! Vi porterò io dove vorrete. – Allora conducimi davanti alla porta di ser Meliagant – gli ordinòser Lancillotto. – Salite e ci arriverete in fretta – disse il carrettiere; poi mise il caval-lo al galoppo, mentre il destriero del cavaliere, pur avendo infitte incorpo quaranta frecce grosse e rozze, si metteva a seguirli. Era passata già più di un’ora e mezza da quando Ginevra si eramessa con le sue dame nello sguincio11 di una finestra ad aspettare,quando una damigella, visto un cavaliere armato in piedi su unacarretta12, disse: – Guardate, signora, quel bel cavaliere sul carro. Penso che lo stianoportando all’impiccagione. – Dov’è? – le chiese Ginevra. Ma in quello stesso momento riconosceva lo scudo di Lancillotto escorgeva anche il destriero che lo seguiva calpestando con le zampele proprie stesse budella13. – Ahimè – esclamò allora – ora posso affermare di aver constatatocon i miei stessi occhi quanto sia fortunato l’uomo che può contaresu un amico fidato! Ah – disse anche fra sé – devi essere davvero amalpartito se ti sei ridotto a viaggiare su una carretta! Ma poi si volse a rimproverare la dama che si era permessa di diredi Lancillotto che sembrava andasse sulla carretta degli impiccati. – Hai detto una cosa ignobile, e hai fatto un paragone malvagio ac-

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9. codardo: persona vileche non esita a ricorrere al-l’inganno e al tradimento.10. corredo: l’attrezzatura,l’equipaggiamento del ca-valiere.11. nello sguincio: nell’an-golo.12. carretta: veicolo a dueruote che allora serviva an-che a trasportare i condan-nati a morte.13. destriero … budella: sitratta del cavallo di Lan-cillotto, che è stato feritoda una grande quantità difrecce.

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costando il più nobile cavaliere del mondo a una morte tanto vile!Oh, Gesù, difendilo e proteggilo da una fine abietta14! Intanto ser Lancillotto era arrivato davanti alla porta, era smontatodalla carretta e si era messo a gridare con una voce che aveva risuo-nato per tutto il castello: – Dove sei, Meliagant, falso e traditore cavaliere della Tavola Roton-da? Fatti avanti con tutti i tuoi compagni. Qui c’è Lancillotto del La-go pronto a battersi. E così dicendo, aveva spalancato la porta addosso al custode, chepoi aveva percosso con la manopola15 sotto un orecchio spezzando-gli il collo.

Meliagant è costretto al duello con Lancillotto e trova la morte per manodel nobile cavaliere.

Così non ci fu altro da fare che portare fuori dal campo il morto,che Artù permise fosse sotterrato solo a seguito delle ripetute ri-chieste dei cavalieri della Tavola Rotonda. Sulla tomba un’iscrizio-ne diceva chi l’aveva ucciso e perché. E da allora il re e la reginatennero ser Lancillotto del Lago in ancora maggiore onore e lo ama-rono più che mai.

ad. da Th. Malory, Storia di re Artù, Rizzoli

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14. fine abietta: morte di-sonorevole.15. manopola: il pesanteguanto di ferro che pro-tegge la mano nell’arma-tura medievale.

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to 1. La vicenda prende avvio da un’occasione di svago. Cosa decide di farela regina Ginevra? Chi l’accompagna?

2.Nell’episodio che hai appena letto Lancillotto del Lago compie un’im-presa importante. Come si chiama il suo avversario?

3.Quale delitto ha commesso tale avversario?

4.Come si comporta Lancillotto quando viene a sapere cosa è successo?

5.Perché Lancillotto è soprannominato “Cavaliere della Carretta”?

6.Qual è la fine di Meliagant? Come si conclude il brano?

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L’epica nordica:Sigfrido

L’epica nordica, nel suo complesso, si caratterizza per la presenza di al-cuni elementi che la rendono molto diversa dai poemi del ciclo carolin-gio e del ciclo bretone. Il primo di questi elementi – e il principale – èil sentimento della natura: misteriosa e selvaggia, la natura domina sul-l’uomo, che appare come rimpicciolito sullo sfondo di montagne inac-cessibili e foreste quasi mai rischiarate da un raggio di sole. È una natu-ra pericolosa, popolata da divinità spesso ostili e da strane creature, etutto ciò dà luogo a una visione della vita pessimistica o, quanto meno,malinconica e priva di gioia.

Altro motivo ricorrente dell’epica nordica è la presenza e la grande poten-za delle forze del male, che rendono la vita dell’uomo un percorso privodi speranza e proiettato inevitabilmente verso la rovina finale. Di conse-guenza la figura dell’eroe è quella di un “guerriero”, di un uomo eccezio-nale capace di resistere più a lungo degli altri al destino di morte che ac-comuna gli esseri umani, ma come tutti destinato a soccombere.

Tra i maggiori poemi nordici che, pur nella loro diversità, presentano imotivi sopra accennati, sono da annoverare il Beowulf, un poema anglo-sassone il cui protagonista lotta contro mostri e creature demoniache, el’Edda scandinavo, che costituisce una preziosa testimonianza del mon-do dei Vichinghi e che è in parte ispirato a miti in seguito rielaboratinella Canzone dei Nibelunghi, il poema più conosciuto dell’epica nordi-ca. La Canzone dei Nibelunghi, diffusasi nell’area tedesca intorno al XIIIsecolo, muove da eventi realmente accaduti e fa riferimento a personag-gi storici: gli Unni infatti, guidati da Attila, sconfiggono i Burgundi(identificati con i Nibelunghi) nel 437.

Tuttavia – come anche nei poemi dell’area francese-bretone – nella Can-zone dei Nibelunghi gli elementi di realtà si integrano con quelli fanta-stici per dare vita a una storia intrisa di violenza, di magia e momenti li-rici. Molte sono le leggende che si fondono in essa: la più importante èquella relativa ai Nibelunghi, da cui il poema prende nome. I Nibelunghisono un popolo di nani che vivono sottoterra, dove scavano alla ricercadell’oro accumulando così enormi ricchezze. Si tratta però di un tesoromaledetto, perché chi se ne impadronisce va incontro a una fine terribi-le, come accadrà all’eroe Sigfrido e a tutti i Burgundi.

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L’argomento generaleLa Canzone dei Nibelunghi è un poema molto complesso, e dunque difficil-mente riassumibile. La trama principale è quella incentrata su Sigfrido. L’eroesi reca a Worms, presso il re Gunter, attratto dalla fama della bellezza di Cri-milde, sorella del sovrano, e si copre di gloria nella guerra tra Danesi e Sasso-ni. Durante i festeggiamenti per la vittoria, tra Sigfrido e Crimilde nascel’amore. Dal canto suo, Gunter chiede la mano della valchiria (vergine guerrie-ra) Brunilde, che acconsente a condizione che il re superi una difficilissimaprova. Gunter accetta, anche perché sa di poter contare sull’aiuto di Sigfrido. Si celebrano così sia le nozze tra Gunter, re dei Burgundi, e Brunilde chequelle tra Sigfrido e Crimilde, ma ben presto fra le due donne – ciascuna del-le quali esalta il valore del proprio marito, che considera superiore – scoppiaun grave contrasto, le cui conseguenze saranno tragiche per tutti. Brunildeinfatti, venendo a sapere che Gunter ha superato la prova solo per l’interven-to di Sigfrido, si sente tradita e umiliata, e decide così di vendicarsi spingen-do il marito stesso e Hagen, suo prode cavaliere, a uccidere Sigfrido. Ciò av-viene durante una partita di caccia, grazie al malvagio inganno con cui Ha-gen è riuscito a farsi indicare dall’inconsapevole Crimilde l’unico punto vul-nerabile del corpo di Sigfrido. Pur affranta dal dolore, Crimilde finge di perdonare tutti, ma in realtà è os-sessionata dal pensiero della vendetta. Passano tredici lunghi anni e Attila,il re degli Unni nel frattempo rimasto vedovo, chiede la mano di Crimilde,che accetta vedendo in tale circostanza un’occasione favorevole per compie-re la sua vendetta. Le nozze si celebrano a Vienna e durante il banchettoGunter e Hagen vengono trucidati, finché Ildebrando, scudiero del re dei Go-ti Teodorico, pone fine alla furia omicida della regina con un colpo mortaledi spada.

La vendettadi Crimilde

Le nozze e la mortedi Sigfrido

Sigfrido a Worms

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La morte di SigfridoIstigato da Brunilde, Hagen, il fido cavaliere di Gunter, ordisce un piano peruccidere Sigfrido. L’occasione propizia gli è offerta da una battuta di cacciaalla quale l’eroe prenderà parte. Mediante l’inganno, Hagen è infatti riusci-to a sapere da Crimilde in quale punto del corpo il suo sposo è vulnerabile,per poterne poi approfittare al momento opportuno. Durante il ricco ban-chetto che si tiene dopo la caccia, vengono a mancare le bevande…

Disse il sire Sigfrido: «Assai mi meraviglia,poiché tante vivande ci vengono dalle cucine,che non ci portino vino i nostri coppieri.Se così ci trattate, non vi sarò più compagno di caccia.

5 Ho ben meritato che meglio mi si tratti».Il re dalla sua tavola disse con falso intento:«Ripareremo volentieri a ciò in cui mancammo.Di Hagen è la colpa, che ci fa patir la sete».

Disse Hagen di Tronje: «Mio caro signore,10 credevo che oggi la battuta si svolgesse

nella foresta di Spesshart: là mandai quel vino.Se oggi siam senza vino, ciò non accadrà mai più!».

Disse il sire Sigfrido: «Non ve ne posso esser grato!Sette some di chiaretto e idromelato

15 qui dovevano giungere. E se questo non c’è,bisognava almeno accamparsi in riva al Reno».

Disse Hagen di Tronje: «Nobili cavalieri, so una fredda sorgente non lontano di qui(non siatemi irati) laggiù possiamo andare».

20 Quel consiglio fu dato a danno di molti eroi.

La sete torturava il guerriero Sigfrido.Per questo tanto più presto fece toglier le mense.Voleva andare alla montagna dov’era la sorgente.Con perfidia il consiglio fu dato dai guerrieri.

25 Alla città sui carri fu avviata la selvagginache aveva ucciso Sigfrido con mano possente.Gli faceva grandi lodi chiunque lo vedesse.Perfidamente Hagen mancò di fede a Sigfrido.

Quando stavano per muovere alla volta del gran tiglio,30 disse Hagen di Tronje: «Spesso mi è stato detto

che nessuno può misurarsi con lo sposo di Crimilde quando vuol correre. Se volesse darcene una prova!».

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3. coppieri: coloro che ver-savano da bere.6. Il re: Gunter.11. Spesshart: regione bo-scosa di incerta localizza-zione.14. some: animali comemuli, asini e cavalli, usatiper portare un carico (so-ma). – chiaretto e idrome-lato: il primo è un vinellodel Reno, mentre il secon-do (detto anche idromele)è una bevanda alcolica ot-tenuta dalla fermentazio-ne di una soluzione ac-quosa di miele.20. fu dato a danno: arre-cò grandi dolori.28. mancò di fede: tradì lapromessa di fedeltà.29. gran tiglio: albero vici-no al quale si trova la sor-gente cercata.

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Disse Sigfrido, il prode re del Niederland:«Potete farne una prova, se volete correre con me

35 a gara alla fontana. Una volta là giunti,darete la lode a chi vedrete vincitore».

«Anche noi proveremo», disse il guerriero Hagen.E il forte Sigfrido soggiunse: «A terra mi siederòai vostri piedi giù nell’erba».

40 Gunter si rallegrò quando udì queste parole.

Disse il prode eroe: «E questo ancora vi dico:tutte le mie armi porterò su di me,l’asta e lo scudo e la veste da caccia».S’allacciò la faretra e si cinse la spada.

45 Gli altri si tolsero allora le vesti.Entrambi furono visti in due bianche camicie.Come pantere selvagge corsero nel piano.Ma accanto alla sorgente fu visto prima Sigfrido.

Sempre in ogni gara vinceva gli avversari.50 Si sciolse la spada, depose il turcasso,

appoggiò la forte asta ad un ramo del tiglio.Presso l’onda sorgiva stava il magnifico straniero.

La cortesia di Sigfrido era assai grande.Depose lo scudo dove l’onda scorreva.

55 Benché ardesse di sete, non bevve l’eroeprima del re. Ma assai male ne fu ripagato.

La sorgente era fresca, limpida e dolce.Gunter si chinò giù sopra l’onda.Quand’ebbe bevuto, in piedi si levò.

60 Anche il prode Sigfrido l’avrebbe fatto volentieri.

Ma pagò cara la sua cortesia. Arco e spada,tutto sottrasse Hagen dal luogo dove stavano.Poi balzò indietro dov’era la sua lancia.Mirava ad un segno sulla veste del guerriero.

65 Mentre il sire Sigfrido beveva alla sorgente,lo colpì nella croce, e sprizzò per la feritail sangue dal suo cuore sulla veste di Hagen.Nessun cavaliere compirà mai sì gran misfatto.

da Canzone dei Nibelunghi, Einaudi

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33. Niederland: letteral-mente significa “terra bas-sa”; indica un luogo nonmeglio precisato.39. A terra … piedi: Sigfri-do promette di inginoc-chiarsi davanti al vincitoredella corsa.44. faretra: astuccio checontiene le frecce.50. turcasso: l’astuccio perle frecce dell’arco, sinoni-mo di “faretra”.52. onda sorgiva: è la sor-gente presso la quale Ha-gen riuscirà a mettere inatto il suo piano. – magni-fico stra niero: è Sigfrido,ospite del re dei Burgundi.66. croce: la croce che Cri-milde ha ricamato in corri-spondenza della spalla,l’unico punto in cui il corpodel marito è vulnerabile.

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COMMENTOSigfrido è l’eroe luminoso che ama e aiuta il suo signore, Gunter; nonlo tradisce mai, non conosce slealtà né inganni. Tutto questo significache, al tempo in cui il poema venne composto, i comportamenti vio-lenti tipici della cultura nordica arcaica erano ormai condannati dallasocietà germanica. Forza e valore dovevano identificarsi con la giusti-zia e le doti di Sigfrido – l’eroe nobile, valoroso e giusto – vengono ce-lebrate, e addirittura esaltate con la sua morte. Caratteristica peculia-re di Sigfrido è però anche l’invulnerabilità.Essere invulnerabili: questo è stato da sempre uno dei desideri dell’uomo,che sente il proprio corpo soggetto alle malattie, al dolore fisico e infinealla morte, e che invece vorrebbe mantenersi sano e vigoroso. Nei testiletterari questa aspirazione si esprime attraverso “l’invenzione” da partedell’autore dell’invulnerabilità dell’eroe, che tuttavia non può sfuggire alsuo destino di morte. Ad esempio, Achille invano è stato immerso appe-na nato in un’acqua che lo ha reso invincibile. Sua madre, la dea Teti, te-nendolo per il tallone, non ha però potuto rendere invulnerabile questaparte del suo corpo e la freccia di Paride, colpendo appunto il tallone,provocherà la morte di Achille. Sigfrido, invece, bagnandosi nel sangue diun drago da lui ucciso, ha “protetto” da ogni ferita tutto il corpo, tran-ne una piccola parte della spalla su cui si era posata una foglia caduta daun albero vicino. E l’asta di Hagen, colpendo proprio quel punto, provo-cherà la morte dell’eroe.

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1.Hagen, spinto da Brunilde e dalla sua stessa invidia, decide di sbarazzarsi di Sigfrido. Rileggendoil testo, trascrivi i singoli punti (non più di un verso) da cui emergono le seguenti informazionirelative allo stratagemma di Hagen (l’esercizio è avviato).a. manca il vino al banchetto che non ci portino vino i nostri coppierib. suggerimento di recarsi presso una sorgente ................................................................

c. Sigfrido arriva per primo alla sorgente ................................................................

d. Hagen colpisce Sigfrido in un punto preciso del suo corpo ................................................................

2. In realtà, Hagen può avere la meglio su Sigfrido soltanto sfidandolo. A fare cosa? Con quali paroleHagen sfida l’avversario?

3. In che modo Hagen capisce qual è il punto esatto in cui deve colpire Sigfrido per poterlo uccidere?Trascrivi il verso da cui hai ricavato la tua risposta.

4.Nel brano, la voce narrante giudica continuamente il comportamento dei personaggi. Ti fornia-mo una lista di aggettivi presenti nel testo. Indica a quale personaggio si riferiscono.Sigfrido .............................. Gunter .............................. Hagen ..............................a. ipocrita b. perfido c. prode d. cortese e. falso f. forte g. magnifico

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Il quadro storico-politico

L’IMPERO E IL PAPATOI fondamenti sui quali si reggeva il mondo medievaleerano l’Impero e il Papato. Ambedue erano ritenuteistituzioni universali e sacre, e si disputavano la funzio-ne di guida di tutto il genere umano. Da questa di-sputa erano derivate tante contese ed erano nati duepartiti: quello dei Guelfi, che appoggiavano il papa, equello dei Ghibellini, che appoggiavano l’imperatore.La maggior parte delle città italiane era sconvolta dal-le lotte fra queste due opposte fazioni, che rivaleggia-vano per ottenere il potere. I Ghibellini subirono undurissimo colpo nel 1266 quando, sul campo di bat-taglia di Benevento, morì Manfredi, figlio di Federico IIdi Svevia, ultimo rap pre sentante del partito imperiale.A sconfiggerlo era stato il sovrano francese Carlo d’An-giò, che il papa aveva chiamato in aiuto contro il suoavversario Manfredi. I Ghibellini persero il potere inquasi tutte le città italiane; i Guelfi trionfarono. Se con il crollo del partito ghibellino perse il suo pre-stigio l’Impero, anche il Papato si trovò ben presto ingravi difficoltà. Fu infatti costretto a fare i conti conchi era venuto in suo aiuto ed esigeva ora una fortericompensa: il re francese Filippo il Bello pretende-va infatti di sottoporre alla sua autorità non solo al-cuni territori della penisola, ma lo stesso Papato.Dallo scontro con lo Stato nazionale francese il Pa-pato uscì sconfitto: la Chiesa dovette così piegarsi al-la potenza della corona francese, trasferendo la se-de papale ad Avignone, nel Sud della Francia. La cattività avignonese – cioè la prigionia del Pa-pato nella città francese – durò circa settant’anni,dal 1309 al 1377; durante questo lungo periodo, laChiesa fu guidata da papi francesi e amministratada funzionari francesi. L’“esilio” ridusse notevolmen-te la libertà d’azione della Chiesa in Europa e in Ita-lia, ed ebbe notevoli ripercussioni soprattutto a Ro-ma, lacerata dalle discordie tra le grandi famiglieche aspiravano a impadronirsi del potere.

IL COMUNEAccanto alle due grandi istituzioni dell’Impero e delPapato, a partire dall’XI secolo si era sviluppata in

Italia un’altra forma di governo, che operava all’in-terno delle città: il Comune. Questo organismo po-litico, che si affermò soprattutto nel Centro-Nord, fupromosso dalla borghesia cittadina; si fondava, in-fatti, sulla libera associazione di artigiani e mercanti(Arti e Corporazioni), sulla libertà dei commerci esulla libera espressione delle opinioni politiche, an-che se tutti i Comuni dell’Italia centro-settentrionaleappartenevano giuridicamente all’imperatore ger-manico. La diversità delle opinioni politiche fu cau-sa, all’interno di ogni Comune, di dure contese elotte fratricide, determinate dal desiderio di ciascunpartito di ottenere il potere.In particolare, a Firenze, dopo la sconfitta dei Ghibel-lini, la lotta politica si svolse tutta nell’ambito dellaparte guelfa, a sua volta divisa nelle fazioni dei Bian-chi e dei Neri. Fra il 1300 e il 1301 questi ultimi, so-stenuti dal pontefice Bonifacio VIII, ebbero il soprav-vento e imposero nella città un proprio governo, chedecretò l’esilio di tutti i Bianchi, fra i quali il poetaDante Alighieri, che apparteneva a questo partito.

LE SIGNORIENel corso del Trecento si assistette al progressivoampliarsi della sfera politica dei Comuni: dalla città,attraverso l’assoggettamento del contado, si giunsealla formazione di organismi politici più ampi, le Si-gnorie, così chiamate perché soggette alla guida diun unico “signore”. In un primo tempo il regime si-gnorile mantenne, almeno formalmente, le istitu-zioni del Comune (consigli, magistrature, organi va-ri), che però, in seguito, persero di valore. Il signore,infatti, rafforzò il suo potere e lo rese ereditario, cer-cando al tempo stesso di rendere legittima la pro-pria posizione grazie al riconoscimento ufficiale daparte dell’imperatore o del papa.

IL REGNO DEL SUDUna storia a parte caratterizzò invece il Mezzogior-no d’Italia. Già nel 1197 il giovanissimo principe,Federico II di Svevia aveva ereditato dal padre,l’impero tedesco, e dalla madre, ultima erede dei

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Il quadro culturaleIL PENSIERO MEDIEVALEIl Medioevo (“età di mezzo”) è considerato dagli sto-rici un periodo di passaggio fra due mondi, l’antico eil moderno.Il mondo antico, con le grandi civiltà che hanno pre-ceduto l’avvento del Cristianesimo, ha rappresenta-to spesso la vita umana dominata dal Fato o dallaFortuna oppure dal volere di divinità misteriose; maha anche valorizzato la virtù del singolo, la vita nobi-litata dalle imprese, dal sapere, dalla capacità politi-ca, dall’arte.Il mondo moderno, invece, attraverso le grandi sco-perte geografiche e i continui progressi nel campodel sapere, ha liberato l’uomo da molti condiziona-menti e divieti; ha avviato il metodo scientifico, havalorizzato la tecnologia, ha riformato l’organizzazio-ne dello Stato e della vita civile, ha dato importanzacrescente ai diritti umani.Il mondo medievale, posto fra quello antico e quel-lo moderno, è profondamente influenzato dallaChiesa. Se la cultura antica poneva ogni felicità nel-la vita che l’uomo conduce sulla Terra, in questo pe-riodo la vera patria è il cielo: la dimora sulla Terra èsentita come una fase di preparazione a quel felicemomento in cui l’anima, con la morte fisica, si libe-rerà del peso e dell’impaccio del corpo e volerà ver-so la sua vera sede, il cielo. Come già accennato, il mondo pagano riteneva chela vita fosse dominata da un Fato misterioso e spes-so avverso all’uomo, contro cui era vano anchel’eroismo dei singoli. Ora invece, il mondo cristianosostiene che l’esistenza umana è vegliata dallaProvvidenza di Dio, i cui segreti sfuggono alla nostracomprensione, ma che conduce alla felicità e allasalvezza.

Accanto a queste posizioni, nel corso del Trecentosi affermano anche correnti di pensiero “laico”, cioènon soggetto all’influenza della Chiesa. La societàcomunale e mercantile tende infatti a valorizzare levirtù dell’intelligenza, dell’astuzia, dell’accorta am-ministrazione, e dunque l’uomo appare degno diconsiderazione per le sue capacità. A poco a pocosi riscoprono così, attraverso le testimonianze del-l’antichità classica, i valori celebrati dagli antichiscrittori. È su questo nuovo interesse per l’uomoche nasce, verso la fine del Trecento, la cultura del-l’Umanesimo, che avrà grande sviluppo nel secolosuccessivo.

IL NOBILE, IL CHIERICO, IL MERCANTETra i protagonisti della vita sociale e culturale del tar-do Medioevo (cioè del periodo compreso tra il XII eil XIV secolo) vi sono tre figure fondamentali: il no-bile, il chierico e il mercante.Il nobile è l’erede della società feudale, della qua-le tramanda lo spirito cavalleresco e gli ideali dicortesia, di disponibilità al sacrificio, di generositànel donare. Valori che sopravvivono alla fine delfeudalesimo, e vengono trasmessi alla società co-munale.Il chierico non è solo l’uomo di Chiesa, bensìl’uomo colto, che conosce il latino e sa leggere ecapire i libri dei filosofi. Si distingue per questodal laico, che non possiede gli strumenti dellacultura.Il mercante, infine, è espressione della civiltà co-munale, caratterizzata dalla ripresa dei commerci edal senso dell’utile. Valori propri del mercante sonoinfatti lo spirito d’iniziativa, l’accorta amministrazio-ne dei beni e il risparmio.

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Normanni Altavilla, tutta l’Italia meridionale. E pro-prio a Palermo il sovrano stabilì la sua splendidacorte, vivacizzata dalla presenza di numerosi lettera-ti e artisti. Dopo la sua morte, nel 1250, e dopoquella di suo figlio Manfredi (sconfitto a Beneventoda Carlo d’Angiò) in seguito a varie vicende, il regnofu diviso tra gli Angioini di Francia, che si stabilirono

nel Meridione d’Italia con sede a Napoli, e gli Ara-gonesi di Spagna, che occuparono la Sicilia. L’Italiameridionale, dunque, non conobbe l’esperienzadei Comuni e delle Signorie, rimanendo fino allaspedizione garibaldina del 1860 un regno affidato,dopo alterne vicende, alla guida di sovrani di origi-ne spagnola.

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Il volgare italianoPer oltre cinquecento anni – dalla caduta dell’Impe-ro romano (476 d.C.) a qualche decennio dopo ilMille – in Italia si parlava una lingua che in realtà nonera più il latino (almeno quello “classico” usato almomento del maggiore splendore di Roma) e nonera ancora l’italiano. Era la lingua parlata del “volgo”,cioè dal popolo, e per questo chiamata volgare.Il volgare a lungo fu solo parlato, rimanendo dun-que una lingua orale, mentre il latino, pur trasforma-to e quindi diverso da quello classico, restava patri-monio della classe dei dotti che continuavano ascrivere nell’antica lingua di Roma.Alla fine del Duecento, un grande letterato e poeta,Dante Alighieri, affidò al volgare anche la parolascritta: infatti, rendendosi conto che il latino non po-

teva essere compreso che da un numero limitato dipersone, decise di scegliere il volgare per il suo im-ponente poema, la Divina Commedia. E proprio sulla lingua volgare, Dante scrisse un’ope-ra, De vulgari eloquentia, nella quale definì la suaposizione nei riguardi della lingua letteraria capacedi competere con il latino. Come lui, usarono il vol-gare anche Francesco Petrarca per il suo Canzonie-re e Giovanni Boccaccio per il suo Decameron. Attraverso l’opera di questi grandissimi autori, il vol-gare, e in particolare il volgare toscano (gli autorierano nati tutti e tre in questa regione), dimostravadi essere una lingua non solo nuova, ricca, varia, mautilizzabile per qualsiasi componimento letterario,sia in prosa che in poesia.

L’attivita letteraria in ItaliaLa letteratura italiana nasce dunque nel XIII secolo.Accanto ad alcuni minori, che trattano temi di carat-tere religioso (San Francesco d’Assisi, Jacoponeda Todi) e di carattere laico (Cecco Angiolieri), es-sa è testimoniata dal sorgere di due scuole poeti-che: quella siciliana (che nasce a Palermo alla cortedi Federico II) e successivamente, negli ultimi de-cenni del XIII secolo, quella del Dolce Stil Novo, allaquale appartengono Guido Cavalcanti, GuidoGuinizzelli e lo stesso Dante Alighieri. Come già detto, in ambito letterario si segnalano,Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boc-caccio, impegnati ciascuno in un genere diverso,più precisamente Dante nella narrazione allegoricadel viaggio nell’oltretomba, Petrarca nella lirica amo-rosa, Boccaccio nella novellistica.Nella Divina Commedia, Dante A li ghieri – attra-verso l’incontro con i dannati dell’Inferno, con i pe-

nitenti del Purgatorio e con i beati del Paradiso –rappresenta la realtà dei suoi tempi, cogliendo glierrori, le colpe e le virtù dell’uomo e tracciando unimmenso affresco del mondo medievale in tutti isuoi aspetti, positivi e negativi. Nel Canzoniere, invece, Francesco Petrarca cantail suo amore non corrisposto per Laura, una giova-ne donna che con il fascino della bellezza lo attraee nello stesso tempo gli provoca un profondo sen-so di colpa, perché lo allontana da Dio facendolocadere nel peccato. Nel Decameron, infine, Giovanni Boccaccio rac-coglie una grande varietà di storie sia del mondoclassico che medievale, organizzandole secondoun percorso di grandi temi (la fortuna, la cortesia,l’amore, le beffe, gli arguti motti ecc.) e offrendocosì uno specchio fedele della realtà sociale e deivalori dominanti nel Trecento.

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1. Sottolinea l’opzione corretta scegliendo tra quelle poste fra parentesi.Accanto alle due grandi istituzioni dell’Impero e del Papato, a partire (dall’XIsecolo/dal Trecento/dal XIII secolo) si afferma nell’Italia (meridionale/setten-trionale/centro-settentrionale) il Comune, un organismo politico promosso(dalla Chiesa/ dalla borghesia cittadina/dall’imperatore). Nel corso del Trecen-to poi, con l’assoggettamento del contado da parte (dell’Impero/di Federico IIdi Svevia/dei Comuni), si giunge alla formazione di organismi politici più am-pi: le Signorie, così chiamate perché soggette alla guida di un unico signore.

2. Indica quali delle seguenti frasi possono essere riferite alla culturamedievale. a. è profondamente influenzata dalla Chiesa e dalla religione

b. ritiene che l’esistenza umana sia vegliata dalla Provvidenza di Dioc. non dà spazio al pensiero laico, cioè non soggetto all’influenza della Chiesa

d. ritiene la vita terrena transitoria, considerando come vera vita solo quella ultraterrena

e. recupera, alla fine del Trecento, i valori celebrati dall’antichità classica f. sostiene che l’esistenza umana è dominata dal Fato, cioè dal destino

3. Indica, tra le seguenti frasi, quali sono riferite al nobile (N), qualial chierico (C) e quali al mercante (M). a. è espressione della civiltà comunale

b. si caratterizza per lo spirito d’iniziativa

c. è l’erede della società feudale d. sa leggere e capire i libri dei filosofi e. trasmette alla società comunale gli ideali di cortesia f. è l’uomo colto che conosce il latino g. trasmette alla società comunale lo spirito cavalleresco

h. si caratterizza per l’accorta amministrazione dei beni

4. Nel seguente brano sono presenti 3 errori: sottolineali e correggili. Dalla caduta dell’Impero romano e per oltre cinquecento anni in Italia si parlail volgare, una lingua che non è più il latino classico e non è ancora il toscano,e che si chiama così perché parlata dal “volgo”, cioè dal popolo. Inizialmentesolo lingua orale, il volgare diventa una lingua scritta alla fine del Mille, graziea Francesco Petrarca, che lo sceglie per scrivere il suo imponente poema.

5. Indica a quale scrittore si riferiscono le espressioni e i titoli sottoe-lencati (fai attenzione: 3 vanno eliminati perché sbagliati). Dante Alighieri .................................................................................................................................Francesco Petrarca .........................................................................................................................Giovanni Boccaccio .......................................................................................................................

a. Decameron f. Divina Commedia b. poesie religiose g. lirica amorosac. De vulgari eloquentia h. narrazione allegorica

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La poesia religiosa umbra

La prima espressione della letteratura italiana è la lirica religiosa involgare umbro, più precisamente quella di San Francesco (1182 ca-1226), che innalza la sua lode a Dio con il Cantico delle Creature. La poesia religiosa si esprime soprattutto attraverso la lauda, un can-to ritmato – inizialmente in latino – nel quale hanno modo di espri-mersi anche i fedeli. Confraternite di laici, i laudesi, raccolgono testiche vengono destinati al canto in chiesa, durante le processioni o lericorrenze religiose. Una di queste laudi è appunto il Cantico delle Crea-ture di San Francesco. E lauda è anche il Pianto della Madonna di Jaco-pone da Todi (1230-1306).

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San Francesco d’Assisi

Cantico delle CreatureAltissimo, onnipotente, bon signore,tue so’ le laude, la gloria e l’amore e omne benedizione.A te solo, Altissimo, se confanoet nullu omu è dignu Te mentovare.

5 Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature,spezialmente messer lo frate Sole,lo quale è iorno, et allumini noi per lui;ed ello è bello e radiante cun grande splendore;de Te, Altissimo, porta significazione.

Altissimo, Onnipotente, buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l’amore e ogni bene-dizione. A te solo, Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di nominarti.(5) Tu sia lodato, o mio Signore, con tutte le tue creature, specialmente messer fratel-lo Sole, che [porta la luce del] giorno, e Tu ci illumini per mezzo di lui; ed esso è bello,radioso e splendente; è un’immagine di Te, Altissimo.

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(10) Tu sia lodato, o mio Signore, per sorella Luna e le Stelle; le hai create in cielo lu-centi, preziose e belle. Tu sia lodato, o mio Signore, per fratello Vento, per l’Aria, le Nu-bi, il Sereno e per ogni tempo attraverso il quale dai nutrimento alle tue creature.(15) Tu sia lodato, o mio Signore, per sorella Acqua, che è molto utile, umile, preziosa epura. Tu sia lodato, o mio Signore, per fratello Fuoco, attraverso il quale illumini la not-te; ed esso è bello, allegro, robusto e forte.(20) Tu sia lodato, o mio Signore, per la nostra sorella madre Terra, che ci nutre e ci ali-menta, e produce frutti diversi, con fiori colorati ed erba. Tu sia lodato, o mio Signore, perquelli che perdonano per amor tuo e sopportano malattia e dolore. (25) Beati quelli chele sopporteranno con rassegnazione, perché da Te saranno innalzati al cielo. Tu sia lo-dato, o mio Signore, per nostra sorella Morte, che provoca la fine della vita, dalla qua-le nessun essere vivente può scappare.

10 Laudato si’, mi Signore, per sora Luna e le Stelle;in cielo l’hai formate clarite e pretiose e belle.Laudato si’, mi Signore, per frate Ventoe per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo,per le quale a le tue creature dai sustentamento.

15 Laudato si’, mi Signore, per sor’Acqua,la quale è molto utile, e umele, e pretiosa e casta.

Laudato si’, mi Signore, per frate Foco,per lo quale enn’allumini la nocte,ed ello è bello, e iocundu, e robustoso, e forte.

20 Laudato si’, mi Signore, per sora nostra matre Terra,la quale ne sostenta e governa,e produce diversi fructi, con coloriti fiori ed herba.

Laudato si’, mi Signore, per quelli che perdonanoper lo tuo amore

e sostengono infirmitate e tribulatione.25 Beati quelli, che ’l sosterranno in pace,

ca de Te, Altissimo, siràno incoronati.Laudato si’, mi Signore, per sora nostra Morte corporale,de la quale nullo omo vivente po’ skappare.

27. Morte corporale: è lamorte del corpo, cioè lamorte vera e propria.

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Guai a quelli, che morranno ne le peccata mortali.30 Beati quelli, che se trovarà ne le tue sanctissime voluntati;

ca la morte seconda no’ li farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore, e rengratiate, e serviteli cun grande umilitate.

da F. d’Assisi, Il Cantico di frate Sole, Marietti

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31. la morte seconda: SanFrancesco allude alla mortedell’anima, cioè alla mortespirituale causata dal pec-cato, e dunque alla danna-zione.

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Guai a quelli che morranno in peccato mortale. (30) Beati quelli che si troveranno adaver seguito la tua volontà, perché a loro la seconda morte non farà alcun male. Lodate ebenedite e ringraziate il mio Signore e servitelo con grande umiltà.

COMMENTOLe ripetizioni («Laudato si’») e al-cune cadenze ritmiche rivelano chequesta lauda era stata scritta peressere cantata in coro. Nonostante la semplicità del discor-so, i concetti sono molto profondied esprimono il rapporto con la na-tura, straordinariamente attuale, diSan Francesco. L’uomo, infatti, hasempre tentato di imporre il suo po-tere sulla natura, considerata comeuna “grande macchina” da manipo-lare e utilizzare a proprio piacimen-to. San Francesco, invece, si avvici-na in modo fraterno a tutte le ma-nifestazioni della natura, amandolee rispettandole come creature diDio. L’uomo, al quale il Santo si ri-volge alla fine della lauda, è la solacreatura che possa riconoscere labellezza dell’universo e lodarla, qua-le opera di Dio.

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1.Quali sono le funzioni positive delle creature evo-cate da San Francesco nella sua lauda?a. il Sole .........................................................b. la Luna e le Stelle ................................c. il Vento, l’Aria e le Nubi ....................d. l’Acqua ........................................................e. il Fuoco ......................................................f. la Terra .......................................................

2.Per esprimere la propria vicinanza alle creaturedella natura, San Francesco utilizza due paroleche di solito si usano per indicare un rapporto diparentela. Quali sono? Individuale e trascrivile.

3. «Guai a quelli», «Beati quelli»: a chi si riferisconoqueste due espressioni? Spiegale con parole tue.

4. Cosa significa l’espressione «seconda morte»?Qual è allora la “prima morte”? Rispondi facendorifermento alla parafrasi e alle note.

5. Cosa dice San Francesco alla fine della lauda? Co-sa deve fare l’uomo?

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Jacopone da Todi

Pianto della Madonna«E io comenzo el corrotto:figlio, lo mio deporto,figlio, chi me t’ha morto,figlio mio dilicato?

80 Meglio averiano fattoche ’l cor m’avesse tratto,che ne la croce è trattostace desciliato».

«Mamma, ove si’ venuta?85 Mortal me dài feruta,

ca ’l tuo planger me stuta,che ’l sì afferrato».

«Figlio, che m’aio anvito,figlio, pate e marito!

90 Figlio, chi t’ha ferito?Figlio, chi t’ha spogliato?».

«Mamma, perché te lagni?Voglio che tu remagni,che serve ei miei compagni,

95 ch’al mondo aio acquistato».

«Figlio, questo non dire:voglio teco morire;non me voglio partirefin che mo m’esce ’l fiato.

95. ch’al ... acquistato: gliapostoli, dopo la sua mor-te diffonderanno nel mon-do il suo insegnamento.

«E io comincio il lamento funebre: figlio, mia consolazione, figlio, chi ti ha ucciso figliomio delicato? (80) Meglio avrebbero fatto se il cuore mi avessero strappato, perché èmesso sulla croce [e] vi sta straziato». «Mamma, dove sei venuta? (85) Mi procuri unaferita mortale, perché il tuo piangere, che vedo così angosciato, mi uccide». «Figlio,[piango] perché ne ho [giusto] motivo, figlio, padre e marito! (90) Figlio, chi ti ha fe-rito? Figlio, chi t’ha spogliato?». «Mamma, perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga [invita] perché [ciò] serve ai miei discepoli, (95) che ho acquisito nel mondo». «Figlio, nondire questo, io voglio morire con te; non voglio andare via [da qui] fino a che respiro.

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100 C’una aiam sepoltura,figlio de mamma scura:trovarse en afranturamate e figlio affocato».

«Mamma col core afflitto,105 entro le man te metto

de Ioanne, mio eletto:sia tuo figlio appellato.

Ioanni, èsto mia mate:tollela en caritate,

110 aggine pietate,ca ’l cor sì ha furato».

«Figlio, l’alma t’è ’scita,figlio de la smarrita,figlio de la sparita,

115 figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,figlio senza simiglio,

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105. entro … Ioanne: tiaffido alle cure di Giovan-ni. Si tratta dell’apostoloGiovanni, autore di unodei quattro Vangeli.112. l’alma … scita: seispirato, sei morto.115. attossecato: questoparticipio può far riferi-mento al fatto che Cristoha bevuto il calice con cuisi è addossato le colpe delmondo (e quindi avere unsignificato simbolico) op-pure alla spugna imbevutadi aceto con la quale uncenturione gli ha inumidi-to le labbra quando era sul-la croce.

I L M E D I O E V O

Le sacre rappresentazioni Vissuto nella seconda metà del Duecento, Jacopode’ Benedetti (che usava riferirsi a se stesso col soprannome di Jacopone), dopo una profonda crisi re-ligiosa entrò nell’ordine dei frati francescani. La sua fama è legata alle laudi drammatiche in volgareumbro, e in particolare a quella intitolata Pianto della Madonna, prima espressione del teatro popolareitaliano. Ma cos’erano le laudi drammatiche?Quando la lauda – di cui è esempio anche il Cantico delle Creature di San Francesco – si articola in undialogo a due o più voci, si trasforma facilmente in uno spettacolo che può essere presentato a un pub-blico di fedeli. Nasce così la lauda drammatica o sacra rappresentazione, una forma di teatro abbastan-za diffusa nel Duecento e nel Trecento, quando nelle chiese e nei monasteri venivano rappresentati imomenti più importanti della vita di Gesù Cristo. Con il passare del tempo si andarono precisando leparti degli attori, la scenografia, i luoghi scelti per l’azione. La direzione era affidata al festaiolo, unasorta di impresario, che era anche il suggeritore e il macchinista in caso di utilizzo di macchinari perl’intervento di angeli o diavoli durante la rappresentazione.

(100) [Voglio che] abbiamo un’unica sepoltura, figlio di madre angosciata: che la ma-dre e il figlio soffocato si trovino [insieme] nella sventura». «Madre dal cuore afflitto,(105) ti metto nelle mani di Giovanni, mio prediletto: sia chiamato tuo figlio. Giovan-ni, ecco mia madre: prendila con te amorosamente, (110) abbine pietà, perché ha ilcuore trafitto». «Figlio, l’anima ti è uscita, figlio della smarrita, figlio della disperata,(115) figlio avvelenato! Figlio [dal volto] bianco e rosso, figlio senza uguale, figlio, in

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1. Il brano che hai letto è tratto da una lauda drammatica di Jacopone da Todi. Quale momentodella vita di Gesù viene rievocato?

2. Chi è il personaggio che Gesù affida alla Madonna perché sia il suo secondo figlio?

3.Nell’ultima parte del brano Maria ripete spesso la parola “figlio”. Che funzione ha tale ripetizione?a. tenere il figlio in vitab. far conoscere a tutti il suo dolorec. sollecitare il pianto delle altre donne

4. Individua e trascrivi tutti gli aggettivi che si riferiscono ai due personaggi presenti nella lauda. a. Gesù .....................................................................................................................................b. Madonna ............................................................................................................................

figlio, a chi m’apiglio?Figlio, pur m’hai lassato!

120 Figlio bianco e biondo,figlio volto iocondo,figlio, per che t’ha ’l mondo,figlio, così sprezzato?

Figlio dolze e placente,125 figlio de la dolente,

figlio, hatte la gentemalamente trattato.

Ioanni, figlio novello,mort’è lo tuo fratello:

130 ora sento ’l coltelloche fo profitizzato.

Che moga figlio e mated’una morte afferrate:trovarse abbraccecate

135 mate e figlio impiccato».

da Iacopone da Todi e la poesia religiosa del Duecento, Rizzoli

130. ora ... profitizzato: neiVangeli vi è una profeziasecondo la quale «una spa-da trafiggerà l’anima» diMaria.

chi trovo sostegno? Figlio ormai mi hai lasciato! (120) Figlio bianco e biondo, figlio dalvolto che dà gioia, figlio perché il mondo ti ha, figlio, disprezzato così? Figlio dolce epiacente (125), figlio dell’addolorata, figlio la gente ti ha trattato in malo modo. Gio-vanni, nuovo figlio [mio], è morto tuo fratello: (130) ora sento il coltello che fu profe-tizzato. Che figlio e madre muoiano afferrati da una [stessa] morte: che si trovino [in-sieme] abbracciati (135) [la] madre e [il] figlio appeso [alla croce]».

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Il DolceStil Novo

Con l’espressione Dolce Stil Novo, coniata da Dante Alighieri, si indi-ca l’esperienza culturale di un gruppo di intellettuali bolognesi (Gui-do Guinizzelli) e fiorentini (Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e lo stessoDante), che condivisero una medesima scelta di argomenti, qualil’amore e l’amicizia, e una stessa maniera di poetare servendosi dellaforma del sonetto – breve composizione poetica costituita da quattrostrofe – o di quella della canzone, formata da cinque a sette strofe.Nelle liriche degli stilnovisti, la donna è una creatura angelica, porta-trice di un messaggio celeste e perciò strumento di salvezza. Questoamore tutto spirituale trova posto solo in un’anima “gentile”, cheesprime il suo sentimento attraverso la poesia.

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I L M E D I O E V O

Guido Guinizzelli

Io voglio del ver…Io voglio del ver la mia donna laudareed asembrarli la rosa e lo giglio:più che stella dïana splende e pare,e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.

5 Verde river’ a lei rasembro e l’âre,tutti color’ di fior’, giano e vermiglio,oro ed azzurro e ricche gioi per dare:medesmo Amor per lei rafina meglio.

3. stella dïana: è Venere,l’astro che appare a orien-te prima del sorgere delsole.

Io voglio in verità lodare la mia donna e paragonarla alla rosa e al giglio: appa-re splendente più della stella diana, e ciò che in cielo è bello [lo] paragono a lei.(5) Paragono a lei una verde campagna e l’aria, tutti i colori dei fiori, giallo erosso, oro e azzurro e ricchi gioielli da regalare: l’Amore stesso, ad opera sua, siraffina ancor di più.

Page 125: PAGINE DI LETTERATURA

Passa per via adorna, e sì gentile10 ch’abassa orgoglio a cui dona salute,

e fa ’l de nostra fé se non la crede;

e no’lle pò apressare om che sia vile;ancor ve dirò c’ha maggior vertute:null’om pò mal pensar fin che la vede.

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Passa per strada ornata [di ogni virtù] e così gentile (10) da smorzare [ogni] superbiaa colui al quale rivolge il saluto, e lo fa diventare credente anche se non crede; e nonle si può avvicinare un uomo che non sia gentile; e ancora vi dico che ha un potere an-cor più grande: nessun uomo può concepire il male fin quando la vede.

COMMENTOPer lodare la bellezza fisica e spirituale della donna, il poeta la parago-na a quanto di più bello esiste in natura. Confronta dunque la figurafemminile con i fiori (rose, gigli, fiori di colore giallo o rosso) e con lacampagna verde («Verde river’»), ma anche con le stelle che brillano inalto nel cielo e le pietre più preziose. L’apparizione della donna ha ef-fetti talmente benefici che, al solo vederla, chi non è credente si con-verte e tutti i pensieri malvagi svaniscono. La donna ha effetti positi-vi perfino sull’amore stesso, un sentimento da lei reso ancora più raffi-nato e perfetto.

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to 1. Il sonetto è una celebrazione della donna amata da Guinizzelli, che viene paragonata a unaserie di elementi naturali. Ricercali nel testo e sottolineali.

2. Individua tutti i verbi utilizzati dal poeta per formulare tali paragoni e trascrivili.

3. La virtù della donna è tale che può avere effetti profondi nell’animo di chi la guarda. Quali?

4.Nei versi che seguono alcune parole ed espressioni della poesia sono state sostituite con ter-mini di uso corrente. Riscrivi negli appositi spazi i vocaboli usati dal poeta. Io voglio in verità ……………….................. la mia donna laudare e paragonarle ……………….................. la rosa e lo giglio:più che Venere ……………….................. splende e pare,e ciò ch’è lassù bello lo paragono a lei ……………….................. .

Page 126: PAGINE DI LETTERATURA

Dante Alighieri

Tanto gentile…Tanto gentile e tanto onesta pareLa donna mia quand’ella altrui saluta,ch’ogne lingua devon tremando muta,e li occhi no l’ardiscon di guardare.

5 Ella si va, sentendosi laudare,benignamente d’umiltà vestuta,e par che sa una cosa venutada cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrarsi sì piacente a chi la mira,10 che dà per li occhi una dolcezza al core,

che ’ntender no la può chi no la prova;

e par che de la sua labbia si movaun spirto soave pien d’amore,che va dicendo a l’anima: Sospira.

da Vita Nuova, XXVI, Mondadori

126

I L M E D I O E V O

La mia donna, quando saluta altri, appare tanto nobile e tanto dignitosa che ogni lin-gua, tremando, diventa muta e gli occhi non osano guardarla. (5) Ella cammina, senten-dosi lodare, atteggiata a modestia e benevolenza; e sembra che sia una cosa venuta dalcielo per testimoniare sulla Terra un evento meraviglioso. A chi la guarda, lei si mostradi tale bellezza, (10) che attraverso gli occhi trasmette al cuore una dolcezza che nonpuò comprendere chi non la prova; e pare che dal suo volto emani un dolce impulso pie-no d’amore, che va dicendo all’anima: sospira.

COMMENTOAnche Dante fu poeta stilnovista. La donna che amò, eche cantò col nome di Beatrice, influì molto sulla sua vi-ta e la sua poesia. In lei gli studiosi hanno individuatoBice Portinari, una nobildonna fiorentina morta a venti-quattro anni. Nella Vita Nuova – che Dante compose po-co dopo la morte della donna, raccogliendo le liriche stil-novistiche scritte in suo onore e collegandole con testiin prosa – il poeta racconta la storia dell’amore provatoper la fanciulla fin dal primo incontro, avvenuto quandolei aveva nove anni. Il titolo indica come Beatrice aves-se dato un orientamento nuovo alla vita del poeta, peril quale la fanciulla era un angelo mandato sulla Terra daDio perché l’uomo conoscesse la bellezza del Paradiso.Chi la guardava, infatti, dimenticava ogni ira e provavauna dolcezza che le parole non potevano esprimere.

lavo

riam

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to

1.Nel sonetto, Beatrice perde ognicaratteristica materiale e assu-me un “nuovo aspetto”. Quale?a. quello di un angelob. quello di un giudice delle col-pe di Dante

c. quello di una madre pietosa

2.Quali aggettivi utilizza Dante percelebrare Beatrice? Quale signifi-cato hanno?

3. Cosa prova chi guarda Beatrice?Quale sentimento trasmette lasua bellezza?

Page 127: PAGINE DI LETTERATURA

Guido, i’ vorrei…Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed iofossimo presi per incantamento,e messi in un vasel ch’ad ogni ventoper mare andasse al voler vostro e mio,

5 sì che fortuna od altro tempo rionon ci potesse dare impedimento,anzi, vivendo sempre in un talento,di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi10 con quella ch’è sul numer de le trenta

con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,e ciascuna di lor fosse contenta,sì come i’ credo saremmo noi.

da Rime, Mondadori

il dolce stil novo 127

5. fortuna: termine lette-rario usato per indicareuna tempesta, un nubifra-gio. – rio: avverso, malva-gio; qui è riferito al tempoatmosferico.9. monna Vanna … Lagia: sitratta delle donne amate,rispettivamente, da GuidoCavalcanti e da Lapo Gian-ni, gli amici del poeta. Iltermine «monna» significasignora.11. il buono incantatore: èil mago Merlino.

Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io fossimo presi per [virtù d’un] incantesimo e posti inuna barca che, [spinta da] qualsiasi vento, se ne andasse per mare secondo la vostra ela mia volontà, (5) in modo che né tempesta né altra avversità di stagione potesseostacolarci; al contrario, vivendo noi sempre in una [sola] volontà [comune], si accre-scesse il desiderio di stare insieme. E che il buon mago mettesse insieme con noi ancheVanna e Lagia (10) e l’altra [donna] che si trova al trentesimo posto [tra le più belle di Fi-renze]: e qui [intrattenerci] in continui ragionamenti d’amore; cosicché ciascuna di esse sene rallegrerebbe, così come, io credo, anche noi.

COMMENTOL’analisi dei temi presenti nel sonetto riconduce ai carat-teri fondamentali del Dolce Stil Novo. Più precisamente:– l’amicizia come corrispondenza di ideali e partecipa-zione a comuni desideri;

– la scelta della solitudine, il distacco dagli impegnidella vita quotidiana (in questo caso la navigazione inuno spazio remoto);

– l’uso di pseudonimi per indicare le donne amate daipoeti, in segno di discrezione nei loro confronti;

– la capacità di ragionar d’amore come privilegio chedistingue una cerchia ristretta a pochi intimi;

– l’esperienza intellettuale vissuta in comune sentitacome elemento di nobilità spirituale, anche se si trat-tava di un sogno irrealizzabile, di un’avventura imma-ginaria.

lavo

riam

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l tes

to

1.Nel sonetto che hai appenaletto, il poeta esprime un de-siderio. Quale? Cosa vorrebbe?

2. Indica chi sono i sei perso-naggi citati nel sonetto.

3. Come si conclude il sonetto?Quale sentimento trova espres-sione nell’ultima strofa?

4.Nella poesia sono presentimolte parole che oggi non siusano più. Individuane almenotre e scrivi a cosa corrispondo-no in italiano moderno.

Dante Alighieri

Page 128: PAGINE DI LETTERATURA

La poesia comica toscana

Dalla seconda metà del Duecento, oltre allo Stilnovismo, si sviluppa inToscana anche un filone comico-realistico, i cui temi sono ispirati allavita terrena e agli a spetti spesso burleschi della realtà quotidiana. Que-sto filone si esprime sia nella prosa con le Trecentonovelle di FrancoSacchetti, che nella poesia, con autori quali Rustico Filippi, Folgóre daSan Gimignano e Cecco Angiolieri, il più noto.

128

I L M E D I O E V O

Cecco Angiolieri

S’i’ fosse focoS’i’ fosse foco, arderei ’l mondo;s’i’ fosse vento, lo tempesterei;s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo;

5 s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,che tutt’i cristiani imbrigherei;s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?a tutti mozzarei lo capo a tondo.S’i’ fosse Morte, andarei da mio padre;

10 s’i’ fosse Vita, fuggirei da lui:similmente farìa da mi’ madre.

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,torrei le donne giovani e leggiadre,e vecchie e laide lasserei altrui.

da A. Cecco, Rime, Mursia

Se fossi fuoco, brucerei il mondo; se fossi vento, gli scatenerei contro [continue] tem-peste; se fossi acqua, lo annegherei; se fossi Dio, lo sprofonderei in un abisso; (5) sefossi papa, allora sarei lieto, perché metterei nei guai tutti i cristiani; se fossi impera-tore, sai che farei? mozzerei a tutti la testa [menando] intorno [la spada].Se fossi la Morte, andrei da mio padre; (10) se fossi la Vita, fuggirei da lui; ugualmentefarei con mia madre.Se fossi Cecco, come sono e sono sempre stato, mi prenderei le donne giovani e belle,e lascerei agli altri quelle vecchie e brutte.

Page 129: PAGINE DI LETTERATURA

la poesia comica toscana 129

COMMENTOPoeta senese nato intorno al 1260, Cecco Angiolieri sembra divertirsi arovesciare in modo scherzoso i modelli stilnovisti. Alla celebrazionedella donna come creatura angelica, sostituisce infatti – soprattuttonei sonetti dedicati alla donna amata, Becchina – le offese, le ingiuriee un linguaggio rozzo e volgare. La sua poesia più celebre è S’i’ fossefoco, un elenco di desideri malvagi il cui messaggio appare chiaro solonel finale, nel quale, con grande abilità, il poeta riesce a sdrammatiz-zare e a rendere scherzosa l’intera composizione, iniziata con toni ca-tastrofici.

lavo

riam

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to

1.Quasi tutti i versi del sonetto iniziano con la stessa espressione. Quale?

2. Chi, di volta in volta, il poeta ipotizza di essere?

3. Cosa farebbe il poeta se fosse il personaggio o l’elemento naturale a cuifa riferimento? (l’esercizio è avviato) • fuoco: brucerebbe il mondo

• ..................................................................................................................................................

• ..................................................................................................................................................

• ..................................................................................................................................................

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• ..................................................................................................................................................

• ..................................................................................................................................................

• ..................................................................................................................................................

4.Qual è l’atteggiamento del poeta verso gli altri esseri umani, compresii propri genitori?a. generosob. affettuosoc. ostile

5.Quali sono le intenzioni reali dal poeta, espresse nell’ultima terzina del-la poesia?

Page 130: PAGINE DI LETTERATURA

Dante e la DivinaCommedia

Il Medioevo, pur mostrando una diversità di aspetti e caratteri, è pro-fondamente influenzato dal Cristianesimo, che pervade la vita quoti-diana dell’uomo e ispira artisti e intellettuali. Sul piano letterario, ilculmine della religiosità medievale è rappresentato dalla Commediadi Dante Alighieri, in seguito chiamata Divina Commedia perché ri-saltasse già dal titolo il suo carattere di opera sacra. La struttura di questo poema, in cui Dante immagina di compiere unviaggio nell’oltretomba, si rifà alla teoria geocentrica (da geo, in greco“terra”), formulata dall’astronomo egiziano Tolomeo (II secolo d.C.) eaccettata dalla Chiesa. Anche per Dante, infatti, la Terra è immobile alcentro dell’universo e intorno a essa girano nove sfere celesti, tuttequante circondate dall’Empireo, sede di Dio. Un ordine universale reggedunque l’intero universo e in esso si riflette l’impronta di Dio creatore.

A tale ordine si ispira la simmetria “geometrica” del poema dantesconella suddivisione della vasta materia affrontata. Tre cantiche (Infer-no, Purgatorio, Paradiso), ciascuna di 33 canti con l’aggiunta di uncanto di premessa per l’Inferno, per un totale di 100 canti. La stes-sa forma metrica scelta dal poeta, la terzina (cioè una strofa di treversi), ripropone come numero perfetto il 3, e i suoi multipli.Ma in questa “gabbia” creata da Dante vivono personaggi indimenti-cabili che, con il loro esempio di eterno dolore nell’Inferno, di sof-ferta attesa nel Purgatorio, di eterna felicità nel Paradiso, offrono aivivi la possibilità di liberarsi dal male, edificando sulla Terra il regnodella giustizia e della pace.

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I L M E D I O E V O

dante alighieri

Dante Alighieri nasce nel 1265 a Firenze da una famiglia della piccola nobiltà. Ri-ceve un’istruzione accurata, perfezionandosi negli studi di retorica e filosofia. De-dicatosi assai presto alla poesia, canta il suo amore per Beatrice e, alla morte del-la donna, raccoglie nella Vita Nuova le rime e le prose composte in suo onore, de-cidendo poi di celebrarla in un’opera più degna: la Divina Commedia. Attivo uomo politico – scrive anche un trattato politico, il De Monarchia – è coinvol-to nelle discordie tra le famiglie fiorentine guelfe di allora, divise tra la fazione deiBianchi, di cui egli è sostenitore, e quella dei Neri; da questi ultimi, vittoriosi, è co-stretto all’esilio e a trentasette anni deve lasciare la propria amata città. Al dolore del-l’esilio si aggiunge poi l’umiliazione di dover chiedere protezione ai potenti principidel tempo. E presso uno di questi, Guido da Polenta, signore di Ravenna, il poetamuore nel 1321. Dante è autore anche di un’opera dottrinale in volgare, il Convivio, diun trattato in latino sulla lingua, il De vulgari eloquentia, di versi in volgare, le Rime.

Page 131: PAGINE DI LETTERATURA

L’InfernoNel sistema della cosmogonia (cioè dell’origine e della struttura dell’uni-verso) di Dante, la Terra appare come una sfera divisa in due semisfere:quella delle terre emerse, al cui centro si trova Gerusalemme, e quelladelle acque, al centro della quale si trova la montagna del Purgatorio,posta agli antipodi di Gerusalemme. Dante immagina che una selvaoscura nei pressi di Gerusalemme introduca in una cavità, l’Inferno, fat-ta a forma di cono rovesciato, la cui punta tocca il centro della Terra. Lìè conficcato per l’eternità Lucifero, l’angelo ribelle a Dio.

dante e la divina commedia 131

selva oscura

GERUSALEMME

lucifero

antinferno

limbo

lussuriosi

golosi

avari e prodighi

iracondi e accidiosi

eretici

violenti

fraudolenti

traditori

A c h e r o n t e

S t i g e

incontro con Caronte

incontro con Ulisse

portadell’inferno

Page 132: PAGINE DI LETTERATURA

Nel mezzo del cammin…Quelli che seguono sono i primi versi della Commedia, nei quali Dantechiarisce il suo stato peccaminoso («selva oscura»). Dalla selva ha inizioil suo viaggio nell’aldilà per recuperare la salvezza dell’anima con l’aiutodel poeta Virgilio – simbolo della ragione umana – che Dante ha incon-trato nel Limbo, il primo cerchio dell’Inferno dove sono le anime di colo-ro che vissero prima della nascita di Cristo.

Nel mezzo del cammin di nostra vitami ritrovai per una selva oscura

3 che la diritta via era smarrita.

Ah quanto a dir qual era è cosa duraesta selva selvaggia e aspra e forte

6 che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;ma per trattar del ben ch’io vi trovai,

9 dirò dell’altre cose ch’io v’ho scorte.

Io non so ben ridir com’io v’entrai,tant’era pieno di sonno a quel punto

12 che la verace via abbandonai.da Inferno, canto I, vv. 1-12, Mondadori

132

1. Nel … vita: cioè intornoa 35 anni; allora la duratamedia della vita era di cir-ca 70 anni.8. del ben … trovai: alludeall’incontro con Virgilio,guida di Dante nell’Infer-no e nel Purgatorio. NelParadiso sarà accompagna-to da Beatrice, simbolo del-la teologia cioè dello stu-dio della divinità.11. pieno di sonno: chi ca-de nel peccato, abbando-nando la via della verità,ha la coscienza assopita.

I L M E D I O E V O

Nel mezzo del cammino della no-stra vita mi ritrovai in un boscobuio, (3) poiché avevo smarrito lagiusta direzione [del mio cammi-no]. Ahimè, com’è difficile dire com’eraquesto bosco selvatico, e intricatoe difficile da attraversare (6) che il[solo] pensarvi rinnova in me lapaura!Esso è per me una tale [fonte di]angoscia, che quella della morte leè maggiore solo di poco; ma perparlare del bene che io vi trovai, (9)dirò delle altre cose che vi ho visto.Io non so riferire con precisionecome vi entrai, tanto ero pieno disonno in quel momento (12) cheabbandonai la via della verità.

lavo

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to

1. In quale periodo della propriavita Dante immagina di com-piere il suo viaggio nell’aldi-là? Quanti anni ha quando loinizia?

2. Cosa simboleggia la «selvaoscura» di cui parla Dante? a. la vecchiaiab. la mancanza di speranzac. il peccato

3. Con quali aggettivi viene de-finita? Trascrivili.

4.Quale sensazione prova il poe-ta quando ripensa alla «selvaoscura»?

Page 133: PAGINE DI LETTERATURA

Il racconto di UlisseSuperati i primi sette cerchi dell’Inferno, Virgilio e Dante giungono nel-l’ottavo, che è costituito da dieci fossati di forma circolare (o bolge) e ac-coglie gli ingannatori. L’ottava bolgia è disseminata di fiamme, in ognu-na delle quali arde l’anima di un consigliere fraudolento. L’attenzione delpoeta è attratta da una fiamma dalla doppia punta nella quale brucianole anime di Ulisse e Diomede, due personaggi che, secondo il mito classi-co, hanno tramato insieme ai danni dei Troiani. Dante mostra un grandedesiderio di conoscere la fine di Ulisse, e per accontentarlo Virgilio rivol-ge la parola ai due protagonisti dell’antico mito: ecco cosa risponde unadelle due fiamme.

… «Quando

mi diparti’ da Circe, che sottrasseme più d’un anno là presso a Gaeta,

93 prima che sì Enëa la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pietadel vecchio padre, né ’l debito amore

96 lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardorech’i’ ebbi a divenir del mondo esperto

99 e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare apertosol con un legno e con quella compagna

102 picciola da la qual non fui diserto.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,

105 e l’altre che quel mare intorno bagna.

dante e la divina commedia 133

91. Circe: la maga, inna-moratasi di Ulisse, lo trat-tenne presso di sé oltre unanno.93. prima … nomasse: se-condo il racconto dell’Enei-de, vi era morta la nutricedi Enea, Caieta, in omag-gio alla quale l’eroe avevadato il nome di Gaeta a ta-le luogo.94. figlio … padre: sono,rispettivamente, Telemacoe Laerte, cioè il figlio e ilpadre di Ulisse.96. Penelopè: la sposa cheaveva atteso Ulisse per benventi anni.99. del valore: delle capa-cità umane positive, delleazioni grandi.100. ma misi … aperto:Dante non conosce la vi-cenda dell’Ulisse omerico,ma si rifà alla tradizionelatina medievale secondola quale, una volta rientra-to a Itaca, Ulisse decide diriprendere il mare.103. L’un lito e l’altro: lecoste a nord e a sud perchi viaggia nel Mediterra-neo verso occidente.

… «Quando mi allontanai da Circe, che mi trattenne più di un anno là vicino a Gaeta,(93) prima che Enea chiamasse così quel luogo, né il tenero pensiero del figlio, né l’af-fetto per il vecchio padre, né il doveroso amore [coniugale] (96) che avrebbe dovuto al-lietare Penelope riuscirono a vincere nel mio animo l’ardente desiderio di conoscere ilmondo, (99) i vizi e le virtù degli uomini; ma mi misi in mare aperto, con una sola nave,e con quel piccolo gruppo di compagni (102) che non mi abbandonarono mai.Vidi [viaggiando] le coste [del Mediterraneo] fino alla Spagna, al Marocco, all’isola diSardegna (105) e alle altre isole bagnate da quel mare.

Page 134: PAGINE DI LETTERATURA

Io e’ compagni eravam vecchi e tardiquando venimmo a quella foce stretta

108 dov’ Ercule segnò li suoi riguardi

acciò che l’uom più oltre non si metta:da la man destra mi lasciai Sibilia,

111 da l’altra già m’avea lasciata Setta.

“O frati” dissi, “che per cento miliaperigli siete giunti a l’occidente,

114 a questa tanto picciola vigilia

de’ nostri sensi ch’è del rimanentenon vogliate negar l’esperïenza,

117 di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:fatti non foste a viver come bruti,

120 ma per seguir virtute e canoscenza”.

Li miei compagni fec’io sì aguti,con questa orazion picciola, al cammino,

123 che a pena poscia li avrei ritenuti;

134

108. dov’Ercule … riguardi:secondo il mito, Ercole ave-va posto sullo Stretto diGibilterra due colonne, co-me segnale di divieto aprocedere oltre.114. vigilia: è il periododi tempo immediatamen-te precedente a un fatto;in questo caso indica ilbreve tempo che resta pri-ma di morire, cioè la vec-chiaia.117. mondo sanza gente: èl’emisfero australe.

I L M E D I O E V O

Io e i compagni eravamo [ormai] vecchi estanchi, quando raggiungemmo quello stret-to passaggio, (108) [là] dove Ercole pose isuoi confini [del mondo] perché l’uomo nonproceda oltre: mi lasciai Siviglia sulla destra,(111) sulla sinistra mi ero già lasciato Ceuta. Dissi [allora]: “Fratelli, voi che attraversocentomila pericoli siete arrivati all’[estremo]occidente, (114) a questo poco tempo cheresta alla nostra vita non vogliate negare laconoscenza (117) di ciò [che sta] al di là delsole, nel mondo disabitato. Considerate la vostra origine: non siete staticreati per vivere come animali [privi di ra-gione], (120) ma per perseguire la virtù e laconoscenza”.Con questo breve discorso, io resi i mieicompagni così pronti a [intraprendere] ilviaggio (123) che, poi, a stento sarei riusci-to a trattenerli; e, rivolta la poppa a levante,

Il contrappasso Quello descritto nellaDivina Commedia è un regno di giustizia, alla qualeaspirano tutte le anime, anche quelle dei dannati, chesconteranno il castigo di Dio nel luogo a loro assegnatoper i peccati commessi.Come segno di giustizia, anche le pene devono essere le-gittime, nel senso che il castigo eterno deve richiamarela colpa del dannato. Nasce così la “legge del contrap-passo”, che caratterizza l’Inferno e il Purgatorio ed è re-golata secondo un meccanismo particolare. Esso consi-ste, ad esempio, nel ripetere con sofferenza l’azione col-pevole (i lussuriosi, che in vita si lasciarono trascinaredalla passione, ora sono eternamente trascinati da unatempesta infernale), oppure nell’avere un atteggiamentoopposto a quello che caratterizzò il peccato (i superbiagirono a testa alta e nel Purgatorio sono costretti a te-nere il capo piegato sotto un macigno).

Page 135: PAGINE DI LETTERATURA

e volta nostra poppa nel mattino,de’ remi facemmo ali al folle volo,

126 sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l’altro polovedea la notte, e ’l nostro tanto basso,

129 che non surgea fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante cassolo lume era di sotto da la luna,

132 poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,

quando n’apparve una montagna, brunaper la distanza, e parvemi alta tanto

135 quanto veduta non avëa alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;ché de la nova terra un turbo nacque

138 e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;a la quarta levar la poppa in suso

141 e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».

da Inferno, canto XXVI, vv. 90-142, Mondadori

dante e la divina commedia 135

124. volta … mattino: lapoppa, parte posterioredella nave, è rivolta a est,quindi la prua, parte ante-riore, è rivolta a ovest.125. folle volo: Ulisse rico-nosce ora l’errore com - messo, avendo osato avan-zare nella propria impresasenza la Grazia di Dio,quella che, invece, accom-pagnerà Dante con l’aiutodi Virgilio e Beatrice.127. l’altro polo: si trattadell’emisfero australe. Ulis-se e i compagni hanno su-perato l’equatore e quindinon vedono più le stelledell’emisfero boreale («’lnostro»).130. Cinque … luna: sonopassate cinque fasi lunari,cioè cinque mesi.132. alto passo: il passag-gio decisivo, ossia lo Stret-to di Gibilterra.133. una montagna: il mon -te del Purgatorio, che sitrova agli antipodi di Ge-rusalemme.

usammo i remi come ali per il nostro folle volo, (126) sempre avanzando verso sinistra.Già nell’altro emisfero era notte e si vedevano tutte le stelle; il nostro era ormai cosìbasso, (129) che non emergeva [più] sopra l’orizzonte marino. Da quando avevamo affrontato quel difficile cammino, la [faccia della] luna [a noi visi-bile] (132) si era illuminata cinque volte e altrettante si era spenta, quando ci apparveuna montagna, scura per la distanza, e di un’altezza tale (135) che non ne avevo maivista una eguale. Noi ci rallegrammo, ma ben presto [l’allegria] si tramutò in pianto; perché dalla nuovaterra si scatenò un turbine (138) che investì la parte anteriore della nave. Tre volte la fece girare su se stessa insieme alle acque; alla quarta sollevò in alto la pop-pa (141) e inabissò la prua, come Dio volle e decise, finché il mare non si fu richiusosopra di noi».

Page 136: PAGINE DI LETTERATURA

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I L M E D I O E V O

COMMENTONumerose erano le leggende su Ulisse tramandate dall’età antica fino al Medioevo. Dante seguìquella che lo rappresentava ormai vecchio, lontano dalla patria, sempre errante e desideroso diconoscere nuovi popoli e nuovi costumi: un eroe insomma che rinunciava alle gioie familiaripur di soddisfare la sua sete di conoscenza. A differenza dell’Ulisse di Omero, che sopporta tutto pur di arrivare alla sua Itaca per chiude-re lì i propri giorni circondato dall’affetto dei familiari, l’Ulisse di Dante si lascia infatti allespalle il suo mondo di affetti per andare incontro all’ignoto.L’ammirazione per l’audacia e per il desiderio dell’uomo di nobilitarsi attraverso il sapere è evi-dente da parte di Dante, al punto che non c’è accenno, nell’incontro con Ulisse, alle colpe chelo hanno destinato al castigo eterno. Ma se umanamente Dante ammira l’eroe greco, come cri-stiano non può riconoscere la validità della sua impresa e quindi la condanna al fallimento:l’intelligenza, senza l’aiuto della Rivelazione – che attraverso le parole di Cristo illumina la real-tà del mondo terreno e ultraterreno – non può che avere un limitato campo di conoscenze, su-perando il quale si può attuare soltanto un «folle volo».

lavo

riam

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1.Ulisse rivolge ai compagni un’esortazione dalla quale emerge il dovere dell’uomo di estendere ilcampo della propria conoscenza, dovere che ha spinto l’eroe ad abbandonare gli affetti più cari.Da quali espressioni sono evidenziati questi affetti?a. dolcezza di ..............................................................................................................................................................................b. pietà del ...................................................................................................................................................................................c. debito amore ..........................................................................................................................................................................

2. Cosa spinge Ulisse a intraprendere la corsa verso l’ignoto?

3.Da chi è accompagnato l’eroe in questo viaggio?

4.Quale percorso segue nel suo viaggio? Cancella i nomi dei luoghi non raggiunti dall’eroe.Le coste del Mediterraneo – Le coste della Francia – La Spagna – La Tunisia – Il Marocco – LaSardegna – Cipro – Lo Stretto di Gibilterra

5.Nell’«orazion picciola» Ulisse ricorda la brevità della vita rivendicando l’orgoglioso diritto di an-dare oltre i limiti posti all’intelligenza umana. Con quali espressioni incita i suoi compagni aqueste imprese avventurose?a. invitandoli a considerare la loro natura di uominib. spingendoli alla conquista di nuove terrec. ricordando la gloria che una tale impresa può loro arrecare

6.Per quale motivo, secondo te, Ulisse alludendo al proprio viaggio parla di «folle volo»?a. perché è accompagnato da presagi di sventurab. perché si svolge fuori della Grazia di Dioc. perché non ha un preciso itinerario

7.Dal racconto fatto da Ulisse, si può dedurre come Dante giudica questo personaggio del mito.Secondo te, quali aspetti Dante approva e quali invece condanna?

Page 137: PAGINE DI LETTERATURA

Il PurgatorioDal centro della Terra, dove Lucifero è conficcato per l’eternità, parteun cunicolo che, attraversando l’emisfero boreale, sbuca per mezzo diun “pertugio” (cioè di una fessura) sulla riva della montagna del Pur-gatorio. Anch’essa è a forma di cono ed è divisa in due parti: l’Antipur-gatorio e il Purgatorio vero e proprio, dove le anime si purificano delloro peccato. Sulla cima del cono, che è tronco, si trova il ParadisoTerrestre. In questa configurazione del mondo dell’aldilà si inserisce ilracconto di Dante, il quale, dopo la discesa all’Inferno e l’ascesa dellamontagna del Purgatorio, spiccherà infine il volo per attraversare i no-ve cieli e giungere così alla visione di Dio.

dante e la divina commedia 137

tragitto diDante e Virgilionell’antipurgatorio

incontro con Manfredi

porta delpurgatorio

INVIDIOSI

ACCIDIOSI

avari e prodighi

golosi

LUSSURIOSI

SUPERBI

IRACONDI

PARADISO TERRESTRE

pERTUGIO

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ManfrediGiunti alla montagna del Purgatorio, Dante e Virgilio incontrano le animeche, prima di giungere in Paradiso, si purificano dei peccati commessi invita attraverso la pena stabilita in base alla legge del contrappasso. Nell’Antipurgatorio i due poeti si trovano di fronte un gruppo di anime:una di queste invita Dante a guardarla, per vedere se mai l’abbia cono-sciuta in vita. Comincia così, con uno sguardo, l’incontro fra il poeta eManfredi, il re svevo dell’Italia meridionale e della Sicilia, figlio dell’im-peratore Federico II di Svevia e capo del partito ghibellino in Italia.

E un di loro incominciò: «Chiunquetu se’, così andando volgi il viso:

105 pon mente se di là mi vedesti unque».

Io mi volsi ver lui e gardail fiso:biondo era e bello e di gentile aspetto,

108 ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.

Quand’i’ mi fui umilmente disdettod’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;

111 e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.

Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,nepote di Costanza imperadrice;

114 ond’io ti priego che quando tu riedi,

vadi a mia bella figlia, genitricedell’onor di Cicilia e d’Aragona,

117 e dichi il vero a lei, s’altro si dice.

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113. Costanza imperadrice:Costanza d’Altavilla, nuoradi Federico Barbarossa, èla nonna di Manfredi, es-sendo la madre dell’impe-ratore Federico II.115. mia … d’Aragona: lafiglia di Manfredi, che rin-nova nel nome Costanzaquello della bisnonna, spo-sò Pietro III d’Aragona.Dei suoi due figli, Federicoebbe in eredità il regno(«onor») della Sicilia («Ci-cilia») e Giacomo quellod’Aragona.117. s’altro si dice: si pensa-va che Manfredi fosse dan-nato, essendo egli morto instato di scomunica e com-battendo contro la Chiesa.

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E uno di loro iniziò: «Chiunque tu sia, mentre continui a camminare volgi gli occhi [sudi me]: (105) cerca di ricordare se nel mondo mi hai mai visto».Io mi girai verso di lui e lo guardai fissamente: era biondo, bello e di nobile aspetto,(108) ma un colpo [di spada] gli aveva diviso in due uno dei sopraccigli. Quando ebbi rispettosamente negato di averlo mai visto [in vita], egli disse: «Ora guar-da», (111) e mi mostrò una ferita nella parte alta del petto. Poi disse sorridendo: «Io sono Manfredi, nipote dell’imperatrice Costanza; (114) per cuiti prego, quando tornerai [fra i vivi], di andare dalla mia bella figlia, madre dei re di Si-cilia e di Aragona, (117) e di dirle la verità [circa la mia salvezza] se altro si racconta[a tal proposito].

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Poscia ch’io ebbi rotta la personadi due punte mortali, io mi rendei,

120 piangendo, a quei che volentier perdona.

Orribil furon li peccati miei;ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

123 che prende ciò che si rivolge a lei.

Se ’l pastor di Cosenza, che alla cacciadi me fu messo per Clemente allora

126 avesse in Dio ben letta questa faccia,

l’ossa del corpo mio sarìeno ancora in co del ponte presso a Benevento,

129 sotto la guardia della grave mora.

Or le bagna la pioggia e move il ventodi fuor dal regno, quasi lungo il Verde,

132 dov’e’ le trasmutò a lume spento.

Per lor maladizion sì non si perde,che non possa tornar, l’etterno amore,

135 mentre che la speranza ha fior del verde.

Vero è che quale in contumacia moredi Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,

138 star li convien da questa ripa in fore,

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120. a … perdona: cioè aDio, che è pronto a perdo-nare chi ha peccato.125. Clemente: si tratta diClemente IV, papa dal 1265al 1268, che sollecitò l’in-tervento di Carlo d’Angiòper contrastare il poteredegli Svevi nell’Italia meri-dionale.129. grave mora: Carlod’Angiò, ammirando il va-lore del nemico caduto,fece innalzare sulla suasepoltura un rozzo monu-mento funebre, costituitodi pietre ammassate. Ma ilvescovo di Cosenza ordinòdi disseppellire il corpo,che fu trasportato di nottea torce spente, come siusava per gli scomunicati,fuori dal regno e gettatoin terra sconsacrata, pressoil fiume Garigliano («Ver-de»).136. contumacia: ribellio-ne, disubbidienza; in que-sto caso nei confronti del-la Chiesa.138. da … fore: fuori daquesta riva, cioè fuori delPurgatorio e dunque nel-l’Antipurgatorio.

Dopo che fui ferito mortalmente in due parti del corpo, (120) piangendo mi consegnaia colui che perdona volentieri.Orribili furono i miei peccati, ma la bontà infinita [di Dio] ha braccia così grandi (123)che accoglie tutto ciò che a lei si rivolge.Se il vescovo di Cosenza, incaricato da papa Clemente di darmi la caccia [anche dopomorto], (126) avesse ben conosciuto l’infinita bontà e misericordia di Dio, le mie ossasi troverebbero ancora all’inizio del ponte presso Benevento, (129) protette da un pe-sante mucchio di pietre.Ora le bagna la pioggia e le batte il vento fuori dai confini del Regno [di Napoli], vici-no al Verde, (132) dove furono portate nel buio [della notte].Nonostante le condanne [degli ecclesiastici], l’amore divino non si perde a tal punto danon poter essere riacquistato, (135) fintanto che c’è un po’ di vita.Vero è [però] che chiunque muore scomunicato, anche se si pente in fin [di vita], (138)deve attendere all’esterno di questa parete, trenta volte il tempo che egli è rimasto nel-

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per ogni tempo ch’elli è stato, trenta,in sua presunzïon, se tal decreto

141 più corto per buon prieghi non diventa.

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,revelando alla mia buona Costanza

144 come m’hai visto, e anco esto divieto;

ché qui per quei di là molto s’avanza».

da Purgatorio, canto III, vv. 103-145, Mondadori

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la sua orgogliosa ribellione, salvo che tale punizione(141) non venga abbreviata dalle preghiere dei buoni.Guarda dunque se puoi farmi contento, rivelando allamia buona [figlia] Costanza, (144) qual è la mia condi-zione e anche quest’obbligo; perché qui si può saliremolto grazie alle preghiere dei vivi».

COMMENTOIn questo episodio, benché la fine di Manfre-di sia tragica e violenta, Dante non insiste suvisioni di sangue, bensì sull’istintivo abban-donarsi del peccatore a Dio, il quale, pronta-mente e secondo i propri disegni, lo perdonae lo accoglie. Manfredi rievoca il suo penti-mento finale, riconosce la gravità delle suecolpe, ricorda il proprio abbandono alla Mise-ricordia davvero infinita di Dio, ma al tempostesso si rammarica per l’ostilità di papi e ve-scovi, che lo scomunicarono e vollero lascia-re il suo corpo insepolto. E la scomunica nonrestò senza effetto: chi, con orgogliosa osti-nazione, è rimasto ribelle alla Chiesa – ed èquesto il caso di Manfredi – deve attendere alungo prima di salire sulla Montagna Sacra, etale attesa è più dolorosa di ogni pena. Dalmomento però che i vivi possono intercederecon le loro preghiere, si crea un forte legamefra le anime del Purgatorio e i loro parentiancora in vita: pregano le anime penitentiper salire fino alla beatitudine finale, prega-no i vivi per aiutarle nella loro faticosa con-quista del Paradiso.

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to1. Cosa narra Manfredi della propria vitae della propria morte violenta?a. in punto di morte chiese il perdo-no di Dio per i suoi gravi peccati

b. abbandonò la figlia e ora scontala pena di questa colpa

c. in accordo col papa combattécontro l’imperatrice Costanza

d. i suoi nemici gli negarono unagiusta sepoltura

2.Quale pena è costretto a subire il so-vrano svevo?a. è obbligato a ricordare e rivivereil momento drammatico della suamorte

b. è costretto a pensare alla sortenon felice della propria figlia

c. deve rimanere nel Purgatorio tren-ta volte il tempo in cui è rimastonella sua orgogliosa ribellione

3. Cosa può ridurre la durata di tale pena?

4.Qual è la preghiera che il sovranosvevo rivolge a Dante a propositodella propria figlia Costanza?

5. Cosa dice Dante riguardo all’atteg-giamento di Dio nei confronti deipeccatori? Trascrivi i versi corrispon-denti e poi spiegali con parole tue.

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Il Paradiso Giunto sulla cima della montagna del Purgatorio, dove è situato il Paradi-so Terrestre, Virgilio lascia Dante per ritornare nella sua sede, cioè nel Lim-bo, in cui si trovano le anime dei giusti che vissero prima della nascita diCristo. Lo sostituisce Beatrice, che ha lasciato il suo seggio fra i beati peraccompagnare il poeta attraverso i nove cieli che circondano la Terra egiungere infine alla visione di Dio.

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incontro con Cacciaguida

dio

purgatorio

inferno

ca n d i d a r o s ae m

p i re o e m p i r e o

em

p i r e o e mp i r

e o

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Cacciaguida e la profezia dell’esilioDopo avere attraversato con Beatrice i primi quattro cieli, Dante nelcielo successivo incontra il suo trisavolo Cacciaguida, che rievocacon nostalgia la Firenze dei suoi tempi: una città semplice e onesta,che oggi invece è corrotta dal lusso e dal vizio. Cacciaguida spiegainoltre a Dante il significato di alcune oscure profezie che gli furo-no fatte nell’Inferno e nel Purgatorio, preannunciandogli anche il fu-turo esilio.

…«Qual si partìo Ipolito d’Ateneper la spietata e perfida noverca,

48 tal di Fiorenza partir ti convene.

Questo si vuole e questo già si cerca,e tosto verrà fatto a chi ciò pensa

51 là dove Cristo tutto dì si merca.

La colpa seguirà la parte offensain grido, come suol; ma la vendetta

54 fia testimonio al ver che la dispensa.

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46. Ipolito d’Atene: è il fi-glio di Teseo di cui si inna-morò Fedra, la sua matri-gna. Il giovane la respinsee la donna, per vendetta,lo accusò di aver tentatodi approfittarsi di lei. Te-seo allora cacciò il figlioda Atene.50. a chi: allude a papaBonifacio VIII, sostenito-re dei Neri fiorentini, do-po la cui vittoria Dante fuesiliato.51. là … merca: nella Curiapontificia, cioè a Roma.53. la vendetta: riferimen-to alla morte di Corso Do-nati, capo dei Neri, e alloschiaffo dato a papa Boni-facio VIII ad Anagni dagliemissari di Filippo il Bello,re di Francia.

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«Come Ippolito si allontanò da Atene per colpa dellamatrigna spietata e senza scrupoli, (48) così [anche]a te sarà necessario lasciare Firenze.Questo si vuole e questo già si prepara e prestoverrà realizzato da parte di chi lo progettanel luogo (51) dove ogni giorno si famercato delle cose di Dio. La voce pubblica darà la colpa al-la parte sconfitta, come al soli-to; ma la punizione, (54) chedistribuisce giustamente icastighi, sarà testimonianzadella verità.

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56. quello … saetta: quel-la freccia che l’arco del-l’esilio dapprima scaglia.59. calle: cammino.63. in questa valle: Danteutilizza questa espressio-ne per indicare la condi-zione dolorosa dell’esilio.

Tu dovrai lasciare tutte le cose più care e questoè il primo colpo (57) che ti assesta l’esilio. Tu proverai quale amaro sapore ha il panedegli altri e quanto sia faticoso (60) scen-dere e salire le scale degli altri. E ciò che più ti sarà difficile sopportaresarà la compagnia malvagia e stolta(63) con la quale precipiterai in que-sta valle; compagnia che nei tuoiconfronti si mostrerà ingrata, follee malvagia, ma dopo poco (66) sa-ranno queste persone e non tu aversare sangue.La condotta [dei compagnid’esilio] darà la prova della lo-ro stoltezza, così che sarà unvanto per te (69) l’esserti se-parato da costoro».

Tu lascerai ogne cosa dilettapiù caramente; e questo è quello strale

57 che l’arco de lo essilio pria saetta.

Tu proverai sì come sa di salelo pane altrui, e come è duro calle

60 lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.

E quel che più ti graverà le spalle,sarà la compagnia malvagia e scempia

63 con la qual tu cadrai in questa valle;

che tutta ingrata, tutta matta ed empiasi farà contr’a te; ma, poco appresso,

66 ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.

Di sua bestialitate il suo processofarà la prova; sì ch’a te fia bello

69 averti fatta parte per te stesso».

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Udito ciò, Dante accetta con coraggio le difficili prove che lo aspettano.Chiede però a Cacciaguida, volendo ridurre il più possibile le pene dell’esi-lio, se non gli convenga tacere su quello che ha visto nell’Inferno e nelPurgatorio. Se rivelerà ciò di cui è stato testimone, si attirerà l’odio dimolti potenti che potrebbero invece aiutarlo, ma d’altra parte, se tacerà,tradirà la verità. Cacciaguida gli risponde così.

… «Coscïenza fuscao de la propria o de l’altrui vergogna

126 pur sentirà la tua parola brusca.

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,tutta tua visïon fa manifesta;

129 e lascia pur grattar dov’è la rogna.

Ché se la voce tua sarà molestanel primo gusto, vital nodrimento

132 lascerà poi, quando sarà digesta.

Questo tuo grido farà come vento,che le più alte cime più percuote;

135 e ciò non fa d’onor poco argomento.

Però ti son mostrate in queste rote,nel monte e ne la valle dolorosa

138 pur l’anime che son di fama note,

che l’animo di quel ch’ode, non posané ferma fede per essempro ch’aia

141 la sua radice incognita e ascosa,

né per altro argomento che non paia».da Paradiso, canto XVII, vv. 46-69; 124-142, Mondadori

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129. lascia … rogna: lacruda espressione signifi-ca che chi ha sbagliatodovrà provare vergogna perle proprie azioni.133. Questo… percuote:l’esule perseguitato e in-nocente ha il compito, at-traverso la poesia, di colpi-re i potenti della Terra.136. rote … monte … val-le dolorosa: sono, rispetti-vamente, i cieli del Paradi-so, la montagna del Pur-gatorio e la valle dell’In-ferno.140. essempro: esempioche, per avere valore uni-versale, deve richiamarsi afatti e personaggi noti, cherendono credibile il sensodelle vicende.

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«Una coscienza macchiata per colpe proprie o di altri (126) si risentirà certamente perle tue parole rudi. Ma tuttavia, messa da parte ogni menzogna, racconta chiaramente tutto ciò che hai ve-duto (129) e lascia pure che chi ha la rogna se la gratti. Perché, se le tue parole risulteranno sgradite in un primo momento, da esse nascerà unfrutto vitale, (132) quando poi saranno assimilate.La verità che tu griderai farà come il vento, che si abbatte sulle cime più alte; (135) equesto costituisce una prova non piccola di onore. Per questo ti sono state mostrate in questi cieli, nella montagna e nella valle dolorosa(138) solo le anime di personaggi famosi, perché la mente di chi ascolta non si persua-de né presta fede ad un esempio che abbia (141) una radice sconosciuta e modesta néper altra ragione che non sia evidente».

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COMMENTONel canto XVII, da cui sono tratti i versi che hai appena letto, sono pre-senti temi essenziali per capire l’umanità di Dante e, in parallelo, il finedella sua poesia. Infatti il poeta, riprendendo le inquietanti profezie chevari personaggi incontrati nel suo viaggio gli hanno fatto sulla sua vita,chiede un chiarimento a Cacciaguida, il suo antenato morto durante le Cro-ciate e per questo accolto in Paradiso. Si evidenzia così il tema dell’esilioe con esso si delinea la figura dell’esule innocente, vittima della corruzio-ne e della decadenza politica di Firenze. Alla polemica contro gli avversa-ri si unisce il rimpianto per le cose amate «più caramente», il sentimentodell’umiliazione di chi, ridotto ad essere senza patria, deve accettare l’ospi-tale misericordia dei vari signori, la dignitosa amarezza della solitudine.La dura prova dell’esilio rientra nell’ordine universale delle cose come,del resto, anche lo straordinario viaggio nell’oltretomba che la Provvi-denza consente al poeta di compiere. A questo tema è dedicata la se-conda parte del canto, nella quale Cacciaguida rivela a Dante che an-ch’egli ha il compito di svolgere una missione, di essere cioè testimo-ne di Dio attraverso l’intelletto e l’amore.

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1. Chi viene incolpato da Cacciaguida dell’imminente esilio di Dante?a. l’imperatoreb. la Curia romanac. il partito politico avverso

2. Cosa comporterà per Dante l’allontanamento dalla propria città?a. verrà comunque tenuto d’occhio dalla giustizia, per essere poi imprigionatob. dovrà lasciare la famiglia e potrà tornare solo saltuariamente a Firenzec. dovrà lasciare le cose più care, e rinunciare alla propria libertà di movimento e di pensiero

3. Come viene giudicato da Cacciaguida il gruppo di esiliati che seguirà il poeta nel suo viaggio?a. malvagio, folle e stoltob. giusto e partecipec. indifferente e vendicativo

4.Quale sarà il vero vanto per Dante?a. essere l’unico giusto che paga con la solitudine e l’incomprensione dei suoi concittadinib. ottenere un grande successo economicoc. acquistare fama eterna con la Divina Commedia

5. Cosa raccomanda Cacciaguida a Dante? Cosa deve fare il poeta riguardo a ciò che ha visto nel-l’Inferno e nel Purgatorio?

6.A cosa è paragonata la verità che Dante griderà agli uomini?

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Petrarca e il Canzoniere

L’opera maggiore di Francesco Petrarca, il Canzoniere, è una raccoltadi 366 liriche in volgare italiano (per lo più sonetti) ispirate dalladonna amata, Laura. Tale raccolta può essere divisa in due parti: laprima (che comprende 263 composizioni) segue i vari momenti del-l’amore per Laura, ma contiene anche alcune rime di argomento po-litico e di altro genere; la seconda è invece segnata dall’amarezza do-vuta alla morte dell’amata, avvenuta nel 1348. La successione deisingoli componimenti non tiene comunque conto dell’ordine cronolo-gico della loro composizione, perché la vicenda d’amore che è al cen-tro di essi non corrisponde a un racconto realistico e non segue,quindi, un filo narrativo. Le poesie sono accostate secondo i motivi,i temi, i momenti e le situazioni psicologiche, e tendono a metterein luce i diversi stati d’animo dell’autore.

Anche se scaturiti dall’esperienza individuale e da una personalis-sima vicenda d’amore, i versi del Petrarca acquistano valore univer-sale, in quanto esprimono l’universo dei sentimenti presenti nel-l’animo di ogni uomo. La poesia infatti non segue la ragione, ben-sì le emozioni e ha la stessa natura della musica: è un canto che siinnalza sui sentimenti umani di gioia o dolore, traducendoli in im-magini e musicalità.

L’influenza del Petrarca sulla poesia di tutta Europa fu profonda e dilunga durata, e dette vita a una corrente letteraria cui fu attribuitoil nome di “petrarchismo”. Tale influenza non riguardò solo poetimediocri e di debole ispirazione, ma anche artisti molto originali edotati. Basti pensare all’inglese William Shakespeare, che nella se-conda metà del Cinquecento compose oltre cento sonetti di modellopetrarchesco, o a Giacomo Leopardi, nelle cui liriche si riscontranomolti echi della poesia di Petrarca.

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francesco petrarca

Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304, da esuli fiorentini. Giovanissimo, sitrasferisce con la famiglia in Francia, ad Avignone, la città divenuta sede del Pa-pato per volontà dei re francesi. Per ubbidire al padre segue gli studi di giurispru-denza, ma in realtà predilige quelli letterari. Il venerdì santo del 1327 – nellachiesa di Santa Chiara ad Avignone – vede una bellissima donna di nome Laura e

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Solo e pensoso…Solo e pensoso i più deserti campi vo mesurando a passi tardi e lentie gli occhi porto per fuggire intentiove vestigio uman l’arena stampi.

5 Altro schermo non trovo che mi scampidal manifesto accorger de le genti,perché negli atti d’allegrezza spentidi fuor si legge com’io dentro avvampi;

si ch’io mi credo omai che monti e piagge10 e fiumi e selve sappian di che tempre

sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge,cercar non so ch’Amor non venga sempreragionando con meco, et io con lui.

da F. Petrarca, Canzoniere, xxxv, Rizzoli

petrarca e il canzoniere 147

si innamora di lei. Questo amore, pur se non corrisposto, sarà l’argomento dellasua opera maggiore, il Canzoniere. Le sue poesie lo rendono ben presto famoso, tanto che ottiene la corona di poe-ta dal re di Napoli, Roberto d’Angiò. Postosi al servizio della Curia papale e di po-tenti famiglie di allora, riceve molti incarichi diplomatici e si reca in varie cittàitaliane, presso le corti di principi e signori. Trascorre gli ultimi anni tra Padova,Venezia e Arquà – sui Colli Euganei, presso Padova – dove muore nel 1374.Oltre che del celebre Canzoniere, Petrarca è autore di molte altre opere, quasi tut-te in latino. Tra quelle in versi, sono da annoverare il Bucolicum carmen e il poe-ma Africa; tra quelle in prosa, alcuni trattati e le Epistole. L’unica altra sua operain volgare è il poema allegorico I Trionfi.

Solo e pensoso vado percorrendo a passi lenti e misurati i campi più deserti e volgo losguardo per evitare [qualsiasi luogo] dove sia impressa sul terreno un’impronta umana. (5) Non trovo altra difesa per impedire alla gente di accorgersi facilmente [dei miei sen-timenti], perché nei [miei] gesti privi di gioia si legge [chiaramente] come io, dentro,bruci [d’amore]; per cui credo che ormai monti e pianure, (10) fiumi e boschi sappianodi che qualità sia la mia vita, che è nascosta agli altri. Ma tuttavia non riesco a trovare sentieri così impraticabili e selvaggi che Amore non pos-sa sempre raggiungermi e parlare con me, e io con lui.

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COMMENTOIl sonetto è una delle composizioni preferite dal Petrarca, che in essoesprime la pena del suo amore non corrisposto o il dolore per la mortedi Laura, la donna da lui amata. Il fatto di provare un sentimento nonricambiato lo ferisce al punto da cercare luoghi solitari perché nessunopossa leggergli in viso la sofferenza che ha nell’animo: solo la naturapotrà confortarlo. La sua è però una fuga inutile perché può sfuggireagli uomini, non all’amore. Questo tormento gli suscita due stati d’ani-mo strettamente legati l’uno all’altro: il desiderio di solitudine e l’aspi-razione alla riflessione. Entrambi sono resi con grande efficacia rappre-sentativa; infatti il ritmo grave del primo verso («Solo e pensoso i piùdeserti campi») esprime perfettamente la stanchezza interiore del poe-ta vittima d’Amore, mentre l’andamento solenne del secondo («vo me-surando a passi tardi e lenti») introduce il motivo della meditazione so-litaria e ininterrotta.

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1. In quale situazione si trova il poeta? Cosa sta facendo?

2.Quali sono gli aggettivi che Petrarca usa per descrivere il proprio statod’animo?

3. Come definiresti il suo atteggiamento nei confronti degli altri? Vuolerendere partecipi le altre persone dei suoi sentimenti oppure no? Indi-ca da quali versi hai ricavato la tua risposta.

4.Nella poesia l’amore diventa una creatura umana, che parla con il poe-ta. Da quale espressione si capisce che l’amore viene personificato?a. ove vestigio umanb. cercar non soc. venga sempre ragionando con meco

5.Nel sonetto il poeta fa riferimento a due tipi di spazio: quello interio-re dei suoi sentimenti più segreti e quello esterno, della natura. Indicaa quale tipo di spazio si riferisce ogni espressione.

interiore esternoa. deserti campi � �

b. ove vestigio uman l’arena stampi � �

c. com’io dentro avvampi � �

d. monti e piagge e fiumi e selve � �

e. la mia vita, ch’è celata altrui � �

f. aspre vie né sì selvagge � �

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Zephiro torna, e ‘l bel tempo rimenaZephiro torna, e ’l bel tempo rimena,e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,et garrir Progne et pianger Philomena,et primavera candida et vermiglia.

5 Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;Giove s’allegra di mirar sua figlia;l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;ogni animal d’amar si riconsiglia.

Ma per me, lasso, tornano i più gravi10 sospiri, che del cor profondo tragge

quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;

et cantar augelletti, et fiorir piagge,e ’n belle donne honeste atti soavisono un deserto, et fere aspre et selvagge.

da F. Petrarca, Canzoniere, cccx, Rizzoli

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1. Zephiro: è il vento pri-maverile. 3. Progne … Philomena:personificazioni mitologi-che della rondine e del-l’usignolo. 4. candida et vermiglia: ilbianco e il rosso sono co-lori solitamente associatialla freschezza giovanile.6. sua figlia: Venere. 11. quella … chiavi: è Lau-ra, la donna amata dal poe-ta, che morendo ha chiusoil cuore di Petrarca alla dol-cezza dell’amore.

Zefiro torna e riporta il bel tempo, i fiori e le erbe, sua dolce compagnia, il garrire del-le rondini e il pianto degli usignoli e la primavera bianca e rossa.(5) Risplendono i prati e il cielo si rasserena; Giove si compiace di rimirare sua figlia;l’aria, l’acqua e la terra sono piene d’amore; ogni essere si ripromette di amare.Ma per me, misero, tornano i più amari (10) sospiri, che dal profondo del mio cuore traecolei che se ne portò le chiavi in cielo; e il canto degli uccellini, le valli fiorite, i gestigentili di donne belle e oneste sono [per me] un deserto e fiere aspre e selvagge.

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1.Nella lirica è presente il contrasto fra l’armonia suscitata dal ritornodella primavera e la condizione dolorosa del poeta al pensiero che Lau-ra è morta. Quali versi sono dedicati al risveglio della primavera?a. il primo e il secondo versob. la prima quartinac. le prime due quartine

2. In quale parte del sonetto appare evidente il forte contrasto fra la pri-mavera e il dolore del poeta? Trascrivi i versi in cui, secondo te, que-sto contrasto è maggiormente evidente.

3.Nel sonetto alcuni elementi della natura, come ad esempio il vento,vengono personificati, cioè compiono azioni proprie degli esseri umani.Giustifica questa affermazione servendoti di esempi tratti dal testo.

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Boccaccio e il Decameron

Il Decameron è una raccolta di 100 novelle attraverso le quali Giovan-ni Boccaccio dipinge un’immagine dell’umanità paragonabile per vi-vezza di colori agli affreschi trecenteschi che si possono ammirare an-cora oggi sulle pareti di chiese e palazzi. Uomini e donne, nobili e po-polani, mercanti e artisti animano il racconto con la loro personalitàe le loro vicende: non un’umanità ideale, bensì persone vere, con i lo-ro vizi e le loro virtù.

Ne scaturisce una visione realistica della vita cittadina nei suoi aspet-ti più diversi, dove tutti – sciocchi e saggi, onesti e imbroglioni – tro-vano spazio, entrando in rapporto gli uni con gli altri. I vili, gli scioc-chi, gli ipocriti non sono dunque trascurati, ma Boccaccio, con signo-rile distacco, li rende protagonisti della beffa da lui ideata per susci-tare il sorriso nel lettore e per farlo riflettere. Lo scopo dello scrittoreè infatti quello di rappresentare un’umanità varia, con i suoi pregi e lesue debolezze, un’umanità che osserva con simpatia, cercando al tem-po stesso di esaltare un comportamento corretto, anche se aperto al-le gioie e ai piaceri della vita.

Quella proposta nel Decameron è una morale “umanistica” e “cittadi-na”. Umanistica perché fondata sull’idea che l’uomo va considerato perse stesso, per ciò che vale; cittadina, perché l’uomo non conta nullase non all’interno di una rete di rapporti con i propri simili. Ognunodeve perciò vivere a contatto con gli altri, rispettandoli ed esercitan-do quelle virtù della “cortesia” e della “misura” (cioè dell’equilibrio,della moderazione) che sono segno di autentica umanità.

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giovanni boccaccio

Nato nel 1313 a Certaldo (presso Firenze), Giovanni Boccaccio si reca giovanis-simo a Napoli, alla corte di Roberto d’Angiò, dove rimane per oltre un decennio.Nel 1348 è testimone della terribile pestilenza che colpisce Firenze e fa da sfon-do alla sua opera il Decameron, massimo capolavoro della prosa trecentesca.Muore nel 1375 a Certaldo, dove si è ritirato per dedicarsi allo studio di testi la-tini e greci.Conosciuto quasi esclusivamente per il Decameron, Boccaccio è autore anche dimolte altre opere sia in volgare (le Rime, diversi poemi e poemetti, alcuni roman-zi), che in latino.

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L’antefattoNell’anno 1348 una pestilenza si abbatte su tutta l’Europa sud-occi-dentale, colpendo città e campagne, poveri e ricchi. Nella città di Firenze, resa squallida e triste dalla terribile epidemia,tre giovani e sette fanciulle si ritrovano una mattina nella chiesa diSanta Maria Novella e decidono di ritirarsi in una villa sulle pendicidella collina di Fiesole per sfuggire al contagio. Qui trascorrono piace-volmente le loro giornate, passeggiando, cantando e danzando. Nelleore del tardo pomeriggio, per dieci giorni, ciascuno racconta una no-vella ispirata al tema deciso dal re o dalla regina che vengono via viaeletti fra loro.

ChichibioCurrado Gianfigliazzi, sì come ciascuna di voi1 e udito e vedutopuote avere, sempre della nostra città è stato notabile cittadino, li-berale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo continuamente incani e in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente la-sciando stare. Il quale con un suo falcone avendo un dì presso aPeretola una gru ammazzata, trovandola grassa e giovane, quellamandò a un suo buon cuoco, il quale era chiamato Chichibio eera viniziano; e sì gli mandò dicendo che a cena l’arrostisse e go-vernassela bene. Chichibio, il quale come nuovo bergolo2 era, co-sì pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollecitudine acuocer la cominciò. La quale essendo già presso che cotta e gran-dissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contra-

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1. come ciascuna di voi: lanovella è raccontata daNeìfile, che si rivolge allesue compagne e ai suoicompagni.2. bergolo: chiacchierone.

Corrado Gianfigliazzi, come ciascuna di voi può aver sentito e saputo, è sempre statoun importante cittadino della nostra città, generoso e magnifico, che, lasciando stareora le sue occupazioni più significative, ha sempre fatto una vita cavalleresca, diver-tendosi ad andare a caccia. Egli, avendo un giorno ammazzato una gru con un suo fal-cone, presso Peretola, trovandola bella, grassa e tenera, la mandò a un suo bravo cuo-co, che si chiamava Chichibio ed era veneziano; e gli fece dire che l’arrostisse per cenae la preparasse bene.Chichibio, che anche in apparenza si mostrava come realmente era, [cioè] chiacchiero-ne, preparata la gru, la mise sul fuoco e, con grande cura, cominciò a cuocerla. E, quan-do era quasi cotta e mandava un buonissimo profumo, accadde che una donnetta della

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da, la quale Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte in-namorato, entrò nella cucina, e sentendo l’odor della gru e veg-gendola pregò caramente Chichibio che ne le desse una coscia.Chichibio le rispose cantando e disse: «Voi non l’avrì da mi3, donnaBrunetta, voi non l’avrì da mi».Di che donna Brunetta essendo turbata, gli disse: «In fé di Dio, se tunon la mi dai, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia», e in brie-ve le parole furon molte; alla fine Chichibio, per non crucciar la suadonna, spiccata l’una delle cosce alla gru, gliela diede.Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere messa la grusenza coscia, e Currado, maravigliandosene, fece chiamare Chichi-bio e domandollo che fosse divenuta l’altra coscia della gru. Al qua-le il vinizian bugiardo subitamente rispose: «Signor mio, le gru nonhanno se non una coscia e una gamba».Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una co-scia e una gamba? non vid’io mai più gru che questa?».Chichibio seguitò: «Egli è, messer, com’io vi dico; e quando vi piac-cia, io il vi farò veder ne’ vivi4».Currado per amore de’ forestieri che seco avea non volle dietro alleparole andare5, ma disse: «Poi che tu di’ di farmelo veder ne’ vivi,cosa che io mai più non vidi né udi’ dir che fosse, e io il voglio vederdomattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo che,se altramenti sarà, che io ti farò conciare in maniera che tu con tuodanno ti ricorderai, sempre che tu ci viverai, del nome mio».

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3. non … mi: la battuta indialetto veneziano è unevidente elemento reali-stico.4. io … ne’ vivi: io vi mo-strerò, provandovelo, unagru viva. Ormai lanciatosi,Chichibio non è capace ditrovare altra via d’uscita.5. non volle … andare: davero signore, Corrado tie-ne più alla cortesia neiconfronti degli ospiti chead averla vinta col suocuoco.

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zona che si chiamava Brunetta, di cui Chichibio era molto innamorato, entrò nella cuci-na e, sentendo l’odorino della gru e vedendola, pregò Chichibio, di dargliene una coscia.Chichibio, canticchiando, le rispose: «Voi non l’avrete da me, donna Brunetta, voi nonl’avrete da me».Allora Brunetta, infastidita, gli disse: «Se tu non me la dai, quant’è vero Dio, non avraimai da me ciò che ti piacerebbe», e, insomma, si becchettarono per un po’; alla fine Chi-chibio, per non far dispiacere alla sua donna, staccata alla gru una coscia, gliela diede.Quando poi la gru, senza la coscia, fu messa davanti a Corrado che era in compagnia deisuoi ospiti, questi, accorgendosene e meravigliandosi molto, fece chiamare Chichibio egli chiese che fine avesse fatto l’altra coscia della gru. E il veneziano bugiardo pronta-mente gli rispose: «Signor mio, le gru hanno solo una coscia e una zampa».Corrado, allora, innervosito disse: «Come hanno solo una coscia e una zampa? Credi chenon abbia mai visto altre gru?».E Chichibio continuò: «Signore, è come vi dico; e, quando vorrete, ve lo dimostrerò nel-le gru vive».Corrado non volle continuare ancora a discutere per rispetto dei suoi ospiti, e disse: «Dalmomento che dici di volermelo dimostrare nelle gru vive, cosa che non ho mai visto némai sentito dire, sarò contento di vederlo domattina stessa; ma ti giuro sul corpo di Cri-sto che, se non sarà così, ti farò conciare in modo che ti ricorderai sempre, tuo malgrado,di me, ammesso che tu riesca a sopravvivere».

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Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente, come ilgiorno apparve, Currado, a cui non era per lo dormire l’ira cessata,tutto ancor gonfiato si levò e comandò che i cavalli gli fossero mena-ti; e fatto montar Chichibio sopra un ronzino6, verso una fiumana, al-la riva della quale sempre soleva in sul far del dì vedersi delle gru, nelmenò dicendo: «Tosto vedremo chi avrà iersera mentito, o tu o io».Chichibio, veggendo che ancora durava l’ira di Currado e che far gliconveniva pruova della sua bugia, non sappiendo come poterlasi fa-re cavalcava appresso a Currado con la maggior paura del mondo, evolentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, orainnanzi e ora adietro e da lato si riguardava, e ciò che vedeva crede-va che gru fossero che stessero in due piè.

6. un ronzino: un cavallodi poco valore.

E per quella sera la cosa finì lì; ma la mattina seguente all’alba, Corrado,al quale, dormendo, l’ira non era passata, si alzò ancora tutto ar-

rabbiato e ordinò che gli fossero portatii cavalli; poi, fatto montare Chichi-

bio su un ronzino, lo condusseverso un fiumicello alla cui ri-va, la mattina presto, erapossibile vedere alcune gru egli disse: «Vedremo subito

chi ha mentito ieri sera, se tu o io».Chichibio, accorgendosi che Corrado era sem-pre molto arrabbiato e che quindi gli con-veniva dar una prova della sua bugia,non sapendo come fare, cavalcava vi-cino a Corrado in preda al terrore e, seavesse potuto, sarebbe fuggito vo-

lentieri; ma, siccome non pote-va, guardava attentamentedavanti, dietro e ai lati e glisembrava di vedere ovunquegru a due zampe.

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Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che a alcun vedu-te sopra la riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in un piè di-moravano, sì come quando dormono soglion fare; per che egli, pre-stamente mostratele a Currado, disse: «Assai bene potete, messer,vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non unacoscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno».Currado vedendole disse: «Aspettati, che io ti mostrerò che elle n’-hanno due», e fattosi alquanto più a quelle vicino, gridò «oh, ho!»,per lo qual grido le gru, mandato l’altro piè giù, tutte dopo alquantipassi cominciarono a fuggire; laonde Currado rivolto a Chichibiodisse: «Che ti par, ghiottone? parti che elle n’abbian due?».Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venis-se, rispose: «Messer sì, ma voi non gridaste “oh, oh!” a quella d’ier-sera; ché se così gridato aveste ella avrebbe così l’altra coscia e l’al-tro piè fuor mandata, come hanno fatto queste».A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si con-vertì in festa e riso, e disse: «Chichibio, tu hai ragione: ben lo dove-va fare7».Così adunque con la sua pronta e sollazzevol risposta Chichibio ces-sò la mala ventura e paceficossi col suo signore.

da Decameron, VI, 4, Mondadori

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7. ben … fare: Corrado sidiverte troppo per inquie-tarsi; anzi sente sbolliretutta l’ira covata, mostran-do così la propria intelli-genza aperta all’umorismo.

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A un tratto, quando erano già arrivati vicino al fiume, vide, prima di chiunque altro, bendodici gru sulla riva che se ne stavano tutte ferme su una sola zampa, come sono soli-te fare quando dormono; egli allora, mostrandole subito a Corrado, esclamò: «Poteteben vedere, signore, che ieri sera vi ho detto la verità, le gru hanno solo una coscia euna zampa, guardate con i vostri occhi quelle che stanno là».Corrado le osservò e disse: «Aspetta un attimo e ti mostrerò che ne hanno due» e, av-vicinatosi, gridò «oh, oh!». A questo grido le gru, messa giù l’altra zampa, cominciaro-no a fuggire; allora Corrado, rivolto a Chichibio, disse: «Che te ne sembra, ghiottone?Ti pare che ne abbiano due?».Chichibio quasi sbalordito, rispose senza rendersi conto di quel che diceva: «Sissigno-re, ma voi non avete gridato “oh oh” a quella di ieri sera, perché se l’aveste fatto leiavrebbe tirato fuori l’altra coscia, come hanno fatto queste».A Corrado piacque così tanto quella risposta che tutta la sua rabbia si trasformò in al-legria e in riso, e disse: «Chichibio, hai ragione: avrei dovuto farlo davvero».Così, dunque, con la sua risposta pronta e divertente Chichibio schivò la sua cattiva sor-te e si rappacificò con il suo signore.

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COMMENTOLa novella che hai appena letto – come anche quella che segue – ap-partiene alla VI giornata, dedicata a chi, con una risposta pronta e ar-guta, riesce a risolvere felicemente una situazione difficile o delicata. Il protagonista, Chichibio, non è propriamente un furbo, ma piuttostoun sempliciotto e Corrado, con la sua cortesia legata al galateo del-l’epoca, davanti ai suoi ospiti non lo smentisce, anche se Chichibio hasostenuto con grande faccia tosta una bugia paradossale, insistendo eaddirittura scommettendo sulla propria affermazione. Il mattino seguente – quando deve dimostrare al suo padrone che le gruhanno una gamba sola – forse spinto dalla paura, il povero cuoco rie-sce a trarsi d’impaccio con una battuta che solo un uomo “savio” comeCorrado può riuscire ad apprezzare senza sentirla come un’offesa allapropria intelligenza. Tutta la novella è costruita per ricreare la realtàche circonda la figura del cuoco: l’ambiente pieno di odori della cuci-na, il personaggio di Brunetta, lo scenario della campagna e soprattut-to il linguaggio impulsivo e spontaneo di Chichibio, che riesce a salvar-lo da una situazione difficile.

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1. Chichibio, Brunetta e Corrado mostrano in modo chiaro la loro natura.Quali sono le caratteristiche dei tre protagonisti della novella? Defini-scili brevemente.a. Chichibio ...........................................................................................................................b. Brunetta ............................................................................................................................c. Corrado ...............................................................................................................................

2. La vicenda si svolge parte in un luogo chiuso e parte all’aperto. Indicagli ambienti, interni ed esterni, menzionati nel testo.

3. Che rapporto c’è tra Chichibio e Brunetta? Cosa chiede la ragazza alcuoco?

4.Quando la gru viene portata a tavola priva di una coscia, Corrado pre-tende una spiegazione da parte di Chichibio. Come reagisce poi all’as-surda risposta del cuoco?a. è divertito e ride con i suoi ospiti del simpatico cuocob. è irritato e ordina al cuoco di dimostrargli che ha detto la veritàc. licenzia immediatamente il cuoco Chichibio

5. La parte più divertente della novella è quella finale, in cui Chichibioriesce a togliersi d’impaccio con una trovata spiritosa. Quale? Raccon-ta con parole tue.

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Cisti fornaioAvendo Bonifazio Papa, appo il qual messer Geri Spina fu in grandis-simo stato, mandati in Firenze certi suoi nobili ambasciadori per cer-te sue gran bisogne, essendo essi in casa di messer Geri smontati, eegli con loro insieme i fatti del Papa trattando, avvenne che, che se nefosse cagione, messer Geri con questi ambasciatori del Papa tutti apiè quasi ogni mattina davanti a Santa Maria Ughi passavano, doveCisti fornaio il suo forno aveva e personalmente la sua arte esserce-va. Al quale quantunque la fortuna arte assai umile data avesse, tan-to in quella gli era stata benigna, che egli n’era ricchissimo divenuto,e senza volerla mai per alcuna altra abbandonare splendidissima-mente vivea, avendo tra l’altre sue buone cose sempre i migliori vinibianchi e vermigli che in Firenze si trovassero o nel contado.Il quale, veggendo ogni mattina davanti all’uscio suo passar messerGeri e gli ambasciadori del Papa, e essendo il caldo grande, s’avisòche gran cortesia sarebbe il dar lor bere del suo buon vin bianco; maavendo riguardo alla sua condizione e a quella di messer Geri, nongli pareva onesta cosa il presumere d’invitarlo ma pensossi di tenermodo il quale inducesse messer Geri medesimo a invitarsi. E aven-do un farsetto bianchissimo indosso e un grembiule di bucato in-nanzi sempre, li quali più tosto mugnaio che fornaio il dimostrava-no1, ogni mattina in su l’ora che egli avvisava che messer Geri con

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1. un farsetto… dimostra-vano: la pulizia, il lindogiubbetto sono le caratte-ristiche più evidenti diquesto fornaio.

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Dunque, quando Papa Bonifacio [VIII] mandò a Firenze, per certi suoi affari, dei nobiliambasciatori, questi andarono ad alloggiare a casa di messer Geri Spina, tenuto semprein grandissima considerazione dal Papa. Ora avvenne che, qualunque ne fosse la ragio-ne, messer Geri passasse quasi ogni mattina a piedi insieme a questi ambasciatori, di-scutendo le questioni del Papa, davanti a Santa Maria Ughi, dove il fornaio Cisti avevail suo forno ed esercitava personalmente il suo mestiere. E, sebbene la fortuna gli aves-se dato in sorte un mestiere assai umile, pure gli era stata così tanto benevola che eglicol suo lavoro era divenuto ricchissimo e, non avendo voluto mai abbandonare per nes-sun’altra ragione il suo mestiere, viveva splendidamente, avendo sempre nella sua bot-tega, oltre a tante altre cose buone, i migliori vini bianchi e rossi che si potessero tro-vare a Firenze o nei dintorni. Cisti, dunque, vedendo passare ogni mattina davanti alla sua porta messer Geri e gliambasciatori del Papa, pensò, siccome era molto caldo, che sarebbe stato un gesto digrande cortesia offrir loro da bere un po’ del suo buon vino bianco; ma, considerando ladifferenza di condizione [sociale] che c’era tra lui e messer Geri, non gli pareva oppor-tuno avere la presunzione di invitarlo, e così pensò di trovare il modo di indurre messerGeri stesso a invitarsi. E con indosso il suo giubbetto bianchissimo e un grembiule sem-pre perfettamente pulito, che lo facevano assomigliare più a un mugnaio che a un for-naio, ogni mattina, sull’ora in cui sapeva che messer Geri doveva passare con gli amba-

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gli ambasciatori dover passare si faceva davanti all’uscio suo recareuna secchia nuova e stagnata d’acqua fresca e un picciolo orciolettobolognese nuovo del suo buon vin bianco e due bicchieri che pare-vano d’ariento, sì eran chiari: e a seder postosi, come essi passava-no, e egli, poi che una volta o due spurgato s’era, cominciava a bersì saporitamente questo suo vino, che egli n’avrebbe fatta venir vo-glia a’ morti.La qual cosa avendo messer Geri una e due mattine veduta, disse laterza: «Chente è, Cisti? è buono?».Cisti, levato prestamente in piè, rispose: «Messer sì, ma quanto nonvi potre’ io dare a intendere, se voi non n’assaggiaste».Messer Geri, al quale o la qualità o affanno più che l’usato avuto oforse il saporito bere, che a Cisti vedeva fare, sete avea generata, vol-to agli ambasciadori sorridendo disse: «Signori, egli è buono che noiassaggiamo del vino di questo valente uomo: forse che è egli tale, chenoi non ce ne penteremo»; e con loro insieme se n’andò verso Cisti.Il quale, fatta di presente una bella panca venire di fuor dal forno,gli pregò che sedessero; e alli lor famigliari, che già per lavare i bic-chieri si facevano innanzi, disse: «Compagni, tiratevi indietro e la-sciate questo servigio fare a me, ché io so non meno ben mescereche io sappia infornare; e non aspettate voi d’assaggiarne gocciola!».E così detto, esso stesso, lavati quattro bicchieri belli e nuovi e fattovenire un piccolo orcioletto del suo buon vino, diligentemente die-

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sciatori, si faceva portare davanti alla porta della sua bottega un secchio nuovo di sta-gno pieno di acqua fresca, un piccolo orcio bolognese nuovo colmo del suo buon vinobianco e due bicchieri che, da quanto erano splendenti, parevano d’argento: e, messo-si a sedere, non appena essi passavano, dopo essersi sciacquato la bocca una volta odue, cominciava a bere con così tanto gusto questo suo vino che ne avrebbe fatta ve-nir la voglia anche ai morti. Messer Geri, che per due mattine aveva osservato la cosa, la terza disse: «Com’è Cisti?è buono?».Cisti, allora, alzatosi immediatamente in piedi, rispose: «Sì che è buono, ma non riusci-rei a farvi capire quanto, se non l’assaggiate».Messer Geri, a cui o per la qualità del vino o per l’affanno maggiore del solito o, forse,per il modo gustoso di bere di Cisti, era venuta sete, rivolto verso gli ambasciatori dis-se sorridendo: «Signori, è bene assaggiare il vino di questo brav’uomo: credo che sia ta-le da non farcene pentire»; e, insieme con loro, si diresse da Cisti.Questi, fatta portare subito fuori dal forno una bella panca, li invitò a sedersi; e, rivol-to ai loro servitori che si facevano avanti per lavare i bicchieri, disse: «Compagni, viprego, lasciate che sia io a servire, ché so servire il vino quanto so far bene il pane; enon pensate di assaggiarne neppure una goccia!». E, così detto, lavati quattro bicchie-ri belli e nuovi e fatto portare un piccolo orcio del suo buon vino, servì lui stesso con

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de bere a messer Geri e a’ compagni, alli quali il vino parve il miglio-re che essi avessero gran tempo davanti bevuto; per che, commen-datol molto, mentre gli ambasciador vi stettero, quasi ogni mattinacon loro insieme n’andò a ber messer Geri.A’ quali, essendo espediti e partir dovendosi messer Geri fece unmagnifico convito, al quale invitò una parte de’ più orrevoli cittadi-ni, e fecevi invitare Cisti, il quale per niuna condizione andar vi vol-le. Impose adunque messer Geri a uno de’ suoi famigliari che per unfiasco andasse del vin di Cisti e di quello un mezzo bicchier per uo-mo desse alle prime mense. Il famigliare, forse sdegnato perché niu-na volta bere aveva potuto del vino, tolse un gran fiasco.Il quale come Cisti vide, disse: «Figliuolo, messer Geri non ti man-da a me».Il che raffermando più volte il famigliare né potendo altra rispostaavere, tornò a messer Geri e sì gliele disse; a cui messer Geri disse:«Tornavi e digli che sì fo: e se egli più così ti risponde, domandalo a cuiio ti mando».Il famigliare tornato disse: «Cisti, per certo messer Geri mi mandapure a te».Al quale Cisti rispose: «Per certo, figliuol, non fa».

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cura messer Geri e i suoi compagni, a cui parve il vino migliore che avessero bevutoda molto tempo; perciò, avendolo molto apprezzato, quasi ogni mattina, per tutto iltempo che si trattennero a Firenze, gli ambasciatori e messer Geri andavano a bereda Cisti.E quando gli ambasciatori ebbero portato a termine la loro missione ed eranoprossimi a partire, messer Geri organizzò un magnifico banchetto a cui invitò unaparte dei cittadini più importanti e anche Cisti, che, però, non vi volle andare anessun costo. Allora messer Geri ordinò a uno dei suoi servitori di andare aprendere un fiasco del vino di Cisti e di servirne un mezzo bicchiere a ciascunodegli invitati, insieme alle prime portate. Il servitore, forse indispettito pernon aver mai potuto bere quel vino, andò da Cisti con un bel fiasco grande.E, non appena Cisti lo vide, gli disse: «Figliolo, messer Geri non ti mandacerto da me».Al che il servitore ribatté più di una volta che era proprio così, ma non ri-cevendo nessun’altra risposta, tornò da messer Geri e gli riferì la cosa;e messer Geri gli disse: «Tornaci e ripetigli che ti mando io: e se eglicontinua a darti questa risposta, chiedigli allora da chi ti devomandare, se non da lui».Il servitore, allora, tornò da Cisti e gli disse: «Cisti, messerGeri mi manda sicuramente proprio da te».E Cisti: «Sicuramente, invece, non da me».

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«Adunque», disse il famigliare «a cui mi manda?»Rispose Cisti: «A Arno2».Il che rapportando il famigliare a messer Geri, subito gli occhi glis’apersero dello ’ntelletto e disse al famigliare: «Lasciami vedere chefiasco tu vi porti»; e vedutol disse: «Cisti dice vero»; e dettagli villa-nia gli fece torre un fiasco convenevole.Il quale Cisti vedendo disse: «Ora so io bene che egli ti manda a me»,e lietamente glielo impié.E poi quel medesimo dì fatto il botticello riempire d’un simil vino efattolo soavemente portare a casa di messer Geri, andò appresso, etrovatolo gli disse: «Messere, io non vorrei che voi credeste che il granfiasco stamane m’avesse spaventato; ma, parendomi che vi fosse usci-to di mente ciò che io a questi dì co’ miei piccoli orcioletti v’ho dimo-strato, cioè che questo non sia vin da famiglia3, vel volli staman rac-cordare. Ora, per ciò che io non intendo d’esservene più guardiano,tutto ve l’ho fatto venire: fatene per innanzi come vi piace».Messer Geri ebbe il dono di Cisti carissimo e quelle grazie gli ren-dé che a ciò credette si convenissero, e sempre poi per da mol-to l’ebbe e per amico.

da Decameron, VI, 2, Mondadori

«Dunque» disse il servitore «da chi mi manda?».E Cisti rispose: «All’Arno».Quando, dunque, il domestico riferì quelle parole a messer Geri, subitoquesti comprese e disse al servo: «Fammi vedere che fiasco gli hai por-tato»; e, quando lo vide disse: «Cisti ha ragione»; e, rimproveratolo perla sua impertinenza, gli fece prendere un fiasco più adatto.E Cisti, vedendolo, esclamò: «Finalmente so bene che ti mandada me» e fu felice di riempirglielo.Poi, quello stesso giorno, fece riempire di quel vino una piccolabotte e la mandò a casa di messer Geri, andandovi anche lui,e quando fu lì disse: «Signore, non vorrei che credeste chequel gran fiasco stamani mi avesse spaventato; ma, sicco-me mi era sembrato che vi foste scordato ciò che io neigiorni scorsi vi ho dimostrato con i miei piccoli orci, cioèche questo non è un vino di uso quotidiano, stamani ve l’-ho voluto ricordare. Ma ora non voglio esserne più il cu-stode per voi e ve l’ho fatto portare tutto: d’ora in poi fa-tene ciò che volete».Messer Geri gradì enormemente quel dono di Cisti e lo ri-cambiò in maniera adeguata, e, da allora, tenne Cisti sem-pre in grande considerazione e lo trattò come un amico.

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2. A Arno: implicitamenteCisti invita il servitore dimesser Geri a riempire ilgrande fiasco che si è por-tato dietro con un liquidoabbondante ma scadentecome l’acqua del fiume Ar-no, e non con il suo pre-zioso vino.3. non sia vin da famiglia:la straordinaria qualità delvino di Cisti richiede chesia in una quantità mode-sta, che solo ospiti dal pa-lato raffinato possono gu-stare.

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COMMENTOIl fornaio Cisti è l’esempio evidente di come una persona, a qualunqueceto sociale appartenga, possa dimostrare con la parola il proprio valo-re. Boccaccio ha infatti la consapevolezza che doti come l’intelligenza,la cortesia, il garbo, l’eleganza, la signorilità non sono privilegio esclu-sivo delle classi alte, ma si trovano anche tra le persone semplici, lequali non di rado se ne sanno servire a proprio vantaggio. “Mezzo di co-municazione” fra i due protagonisti è il vino di Cisti, che di volta involta è misura di cortesia per chi lo offre e per chi lo richiede. Cisti, pur se di condizione modesta, possiede una sua “cultura” che gliconsente di saper valutare il significato dei gesti e delle parole. Il ser-vitore che messer Geri manda a prendere il vino da Cisti, è invece unpersonaggio privo di quell’intelligenza che rende amabile chiunquesappia ben comportarsi in ogni occasione della vita quotidiana. Fa in-fatti parte di quella serie di figure abbondantemente rappresentate nelDecameron che, con il loro egoismo e la loro stupidità, controbilancia-no i personaggi saggi e prudenti. Si crea così una folla colorita e vi-vace, che nella sua varietà rispecchia la vita quotidiana della societàmedievale.

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to 1. L’aspetto di Cisti non è da meno rispetto a quello del distinto messerGeri. Il fornaio indossa infatti abiti tanto bianchi e puliti che sembrafare un altro lavoro. Quale?

2. Cosa attira l’attenzione di messer Geri quando passa davanti alla bot-tega di Cisti con gli ambasciatori del papa?

3.Verso la fine della novella compare il servo di messer Geri, mandato aprendere il vino di Cisti. Quale errore commette, che gli fa poi merita-re il rimprovero del padrone?

4.Nel rimandare il servo indietro a mani vuote, Cisti dice una breve bat-tuta che servirà a Geri per capire l’equivoco. Quale? Spiegala con paro-le tue.

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Il quadro storico-politico

DALLA SIGNORIA AL PRINCIPATO Nel corso del Quattrocento la maggior parte dei Co-muni dell’Italia centro-settentrionale si era ormaievoluta nella forma della Signoria. A Milano si era affermata la nobile famiglia dei Vi-sconti, che controllava un territorio esteso fino alPiemonte, e confinante con lo Stato veneziano, laToscana, l’Emilia e l’Umbria. A Verona e Vicenza do-minavano gli Scaligeri, a Mantova i Gonzaga, a Fer-rara (e poi anche a Modena e Reggio) gli Estensi, aFirenze i Medici. Quando poi il papa o l’imperatorericonobbero ufficialmente ai vari signori il possessodei rispettivi domini territoriali, alle Signorie si sosti-tuì una nuova forma di governo, il Principato, chedette luogo alla formazione di vere e proprie dina-stie sul modello delle grandi monarchie europee. La divisione dell’Italia centro-settentrionale in vari Prin-cipati dette però inizio anche a una serie di conteseche logorarono la vita politica, spingendo i vari prìncipia chiedere l’aiuto delle potenze straniere. Queste ulti-me intervennero con il pretesto di assicurare la pace,ma in realtà con lo scopo di acquisire il controllo delterritori italiano. Ebbe così inizio la dominazione dellecase regnanti d’oltralpe: Francia, Spagna, Germaniaportarono i loro eserciti in Italia e — ora affiancate oraosteggiate dai vari prìncipi e dal papa — sconvolsero ilterritorio della penisola, che diventò terreno di scontroper il predominio sull’Italia e l’Europa.

LE GUERRE DI RELIGIONE E LA RIFORMAIl Cinquecento fu per l’Europa, scossa da gravi con-flitti politici e religiosi, un secolo di grandi turbamen-ti. Protagoniste della scena politica furono le coronedi Francia, Inghilterra e soprattutto di Spagna, quan-do, nella prima metà del secolo, salì al trono impe-riale Carlo V, erede da parte di madre del regno spa-gnolo e da parte di padre dell’Impero germanico. La posizione di grande potere della Spagna fu infat-ti causa di rivalità con le altre potenze europee, dan-do così luogo a violente guerre protrattesi per de-cenni.

Elemento di crisi fu anche la frattura religiosa pro-mossa dal monaco agostiniano tedesco Martin Lu-tero, che sottrasse al controllo della Chiesa di Romalarga parte dell’Europa centrale. Nel 1517 Lutero,indignato per la pratica delle indulgenze (cioè delperdono dei peccati in cambio di una somma didenaro) promossa da papa Leone X per la costru-zione della basilica di San Pietro, rese note le sueposizioni di contrasto con la Chiesa di Roma affig-gendo sulla porta della chiesa di Wittenberg le sue95 tesi. Il papa intimò al monaco tedesco di ripudia-re le sue idee e, ottenuto un rifiuto, lo scomunicò eaffidò all’imperatore Carlo V l’incarico di catturarlo,sollevando così le proteste dei prìncipi tedeschi so-stenitori della Riforma luterana. Di qui il termine di “protestanti” utilizzato per indicarei seguaci di Lutero, a cui si contrappongono i seguacidella Chiesa universale di Roma, che prendono il no-me di “cattolici” (dal greco katholikós, universale).

LA CONTRORIFORMA Questa divisione del mondo cristiano segnò l’iniziodelle guerre di religione, che insanguinarono l’Euro-pa per quasi quaranta anni, ma al tempo stessospinse la Chiesa a rispondere alla sfida lanciata daMartin Lutero con una Controriforma basata sullariconferma della tradizione cattolica, la riorganizza-zione della propria struttura, il rilancio dell’attivitàmissionaria e l’istituzione del Tribunale dell’Inquisi-zione, che aveva il compito di stroncare ogni opinio-ne non conforme all’ortodossia (“giusta dottrina”)cattolica. Le diverse esigenze espresse dalla Chiesaverranno definite nel corso del Concilio di Trento,che si tenne dal 1545 al 1564.Intanto, la scoperta dell’America da parte di Cristo-foro Colombo nel 1492 aveva aperto un’era digrande prosperità — soprattutto per la Spagna cheaveva finanziato tale impresa — e aveva spostato ilcentro dell’economia mondiale dal Mar Mediterra-neo all’Oceano Atlantico.

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Il quadro culturaleL’UMANESIMO E LA FILOLOGIA Oltre che centri politici, le Signorie e le corti princi-pesche italiane divennero con il passare del tempoanche centri culturali. In esse infatti assunsero cre-scente importanza giuristi, notai, avvocati e letterati,e furono proprio questi personaggi a promuovere,nel XV secolo, l’Umanesimo, un movimento cultu-rale caratterizzato dall’interesse rivolto dagli intellet-tuali alle opere letterarie, filosofiche e scientifichedegli autori antichi, definite con un’espressione lati-na humanae litterae. La cultura e l’arte classica vengono dunque studia-te con passione, cercando nelle biblioteche dei mo-nasteri gli antichi testi latini e greci, considerati testi-monianze esemplari di vita e arte. Il messaggio de-gli scrittori antichi è oggetto di un’interpretazionenuova e criticamente consapevole grazie alla filolo-gia, cioè a un insieme di competenze che consen-tono la ricostruzione rigorosa di un testo e permet-tono di collocare un autore e la sua opera in un pre-ciso contesto storico. L’Umanesimo si segnala anche per una nuova conce-zione dell’uomo: un uomo libero, ricco di forze crea-tive, in armonia con la natura; un uomo consideratocentro dell’universo, misura di tutte le cose e libero ar-tefice (cioè creatore) del proprio destino. L’esaltazio-ne dell’uomo si estende anche a celebrarne l’armo-nia del corpo e la bellezza, così come si ricerca la per-fetta armonia degli edifici in ambito architettonico edelle figure nelle rappresentazioni pittoriche.

IL RINASCIMENTO Il termine Rinascimento comprende sia l’esperien-za dell’Umanesimo quattrocentesco, sia la vicendaculturale e artistica che si sviluppa e termina nel XVIsecolo. La cultura del Cinquecento accoglie tutti gliorientamenti e le caratteristiche del secolo prece-dente, dalla riscoperta dell’antico alla filologia, ma sicaratterizza per il fatto di “produrre” modelli piutto-sto che di imitarli, di elaborare forme e tecniche au-tonome piuttosto che di sperimentarle. Il Rinascimento infatti, giudicando negativamentel’esperienza storica e culturale del Medioevo —identificato come un’epoca di morte e barbarie — si

riallaccia ai valori della civiltà greco-latina, ritenen-dola un modello di grandezza e perfezione. Parten-do da tale recupero, arriva poi a elaborare una cul-tura propria e originale.

L’UMANISTA E IL LETTERATO CORTIGIANO L’intellettuale del Rinascimento — se non segue lacarriera ecclesiastica o non trova un ruolo negli studiuniversitari — si riconosce nella figura dell’umanista(XV secolo) e del letterato cortigiano (XVI secolo). L’umanista è un filologo, un appassionato di lingueclassiche, un attivo sostenitore del metodo criticonello studio dei testi, ma spesso è anche impegna-to nella politica e nella vita civile. Personaggi comegli umanisti Marsilio Ficino e Lorenzo Valla sono in-fatti scrittori e viaggiatori, conferenzieri e richiestissi-mi consulenti di principi e governi cittadini.Il letterato cortigiano svolge invece la propria attivitànell’ambito delle corti signorili e principesche (deiGonzaga, degli Estensi, ecc.), dove trovano posto con-siglieri, diplomatici, amministratori, intellettuali, artisti. Dalle testimonianze dei due poeti cortigiani piùimportanti del Rinascimento, Ludovico Ariosto eTorquato Tasso, la corte appare, tuttavia, come unarealtà nel complesso negativa: un luogo di invidie,menzogne, calunnie, false amicizie.

LA QUESTIONE DELLA LINGUANel Cinquecento la questione della lingua, che siera aperta ai tempi di Dante, fu ripresa con partico-lare vigore, divenendo uno degli argomenti più di-battuti. Discutere sulla lingua significava soprattuttodefinire i caratteri di un nuovo linguaggio letterarionazionale, di una lingua scritta comune. Si era infat-ti ormai costituito un ceto di scrittori e di pubblico dialto livello sociale, interessato a una produzione let-teraria capace di tradurre in volgare le conquiste cul-turali dell’Umanesimo. Era dunque necessario elaborare un unico “volgareillustre”, cioè una lingua letteraria nazionale che ri-flettesse l’unità di cultura, ma anche la nobiltà e ladignità della parola cui aspiravano gli scrittori e i let-tori ai quali essi si rivolgevano. Ma quale doveva es-sere il modello ideale di questa lingua?

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Varie furono le posizioni degli intellettuali che pre-sero parte a questo lungo dibattito. Ad esempio,se alcuni volevano assumere come modello unalingua arricchita da parole usate nelle corti, il lette-rato veneziano Pietro Bembo teorizzò una lingualetteraria “pura” e immutabile, desunta esclusiva-mente dai “buoni autori” toscani trecenteschi, inparticolare Dante, Francesco Petrarca e GiovanniBoccaccio.

L’INVENZIONE DELLA STAMPALa diffusione delle opere letterarie in volgare ebbeun notevole impulso dall’invenzione della stampa acaratteri mobili (1452) e dal ricorso a essa per testidi carattere culturale e storico, ma soprattutto di argo-mento religioso. La Riforma luterana e la Controrifor-ma diffusero tali testi affidandone la lettura ai chiericie ai dotti, che nelle chiese e nelle piazze facevano co-noscere le opere sacre e le loro interpretazioni.

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L’attivita letteraria in Italia’I PROTAGONISTI DELLA SCENA LETTERARIAIl Rinascimento italiano vanta tre grandissimi autori:Niccolò Machiavelli, Ludovico Ariosto e TorquatoTasso. Niccolò Machiavelli deve la propria fama a Il Princi-pe, un trattato sul modo di guidare lo Stato, mentreil nome di Ludovico Ariosto è legato al poema ca-valleresco l’Orlando furioso, in cui trovano posto siai temi amorosi e d’avventura che quelli guerreschied eroici. Infine, Torquato Tasso è noto per la Geru-salemme liberata, un poema eroico che ha comeargomento la prima crociata e la liberazione del San-to Sepolcro da parte dei cristiani. Tra gli autori rinasci-mentali vanno ricordati anche Agnolo Poliziano, vis-suto alla corte di Lorenzo dei Medici e autore delleStanze per la giostra in onore di Giuliano, fratello diLorenzo; lo stesso Lorenzo dei Medici, che spaziadalle novelle ai dialoghi filosofici; Baldassare Casti-glione, autore del trattato Il Cortegiano, in cui vieneesaltata la figura del perfetto uomo di corte.

LA POESIA EPICA: CAVALIERI E BUFFONI Nell’ambito della poesia epica si segnalano ancheBoiardo e Pulci. Matteo Maria Boiardo - autoredel poema Orlando innamorato poi ripreso daLudovico Ariosto nell’Orlando furioso - sviluppacon grande libertà narrativa i temi amorosi e d’av-ventura ripresi dalla “canzoni di gesta” medievali,fino a farli diventare una stupenda fiaba, un’eva-sione romanzesca. Luigi Pulci risulta invece più le-gato alla cultura dei giullari, cantori popolari che inoccasione di fiere, mercati e feste religiose, recita-vano a memoria i testi epici, arricchendoli di ele-menti che erano estranei all’originale, tra cui il gu-sto della caricatura e l’inserimento di trame secon-darie. Il tono dominante del Morgante, un poemapubblicato da Pulci nel 1478, è infatti la comicità,grazie alla quale viene stravolta la figura dell’eroecavalleresco: Carlo Magno talvolta è un testardo,Orlando un ghiottone , Rinaldo un dongiovanni, ecosì via.

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1.Indica quali delle seguenti frasi, riferite al Rinascimento, sono cor-rette. a. considera il Medioevo come un’età di grandezza e di importanti valorib. è un movimento culturale che si sviluppa e termina nel XVI secoloc. si sviluppa, nell’architettura e nella pittura, dopo il Cinquecentod. recupera i valori che erano alla base della civiltà greco-latinae. pone Dio al centro dell’universo e lo ritiene responsabile del destinodell’uomo

f. si avvale della filologia per collocare autori e opere in un preciso conte-sto storico

g. esalta esclusivamente le doti morali e spirituali dell’uomoh. pone l’uomo al centro dell’universo, considerandolo creatore del propriodestino

i. vuole definire un nuovo linguaggio letterario nazionale, una linguascritta comune

2. Indica, tra le seguenti frasi, quali sono riferite all’umanista (U) equali al letterato cortigiano (C). a. svolge la propria attività presso Signori e principi b. è un filologo e un appassionato di lingue classiche c. sono così definiti Marsilio Ficino e Lorenzo Valla d. è spesso impegnato nella vita politica e civile e. sono così definiti Ludovico Ariosto e Torquato Tasso

3. Indica a quale scrittore si riferiscono le frasi. Niccolò Machiavelli ........................................................................Ludovico Ariosto ...........................................................................Torquato Tasso ..............................................................................a. scrive un trattato sul modo di guidare lo Stato b. è l’autore dell’Orlando furiosoc. è l’autore della Gerusalemme liberatad. scrive un’opera incentrata su vari temi: amore, avventura, guerrae. è l’autore de Il Principef. compone un poema che rispecchia i valori della Controriforma

4. Ognuna delle seguenti frasi contiene un errore. Sottolinealo e riscri-vi le frasi correggendole. a. Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto sviluppano temi religiosi ed’avventura ripresi dalle “canzoni di gesta” medievali

b. nei poemi Orlando furioso e Orlando innamorato i temi derivati dalla let-teratura precedente vengono rielaborati fino a divenire una stupenda eremota poesia

c. il tono dominante del poema Morgante, scritto da Luigi Pulci, è l’avven-tura

d. nel suo poema Luigi Pulci si rifà alla cultura dei cavalieri, che recitava-no a memoria i testi epici

Verifica

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Machiavellie Il Principe

Niccolò Machiavelli è, insieme a Ludovico Ariosto e Torquato Tasso,uno dei grandi protagonisti della cultura rinascimentale. Come tuttigli intellettuali del suo tempo, vede l’uomo nella sua dimensione ter-rena, ma mentre gli altri scrittori, poeti, filosofi ne celebrano la supre-mazia, ponendolo al centro del creato, Machiavelli ne riscontra gliaspetti negativi: l’egoismo, la volontà di sopraffazione, il desiderio ec-cessivo di ricchezze. Per Machiavelli, insomma, l’uomo è malvagio.

Chi può intervenire per porre un freno alla malvagità umana? Nellaprospettiva tutta terrena del Rinascimento, non può più trattarsi diDio, come pensava l’intellettuale del Medioevo. E infatti Machiavelligiunge alla conclusione che solo uno Stato forte, ben guidato da unprincipe, può avere la meglio sulla malvagità dei singoli individui edessere un organismo politico saldo e pacifico.L’opera intitolata appunto Il Principe è un trattato che individua nellapolitica un’attività autonoma, che non risponde ad altre leggi che nonsiano quelle dei rapporti di forza e della lotta per il potere. Ad esempio,lo scrittore arriva a utilizzare una parola come “virtù”, che generalmen-te si riferisce a una qualità positiva, per indicare la capacità del politi-co di imporsi anche con la ferocia e l’inganno.

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niccolò machiavelli

Niccolò Machiavelli nasce a Firenze nel 1469 e fin da piccolo studia con passionei classici latini, in particolare Tito Livio. Verso i trent’anni entra al servizio dellaRepubblica fiorentina instaurata dopo la cacciata dei Medici dalla città, svolgen-do numerose missioni diplomatiche sia in Italia che all’estero. Ha così modo diconfrontare le forme di governo e le teorie politiche degli antichi con l’esperien-za diretta della realtà a lui contemporanea. La caduta della Repubblica fiorentinae il ritorno dei Medici al governo lo costringono a un forzato esilio nei suoi pos-sedimenti di San Casciano, nei pressi di Firenze, dove nascono le opere più impor-tanti: il trattato Il Principe, la commedia La Mandragola, i Discorsi sulla prima de-ca di Tito Livio, Dell’arte della guerra e la novella comica Belfagor Arcidiavolo. Suc-cessivamente ottiene l’incarico di occuparsi della difesa di Firenze, minacciatadalle truppe di Carlo V, ma la vittoria dell’imperatore e il nuovo allontanamentodei Medici segnano la fine di ogni sua attività politica. Muore a Firenze nel 1527.

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La fortuna e la virtùSo bene che sono molti quelli che considerano le vicende del mondorette dalla fortuna o da Dio, e che ritengono gli uomini incapaci di fre-nare o di piegare gli eventi al loro volere; e per questo si potrebbe pen-sare che non serve affaticarsi molto nelle cose, e che tanto vale lasciar-si governare dal caso. Tale opinione ha avuto molto successo in questitempi, a causa dei grandi rivolgimenti e mutamenti politici, superioriad ogni umana previsione, che si sono visti e si vedono tutti i giorni.Anch’io, meditando su simili fatti, ho qualche volta dato peso a que-sta interpretazione del reale; e tuttavia, per non arrivare a negare ilnostro libero arbitrio1 e la nostra possibilità di azione, penso che la sor-te sia arbitra solo della metà delle nostre azioni, e che a noi uomini la-sci governare l’altra metà2. La fortuna è come uno di quei torrenti in-grossati dalle acque che tracimano3, allagando le piane, abbattendo al-beri e case, portando terra dove non c’era e in altri luoghi asportando-la: tutti fuggono davanti alla furia di questi torrenti, e cedono al loroimpeto distruttivo senza avere possibilità di resistergli. È però veroche gli uomini, quando i fiumi sono in periodo di quiete o di magra,possono provvedere con argini e ripari, in modo che, quando si veri-fica la piena, l’acqua viene dirottata in canali appositi, e la sua azionenon è più senza freni e dannosa. Nello stesso modo succede per la for-tuna. Essa mostra tutta la sua terribile potenza dove non c’è capacitàumana preparata a resisterle, e dirige la sua azione impetuosa dove sache non ci sono argini e ripari in grado di frenarla. Se voi consideratel’Italia, che è il luogo e l’origine4 di questi grandi mutamenti politici,vi renderete conto che è come una campagna senza argini e senza al-cun riparo. Se fosse stata salvaguardata dall’opera di uomini oculati5– come è accaduto nell’Impero germanico, o nei regni di Spagna e diFrancia – la piena non avrebbe provocato conseguenze così gravi edeffetti così disastrosi, o addirittura non si sarebbe verificata. E ciò ba-sti relativamente al fatto di opporsi alla fortuna in generale.

da N. Machiavelli, Il Principe, xxv, Mondadori

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1. libero arbitrio: con que-sta espressione si intendela libertà dell’uomo nellascelta fra il bene e il male.2. penso che… metà: ilmondo è governato per me -tà dalla virtù e per metàdalla fortuna, la cui vitto-ria si realizza solo dove lavirtù non è capace di resi-sterle. Da questo pensie-ro emerge una prospettivaaperta alla fiducia, alla spe-ranza, in quanto l’uomo vir-tuoso (cioè dotato di capa-cità), è in grado di vincerela lotta contro la sorte av-versa.3. tracimano: straripano.4. il luogo e l’origine: l’Ita-lia divenne il campo di bat-taglia delle milizie stranie-re utilizzate dai vari Signo-ri in urto fra loro.5. oculati: scrupolosi, at-tenti, accorti.

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to 1. Cosa intende l’autore per «fortuna»?a. ciò che nella realtà è imprevedibile e a cui solo la virtù può opporre una valida resistenzab. la sorte favorevole o un evento felicec. una divinità di fronte al cui volere l’uomo non può fare nulla

2. Cosa indica l’espressione «libero arbitrio»?a. la libertà dell’uomo di fare ciò che preferisce, senza che nessuno lo giudichib. la facoltà attribuita all’uomo di agire secondo la propria volontà, senza condizionamenti religiosi, politici o sociali

c. il compito di giudicare le fasi di una competizione sportiva

3.A cosa viene paragonata la fortuna? Cosa si può opporre, secondo Machiavelli, alla fortuna?

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Ariosto el’Orlando furioso

Nell’universo dell’Orlando furioso – il poema cavalleresco per il qualeLudovico Ariosto è divenuto famoso – si proietta il mondo del Rinasci-mento con i suoi valori: l’esaltazione dell’uomo e della sua capacità direagire al caso e al destino avverso; la celebrazione dell’amore comeelemento che muove tutte le cose; la gioia di vivere, sia pure con laconsapevolezza che tutto ciò che è bello è destinato a finire presto. Èinfatti questa la concezione della vita che caratterizza la poesia del-l’Ariosto che, diversamente da quella di Dante, non vuole insegnare va-lori morali o educare alla religiosità, bensì, attraverso l’immaginazio-ne, creare un mondo fantastico di felicità e bellezza, in cui regnanol’equilibrio e l’armonia.Sebbene Ariosto non abbia l’intento di educare con insegnamenti mo-rali, nelle avventure da lui raccontate, e nei personaggi che ne sonoprotagonisti, è possibile cogliere aspetti della vita reale: i sogni, le il-lusioni, le delusioni, gli inganni e le passioni che fanno parte dell’esi-stenza dell’uomo.

I personaggi dell’Orlando furioso sono sempre in movimento, semprealla ricerca di qualcosa: il caso li fa incontrare, li fa scontrare, li fa ri-trovare, proprio come accade nella vita quotidiana. E su questa corsadell’uomo verso l’oggetto del suo desiderio scende l’ironia del poetache, se da un lato esalta la natura umana, dall’altro ne mette in luce ledebolezze e sa accettarne i limiti con sorridente consapevolezza.

L’Orlando furioso comprende quarantasei canti, ciascuno diviso in unaserie di ottave, cioè strofe (dette “stanze”) di otto versi endecasillabi(ovvero di undici sillabe). L’ottava, già presente nella poesia narrati-va tradizionale, diventa qui uno strumento prezioso attraverso il qua-le l’autore riesce a dare ordine alle vicende raccontate: nel poemaariostesco contenuto e forma si fondono, cioè, in modo tale da assicu-rare un andamento ordinato a una materia estremamente varia e alcomplesso intrecciarsi dei vari “fili” narrativi.

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L’antefattoLe avventure narrate nel poema ariostesco traggono origine da quelle rac-contate dal poema Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e interrottedalla morte dell’autore. La conoscenza di queste avventure è quindi necessa-ria per la comprensione di quelle narrate dall’Ariosto.Il poema di Matteo Maria Boiardo, che fin dal titolo dichiara di voler fonde-re l’elemento eroico del ciclo carolingio (Orlando) con quello amoroso del ci-clo bretone (innamorato), si sviluppa in un intreccio complesso di trame, dicui la principale è la seguente.La bellissima Angelica, figlia del re del Catai (odierna Cina), giunge a Parigipresso la corte di Carlo Magno, dove migliaia di cavalieri cristiani e paganisono riuniti per un torneo. È accompagnata dal fratello Argalia e si promet-te al cavaliere che riuscirà a sconfiggere quest’ultimo. Quando però Ferragu-to uccide Argalia, Angelica non tiene fede al patto e fugge in Oriente, inse-guita da tutti i paladini che si sono innamorati di lei, in primo luogo Orlan-do e Rinaldo. Giunta nella foresta delle Ardenne, la fanciulla beve alla magica fonte del-l’amore e si innamora di Rinaldo, il quale, invece, ha bevuto a quella dell’odioe la evita, mentre il fido Orlando la protegge. Dopo varie peripezie, i perso-naggi si trovano nuovamente nella foresta delle Ardenne, dove Rinaldo e An-gelica bevono ancora alle due fonti magiche, ma scambiandole: ora è il pala-

Le fonti magiche

Angelica alla cortedi Carlo Magno

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ludovico ariosto

Nato a Reggio Emilia nel 1474, Ludovico Ariosto entra nel 1504 al servizio del car-dinale Ippolito d’Este, fratello del duca Alfonso, signore di Ferrara, che gli affida in-carichi politici e amministrativi. A quest’epoca ha già scritto due commedie e deicarmi in latino, ma il suo interesse è rivolto ai poemi cavallereschi e, in particola-re, al l’Orlando innamorato che l’autore, il Boiardo, non ha potuto completare. Per-ché non continuare questa bella storia che narra, fra l’altro, anche l’amore contra-stato fra due giovani, Bradamante e Ruggiero, indicati nel poema del Boiardo co-me i progenitori degli Estensi? Potrà in tal modo celebrare la gloria della famigliad’Este, presso la quale è poeta di corte. Nasce così, nel 1516, la prima edizione delgrande poema Orlando furioso. Ariosto trascorre gli ultimi anni della vita a Ferrara, dove muore nel 1533.Oltre che dell’Orlando furioso, il poema che rappresenta il suo capolavoro, è autoredi Rime petrarchesche di argomento amoroso, di sette Satire in versi e di cinquecommedie – importanti in quanto sono le prime scritte in lingua italiana – tra cuisi ricordano La Lena e Il Negromante.

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dino innamorato a inseguire la fanciulla che fugge. Per amore di lei, Orlandoe Rinaldo, a Parigi, si azzuffano e Carlo Magno è costretto a separarli, affi-dando Angelica alla custodia del duca Namo e promettendola a colui checombatterà più valorosamente i Saraceni. Qui termina il poema di Boiardo, e inizia quello narrato da Ariosto.

L’argomento generaleIn primo luogo va precisato che l’Ariosto non svolge mai un episodio dall’ini-zio allo scioglimento, ma intreccia continuamente le vicende dei vari perso-naggi, per cui un’avventura dà sempre origine a un’altra. I due filoni princi-pali dell’intreccio sono comunque la storia di Angelica e Orlando e quella diBradamante e Ruggiero.Angelica, principessa del Catai portata presso i Franchi dal paladino Orlando,approfittando della confusione della battaglia contro i Saraceni fugge dallatenda in cui re Carlo l’aveva confinata, decisa a tornare in Oriente. Durantela fuga, la giovane deve affrontare diversi cavalieri saraceni e cristiani inna-morati di lei, che tuttavia riesce sempre a tenere a bada.Dopo varie vicissitudini Angelica giunge in un campo dove giace ferito unbellissimo giovane dell’esercito saraceno. È Medoro, di cui la fanciulla si in-namora: lo cura, lo guarisce, lo sposa, per poi uscire di scena con lui. Le trac-ce del loro amore rimangono però scolpite sulle pietre e incise sui tronchi de-gli alberi, a testimonianza della passione che li ha uniti.In seguito Orlando, che è innamorato di Angelica, passando per quei luoghivede tali tracce. Viene così a sapere per certo dell’amore fra i due giovani e,sconvolto, impazzisce.Il cugino inglese Astolfo decide allora di aiutare il povero paladino e con unippogrifo, cioè un cavallo alato, vola sulla Luna dove, in un’ampolla, è anda-to a finire il senno di Orlando. Basterà aspirare il contenuto dell’ampolla e ilcervello tornerà a posto: Orlando, guarito dalla pazzia, torna così a combat-tere a fianco di Carlo Magno.Per tenere lontano Ruggiero dal campo di battaglia, dove lo aspetta un de-stino di morte, il mago Atlante costruisce un castello incantato, una sorta diprigione dorata nella quale cerca di imprigionare Ruggiero; in seguito, conle sue arti magiche guida l’ippogrifo su cui è il giovane cavaliere verso l’iso-la dove vive la bellissima maga Alcina, che ammalia Ruggiero facendogli di-menticare la fidanzata Bradamante. Quest’ultima però non cede di fronte anessun ostacolo: libererà Ruggiero da tutti gli incantesimi creati dal magoAtlante e potrà sposarlo. Dal loro matrimonio avrà inizio la dinastia degliEstensi, i signori di Ferrara presso i quali Ariosto presta servizio.

Il contrastato amorefra Bradamante e Ruggiero

Astolfo recupera il senno di Orlando

La pazzia di Orlando

L’amore fra Angelicae Medoro

La fuga di Angelica

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La fuga di AngelicaDurante la battaglia di Parigi, Angelica, sfuggendo alla sorveglianza deiFranchi, si allontana a cavallo dalla tenda per fare ritorno nel lontano Ca-tai, la sua patria. Nel bosco che sta attraversando incontra un cavaliere.

11 Indosso la corazza, l’elmo in testa,la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;e più leggier correa per la foresta,ch’al pallio rosso1 il villan mezzo ignudo:timida pastorella mai sì prestanon volse piede inanzi a serpe crudo,come Angelica tosto il freno torse,che del guerrier, ch’a piè venia, s’accorse.

12 Era costui2 quel paladin gagliardo,figliuol d’Amon, signor di Montalbano,a cui pur dianzi il suo destrier Baiardoper strano caso uscito era di mano:come alla donna egli drizzò lo sguardo,riconobbe, quantunque di lontano,l’angelico sembiante e quel bel voltoch’all’amorose reti il tenea involto3.

13 La donna il palafreno4 a dietro volta,e per la selva a tutta briglia il caccia;né per la rara più che per la folta,la più sicura e miglior via procaccia:ma pallida, tremando, e di sé tolta,lascia cura al destrier che la via faccia;

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1. pallio rosso: gara di cor-sa alla fine della quale vie-ne consegnato al vincitoreun drappo rosso.2. costui: è Rinaldo, chesta correndo a piedi allaricerca di Baiardo, il caval-lo fornito di intelligenzaumana, che è fuggito perfar ritrovare Angelica alsuo padrone. Ma alla vistadi Rinaldo la bella Angeli-ca cade in preda al terrore.La fanciulla, infatti, è an-cora sotto l’effetto dell’ac-qua bevuta alla fonte del-l’odio e prova quindi versoil cavaliere una profondarepulsione.3. quel … involto: da quan-do ha bevuto alla fonte del-l’amore, Rinaldo è innamo-rato di Angelica.4. palafreno: cavallo nobi-le, da viaggio o da parata;il termine fa in genere ri-ferimento al mondo me-dievale.

(11) Aveva indosso la corazza, l’elmo in testa, la spada sul fianco e teneva in mano loscudo; eppure correva per la foresta più agile e leggero di un contadino mezzo nudo[che partecipi] alla gara del palio rosso. E mai una timida pastorella fuggì più veloce-mente alla vista di un serpente velenoso di quanto fece Angelica, [che] girò rapidamen-te le briglie non appena si accorse del guerriero che avanzava a piedi.(12) Costui era quel forte paladino, figlio di Amone e signore di Montalbano a cui, po-co prima, per uno strano caso, era fuggito di mano il cavallo Baiardo. Non appena giròlo sguardo verso la donna, subito riconobbe in lei, per quanto di lontano, l’aspetto an-gelico e quel bel volto che lo teneva avvolto nelle reti d’amore.(13) La donna, voltato indietro il cavallo, lo spinse a briglie sciolte nella foresta; sen-za cercare la via migliore e più sicura [inoltrandosi] sia nel bosco più rado che nelle sueparti più fitte; ma, pallida, tutta tremante e fuori di sé, lascia al cavallo il compito di

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di su di giù, ne l’alta selva fieratanto girò, che venne a una riviera.

14 Su la riviera Ferraù5 trovossedi sudor pieno, e tutto polveroso;da la battaglia dianzi lo rimosseun gran disio di bere e di riposo:e poi, mal grado suo, quivi fermosse,perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,l’elmo nel fiume si lasciò cadere,né l’avea potuto anco riavere.

15 Quanto potea più forte, ne venivagridando la donzella ispaventata:a quella voce salta in su la rivail Saracino, e nel viso la guata;e la conosce subito ch’arriva,ben che di timor pallida e turbata,e sien più dì che non n’udì novella,che senza dubbio ell’è Angelica bella.

16 E perché era cortese6, e n’avea forsenon men dei dui cugini7 il petto caldo,l’aiuto che potea tutto le porse,pur come avesse l’elmo, ardito e baldo:trasse la spada, e minacciando corsedove poco di lui temea Rinaldo;

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5. Ferraù: è un cavaliere sa-raceno innamorato di An -gelica, che gli è sfuggitanonostante egli abbia avu-to la meglio sul fratello del-la fanciulla, Argalia, il qua-le l’aveva promessa in pre-mio a chi lo avesse battutoin duello.6. E … cortese: la cortesiaè il primo impulso di Fer-raù, a cui il codice cavalle-resco impone di difendereuna donna minacciata o indifficoltà.7. dui cugini: sono Rinaldoe Orlando.

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scegliere la strada; e girò e rigirò, in lungo e in largo, la spaventosa e profonda forestafinché, a un certo punto, giunse a un torrente.(14) Presso la riva si trovava Ferraù, tutto sudato e coperto di polvere; un grande desi-derio di bere e di riposarsi lo aveva allontanato, poco prima, dalla battaglia: e poi, suomalgrado, era stato costretto a trattenersi ancora lì perché, desideroso di bere e per lagran fretta, aveva fatto cadere l’elmo nel fiume e non era ancora riuscito a riprenderlo.(15) E mentre la fanciulla, spaventata, si stava avvicinando al fiume gridando quantopiù forte poteva, il Saraceno [Ferraù], sentendo quella voce, fa un balzo sulla riva e laguarda in viso; non appena arriva, [benché] pallida e turbata per la paura, e [benché]siano più giorni che non ne ha notizie, riconosce subito in lei, senza alcun dubbio, labella Angelica.(16) E siccome era dotato di cortesia e, forse, ne era innamorato non meno dei duecugini, le offrì, audace e fiero, tutto l’aiuto che poteva [darle], proprio come seavesse ancora in testa il suo elmo: sguainò la spada e corse minaccioso contro Ri-naldo che, da parte sua, non aveva alcun timore di lui; del resto già più volte si era-

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più volte s’eran già non pur veduti,m’ al paragon de l’arme conosciuti.

17 Cominciar quivi una crudel battaglia,come a piè si trovar coi brandi ignudi;non che le piastre e la minuta maglia,ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi8:or mentre l’un con l’altro si travaglia, bisogna al palafren che ’l passo studi;che quanto può menar de le calcagna,colei lo caccia al bosco e alla campagna.

Mentre i due cavalieri combattono, Angelica fugge lasciandoli interdetti.Questi allora decidono di inseguirla, ma dal momento che Rinaldo è apiedi, salgono entrambi sullo stesso cavallo. Giunti a un bivio decidonodi dividersi e Ferraù, dopo aver cavalcato a lungo, si ritrova sulla riva delfiume in cui gli era caduto l’elmo. Decide allora di recuperarlo usando unramo d’albero, ma ecco che…

vede di mezzo il fiume un cavallieroinsino al petto uscir d’aspetto fiero.

26 Era fuor che la testa tutto armato,et avea un elmo ne la destra mano;avea il medesimo elmo che cercatoda Ferraù fu lungamente invano.A Ferraù parlò come adirato, e disse: «Ah mancator di fé, marano,perché di lasciar l’elmo anche t’aggrevi,che render già gran tempo mi dovevi?

ariosto e l’orlando furioso 173

8. ai colpi … incudi: i col-pi dei due cavalieri eranotalmente forti che nemme-no un materiale resistentecome quello delle incudiniavrebbe potuto reggerli.

no non solo visti, ma conosciuti nel confronto con le armi.(17) E qui, a piedi e con le spade sguainate, dettero inizio ad una feroce battaglia; ailoro colpi non solo non reggerebbero le corazze e le maglie dell’armatura, ma neppurele incudini: ora, mentre l’uno lotta con l’altro, bisogna che il cavallo [di Angelica] ac-celeri il passo; ed ella lo sprona quanto più può con i talloni, dirigendolo verso il boscoe la campagna.

vede emergere dal centro del fiume fino al petto, un cavaliere dall’aspetto fiero.(26) Era tutto armato tranne che la testa e aveva un elmo nella mano destra; era lo stes-so elmo che Ferraù aveva cercato lungamente e senza successo. A Ferraù parlò comefosse in collera e disse: «Ah traditore di promesse, vigliacco, perché provi contrarietà alasciare il tuo elmo che già da tempo mi dovevi rendere?

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27 Ricordati, Pagan, quando uccidestid’Angelica il fratel9 (che son quell’io),Dietro all’altr’arme tu mi promettestigittar tra pochi dì l’elmo nel rio:or se fortuna, quel che non volesti far tu, pone ad effetto il voler mio,non ti turbare; e se turbar ti dei,tùrbati che di fé mancato sei.

28 Me se desir pur hai d’un elmo fino,trovane un altro, et abbil con più onore;un tal ne porta Orlando Paladino,un tal Rinaldo, e forse anco migliore:l’un fu d’Almonte, e l’altro di Mambrino10:acquista un di quei duo col tuo valore;e questo c’hai già di lasciarmi detto,farai ben a lasciarmi con affetto».

Da ora in poi Ferraù sarà sempre alla ricerca di un nuovo elmo. IntantoAngelica incontra un altro cavaliere, il saraceno Sacripante, a cui chiedeprotezione per poter raggiungere più facilmente la sua patria in Oriente.Sacripante, anche lui innamorato della fanciulla, è felice di proteggerlae comincia subito a corteggiarla. Ma…

60 Ecco pel bosco un cavallier venireil cui sembiante è d’uom gagliardo e fiero;candido come nieve è il suo vestire,un bianco pennoncello ha per cimiero.Re Sacripante, che non può patireche quei con l’importuno suo sentiero

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9. d’Angelica il fratel: ilcavaliere misterioso è Ar-galia.10. Almonte … Mambrino:Almonte è un principe afri-cano ucciso da Orlando chesi impadronì del suo elmo edella sua spada (Durinda-na); Mambrino è invece uncavaliere ucciso da Rinal-do, al quale aveva rapito lapromessa sposa.

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(27) Ricordati, o Pagano, di quando uccidesti il fratello di Angelica (che sono io): tu mipromettesti di gettare dopo pochi giorni nel fiume, insieme alle altre armi, [anche] iltuo elmo: ora se la fortuna esaudisce il mio volere facendo quello che non hai voluto fa-re tu, non ti agitare; e se proprio devi agitarti, fallo per il fatto di non aver mantenutola parola [data].(28) E se hai desiderio di un bell’elmo, trovatene un altro e portalo con più onore; unosimile, e forse anche migliore, lo hanno il paladino Orlando e Rinaldo; quello di Orlan-do appartenne ad Almonte, l’altro a Mambrino: conquista uno dei due con il tuo corag-gio; e farai bene invece a lasciare senza indugio a me quest’elmo, che avevi già promes-so di lasciarmi».

(60) Ecco venire per il bosco un cavaliere dall’aspetto forte e vigoroso: il suo abito èbianco come la neve e ha un pennacchio bianco come ornamento dell’elmo.Sacripante, il quale non può sopportare che con la sua apparizione inopportuna gli abbia

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gli abbia interrotto il gran piacere ch’avea,con vista il guarda disdegnosa e rea.

61 Come è più presso, lo sfida a battaglia, che crede ben fargli votar l’arcione;quel che di lui non stimo già che vagliaun grano meno, e ne fa paragone,l’orgogliose minacce a mezzo taglia,sprona a un tempo, e la lancia in resta pone:Sacripante ritorna con tempesta,e corronsi a ferir testa per testa.

da L. Ariosto, Orlando furioso, canto I, ottave 11-17, 25-28, 60-61, Einaudi

ariosto e l’orlando furioso 175

interrotto il grande piacere [di stare da solo con Angelica], lo guarda con sdegno e ira.(61) Appena è più vicino lo sfida a duello perché crede di disarcionarlo facilmente; co-lui che reputo non valga un granello meno di lui, e lo dimostra, interrompe le orgoglio-se minacce e nello stesso tempo sprona [il cavallo] e si predispone al combattimento.Sacripante corre con slancio impetuoso e vanno a combattere testa contro testa.

COMMENTOAl centro dell’episodio chehai appena letto è la figuradi Angelica, la bellissimaprincipessa del Catai del cuifascino sono prigionieri i mi-gliori cavalieri, dal paladinocristiano Orlando al saracenoMedoro. Angelica è superbanella sua bellezza, capriccio-sa, sdegnosa verso coloroche sono innamorati di lei,astuta, volubile, un misto diingenuità e civetteria. Ma èsoprattutto un personaggiosimbolico: rappresenta infat-ti la giovinezza, la bellezza,il sogno di una felicità intat-ta, un miraggio luminoso cheaffascina e delude, che appa-re e scompare davanti agliocchi dei cavalieri, sempredesiderata e mai raggiunta.

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1.Ricostruisci l’episodio che hai appena letto inserendo neiquadratini un numero progressivo.a. Ferraù si scaglia contro Rinaldo in difesa di Angelica �b. Il fantasma di Argalia, il fratello di Angelica, intima a Ferraù di conquistarsi un altro elmo �

c. Angelica vede arrivare un cavaliere armato di tutto punto e fugge spaventata �

d. Rinaldo e Ferraù combattono in duello, Angelica fugge e i due cavalieri la inseguono �

e. Angelica incontra il saraceno Sacripante, che sfida a duello il cavaliere misterioso �

f. Ferraù giunge sulle rive del fiume in cui gli è caduto l’elmo �

2. Indica a quali personaggi fanno riferimento le seguenti in-formazioni. a. è il paladino che, armato di tutto punto, è alla ricercadel proprio cavallo Baiardo ................................

b. è il cavaliere saraceno, innamorato di Angelica, che haperso l’elmo nel fiume ................................

c. è il fratello di Angelica, che è stato ucciso in duello daFerraù ................................

d. è il cavaliere saraceno, innamorato di Angelica, a cui lafanciulla chiede aiuto per far ritorno in Oriente .....................

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L’ippogrifo rapisce RuggieroDurante il duello ha la meglio il cavaliere sconosciuto, che disarcionaSacripante e uccide il suo cavallo. Poi si allontana al galoppo, lascian-do il suo avversario sbigottito soprattutto per la brutta figura fatta difronte ad Angelica. E tanto maggiore è l’umiliazione di Sacripantequando apprende da un messaggero – che andava alla ricerca del ca-valiere dalle candide vesti – di essere stato disarcionato da una don-na. La donna è Bradamante, la sorella di Rinaldo che è alla ricerca delsuo amato Ruggiero, tenuto lontano dalla guerra dal mago Atlante. E quando Bradamante – sfruttando un anello magico, di cui si è impa-dronita e che impedisce ogni incantesimo – riesce a liberare Ruggiero dalcastello incantato dove l’ha relegato Atlante, quest’ultimo fa rapire Rug-giero da un cavallo alato, l’ippogrifo.

18 Non è finto il destrier, ma naturalech’una giumenta generò d’un grifo1:simile al padre avea la piuma e l’ale,li piedi anterïori, il capo e il grifo;in tutte l’altre membra parea qualeera la madre, e chiamasi ippogrifo;che nei monti Rifei2 vengon, ma rari,molto di là dagli aghiacciati mari.

[…]

46 … Quel3 corre alquanto, et indi i piedi ponta,e sale inverso il ciel, via più leggieroche ’l girifalco, a cui lieva il cappelloil mastro a tempo4, e fa veder l’augello.

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(18) Il cavallo non è frutto di magia, ma [è] unanimale vero, nato da una cavalla e da un gri-fo: simile al padre aveva le piume, le ali, lezampe anteriori, la testa e il muso; per ilresto era del tutto uguale alla madre, e sichiama ippogrifo, animali che nascono,sebbene raramente, sui monti Rifei, al di làdei mari ghiacciati.

[…]

(46) … Quello corre ancora per un po’ e poipunta i piedi e sale verso il cielo più leggero delfalcone da caccia a cui il padrone leva il cappuccio atempo [opportuno] e gli mostra l’uccello [da cat turare].

1. grifo: animale favoloso,per metà aquila e per metàleone.2. monti Rifei: si tratta dimontagne favolose, secon-do alcuni gli Urali.3. Quel: il cavallo alatomontato da Ruggiero.4. a tempo: quando la pre-da che il falco deve cattu-rare è in vista.

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47 La bella donna5, che sì in alto vedee con tanto periglio il suo Ruggiero,resta attonita in modo, che non riedeper lungo spazio al sentimento vero.Ciò che già inteso avea di Ganimede6,ch’al ciel fu assunto dal paterno impero,dubita assai che non accada a quello,non men gentil di Ganimede e bello.

48 Con gli occhi fissi al ciel, lo segue quantobasta il veder; ma poi che si dileguasì, che la vista non più correr tanto,lascia che sempre l’animo lo segua.Tuttavia con sospir, gemito e piantonon ha, né vuol aver pace né triegua.Poi che Ruggier di vista se le tolse,al buon destrier Frontin7 gli occhi rivolse:

49 e si deliberò di non lasciarlo,che fosse in preda a chi venisse prima;ma di condurlo seco e di poi darloal suo signor, ch’anco veder pur stima.Poggia l’augel, né può Ruggier frenarlo:di sotto rimaner vede ogni cimaet abbassarsi in guisa, che non scorge dove è piano il terren né dove sorge.

da canto IV, ottave 18, 46-49

5. La bella donna: è Brada-mante.6. Ganimede: famoso perla sua bellezza fu rapito daZeus che lo fece trasporta-re da un’aquila sull’Olim-po, dove divenne coppieredegli dèi.7. Frontin: Frontino è ilcavallo di Ruggiero.

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1. Cos’è l’ippogrifo? Utilizzando le in-formazioni presenti nel testo, pro-va a darne una breve descrizione.

2. Il rapimento di Ruggiero è raccon-tato come fosse un film, le cui sce-ne hanno prospettive e “altezze”diverse. Individua i versi corrispon-denti e trascrivili. a. lo sguardo va verso l’altob. lo sguardo rimane in altoc. lo sguardo va verso il basso

3.Quando Ruggiero scompare dalla vi-sta di Bradamante, la donna prendeuna decisione. Quale?

(47) La bella donna che vede il suo Ruggiero così in alto e incosì grande pericolo, resta talmente sconvolta che per moltotempo non riesce a riprendersi. E ciò che aveva sentito dire diGanimede, che fu accolto in cielo nell’Olimpo da Zeus, pensache accada anche a quel [Ruggiero] che non è meno gentile ebello di Ganimede.(48) Con gli occhi fissi al cielo lo segue quanto più possibile;ma quando si allontana così [tanto] che lo sguardo non può piùseguirlo, [Bradamante] lo segue con il cuore. In continuazionecon sospiri, gemiti e pianti non vuol smettere di lamentarsi e disoffrire. Quan do Ruggiero si sottrasse alla sua vista, rivolse losguardo al buon cavallo Frontino: (49) e decise di non lasciar-lo perché non se ne impadronisse il primo venuto, ma di con-durlo con sé e di darlo poi al suo signore che ancora spera divedere. Si alza l’ippogrifo, né Ruggiero è in grado di frenarlo:ogni cima di montagna resta sotto, sempre più bassa, tantoche non vede più né dove il terreno è pianeggiante, né dove siinnalza [con i monti].

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La pazzia di OrlandoDopo una serie di avventure, Angelica incontra un giovane soldato sa-raceno ferito, Medoro, di cui ben presto si innamora: lo cura, lo guari-sce e torna con lui in Oriente. Intanto Orlando, che è alla ricerca di An-gelica, arriva per caso nel bosco che ha fatto da sfondo all’idillio fra idue giovani e vede incisi nella corteccia degli alberi i nomi della don-na amata e di Medoro. Viene poi a conoscenza della loro storia d’amo-re dal pastore presso il quale i due hanno vissuto e, disperato, fuggenel bosco.

129 Pel bosco errò tutta la notte il Conte;e allo spuntar della diurna fiammalo tornò il suo destin sopra la fontedove Medoro insculse l’epigramma1.Veder l’ingiuria sua scritta nel montel’accese sì, ch’in lui non restò dramma2che non fosse odio, rabbia, ira e furore;né più indugiò, che trasse il brando fuore.

130 Tagliò lo scritto e ’l sasso, e sino al cieloa volo alzar fe’ le minute schegge.Infelice quell’antro, et ogni steloin cui Medoro e Angelica si legge!Così restar quel dì, ch’ombra né gieloa pastor mai non daran più, né a gregge:e quella fonte, già sì chiara e pura,da cotanta ira fu poco sicura;

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(129) Il conte [Orlando] vagò per tutta la notte nel bosco, e allo spuntar del sole il suodestino lo riportò presso quella fonte dove Medoro aveva scolpito la sua scritta amoro-sa: vedere la sua offesa scritta così su quella roccia lo accecò a tal punto d’ira che in luinon restò più niente che non fosse [ormai] odio, rabbia e furore; e non indugiò oltre esguainò subito la spada.(130) Con la spada tagliò la scritta e il sasso e sollevò fino al cielo le piccolissimeschegge [di pietra]; e così, [assai] sfortunati furono quella grotta e ogni tronco sucui si leggeva [il nome di] Angelica e di Medoro e in quello stato rimasero [a parti-re da] quel giorno e, certo, non potranno più offrire né ombra né fresco a nessun pa-store o gregge; e quella fonte, prima così chiara e pura, non riuscì a salvarsi da tan-ta furia.

1. l’epigramma: originaria-mente l’epigramma è unabreve incisione su pietra, ein questo senso lo usa Ario-sto; in seguito il termine èpassato a significare unacomposizione breve e spes-so spiritosa.2. dramma: (o dracma) vec-chia unità monetaria dellaGrecia. In questo caso si-gnifica “niente”.

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131 che rami, e ceppi, e tronchi, e sassi e zollenon cessò di gittar ne le bell’onde,fin che da sommo ad imo sì turbolle,che non furo mai più chiare né monde.E stanco al fin, e al fin di sudor molle,poi che la lena vinta non rispondeallo sdegno, al grave odio, all’ardente ira,cade sul prato, e verso il ciel sospira.

132 Afflitto e stanco al fin cade ne l’erba,e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.Senza cibo e dormir così si serba,che ’l sole esce tre volte e torna sotto.Di crescer non cessò la pena acerba,che fuor del senno al fin l’ebbe condotto3.Il quarto dì, da gran furor commosso,e maglie e piastre si stracciò di dosso.

3. che … condotto: finchénon l’ebbe fatto completa-mente impazzire.

(131) [Orlando] non smetteva, infatti, di gettare in quelle belle acque rami, ceppi,tronchi, sassi e zolle finché non le intorbidò tutte dalla superficie fino al fondo, tantoche non furono mai più né limpide, né pure: alla fine, stanco e fradicio di sudore, quan-do il vigore, ormai spento, non risponde [più] all’impeto della sua collera, al suo odio ealla sua rabbia furiosa, cade sul prato e sospira verso il cielo.(132) Alla fine [ormai] afflitto e sfinito, cade sull’erba e fissa gli occhi al cielo, ma nondice una parola; se ne sta lì così, senza mangiare né dormire, per tre giorni e tre notti.La sua tremenda pena non cessò mai di crescere finché non l’ebbe condotto del tuttofuori di senno; il quarto giorno, sconvolto da un grande furore, si stracciò di dosso lemaglie e le piastre [metalliche dell’armatura].

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133 Qui riman l’elmo, e là riman lo scudo,lontan gli arnesi, e più lontan l’usbergo:l’arme sue tutte, in somma vi concludo,avean pel bosco differente albergo4.E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudol’ispido ventre e tutto ’l petto e ’l tergo;e cominciò la gran follia, sì orrenda,che de la più non sarà mai ch’intenda.

134 In tanta rabbia, in tanto furor venne,che rimase offuscato in ogni senso.Di tor la spada in man non gli sovenne;che fatte avria mirabil cose, penso.Ma né quella, né scure, né bipenne5era bisogno al suo vigore immenso.Quivi fé ben de le sue prove eccelse,ch’un alto pino al primo crollo svelse:

135 e svelse dopo il primo altri parecchi,come fosser finocchi, ebuli, o aneti6;e fé il simil di querce e d’olmi vecchi,di faggi e d’orni, e d’illici, e d’abeti:quel ch’un uccellator che s’apparecchiil campo mondo fa per por le reti,dei giunchi e de le stoppie e de l’urtiche,facea de cerri e d’altre piante antiche.

da canto XXIII, ottave 129-135

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(133) L’elmo rimane qui, là lo scudo, laggiù le armi, la corazza ancora più lontano; insom-ma, per farla breve, tutte le sue armi erano in posti differenti per il bosco: poi si strappòcon forza le vesti e si denudò il ventre peloso, il petto e la schiena; e così ebbe inizio lagran follia, così spaventosa che nessuno sarà mai testimone di una [follia] maggiore.(134) La sua rabbia e il suo furore erano così incontenibili che annientarono completa-mente i suoi sensi; non gli venne in mente di impugnare la spada, con cui senz’altro,credo, avrebbe compiuto delle imprese incredibili: ma alla sua forza immensa non eranecessaria né quella, né la scure, né l’ascia; e così compì, in questo luogo, prove ecce-zionali, sradicando con la prima scrollata un alto pino.(135) Dopo questo ne sradicò molti altri, come se fossero [deboli pianticelle di] finocchio,ebuli o aneti; poi fece la stessa cosa con querce e vecchi olmi, faggi e frassini, lecci e abe-ti: quello che fa un cacciatore di uccelli che, per sistemare le reti, ripulisce il campo dagiunchi, paglia e ortiche, [Orlando] lo faceva con querce e altre piante antiche.

4. avean … albergo: ave-vano sedi diverse nel bo-sco, cioè erano sparpaglia-te qua e là nel bosco.5. bipenne: scure a doppiotaglio.6. ebuli, o aneti: l’ebulo èuna pianta simile al sam-buco, l’aneto è simile al fi-nocchio.

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COMMENTOLa pazzia di Orlando è uno degli episodi centrali dell’intreccio narra-tivo del poema ariostesco, tanto da diventare titolo dell’opera. Maquesta pazzia rappresenta solo il culmine di un processo iniziato datempo, da quando cioè Orlando ha abbandonato il campo di batta-glia per cercare Angelica, venendo meno così al proprio ruolo di di-fensore della fede e del suo re Carlo. La ricerca di Angelica, e la successiva follia della quale l’eroe cade pre-da, hanno una funzione ben precisa: ridimensionare la figura di Orlan-do, rendendolo più umano in quanto simile agli altri uomini. È questol’esempio evidente di quell’armonia, di quell’equilibrio che caratterizzatutta l’opera del poeta ferrarese: un eroe forte e invincibile viene bat-tuto dall’amore, così come una fanciulla bellissima a cui aspirano tuttii più forti e nobili cavalieri si va a innamorare di un povero e semplicesoldato. E l’armonia, che crea l’equilibrio fra tutti i personaggi, si arric-chisce del sorriso ironico del poeta, il quale inventerà lo scenario del-la Luna su cui, chiuso in un’ampolla, è andato a finire il senno di Or-lando. Basterà farglielo annusare e la follia se ne andrà. Con il ritornodella ragione si concluderà anche la vicenda dell’Orlando furioso.

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1.Qual è il motivo scatenante della pazzia di Orlando? Cosa vede nel bosco?

2. La pazzia di Orlando ha come sfondo una vasta e placida campagna, che pare indifferente aldramma dell’uomo.Qual è la prima manifestazione della folle ira di Orlando?

3.Qual è l’aspetto della natura prima e dopo lo scatenarsi della furia di Orlando?prima dopo

a. le acque ..................................................... .....................................................

b. il bosco ..................................................... .....................................................

4. In che modo Orlando trascorre i giorni successivi all’esplosione della sua follia?a. piange e si dispera senza sosta, parlando con le piante e con le acque dei fiumib. cerca la sua amata disperatamente, chiedendo consiglio e aiuto al mago Atlantec. cade sull’erba, guarda fisso il cielo e giace senza mangiare né dormire per tre giorni e tre notti

5.Ricostruisci le varie fasi della pazzia di Orlando scrivendo a cosa si riferiscono i seguenti verbitratti dal testo, e mettendoli poi nella giusta successione (l’esercizio è avviato).a. errò tutta la notte per il bosco �b. cadde ............................................................................................................................................................ �c. si stracciò ............................................................................................................................................................ �d. vide ............................................................................................................................................................ �e. tagliò ............................................................................................................................................................ �f. gettò ............................................................................................................................................................ �g. sradicò ............................................................................................................................................................ �

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Tasso e la Gerusalemme liberata

Sia la scelta dell’argomento (i fatti della prima crociata bandita da pa-pa Urbano II nel 1095) che lo sfondo religioso sul quale si colloca latrama della Gerusalemme liberata, dimostrano che Torquato Tasso è ingrado di e sprimere a pieno lo spirito della sua epoca. Siamo infatti an-cora nel Cinquecento, ma il Rinascimento ha ormai ceduto il passo al-l’età della Controriforma e anche l’arte non può non tenerne conto.

L’immaginazione creativa dell’artista deve ora essere controllata dallareligiosità; le narrazioni devono tendere all’educazione morale e reli-giosa del lettore; sentimenti e passioni umane devono risultare menoimportanti del dovere morale e degli insegnamenti divini. In questanuova prospettiva, l’elemento fantastico fine a se stesso – che ha ca-ratterizzato la letteratura cavalleresca e l’Orlando furioso – non è dun-que più gradito: magie e incantesimi, che pure sono presenti nel poe-ma del Tasso, trovano una spiegazione accettabile per il buon cristia-no solo in quanto non sono altro che i mezzi usati dal diavolo per in-gannare l’uomo.

Con la Gerusalemme liberata, poema in ottave diviso in venti canti,Tasso cerca dunque di conciliare la libera creazione della fantasia conil fine morale e religioso che l’arte – e con essa l’eroe che ne è prota-gonista – deve avere secondo i valori imposti dalla Chiesa cattolicadella Controriforma. Le vicende narrate hanno perciò esiti talvolta tra-gici o sono vissute drammaticamente dai personaggi. Ad esempio,l’amore fra Clorinda saracena e Tancredi cristiano non solo non si puòrealizzare, ma nemmeno manifestarsi e su tutti i protagonisti incom-be così un cupo destino, di fronte al quale ogni sforzo umano risultainutile. La sofferenza deve però sollecitare l’uomo a guardare oltre lavita terrena, a correggersi e migliorarsi in vista della futura vita ultra-terrena: questo è l’insegnamento morale del poeta.

La grandezza dell’opera sta anche nella piacevolezza di un racconto che,pur avendo le sue radici nella storia, offre all’autore la possibilità di ar-ricchire la vicenda con prodigi ed elementi soprannaturali e fantastici:foreste incantate, apparizioni di demoni e di angeli, maghe bellissime.

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L’argomento generaleLa trama dell’opera, che narra l’assedio di Gerusalemme durante la prima cro-ciata, è complessa e ricca di personaggi ed episodi, e dunque difficilmenteriassumibile.

Guidati da Goffredo di Buglione, i crociati giungono in vista di Gerusalemme,la Città Santa difesa dal re Aladino. Alla sua corte si trova Erminia, principes-sa di Antiochia, che, segretamente innamorata del principe cristiano Tancre-di, indossa l’armatura della guerriera saracena Clorinda ed esce da Gerusa-lemme per raggiungerlo. Inseguita dai cristiani, la donna è però costretta arifugiarsi in campagna fra i pastori. Tancredi da parte sua ama Clorinda, unaguerriera musulmana di grande bellezza e coraggio, della quale si è innamo-rato quando l’ha vista bere a una fonte.La terza donna del poema, Armida – inviata al campo cristiano dalle potenzedell’Inferno – riesce col suo fascino ad allontanare dalla battaglia i guerrieripiù forti. Privo di essi, l’esercito crociato ha la peggio; ma le potenze celestiintervengono in favore dei cristiani, che attaccano così Gerusalemme.È in questa occasione che Clorinda, indossata un’armatura scura, esce di not-te da Gerusalemme per incendiare le torri dei nemici. Assalita dai cristiani, ècostretta a dirigersi in fretta verso la porta della città, che però viene chiusaprima che la guerriera possa entrare all’interno delle mura. Inseguita da Tan-credi, che ne ignora l’identità, la donna combatte fieramente con lui e, feritamortalmente, chiede al suo avversario di essere battezzata. Togliendole l’el-mo, Tancredi la riconosce e, disperato, la battezza assistendola negli ultimimomenti di vita.La battaglia si conclude a favore dei cristiani, che entrano a Gerusalemme li-berando il Santo Sepolcro.

La morte di Clorinda

Armida al campocristiano

Erminia ama Tancredi che a suavolta ama Clorinda

torquato tasso

Nato a Sorrento nel 1544, Torquato Tasso dimostra fin da giovane un grande amo-re per la lirica e a soli quindici anni compone un primo abbozzo della Gerusalemmeliberata, capolavoro che vedrà la luce nel 1580. Nel frattempo è divenuto poeta dicorte presso gli Estensi, al servizio del duca Alfonso II. Il timore di aver compostoopere non rispondenti alle direttive della Controriforma turba però profondamenteil suo equilibrio mentale, tanto che viene rinchiuso in manicomio. Gli ultimi noveanni li trascorre in giro per l’Italia, fermandosi poi a Roma, dove godrà della prote-zione di papa Clemente VIII fino alla morte, avvenuta nel 1595. Fra le sue opere siricordano anche le Rime, il romanzo cavalleresco Rinaldo, l’Aminta, una favola pa-storale in versi adatta alla rappresentazione teatrale, e il rifacimento in toni assaipiù cupi e severi del suo poema, con il titolo di Gerusalemme conquistata.

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Il proemioNel proemio, come del resto è consuetudine nei poemi cavallereschi, l’au-tore presenta l’argomento della propria opera: la vicenda di Goffredo di Bu-glione alla conquista del Santo Sepolcro, ostacolato in questa sua impresadalle potenze infernali, ma aiutato alla fine dalla Provvidenza di Dio.

Canto l’arme pietose1 e ‘l capitano2che ’l gran sepolcro liberò di Cristo.Molto egli oprò co ’l senno e con la mano,molto soffrì nel glorioso acquisto;e in van l’Inferno vi s’oppose, e in vanos’armò d’Asia e di Libia il popol misto.Il ciel gli diè favore, e sotto a i santisegni ridusse i suoi compagni erranti.

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1. l’arme pietose: le im-prese di guerra (arme) alservizio della fede.2. ‘l capitano: è Goffredo diBuglione, che nel 1099 gui-da i crociati in Terra Santa.

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Canto le imprese del capitano che li-berò il sepolcro di Cristo. Molto eglisi adoperò con l’ingegno e con le ar-mi, e molto dovette patire [per con-durre a termine] la gloriosa impresa;e invano si opposero le potenze in-fernali e invano si armarono glieserciti uniti di Asia e di Libia. Ma ilcielo lo protesse e raccolse sotto leinsegne cristiane i suoi compagnifuorviati dalle forze malefiche.

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1. Cosa canta il poeta?

2. Chi sarà il protagonista delpoema?

3. Chi tenterà di ostacolarlo inmodo che non porti a termi-ne la sua impresa?

4. Chi invece lo aiuterà nellesue imprese?

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1. Arpie … Gerioni: sonotutti mostri della mitolo-gia clas sica. Più precisa-mente, le Arpie, uccellidalla testa di donna; i Cen-tauri, creature metà uomoe metà cavallo; le Sfingicon volto di donna, petto,zampe e coda di leone; leGorgoni, con serpenti alposto dei capelli; le Scille,mostri marini che divoranotutto ciò che è alla loroportata; le Idre e i Pitoni,con l’aspetto di serpenti edraghi; le Chimere, metàcapra e metà leone; i Poli-femi e i Gerioni, i primicon un occhio solo in mez-zo alla fronte, i secondicon tre teste.2. Pluton: re degli Inferinel mito classico, è qui as-similato a Lucifero.3. Atlante: catena mon-tuosa che si erge nella par-te meridionale dell’attualeMarocco.

(5) Qui potresti vedere mille ripugnanti Ar-pie e mille Centauri e Sfingi e Gorgoni dalvolto pallido e [sentiresti] latrare nu-merose Scille affamate e fischiare leIdre e sibilare i Pitoni e le Chime-re vomitare fiamme nere e [ve-dresti] Polifemi terribili, e Ge-rioni e diverse forme mescola-te insieme a nuovi mostri deiquali non si udì mai parlare oche non furono mai veduti.(6) Parte di essi siede a sinistrae parte a destra, davanti al lorocrudele signore. Plutone sta nelmezzo e tiene con la destra loscettro ruvido e pesante; nessunoscoglio nel mare, nessuna monta-gna, neppure Gibilterra o il grandeAtlante si innalza tanto da non sembra-re di fronte a lui un piccolo colle, tantosolleva la grande fronte e le grandi corna.

Il concilio dei demoniDopo la presentazione dell’argomento del poema, la scena si apre su unconcilio di demoni riuniti nell’Inferno per decidere, sotto la guida di Plu-tone, quali mezzi escogitare per nuocere ai cristiani.

5 Qui mille immonde Arpie vedresti e milleCentauri e Sfingi e pallide Gorgoni,molte e molte latrar voraci Scillee fischiar Idre e sibilar Pitoni,e vomitar Chimere atre favillee Polifemi orrendi e Gerioni1;e i nuovi mostri, e non più intesi o visti,diversi aspetti in un confusi e misti.

6 D’essi parte a sinistra e parte a destraa seder vanno al crudo re davante.Siede Pluton2 nel mezzo, e con la destrasostien lo scettro ruvido e pesante;né tanto scoglio in mar, né rupe alpestra, nepur Calpe si inalza o ’l magno Atlante3,ch’anzi lui non paresse un picciol colle,sì la gran fronte e le gran corna estolle.

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7 Orrida maestà nel fero aspettoterrore accresce, e più superbo il rende:rosseggian gli occhi, e di veleno infettocome infausta cometa il guardo splende;gli involve il mento e su l’irsuto pettoispida e folta la gran barba scende;e in guisa di voragine profondas’apre la bocca d’atro sangue immonda.

da T. Tasso, Gerusalemme Liberata canto IV, ottave 5-7, Mondadori

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(7) La sua orrida maestà nel feroce aspetto accresce il terrore e lo rende più superbo: isuoi occhi sono rossi e il suo sguardo iniettato di veleno risplende come una cometache porta sciagure; la grande barba ispida e folta gli avvolge il mento e scende sul pet-to peloso; la bocca si apre come una voragine profonda sporca di sangue nero.

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1.Nel passo che hai letto sono menzionate varie creature mostruose. At-tribuisci a ciascuna di esse le rispettive caratteristiche fisiche.a. Sfingi ...................................................................................................................................

b. Gorgoni ...............................................................................................................................

c. Chimere ...............................................................................................................................

d. Polifemi ..............................................................................................................................

e. Arpie ....................................................................................................................................

f. Centauri ..............................................................................................................................

2. Il concilio delle creature infernali è dominato dalla figura di Plutone.Chi è? Quale funzione svolge?

3.Plutone viene descritto come un personaggio imponente. Utilizzando

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Erminia fra i pastoriLa principessa Erminia viene fatta prigioniera dai crociati dopo la conqui-sta della sua città (Antiochia) e affidata a Tancredi, di cui la donna siinnamora senza essere corrisposta.Liberata, viene poi ospitata dal re di Gerusalemme, Aladino. A ven do pe-rò saputo che Tancredi è stato ferito, indossa le armi di Clorinda – unaguerriera musulmana – e si reca nottetempo nel campo avversario conl’intenzione di curarlo con erbe magiche. Ma, inseguita da due cristianiche l’hanno scambiata per Clorinda, è costretta a fuggire per tutta la not-te e l’intero giorno seguente. Infine, a sera giunge nei pressi del fiumeGiordano; sfinita scende da cavallo, si stende a terra e si addormenta.

5 Non si destò sin che garrir gli augellinon sentì lieti e salutar gli albori1e mormorar il fiume e gli arboscellie con l’onda scherzar l’aura e co i fiori2.Apre i languidi lumi e guarda quellialberghi solitari de’ pastori,e parle voce udir tra l’acqua e i ramich’ai sospiri ed al pianto la richiami.

6 Ma son, mentr’ella piange, i suoi lamentirotti da un chiaro suon ch’a lei ne viene,che sembra, ed è, di pastorali accentimisto e di boscarecce inculte avene3.Risorge, e là4 s’indrizza a passi lenti,e vede un uom canuto a l’ombre amenetesser fiscelle a la sua greggia a cantoed ascoltar di tre fanciulli il canto.

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1. gli albori: le prime lucidell’alba.2. e con … fiori: l’aria (au-ra), quasi fosse una perso-na, muove leggermente leacque del fiume e i fiori.3. avene: l’avena è unostrumento a fiato fatto dicanne, detto anche “zam-pogna”.4. là: verso il luogo da cuiproviene il suono che Er-minia sente.

(5) Non si svegliò finché non sentì il cinguettio degli uccelli che salutavano allegri ilsorgere del giorno, il mormorio del fiume e degli alberi e il vento che sfiorava scherzo-samente l’acqua e i fiori.Apre gli occhi stanchi e rivolge lo sguardo a quelle dimore solitarie di pastori e lesembra di sentire, fra le acque e i rami [degli alberi], una voce che la induce ai sospi-ri e al pianto. (6) Ma, mentre piange, i suoi lamenti sono interrotti da un suono ben distinto che giun-ge ai suoi orecchi, che sembra, ed è realmente, mescolato a voci di pastori e [al suono]di rozze zampogne di boscaioli. Si alza e si dirige lentamente là e vede un vecchio daicapelli bianchi che intreccia cesti di vimini accanto al suo gregge sotto le ombre risto-ratrici [degli alberi] e ascolta il canto di tre fanciulli.

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5. insolite arme: le armiindossate da Clorinda ven-gono definite insolite per-ché del tutto estranee almondo pacifico in cui viveil pastore e la sua famiglia.6. O padre: appellativo ri-spettoso che esprime undesiderio di protezione.7. Figlio: Erminia indossaancora l’armatura e puòdunque essere scambiataper un uomo.8. Marte: nella mitologialatina è il dio della guerra.

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(7) Costoro, di fronte all’improvviso apparire di una persona armata che non erano abi-tuati a vedere, sono sbalorditi, ma Erminia rivolge loro dolci parole e li tranquillizza e[toltasi l’elmo] scopre gli occhi e i bei capelli biondi come l’oro. «Continuate, dice [ladonna], o gente fortunata amata dal cielo, [a fare] il vostro bel lavoro, dal momentoche queste armi non portano guerra alle vostre occupazioni e ai vostri dolci canti».(8) Aggiunge poi: «O padre, ora che tutto il paese intorno brucia nel fuoco della guer-ra, come fate a stare in questa serena dimora senza temere la violenza delle armi?»«Figlio, qui la mia famiglia e le mie pecore sono state sempre al sicuro da ogni offesa edanno; né la rumorosa guerra ha mai turbato questa terra lontana dal resto del mondo.

7 Vedendo quivi comparir repentel’insolite arme5, sbigottir costoro;ma li saluta Erminia e dolcementegli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d’oro:– Seguite, dice, avventurosa gente al Ciel diletta, il bel vostro lavoro,ché non portano già guerra quest’armia l’opre vostre, a i vostri dolci carmi.–

8 Soggiunse poscia: – O padre6, or che d’intornod’alto incendio di guerra arde il paese,come qui state in placido soggiornosenza temer le militari offese?– Figlio7, ei rispose, d’ogni oltraggio e scornola mia famiglia e la mia greggia illesesempre qui fur; né strepito di Marte8ancor turbò questa remota parte.

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(9) O che sia una grazia del cielo, che salva e innalza l’umile vita di un pastore innocen-te, o sia che, come il fulmine non cade in pianura ma sulle cime più alte, così la furia dispade straniere minaccia solo le teste superbe dei grandi re, e la nostra povertà, [rite-nuta] di poco valore e spregevole, non attira i soldati avidi di bottino.(10) [Una povertà] per gli altri di poco valore e spregevole, a me invece così cara chenon trovano posto nei miei desideri nessun tesoro né scettro di re né aspirazioni eambizioni avide di ricchezza. Mi disseto con acqua chiara, che non temo sia avvele-nata e queste mie pecore e il mio orticello assicurano alla mia povera tavola cibi noncomprati.

9 O sia grazia del Ciel, che l’umiltaded’innocente pastor salvi e sublime,o che, sì come il folgore non cadein basso pian ma su l’eccelse cime,così il furor di peregrine spadesol de’ gran re l’altere teste opprime,né gli avidi soldati a preda allettala nostra povertà vile e negletta.

10 Altrui vile e negletta, a me sì carache non bramo tesor né regal verga,né cura o voglia ambiziosa o avaramai nel tranquillo del mio petto alberga.Spengo la sete mia ne l’acqua chiara,che non tem’io che di venen s’asperga,e questa greggia e l’orticel dispensacibi non compri a la mia parca mensa.

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11 Ché poco è il desiderio, e poco è il nostrobisogno onde la vita si conservi.Son figli miei questi ch’addito e mostro,custodi de la mandra, e non ho servi.Così men vivo in solitario chiostro,saltar veggendo i capri snelli e i cervi,ed i pesci guizzar di questo fiumee spiegar gli augelletti al ciel le piume.

Il vecchio pastore riferisce poi la sua esperienza di ministro del re a Menfi,in Egitto, dove ebbe modo di conoscere i vizi delle corti. Rifiutando quell’am-biente, decise di ritirarsi nella pace della campagna. Il racconto commuoveErminia, che comincia a narrare la sua triste avventura. Anche il pastore sicommuove e decide di accogliere la fanciulla nella propria famiglia.

17 […]La fanciulla regal di rozze spoglies’ammanta, e cinge al crin ruvido velo;ma nel moto de gli occhi e de le membranon già di boschi abitatrice sembra.

18 Non copre abito vil la nobil lucee quanto è in lei d’altero e di gentile,e fuor la maestà regia traluceper gli atti ancor de l’esercizio umile.Guida la greggia a i paschi e la riducecon la povera verga al chiuso ovile,e da l’irsute mamme il latte premee ’n giro accolto poi lo stringe insieme.

da canto VII, ottave 5-11, 17-18

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(11) Perché il mio desiderio è limitato e poche le mie esigenze per poter continuare avivere. Questi che ti indico e [ti] mostro sono figli miei, guardiani del gregge e non hoservitori. Così vivo in un luogo appartato, vedendo saltellare caprioli magri e cervi eguizzare i pesci in questo fiume e gli uccelli spiegare le ali verso il cielo.

(17) […] La fanciulla di origini regali si veste di abiti grezzi e si mette sui capelli unvelo grossolano; ma negli sguardi e nel portamento non sembra davvero un’abitatricedei boschi.(18) L’abito rozzo non nasconde la nobile luce [degli occhi] e quanto in lei vi è di si-gnorile e di cortese e la sua dignità regale traspare anche dai lavori umili che svolge.Porta le pecore al pascolo e con un semplice bastone le riconduce nel riparato ovile edalle pelose mammelle spreme il latte, e riunito insieme lo fa rapprendere [per ricavar-ne formaggio].

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COMMENTOTra i temi presenti nel grande poema di Torquato Tasso occupa un po-sto importante quello dell’amore, che diviene argomento degli episodipiù famosi della Gerusalemme liberata. La trama è infatti popolata daintense figure femminili, tra cui quella di Erminia, simbolo (come an-che lo sarà Clorinda) dell’amore allora impossibile tra due persone di fe-de diversa. Bella e sola, ma anche indifesa e dolente, Erminia, figlia dell’emiro di An-tiochia, si innamora dell’eroe cristiano Tancredi e in tutto il poema sem-bra sempre essere sul punto di abbandonarsi al sogno di un amore im-possibile. Oltre al desiderio d’amore, la fanciulla prova però anche unaforte nostalgia di pace: fugge infatti dal fragore delle armi verso un’oasiserena tra i pastori, dove si abbandona ancor più alla dolcezza del fanta-sticare e si rinchiude nella solitudine. E con Erminia anche Tasso imma-gina di fuggire, oltre che dalle sue inquietudini interiori, dagli intrighi,dai conflitti e dalle gelosie della corte estense.

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1. Sfinita dalla lunga e angosciante fuga, Erminia cade in un sonno pro-fondo. Dove si trova quando si addormenta?

2.Quale spettacolo della natura si apre agli occhi della fanciulla dopoche si è svegliata?

3.Quali rumori sente? Quali persone vede arrivare?

4. Come reagiscono l’anziano pastore e i suoi figli quando vedono per laprima volta Erminia? Cosa li rassicura?

5. Come si conclude l’episodio che descrive l’incontro di Erminia con ilpastore? Cosa fa la fanciulla?

6.Quali espressioni utilizza il poeta per descrivere l’aspetto e il caratteredi Erminia? Sottolineale nel testo.

7. Il pastore contrappone all’ideale di una vita trascorsa a tentare di im-porsi sugli altri, quello di un’esistenza condotta in una povertà volon-tariamente scelta. Riferisci brevemente l’ideale di vita del pastore.

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La morte di ClorindaNella notte Clorinda, la guerriera musulmana di cui è innamorato Tancre-di, esce per appiccare il fuoco alla torre che i cristiani stanno riparando.Per non farsi riconoscere, si è tolta la sua bella armatura e ne ha indos-sata una vecchia e nera. Dopo aver distrutto la torre, Clorinda tenta dirientrare in città ma, inseguita dai nemici, non ci riesce e rimane fuoridelle mura. Tancredi la vede e credendo che sia un guerriero nemico la sfi-da a duello: lo scontro sarà terribile.

57 Tre volte il cavalier la donna1 stringecon le robuste braccia, ed altrettanteda que’ nodi tenaci ella si scinge,nodi di fer nemico e non d’amante.Tornano al ferro, e l’uno e l’altro il tingecon molte piaghe2; e stanco ed anelantee questi e quegli al fin pur si ritira,e dopo lungo faticar respira.

58 L’un l’altro guarda, e del suo corpo essanguesu ’l pomo de la spada appoggia il peso.Già de l’ultima stella il raggio langueal primo albor ch’è in oriente acceso3.Vede Tancredi in maggior copia il sanguedel suo nemico, e sé non tanto offeso.Ne gode e superbisce. Oh nostra follemente ch’ogn’aura di fortuna estolle!

59 Misero, di che godi? oh quanto mestifiano i trionfi ed infelice il vanto!Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)

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1. il cavalier la donna: il ca-valiere è Tancredi; la donnaè Clorinda.2. e l’un … piaghe: i duetornano a combattere eognuno tinge la propriaspada con il sangue uscitodalle ferite dell’altro.3. Già de … acceso: il duel-lo è durato fino all’alba.

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(57) Il cavaliere stringe la donna per tre volte con le sue braccia robuste e altrettantevolte lei si libera da quella forte stretta, che è una stretta da nemico crudele e nond’amante. Poi tornano nuovamente [a combattere con la] spada e si feriscono più vol-te l’un l’altro, macchiandosi di sangue; e, ora lui ora lei, stanco e ansimante, alla fine siallontana di qualche passo per poter, dopo tanta fatica, riprendere un po’ di fiato.(58) Si guardano l’un l’altro e [per un attimo] appoggiano [sfiniti] il peso del corpo cheha perso molto sangue sul pomo della spada. Già [nel cielo] si affievolisce il raggio del-l’ultima stella, al primo albore che si è acceso a oriente. Tancredi si accorge che il suo ne-mico [ha versato] più sangue, mentre lui non è ferito gravemente. E ne gode e inorgogli-sce. Oh, com’è folle la nostra mente che si lascia esaltare dal minimo soffio della fortuna! (59) Infelice, di che godi? [Non sai] quanto sarà triste il tuo trionfo e [non puoi capireancora] l’infelicità che ti riserva la tua presunzione! I tuoi occhi (se continuerai a vivere)

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di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.Così tacendo e rimirando, questisanguinosi guerrier cessaro alquanto.Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,perché il suo nome a lui l’altro scoprisse:

60 «Nostra sventura è ben che qui s’impieghitanto valor, dove silenzio il copra.Ma poi che sorte rea vien che ci neghie lode e testimon degno de l’opra,pregoti (se fra l’arme han loco i preghi)che ’l tuo nome e ’l tuo stato a me tu scopra,acciò ch’io sappia, o vinto o vincitore,chi la mia morte o la vittoria onore».

61 Risponde la feroce: «Indarno chiediquel c’ho per uso di non far palese.Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vediun di quei due che la gran torre accese4».Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,e: «In mal punto il dicesti»; indi riprese:«il tuo dir e ’l tacer di par m’alletta,barbaro discortese, a la vendetta».

62 Torna l’ira ne’ cori, e li trasporta,benché debili in guerra. Oh fera pugna,

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4. un di … accese: Clorin-da allude all’incendio diuna torre mobile con laquale i cristiani volevanoassalire le mura di Gerusa-lemme.

pagheranno con un mare di pianto ogni goccia di quel sangue. Così, nel silenzio dei lorosguardi, i due valorosi guerrieri, tutti insanguinati, smisero per qualche istante [di com-battere]. Alla fine Tancredi ruppe il silenzio e, per indurre l’altro guerriero a svelargli il suonome, disse: (60) «Per noi è certamente una sfortuna dar qui prova di un grande valo-re, che poi sarà coperto dal silenzio. Ma siccome la sorte avversa ci nega sia l’onore del-la fama che dei testimoni degni di questa, ti prego (se in combattimento vi è posto perle preghiere) di rivelarmi il tuo nome e la tua condizione, affinché io, vinto o vincitore,sappia chi rende gloriosa la mia morte o la mia vittoria».(61) L’orgogliosa [Clorinda] risponde: «Tu chiedi in vano ciò che, per abitudine, nonrendo [mai] noto. Ma chiunque io sia, vedi davanti a te uno di quei due che dette fuo-co alla grande torre». Tancredi, a quelle parole, fu accecato dalla rabbia e [parlò così]:«Hai detto questo in un momento inopportuno»; poi riprese: «sia le tue parole che iltuo silenzio mi spingono, in ugual misura, alla vendetta, o barbaro scortese».(62) Il furore riaccende i loro cuori e li riporta, benché senza più forze, alla lotta. Oh

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scontro crudele, in cui non vi è arte, in cuila forza si è spenta e rimane solo il furore acombattere! Oh che grande e sanguinososquarcio apre, ora all’uno ora all’altro, nell’ar-matura o nella carne, la spada, ovunque essaarrivi a colpire! E se la vita non fugge via [èperché] l’ira la tiene stretta al petto.

[…]

(64) Ma ecco che ormai giunge l’ora fata-le che deve [condurre] al suo termine lavita di Clorinda. Tancredi spinge con for-za, nel bel seno [della donna], la puntadella spada, che vi si immerge e ne beveil sangue con avidità; e la veste ricama-ta con bei motivi d’oro, che avvolgeva,tenera e lieve, il suo seno, le si inondadi un caldo fiume [di sangue]. Clo-rinda si sente già morire e le suegambe, deboli e malferme, cedono.

u’ l’arte in bando, u’ già la forza è morta,ove, in vece, d’entrambi il furor pugna!Oh che sanguigna e spaziosa portafa l’una e l’altra spada, ovunque giugna,ne l’arme e ne le carni! e se la vitanon esce, sdegno tienla al petto unita.

[…]

64 Ma ecco omai l’ora fatale è giuntache ’l viver di Clorinda al suo fin deve.Spinge egli il ferro nel bel sen di puntache vi s’immerge e ’l sangue avido beve;e la veste, che d’or vago trapuntale mammelle stringea tenera e leve,l’empie d’un caldo fiume. Ella già sentemorirsi, e ’l piè le manca egro e languente.

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(65) Tancredi si accanisce [a cercare] la vittoria e, minaccioso, incalza e sta addos-so alla fanciulla già trafitta. E lei, mentre cade, pronuncia con debolissima voce le sueultime parole; parole che le suggerisce un nuovo spirito di fede, di carità, di speran-za, fino ad allora a lei sconosciuto: sono queste le virtù che le infonde Dio, che ora,nel momento della sua morte, la vuole con sé come sua ancella, sebbene in vita fos-se stata ribelle.(66) «Amico, hai vinto: io ti perdono..., ma perdona anche tu, non al mio corpo, che[ormai] non teme più nulla, ma alla mia anima; prega per lei e dammi il battesimo, che

mi purifichi da ogni mia colpa». E la sua debole voce risuona di un non so che dimalinconico e dolce che arriva al cuore [di Tancredi] e gli spegne ogni sdegno,inducendolo al pianto.

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65 Segue egli la vittoria, e la trafittavergine minacciando incalza e preme.Ella, mentre cadea, la voce afflittamovendo, disse le parole estreme;parole ch’a lei novo un spirto ditta,spirto di fé, di carità, di speme:virtù ch’or Dio le infonde, e se rubellain vita fu, la vuole in morte ancella5.

66 «Amico, hai vinto: io ti perdon… perdonatu ancora, al corpo no, che nulla pave,a l’alma sì; deh! per lei prega, e donabattesmo a me ch’ogni mia colpa lave6».In queste voci languide risuonaun non so che di flebile e soavech’al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

5. ancella: serva fedele,sottomessa; in questo ca-so al volere, alla legge diDio.6. lave: lavi; qui nel sensosimbolico di “pulire” daogni peccato.

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67 Poco quindi lontan nel sen del montescaturia mormorando un picciol rio.Egli v’accorse e l’elmo empié nel fonte,e tornò mesto al grande ufficio e pio.Tremar sentì la man, mentre la frontenon conosciuta ancor sciolse e scoprio.La vide, la conobbe, e restò senzae voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

68 Non morì già, ché sue virtuti accolsetutte in quel punto e in guardia al cor le mise,e premendo il suo affanno a dar si volsevita con l’acqua a chi co ’l ferro uccise.Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse,colei di gioia trasmutossi, e rise;e in atto di morir lieto e vivace,dir parea: «S’apre il cielo; io vado in pace».

69 D’un bel pallore ha il bianco volto asperso,come a’ gigli sarian miste viole,e gli occhi al cielo affisa, e in lei conversosembra per la pietate il cielo e ’l sole7;e la man nuda e fredda alzando versoil cavaliero in vece di parole

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7. e in lei … sole: il cielo eil sole sembrano rivolgersiverso di lei pietosamente;la natura sembra parteci-pare alla vicenda di Clorin-da, al destino degli esseriumani.

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(67) Poco lontano da questo luogo, zampillava da una cavità del monte un piccolo ru-scello. Tancredi subito vi corse e riempì d’acqua il suo elmo, poi tornò, triste, [a com-piere] il solenne e sacro rito [del battesimo]. E mentre liberava la fronte sconosciuta[del suo avversario] dall’elmo, per scoprirgliela, sentì tremare la sua mano. La vide, lariconobbe e restò immobile, senza più parole. Ah, che [atroce] vista, che [terribile]scoperta!(68) Ma non morì e, anzi, in quel momento raccolse tutte le sue forze e le pose a guar-dia del suo cuore, [perché questo non venisse meno] e, reprimendo il suo dolore [stra-ziante], si accinse a dar vita [eterna] con l’acqua [del battesimo] a colei che aveva uc-ciso con la spada. E mentre pronunciava le sacre parole [del battesimo], Clorinda si tra-sfigurò in volto e sorrise; e nel momento della morte, sembrava che dicesse, lieta e se-rena: «Il cielo si apre; io vado in pace».(69) Il suo bianco volto è cosparso di un bel pallore, come se ai gigli si aggiungesserofiori di viola; e ha gli occhi fissi al cielo che, insieme col sole, sembra per la pietà rivol-

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gli dà pegno di pace8. In questa formapassa la bella donna, e par che dorma9.

70 Come l’alma gentile uscita ei vede,rallenta quel vigor ch’avea raccolto;e l’imperio di sé libero cedeal duol già fatto impetuoso e stolto,ch’al cor si stringe e, chiusa in breve sedela vita, empie di morte i sensi e ’l volto.Già simile a l’estinto il vivo langueal colore, al silenzio, a gli atti, al sangue10.

71 E ben la vita sua, sdegnosa e schiva, spezzando a forza il suo ritegno frale,la bella anima sciolta al fin seguiva,che poco inanzi a lei spiegava l’ale;ma quivi stuol de’ Franchi a caso arriva,cui trae bisogno d’acqua o d’altro tale,e con la donna il cavalier ne porta,in sé mal vivo, e morto in lei ch’è morta.

da canto XII, ottave 57-62, 64-71

tasso e la gerusalemme liberata 197

8. la man … di pace: Clo-rinda, che non riesce più aparlare, si è tolta il guantodi ferro per porgere la ma-no a Tancredi in segno ipace.9. passa … dorma: questoverso, diventato celebre,e sprime tutta la dolcezzadi una giovane creaturache muore fra le braccia diDio.10. Come l’alma … sangue:ora che Clorinda è morta,Tancredi perde il dominiodi sé e si abbandona al do-lore, che si fa sempre piùimpetuoso e folle.

to su di lei; quindi, in punto di morte, invece di parlare, solleva per un attimo la suamano, nuda e fredda, e la tende al cavaliere in segno di pace. In questo modo la belladonna passa [ad altra vita] e sembra che dorma.(70) Non appena egli vede che l’anima gentile è uscita [dal corpo], quella forza cheaveva raccolto in sé si allenta e il dominio di sé cede al dolore, che si fa sempre più im-petuoso e folle, e soffoca il suo cuore, comprimendo in poco spazio la sua vita, perriempirgli di morte il volto e i sensi. E, ormai più simile a un morto per il colorito, peril silenzio, per i suoi gesti e per la quantità di sangue [versato] a Tancredi, seppur an-cora vivo, viene meno ogni forza.(71) E la sua vita, sprezzante e altera, spezzando violentemente il suo fragile vincoloera già sul punto di seguire l’anima bella [di Clorinda] che poco prima era volata versoil cielo; ma ecco che arriva una schiera di Franchi spinti dalla necessità [di rifornirsi]d’acqua o di altri beni, e portano via, con la donna, il cavalier, fisicamente quasi mor-to, e già morto [spiritualmente] con Clorinda.

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I LR I N A S C I M E N T O

COMMENTOIl protagonista maschile del triste episodio che hai appena letto è Tan-credi d’Altavilla, un principe normanno dell’Italia meridionale che par-tecipò alla prima crociata.Nella Gerusalemme liberata è tra i più forti guerrieri cristiani e si rendeprotagonista di tanti atti di valore, ma al tempo stesso è segnato persempre dall’impossibile amore per Clorinda, la bella guerriera saracenache uccide, involontariamente, in un tragico duello.Quell’amore infelice e quella morte fanno di Tancredi un eroe malinco-nico, tormentato dai sensi di colpa (l’amore per una donna pagana, cheostacola i suoi compiti eroici, l’abbandono alla passione, la morte permano sua della donna amata). Il dovere lo chiama, ma la vista o l’im-magine di Clorinda lo paralizzano, rendendolo incerto e smarrito, pe-rennemente sospeso tra amore e dovere, ideale e reale.

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1. Con lo scontro fra Tancredi e Clorinda e la morte della guerriera, si conclude drammaticamentel’amore del giovane, che un crudele destino spinge ad essere la causa inconsapevole della mor-te della donna amata. In che situazione si svolge il combattimento fra Tancredi e Clorinda?a. in battagliab. in un duello con la spadac. in un agguato

2. Come si svolge la fase finale del duello?a. Tancredi affonda la sua spada nel bel seno di Clorinda e la sua veste preziosa si inonda di sangueb. Clorinda, ferita gravemente, fugge nel bosco dove moriràc. Tancredi affonda la sua spada nel cuore di Clorinda e fugge a cavallo

3. Con quali parole Clorinda, ormai in punto di morte, si rivolge a Tancredi? Sottolinea i versicorrispondenti.

4. «S’apre il cielo; io vado in pace»: è questo uno dei momenti più importanti del triste e cupoepisodio che hai appena letto. Chi pronuncia questa frase? Quando? Cosa significa e a cosa fariferimento?

5.Prova a descrivere la sequenza della morte di Clorinda, completando le seguenti frasi.a. il suo volto ..........................................................................................................................................................................

b. gli occhi fissano ...............................................................................................................................................................

c. solleva ....................................................................................................................................................................................

d. in questo modo .................................................................................................................................................................

6.Quale reazione ha Tancredi quando si accorge che il cavaliere che ha ucciso non è altri che la

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IL SEICENTOE IL SET T ECENTO

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Il quadro storico-politico

IL SECOLO DELL’ASSOLUTISMOIl XVII secolo si caratterizza per l’affermazione del-l’assolutismo, una forma di governo incentrata sulpotere assoluto, cioè illimitato e incontestabile, delsovrano. Simbolo di questo potere fu il re di FranciaLuigi XIV, chiamato anche “Re Sole” per indicare lasua centralità nel sistema politico francese (così co-me il Sole è il pianeta al centro del Sistema Solare). Nel complesso però il Seicento fu un periodo se-gnato da crisi sociale ed economica, dovuta tral’altro a una serie di sanguinosi conflitti fra le poten-ze europee e all’interno degli stessi Stati nazionali,tra cui la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), checoncluse il lungo periodo di guerre di religione inEuropa, ma ebbe anche ripercussioni negative intutto il continente. Alle devastazioni portate dai con-flitti andò ad aggiungersi una grave crisi economicache agli inizi del XVII secolo investì l’Europa, in mo-do particolare la Spagna — per il ridursi dell’afflussodi metalli preziosi dalle colonie americane e per leingenti spese militari richieste dalle guerre nellequali era coinvolta — e la Germania, principale tea-tro della Guerra dei Trent’anni. L’Italia, che era soggetta al predominio della Spagna,si trovò tagliata fuori dai grandi flussi economici peril declino dei commerci nel Mediterraneo seguitoalla scoperta dell’America e fu colpita da carestie,pestilenze e dai fenomeni negativi legati all’impove-rimento della popolazione, tra cui la diffusione del-la mendicità e del brigantaggio.

IL SETTECENTO E IL DISPOTISMO ILLUMINATO Anche il Settecento fu un secolo di grandi guerre frale monarchie europee, da quelle scoppiate per lasuccessione al trono di Spagna, Polonia e Austria,alla Guerra dei Sette anni, combattuta in Europa, suimari e nei territori coloniali. Se le guerre di successione spagnola e polacca mo-dificarono profondamente gli equilibri politici del-l’Italia — dove il dominio austriaco andò a sostituirsi

all’ormai secolare dominazione spagnola -— nellaseconda metà del Settecento e fino alle grandi rivo-luzioni di fine secolo (prima fra tutte la Rivoluzioneamericana) il Paese attraversò un lungo periodo dipace. È in tale periodo che si afferma in varie corti d’Europae in alcuni Stati d’Italia il fenomeno noto come dispo-tismo illuminato, cioè il vasto programma di riformeper rendere lo Stato più efficiente e più moderno, pro-mosso dai sovrani più aperti ai cambiamenti che era-no in corso in ambito sociale e culturale.Nonostante il dispotismo illuminato traesse spuntodalle idee diffuse dall’Illuminismo, un movimentoculturale nato in Francia di cui parleremo in seguito,l’ondata di riforme non sfiorò la Francia, dove co-minciò a serpeggiare un forte malcontento nei con-fronti della nobiltà oziosa e dell’alto clero, che accre-sceva ogni giorno il suo potere. Un malcontentoche, nel 1789, avrebbe portato alla Rivoluzionefrancese, i cui effetti si sarebbero fatti sentire soprat-tutto nel secolo successivo.

IL SETTECENTO E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Un altro fenomeno che segnò profondamente ilSettecento fu la rivoluzione industriale. Resa pos-sibile da una serie di scoperte e invenzioni – lamacchina a vapore, la filatrice e il telaio meccanico– la Rivoluzione industriale ebbe inizio in Inghilterranella seconda metà del secolo, diffondendosi dopoalcuni decenni nel Nord Europa. Fu così introdotto un nuovo sistema di produzio-ne basato sull’utilizzo delle macchine e sul lavoronon più svolto a domicilio, bensì in un luogo ap-posito: la fabbrica. Tali innovazioni determinanoprofondi mutamenti in ambito sociale: dallo svi-luppo caotico e disordinato delle città in cui afflui-va la manodopera per lavorare nelle fabbriche aiproblemi legati alle nuove condizioni di lavoro, se-gnate da ritmi disumani e dallo sfruttamento dellavoro femminile e minorile.

Page 201: PAGINE DI LETTERATURA

Il quadro culturaleIL SEICENTO E LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA Nonostante il clima intollerante e nel complesso re-pressivo instaurato dalla Controriforma, nel Seicen-to furono gettate le basi del pensiero moderno conuna serie di nuove concezioni che vanno sotto ilnome di rivoluzione scientifica. Tali concezioni so-stituivano alla teoria tolemaica (la Terra al centrodell’universo, come stabilivano le Sacre Scritture) lateoria eliocentrica formulata dallo scienziato polac-co Niccolò Copernico (1473-1543) e ripresa poiagli inizi del Seicento dall’astronomo tedesco Gio-vanni Keplero. Seguendo la teoria eliocentrica, Ga-lileo Galilei affermò che l’universo è infinito, che laTerra è solo una parte di esso e che il Sole sta alcentro dei pianeti, che gli ruotano attorno con ritmoarmonioso e simmetrico. Nonostante la reazionenegativa della Chiesa, la nuova visione dell’universoe il metodo scientifico introdotto da Galielo – e ba-sato sull’osservazione sperimentale e sull’uso distrumenti efficienti – si affermarono rapidamente,superando le resistenze di carattere religioso.

IL BAROCCO Nel Seicento si afferma il Barocco, una nuova visio-ne della realtà che si diffonde in larga parte d’Euro-pa influenzando anche l’arte e la letteratura. Il Ba-rocco (termine derivante da una parola portogheseche significa “perla irregolare”) mirava a coglierenella natura la continua trasformazione, il divenire,l’irrazionale, il nuovo per trasferirli nella rappresen-tazione artistica: al posto della misura e dell’equili-brio rinascimentali, ricercava l’effetto della meravi-glia. L’arte non si proponeva più il fine di educare,bensì quello di suscitare piacere e stupore. In Italia il Barocco ha lasciato testimonianze impor-tanti soprattutto in ambito architettonico, creandoedifici imponenti e spettacolari, arricchiti da marmi,stucchi, colonne attorcigliate e fantasiose fontane. Nel campo della letteratura il maggiore rappresentan-te di questa corrente in Italia è il poeta napoletanoGiambattista Marino, che con le sue opere in versi ric-che di immagini ricercate, preziose e stravaganti tro-vò largo consenso fra i letterati e i poeti del tempo.

LA COMMEDIA DELL’ARTE E IL MELODRAMMA Nel corso del Seicento, l’Italia si distinse soprattuttonel campo teatrale, con la Commedia dell’arte,chiamata anche “Commedia di maschere” o “Com-media all’improvviso” (nel senso di “improvvisata”).Si trattava di una forma di teatro semplice e imme-diato, rappresentato da attori, di solito comici, cheavevano fatto della recitazione il loro mestiere, cioèla loro “arte”. Tali attori si riunivano in compagnieguidate da un capocomico, e giravano per il Paeserappresentando le loro commedie. La caratteristicaprincipale di questa forma di spettacolo era la man-canza di un testo scritto, di quello che oggi si chia-ma copione: esisteva solo il “canovaccio”, cioè unatraccia sommaria, una trama di poche righe. Tutto ilresto, cioè lo spettacolo vero e proprio, veniva la-sciato all’improvvisazione degli attori (buffoni, giul-lari, saltimbanchi), che così ne erano sostanzial-mente anche gli autori. In questo tipo di spettacolo venivano proposti deipersonaggi comici “fissi” derivati dal teatro latino (ilfurbo, lo sciocco, il vecchio babbeo, ecc.), che era-no raffigurati con maschere (Arlecchino, Pulcinella,Pantalone, ecc.) e che rappresentavano una trova-ta che ben si addiceva alla semplice struttura di talispettacoli: bastava infatti vedere un attore vestitocon un costume di mille colori perché chiunque viriconoscesse la figura di Arlecchino e gli attribuissele caratteristiche (simpatia, allegria, furbizia) che locontraddistinguevano. Nello stesso periodo nacque a Firenze un nuovo ge-nere teatrale, il melodramma, che univa un testoletterario alla musica. Il più celebre rappresentante inquesto settore fu Claudio Monteverdi, autore tra l’al-tro di un melodramma dal titolo Orfeo e Euridice.

IL SETTECENTO E L’ILLUMINISMOCome già accennato, la cultura e il pensiero del Set-tecento sono dominati dall’Illuminismo, un movi-mento di idee vasto e complesso, fondato sulla fi-ducia nelle capacità razionali dell’uomo e sulla co-scienza della sua dignità. Il suo nome deriva appun-to dai “lumi” della ragione, chiamata a squarciare le

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“tenebre” della superstizione e dell’ignoranza pertrasformare e migliorare la società. I suoi promotori– i francesi Voltaire, Diderot, Rousseau, ecc. – con-dussero attraverso i loro scritti grandi battaglie per latolleranza e l’uguaglianza, contro il fanatismo e ipregiudizi. L’Illuminismo fu pertanto un movimento progressi-sta e riformatore, animato da una grande fiducia nelprogresso e nella possibilità di rendere la societàsempre più rispondente ad un ideale di razionalitàe di giustizia. Tale progetto era realizzabile, secondogli illuministi, attraverso una diffusione sempre piùampia del sapere, sia fra le classi più elevate che fraquelle più umili.Le nuove idee penetrarono anche nelle corti di alcu-ni sovrani europei che, come si è visto, realizzaronouna serie di riforme nei rispettivi Paesi. L’aspirazionealle riforme trovò un valido canale di diffusione neiclub, nei caffè, nei salotti ma soprattutto nella stam-pa periodica: giornali e riviste si trasformarono infat-ti in efficaci strumenti per la formazione di una opi-nione pubblica, stimolando vivaci dibattiti su argo-menti di varia natura, ma sempre legati all’attualità.In Italia l’Illuminismo — che in letteratura si espres-se soprattutto in opere in prosa di vario genere (dalsaggio filosofico al romanzo) — divenne operantenella seconda metà del Settecento, attraverso unproliferare di movimenti culturali: a Milano tra il1764 e il 1766 si pubblica il periodico “Il Caffè”, fon-dato dai fratelli Pietro e Alessandro Verri, e nel1764 Cesare Beccaria pubblica Dei delitti e dellepene, un’opera in cui sostiene l’abolizione della tor-tura e della pena di morte.

In ambito strettamente letterario, i maggiori inter-preti delle istanze di rinnovamento espresse dallacultura illuministica furono Carlo Goldoni e Giusep-pe Parini. Mentre il veneziano Carlo Goldoni rifor-mò la commedia attingendo alla realtà umana e so-ciale del suo tempo, il poeta Giuseppe Parini nelsuo poemetto satirico intitolato Il Giorno, derise il fri-volo e vuoto mondo della nobiltà, denunciandonegli assurdi privilegi.

LO SCIENZIATO E IL NOBILE Protagonista della scena seicentesca è la figura del-lo scienziato, che si avvale di un metodo basatosull’osservazione sistematica dei fenomeni naturalie sull’esperimento come metodo di prova, senzasentirsi vincolato dalle antiche credenze, dalla vec-chia cultura e dalla religione. Malgrado l’opposizio-ne della Chiesa il nuovo metodo scientifico si affer-mò rapidamente, investendo vari campi del sapere:dalla biologia alla medicina, dalla geometria allamatematica.La società del Settecento invece — nonostante lespinte innovative che si andavano affermando inambito economico, sociale e culturale — era anco-ra dominata dall’antico regime basato sull’assoluti-smo, e dunque dal re e dalla figura del nobile. Il no-bile godeva di una serie di privilegi e aveva un vitacaratterizzata in primo luogo dal rifiuto del lavoromanuale. Per imitare lo stile del sovrano, e non sfi-gurare davanti a lui, i nobili spendevano fortune incarrozze, gioielli, servitù, abiti sfarzosi e stravaganti,profumi e parrucche, trascorrendo gran parte del lo-ro tempo tra banchetti, cacce e balli.

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1.Indica quali delle seguenti affermazioni sono corrette.a. nel Settecento si afferma il dispotismo illuminato, una forma di governo basata sul potere illimitato e incontestabile del sovrano

b. nel Seicento si afferma il dispotismo illuminato, un vasto programma di riforme finanziato dai metalli preziosi provenienti dalle colonie europee

c. nel Settecento si afferma il dispotismo illuminato, un vasto programma di riforme per rendere lo Stato più efficiente e più moderno

d. nel Seicento si afferma l’assolutismo, una forma di governo basata sul potere illimitato e incontestabile del sovrano

2.Sottolinea l’opzione corretta scegliendo tra quelle poste fra parentesi.a. (nel Settecento/nel Seicento/nella seconda metà del Settecento) ven-gono gettate le basi del pensiero moderno con una serie di nuove con-cezioni che vanno sotto il nome di rivoluzione scientifica

b. Galileo Galilei afferma che l’universo è infinito, che (il Sole/la Terra/laLuna) è una parte di esso e che (il Sole/la Terra/la Luna) sta al centrodei pianeti, che ruotano attorno con ritmo armonioso e simmetrico

3.Quali sono le principali caratteristiche del Barocco? Indica la rispo-sta corretta.a. mira a cogliere nella natura il senso della misura e dell’equilibrio, per suscitare piacere e stupore

b. mira a cogliere nella natura la continua trasformazione e l’irrazionale, proponendosi il fine di educare all’equilibrio e al bello

c. mira a cogliere nella natura la continua trasformazione e l’irrazionale, ricercando l’effetto dello stupore e della meraviglia

4.Completa le seguenti frasi riferite alla Commedia dell’arte. a. è una forma di teatro rappresentato da attori che si riuniscono in com-pagnie guidate da un .........................., e girano per l’Italia rappre-sentando le loro commedie

b. non ha un testo scritto, quello che oggi si chiama ..........................,ma solo un .........................., cioè una trama di poche righe

5.In quattro delle seguenti frasi, riferite all’Illuminismo, è stato inse-rito un errore. Individua le frasi sbagliate e riscrivile correggendole. a. trova espressione nel periodico “Il Caffè”, pubblicato a Milano da CesareBeccaria

b. è basato sulla fiducia nelle capacità razionali dell’uomo c. si batte per la tolleranza e l’uguaglianza, contro il fanatismo e i pregiudizi d. è animato da una grande fiducia nel progresso e. domina la cultura e il pensiero del Seicento f. si impegna per diffondere il sapere anche fra le classi più umili g. trova espressione nelle opere poetiche di Goldoni e di Parinih. ha un valido canale di diffusione nei caffè e nei salotti, ma soprattuttonel teatro

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La Commedia dell’arte e Goldoni

Prima di Goldoni il teatro italiano era dominato dalla Commedia del-l’arte, che non si basava su testi scritti e affidava al capocomico e aglialtri attori la scelta delle scene, dei dialoghi e del linguaggio. E così,col tempo, gli attori misero insieme un repertorio di battute fisse,pungenti e a volte scurrili, a cui ricorrevano per suscitare il riso deglispettatori.

La Commedia dell’arte, chiamata anche “Commedia di maschere” o“Commedia all’improvviso” (nel senso di “improvvisata”) era sorta e siera sviluppata, nel corso del Seicento, al di fuori del mondo letterario,dal momento che non utilizzava un testo scritto. Il teatro era purospettacolo, frutto di improvvisazione, ed aveva luogo all’aperto, per lestrade e le piazze. Gli attori erano liberi di dare sfogo alla propria crea-tività e alle proprie interpretazioni mimiche e acrobatiche. In questotipo di spettacolo venivano proposti personaggi comici derivati dalteatro latino, come, ad esempio, il furbo, lo sciocco, il vecchio bron-tolone, la servetta, che sono emblematicamente raffigurati con le ma-schere di Arlecchino, Pulcinella, Pantalone e Colombina.

Nonostante il pubblico sembrasse gradire questo tipo di teatro, Goldo-ni sentì l’esigenza di un rinnovamento, non solo nella forma, ma an-che nei contenuti delle rappresentazioni. Commedia dopo commedia,attuò così la riforma del teatro comico italiano: la recitazione si basa-va ora su un testo scritto, che doveva essere imparato a memoria; ipersonaggi erano sempre meno legati alle maschere tradizionali; letrame si facevano sempre più vicine alla realtà.

In realtà la riforma fu graduale. All’inizio, infatti, Goldoni scrisse solola parte del protagonista, ma ben presto arrivò a stendere anche tuttele altre parti. Gli attori in un primo momento mostrarono una certa ri-luttanza ad accettare un testo scritto, ma la loro ostilità andò via viadiminuendo e si adattarono a imparare a memoria le parti. Il pubbli-co, invece, sembrò apprezzare subito la novità e le 120 commediescritte da Goldoni ne sono un’evidente prova.

Le commedie di Goldoni, di varia composizione e struttura, possonoessere suddivise in commedie “di carattere” e “di ambiente”.Per commedia “di carattere” si intende un’opera che trae spunto dal-l’osservazione diretta dell’uomo e delle sue abitudini di vita e mette a

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I L S E I C E N T OE I L

S E T T E C E N T O

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fuoco un carattere definito e il più possibile verosimile. Proprio que-sto carattere diventa l’elemento centrale intorno a cui si costruiscel’intreccio, che viene così ad assumere una funzione subordinata. Lecommedie di questo tipo, tra cui La bottega del caffè e La locandiera,vogliono essere specchio della società e, al tempo stesso ispirare nuo-vi modelli di comportamento sociale.

La commedia “di ambiente”, invece, non analizza più singoli caratte-ri, bensì un’intera collettività: la piazzetta veneziana diventa cosìespressione di uno spaccato di vita vissuta, la riproduzione fedele deiritmi e delle abitudini quotidiane dei popolani dell’epoca. Tra le com-medie “di ambiente” notevole è Il campiello, una commedia del 1756priva di intreccio, che descrive i diversi momenti della vita quotidianadi piccoli artigiani e commercianti in una piazzetta veneziana, ed èanimata soprattutto dalla presenza di personaggi femminili.

la commedia dell’arte e goldoni 205

carlo goldoni

Nato a Venezia nel 1707, Carlo Goldoni è il più noto e importante autore di com-medie del Settecento italiano. Appassionato ammiratore del teatro e delle com-pagnie di comici (tanto che, giovanissimo, fugge di casa per seguirne una), ini-zia collaborando con i comici della Commedia dell’arte. Tra le sue opere più famo-se si ricordano La bottega del caffè, La locandiera, Il campiello, I rusteghi, Sior Tó-dero brontolon, Le baruffe chiozzotte. Il teatro goldoniano riscuote grande successo presso i contemporanei, ma susci-ta anche molte critiche soprattutto dagli autori ancora legati alla Commedia del-l’arte. Così, irritato dai contrasti, decide di lasciare l’Italia e di recarsi in Francia,alla corte del re Luigi XVI dove sarà precettore dei principini. A Parigi scrive infrancese un’opera autobiografica intitolata Memorie. Dopo la Rivoluzione del 1789si ritira a vita privata, e nel 1793 muore, povero e dimenticato.

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Una seduttrice infallibileMirandolina è proprietaria di una locanda a Firenze e, anche senza voler-lo, affascina con la sua grazia tutti quelli che sono suoi ospiti. Di tre fo-restieri che alloggiano presso di lei, due si sono infatti innamorati dellabella locandiera, ma il terzo, il cavaliere di Ripafratta, insensibile al fasci-no femminile, la tratta sgarbatamente e deride quelli che sono attratti dalfascino della giovane. E proprio verso quest’uomo «rustico e selvatico» Mi-randolina punta tutte le sue armi: non lo ama, ma vuole vincere a tutti icosti il suo atteggiamento ostile verso le donne. Decide quindi di portarelei stessa la biancheria pulita nella sua camera, facendogli notare la scel-ta raffinata delle lenzuola e delle tovaglie, ma il cavaliere risponde allagentilezza di Mirandolina in maniera burbera e altezzosa.

Camera del cavaliere - Mirandolina colla biancheria e il cavaliere

[…]CAVALIERE Date la mia biancheria al mio cameriere, o ponetela

lì, in qualche luogo. Non vi è bisogno che v’incomo-diate per questo.

MIRANDOLINA Oh, io non m’incomodo mai, quando servo cavalie-re di sì alto merito1.

CAVALIERE Bene, bene, non occorr’altro. (da sé) Costei vorrebbeadularmi. Donne! Tutte così.

MIRANDOLINA La metterò nell’arcova2.CAVALIERE (con serietà) Sì, dove volete.MIRANDOLINA (da sé; va a riporre la biancheria) Oh! vi è del duro3.

Ho paura di non far niente.CAVALIERE (da sé) I gonzi4 sentono queste belle parole, credono

a chi le dice, e cascano5.MIRANDOLINA (ritornando senza la biancheria) A pranzo, che cosa

comanda?CAVALIERE Mangerò quello che vi sarà.MIRANDOLINA Vorrei pur sapere il suo genio6. Se le piace una cosa

più dell’altra, lo dica al cameriere.CAVALIERE Se vorrò qualche cosa, lo dirò al cameriere.MIRANDOLINA Ma in queste cose gli uomini non hanno l’attenzio-

ne e la pazienza che abbiamo noi altre donne. Se lepiacesse qualche intingoletto, qualche salsetta, favo-risca di dirlo a me.

CAVALIERE Vi ringrazio: ma né anche per questo verso vi riusci-rà di far con me quello che avete fatto col conte e colmarchese7.

MIRANDOLINA Che dice della debolezza di quei due cavalieri? Ven-gono alla locanda per alloggiare, e pretendono poi di

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1. di sì alto merito: così il-lustri, di riguardo.2. arcova: l’alcova era laparte della stanza dov’erasituato il letto.3. vi è del duro: quest’uo-mo è un osso duro.4. gonzi: stupidi.5. cascano: cascano nel tra-nello teso loro dalle donne.6. il suo genio: le sue pre-ferenze, i suoi gusti.7. conte ... marchese: ilconte di Albafiorita e ilmarchese di Forlipopoli; sitratta di altri due perso-naggi della commedia, o -spiti della locanda di Mi-randolina e di lei innamo-rati.

I L S E I C E N T OE I L

S E T T E C E N T O

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voler far all’amore colla locandiera. Abbiamo altroin testa noi, che dar retta alle loro ciarle. Cerchiamodi fare il nostro interesse; se diamo loro delle buoneparole, lo facciamo per tenerli a bottega8; e poi, ioprincipalmente, quando vedo che si lusingano9, ridocome una pazza.

CAVALIERE Brava! Mi piace la vostra sincerità10.MIRANDOLINA Oh! non ho altro di buono, che la sincerità.CAVALIERE Ma però, con chi vi fa la corte, sapete fingere.MIRANDOLINA Io fingere? Guardimi il cielo. Domandi un poco a

quei due signori che fanno gli spasimati per me,se ho mai dato loro un segno d’affetto. Se ho maischerzato con loro in maniera che si potessero lu-singare con fondamento11. Non li strapazzo, per-ché il mio interesse non lo vuole12, ma poco me-no. Questi uomini effeminati13 non li posso vede-re. Sì come abbor risco14 anche le donne, che cor-rono dietro agli uomini. Vede? Io non sono unaragazza. Ho qualche an net to: non son bella, maho avute delle buone occasioni; eppure non homai voluto maritarmi, perché stimo infinitamen-te la mia libertà15.

CAVALIERE Oh sì, la libertà è un gran tesoro.MIRANDOLINA E tanti la perdono scioccamente.CAVALIERE So ben io quel che faccio. Alla larga.MIRANDOLINA Ha moglie V. S. illustrissima16?CAVALIERE Il cielo me ne liberi. Non voglio donne.MIRANDOLINA Bravissimo. Si conservi sempre così. Le donne, si-

gnore... Basta, a me non tocca17 a dirne male.CAVALIERE Voi siete per altro la prima donna, ch’io senta parlar

così.MIRANDOLINA Le dirò: noi altre locandiere vediamo e sentiamo

delle cose assai; e in verità compatisco18 quegli uo-mini che hanno paura del nostro sesso.

CAVALIERE (da sé) È curiosa costei.MIRANDOLINA Con permissione di V. S. illustrissima (finge di voler

partire).CAVALIERE Avete premura di partire?MIRANDOLINA Non vorrei esserle importuna.CAVALIERE No, mi fate piacere; mi divertite.MIRANDOLINA Vede, signore? Così fo con gli altri. Mi trattengo

qualche momento; sono piuttosto allegra, dico delle

la commedia dell’arte e goldoni 207

8. per … bottega: per trat-tenerli nella locanda.9. si lusingano: si illudonoche io possa ricambiarli.10. Brava! … sincerità: ilcavaliere inizia a cedere alfascino di Mirandolina.11. con fondamento: conuna base di verità, cioè inmodo che i due potesserocredere che Mirandolinafosse interessata a loro.12. il mio … vuole: se Mi-randolina trattasse male idue pretendenti, essi se neandrebbero privandola diuna fonte di guadagno.13. effeminati: leziosi, maqui anche nel senso di“condizionati dalle donne”.14. abborrisco: detesto.15. stimo ... libertà: con-sidero la mia libertà unacosa fondamentale.16. V. S. illustrissima: V.S.è l’abbreviazione di VostraSignoria, espressione concui ci si rivolgeva a perso-naggi nobili; “illustrissi-mo” è un modo molto en-fatico per dire “signore”.17. a me non tocca: nonsta a me (perché sono an-ch’io una donna). Miran-dolina da ora in poi fingedi condividere le idee delcavaliere sulle donne persuscitare il suo interesse.18. compatisco: arrivo agiustificare.

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barzellette per divertirli, ed essi subito credono... Sela m’intende, e’ mi fanno i cascamorti.

CAVALIERE Questo accade, perché avete buona maniera.MIRANDOLINA (con una riverenza) Troppa bontà, illustrissimo.CAVALIERE Ed essi s’innamorano.MIRANDOLINA Guardi che debolezza! Innamorarsi subito di una

donna!CAVALIERE Questa io non l’ho mai potuta capire.MIRANDOLINA Bella fortezza! Bella virilità!CAVALIERE Debolezze! Miserie umane!MIRANDOLINA Questo è il vero pensare degli uomini. Signor cava-

liere, mi porga la mano.CAVALIERE Perché volete ch’io vi porga la mano?MIRANDOLINA Favorisca; si degni; osservi, sono pulita.CAVALIERE Ecco la mano.MIRANDOLINA Questa è la prima volta, che ho l’onore d’aver per la

mano un uomo, che pensa veramente da uomo.CAVALIERE (ritira la mano) Via, basta così.MIRANDOLINA Ecco. Se io avessi preso per la mano uno di que’ due

signori sguaiati, avrebbe tosto creduto ch’io spasi-massi per lui. Sarebbe andato in deliquio19. Non da-rei loro una semplice libertà20, per tutto l’oro delmondo. Non sanno vivere. Oh benedetto il conver-sare alla libera! senza attacchi21, senza malizia, sen-za tante ridicole scioccherie. Illustrissimo, perdonila mia impertinenza. Dove posso servirla, mi co-mandi con autorità, e avrò per lei quell’attenzione,che non ho mai avuto per alcuna persona di questomondo.

CAVALIERE Per qual motivo avete tanta parzialità per me?MIRANDOLINA Perché, oltre il suo merito, oltre la sua condizione, so-

no almeno sicura che con lei posso trattare con liber-tà, senza sospetto che voglia fare cattivo uso delle mieattenzioni, e che mi tenga in qualità di serva, senzatormentarmi con pretensioni ridicole, con caricatureaffettate22.

CAVALIERE (da sé) Che diavolo ha costei di stravagante23, ch’ionon capisco!

MIRANDOLINA (da sé) Il satiro24 si anderà a poco a poco ad do me sti -cando.

CAVALIERE Orsù, se avete da badare alle vostre cose, non resta-te per me.

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19. Sarebbe … deliquio:sarebbe svenuto per l’e -mozione.20. Non … libertà: nonconcederei loro nessunaconfidenza.21. senza attacchi: senzaattaccamenti amorosi. 22. pretensioni ridicole ...caricature affettate: ridi-cole pretese e atteggia-menti falsi ed esagerati.23. stravagante: eccezio-nale, fuori dal comune.24. satiro: qui significa“uomo burbero scontroso”.

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MIRANDOLINA Sì signore, vado ad attendere alle faccende di casa25.Queste sono i miei amori, i miei passatempi. Se co-manderà qualche cosa, manderò il cameriere.

CAVALIERE Bene... Se qualche volta verrete anche voi, vi vedròvolentieri.

MIRANDOLINA Io veramente non vado mai nelle camere dei fore-stieri, ma da lei ci verrò qualche volta.

CAVALIERE Da me... Perché?MIRANDOLINA Perché, illustrissimo signore, ella mi piace assaissi-

mo26.CAVALIERE Vi piaccio io?MIRANDOLINA Mi piace, perché non è effeminato, perché non è di

quelli che s’innamorano. (da sé) Mi caschi il naso, seavanti domani non l’innamoro (parte).

da C. Goldoni, La locandiera, atto I, scena xv, Rizzoli

Mirandolina riesce nel suo intento, ma, nonostante la vittoria riportatasul cavaliere di Ripafratta, non si monta la testa. La commedia si con-clude infatti con le nozze della locandiera con il cameriere Fabrizio, se-condo il consiglio datole dal padre prima di morire.

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25. vado … casa: Mirando-lina si congeda dal cava-liere per andare a sbrigarei lavori di casa, in questocaso della sua locanda.26. assaissimo: moltissimo.

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to

1.Perché Mirandolina vuole conquistare il cavaliere di Ripafratta?

2.Qual è la prima cosa che fa Mirandolina per raggiungere il suo scopo? Perché va nella camera delcavaliere?

3. La bella locandiera è convinta che conquistare il cavaliere non sia un’impresa facile. Cosa pensainfatti riponendo la biancheria?

4. Inizialmente il cavaliere è sgarbato nei confronti di Mirandolina, ma poi il suo atteggiamentocambia. Indica 2 frasi del testo che mostrano tale cambiamento. a. ostilità ......................................................................................................................................................................................b. gentilezza ................................................................................................................................................................................

5. Illustra il carattere dei due personaggi che si fronteggiano nella scena che hai appena letto (Mi-randolina e il cavaliere) attribuendo correttamente a ciascuno con una M o una C le qualità sot-to elencate.a. arroganza f. vivacitàb. timore g. astuziac. intelligenza h. sospettositàd. scontrosità i. civetteriae. garbo l. sicurezza

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La barca dei comiciLa descrizione del viaggio nella barca dei commedianti è una delle pagi-ne più colorite ed efficaci del libro di memorie di Goldoni. In essa colpi-scono l’assenza di ogni riferimento al paesaggio marino e l’attenzione ri-volta al mondo degli uomini, più precisamente degli attori, che vengonodescritti quando sono lontani dalle scene con i loro vezzi, le loro piccolemanie, i loro giochi e bisticci.Attratto dal mondo del teatro, Goldoni accetta un passaggio in barca daun gruppo di commedianti diretti a Chioggia, dove vuole raggiungere suamadre. È appena salito in barca, quando…

Giungono i commedianti. […] Dodici persone fra comici ed attrici,un suggeritore, un macchinista, un guardaroba, otto servitori, quat-tro camerieri, due nutrici, ragazzi d’ogni età, cani, gatti, scimmie,pappagalli, uccelli, piccioni, un agnello: era l’arca di Noè. La barca essendo spaziosissima, vi erano molti scompartimenti, edogni donna aveva il suo bugigattolo con tende; era stato accomodatoun buon letto per me accanto al direttore, e ciascuno era ben allogato1. Il sopraintendente generale del viaggio, che nel tempo stesso eracuoco e cantiniere, sonò un campanello, il segno della colazione.Tutti si adunarono in una specie di salone formato nel mezzo del na-viglio sopra le casse, le valigie e le balle; c’erano sopra una tavolaovale caffè, thè, latte, crostini, acqua e vino. La prima amorosa2 chiese un brodo: non ce n’era; era furente, e civolle molta pena per calmarla con una tazza di cioccolata: era la piùbrutta e la più difficile3. Dopo la colazione si propose la partita per aspettare il pranzo. Gio-

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1. allogato: sistemato.2. La prima amorosa: sitratta della fiorentina Cla-rice Gigli, che era la primadonna della compagnia ecome tale aveva il ruolodella giovane innamorata.3. la più difficile: capric-ciosa come si conviene al-la prima attrice. È questauna frase sufficiente a de-finire il “carattere” delpersonaggio.

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cavo discretamente a tresette, giuoco favorito di mia madre, da cuil’avevo imparato. […]Si giocava, si rideva, si scherzava, e si facevano delle burle. Ma lacampana annunzia il pranzo, e tutti vi accorrono. Maccheroni! tutti vi si affollano sopra; e se ne divorano tre zuppie-re; bove alla moda, pollame freddo, lombata di vitello, frutta e vinoeccellente: ah che buon pranzo! che appetito! Restammo quattro ore a tavola: si sonarono diversi strumenti, e si can-tò molto. La servetta4 cantava a meraviglia; io la guardava attentamen-te, ed essa mi faceva un’impressione singolare: ma ahimè! successe uncaso che interruppe il divertimento della compagnia. Scappò dalla gab-bia un gatto, che era il micino della prima amorosa; ella chiama tuttiin soccorso, e gli si corre dietro; ma il gatto, che era selvatico come lasua padrona, sgusciava, saltava, si rimpiattava per tutto. Vedendosi in-seguito si arrampicò sull’albero. La signora Clarice rimane male: unmarinaio sale per riprenderlo; il gatto si slancia in mare, e vi resta. Ec-co la sua padrona disperata; vuol fare strage di tutti gli animali che tro-va, vuol precipitar la sua cameriera nella tomba del suo caro gattino.Tutti prendono le difese della cameriera, e la baruffa diviene generale.Sopraggiunge il direttore: ride, scherza, fa delle moine all’afflitta dama,che finisce per ridere anche lei: ed ecco il gatto dimenticato. Ma basta, credo; ed è forse troppo abusar del mio lettore, trattener-lo sopra queste frivolezze, che non val la pena ricordare.Il vento non essendo favorevole, restammo in mare tre giorni. Sem-pre i medesimi divertimenti, i medesimi piaceri, il medesimo appe-tito. Arrivammo a Chioggia il quarto giorno.

da C. Goldoni, Mémoires, Mondadori

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4. La servetta: è la secondadonna della compagnia,Colombina, un personag-gio pre sente in molte com-medie di Goldoni.

lavo

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to

1. Il brano che hai letto è una divertente testimonianza del mondo deicommedianti che, nella variopinta atmosfera del viaggio, sembrano at-tori anche al di fuori della scena. Per quale motivo, a tuo parere, l’au-tore definisce la loro barca «l’arca di Noè»?

2. Chi era la «prima amorosa»?

3.Durante il viaggio, come trascorrono il tempo i passeggeri?

4.A un tratto accade qualcosa che sconvolge il clima festoso della com-pagnia: cosa?

5. La signora Clarice si dispera per quello che è successo. Cosa pensa difare? Come reagisce?

6. Come va a finire la storia del gatto della signora Clarice?

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Parinie la poesia

Con Giuseppe Parini inizia ad affermarsi la moderna figura dell’intellet-tuale protagonista di una funzione sociale, in perfetto accordo con ilclima dell’Illuminismo, del quale il poeta accetta con convinzione l’im-pegno per il trionfo dell’uguaglianza, della giustizia, della libertà dai so-prusi e dall’ignoranza. Parini, infatti, crede in una poesia che, pur carat-terizzata dalla bellezza e dall’eleganza dei versi, non deve essere purodivertimento o fantasticheria, bensì uno strumento di diffusione delleidee, di formazione morale dei cittadini-lettori per il bene pubblico.

Precettore del «Giovin Signore» nella finzione narrativa del Giorno, permolti anni Parini fu realmente precettore (cioè fu incaricato dell’edu-cazione dei ragazzi) in una casa aristocratica ed ebbe così modo di os-servare in prima persona i comportamenti del “bel mondo”. Il protago-nista del poemetto è appunto il Giovin Signore, tipico esempio del no-bile settecentesco superficiale e ignorante, sprofondato nel lussoozioso e incurante della realtà che lo circonda.

L’opera ha inizio all’alba, quando i contadini e gli operai iniziano la lo-ro giornata di duro lavoro, e il Giovin Signore si è appena addormen-tato dopo una notte di svaghi mondani. Più tardi si dedicherà a unaserie di “faticose” operazioni, come fare colazione, ricevere i maestridi canto e di ballo, pettinarsi e incipriarsi. A mezzogiorno, durante il pranzo, il Giovin Signore avrà modo di sfog-giare la sua apparente cultura, mentre dedicherà la notte al gioco: sipreparano i tavoli ed è a questo punto che il poemetto si interrompe.

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giuseppe parini

Nato nel 1729 a Bosisio, in Brianza, da una famiglia modesta, Giuseppe Parini stu-dia a Milano, dove nel 1754 si fa sacerdote. Divenuto precettore presso i duchi Ser-belloni, partecipa attivamente alla vita intellettuale della Milano illuminista. Nel1763 dà alle stampe le prime due parti del poemetto Il Giorno, cioè Il Mattino e IlMezzogiorno. Alla terza, Il Vespro, lavora dal 1767 fino al 1780, anno in cui inizial’ultima, La Notte, che però non porta a termine. La fama ottenuta fa sì che, nel1769, riceva l’incarico da parte del governo austriaco di dirigere il giornale la “Gaz-zetta di Milano”. Scrive anche numerose odi, tra cui la più famosa è La caduta(1785). Quando i Francesi occupano Milano cacciando gli Austriaci, Parini, fedeleal suo impegno civile, entra a far parte della Municipalità, tentando di opporsi ainuovi occupanti. E proprio l’anno del ritorno degli Austriaci (1799) il poeta muore.

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La vergine cucciaDurante il pranzo, uno dei nobili commensali, che è vegetariano, si sca-glia contro chi si ciba della carne degli animali, ai quali vanno tutto ilsuo amore e la sua comprensione. La dama, commossa, rievoca allora unepisodio tristissimo che rivela quanto sia sensibile e delicata.

… Or le sovviene il giorno,ahi fero giorno! allor che la sua bellavergine cuccia de le Grazie alunna,

520 giovenilmente vezzeggiando, il piedevillan del servo con l’eburneo dentesegnò di lieve nota: ed egli audacecon sacrilego piè lanciolla: e quellatre volte rotolò; tre volte scosse

525 gli scompigliati peli, e da le mollinari soffiò la polvere rodente.Indi, i gemiti alzando: «Aita, aita»,parea dicesse; e da le aurate volte a lei l’impietosita Eco rispose:

530 e dagl’infimi chiostri i mesti serviasceser tutti; e da le somme stanzele damigelle pallide, tremanti,precipitaro. Accorse ognuno; il volto fu spruzzato d’essenze a la tua dama;

535 ella rinvenne alfin: l’ira, il dolorel’agitavano ancor; fulminei sguardigettò sul servo, e con languida vocechiamò tre volte la sua cuccia: e questaal sen le corse; in suo tenor vendetta

540 chieder sembrolle; e tu vendetta avesti,vergine cuccia de le Grazie alunna.

parini e la poesia 213

519. le Grazie: sono le tredivinità greche simbolodella bellezza. La cagnettaè educata al culto del bel-lo, come fosse una nobiledama.529. Eco: è l’eco, personifi-cata con il nome della nin-fa che secondo la favoladel poeta latino Ovidio vi-ve tra i monti solo comevoce.533. il volto … dama: ladama è svenuta per il do-lore e rinviene con qual-che spruzzata di essenze.Viene detta «tua» perchéè la confidente del GiovinSignore a cui il poeta si ri-volge.539. in suo tenor: nel suolinguaggio, vale a dire cor-rendo tra le braccia dellapadrona.

Ora [la dama] ricorda il giorno, ahimè crudele giorno, quando la sua bella cagnetta, al-levata dalle Grazie, (520) giocando come fanno i cuccioli con i suoi dentini d’avorio se-gnò con un lieve morso il piede rozzo di un servo; e costui, sconsiderato, la sollevò peraria col suo piede empio; e quella rotolò per tre volte, per tre volte scosse (525) i peliarruffati e dalle morbide e umide narici soffiò la polvere irritante. Poi, con i suoi guaiti, pareva che dicesse “aiuto, aiuto”; e dai dorati soffitti [delle sa-le] Eco impietosita ripeteva i suoi lamenti: (530) e dai più bassi cortili salirono tristitutti i servi; e dalle stanze dei piani superiori si precipitarono le cameriere pallide e tre-manti. Tutti accorsero: il volto della tua dama fu spruzzato di essenze [profumate];(535) alla fine lei riprese conoscenza: l’ira e il dolore l’agitavano ancora; gettò sguardifulminanti sul servo e con voce carezzevole chiamò tre volte la sua cagnetta: e questale corse in braccio e a suo modo (540) sembrò chiederle vendetta. E vendetta tu otte-nesti, bella cagnetta allevata dalle Grazie.

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L’empio servo tremò; con gli occhi al suoloudì la sua condanna; a lui non valse merito quadrilustre; a lui non valse

545 zelo d’arcani uffici: in van per lui fu pregato e promesso; ei nudo andonne, dell’assisa spogliato ond’era un giorno venerabile al vulgo. In van novello signor sperò; ché le pietose dame

550 inorridiro, e del misfatto atroceodiâr l’autore. Il misero si giacquecon la squallida prole e con la nudaconsorte a lato su la via spargendoal passeggiere inutile lamento:

555 e tu, vergine cuccia, idol placatoda le vittime umane, isti superba.

da G. Parini, Il Giorno, Il Mezzogiorno, Mondadori

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Il servo colpevole tremò; con lo sguardo a ter-ra ascoltò la sua condanna; non gli giovò [asalvarlo dal castigo] l’aver fedelmente servitonella casa per vent’anni, (545) né l’impegno[messo nel portare a termine] incarichi segre-ti e delicati; inutili furono le preghiere e lepromesse; egli dovette allontanarsi privo diquella livrea che un tempo lo rendeva degno diinvidia dalla gente. Invano sperò [di trovare]un nuovo padrone; perché le buone dame(550) inorridivano e odiavano l’autore dell’or-ribile delitto. Il povero [servo], con i figli pal-lidi e la moglie privata di tutto, si trovò sullastrada, chiedendo inutilmente l’elemosina aipassanti: (555) e tu, bella cagnetta, idolo pla-cato dalle vittime umane, andasti superba.

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to 1.Quale grave “delitto” ha commesso il servo?

2. Come viene giudicato il piede del servo, autore di un tale misfatto? Indica i due aggettivi utiliz-zati da Parini.

3. Cosa fanno i domestici e le damigelle quando sentono i guaiti della cagnetta?

4. Come reagisce la dama? Perché le vengono spruzzate essenze profumate sul viso?

5.Parini definisce le dame «pietose» (v. 549), ma usa questo aggettivo in senso ironico, cioè vo-lendo dire il contrario. Perché? Per rispondere rifletti sul loro comportamento.

6. In che modo si conclude la triste storia? Racconta brevemente.

544. quadrilustre: il lustroè un periodo di cinque an-ni, per cui significa “perventi anni”.547. assisa: è la livrea,cioè l’abito indossato daidomestici per svolgere illavoro.555. idol … superba: lacagnetta, simile a una deaplacata dalle vittime chele vengono sacrificate, èfiera di aver ottenuto ven-detta.

COMMENTOQuello che hai letto è uno dei brani più sarcastici e in-sieme più drammatici di tutto Il Giorno. Il sarcasmo(cioè l’ironia amara e pungente) colpisce la figura del-la dama, il cui comportamento è così insensato, da in-durre immediatamente il lettore a un giudizio negati-vo sulla nobiltà settecentesca. La dama che adora lapropria cagnetta e, per l’offesa a essa arrecata, rovinaun uomo e la sua famiglia non è solo sciocca, ma an-che malvagia, incapace di giudicare con equilibrio epronta a sfruttare la sua posizione per colpire i più de-boli. A questo punto il sorriso cede il posto all’amarez-za e alla ribellione nei confronti di un mondo ingiusto,di cui la cagnetta diventa una sorta di grottesco idolo.

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Il quadro storico-politico

NAPOLEONE, LA RESTAURAZIONE, IL RISORGIMENTOAll’indomani della Rivoluzione francese salì al pote-re Napoleone Bonaparte, che impose l’egemoniadella Francia su larga parte dell’Europa. Se la pre-senza delle armate napoleoniche sconvolse gliequilibri politici, diffuse anche tra i popoli i valori del-la Francia rivoluzionaria: i principi della libertà e del-l’uguaglianza. Alla caduta di Napoleone seguì la Restaurazione,che riportò sui troni le dinastie che avevano regna-to prima della Rivoluzione francese e delle conqui-ste napoleoniche. Il ritorno al passato provocò unprofondo malcontento tra gli intellettuali e molti ap-partenenti al ceto borghese che, eredi dello spiritorivoluzionario, a partire dal 1820 promossero in Eu-ropa un’ondata di insurrezioni per ottenere i dirittipolitici e civili, e aprire la strada all’indipendenza deiPaesi soggetti a una potenza straniera. Il processoche portò al raggiungimento della libertà politica,dell’indipendenza e dell’unità — noto come Risor-gimento — fu lungo e difficile: l’Italia, ad esempio,ottenne la piena indipendenza e l’unità tra il 1861e il 1870. E sempre nel 1870, i vari Stati della Ger-mania si unificarono sotto la guida della Prussia.

LO SVILUPPO INDUSTRIALE E LE COLONIEL’ultimo trentennio dell’Ottocento si caratterizzò per iltrionfo della grande industria, reso possibile dai pro-gressi realizzati in campo scientifico e tecnologico, co-

me la messa a punto di un nuovo procedimento perla produzione dell’acciaio e la scoperta dell’elettricità. Per reperire le grandi quantità di materie prime ne-cessarie alle loro industrie, e al tempo stesso pertrovare nuovi mercati alle merci prodotte, le grandipotenze europee (soprattutto l’Inghilterra e la Fran-cia, ma anche la Germania) procedettero all’occu-pazione di vasti territori in Asia e Africa, attuandouna vera e propria politica di conquiste coloniali. L’espansione coloniale dilatò il potere economico de-gli Stati che ne erano stati promotori. Si ampliarono leindustrie e se ne svilupparono di nuove, che si dota-rono di macchinari sempre più efficienti e di una ma-nodopera ben organizzata. Questa potenza econo-mica evidenziò però il grande divario fra due classisociali: da una parte quella, potente ma poco nume-rosa, dei grandi industriali proprietari delle fabbriche,dei macchinari, delle materie prime e delle merci;dall’altra il proletariato, cioè la massa degli operaiche “possedevano” soltanto la prole (i figli) e la mise-ria. Il proletariato industriale, che all’inizio dell’Otto-cento era un’esigua minoranza, divenne la classe so-ciale più consistente nei principali Paesi europei eprese sempre più coscienza dello sfruttamento a cuiera sottoposto. Nacque in questo periodo la cosid-detta lotta di classe, promossa soprattutto dagli intel-lettuali, tra cui il tedesco Karl Marx, secondo la qualeil proletariato doveva battersi per eliminare le con-traddizioni della società dominata dalla borghesia.

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Il quadro culturaleIL ROMANTICISMO Il panorama culturale ottocentesco è dominato dalRomanticismo, un movimento che coinvolge nonsolo la letteratura, ma anche le arti figurative, la musi-ca e in generale il pensiero. Il Romanticismo privilegial’irrazionalità e dunque il sentimento — inteso comeinsieme di passioni, istinto e fantasia creatrice — le

emozioni, il sogno, la fantasticheria, la dimensionespirituale e religiosa. Nato in Germania tra la fine delSettecento e i primi anni dell’Ottocento per iniziativadi un gruppo di letterati e filosofi, tra cui i fratelliSchlegel, il Romanticismo presenta molte differenzea seconda del Paese europeo in cui si diffonde, masi caratterizza per una serie di tematiche ricorrenti.

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I TEMI: STORIA, PASSATO, NAZIONE, POPOLO Il tema su cui si concentra maggiormente il pen-siero romantico è quello della storia, concepitacome un processo continuo attraverso il quale lospirito dell’umanità si sviluppa per fasi successive.Ciascuna fase è espressione della cultura del pro-prio tempo e, contemporaneamente, momentodi partenza per quella successiva. Ed è proprioper questo che gli intellettuali romantici recupera-no il passato, studiando tra l’altro con passionetutto ciò che fa parte di esso: non solo le vicendestoriche, dunque, ma anche i miti, le fiabe, le tra-dizioni. Si afferma inoltre in questo periodo il concetto dinazione, intesa non soltanto in senso geografico epolitico, ma anche in senso spirituale e culturale:come patria che accomuna un popolo, cioè tutticoloro che condividono il medesimo patrimonio ditradizioni e civiltà.

I TEMI: AMORE E MORTE Un ruolo privilegiato ebbe anche il tema dell’amo-re: l’uomo romantico, dotato di particolare sensibi-lità, vive questo sentimento come passione travol-gente e in esso sembra quasi annullarsi. Fonte digioia sovrumana se corrisposto, il più delle voltel’amore è un desiderio che non può essere realizza-to, e allora chi ama senza essere ricambiato è pre-da di una straziante inquietudine, di un’infelicitàprofonda che induce alla morte. Amore e mortesono dunque due esperienze estreme spesso uni-te tra loro.

I TEMI: LA NATURA E L’INFINITO Anche la natura assume un significato particolarenella cultura romantica, in quanto su di essa moltospesso si proietta la profonda inquietudine dell’uo-mo che, insofferente a ogni limite e costrizione, tro-va un riflesso di se stesso nelle manifestazioni gran-diose (il cosidetto “sublime”) della natura, come ilmare scosso da furiose tempeste o le catastroficheesplosioni di un vulcano. Il sublime turba e allo stesso tempo affascina l’uo-mo, allontanandolo dalla realtà quotidiana che nonlo soddisfa più. L’ansia e l’infelicità che nascono dalcontrasto tra ideale e reale possono trovare pacesolo quando l’anima riesce a cogliere il senso del-l’infinito (sia esso la morte, sia esso Dio) a cui ane-la l’uomo romantico.

IL ROMANTICISMO IN ITALIA In Italia il Romanticismo sviluppò essenzialmenteuna letteratura patriottico-nazionale, i cui esponentiprincipali furono Giovanni Berchet, autore di poe-sie ispirate all’amore per la patria, Silvio Pellico, cherievoca in un romanzo la sua prigionia in un carce-re austriaco, e Massimo D’Azeglio, uomo politico eletterato. I principali autori di questo periodo sono però UgoFoscolo, Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni,nelle cui opere sono presenti i motivi tipicamenteromantici.Per Ugo Foscolo, costretto dalle vicende politiche al-l’esilio in terra straniera, assume grande valore l’amo-re per la patria e, ad esso collegato, l’interesse per latradizione storica: il passato diventa infatti per lui unafonte perenne alla quale attingere gli ideali che devo-no sorreggere l’uomo nel corso della sua storia. La produzione lirica di Giacomo Leopardi, che haesercitato un profondo influsso sulla poesia italiana fi-no ai nostri giorni, si caratterizza invece per una gran-de musicalità, ma soprattutto per la visione amara epessimistica della vita che è alla base di essa. Attraverso il romanzo storico, infine, AlessandroManzoni afferma i valori morali che più gli stanno acuore, con lo scopo di indurre il lettore a una rifles-sione profonda che lo guidi nella sua vita quotidiana.

IL POSITIVISMONella seconda metà dell’Ottocento si sviluppa unnuovo atteggiamento culturale. La fiducia nel pro-gresso, consolidato dallo sviluppo dell’industrializza-zione, si riflette infatti anche nell’indagine sui com-portamenti dell’individuo. Si pensa che, attraversouno studio accurato simile a quello utilizzato nellescienze naturali, si possa trovare anche un mezzoper liberare l’uomo dai suoi vizi, avviandolo verso ilbenessere e la felicità. Questo nuovo modo di concepire la realtà prendeil nome di Positivismo perché basato sui fatti, cioèsul dato “positivo”, e non sulle creazioni della fanta-sia o del sentimento come accadeva nel Romanti-cismo.Alla rigorosa indagine dei fenomeni concreti che ca-ratterizza la cultura positivistica si affianca, sul pianoletterario, la rappresentazione oggettiva della realtà:lo scrittore non assume più il ruolo di interpretecommosso della vicenda e non si fa più guidaredall’immaginazione e dal sentimento, bensì dal-

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l’analisi oggettiva dei fatti. Scomparsi gli eroi delleavventure e dei sogni romantici, i protagonisti ap-partengono alla borghesia, spesso caratterizzata dasmisurate ambizioni, o alla classe dei diseredati, deiquali viene rappresentata la miseria fisica e morale,ma anche le ingiustizie subite.

IL ROMANZO NATURALISTA Il primo scrittore che applicò il Positivismo alla lette-ratura, e in particolare al romanzo, fu il franceseÉmile Zola (1840-1902), che dette vita alla cor-rente del Naturalismo. Secondo Zola nel romanzosi doveva ricorrere agli stessi procedimenti scientifi-ci che venivano applicati alla medicina, una scienzabasata sulla formulazione di ipotesi da “sperimenta-re”, cioè da mettere alla prova per ricavarne delleleggi valide universalmente. Anche il romanzo do-veva essere sperimentale, cioè seguire un procedi-mento ben preciso: doveva infatti partire dall’anali-si dell’ambiente materiale, morale, sociale da cui èinfluenzato l’uomo. In sostanza, con il Naturalismoil romanzo diventa un “documento umano”, in cuilo scienziato-scrittore indaga scientificamente tuttele leggi che regolano i pensieri, i sentimenti e leazioni degli individui.

IL VERISMO ITALIANO Nella seconda metà dell’Ottocento il Naturalismo,diffondendosi dalla Francia in Italia, assume il nomedi Verismo. Tale termine deriva dalla preferenza ac-cordata dagli scrittori al “vero”, cioè dall’attenzione daloro rivolta al fatto accaduto, al cosiddetto “docu-mento umano”, che viene rappresentato secondo imetodi delle scienze sperimentali. Gli autori più rap-presentativi della corrente verista sono i siciliani Lui-gi Capuana e Giovanni Verga, cui si affiancano ilnapoletano Federico De Roberto (che però am-bienta il suo romanzo principale, I vicerè, a Catania)e Grazia Deledda, alle cui storie fa da sfondo la na-tia Sardegna. Tali scrittori rivolgono il proprio interesse al mondoumile ma dignitoso dei contadini, dei pastori, dei pe-scatori delle rispettive regioni, a cui danno voce neiloro romanzi e nelle loro novelle.

La prosa è la forma più adatta a rappresentare i “ca-si” umani con il rigore e l’impassibilità di uno scien-ziato, cioè a descrivere ambienti, fatti e personagginella loro realtà. Di poesia realista si può invece parlare solo nelsenso che il poeta prende spunto da fatti e situa-zioni della realtà contemporanea e tende a espri-merli con un linguaggio chiaro e facilmente com-prensibile; caratteristica, questa, che mantiene an-che quando affronta temi personali, il rapporto conla natura, la memoria del proprio passato, la storiadella patria. Principale rappresentante della poesiarealista è Giosue Carducci, critico letterario e poe-ta che ebbe grande influenza nel panorama cultu-rale italiano.

L’EROE ROMANTICO, IL PATRIOTA E IL BORGHESE Contraddittorio in molte sue manifestazioni, il Ro-manticismo presenta due volti diversi: da una par-te, una tendenza lirica e soggettiva, volta all’indagi-ne dell’io e lacerata dal contrasto tra ideale e reale;dall’altra, una tendenza storico-realistica caratteriz-zata dall’impegno civile e politico. Se dunque figuradi spicco di questa epoca storica e culturale è l’eroeromantico — che come gli antichi titani (i mitici figlidella Terra che cercarono invano di scalare l’Olim-po) cerca di superare il contrasto tra la grandezzadele proprie aspirazioni e i limiti della realtà in cui sitrova a vivere — lo è altrettanto il patriota di idee li-berali, protagonista dell’ondata di moti rivoluzionariche, in nome della libertà e dell’amore per la patria,attraversò l’Europa a partire dalla prima metà delsecolo. Accanto a loro, domina la società dell’epoca la fi-gura del borghese, esponente di una classe so-ciale non omogenea, ma caratterizzata da uno sti-le di vita segnato dall’individualismo, dalla rispetta-bilità e dal decoro esteriore, tanto che una quotacospicua delle spese delle famiglie borghesi di uncerto livello veniva destinata all’abbigliamento: ilcolletto bianco e la cravatta indossata dal borghe-se dedito al lavoro intellettuale, rendevano evi-dente la distanza che lo separava dall’operaio edal contadino.

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1. Ognuna delle seguenti frasi, riferite al Romanticismo, contieneun errore. Sottolinealo e riscrivi le frasi correggendole. a. privilegia la razionalità e dunque il sentimento, il sogno, ladimensione spirituale

b. ha origine in Francia tra la fine del Settecento e i primi annidell’Ottocento

c. nasce per iniziativa di un gruppo di letterati e filosofi, tra cui ifratelli Berchet

2. Indica a quale tema presente nella cultura del Romanticismo siriferiscono le frasi.a. è un sentimento spesso non corrisposto, che suscita perciò unaprofonda infelicità …………………….

b. è un concetto che accomuna un popolo, cioè tutti coloro chehanno lo stesso patrimonio di tradizioni …………………….

c. si caratterizza per le manifestazioni grandiose in cui trova unriflesso di se stesso l’uomo che non tollera limiti e costrizioni…………………….

d. è un processo continuo attraverso il quale lo spirito dell’umanità si sviluppa per fasi successive …………………….

e. si manifesta sotto forme diverse (la morte, Dio, ecc.), nelle qualitrova pace l’anima dell’uomo …………………….

3. Scrivi a quale scrittore italiano del Romanticismo si riferisconole frasi. a. vuole indurre il lettore a una riflessione profonda che lo guidi nellasua vita quotidiana …………………….

b. si caratterizza per la visione amara e pessimistica della vita che èalla base della sua poesia …………………….

c. attribuisce grande valore all’amore per la patria e all’interesse perla tradizione storica …………………….

4. Indica quali delle seguenti frasi possono essere riferite alNaturalismo. a. il suo autore più importante è Giovanni Berchetb. è basato sui fatti e sulla loro analisi oggettivac. trova espressione soprattutto nella poesiad. il suo autore più importante è Èmile Zola

5. Indica quali delle seguenti frasi possono essere riferite al Verismo.a. i suoi autori più rappresentativi sono Capuana e Vergab. si diffonde dall’Italia alla Francia nella prima metà dell’Ottocentoc. ha come principale rappresentante il poeta Ugo Foscolod. narra i fatti secondo i metodi delle scienze sperimentalie. rappresenta la realtà di ambienti e personaggi mediante la poesiaf. si diffonde in Francia, dove assume il nome di Naturalismo

Verifica

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Foscolo e il Romanticismo

Primo, in ordine di tempo, fra i protagonisti del Romanticismo ita-liano è Ugo Foscolo. Nella sua opera, sia in prosa che in poesia, Fo-scolo manifesta la sua appartenenza a questa corrente letteraria,non escludendo però i temi cari ai classici, che celebravano la poe-sia come canto della bellezza e dell’armonia delle cose. Perciò vieneconsiderato non solo un romantico, ma anche un “neoclassico”, va-le a dire un autore che si ispira all’arte degli antichi Greci e Roma-ni considerandola un modello di perfezione formale ed equilibrio.

Nel complesso della sua opera si possono dunque individuare en-trambi i movimenti letterari: quello neoclassico e quello romantico.Al primo appartengono le Odi e Le Grazie, celebrazione della bellez-za e dell’armonia che riescono ad acquietare le angosce dell’animoumano; del secondo fanno invece parte le Ultime lettere di JacopoOrtis, i Sonetti e il carme Dei Sepolcri.

Il romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis ha come tema centralequello dell’infelicità e della disperazione, sia sul piano politico siain ambito personale. Jacopo, giovane e passionale rivoluzionarioveneziano in cui si riflette la natura dello stesso Foscolo, è infattiindotto al suicidio dalla terribile delusione procuratagli da Napoleo-ne con la cessione del Veneto all’Austria e dalla disperazione per unamore non corrisposto. Nei Sonetti dominano, invece, il tema del-l’amore e degli affetti familiari, la nostalgia dell’isola natale e ilpresentimento dell’esilio. Il carme Dei Sepolcri, infine, è incentratosul desiderio di salvare ciò che è grande e bello dalla morte, dal nul-la eterno a cui tutte le cose e l’uomo stesso sono destinati.

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L’ O T T O C E N T O

ugo foscolo

Ugo Foscolo nasce nel 1778 a Zante, nelle isole Ionie, ma ben presto si trasferisce conla famiglia a Venezia, dove partecipa attivamente alla vita politica. Arruolatosi nel-l’esercito napoleonico, rimane deluso dalla politica francese e abbandona Venezia involontario esilio. A soli venti anni scrive il romanzo epistolare Ultime lettere di JacopoOrtis, più volte modificato nel corso del tempo. Gli anni successivi lo vedono a Milano,a Genova, a Firenze, impegnato in missioni militari, in travolgenti passioni amorose enella stesura di dodici Sonetti e due Odi. Al 1806 risale la composizione del carme DeiSepolcri e al 1812-1814 quella del poemetto Le Grazie, rimasto però incompiuto. Conil ritorno degli Austriaci a Milano in seguito alla caduta di Napoleone, Foscolo si rifu-gia prima in Svizzera, poi nei pressi di Londra, a Turnham Green, dove muore nel 1827.Nel 1871 le sue ossa vengono trasferite a Firenze nella chiesa di Santa Croce.

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Io non raggiungerò mai più le coste venerate dove vissi da bambino, o mia Za-cinto, che ti specchi nelle onde del mare greco dove nacque can-dida (5) Venere, che col suo primo sorriso rese fertili quelleisole, il cui limpido cielo e la cui vegetazione ispirarono la

poesia illustre di colui che cantò le disav-venture per mari avversi e il diversoesilio (10) di Ulisse, il quale, nobi-litato dalla fama delle sue sventu-re, poté [infine] baciare la terradella sua [patria] Itaca rocciosa.

Tu, o mia terra materna, di tuo figlio nonpotrai avere che la poesia: a me il destino ha ri-servato un sepolcro senza lacrime.

4. greco mar: è il Mar Io-nio, in cui si trova l’isoladi Zante (chiamata qui conil nome greco antico di Za-cinto), dove Foscolo è na-to. Secondo il mito, anchela dea della bellezza, Vene-re, era nata nel Mar Ionio.8. inclito: nobile, illustre,glorioso. – di colui … Ulis-se: è il poeta Omero, checantò nel suo poema le pe-regrinazioni di Ulisse pri-ma di giungere all’isola diItaca. L’esilio dell’eroe vie-ne definito “diverso” per-ché ha luogo tra genti di-verse e in differenti dire-zioni.

A ZacintoNé più mai toccherò le sacre spondeove il mio corpo fanciulletto giacque,Zacinto mia, che te specchi nell’ondedel greco mar da cui vergine nacque

5 Venere, e fea quelle isole fecondecol suo primo sorriso, onde non tacquele tue limpide nubi e le tue frondel’inclito verso di colui che l’acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio,10 per cui bello di fama e di sventura

baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,o materna mia terra, a noi prescrisseil fato illacrimata sepoltura.

da U. Foscolo, Sonetti, Mondadori

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L’ O T T O C E N T O

COMMENTONella sua dolorosa condizione di esule, Foscolo rievoca, attraverso lamemoria, l’immagine della patria per sempre perduta: Zacinto. L’isolagli appare collocata in uno spazio e un tempo remoti, sede di antichedivinità, eroi, poeti. Di questa visione mitica fa parte la figura di Ulis-se, esule anch’egli, costretto a vagare per luoghi stranieri e tra popolilontani ma, diversamente dal Foscolo, così fortunato da poter infinetornare in patria, riunendosi agli affetti familiari. Non così per il poe-ta italiano: un destino ben più avverso lo ha infatti condannato a unesilio da cui non c’è ritorno, e dunque alla sua terra potrà dedicare so-lo un appassionato canto d’amore. È questa l’unica certezza che illumi-na la vita di Foscolo, non confortata dagli affetti neppure nella morte,perché nel suo futuro il poeta vede soltanto una tomba in terra stra-niera, sulla quale nessuno piangerà.

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1. La poesia inizia con una frase in forma negativa, che in pratica neriassume il contenuto. Quale? Spiegala con parole tue.

2. Cos’è Zacinto? Cosa rappresenta per il poeta?

3. Le coste dell’isola sono definite «sacre» anche in riferimento alla mi-tologia. Perché? Spiega questa affermazione.

4. La bellezza di Venere si trasmette anche ai luoghi, che sono resi vitalie fertili dalla presenza della dea. Quali versi esprimono questo concet-to? Sottolineali.

5.Nelle prime due strofe della poesia sono presenti alcune parole che in-dicano aspetti e fenomeni della natura. Quali sono? Individuale e tra-scrivile.

6. Il poeta crea una sorta di identità tra Ulisse e se stesso. Giustificaquesta affermazione.

7. In cosa l’esilio di Ulisse e quello del poeta sono diversi?

8. Che significato ha l’espressione «illacrimata sepoltura»?

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In morte del fratello GiovanniUn dì, s’io non andrò sempre fuggendodi gente in gente, me vedrai sedutosu la tua pietra, o fratel mio, gemendoil fior de’ tuoi gentil anni caduto.

5 La Madre or sol suo dì tardo traendoparla di me col tuo cenere muto,ma io deluse a voi le palme tendoe sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete10 cure che al viver tuo furon tempesta,

e prego anch’io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!Straniere genti, almen le ossa rendeteallora al petto della madre mesta.

da U. Foscolo, Sonetti, Mondadori

O fratello mio, un giorno se io non sarò sempre co-stretto a fuggire di paese in paese, mi vedrai sedu-to sulla tua tomba a piangere la tua giovinezzastroncata dalla morte. (5) Ora soltanto nostra madre, portando avanticon fatica i giorni della vecchiaia, parla di me conle tue ceneri che non possono rispondere, ma io,deluso, tendo a voi le mani e posso salutare so-lo da lontano la mia patria. (10) Sento anch’io le avversità del destino ele angosce che hanno turbato la tua vita edesidero anch’io la quiete che tu hai tro-vato nella morte. Delle tante speranzeche ho avuto mi resta solo questa:popoli stranieri quando sarò mortorestituite almeno le mie ossa al-l’abbraccio di mia madre prova-ta dal dolore.

8. i miei tetti: la casa ma-terna, sentita come pro-pria.9. secrete cure: tormentiinteriori.10. al viver … tempesta:che sconvolsero la tua vitaspingendoti al suicidio.11. prego: invoco. – neltuo porto: la morte è sen-tita come un quieto puntodi arrivo dopo gli affannidella vita. 14. al petto: all’affetto,all’amorosa memoria.

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L’ O T T O C E N T O

COMMENTONel dicembre del 1801 Giovanni Dionigi, fratello minore di Ugo Fosco-lo, si suicidò sopraffatto dai debiti di gioco e forse da una delusioneamorosa. Il poeta, che in quel periodo si trovava a Milano in esilio, scrisse perlui un sonetto in cui esprimeva tutto il suo dolore esistenziale e unprofondo sconforto. Come in altre composizioni, il fatto autobiogra-fico offre a Foscolo lo spunto per trattare alcuni dei suoi temi prefe-riti: la lontananza dalla patria a causa dell’esilio, le angosce che vi-vono nel suo animo, il problema della sepoltura. Nelle prime righe compaiono riferimenti ad alcuni versi con cui il poe-ta Catullo volle commemorare la morte del proprio fratello («Dopoaver traversato terre e mari»). Tuttavia, mentre Catullo riuscì a rag-giungere le spoglie del suo caro, seppure dopo un lungo viaggio, ciònon accade a Foscolo che, esiliato, non potè tornare a casa e confor-tare la madre in questo momento di grande dolore. Il poeta si sentecondannato dal destino a una continua fuga e nel suo animo si apreun’unica speranza: che al momento della sua morte le ceneri possanoessere restituite alla madre. Solo allora, infatti, il poeta immagina dipoter ritrovare quella pace di cui non ha potuto godere prima.

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1.Quale dolore familiare ha colpito Ugo Foscolo nel dicembre del 1801?

2.Quale tema elabora il poeta nel sonetto?a. il viaggio come momento di scopertab. il dolore per un affetto familiare non corrispostoc. la paura della morted. il dolore per la condizione di esule e per l’impossibilità di tornarein patria

3. Con quali espressioni Foscolo si riferisce alla madre?

4.Quale desiderio esprime il poeta nel sonetto? Cosa chiede alle «stra-niere genti»?

5. Il lessico utilizzato nel sonetto è arricchito dalla presenza di moltefigure retoriche. Che cosa significa, ad esempio, la metafora «ge-mendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto»?a. ponendo i fiori sulla tombab. bagnando i fiori di lacrimec. piangendo la tua giovinezzad. lamentandomi per il dolore

6. Il termine «porto» è una metafora per indicare:a. la poesia c. la vitab. il sogno d. la morte

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L’urne de’ fortiA egregie cose il forte animo accendonol’urne de’ forti, o Pindemonte: e bellae santa fanno al peregrin la terrache le ricetta. Io quando il monumento

155 vidi ove posa il corpo di quel grande,che temprando lo scettro a’ regnatori,gli allòr ne sfronda, ed alle genti sveladi che lagrime grondi e di che sangue;e l’arca di colui che nuovo Olimpo

160 alzò in Roma a’ Celesti; e di chi videsotto l’etereo padiglion rotarsipiù mondi, e il Sole irradïarli immoto,onde all’Anglo che tanta ala vi stesesgombrò primo le vie del firmamento:

165 – Te beata, gridai, per le feliciaure pregne di vita, e pe’ lavacriche da’ suoi gioghi a te versa Appennino!Lieta dell’äer tuo veste la Lunadi luce limpidissima i tuoi colli

170 per vendemmia festanti, e le convallipopolate di case e d’olivetimille di fiori al ciel mandano incensi:

Le tombe degli uomini grandi (urne de’ forti) infiammano l’animo nobile a [compiere]grandi imprese, o Pindemonte, e rendono bella e sacra [agli occhi del] forestiero (pere-grin) la terra che le accoglie (ricetta). Quando vidi la tomba (155) di quel grande che, rendendo più saldo il potere ai regnan-ti, toglie ad esso le sue apparenze gloriose e svela alla gente quante lacrime e quantosangue grondi [quel potere]; e [quando vidi] la tomba di colui, il quale (160) eresse aRoma una nuova sede alle divinità; e [quando vidi quella] di colui, il quale intuì che sot-to la volta celeste (etereo padiglion) ruotano più pianeti e che il Sole li illumina restan-do immobile, e così (onde) per primo eliminò ogni ostacolo dalla via [che conduce] allescoperte astronomiche dell’inglese, che vi si applicò con tanto ingegno (tanta ala vi ste-se); (165) beata te [o Firenze] gridai, per la tua aria pura e densa di vita, e per i torren-ti che purificano (lavacri), che l’Appennino fa scendere a te dalle sue catene montuose!La Luna, rallegrata dalla tua aria, riveste di una limpidissima luce i tuoi colli (170) infesta per la vendemmia; e le vallate, popolate di case e di oliveti, mandano al cielo mil-le profumi di fiori.

155. di quel grande … san-gue: di Niccolò Machiavel-li, che nel suo trattato IlPrincipe insegnò l’arte digovernare ai regnanti, sve-lando al tempo stesso co-me il potere si basi sullesofferenze imposte ai sud-diti. Il verbo “temprare”indica l’operazione a cuiviene sottoposto il metalloper renderlo più resistente;in questo caso indica il raf-forzamento del potere delprincipe. L’espressione «gliallor ne sfronda», letteral-mente “toglie gli allori”,significa “priva il potereregale delle apparenze digloria che lo circondano”. 159. di colui … Celesti: diMichelangelo, che eresse aRoma la cupola di San Pie-tro, dal Foscolo paragona-ta al monte Olimpo, sededegli dèi dell’antica Grecia. 160. di chi … immoto: diGalileo Galilei, che median-te il telescopio vide piùpianeti ruotare nel cielo e ilSole, al centro, illuminarlirestando immobile; si trat-ta della teoria eliocentricache aprì la strada alle sco-perte dello scienziato in-glese Isaac Newton.

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e tu prima, Firenze, udivi il carmeche allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,

175 e tu i cari parenti e l’idïomadesti a quel dolce di Calliope labbroche Amore in Grecia nudo e nudo in Romad’un velo candidissimo adornando,rendea nel grembo a Venere Celeste.

180 Ma più beata ché in un tempio accolteserbi l’itale glorie, uniche forseda che le mal vietate Alpi e l’alternaonnipotenza delle umane sortiarmi e sostanze t’invadeano ed are

185 e patria e, tranne la memoria, tutto.Che ove speme di gloria agli animosiintelletti rifulga ed all’Italiaquindi trarrem gli auspici. E a questi marmivenne spesso Vittorio ad ispirarsi.

da U. Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 151-189, Rizzoli

E tu per prima, o Firenze, udisti il canto poetico che al-leviò lo sdegno dell’esule ghibellino; (175) e tu desti icari genitori e la lingua a quella dolce voce poetica che,rendendo spirituale la poesia amorosa (Amore… d’unvelo candidissimo adornando) celebrata sensualmente(nudo) nell’antica Grecia e a Roma, la poneva in grem-bo a Venere celeste [rendendola casta].(180) Ma [sei] ancora più fortunata [o Firenze] perchéconservi in un’unica chiesa le glorie italiane, forse leuniche [rimaste] da quando le Alpi mal difese (malvietate) e l’alternarsi della potenza fra le diverse na-zioni ti strapparono la forza militare, le ricchezze (so-stanze), le chiese (are), (185) il territorio della patriae, tranne il ricordo [del tuo glorioso passato], tutto.[Fortunata sei ancora, Firenze] perché se un giornosplenderà negli spiriti coraggiosi e nell’Italia la spe-ranza di [una nuova] gloria, di qui trarremo [buoni]auspici. E a queste tombe veniva spesso Vittorio pertrarne ispirazione.

174. Ghibellin fuggiasco:è Dante, che fu un guelfobianco, ma da esule si av-vicinò ai Ghibellini.175. i cari parenti … Cele-ste: si tratta di FrancescoPetrarca, nato ad Arezzoda genitori fiorentini, chescrisse la sua poesia, ispi-rata da Calliope (musa del-la lirica), in fiorentino. 180. in un tempio: nellachiesa di Santa Croce, a Fi-renze. 188. quindi: dalla chiesadi Santa Croce. 189. Vittorio: è Vittorio Al-fieri, anch’egli sepolto inSanta Croce, sentito da Fo-scolo come un’anima fra-terna, cioè con sentimentiaffini ai suoi.

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COMMENTOIl carme Dei Sepolcri, dal quale è trat-to il passo che hai letto, prende spun-to da una discussione di Foscolo conl’amico Ippolito Pindemonte sul signi-ficato e l’importanza delle tombe. Na-poleone infatti, con l’Editto di SaintCloud, aveva disposto che le sepoltu-re fossero situate fuori delle mura del-le città e non si distinguessero l’unadall’altra con croci o lapidi. Il poeta,invece, si rende conto di quanto siagrande il valore ideale del sepolcro,che è espressione del desiderio di con-tinuare a vivere nella memoria di chiresta, di durare, cioè, oltre il breve li-mite della vita terrena. I versi che hai appena letto affronta-no un tema particolare: le tombe de-gli eroi sollecitano a compiere grandiimprese e, insieme, nobilitano le cittàche le ospita. Così la chiesa di SantaCroce a Firenze, nella quale sono se-polti grandi personaggi, rappresenta ilcentro della storia italiana.

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1. Il carme Dei Sepolcri è dedicato a IppolitoPindemonte. Sapresti dire perché?

2. Solo alcuni possono trarre un nobile incita-mento dalle tombe dei grandi. Chi?

3.Nel passo che hai letto Foscolo allude ad alcu-ni personaggi le cui tombe sono nella chiesafiorentina di Santa Croce. Chi sono?

4.Per due volte (v. 165 e v. 180) compare nelcarme l’aggettivo “beata”. A chi o a cosa si ri-ferisce? Perché viene usato questo aggettivo?Cosa vuole dire il poeta?

5. Scrivi accanto alle seguenti parole, tratte dalcarme di Foscolo, il corrispondente terminemoderno. L’esercizio è avviato.

a. urne tombe

b. aure ............................................................

c. äer ............................................................

d. convalli ............................................................

e. parenti ............................................................

f. speme ............................................................

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Leopardi, poeta romantico

La produzione letteraria di Giacomo Leopardi, che conta opere in poesia (iCanti) e in prosa (le Operette morali e alcune raccolte di Pensieri), è incen-trata su una serie di riflessioni, da cui deriva un profondo pessimismo euna dolorosa visione della vita. I concetti fondamentali della meditazio-ne leopardiana sull’uomo e sulla sofferenza possono essere ricondotti aquattro diversi nuclei tematici: la natura, la ragione, il vero, le illusioni.

Per il poeta, quando si è giovani la natura appare come una madrebuona, che fa sperare in un mondo felice. Ma una volta passata la gio-vinezza, le speranze crollano e non rimane altro che il nulla, la mortedopo un’esistenza di affanni. La natura si mostra allora per quello cheè veramente: non una madre, bensì una matrigna che inganna i suoi fi-gli promettendo la felicità e poi negandola senza alcuna pietà.

La ragione illumina il pensiero dell’uomo, dandogli la possibilità diprendere coscienza della realtà delle cose. Attraverso la ragione, l’uo-mo giunge però anche alla dolorosa scoperta dell’inutilità della vita,che rende ancora più profonda la sua angoscia.

Se però la vita è inutile, qual è l’essenza della realtà, cioè il vero? La vi-ta è solo materia: tutte le creature – destinate a nascere, riprodursi, mo-rire mosse da un meccanismo cieco e crudele – non sono altro che ma-teria. L’uomo può solo prendere atto di questa legge malvagia: non valeribellarsi, vale piuttosto creare un rapporto di solidarietà e di fraternitàcon i propri simili, tutti soggetti allo stesso destino di infelicità.

Le illusioni, infine, nascono dall’immaginazione che rende varia, riccae bella la vita. Quando però all’immaginazione subentra la ragione, leillusioni appaiono come realmente sono: di breve durata, inutili e cau-sa di false opinioni ed errori.

Su questi temi si fonda la poesia di Leopardi, che supera comunque l’aspet-to arido e freddo del pensiero per levarsi come un canto sul dolore umano.Essa si esprime attraverso i Canti, 41 componimenti così suddivisi: - canzoni civili e patriottiche; - “piccoli idilli” fra cui L’infinito, e canzoni “filosofiche” (Bruto Minore); - “grandi idilli”, come A Silvia e Il passero solitario; - poesie ispirate da un amore infelice (come A se stesso);- La ginestra, l’ultimo canto leopardiano in cui il poeta esprime le sue ri-flessioni definitive sulla sventura che accomuna gli esseri umani.

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leopardi, poeta romantico 229

giacomo leopardi

Giacomo Leopardi nasce a Recanati, nelle Marche, nel 1798. Pur trascorrendo lagiovinezza lontano dalle grandi correnti culturali, si crea con gli studi una vastacultura, che unisce la tradizione del passato agli stimoli nuovi del presente, inter-pretando con acume i principi dell’Illuminismo e del Romanticismo. Profondo pen-satore, medita sulla natura, l’universo e l’uomo: tali meditazioni trovano spaziosia nei suoi “appunti” di carattere filosofico (raccolti nello Zibaldone e nei Pensie-ri) che nei suoi scritti in prosa (Operette morali) e in versi (Canti). Gli ultimi annili trascorre a Napoli, tormentato da gravi problemi di salute che sono alleviati so-lo dalla presenza di Antonio Ranieri, un suo sincero amico. Muore nel 1837.

L’infinitoSempre caro mi fu quest’ermo colle,e questa siepe, che da tanta partedell’ultimo orizzonte il guardo esclude.Ma sedendo e mirando, interminati

5 spazi di là da quella, e sovrumanisilenzi, e profondissima quieteio nel pensier mi fingo; ove per pocoil cor non si spaura. E come il ventoodo stormir tra queste piante, io quello

10 infinito silenzio a questa vocevo comparando: e mi sovvien l’eterno,e le morte stagioni, e la presentee viva, e il suon di lei. Così tra questaimmensità s’annega il pensier mio:

15 e il naufragar m’è dolce in questo mare.

da G. Leopardi, Canti, Mondadori

Sempre mi fu caro questo colle solitario, e que sta siepe, che impedisce allo sguardo [divedere] tanta parte dell’orizzonte più lontano.Ma, quando siedo e contemplo, mi immagino, oltre quella [siepe], (5) spazi senza limi-ti, silenzi che oltrepassano la comprensione umana, e una pace profondissima; tantoche quasi il cuore [si smarrisce] impaurito. E quando sento il vento frusciare tra questepiante, (10) paragono quel silenzio infinito a questa voce: e mi viene in mente l’eter-nità, e le età passate, e [quella] presente e viva, con tutte le sue voci. Così il mio pen-siero si immerge in questa immensità: (15) e mi è dolce perdermi in questo mare.

1. colle: secondo la tradi-zione è il monte Tabor, vi-cino a Recanati.10. a questa voce: al suo-no prodotto dal vento chesoffia tra i rami.

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COMMENTOL’infinito è considerato uno dei capolavori della poesia romantica. L’oc-casione da cui nasce questo componimento è delle più comuni: il poetasi trova su un colle solitario, vorrebbe abbracciare con lo sguardo un va-sto panorama, fino all’orizzonte estremo, ma la presenza di una siepeglielo impedisce. Può però immaginare, oltre quella, l’infinità dello spa-zio, la pace assoluta, un profondissimo silenzio. La siepe è dunque ilsimbolo di tutti i limiti di tempo e spazio che impediscono all’uomo diconoscere, di vivere e agire come vorrebbe; superare tali limiti è possi-bile solo con l’immaginazione, per mezzo della quale l’uomo riesce a pro-iettarsi nell’infinito e nell’eterno, in cui prova un dolce desiderio di an-nullarsi e perdersi. I due temi fondamentali della lirica – cioè l’infinito del tempo e l’infi-nito dello spazio – costituiscono una sorta di cornice posta all’inizio ealla fine della composizione. Quel «Sempre» dà infatti l’idea di una vi-cenda che non conosce interruzioni, mentre l’espressione «questo mare»è un’immagine perfetta dell’immensità. In realtà, il poeta tocca questidue argomenti praticamente in ogni momento della sua riflessione, de-luso come è di non poter “vedere oltre”. L’apparente sconfitta, tuttavia,è ben presto dimenticata: la fantasia lo conduce a quell’infinito da cuila realtà lo tiene lontano.

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1. La poesia inizia con un riferimento al paesaggio, più precisamente uncolle e una siepe. Cosa rappresenta la siepe?a. il passaggio dalla vita alla morteb. il simbolo di tutti i limiti che impediscono all’uomo di conoscere evivere come vorrebbe

c. il ricordo del paesaggio che si vedeva dalla sua casa di campagna

2. Cosa immagina che ci sia Leopardi oltre la siepe?

3. Se inizialmente è una sensazione visiva (la siepe), successivamente èuna sensazione uditiva che fa affrontare al poeta una nuova esperien-za dell’immaginazione. Di quale sensazione uditiva si tratta? Con qualiversi viene espressa?

4.Quali pensieri suscita tale sensazione? Cosa viene in mente al poeta?

5. Cosa suscita nel cuore del poeta l’immagine di spazi senza confini e disilenzi infiniti?a. un senso di allegriab. un senso di dolorec. un senso di smarrimento

6. In quale verso Leopardi esprime un distacco totale dal mondo quoti-diano e, insieme, un sentimento di profonda dolcezza? Trascrivilo.

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A SilviaSilvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale,quando beltà splendeanegli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

5 e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi?

Sonavan le quiete stanze, e le vie dintorno,al tuo perpetuo canto,

10 allor che all’opre femminili intentasedevi, assai contentadi quel vago avvenir che in mente avevi.Era il maggio odoroso: e tu solevicosì menare il giorno.

15 Io gli studi leggiadritalor lasciando e le sudate carte,ove il tempo mio primoe di me si spendea la miglior parted’in su veroni del paterno ostello

20 porgea gli orecchi al suon della tua voce,ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela.Mirava il ciel sereno,le vie dorate e gli orti

25 e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.

Silvia ricordi ancora quel tempo della tua vita destinata alla morte quando la bellezzarisplendeva nei tuoi occhi ridenti e che sfuggivano [gli sguardi], (5) e tu, lieta e pen-sosa, salivi la soglia della gioventù (il limitare … salivi)?Risuonavano le stanze silenziose e le vie [del borgo] intorno al tuo canto continuo, (10)mentre sedevi intenta ai lavori femminili, assai contenta per un futuro immaginato me-raviglioso e indefinito (vago avvenir). Era [il mese di] maggio ricco di profumi: e tu inquesto modo eri solita occupare (menare) la [tua] giornata.(15) Io, talora tralasciando gli studi piacevoli e i libri che mi affaticavano (sudate carte),e sui quali si consumava la mia giovinezza e la parte migliore di me, dai balconi (veroni)del palazzo (ostello) paterno (20) ascoltavo il tuo canto e [il rumore della tua] mano chevelocemente si muoveva faticando sul telaio. Guardavo (Mirava) il cielo sereno, le vie so-leggiate e gli orti, (25) il mare lontano da una parte (quinci), i monti dall’altra (quindi).

1. Silvia: per alcuni si trat-terebbe di Teresa Fattori-ni, la figlia del cocchieredi casa Leopardi morta avent’anni.22. percorrea … tela: Sil-via sta lavorando al telaioper tessere una stoffa.25. e quinci … monte: ilmare è l’Adriatico, il mon-te l’Appennino.

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L’ O T T O C E N T O

Lingua mortal non dicequel ch’io sentiva in seno.

Che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia!

30 Quale allor ci appariala vita umana e il fato!Quando sovviemmi di cotanta speme,un affetto mi premeacerbo e sconsolato,

35 e tornami a doler di mia sventura.O natura, o natura,perché non rendi poiquel che prometti allor? perché di tantoinganni i figli tuoi?

40 Tu pria che l’erba inaridisse il verno,da chiuso morbo combattuta e vinta,perivi, o tenerella. E non vedeviil fior degli anni tuoi;non ti molceva il core

45 la dolce lode or delle nere chiome,or degli sguardi innamorati e schivi;né teco le compagne ai dì festiviragionavan d’amore.

Anche peria fra poco50 la speranza mia dolce: agli anni miei

Le parole umane non possono esprimere quello che io provavo nel mio cuore.Che pensieri soavi, che speranze, che sentimenti, o Silvia mia! (30) Come [piene di pro-messe] ci apparivano la vita e la [nostra] sorte (il fato)! Tutte le volte che mi ricordo ditanta speranza (speme), mi opprime un sentimento doloroso e disperato (acerbo e pun-gente), (35) e si rinnova in me il dolore della mia [attuale] sventura. O natura, naturaperché non mantieni quello che allora avevi promesso [all’uomo]? Perché tanto ingannii figli tuoi?(40) Tu morivi ancora in tenera età (o tenerella), prima ancora che l’inverno inaridissele erbe [con il gelo], combattuta e vinta da una malattia nascosta. E non hai potuto ve-dere il pieno fiorire della tua giovinezza; né [ha potuto] addolcire (molceva) il tuo cuo-re (45) la dolce lode alla bellezza dei tuoi neri capelli, dei tuoi occhi innamorati e timi-di [alle prime offerte d’amore]; né le compagne hanno potuto parlare d’amore con te(teco) nei giorni di festa.Di lì a poco moriva anche (50) la mia dolce speranza: anche alla mia vita il destino ne-

30. allor: nella giovinezza,in gioventù.41. da chiuso morbo: daun male che operava al-l’interno del tuo corpo.

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anche negaro i fati la giovanezza. Ahi come,come passata sei,cara compagna dell’età mia nova,

55 mia lacrimata speme!Questo è quel mondo? Questii diletti, l’amor, l’opre, gli eventionde cotanto ragionammo insieme?Questa la sorte dell’umane genti?

60 All’apparir del verotu, misera, cadesti: e con la manola fredda morte ed una tomba ignudamostravi di lontano.

da G. Leopardi, Canti, Mondadori

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52. Ahi … sei: il poeta orasi riferisce alla speranza enon a Silvia.58. ragionammo insieme:si tratta di un colloquiometaforico tra il poeta e lasperanza.60. All’apparir del vero: lasperanza viene meno quan-do il «vero», che è fruttodella ragione, genera il di-singanno.

gò la giovinezza. Ahi, come sei [ormai] trascorsa, (55) mia dolorosa (lacrimata) speran-za, cara compagna della mia giovinezza (dell’età mia nova)! È questo quel mondo [af-fascinante di cui così a lungo e con tanto fervore ragionammo insieme, io e te, o spe-ranza]? [Sono] queste le gioie, l’amore, i progetti (opre), gli avvenimenti [felici] di cuiparlammo tanto insieme? Questa la sorte degli esseri umani? (60) All’apparire della ve-ra [realtà dell’esistenza], tu [o speranza] venisti meno miseramente, e con la mano ad-ditavi, allontanandoti, la fredda morte e una tomba spoglia [dagli affetti] (ignuda).

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L’ O T T O C E N T O

COMMENTOA Silvia appartiene alla raccolta dei Canti leopardiani ed è una di quelgruppo di poesie che il poeta definisce «idilli» (per la precisione, sitratta di uno dei «grandi idilli»). Col termine idillio egli, secondo le suestesse parole, intendeva quegli stati d’animo e quelle memorie che, nelmomento dell’ispirazione poetica, si andavano pre cisando in immaginie suoni. Queste composizioni, infatti, sono per lo più legate a temi delricordo: passata la gioventù, cadute le speranze e le illusioni, il passa-to ritorna, non come è stato nella realtà, per il poeta sempre penosa,ma illuminato dai sogni e dalle speranze di allora. Questo è ciò che av-viene in A Silvia: tutta la lirica è infatti un colloquio con la fanciulla,con la quale il poeta sente una profonda rispondenza di sogni e spe-ranze, troncati però dalla morte.Protagonista della prima parte, Silvia rappresenta la dolcezza del ricor-do e il fascino delle illusioni giovanili.Nella seconda parte, dove più forte è la presenza del poeta stesso, si levadolorosa l’amara coscienza del presente. I sogni di un tempo sono rivissu-ti da Leopardi alla luce della sofferenza del presente: diversamente dall’in-genua fanciulla, egli è sopravvissuto alle proprie speranze e la malinconiadelle sue riflessioni è ancora più amara della prematura morte di lei.

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1.Nei primi versi della poesia Leopardi si rivolge a Silvia invitandola a fare qualcosa. Cosa?

2.Nelle prime strofe il poeta inserisce una sensazione uditiva. Quale suono fa parte dei suoi ricordi?

3. Cosa vede Leopardi affacciandosi al balcone della casa di suo padre?

4. Come trascorreva le sue giornate Silvia? E come il poeta?

5.Qual è il senso che il poeta dà all’espressione «vago avvenir» riferita al futuro di Silvia?a. è un avvenire che la speranza fa immaginare ricco di gioieb. è un avvenire ancora incerto che turba la mente della fanciullac. è un avvenire dai contorni indistinti, che non preoccupa però la fanciulla

6.Prova a mettere nel giusto ordine (inserendo un numero progressivo nei quadratini) la sequenzadelle espressioni con cui il poeta fa riferimento al periodo della propria giovinezza.a. mirava il ciel sereno, le vie dorate e gli orti �b. porgea gli orecchi al suon della tua voce �c. che pensieri soavi, che speranze �d. io gli studi leggiadri talor lasciando �e. lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno �f. quale allor ci apparia la vita umana e il fato �

7.Quali domande rivolge Leopardi alla natura? Cosa le rimprovera?

8.Nella poesia la morte ha un duplice significato, uno reale e uno simbolico. Una volta, infatti, in-dica la fine della vita e una volta la fine della speranza. Trascrivi i versi corrispondenti.

9.Qual è l’immagine che conclude la poesia?

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Il passero solitarioD’in su la vetta della torre antica,passero solitario, alla campagnacantando vai finché non more il giorno;ed erra l’armonia per questa valle.

5 Primavera d’intornobrilla nell’aria, e per li campi esulta,sì ch’a mirarla intenerisce il core.Odi greggi belar, muggire armenti;gli altri augelli contenti, a gara insieme

10 per lo libero ciel fan mille giri,pur festeggiando il lor tempo migliore:tu pensoso in disparte il tutto miri;non compagni, non voli,non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;

15 canti, e così trapassidell’anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimé, quanto somigliaal tuo costume il mio! Sollazzo e riso,della novella età dolce famiglia,

20 e te german di giovinezza, amore,sospiro acerbo de’ provetti giorni,non curo, io non so come; anzi da loroquasi fuggo lontano;quasi romito, e strano

25 al mio loco natìo,passo del viver mio la primavera.

Dalla cima della torre antica, passero solitario, canti [continuamente] verso la campa-gna, fino a quando non tramonta (more) il sole e l’armonia si diffonde (erra) per [tut-ta] questa valle. (5) Tutt’attorno la primavera brilla nell’aria e trionfa per i campi, inmodo che a osservarla il cuore prova una grande dolcezza. Senti belare le greggi, mug-gire gli armenti e gli altri uccelli, lieti, fanno a gara (10) mille voli nel cielo libero pro-prio per festeggiare il loro tempo più favorevole. Tu, pensoso, standotene da una parte[solo] osservi tutto: non [hai] compagni, non ti metti a volare, non ti interessa (non tical) la gioia [della primavera], eviti i divertimenti (schivi gli spassi), (15) canti e cosìtrascorri il periodo migliore dell’anno e della tua vita.Ahimè, come assomiglia al tuo modo di vivere (costume) il mio! Il divertimento e il ri-so, gradita compagnia (dolce famiglia) della giovinezza (novella età), (20) e te, amore,fratello (german) della giovinezza, rimpianto doloroso degli anni della vecchiaia (de’provetti giorni), non mi attirano (non curo), io non so come: anzi quasi fuggo lontanoda loro, e quasi solitario (romito), straniero (25) nel luogo stesso in cui sono nato, tra-scorro la primavera della mia vita.

1. torre antica: forse sitratta del campanile dellachiesa di S. Agostino, a Re-canati.11. il lor tempo migliore:il tempo primaverile e, in-sieme, la loro giovinezza.

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Questo giorno ch’omai cede alla sera,festeggiar si costuma al nostro borgo.Odi per lo sereno un suon di squilla,

30 odi spesso un tonar di ferree canne,che rimbomba lontan di villa in villa.Tutta vestita a festala gioventù del locolascia le case, e per le vie si spande;

35 e mira ed è mirata, e in cor s’allegra.Io solitario in questarimota parte alla campagna uscendo,ogni diletto e giocoindugio in altro tempo: e intanto il guardo

40 steso nell’aria apricami fère il Sol che tra lontani monti,dopo il giorno sereno,cadendo si dilegua, e par che dicache la beata gioventù vien meno.

È abitudine (si costuma) del nostro paese festeggiare questo giorno che ormai volge altramonto. Odi nel [cielo] sereno un suono di campane (di squilla), (30) odi spesso un esplodere dicolpi di fucile (ferree canne), che rimbomba lontano di villaggio in villaggio. Tutti vestitia festa i giovani del paese lasciano le case e si disperdono per le vie (35) e ammirano (mi-ra) e sono ammirati e si rallegrano nel cuore. Io tutto solo, uscendo verso la campagna perquesto cammino che non passa attraverso l’abitato (rimota parte), rimando (indugio) adaltro tempo ogni piacere e divertimento: e intanto, (40) [mentre sono] steso nell’aria pie-na di luce (aprica), mi colpisce (mi fere) gli occhi il sole che dopo il giorno sereno scom-pare tramontando tra i monti lontani e sembra dire che la gioventù felice sta finendo.

27. Questo giorno: si trat-ta probabilmente del 15giugno, festa di San Vito,il patrono di Recanati.30. un tonar … canne: so-no gli spari dei fucili cari-cati solo a polvere, cioèsenza proiettili, che si fan-no in segno di omaggio oin occasione di feste.

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45 Tu, solingo augellin, venuto a seradel viver che daranno a te le stelle,certo del tuo costumenon ti dorrai; ché di natura è fruttoogni vostra vaghezza.

50 A me, se di vecchiezzala detestata sogliaevitar non impetro,quando muti questi occhi all’altrui core,e lor fia vòto il mondo, e il dì futuro,

55 del dì presente più noioso e tetro,che parrà di tal voglia?che di quest’anni miei? che di me stesso?Ahi pentirommi, e spesso,ma sconsolato, volgerommi indietro.

da G. Leopardi, Canti, Mondadori

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49. vostra: aggettivo chesi riferisce agli uccelli.

(45) Tu, uccellino che ami la solitudine (solingo), quando giungerai alla fine (a sera)della vita che ti è stata data dal destino, sicuro del tuo modo di comportarti (costume)non proverai dolore [e rincrescimento], perché ogni vostro comportamento è dettatodall’istinto naturale.(50) Ma a me, se non riuscirò (non impetro) a evitare l’ingresso odioso (la detestata so-glia) nella vecchiaia, quando questi occhi non ispireranno nessun sentimento (muti) alcuore altrui e per loro il mondo diventerà vuoto (fia vòto), e il giorno futuro (55) [sa-rà] più odioso e buio del giorno precedente cosa sembrerà di questa voglia [di solitudi-ne]? cosa [penserò] di questi miei anni? cosa di me stesso? Ahimè, mi pentirò e spes-so, ma senza speranza, mi volterò indietro.

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L’ O T T O C E N T O

COMMENTOL’idillio si apre con il canto di un passero che dif-fonde la sua melodia nello scenario della natura im-mersa nello splendore dei colori primaverili. L’a ria èlimpida, la terra esprime tutta la sua vitalità neifiori e nei frutti che produce, suscitando una tene-rezza struggente in chi volge ad essa lo sguardo. Di-versamente dagli altri animali, però, il passero vivesolitario la sua giornata: si limita a cantare e cosìpassa il tempo della giovinezza.Il comportamento del passero è analogo a quellodel poeta. Il divertimento, la gioia, e l’a mo re, fra-tello del la gio vi nezza, non interessano al poeta,che anzi li sfugge e, solitario e appartato, trascor-re così la giovinezza nel proprio paese.L’accenno al paese induce Leopardi a rievocare unagiornata festiva, quando, a sera, la gioventù del luo-go si diverte a passeggiare, ad ammirarsi vicende-volmente, a rallegrarsi per il fatto di essere osserva-ta. In contrasto con essa, il poeta ama la solitudinee rimanda ad altri tempi i momenti di gioia propridei giovani. E questo ben sapendo che la gioventù èdestinata a tramontare, come tramonta il sole dopouna giornata serena.Nell’ultima strofa, Leopardi si rivolge nuovamenteall’uccellino dal quale ora, però, si sente diverso: ilcomportamento del passero è infatti frutto di unistinto naturale, mentre il suo è frutto di una scel-ta ben precisa. Da questa consapevolezza nasce undrammatico interrogativo: se non riuscirà a evitarel’odiosa soglia della vecchiaia, quando i suoi occhinon riusciranno più a suscitare nessuna eco nelcuore degli altri e il futuro sarà per lui senza spe-ranza, come giudicherà questo suo comportamento?Forse si pentirà, ma ormai senza più illusioni si vol-gerà indietro a giudicare l’ingannevole mondo dellagiovinezza.

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1. Come appare la natura alpoeta? Quali elementi di es-sa elenca nella prima strofa?Trascrivili indicando anche inquale periodo dell’anno vie-ne vista la natura.

2.Dopo aver parlato del pae-saggio circostante, Leopardicrea un paragone tra un ele-mento della natura e se stes-so. Quale? A chi si paragona?Trascrivi i versi iniziali diquesto confronto che è argo-mento di tutta la poesia.

3.Nel testo leopardiano hannogrande importanza le parole oespressioni riferite alla giovi-nezza e alla solitudine. Tra-scrivile.

4.Molta importanza hanno an-che i suoni. Rileggi la poesiacercando di sottolineare i di-versi suoni a cui il poeta fariferimento.

5.Nei vv. 45-59 il poeta con-clude il paragone-contrastofra se stesso e l’uccellino. In cosa consiste la somiglian-za? In cosa la diversità?

6. Individua nel testo almenoquattro termini arcaici e, aiu-tandoti eventualmente con ilvocabolario, sostituiscili coni corrispondenti termini mo-derni.

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La quiete dopo la tempestaPassata è la tempesta:odo augelli far festa, e la gallina,tornata in su la via,che ripete il suo verso. Ecco il sereno

5 rompe là da ponente, alla montagna;sgombrasi la campagna,e chiaro nella valle il fiume appare.Ogni cor si rallegra, in ogni latorisorge il romorio

10 torna il lavoro usato.L’artigiano a mirar l’umido cielo,con l’opra in man, cantando,fassi in su l’uscio; a provavien fuor la femminetta a còr dell’acqua

15 della novella piova;e l’erbaiuol rinnovadi sentiero in sentieroil grido giornaliero.Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride

20 per li poggi e le ville. Apre i balconi,apre terrazzi e logge la famiglia:e, dalla via corrente, odi lontanotintinnio di sonagli; il carro stridedel passegger che il suo cammin ripiglia.

25 Si rallegra ogni core.Sì dolce, sì graditaquand’è, com’or, la vita?

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2. la gallina: è complemen-to oggetto retto dal verbo“odo”.9. romorio: sono i rumoridelle attività del borgo.13. a prova: cioè a gara conle altre donne del borgo. 14. a còr: per raccogliere,per attingere.16. rinnova … giornaliero:il venditore ambulante diortaggi cerca, ogni giorno,di richiamare l’attenzionedegli acquirenti annun-ciando il proprio arrivo conun grido. 21. la famiglia: l’insiemedei domestici; è una paro-la arcaica.

La tempesta è passata: sento gli uccelli che gorgeggiano per mostrare la loro felicità e lagallina che, ritornata sulla strada, ripete il suo verso. Ecco il sereno (5) che squarcia [lenuvole] là verso occidente, dalla parte della montagna; la campagna si libera [dalla fo-schia], e il fiume appare limpido [in fondo alla] valle. Ogni cuore si rallegra, dappertuttoritornano i rumori (10) e riprendono i lavori abituali. L’artigiano, cantando, si affaccia sul-l’uscio per osservare il cielo ancora impregnato [dei vapori d’acqua], tenendo in mano l’og-getto del suo lavoro; a gara la giovane donna esce fuori per raccogliere l’acqua (15) dellapioggia appena caduta; e il venditore di ortaggi ripete di sentiero in sentiero il grido concui ogni giorno [annuncia il suo arrivo]. Ecco il sole che ritorna, ecco che fa scintillare(20) le colline e i casolari. I domestici aprono [le finestre che danno sui] balconi, sulle ter-razze e sulle logge coperte: e, dalla strada principale, si sente da lontano un rumore di so-nagli; stridono le ruote della carrozza del viaggiatore che riprende il suo cammino.(25) Si rallegra ogni cuore. Quando la vita è così dolce e così gradita come ora? quan-

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quando con tanto amorel’uomo a’ suoi studi intende?

30 o torna all’opre? o cosa nova imprende?quando de’ mali suoi men si ricorda?Piacer figlio d’affanno;gioia vana, ch’è fruttodel passato timore, onde si scosse

35 e paventò la mortechi la vita abborria;onde in lungo tormento,fredde, tacite, smorte,sudâr le genti e palpitâr, vedendo

40 mossi alle nostre offesefolgori, nembi e vento.

O natura cortese,son questi i doni tuoi,questi i diletti sono

45 che tu porgi ai mortali. Uscir di penaè diletto fra noi.Pene tu spargi a larga mano; il duolospontaneo sorge: e di piacer, quel tantoche per mostro e miracolo talvolta

50 nasce d’affanno, è gran guadagno. Umanaprole cara agli eterni! assai felicese respirar ti liced’alcun dolor: beatase te d’ogni dolor morte risana.

da G. Leopardi, Canti, Mondadori

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37. onde: a causa del qua-le, è riferito al timore. 42. cortese: è detto in tonoironico e amaro, così come,al verso seguente “doni”,con cui il poeta indica pia-ceri vani e inconsistenti. 49. mostro: prodigio.51. prole cara: ha una con-notazione ironica. – assai:abbastanza.

L’ O T T O C E N T O

do l’uomo si dedica con tanto amore alle sue occupazioni? (30) o torna alle sue attivi-tà consuete? o intraprende una nuova attività? in quale altro momento si ricorda menodei suoi mali? Il piacere è figlio del dolore; gioia priva di consistenza, che è causata daltimore appena provato, per cui chi disprezzava la vita si riscosse (35) ed ebbe pauradella morte; per cui gli uomini sudarono [freddo] e palpitarono [in un lungo tormento],agghiacciati, ammutoliti e pallidi, vedendo (40) scatenati contro di loro fulmini, nuvo-le [tempestose] e vento.O natura generosa, sono questi i tuoi doni, questi sono i piaceri (45) che offri agli uo-mini. Smettere di soffrire per noi è una gioia. Tu dispensi dolori in abbondanza; il do-lore nasce spontaneamente: e quel poco di piacere che per un evento prodigioso o perun miracolo a volte (50) nasce dal dolore, è un guadagno immenso. Genere umano ca-ro agli dèi! sei felice se ti è concesso liberarti da qualche dolore: beata se la morte tiguarisce da ogni dolore.

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COMMENTOLa poesia si sviluppa in due parti: la primaparte (corrispondente alla prima strofa)offre la descrizione della vita che riprendein un piccolo borgo dopo una tempestaviolenta, la seconda (seconda e terza stro-fa) è riflessiva.Nella prima strofa sono presenti tante pic-cole scene della vita del paese dopo iltemporale. Il canto degli uccelli e il versodella gallina sono le prime sensazioni udi-tive che il poeta registra, poi si diffondo-no i soliti rumori del villaggio, quelli con-sueti delle attività lavorative degli artigia-ni, dei venditori e delle donne affaccenda-te. La paura del temporale è cessata e ognicosa sembra ora pervasa da una gioia par-ticolare («Ogni cor si rallegra»), nata dal-la sensazione di essere sfuggiti alla vio-lenza della natura. Ed è questa sensazioneche svela al poeta la crudele legge dellavita: l’esistenza per ogni essere umano èpiacevole solo quando cessa un dolore, untimore. È allora infatti che si apprezza ve-ramente la vita e che la quotidianità, soli-tamente pesante, viene accolta con gioia.Nella strofa finale Leopardi si rivolge ironi-camente alla natura che “regala” innume-revoli dispiaceri e dolori agli esseri umani,ai quali restano solo brevi istanti di felici-tà dopo le sofferenze, momenti così rari dasembrare eventi miracolosi («per mostro emiracolo»). L’unica vera felicità è la mor-te, la sola che può liberare dal dolore, per-ché solo la fine della vita segnerà la finedelle pene («d’ogni dolor morte risana»).

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1.Quali immagini degli animali e degliuomini sono presenti nella parte ini-ziale della poesia? Elencale.

2.Nella prima strofa vi sono alcune espres-sioni che si riferiscono ai suoni. Sottoli-neale.

3.Quale valore simbolico può assumere iltermine «stride» del v. 23?a. riproduce fedelmente il suono delleruote di un carro, cioè della quoti-dianità della vita

b. preannuncia la fine di questo gioiosorisveglio alla vita e la dolorosa veritàche il poeta svilupperà nelle strofesuccessive

c. crea una sensazione positiva, esalta-ta dalla rima con «sorride» del v. 19

4. La seconda strofa della poesia iniziacon tono allegro. A cosa è dovuto que-sto sentimento? Perché il poeta (v. 25)dice che «si rallegra ogni core»?

5. Spiega con parole tue il significato delv. 32: «Piacer figlio d’affanno».

6.Nella terza strofa Leopardi si rivolge al-la natura: cosa dice? Riassumi breve-mente il contenuto della strofa.

7.Quale valore simbolico assume la tem-pesta?a. è un violento fenomeno atmosfericob. rappresenta l’aspetto più paurosodella natura

c. rappresenta il dolore degli esseriumani

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Manzoni tra storia e letteratura

Sebbene sia autore di scritti di vario tipo (dalle poesie alle opere tea-trali), Alessandro Manzoni è noto soprattutto per I Promessi Sposi, ilprimo vero romanzo della letteratura italiana.Lo scrittore milanese condivide l’interesse del Romanticismo per lastoria, ma arricchisce questa adesione al Romanticismo con motivi evalori personali. Se infatti il romanzo è incentrato su una vicenda sto-rica, nella rappresentazione della società secentesca Manzoni troval’occasione per esprimere la propria visione religiosa della vita. Il ma-le, il peccato esistono, ma la fede in Dio e nella Provvidenza dà all’uo-mo la forza per affrontarli e lo illumina nelle sue scelte, rendendolocapace di trarre una lezione positiva anche dalle sofferenze. Questo èil “vero” che lo scrittore vuole mostrare.

Egli pensa infatti che uno scrittore debba contribuire all’educazione ealla formazione morale del suo pubblico, sollecitandolo a prendere co-scienza del bene e del male, dei vizi e delle virtù, di quello che siamoe di quello che invece dovremmo essere. Ritiene, inoltre, di poter ot-tenere questo risultato solo se la lettura sarà un piacere, se, cioè, l’au-tore sarà stato capace di interessare e divertire il pubblico stesso.

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L’ O T T O C E N T O

alessandro manzoni

Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785. A vent’anni raggiunge la madre Giu-lia (figlia di Cesare Beccaria, importante intellettuale illuminista) a Parigi, dovefrequenta i maggiori letterati e pensatori dell’epoca. Riavvicinatosi al cattolicesi-mo, scrive cinque Inni Sacri (1812-1822) che celebrano le principali feste liturgi-che. Anche se la conversione ha una forte influenza sulla sua produzione lettera-ria, non perde mai di vista l’impegno civile, frutto del quale sono due odi di argo-mento storico: Il cinque maggio e Marzo 1821, in cui celebra i moti rivoluzionaridel Piemonte. Anche le due tragedie nel frattempo composte, A delchi e Il Conte diCarmagnola, sono di contenuto storico e ugualmente ispirate alla riflessione suivalori etico-religiosi. Dal 1821 al 1840 lavora alla sua opera maggiore, I PromessiSposi, che riscuote grande successo. La sua fama di letterato è ormai grande ma,in seguito a una serie di tragici lutti familiari, sceglie di isolarsi dal mondo. Muo-re a Milano nel 1873.

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Il cinque maggioEi fu. Siccome immobile,dato il mortal sospiro,stette la spoglia immemoreorba di tanto spiro,

5 così percossa, attonitala terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultimaora dell’uom fatale;né sa quando una simile

10 orma di piè mortalela sua cruenta polverea calpestar verrà.

Lui folgorante in soliovide il mio genio e tacque;

15 quando, con vece assidua,cadde, risorse e giacque,di mille voci al sonitomista la sua non ha:

vergin di servo encomio20 e di codardo oltraggio,

sorge or commosso al subitosparir di tanto raggio;e scioglie all’urna un canticoche forse non morrà.

Egli è morto. Come il suo corpo, esalato l’ultimo respiro, restò immobile, dimentico [ditante imprese] una volta spogliato (orba) di uno spirito così grande, (5) così colpiti estupefatti rimangono gli uomini (la terra) alla notizia (nunzio) [della morte di Napoleo-ne], silenziosi pensando agli ultimi momenti di quell’uomo mandato dal destino (fata-le); e non sanno quando (10) l’impronta di un personaggio simile [a lui] verrà a calpe-stare la terra insanguinata (cruenta) [dalle guerre].Il mio spirito poetico (genio) lo vide nel momento del suo fulgore in trono (solio) e tac-que; (15) e quando, con una continua alternanza (vece assidua) di eventi, cadde, risor-se e giacque non ha mescolato la sua [voce] al suono delle mille altre voci [che hannocommentato le sue vicende]: immune (vergin) da ogni lode (encomio) servile (20) e daogni volgare offesa, [la mia voce] ora si leva commossa all’improvvisa scomparsa di unuomo così grande; e innalza, [di fronte] alla sua tomba, un inno che forse rimarrà ineterno.

1. Ei: si tratta di Napoleo-ne, a cui è dedicata l’ode. 16. cadde, risorse, giacque:i tre verbi rimandano amomenti della vita di Na-poleone. Più precisamen-te, alla sconfitta subita aLipsia nel 1813; ai Centogiorni, cioè al momenta-neo ritorno al potere dopola fuga dall’isola d’Elba; al-la definitiva sconfitta aWaterloo nel 1815. 22. di tanto raggio: di unaluce così gloriosa e splen-dente, cioè di un uomocosì grande come Napo-leone.

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25 Dall’Alpi alle Piramidi,dal Manzanarre al Reno,di quel securo il fulminetenea dietro al baleno;scoppiò da Scilla al Tanai,

30 dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteril’ardua sentenza: nuichiniam la fronte al MassimoFattor, che volle in lui

35 del creator suo spiritopiù vasta orma stampar.

La procellosa e trepidagioia d’un gran disegno,l’ansia d’un cor che indocile

40 serve, pensando al regno;e il giunge, e tiene un premioch’era follia sperar;

tutto ei provò: la gloriamaggior dopo il periglio,

45 la fuga e la vittoria,la reggia e il tristo esiglio.due volte nella polvere,due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,50 l’un contro l’altro armato,

(25) Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, l’azione (il fulmine) di quell’uomodeciso seguiva immediatamente il lampeggiare dell’idea (baleno); scoppiò dall’Italia me-ridionale alla Russia, (30) da un mare all’altro.Fu una gloria vera? Lasciamo la difficile risposta (ardua sentenza) ai posteri. Noi nonpossiamo fare altro che inchinarci alla potenza creatrice di Dio (Massimo Fattor), chevolle (35) imprimere in lui un segno (orma) ancor più grande del suo spirito creatore.[Tutto egli ha sperimentato:] la gioia tempestosa (procellosa) e le trepidazioni che prece-dono un grande progetto (disegno) [di conquista]; l’ansia di un cuore che ubbidisce contormento, (40) aspirando (pensando) al comando; e finalmente giunge [alla meta] e ot-tiene un successo che era da folli sperare; egli provò tutto: la gloria tanto più grande do-po il pericolo, (45) la fuga e la vittoria, il trono e il doloroso esilio, due volte [cadde]nella polvere, due volte ascese al regno.Egli pronunciò il proprio nome: due secoli, (50) avversari per ideologia, si rivolsero a lui

25. Dall’Alpi … Reno: cioèdalle campagne d’Italia aquella d’Egitto, dalla Spa-gna (dove scorre il fiumeManzanarre) alla Germania(dove scorre il Reno). Lecampagne di Napoleonevengono citate indicandoi luoghi in cui si sonosvolte. 27. di quel … baleno: Na-poleone non ha alcuna esi-tazione, cioè pensa e agi-sce in rapida successione.29. da Scilla al Tanai: Scillaè un mostro mitologicodello Stretto di Messina,sull’estrema punta della Ca-labria, mentre il Tanai è ilDon, che scorre in Russia.47. due volte … altar: duevolte cadde nella polvere,cioè due volte venne scon-fitto (a Lipsia e a Water-loo), e due volte trionfò,vale a dire con la nominaal regno e durante i Centogiorni. Manzoni usa la pa-rola «altar» perché Napo-leone era oggetto di unavera e propria venerazione.

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sommessi a lui si volsero,come aspettando il fato;ei fe’ silenzio, ed arbitros’assise in mezzo a lor.

55 E sparve, e i dì nell’oziochiuse in sì breve sponda,segno d’immensa invidiae di pietà profonda,d’inestinguibil odio

60 e d’indomato amor.

Come sul capo al naufragol’onda s’avvolve e pesa,l’onda su cui del misero,alta pur dianzi e tesa,

65 scorrea la vista a scernereprode remote invan;

tal su quell’alma il cumulodelle memorie scese!Oh quante volte ai posteri

70 narrar se stesso imprese,e sull’eterne paginecadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacitomorir d’un giorno inerte,

75 chinati i rai fulminei,le braccia al sen conserte,

docili (sommessi) in attesa [di ascoltare il loro] destino; egli mise fine alle controversie (fe’silenzio) e si pose come arbitro in mezzo a loro.(55) Poi sparì e finì i suoi giorni nell’ozio nella piccola isola (in sì breve sponda), fattooggetto (segno) di [opposti sentimenti:] immensa invidia e profonda pietà, odio ine-stinguibile (60) e amore appassionato.Come l’onda si avvolge e preme sulla testa del naufrago, l’onda tempestosa sulla cuicima poco prima il misero (65) volgeva lo sguardo teso invano a scorgere (scernere)terre lontane; così il cumulo delle memorie scese su quell’anima! Ahimè quante volte(70) egli tentò (imprese) di scrivere (narrar) ai posteri le sue esperienze e la mano stan-ca cadde sulle pagine destinate all’eternità!Oh! Quante volte al silenzioso tramonto di una giornata oziosa (inerte), (75) con il ful-mineo sguardo (i rai) abbassato, con le braccia incrociate sul petto, stette [immobile]

49. due secoli … fato: ilSettecento e l’Ottocento,due secoli avversari fra lo-ro per ideologia (in quan-to rivoluzionario il primoed età della Restaurazioneil secondo) sono in attesadella decisione di Napo-leone, cioè in attesa di sa-pere se avrebbe fatto pre-valere la rivoluzione o laRestaurazione.56. in sì … sponda: nellapiccola isola di Sant’Elena,nell’Oceano Atlantico, do-ve Napoleone fu mandatoin esilio.

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stette, e dei dì che furonol’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili80 tende, e i percossi valli,

e il lampo de’ manipoli,e l’onda dei cavalli,e il concitato imperio,e il celere ubbidir.

85 Ahi! forse a tanto straziocadde lo spirto anelo,e disperò; ma validavenne una man dal cieloe in più spirabil aere

90 pietosa il trasportò;

e l’avviò, pei floridisentier della speranza,ai campi eterni, al premioche i desideri avanza,

95 dov’è silenzio e tenebrela gloria che passò.

Bella Immortal! beneficafede ai trionfi avvezza!Scrivi ancor questo, allegrati;

100 ché più superba altezzaal disonor del Golgotagiammai non si chinò.

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89. in più spirabil aere: inun’aria più respirabile, cioèin una dimensione più se-rena perché caratterizzatadal distacco dalle cose ter-rene e dalla fede.101. Golgota: il Golgota, oCalvario, è il monte su cuifu crocifisso Gesù. Manzo-ni usa la parola «disonor»perché nell’antichità lacrocifissione era ritenutauna pena infamante, men-tre per i cristiani è un sim-bolo di sofferenza.

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e lo assalì il ricordo (sovvenir) del passato!E ripensò agli accampamenti rapidamente spostati, (80) alle trincee nemiche abbattu-te, al lampeggiar [di spade] dei drappelli di soldati, agli assalti della cavalleria, ai co-mandi rapidi (concitato imperio) e alla pronta obbedienza [dei soldati].(85) Ahimè! Forse a un tale strazio vacillò lo spirito spossato (anelo) e disperò, ma dalcielo venne in aiuto una valida mano (90) e, pietosa, lo trasportò in un’aria più respira-bile; e lo condusse, attraverso le vie dove la speranza fiorisce, al Paradiso, alle gioie chesono superiori a qualsiasi desiderio, (95) dove non ha alcun valore la gloria terrena.O benefica fede, bella e immortale, abituata (avvezza) a trionfare [su tutti]! Tieni inconto anche questo trionfo e rallegrati, (100) poiché nessun uomo più grande [di Na-poleone] si è mai inchinato di fronte all’infamia della crocifissione.

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Tu dalle stanche cenerisperdi ogni ria parola:

105 il Dio che atterra e suscita,che affanna e che consolasulla deserta coltriceaccanto a lui posò.

da A. Manzoni, Opere, Ricciardi

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COMMENTOIl cinque maggio è un’ode, cioè un tipo di com-ponimento poetico di tono elevato già presentenella poesia greca e in quella latina, che in Ita-lia viene riscoperto con il Rinascimento e da al-lora è utilizzato specialmente per temi di argo-mento morale e civile. Nel luglio 1821, appresa la notizia che NapoleoneBonaparte è morto cristianamente a Sant’Elena ilgiorno 5 del mese di maggio, Manzoni sente lanecessità di celebrare questo evento di grandeimportanza storica e, dato l’alto valore morale ecivile che attribuisce al tema, sceglie appunto laforma lirica dell’ode. Essa viene composta con in-solita rapidità (dal 17 al 20 dello stesso mese) e,nonostante la censura austriaca, si diffonde velo-cemente in Lombardia e anche oltralpe.La poesia non si limita però alla celebrazione di ungrande protagonista della storia, in quanto è frut-to delle lunghissime meditazioni dello scrittore,che si è posto da tempo il problema morale delleazioni umane, chiedendosi quale sia il limite fra ilcoraggio che porta ad azioni giuste e quello cheinvece sfocia nella violenza. La domanda non giun-ge a una risposta chiarificatrice, ma il dubbio delpoeta si acquieta facendo ricorso alla fede nellaProvvidenza, che calma ogni sofferenza e risolveogni turbamento.

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1.Quali sono, a tuo parere, gli agget-tivi che, nella prima parte dell’ode,meglio caratterizzano la figura diNapoleone? Indicali nel testo.

2. «... cadde, risorse e giacque»: aquali avvenimenti storici allude ilpoeta?

3.Qual è l’interrogativo che anima lariflessione del Manzoni su questo“grande” del passato? Cosa si chie-de? Quale risposta dà?

4.Qual è stato il ruolo di Napoleonenel Settecento e nell’Ottocento?Individua i versi dedicati dal poetaa tale argomento e spiegali conparole tue.

5.Quali sono le imprese di Napoleo-ne che Manzoni passa in rassegna?

6.Al termine di una giornata trascor-sa nell’ozio, Napoleone lascia che ilpassato lo assalga. Cosa gli vienein mente? Quale effetto producenel suo animo?

7. In quale momento della sua vitaNapoleone si avvicina a Dio?

Tu [o fede], allontana ogni crudele (ria) parola dalla spoglia stanca [di Napoleone]:(105) il Dio che abbassa e innalza, che affanna e consola si posò accanto a lui sul soli-tario letto di morte (coltrice).

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Don Abbondio incontra i braviSiamo in Lombardia, sulle sponde meridionali del Lago di Como. DonAbbondio, parroco di un paese della zona, se ne sta tornando tran-quillo verso casa da una passeggiata pomeridiana per i sentieri dicampagna.

Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiataverso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, donAbbondio, curato d’una delle terre accennate di sopra: il nome diquesta, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto1,né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, etalvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario2, tenendovi den-tro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nel-l’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando aterra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevanoinciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli oc-chi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del solegià scomparso, scappando per i fessi3 del monte opposto, si dipinge-va qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze diporpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squar-cio, giunse a una voltata della stradetta, dov’era solito d’al zar sem-pre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quelgiorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessantapassi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella adestra saliva verso il monte, e me nava alla cura4: l’altra scen devanella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivavache all’anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, inve-ce di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul qualeeran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in pun-ta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vi-cinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre fi-gure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgato-rio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo5,con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e di-rizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosache non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uoministavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delledue viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, conuna gamba spenzolata al di fuori, e l’altro piede posato sul terrenodella strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le brac-cia incrociate sul petto. L’abito, il portamento, e quello che, dal luo-go ov’era giunto il curato, si poteva distinguer dell’aspetto, non la-

1. manoscritto: Manzonifinge di trarre la sua storiada un manoscritto anoni-mo del Seicento, da luistesso ritrovato.2. breviario: libro di pre-ghiere che i sacerdoti de-vono recitare ogni giorno.L’insieme di queste pre-ghiere si chiama «ufizio»,o meglio “ufficio”.3. fessi: spaccature.4. menava alla cura: porta-va alla parrocchia.5. bigiognolo: di coloregrigiastro.

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sciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intor-no al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero sinistro, termi-nata in una gran nappa6, e dalla quale usciva sulla fronte un enormeciuffo: due lunghi mustacchi7 arricciati in punta: una cintura lucidadi cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno dipolvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltel-laccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni,uno spadone, con una gran guardia8 traforata a lamine d’ottone, con-gegnate come in cifra9, forbite10 e lucenti: a prima vista si davano aconoscere per individui della specie de’ bravi11.Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, eracosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fuil dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Perché, al suoapparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con un movi-mento dal quale si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: èlui; quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sul-la strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano in-contro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leg-

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6. nappa: fiocco ornamen-tale formato da fili di setao cotone o altro.7. mustacchi: baffi folti elunghi.8. guardia: parte dell’elsa incui si mette la mano quan-do si impugna una spada.9. come in cifra: lavorateartisticamente in modo daformare disegni.10. forbite: lucide, lustre.11. bravi: ribaldi abituatia compiere soprusi per-ché protetti da un poten-te. Allora accadeva spes-so che uomini colpevolidi delitti si sottraesseroalla giustizia mettendosisotto la protezione di unsignorotto.

I Promessi Sposi Siamo in un piccolo paese vicino al Lago di Como, dove due giovani, LuciaMondella e Renzo Tramaglino, si stanno preparando al loro matrimonio. Invaghitosi di Lucia, don Ro-drigo, un signorotto del luogo, ostacola però tali nozze, costringendo il pauroso parroco don Abbon-dio a non celebrarle. Fra Cristoforo, il confessore di Lucia, viene a conoscenza dei fatti e cerca di con-vincere don Rodrigo a lasciare in pace i due giovani: questi non gli dà ascolto e anzi organizza il ra-pimento di Lucia, che però riesce a sfuggirgli.A questo punto entrambi i giovani sono costretti a fuggire e Lucia si nasconde nel convento di Monza,ponendosi sotto la protezione di Gertrude, una monaca potente e corrotta. Renzo, invece, si reca a Mila-no e arriva proprio quando la città è sconvolta da una sommossa popolare, nella quale rimane coinvolto.Costretto a scappare anche da Milano, dove, avendo preso parte alla rivolta, ha rischiato la galera ela forca, il giovane si rifugia presso il cugino Bortolo a Bergamo.Don Rodrigo si rivolge allora a un potente signore, l’Innominato, che con l’intervento di Gertrude farapire Lucia, ma poi di fronte alle sue preghiere la lascia libera e si converte.Quando a Milano scoppia una violenta epidemia di peste, Lucia – che nel frattempo è stata accolta dauna famiglia nobile di quella città – viene contagiata e condotta perciò al lazzaretto, l’ospedale incui si trovano gli appestati. Anche Renzo si ammala. Guarito dalla peste, va poi a Milano in cerca diLucia e giunge così al lazzaretto, dove incontra fra Cristoforo con i segni della malattia sul volto: ilfrate induce il giovane a perdonare don Rodrigo ormai morente. Dopo qualche esitazione, Renzo loperdona e riprende la sua ricerca.Il giovane riesce infine a ritrovare Lucia: la giovane è guarita, ma, sebbene lieta di rivederlo sano esalvo, non vuole sposarlo per il voto di castità fatto alla Madonna durante la prigionia nel castello del-l’Innominato. Fra Cristoforo però la scioglie dal voto e i due “promessi” possono finalmente sposarsi.

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gesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, veden-doseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri.Domandò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qual-che uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente,contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testi-monio consolante della coscienza12 lo rassicurava alquanto: i braviperò s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio del-la mano sinistra nel collare13, come per raccomodarlo; e, girando ledue dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, tor-cendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin do-ve poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diedeun’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altrapiù modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fa-re? Tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stessoche dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vicorse incontro, perché i momenti di quell’incertezza erano allora co-sì penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la fac-cia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per pre-parare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini,disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi.«Signor curato,» disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia.«Cosa comanda?» rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dallibro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.

«Lei ha intenzione,» proseguì l’altro, con l’atto minaccioso e ira-condo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ri-

balderia, «lei ha intenzione di maritar domani Ren-zo Tramaglino e Lucia Mondella!».«Cioè...» rispose, con voce tremolante, don Abbon-dio: «cioè. Lor signori son uomini di mondo, e san-

no benissimo come vanno queste faccen-de. Il povero curato non c’entra: fanno iloro pasticci tra loro, e poi... e poi, ven-gon da noi, come s’andrebbe a unbanco a riscotere: e noi... noi siamo iservitori del comune».«Or bene,» gli disse il bravo, all’orec-chio, ma in tono solenne di co-mando, «questo matrimonio nons’ha da fare, né domani, né mai».«Ma, signori miei,» replicò don

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12. il testimonio … co-scienza: don Abbondio èsicuro di non essersi maiopposto ai potenti signoridel luogo.13. collare: colletto.

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Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadereun impaziente, «ma, signori miei, si degnino di mettersi ne’ mieipanni. Se la cosa dipendesse da me14,... vedon bene che a me nonme ne vien nulla in tasca...».«Orsù,» interruppe il bravo, «se la cosa avesse a decidersi a ciarle,lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saper-ne di più. Uomo avvertito... lei c’intende».«Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...».«Ma,» interruppe questa volta l’altro compagnone, che non avevaparlato fin allora, «ma il matrimonio non si farà, o...» e qui una buo-na bestemmia, «o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avràtempo, e...» un’altra bestemmia.«Zitto, zitto,» riprese il primo oratore, «il signor curato è un uomoche sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliamfargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l’illustrissimosignor don Rodrigo15 nostro padrone la riverisce caramente».Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d’untemporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e inconfuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, ungrand’inchino, e disse: «se mi sapessero suggerire...».«Oh! suggerire a lei che sa di latino!» interruppe ancora il bravo, conun riso tra lo sguaiato e il feroce. «A lei tocca. E sopra tutto, non si la-sci uscir parola su questo avviso, che le abbiam dato per suo bene; al-trimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via,che vuol che si dica in suo nome all’illustrissimo signor don Rodrigo?».«Il mio rispetto...».«Si spieghi meglio!».«... Disposto... disposto sempre all’ubbidienza». E, proferendo que-ste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o uncomplimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel signi-ficato più serio.«Benissimo, e buona notte, messere,» disse l’un d’essi, in atto dipartir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima,avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto pro-lungar la conversazione e le trattative. «Signori...» cominciò, chiu-dendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza,presero la strada dond’era lui venuto, e s’allontanarono, cantandouna canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Abbon-dio rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi presequella delle due stradette che conduceva a casa sua, mettendo in-nanzi a stento una gamba dopo l’altra, che parevano aggranchiate16.

da A. Manzoni, I Promessi Sposi, capitolo I, Mondadori

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14. Se la cosa … da me: sedon Abbondio non doves-se render conto ai supe-riori, la semplice imposi-zione da parte dei bravisarebbe sufficiente a nonfargli celebrare il matri-monio.15. l’illustrissimo … Ro-drigo: la figura del poten-te don Rodrigo, evocatadal bravo, appare comeuna presenza imponente eterrificante, alla quale nonsi può che ubbidire senzafare domande.16. aggranchiate: intorpi-dite.

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COMMENTOI Promessi Sposi è il primo vero romanzo dellaletteratura italiana. Per romanzo si intendeun’opera letteraria in cui viene narrata una sto-ria (o anche più storie), cioè una successione diavvenimenti, collegati fra loro nel tempo in va-rio modo, da un principio a una fine. In gene-re, nel caso di un romanzo storico, com’è quel-lo manzoniano, l’autore ha come base una vi-cenda storica, che però ricostruisce con la pro-pria immaginazione. Ambienti, vicende, perso-naggi prendono vita in modo da ricreare unaspetto verosimile di quella realtà che l’autoreintende prendere in esame. Manzoni rifiuta qualsiasi elemento fantastico:per questo sceglie la forma del romanzo storico,che realizza la fusione fra la realtà storicamen-te verificabile e l’invenzione di fatti e personag-gi “verosimili”. Puoi facilmente verificarlo anchenel brano che hai letto, dove tutto, dalla preci-sazione della data alle descrizioni, alla psicolo-gia dei personaggi contribuisce a una ricostru-zione completamente priva di elementi fiabe-schi o favolosi. Possiamo dire, per semplificare,che i personaggi che hai incontrato, don Ab-bondio e i due bravi, sono “inventati”, ma pen-sano, parlano e si comportano come se fossero“veri”. Le battute del dialogo che don Abbondioha con i bravi rivelano, ad esempio, che egli èun individuo – come ne esistevano nel Seicentoe purtroppo ne esistono ancora – sempre dispo-sto a cedere alla prepotenza, profondamenteabituato al servilismo: si chinerebbe davanti aibravi senza neppure chiedere una spiegazione,figurarsi se non si dispone all’obbedienza quan-do sente fare il nome di don Rodrigo, il poten-te signorotto della zona! E le sue parole lo ma-nifestano chiaramente. I due bravi, dei qualiuno è più pomposo e apparentemente gentile,l’altro più violento, rappresentano invece latranquilla superbia dei malvagi, sicuri dell’impu-nità. Tutti i particolari, dall’abbigliamento aigesti, di questi ribaldi esprimono la loro abitu-dine al sopruso, all’arroganza e alla violenza.

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1. L’autore all’inizio del brano nominauna data che, pur non riferendosi auna battaglia né a qualche perso-naggio famoso, è comunque “stori-ca”. Quale?

2.Perché, secondo te, questa data è im-portante?a. perché sconvolge l’equilibrio delcurato, facendolo cadere preda del-la paura

b. perché è la data dell’inizio dellastoria

c. perché è il giorno precedente aquello in cui deve essere celebratoil matrimonio di Renzo e Lucia

3.«Il curato... vide una cosa che nons’aspettava, e che non avrebbe volutovedere». Prova a descrivere l’aspettodei due bravi in cui si imbatte il po-vero don Abbondio.a. il capo ........................................................

b. il viso ..........................................................

c. l’abito .........................................................

d. le armi ........................................................

4.Quali sono i pensieri che si affollanonella mente del curato alla vista deibravi?

5. Evidenzia i verbi e le espressioni aiquali ricorrono i bravi per imporre lavolontà del loro padrone (cancella leopzioni non pertinenti).non s’ha da fare – si degnino di met-tersi ne’ miei panni – fanno i loropasticci – non ne sappiamo, né vo-gliam saperne – lei c’intende – Se lacosa dipendesse da me – non si farà– non se ne pentirà perché non neavrà tempo – se mi sapessero sugge-

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Renzo incontra fra CristoforoDon Rodrigo, deciso a impedire con ogni mezzo le nozze fra Renzo eLucia, costringe in pratica i due giovani “promessi” a separarsi; laguerra e la peste ne rendono poi ancor più difficile il ricongiungimen-to. Renzo ha saputo che Lucia, vittima dell’epidemia, si trova nel laz-zaretto a Milano, e la va a cercare. Proprio lì incontra padre Cristofo-ro, il frate cappuccino che ha cercato di aiutare i due giovani, e cheora, preoccupato per l’esito della ricerca di Renzo, lo invita ad averecoraggio in qualsiasi situazione. Di fronte all’invito del frate, Renzo ri-sponde…

… Guarderò, cercherò, in un luogo, nell’altro, e poi ancora, per tut-to il lazzeretto, in lungo e in largo… e se non la trovo!…».«Se non la trovi?» disse il frate, con un’aria di serietà e d’aspettativa,e con uno sguardo che ammoniva.Ma Renzo, a cui la rabbia riaccesa dall’idea di quel dubbio aveva fat-to perdere il lume degli occhi, ripeté e seguitò: «se non la trovo, ve-drò di trovare qualchedun altro. O in Milano, o nel suo scellerato pa-lazzo, o in capo al mondo, o a casa del diavolo, lo troverò quel fur-fante che ci ha separati; quel birbone che, se non fosse stato lui, Lu-cia sarebbe mia, da venti mesi; e se eravamo destinati a morire, al-meno saremmo morti insieme. Se c’è ancora colui, lo troverò…».«Renzo!» disse il frate, afferrandolo per un braccio, e guardandoloancor più severamente.«E se lo trovo,» continuò Renzo, cieco affatto1 dalla collera, «se la pe-ste non ha già fatto giustizia… Non è più il tempo che un poltrone,co’ suoi bravi d’intorno, possa metter la gente alla disperazione, e ri-dersene: è venuto un tempo che gli uomini s’incontrino a viso a vi-so: e… la farò io la giustizia!».«Sciagurato!» gridò il padre Cristoforo, con una voce che aveva ripre-sa tutta l’antica pienezza e sonorità: «sciagurato!» e la sua testa ca-dente sul petto s’era sollevata; le gote si colorivano dell’antica vita;e il fuoco degli occhi aveva un non so che di terribile. «Guarda, scia-gurato!» E mentre con una mano stringeva e scoteva forte il bracciodi Renzo, girava l’altra davanti a sé, accennando quanto più potevaalla dolorosa scena all’intorno. «Guarda chi è Colui che gastiga! Co-lui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona!Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale siala giustizia2! Va, sciagurato, vattene! Io, speravo... sì, ho sperato che,prima della mia morte, Dio m’avrebbe data questa consolazione disentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederla, e di sen-tirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera là verso quel-

1. affatto: in tutto e pertutto, interamente.2. Tu lo sai … la giustizia:Renzo dovrebbe sapere,per l’esperienza che haavuto, quanto sia e imper-fetta la giustizia umana. Ilfrate allude alle persecu-zioni che Renzo ha subitoa Milano quando, durantela rivolta popolare, erastato scambiato per unagitatore e ricercato dalleguardie.

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la fossa dov’io sarò. Va, tu m’hai levata la mia speranza. Dio non l’-ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l’ardire di crederti de-gno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perché lei è unadi quell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va! non hopiù tempo di darti retta».E così dicendo, rigettò da sé3 il braccio di Renzo, e si mosse versouna capanna d’infermi.«Ah padre!» disse Renzo, andandogli dietro in atto supplichevole:«mi vuol mandar via in questa maniera?».«Come!» riprese, con voce non meno severa, il cappuccino. «Ardire-sti tu di pretendere ch’io rubassi il tempo a questi afflitti, i qualiaspettano ch’io parli loro del perdono di Dio, per ascoltar le tue vo-ci di rabbia, i tuoi proponimenti di vendetta? T’ho ascoltato quandotu chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la carità per la carità;ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: che vuoi da me? vattene. Neho visti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offensori chegemevano di non potersi umiliare davanti all’offeso: ho pianto congli uni e con gli altri; ma con te che ho da fare?».«Ah gli perdono! Gli perdono davvero, gli perdono per sempre!»esclamò il giovine.«Renzo!» disse, con una serietà più tranquilla, il frate: «pensaci; edimmi un poco quante volte gli hai perdonato».E, stato alquanto senza ricever risposta, tutt’a un tratto abbassò ilcapo, e, con voce cupa e lenta, riprese: «tu sai perché io porto que-st’abito».3. rigettò da sé: allontanò.

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Renzo esitava.«Tu lo sai!» riprese il vecchio.«Lo so.» rispose Renzo.«Ho odiato anch’io4: io, che t’ho ripreso per un pensiero, per una pa-rola, l’uomo ch’io odiavo cordialmente5, che odiavo da gran tempo,io l’ho ucciso».«Sì, ma un prepotente, uno di quelli...».«Zitto!» interruppe il frate: «credi tu che, se ci fosse una buona ra-gione6, io non l’avrei trovata in trent’anni? Ah! s’io potessi ora met-terti in cuore il sentimento che dopo ho avuto sempre, e che ho an-cora, per l’uomo ch’io odiavo! S’io potessi! io? ma Dio lo può: Eglilo faccia!... Senti, Renzo: Egli ti vuol più bene di quel che te ne vuoitu: tu hai potuto macchinar7 la vendetta; ma Egli ha abbastanza for-za e abbastanza misericordia per impedirtela; ti fa una grazia di cuiqualchedun altro era troppo indegno. Tu sai, tu l’hai detto tante vol-te, ch’Egli può fermar la mano d’un prepotente; ma sappi che puòanche fermar quella d’un vendicativo. E perché sei povero, perchései offeso, credi tu ch’Egli non possa difendere contro di te un uo-mo che ha creato a sua immagine? Credi tu ch’Egli ti lascerebbe fa-re tutto quello che vuoi? No! Ma sai tu cosa puoi fare? Puoi odiare,e perderti; puoi, con un tuo sentimento, allontanar da te ogni bene-dizione. Perché, in qualunque maniera t’andassero le cose, qualun-que fortuna tu avessi, tien per certo che tutto sarà gastigo, finché tunon abbia perdonato in maniera da non poter mai più dire: io gliperdono8».«Sì, sì,» disse Renzo, tutto commosso, e tutto confuso: «capisco chenon gli avevo mai perdonato davvero; capisco che ho parlato da be-stia, e non da cristiano: e ora, con la grazia del Signore, sì, gli perdo-no proprio di cuore».«E se tu lo vedessi?».«Pregherei il Signore di dar pazienza a me, e di toccare il cuore a lui».«Ti ricorderesti che il Signore non ci ha detto di perdonare a’ nostrinemici, ci ha detto d’amarli? Ti ricorderesti ch’Egli lo ha amato a se-gno di9 morir per lui10?».«Sì, col suo aiuto».«Ebbene, vieni con me. Hai detto: lo troverò; lo troverai. Vieni, e ve-drai con chi tu potevi tener odio, a chi potevi desiderar del male, vo-lergliene fare, sopra che vita tu volevi far da padrone».E, presa la mano di Renzo, e strettala come avrebbe potuto fare ungiovine sano, si mosse. Quello, senza osar di domandar altro, gli an-dò dietro.Dopo pochi passi, il frate si fermò vicino all’apertura d’una capan-

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4. Ho odiato anch’io: padreCristoforo, in piena umiltà,confessa a Renzo d’averucciso un uomo, in gio-ventù. Renzo potrà cosìcredere che le parole che ilfrate gli dice – e che invi-tano al perdono e alla mi-sericordia – sono quelle diun uomo che ha vissuto latriste esperienza dell’odioe della vendetta.5. cordialmente: con tuttoil cuore, profondamente.6. se … ragione: nessunaragione può giustificarel’uccisione di un uomo.7. macchinar: preparare,organizzare.8. io gli perdono: non tro-verai misericordia pressoDio fino a quando nonavrai perdonato il tuo ne-mico con tutto il cuore.L’amore del cristiano nonpuò essere che totale. 9. a segno di: al punto da.10. morir per lui: Cristo èmorto per tutti, ma so-prattutto per i peccatori:quindi anche per don Ro-drigo.

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na, fissò gli occhi in viso a Renzo, con un misto di gravità e di tene-rezza; e lo condusse dentro.La prima cosa che si vedeva, nell’entrare, era un infermo seduto sullapaglia nel fondo; un infermo però non aggravato, e che anzi poteva pa-rer vicino alla convalescenza; il quale, visto il padre, tentennò la testa,come accennando di no: il padre abbassò la sua, con un atto di tristez-za e di rassegnazione. Renzo intanto, girando, con una curiosità in-quieta, lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro infermi, ne di-stinse uno da una parte sur una materassa, involtato in un lenzolo, conuna cappa11 signorile indosso, a guisa di12 coperta: lo fissò, riconobbedon Rodrigo, e fece un passo indietro; ma il frate, facendogli di nuovosentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo tirò appiè del covile13,e, stesavi sopra l’altra mano, accennava col dito l’uomo che vi giaceva.Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo14;pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate15 le labbra:l’avreste detto il viso d’un cadavere, se una contrazione violenta nonavesse reso testimonio d’una vita tenace. Il petto si sollevava diquando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor dellacappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delledita, livide16 tutte, e sulla punta nere.«Tu vedi!» disse il frate, con voce bassa e grave. «Può esser gastigo,può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per que-st’uomo che t’ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu purehai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto.Da quattro giorni è qui come tu lo vedi, senza dar segno di senti-mento. Forse il Signore è pronto a concedergli un’ora di ravvedi-mento17; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lopreghi con quella innocente18; forse serba la grazia alla tua sola pre-ghiera, alla preghiera d’un cuore afflitto e rassegnato. Forse la sal-vezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimen-to di perdono, di compassione... d’amore!».Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e pregò: Renzofece lo stesso.Erano da pochi momenti in quella positura19, quando scoccò la cam-pana. Si mossero tutt’e due, come di concerto20; e uscirono. Né l’unofece domande, né l’altro proteste: i loro visi parlavano.«Va ora,» riprese il frate, «va preparato, sia a ricevere una grazia, sia afare un sacrifizio; a lodar Dio, qualunque sia l’esito delle tue ricerche.E qualunque sia, vieni a darmene notizia; noi lo loderemo insieme».Qui, senza dir altro, si separarono; uno tornò dond’era venuto; l’al-tro s’avviò alla cappella, che non era lontana più d’un cento passi.

da A. Manzoni, I Promessi Sposi, capitolo XXXV, Mondadori

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11. cappa: mantello.12. a guisa di: come.13. covile: misero giaci-glio. 14. ma senza sguardo: gliocchi di don Rodrigo sonofissi e sbarrati; dalla man-canza di movimento dellapupilla, si capisce che nonvedono più. Don Rodrigo èancora vivo, ma ormai incoma.15. enfiate: tumefatte,gon fie.16. livide: di colore verda-stro.17. di ravvedimento: dipentimento per gli errori ele colpe commesse.18. quella innocente: Lu-cia, la vittima innocentedella violenza di don Ro-drigo.19. positura: posizione.20. di concerto: di comuneaccordo.

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COMMENTOUna grande serenità pervade gli ultimi capitoli de I Promessi Sposi, lastessa serenità che Dio concede agli uomini quando ristabilisce l’ordi-ne sulla Terra sconvolta dalla violenza e dal male. Segno di quest’azio-ne del Signore è anche la peste, punizione per alcuni e soluzione di tan-ti problemi per altri: per Renzo e Lucia, ad esempio, la peste, provo-cando la morte di don Rodrigo, segna la fine delle sofferenze. Misterioso è il procedere della Provvidenza divina, che trasforma il po-tente don Rodrigo in una creatura miserevole e bisognosa di aiuto. Mala mano pietosa di Dio fa sì ch’egli muoia perdonato dalle sue vittime,le quali traggono occasione dal suo terribile stato per rafforzare e met-tere in pratica la virtù cristiana della carità.Manzoni non si lascia però “travolgere” completamente dalla sua fede ecrea un personaggio, Renzo, che vive in maniera drammatica il contrastofra la vendetta e la pietà, tanto che per concludere il suo difficile percor-so interiore ha bisogno di padre Cristoforo. Solo il frate, infatti, può far-gli comprendere quanto siano falsi e miseri i valori del mondo, e la stes-sa giustizia umana, se paragonati alla misericordia divina, alla potenzadella carità che è l’unica forza capace di instaurare una vera uguaglianzatra gli uomini. Chiedendo a Renzo di aver pietà e di perdonare il suo per-secutore, padre Cristoforo sottolinea come la salvezza di entrambi possaessere collegata alla carità di Dio verso i suoi figli. Renzo, convinto e com-mosso, si unisce al frate nella preghiera: ormai è pronto ad affrontare l’ul-tima drammatica fase della sua ricerca, è cioè preparato sia a ricevere unagrazia sia a fare un sacrificio se non riuscirà a trovare viva Lucia. Ma poi-ché l’amore ha prevalso sull’odio e le ragioni della vita su quelle della mor-te, avvertiamo che anche il ricongiungimento con Lucia è vicino.

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1. Il drammatico incontro nel lazzaretto evidenzia due sentimenti contrapposti: la rabbia e il desi-derio di vendetta di Renzo; l’amore e la carità di padre Cristoforo. Analizzali rispondendo alledomande.a. Qual è la causa scatenante della rabbia di Renzo? Contro chi si manifesta?b. Quale azione Renzo desidera portare a termine?c. A favore di chi si manifesta la carità di padre Cristoforo?d. Quale azione padre Cristoforo desidera portare a termine?

2.Qual è l’atteggiamento di Renzo davanti a don Rodrigo ormai morente?

3. Come viene descritto don Rodrigo in punto di morte?a. gli occhi ................................................................................................................................................................................b. il viso ......................................................................................................................................................................................c. le labbra .................................................................................................................................................................................d. le dita .....................................................................................................................................................................................

4.A quali sentimenti fa appello fra Cristoforo rivolgendosi a Renzo?

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Nella pittura non si può parlare di uno stile romantico, mapiuttosto di un modo di sentire romantico, tra i cui contenu-ti principali sono da annoverare i sentimenti dell’amore, del-la solitudine, della libertà, che riflettono le esperienze perso-nali dell’artista. Anche di fronte alla natura predomina l’indi-vidualismo degli autori: il paesaggio rispecchia ora la malin-conia, ora il dramma, ora l’estasi di colui che lo contempla.

Francesco Hayez, Il bacio, 1859Nel quadro di Francesco Hayez, che raffigura il tema tipica-mente romantico dell’amore, non sappiamo chi siano i duegiovani, né conosciamo la loro storia; la scena, concentratasu due figure abbracciate in un tenero bacio, scivola così fuo-ri dal tempo. Raffigurazione appassionata e sospesa nel mi-stero, ebbe un immediato e clamoroso successo e resta anco-ra oggi uno dei dipinti più popolari dell’Ottocento.

Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1818Il tedesco Caspar David Friedrich èforse il pittore romantico per eccel-lenza. In molti dei suoi quadri è raffi-gurato un personaggio di spalle checontempla un vasto paesaggio, unsoggetto che corrisponde allo smarri-mento dell’uomo di fronte all’infini-to. Il paesaggio che, immerso nellanebbia, tende a prolungarsi sul fon-do, è in perfetto accordo con lo statod’animo dell’individuo, il quale trovapiena corrispondenza tra l’immensitàdella natura e l’inesauribile angosciadel proprio mondo interiore.

L’arte del Romanticismo

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Eugene Delacroix, La libertà che gui-da il popolo, 1830Nel dipinto di Eugene Delacroix ladonna che sorregge la bandiera im-persona un nuovo eroe collettivo, ilpopolo. Intorno a lei si vedono ra-gazzi, adulti, operai, contadini, in-tellettuali e soldati, tutti uniti innome della patria, uno dei grandi te-mi della cultura romantica. EugeneDelacroix è senza dubbio uno degliartisti più rappresentativi del Ro-manticismo francese: i suoi dipinti,sia per i soggetti che per lo stile –caratterizzato da una grande libertàcoloristica ed espressiva – sono quelli che meglio esprimono l’aspetto eroi-co del coinvolgimento del singolo nella collettività e nella storia.

William Turner, Tempesta di neve inun porto, 1812Tra le fonti di ispirazione degli arti-sti romantici, la natura e il paesag-gio sono fra quelle più ricorrenti.In Inghilterra la pittura di paesag-gio ebbe un notevole sviluppo gra-zie anche all’elaborazione delle teo-rie romantiche del sublime, che in-dagano sulla forza misteriosa e sel-vaggia della natura con una partico-lare sensibilità per il mutare deglieffetti atmosferici. I paesaggi dipin-ti da William Turner trasformano larealtà in forme visionarie, in gorghidi luce, nebbie, flutti e vapori, in cuile forme perdono consistenza e i co-lori e la luce diventano i protagoni-sti del quadro.

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Capuana e Verga:il Verismo

I veristi italiani sono spesso autori di novelle (o racconti) perchéquesta forma narrativa si presta bene alla rappresentazione diquello “spaccato di vita” che è al centro del loro interesse. Quasisempre la narrativa verista ha come soggetto l’ambiente della po-vera gente delle regioni meridionali, condizionata dalla miseria eda una durezza nei rapporti umani che talvolta diviene vera e pro-pria disumanità.

Per quanto riguarda la tecnica narrativa, quella verista è simile almetodo dell’osservazione scientifica, ovvero quanto più possibiledistaccata e obiettiva. Non basta, infatti, che ciò che viene rac-contato sia reale: deve essere anche raccontato in modo tale daporre il lettore faccia a faccia con gli avvenimenti, senza chequalcuno lo metta al corrente dell’antefatto della narrazione edelle caratteristiche dei personaggi. L’autore verista punta all’im-personalità e pertanto:- la voce narrante si trova all’interno del mondo rappresentato, al-lo stesso livello dei personaggi;

- la visione è quella della collettività popolare, che ragiona inmodo semplice e quindi non coglie le motivazioni psicologichedei comportamenti, ma solo quelle più concrete;

- il linguaggio è quello spoglio e povero dell’ambiente rappresen-tato;

- la tecnica di scrittura fa ricorso al discorso indiretto libero, untipo particolare di discorso indiretto in cui viene eliminato ilverbo introduttivo (“disse che”, “affermò che”, ecc.) e le paro-le del personaggio sono riportate in terza persona, senza subi-re alcuna rielaborazione da parte del narratore e conservando inquesto modo la vivacità e l’immediatezza del parlato.

Le caratteristiche sopra elencate si ritrovano nelle opere dei nar-ratori veristi, tra cui Luigi Capuana e Giovanni Verga, i due mas-simi protagonisti di questo movimento.

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La mulaDi cima alla scala, don Michele aveva gridato al ragazzo1: – Da’ l’orzo alla mula e cava l’acqua dalla cisterna. Poi, svegliata la servotta che dormiva nella cameretta accanto alla cu-cina, e vista la moglie che, intirizzita, con gli occhi ammammolati2 e icapelli arruffati, finiva d’infilarsi la sottana, cominciò a sbraitare, dan-do ordini: – Il fiasco col vino è pronto?… Ma se non vi movete! Ma se dormi-te ritte! E scendeva giù nella stalla. La mula non voleva bere; e il ragazzo, sapendo che le mani e gli sti-valoni del padrone lasciavano il segno per un paio di giorni, si eramesso a piangere: – Sono io, forse che le dico di non bere? Eìi! Eìi! E la stimolava col fischio. La mula annusava l’acqua svogliatamente, agitando le orecchiestracche stracche; e intingendo nel catino la punta delle labbra,scuoteva la testa, sbuffava, faceva versacci col muso all’aria, mo-strando i denti. – T’ingegni, eh?, di farmi patire quarant’onze di mula!3 – gridò donMichele, dando una pedata al ragazzo e strappandogli di mano la fu-ne della cavezza4. – Non mi tengo per don Michele, finché non tiavrò scorticato vivo5 con le mie proprie mani! E accarezzava la mula, palpandole la pancia, accomodandole il ciuf-fo sulla fronte, passandole la mano sulla schiena. – Che hai, bella bellina? Perché non vuoi bere? Eìi! Eìi! bella! Ma la mula si tirava indietro, sorda alle carezze e al fischio del pa-drone. Appena s’avvide che qualcosa le colava dalle narici e che ave-va gli occhi cisposi6, don Michele cominciò a sacrare7 peggio d’unturco, e a invocare nello stesso tempo le Anime del Purgatorio, laMadonna e sant’Alòi protettore dei cavalli, degli asini e dei muli.

luigi capuana

Nato a Catania, Luigi Capuana (1839-1915) è il primo scrittore verista e il teori-co del movimento. Si interessa di letteratura, poesia popolare e folclore e ben pre-sto si apre alle esperienze del Naturalismo francese, del quale accoglie e pratical’approccio “scientifico”. Instancabile sperimentatore, lascia una vasta produzione narrativa, di cui si ricor-dano particolarmente le novelle (poi riunite in varie raccolte) e i romanzi Giacin-ta, Profumo e Il marchese di Roccaverdina.

1. al ragazzo: al garzone.2. ammammolati: imbam-bolati.3. quarant’onze di mula:una mula del valore di qua-ranta onze; l’onza, alloramoneta siciliana, valevameno di un centesimo.4. cavezza: fune con cui sitiene legata la testa delcavallo o di altro animale.5. Non … vivo: non sonopiù don Michele se non tiscorticherò.6. occhi cisposi: occhi pie-ni di una sostanza vischio-sa, la cispa.7. sacrare: bestemmiare.

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– È cimurro8, di quello che leva di mezzo un animale in quattro o seigiorni. Cristo, tu ce l’hai proprio con me! Vuoi divertirti e portarmivia quarant’onze di mula. Ah, fecero bene a inchiodarti in croce! Semi fossi trovato fra i giudei, li avrei anche aiutati a calcarti meglioquei chiodi. Alle bestemmie, Donna Carmela e Prèsia9 erano accorse; quella conl’imbuto, questa col lume in una mano e il fiasco nell’altra. – Vergine santa, che disgrazia! Donna Carmela si picchiava il capo mentre don Michele, straluna-to, con le mani ciondoloni e le gambe larghe, guardava la mula, cheattaccata alla mangiatoia, nemmeno fiutava l’orzo o la paglia e vol-tava la testa verso di lui, quasi domandasse aiuto, poverina, conquelle orecchie stracche stracche e quegli occhi dolenti. – Quarant’onze di mula! Un tegolo su la testa! Quest’anno, dovròchieder l’elemosina con una canna in mano10… e… – Perché bestemmiate? – So assai se son turco o cristiano! Non vedete il mantice di queifianchi?11Donna Carmela, con le lagrime agli occhi, batteva i denti: – Per compiere l’inferno di casa nostra, mancava proprio questa di-sgrazia! Il Signore si è scordato di me in questo mondo! Dovrò sof-frire altri guai! Don Michele, sentendole battere i denti, si voltò come arrabbiato: – Che avete? – Niente, forse la febbre. Badate alla mula. La povera donna non poteva star ritta e si appoggiava al muro, te-nendo le mani sotto il grembiule, così raggricciata da parere unavecchina; e aveva appena trent’anni. Don Michele continuava aguardare la mula, quasi avesse voluto risanarla con gli occhi e colfiato; alla moglie disse soltanto: – Cercate d’ammalarvi pure voi! Così la festa sarà completa.

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8. cimurro: malattia checolpisce i cani e i cavalli,infiammando le mucosenasali.9. Donna Carmela e Prèsia:rispettivamente la mogliedi don Michele e la dome-stica.10. con … in mano: utiliz-zando un bastone comeun mendicante.11. il mantice … fianchi: ifianchi della mula si dila-tano e si restringono comeun mantice.

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Donna Carmela, che aveva fatto il callo alle gentilezze del marito,replicò: – Badate alla mula. Il ragazzo era andato a chiamare mastro Filippo il fabbro ferraio, elo zi’ Decu12, che di quelle cose13 se n’intendeva meglio di mastroFilippo e anche meglio del dottore. Questi ne ammazzava parecchide’ suoi malati: lo zi’ Decu invece, dove metteva le mani lui, nonc’era pericolo che un animale cascasse a gambe all’aria. Don Mi-chele però aveva fatto chiamare anche mastro Filippo perché quat-tr’occhi veggono meglio di due. Il consulto fu lungo. Mastro Filip-po, visto lo zi’ Decu, faceva l’indiano, per imbarazzare il rivale: – Può darsi che sia cimurro; non voglio oppormi. – È cimurro e di quello!… Qui ci vuole un setone14 coi fiocchi, altri-menti, don Michele, potete disporvi a far conciare questo cuoio15; lamula è ita!16Don Michele tornava a prendersela coi santi e con la Madonna, enon si accorgeva della moglie che tremava, dai brividi, in un canto,pallida, col naso affilato come una moribonda. – Ah, Signore, Signore! Sia fatta la vostra santa volontà! La faceva da dodici anni a quel modo, la santa volontà di Dio; senzauna giornata lieta e tranquilla, con quell’uomo che non le aveva maidetto una buona parola, e che la teneva quasi senza scarpe ai piedi,quantunque ella gli avesse portato più di ottocent’onze di dote! E tutta la giornata stette là e in cucina a preparare i beveroni17 di cru-sca insieme con Prèsia, o a fare suffumigi18 di nepitella19 sotto le fro-ge20 della mula, mentre don Michele, tenendola per la cavezza ac-canto alla mangiatoia, le parlava come a una cristiana e la mula al-zava la testa e lo guardava quasi capisse quei discorsi. La povera donna si sentiva rotte la schiena e le gambe dal salire escendere le scale della cucina e della stalla. Non si sedé neppurea tavola, intanto che don Michele ingoiava in fretta e in furia due

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12. zi’ Decu: compare De-cu; il termine “compare”veniva usato nei paesi contono familiare e amiche-vole.13. di quelle cose: cioè del-le malattie degli animali.14. setone: una specie dicorda di setola che si met-teva sotto la pelle dei ca-valli per far uscire l’infe-zione.15. far … cuoio: conside-rare la pelle della mula giàpronta per la concia. Se lamula non verrà curata be-ne morirà, e dunque la suapelle potrà essere trasfor-mata in cuoio.16. è ita: è spacciata.17. i beveroni: beveraggimedicamentosi.18. suffumigi: vapori disostanze medicamentose. 19. nepitella: pianta aro-matica.20. le froge: le narici.

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uova fritte nel tegame e un’insalata di peperoni, senza nemmenodomandarle se ne volesse. No, ella non avrebbe potuto metterefra i denti neanco uno spicchio di fava; la bocca dello stomaco lesi era serrata. Quell’odor di nepitella che invadeva la casa le davanausea; e don Michele inoltre, mangiando, continuava a ragiona-re del setone da applicare al petto della mula; e pareva v’intinges-se il pane. – Ci vogliono per lo meno tre lire! Ma il segno si vedrà sempre21, sepure sant’Alòi lo benedice. Di chiamare il medico per la moglie non se ne preoccupava neppure. Anzi, in quegli otto giorni, vedendola andare attorno come un cada-vere uscito dalla sepoltura, fra il via vai che c’era in casa pel cimur-ro della mula, le aveva replicato più volte: – Cercate di ammalarvi anche voi; così la festa sarà completa! E pareva minacciasse. Per impedirgli di fare altri peccati, ella si rassegnava a sentirsi mori-re in piedi, e dava assistenza nella stalla, tra il puzzo del setone e del-la nepitella che le mozzava il fiato. E la notte, appena don Michele,che dormiva vestito, si levava per visitare e assistere la povera be-stia, ella gli andava dietro, mezza discinta22; e bisognava si appog-giasse al muro per non cadere, tanto stentava a reggersi in piedi. La mattina che non ebbe più forza di levarsi don Michele cominciòa urlare: – Lo fate apposta! Godete della mia rovina! Siete stata una buona aniente e per ciò la casa è al tracollo! E Cristo di lassù, vede la mula enon vede voi, non vede! – State zitto – gli disse la poveretta. – Questa volta il Signore vi ascol-terà! Don Michele fece un’alzata di spalle e andò presso la mula, ch’era di-ventata uno scheletro e si strascinava tra la vita e la morte. Quaran-t’onze di mula! E ora nessuno l’avrebbe pagata neppur due soldi! Quando Prèsia ebbe il coraggio di venire a dirgli che mentre lui si con-fondeva con la mula23, la povera signora moriva, don Michele rispose:– Va’ a farti friggere tu e la tua signora! Prèsia insistette: – Se passa don Antonio24, gli dirò di salire. – Zitta! E fece atto di voler dare con la fune della cavezza. Prèsia alzò la voce: – Già la povera signora morrà prima della mula: e voi l’avrete su la co-scienza! Neppure una cagna si lascia in abbandono a questa maniera! – Zitta!!

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21. il segno … sempre: sivedrà sempre la cicatrice.22. mezza discinta: pocovestita.23. si … con la mu la: erapreoccupato solo dellamula.24. don Antonio: il medico.

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– Ma Dio ve ne chiederà conto nell’altra vita! Per questo ora Dio nonvi aiuta! – Zitta!! – La mula morrà; il Signore è giusto! Ma voi meritereste anche peggio!Don Michele fece le viste di non sentirla e col capo della fune stro-finava la fronte della povera bestia che teneva giù la testa e parevavolesse baciare la terra. Quando la gnà Rosa25, una vicina, venne adirgli: – C’è il dottore – Don Michele diventò furibondo e cominciòa rovesciar giù dal cielo angioli, santi, serafini, Gesù e la Madonna… – Anima dannata! La gnà Rosa scappò via, facendosi il segno della santa croce: – È proprio un miracolo, se la casa non va in subisso26 dalle fonda-menta! Don Michele trovò il dottore che aveva già scritto qualcosa su d’unpezzettino di carta. – Ma è la prima mattina ch’ella resta a letto! E non sapeva capacitarsi che sua moglie stesse così male da doverlefar somministrare, sùbito, sùbito, i sacramenti della Chiesa. Quando giunse il prete che portava il Santissimo e l’estrema unzio-ne, don Michele andò a mettersi in ginocchio a piè del letto, coi go-miti appoggiati sul piano della sedia e il capo fra le mani. – Non c’è figliuoli27, e la roba torna alla parentela – dicevano tra lo-ro le comari del vicinato, mentre il sacerdote ungeva con l’olio san-to gli occhi e le labbra dell’ammalata. Don Michele, che appunto pensava a questo, mandava fuori sospi-roni. – Fa come il coccodrillo, che prima ammazza l’uomo e poi lo piange! E tutti dicevano: – Ha fatto penare dodici anni quella santa creatura. Finalmente, sela leva di torno!

* * *La povera donna era stesa sul letto, col capo affondato nei guancia-li, con gli occhi infossati, il naso fuligginoso28 e un affanno che la fa-ceva smaniare. Appena il viatico29 andò via, ella fe’ un cenno al ma-rito, e, con voce mezza spenta, gli disse all’orecchio: – Siete contento ora? Dio vi guardi e mantenga! Don Michele scoppiò in pianto: – Perché mi dite così? Non vi ho voluto sempre bene? Ora rimango inmezzo di una strada; devo rendere la dote. E se muore anche la mula,sarà meglio impiccarmi! Ci ho già pensato. Faccio un nodo scorsoio al-la fune della cavezza e attacco l’altro capo a una trave del tetto. – Scellerato! Sareste capace!

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25. gnà Rosa: comare Rosa.Il termine “comare” indicauna donna del vicinato, acui si è legati da rapportodi amicizia o comunque dilunga conoscenza.26. va in subisso: il termi-ne “subisso” significa “di-struzione”.27. Non c’è figliuoli: nonci sono figli e, quindi, ladote della moglie torna al-la famiglia di lei.28. fuligginoso: nerastro.29. il viatico: è il sacra-mento dell’Eucarestia chesi somministra in punto dimorte.

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La poveretta lo rimproverava dolcemente, guardandolo con gli occhicompassionevoli pieni di pietà e di perdono. Ma lui continuava, e lelacrime gli lavavano la faccia: – Sì, sì! Se accade la disgrazia com’è vero che c’è Dio, subito mi impic-co!… Ma la bella Madre dei malati farà il miracolo!… Se no, prima chei vostri parenti vengano a spogliarmi la casa per riprendere la dote, unnodo scorsoio alla fune della cavezza… Così rimarranno più contenti! – E vi dannerete, scellerato? – ella disse con un fil di voce, alzandoa stento una mano. Don Michele pareva volesse sbattere la testa aimuri, dalla desolazione. Allora Donna Carmela, vista Prèsia, che,sudicia e scarmigliata, si asciugava gli occhi col grembiule, la chia-mò e le disse una parola che dovette replicare perché Prèsia mostròdi aver capito male. Più tardi, anche il notaio e i quattro testimoni credettero su le pri-me di aver capito male, sentendo dalla sua stessa bocca che ella vo-leva lasciare la propria roba al marito, con l’obbligo di quattro mes-se nei quattro venerdì di marzo e una il giorno dei Morti, tutti glianni, finché campava. Mentre il notaio scriveva il testamento, don Michele, che diceva dinon poter reggere a tanto strazio, era andato giù in istalla; e accarez-zava la mula, e lavava le froge con acqua di nepitella. – Se non ci badassi io, questa povera bestia morrebbe di stenti; chise ne cura? Povera bestia! Lo sai che ora la padrona non scenderàpiù a portarti con le sue mani la misurina dell’orzo? La mula, per l’acqua di nepitella che le entrava nelle narici, scuote-va la testa e pareva rispondesse che più non le importava di nessu-no e di niente. Don Michele, quando non stava in istalla, sedeva a piè del letto,con le braccia in croce e la testa bassa, tutto compunto30; e sua mo-glie non migliorava né peggiorava, sempre con quell’affanno che lafaceva smaniare. – Se la bella Madre dei malati non vuol farle il miracolo, perché lalascia qui, a penare, questa santa creatura? È uno strazio! Dovrebbeportarsela in paradiso! – Già! Ora che la signora ha fatto testamento, la Madonna dovrebbeportarsela in paradiso. E Prèsia andò a rifugiarsi in cucina; certe cose non poteva stare asentirle; ribolliva tutta dentro, e si mordeva la lingua che non sape-va più tenere in freno.

* * *Il dottore faceva due visite al giorno; non dava però nessuna speran-za né di meglio, né di peggio.

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30. tutto compunto: pienodi compunzione, cioè in unatteggiamento tra l’imba-razzo e il rimorso.

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Non così lo zi’ Decu, che una mattina disse chiaro e tondo che lamula non sarebbe arrivata fino a sera: – Mandatela a buttare ai cani dietro il Castello; e fatela andare coipropri piedi, invece di pagare due manovali per trascinarvela. Don Michele non se ne dava pace: – Quarant’onze di mula!… Ah, in casa mia c’è la maledizione di Dio!Voglio farla ribenedire da cima a fondo! Quella che ha fatto testa-mento e ha avuto tutti i sacramenti della Chiesa, campa! E la mulache pareva dovesse guarire, se la mangeranno i cani dietro il Castel-lo! Ah, c’è qualcuno lassù che l’ha con me a dirittura! – Non vi basta il testamento? – gli disse lo zi’ Decu, per confortarlo. Don Michele gli die’ un’occhiataccia. – Un pezzo di cartaccia inutile… se mia moglie campa! Non lo sape-te? Creperò prima io!… Ah, zi’ Decu!

da L. Capuana, Novelle, Mondadori

COMMENTOUna mula con il cimurro è senza dubbioun problema per chi si vede così priva-to di un valido aiuto nel lavoro quoti-diano, ma sicuramente non un dannoparagonabile alla grave malattia di unfamiliare. Eppure don Michele, il prota-gonista della novella, è preoccupato so-lo per la mula, di fronte alla quale an-che la moglie in fin di vita non contapiù nulla: la malattia dell’animale è vis-suta in modo tragico, come se l’interafamiglia fosse stata colpita dalla male-dizione di Dio. Dalla contrapposizionetra l’animale e la povera donna – e daldiverso tono usato da don Michele perrivolgersi all’una e all’altra – risulta evi-dente la povertà non tanto economica,bensì morale dell’uomo. Se infatti si pre-occupa per la moglie, lo fa solo quandoteme di perdere, con la morte di lei, an-che la sua dote. Non appena la donnadecide di farlo erede di tutti i suoi be-ni, la preoccupazione scompare: non gliresta che aspettare la morte della mo-glie, che però, diversamente da quelladella mula, tarda a venire.

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1. La novella presenta un intreccio piuttostosemplice: ricostruiscilo numerando progres-sivamente le sequenze sotto riportate.a. donna Carmela decide di lasciare in testa-mento al marito tutto ciò che possiede

b. la mula di don Michele si ammala di ci-murro

c. don Michele ordina di dar da mangiare eda bere alla mula che si rifiuta

d. donna Carmela si ammala gravementee. la mula muoref. donna Carmela riceve il viaticog. donna Carmela non si decide a morire

2.Dove si svolge la vicenda e in quale ambiente?

3. Cosa rappresenta la mula per don Michele?a. una prova tangibile della sua vittoria sul-la miseria

b. un affetto che non è riuscito a trovare infamiglia

c. l’espressione di una profonda pietà per lesue sofferenze

4. Il modo in cui don Michele si esprime è per-fettamente legato all’ambiente in cui si svol-ge la vicenda. Che tipo di linguaggio adopera?

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La robaIl viandante che andava lungo il Biviere di Lentini1, steso là comeun pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania,e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Reseco-ne, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello2, se domandava,per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo fo-sco3 dal caldo, nell’ora in cui i campanelli della lettiga4 suonano tri-stamente nell’immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare ilcapo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica pernon lasciarsi vincere dal sonno della malaria5: – Qui di chi è? – sen-tiva rispondersi: – Di Mazzarò –6. E passando vicino a una fattoriagrande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e legalline a stormi accoccolate all’ombra del pozzo, e le donne che simettevano la mano sugli occhi per vedere chi passava: – E qui? – DiMazzarò –. E cammina e cammina, mentre la malaria vi pesava su-gli occhi, e vi scuoteva all’improvviso l’abbaiare di un cane, passan-do per una vigna che non finiva più, e si allargava sul colle e sul pia-no, immobile, come gli7 pesasse addosso la polvere, e il guardianosdraiato bocconi sullo schioppo8, accanto al vallone9, levava il caposonnacchioso, e apriva un occhio per vedere chi fosse: – Di Mazza-rò –. Poi veniva un uliveto folto come un bosco, dove l’erba nonspuntava mai10, e la raccolta durava fino a marzo. Erano gli ulivi di

giovanni verga

Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840, da una famiglia benestante di anticaorigine nobiliare. Se è vero che la Sicilia costituisce la principale fonte di ispira-zione dei suoi scritti, è vero anche che trascorre diversi anni a Firenze e Milano,dove entra in contatto con le esperienze culturali più vivaci, in particolare con gliscrittori naturalisti francesi.Nel 1874 pubblica una novella di ambiente siciliano, Nedda, con cui inizia la suaproduzione verista e, negli anni successivi, una prima raccolta di novelle, Vita deicampi, i cui protagonisti sono umili personaggi della sua terra.Contemporaneamente si prefigge di comporre un ciclo di cinque romanzi, il “ciclodei vinti”, nel quale avrebbe voluto evidenziare la vana lotta dell’uomo per rag-giungere la ricchezza o il successo. Di questo ciclo, però, compone solo I Malavo-glia e Mastro-don Gesualdo. In seguito pubblica la seconda raccolta di racconti, Novelle rusticane, nella qualeil suo pessimismo, già evidente nei Malavoglia, diviene ancora più assoluto. Nel1884 inizia la produzione teatrale, contribuendo al sorgere del teatro verista conCavalleria rusticana, poi musicata dal compositore livornese Pietro Mascagni. Lasua opera per il teatro prosegue fino all’ultimo periodo della vita, con La lupa eDal tuo al mio. Muore a Catania nel 1922.

1. Biviere di Lentini: lagoin provincia di Siracusa, anord-ovest della città diLentini da cui prende il no-me. Questa zona un tempoera paludosa e malarica. 2. Francofonte … Rese-conte … Passaneto … Pas-sanitello: località vicine aLentini.3. fosco: annebbiato.4. lettiga: piccolo lettoportatile utilizzato per tra-sportare persone e formatoda un abitacolo sostenutoda stanghe che poggianosui fianchi dei muli. 5. sonno della malaria:profonda sonnolenza pro-vocata dalla malaria.6. Il viandante … – DiMazzarò: il lungo periodo,aperto dal soggetto «Ilviandante», si concludecon il verbo della princi-pale «sentiva rispondersi»solo alla fine.7. gli: si tratta di un erroretipico della lingua parlata;il soggetto è “la malaria”,nome femminile, e richie-derebbe dunque l’uso delpronome femminile “le”.8. bocconi sullo schioppo:riverso sul fucile.9. vallone: valle profondae stretta.10. uliveto … mai: il ter-reno è sempre coltivato emai lasciato a prato.

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Mazzarò. E verso sera, allorché il sole tramontava rosso come il fuo-co, e la campagna si velava di tristezza, si incontravano le lunghe fi-le degli aratri di Mazzarò che tornavano adagio adagio dal magge-se11, e i buoi che passavano il guado12 lentamente, col muso nell’ac-qua scura; e si vedevano nei pascoli lontani della Canziria13, sullapendice brulla, le immense macchie biancastre delle mandre diMazzarò; e si udiva il fischio del pastore echeggiare nelle gole14, e ilcampanaccio che risuonava ora sì ed ora no, e il canto solitario per-duto nella valle. – Tutta roba di Mazzarò. Pareva che fosse di Mazza-rò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uc-celli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e ilsibilo dell’assiolo15 nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso tut-to grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sul-la pancia. – Invece egli era un omiciattolo, diceva il lettighiere, chenon gli avreste dato un baiocco16, a vederlo; e di grasso non aveva al-tro che la pancia, e non si sapeva come facesse a riempirla, perchénon mangiava altro che due soldi17 di pane; e sì ch’era ricco come unmaiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo.Infatti, colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quellaroba, dove prima veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mie-tere; col sole, coll’acqua, col vento; senza scarpe ai piedi, e senza unostraccio di cappotto; che tutti si rammentavano di avergli dato dei cal-ci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell’eccellenza18, e gli parla-vano col berretto in mano19. Né per questo egli era montato in super-bia, adesso che tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e di-ceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo pagatore20; maegli portava ancora il berretto, soltanto lo portava di seta nera, era lasua sola grandezza, e da ultimo era anche arrivato a mettere il cappel-lo di feltro21, perché costava meno del berretto di seta. Della roba nepossedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga –dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nel-la pianura. Più di cinquemila bocche22, senza contare gli uccelli delcielo e gli animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e sen-za contare la sua bocca la quale mangiava meno di tutte, e si conten-tava di due soldi di pane e un pezzo di formaggio, ingozzato in frettae in furia, all’impiedi, in un cantuccio del magazzino grande comeuna chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci si vedeva,mentre i contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio,quando il vento spazzava la campagna gelata, al tempo del seminare,o colla testa dentro un corbello23, nelle calde giornate della mèsse24.Egli non beveva vino, non fumava, non usava tabacco, e sì che del ta-bacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed

11. maggese: campo la-sciato a prato perché recu-peri fertilità.12. passavano il guado: at-traversavano il corso d’ac-qua nel punto più basso.13. Canziria: regione neipressi di Catania. 14. gole: incisioni ripide eprofonde delle montagne.15. assiolo: uccello not-turno simile al gufo. 16. non … baiocco: il ba-iocco è una moneta di ra-me, di poco valore, utiliz-zata nei domini dello Sta-to Pontificio fino al 1866.L’espressione significa “nongli avreste dato alcun valo-re”.17. soldi: monete utilizza-te in Europa dall’Ottocentoalla seconda guerra mon-diale.18. eccellenza: espressio-ne con cui i contadini sirivolgevano ai padroni, insegno di rispetto.19. col berretto in mano:togliendosi il berretto insegno di rispetto; il ber-retto è il copricapo privodi tesa dei contadini chesi differenzia dal cappello,indossato invece dai si-gnori.20. cattivo pagatore: chinon paga i propri debiti. 21. feltro: falda compattadi lana ottenuta dallapressatura delle fibre permezzo del calore.22. Più di … bocche: tuttii dipendenti, con le relati-ve famiglie da sfamare.23. corbello: cestino di vi-mini. 24. giornate della mèsse:giorni dedicati alla mieti-tura del grano.

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alte come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non ave-va il vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva maiavuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 ta-rì25, quando aveva dovuto farla portare al camposanto.Era che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la ro-ba, quando andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso erasua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giorna-ta, nel mese di luglio, a star colla schiena curva 14 ore, col soprastan-te26 a cavallo dietro, che vi piglia a nerbate27 se fate di28 rizzarvi unmomento. Per questo non aveva lasciato passare un minuto dellasua vita che non fosse stato impiegato a fare29 della roba; e adesso isuoi aratri erano numerosi come le lunghe file dei corvi che arriva-vano in novembre; e altre file di muli, che non finivano più, porta-vano le sementi; le donne che stavano accoccolate nel fango, da ot-tobre a marzo, per raccogliere le sue olive, non si potevano contare,come non si possono contare le gazze che vengono a rubarle; e altempo della vendemmia accorrevano dei villaggi interialle sue vigne, e fin dove sentivasi cantare, nellacampagna, era per la vendemmia di Mazzarò. Allamèsse poi i mietitori di Mazzarò sembravano unesercito di soldati, che per mantenere tutta quel-la gente, col biscotto30 alla mattina e il pane el’arancia amara a colazione, e la merenda, e lelasagne alla sera, ci volevano dei denari amanate31, e le lasagne si scodellavano nellemadie32 larghe come tinozze. Perciò ades-

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25. tarì: moneta utilizzatanel Regno delle Due Siciliedel valore di 42 centesimi. 26. soprastante: personache ha ricevuto dal padro-ne l’ordine di sorvegliare ilavori svolti.27. nerbate: colpi dati conil nerbo, un tipo di frusta. 28. se fate di: se provatea, se cercate di.29. fare: accumulare.30. biscotto: pane duro,cotto due volte, affinchési mantenga più a lungo.31. a manate: a manciate,abbondantemente.32. madie: mobili da cuci-na dove si conservava ilpane; in questo caso “am-pi piatti”.

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so, quando andava a cavallo dietro la fila dei suoi mietitori, col ner-bo in mano, non ne perdeva d’occhio uno solo, e badava a ripetere:– Curviamoci, ragazzi! – Egli era tutto l’anno colle mani in tasca aspendere, e per la sola fondiaria33 il re si pigliava tanto che a Mazza-rò gli veniva la febbre, ogni volta.Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempi-vano di grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire34tutto; e ogni volta che Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di ungiorno per contare il denaro, tutto di 12 tarì d’argento, ché lui non nevoleva di carta sudicia35 per la sua roba, e andava a comprare la car-ta sudicia soltanto quando aveva da pagare il re, o gli altri; e alle fie-re gli armenti36 di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombrava-no le strade, che ci voleva mezza giornata per lasciarli sfilare, e il san-to, colla banda37, alle volte dovevano mutar strada, e cedere il passo.Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa,col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dal-la malaria, coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto ilsole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – eglisolo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quelloch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né pa-renti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuoldire che è fatto per la roba.Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita,perché la roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa comequel barone che prima era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva rac-colto per carità nudo e crudo ne’ suoi campi, ed era stato il padronedi tutti quei prati, e di tutti quei boschi, e di tutte quelle vigne e tut-ti quegli armenti, che quando veniva nelle sue terre a cavallo coicampieri38 dietro, pareva il re, e gli preparavano anche l’alloggio e ilpranzo, al minchione39, sicché ognuno sapeva l’ora e il momento incui doveva arrivare, e non si faceva sorprendere colle mani nel sac-co. – Costui vuol essere rubato40 per forza! – diceva Mazzarò, eschiattava dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel di dietro,e si fregava la schiena colle mani, borbottando: – Chi è minchionese ne stia a casa, – la roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare –. In-vece egli, dopo che ebbe fatta la sua roba, non mandava certo a direse veniva a sorvegliare la messe, o la vendemmia, e quando, e come;ma capitava all’improvviso, a piedi o a cavallo alla mula, senza cam-pieri, con un pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi covo-ni41, cogli occhi aperti, e lo schioppo fra le gambe.In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la ro-ba del barone; e costui uscì prima dall’uliveto, e poi dalle vigne, e

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33. fondiaria: tassa sui fon-di, ovvero sulle proprietàterriere. 34. capire: entrare.35. carta sudicia: le banco-note non hanno un valoreproprio, ma solo un valoreconvenzionale, quindi perMazzarò sono «carta sudi-cia».36. armenti: branchi diquadrupedi domestici.37. il santo, colla banda:la banda porta in proces-sione il Santo protettoredel paese. 38. campieri: sorvegliantidei lavori agricoli e del be-stiame.39. minchione: termine di-spregiativo, indicante per-sona stupida e ingenua.40. rubato: derubato.41. covoni: fasci di spighedi grano legate insieme.

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poi dai pascoli, e poi dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso42,che non passava giorno che non firmasse delle carte bollate43, eMazzarò ci metteva sotto la sua brava croce44. Al barone non era ri-masto altro che lo scudo di pietra45 ch’era prima sul portone, ed erala sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo a Mazzarò: –Questo solo, di tutta la mia roba, non fa per te –. Ed era vero; Maz-zarò non sapeva che farsene, e non l’avrebbe pagato due baiocchi. Ilbarone gli dava ancora del tu, ma non gli dava più calci nel di dietro.– Questa è una bella cosa, d’avere la fortuna che ha Mazzarò! – di-ceva la gente; e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiapparequella fortuna: quanti pensieri, quante fatiche, quante menzogne,quanti pericoli di andare in galera, e come quella testa che era unbrillante avesse lavorato giorno e notte, meglio di una macina delmulino, per fare la roba; e se il proprietario di una chiusa limitrofa46si ostinava a non cedergliela, e voleva prendere pel collo47 Mazzarò,dover trovare uno stratagemma per costringerlo a vendere, e farce-lo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca. Ei gli andava a van-tare, per esempio, la fertilità di una tenuta la quale non producevanemmeno lupini, e arrivava a fargliela credere una terra promessa,sinché il povero diavolo si lasciava indurre a prenderla in affitto, perspecularci sopra48, e ci perdeva poi il fitto49, la casa e la chiusa, cheMazzarò se l’acchiappava – per un pezzo di pane. – E quante secca-ture Mazzarò doveva sopportare! – I mezzadri50 che venivano a la-gnarsi delle malannate51, i debitori che mandavano in processione leloro donne a strapparsi i capelli e picchiarsi il petto per scongiurar-lo di non metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l’asinel-lo, che non avevano da mangiare.– Lo vedete quel che mangio io? – rispondeva lui, – pane e cipolla! esì che ho i magazzini pieni zeppi, e sono il padrone di tutta questa ro-ba –. E se gli domandavano un pugno di fave, di tutta quella roba, eidiceva: – Che, vi pare che l’abbia rubata? Non sapete quanto costa-no per seminarle, e zapparle, e raccoglierle? – E se gli domandavanoun soldo rispondeva che non l’aveva.E non l’aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti cene volevano per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava edusciva come un fiume dalla sua casa. Del resto a lui non gliene im-portava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva in-sieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra; perchévoleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser me-glio del re, ché il re non può né venderla, né dire ch’è sua.Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la ter-ra doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che

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42. uscì … istesso: tuttodiventava proprietà di Maz-zarò.43. carte bollate: contrat-ti di vendita. 44. croce: Mazzarò, è anal-fabeta e firma con unacroce.45. scudo di pietra: lostemma nobiliare della fa-miglia, collocato sopra ilportone di casa.46. chiusa limitrofa: esten-sione di terreno recintatae situata al confine conun’altra proprietà. 47. prendere pel collo:chiedere una cifra eccessi-va e superiore all’effettivovalore. 48. specularci sopra: gua-dagnarci.49. fitto: corrispettivo del-l’affitto.50. mezzadri: contadiniche coltivano il podere delpadrone e vengono ripa-gati con la metà dei gua-dagni.51. malannate: le annatein cui si è prodotto poco.

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dopo di essersi logorata la vita52 ad acquistare della roba, quando ar-rivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava del-le ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a guardare le sue vi-gne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiava-no di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagnacome una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, cur-vo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone frale gambe, per invidia, e borbottava: – Guardate chi ha i giorni lun-ghi53! costui che non ha niente! –Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, perpensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e an-dava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, estrillava: – Roba mia, vientene con me! –

da G. Verga, Novelle, Bulgarini

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52. dopo … la vita: dopoessersi rovinato la vita.53. chi ha … lunghi: chiha ancora tanta giovinez-za e vita davanti a sé.

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1. In che modo Mazzarò è riuscitoad arricchirsi e a diventare padro-ne di tanti beni?

2. Con il passare del tempo Mazzaròdiventa sempre più ricco. Qual èl’unico lusso che si concede?

3. Individua nel testo almeno tre fra-si che rendano l’idea delle enormiricchezze accumulate da Mazzaròe trascrivile.

4. Che rapporto ha Mazzarò con ildenaro? Perché dice di non averesoldi?

5.Pur vivendo miseramente, Mazzarònon si lamenta mai. Qual è l’unicopensiero che lo angoscia?

6.Per quale motivo, nella parte fi-nale della novella, Mazzarò se laprende tanto quando un giovanegli passa davanti?

COMMENTOAl centro della novella, che fa parte della rac-colta Novelle rusticane, è la figura di Mazzarò,un uomo originariamente molto povero maastuto, dedito al lavoro e così disposto al sacri-ficio da accumulare innumerevoli terre e ric-chezze. Niente però sembra mai abbastanza perlui che, pur avendo conquistato con il propriosudore la possibilità di vivere agiatamente,continua a inseguire “la roba” rifiutandosi digoderne. Quando infine la morte bussa alla suaporta, Mazzarò è costretto a riconoscere l’inuti-lità della vita gravosa che ha sempre condotto,e la rabbia e l’angoscia si impossessano di lui.In realtà, però, la vera protagonista della no-vella è la “roba” e con essa un desiderio di ric-chezza che va ben oltre l’istinto dell’accumuloe dell’avarizia, trasformandosi in un bisognotalmente vitale da annullare in Mazzarò ognitraccia di umanità. La logica del possesso divie-ne per lui l’unico motivo di vita, tanto da rap-presentare una sorta di nuova religione, la reli-gione della roba.

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L’ O T T O C E N T O

Il naufragio della “Provvidenza”L’anziano padron ’Ntoni si fa prestare il denaro necessario per acqui-stare un carico di lupini, ripromettendosi di ricavare un discreto gua-dagno dal nuovo commercio e di saldare il suo debito a Natale. I lu-pini vengono caricati sulla barca di famiglia, la “Provvidenza”, guida-ta da Bastianazzo, figlio di padron ’Ntoni. L’imbarcazione però, unavolta in mare, viene colta da una terribile tempesta: dalla riva tutti ifamiliari attendono con apprensione il rientro di Bastianazzo.

Sull’imbrunire comare Maruzza1 coi suoi figlioletti era andata adaspettare sulla sciara2, d’onde si scopriva un bel pezzo di mare, eudendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dirnulla. La piccina piangeva, e quei poveretti, dimenticati sulla scia-ra, a quell’ora, parevano le anime del Purgatorio. Il piangere dellabambina le faceva male allo stomaco, alla povera donna, le sembra-va quasi un malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillar-la3, e le cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagri-me anch’essa.Le comari, mentre tornavano dall’osteria, coll’orciolino dell’olio, ocol fiaschetto del vino, si fermavano a barattare qualche parolacon la Longa4 senza aver l’aria di nulla, e qualche amico di suo ma-

rito Bastianazzo, compar Cipolla,per esempio, o compare Mangia-carrubbe, passando dalla sciaraper dare una occhiata verso il ma-re, e vedere di che umore si ad-dormentasse il vecchio brontolo-ne, andavano a domandare a co-mare la Longa di suo marito e sta-vano un tantino a farle compa-gnia; fumandole in silenzio la pi-pa sotto il naso, o parlando sotto-voce fra di loro. La poveretta, sgo-menta da quelle attenzioni insoli-te, li guardava in faccia sbigottita,e si stringeva al petto la bimba,come se volessero rubargliela. Fi-nalmente il più duro o il più com-passionevole la prese per un brac-cio e la condusse a casa. Ella si la-sciava condurre, e badava a ripe-tere: – Oh! Vergine Maria! Oh

1. comare Maruzza: è lamoglie di Bastianazzo, ilfiglio di padron ‘Ntoni; iltermine “comari” indica ledonne del paese.2. sciara: è il nome datoalla riva, di colore scuro,quasi nero, perché costi-tuita di materiale lavicoproveniente dal vicino vul-cano Etna.3. tranquillarla: tranquil-lizzarla.4. Longa: soprannome “percontrasto” di Maruzza, cheè una donna molto bassa.

I Malavoglia La storia dei Malavoglia si svolge nelpiccolo paese siciliano di Aci Trezza, vicino a Catania. Ilvecchio padron ’Ntoni è il patriarca della famiglia, su cuiesercita un’autorità indiscussa. A lui obbediscono infattiil figlio Bastianazzo, con la moglie Maruzza e i cinque ni-poti: ’Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Il destino si accanisce contro la povera famiglia di pesca-tori, che ha osato tentare un’impresa superiore alle pro-prie forze, vale a dire il commercio di un carico di lupini.Una tempesta abbatte infatti la “Provvidenza”, la barcache per i Malavoglia è fonte di lavoro, e provoca la mortedi Bastianazzo. Da qui si origina una serie di tragedie: idebiti, la morte di Luca in guerra, la cattiva strada presada Lia, il contrabbando e la galera di ’Ntoni, la venditadella “casa del nespolo”, che è il simbolo dell’unità dellafamiglia. Tuttavia, alla fine, dopo la morte del vecchio pa-dron ’Ntoni, Alessi riesce a riscattare la casa e cerca di ri-costruire l’antico nucleo familiare. Il giovane ’Ntoni, inve-ce, uscito di prigione e tornato al paese, capisce che nonc’è più posto per lui in quel mondo che ha rifiutato e siallontana per sempre da Aci Trezza.

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Vergine Maria! – I figliuoli la seguivano aggrappandosi alla gonnel-la, quasi avessero paura che rubassero qualcosa anche a loro.Mentre passavano dinanzi all’osteria, tutti gli avventori5 si affac-ciarono sulla porta, in mezzo al gran fumo, e tacquero per vederlapassare come fosse già una cosa curiosa.– Requiem eternam6, – biascicava sottovoce lo zio Santoro, – quelpovero Bastianazzo mi faceva sempre la carità, quando padron ’Nto-ni gli lasciava qualche soldo in tasca.La poveretta che non sapeva di essere vedova, balbettava:– Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria!Dinanzi al ballatoio7 della sua casa c’era un gruppo di vicine chel’aspettavano, e cicalavano8 a voce bassa fra di loro. Come la vide-ro da lontano, compare Piedipapera e la cugina Anna le venneroincontro, colle mani sul ventre, senza dir nulla. Allora ella si cac-ciò le unghie nei capelli con uno strido disperato e corse a rinta-narsi in casa9.– Che disgrazia! – dicevano sulla via. – E la barca era carica! Più diquarant’onze di lupini!

da G. Verga, I Malavoglia, cap. III, Zanichelli

5. avventori: clienti abi-tuali.6. Requiem eternam: paceeterna.7. ballatoio: balcone co-perto.8. cicalavano: chiacchiera-vano in modo monotono efastidioso.9. Allora … casa: dall’at-teggiamento di Piedipape-ra e della cugina Anna,Maruzza intuisce che di-sgrazia è avvenuta, cioèche la barca è affondata,Bastianazzo è morto e tut-to il carico di lupini è an-dato perduto.

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COMMENTONel romanzo I Malavoglia si riflette tutto il pessimismo di Verga. L’or-dine sociale, come la natura, è e resta immutabile, e l’“umile” che lomette in discussione, che cerca di emergere, è destinato ad essere un“vinto”, come avviene nel brano che hai appena letto. Questo ordinesociale si caratterizza però anche per la presenza di una serie di valo-ri: la dignità del lavoro, il sentimento del dovere, l’unità familiare, lasolidarietà, tanto che la perdita della “Provvidenza” e la morte di Ba-stianazzo non colpiscono solo la famiglia di padron ’Ntoni, ma l’interopaese, che è partecipe prima dell’attesa ansiosa e poi del dolore dei Ma-lavoglia. La Longa che si reca lungo la riva del mare per vedere sia purda lontano la barca in difficoltà, non è mai sola. Le sono vicini i figli,che, con il loro pianto, la richiamano alla realtà della vita di tutti i gior-ni; e le sono vicini i compaesani che, con la loro presenza, danno allapovera donna la consapevolezza della tragedia. Chi tradisce questi va-lori, come farà ’Ntoni, sarà allora doppiamente “vinto”, perché condan-nato a vivere emarginato. Anche Verga, come Manzoni, rappresenta dunque nella sua opera la sto-ria di gente umile, povera, alle prese con la quotidiana lotta per la vita.Però nel descrivere la storia, diversamente dal Manzoni, lo scrittore si-ciliano non interviene con un commento. I suoi personaggi si presenta-no infatti da sé, anche se non individualmente: ciascuno ci giunge, percosì dire, attraverso i giudizi – variamente interessati e spesso mutevo-li – dei compaesani, per cui, quando si parla di uno di questi personag-gi, si è costretti a tener presente il punto di vista di tutta la comunità.Di grande importanza nell’ambito de I Malavoglia è anche il cosiddetto“ideale dell’ostrica”, ovvero la caparbietà con cui la povera gente siostina a rimanere attaccata alle proprie origini, alla propria famiglia eal proprio paese, come l’ostrica allo scoglio.

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1. In quale momento della giornata e in quale luogo è ambientato il bra-no che hai appena letto?

2. Chi è la protagonista del brano? Perché è sulla spiaggia?

3.Qual è l’atteggiamento delle altre donne del paese nei confronti di Ma-ruzza? Cosa fanno?

4. Come reagisce Maruzza a tale atteggiamento? Cosa prova?

5. In che modo la povera donna viene a sapere di essere rimasta vedova?

6. L’atmosfera che caratterizza il brano è resa ancora più triste da una se-rie di suoni. Quali? Sottolineali nel testo.

7. Con quali espressioni viene descritto il mare? Trascrivile.

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L’addio di ’NtoniDopo il disastro e la morte di Bastianazzo, la famiglia dei Malavogliasi è smembrata: ’Ntoni e Lia se ne sono andati per la loro strada; pa-dron ’Ntoni, Maruzza, Luca sono morti. Restano solo Mena e Alessi, ilquale, dopo aver sposato la cugina Nunziata, ha riscattato la “casadel nespolo”, simbolo della famiglia Malavoglia. Ed è proprio a que-sta casa che una sera fa ritorno ’Ntoni, dopo aver scontato cinque an-ni di carcere per aver accoltellato il finanziere don Michele, che lo ave-va scoperto mentre partecipava a un’azione di contrabbando.

Una sera, tardi, il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio del cortile,e lo stesso Alessi, che andò ad aprire, non riconobbe ’Ntoni1 il qua-le tornava colla sporta sotto il braccio, tanto era mutato, coperto dipolvere, e colla barba lunga. Come fu entrato e si fu messo a sede-re in un cantuccio2, non osavano quasi fargli festa. Ei non sembra-va più quello, e andava guardando in giro le pareti, come non leavesse mai viste; fino3 il cane gli abbaiava, ché non l’aveva cono-sciuto mai. Gli misero fra le gambe la scodella, perché aveva famee sete, ed egli mangiò in silenzio la minestra che gli diedero, comenon avesse visto grazia di Dio da otto giorni, col naso nel piatto; magli altri non avevano fame, tanto avevano il cuore serrato. Poi ’Nto-ni, quando si fu sfamato e riposato alquanto, prese la sua sporta esi alzò per andarsene.Alessi non osava dirgli nulla, tanto suo fratello era mutato. Ma al ve-dergli riprendere la sporta4, si sentì balzare il cuore dal petto, e Me-na gli disse tutta smarrita: –Te ne vai?– Sì! – rispose ’Ntoni.– E dove vai? – chiese Alessi.– Non lo so. Venni per vedervi. Ma dacché5 son qui la minestra mi èandata tutta in veleno. Per altro qui non posso starci, ché tutti mi co-noscono, e perciò son venuto di sera. Andrò lontano, dove troveròda buscarmi6 il pane, e nessuno saprà chi sono.Gli altri non osavano fiatare, perché ci avevano il cuore stretto inuna morsa, e capivano che egli faceva bene a dir così. ’Ntoni conti-nuava a guardare dappertutto, e stava sulla porta, e non sapeva risol-versi ad andarsene. –Ve lo farò sapere dove sarò; – disse infine, e co-me fu nel cortile, sotto il nespolo, che era scuro, disse anche: – E il nonno?Alessi non rispose; ’Ntoni tacque anche lui, e dopo un pezzetto: – Ela Lia, che non l’ho vista? E siccome aspettava inutilmente la risposta, aggiunse colla voce tre-mante, quasi avesse freddo: – È morta anche lei?

1. non riconobbe ’Ntoni:non solo per il cambiamen-to fisico. Gli anni di prigio-ne hanno spinto ’Ntoni ameditare sulla gravità delsuo gesto e a condannarela sua vita passata. Perquesto anche più avanti loscrittore insisterà sul suo“mutamento”.2. in un cantuccio: ’Ntonicomprende che non ha piùdiritto di far parte dellafamiglia. Accetta una sco-della di minestra non innome del legame di paren-tela, ma della carità.3. fino: perfino, anche.4. riprendere la sporta:Alessi rivive le altre due oc-casioni in cui ’Ntoni si eraallontanato dai suoi con ilfagotto «sporta» delle suepoche cose, cioè quandoaveva dichiarato di volerandare in cerca di fortunada solo, e quando, dopo leprime delusioni e sconfit-te, aveva voluto perseve-rare nell’errore.5. dacché: dal momentoche.6. buscarmi: guadagnarmi.

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Alessi non rispose nemmeno; allora ’Ntoni che era, sotto il nespolo,colla sporta in mano, fece per sedersi, poiché le gambe gli tremava-no, ma si rizzò di botto, balbettando:– Addio addio! Lo vedete che devo andarmene? Prima d’andarsene voleva fare un giro per la casa, onde vedere seogni cosa fosse al suo posto come prima; ma adesso, a lui che gli erabastato l’animo7 di lasciarla e dare una coltellata a don Michele, e distarsene nei guai8, non gli bastava l’animo di passare da una cameraall’altra se non glielo dicevano. Alessi che gli vide negli occhi il desi-derio, lo fece entrare nella stalla, col pretesto del vitello9 che avevacomperato la Nunziata, ed era grasso e lucente; e in un canto c’erapure la chioccia coi pulcini, poi lo condusse in cucina, dove aveva-no fatto il forno nuovo, e nella camera accanto, che vi dormiva laMena coi bambini della Nunziata, e pareva che li avesse fatti lei10.’Ntoni guardava ogni cosa, e approvava col capo, e diceva: – Qui pu-re il nonno avrebbe voluto metterci il vitello; qui c’erano le chiocce,e qui dormivano le ragazze, quando c’era anche quell’altra...Ma allora non aggiunse altro, e stette zitto a guardare intorno, cogliocchi lustri. In quel momento passava la Mangiacarrubbe, che an-dava sgridando Brasi Cipolla per la strada, e ’Ntoni disse: – Questaqui l’ha trovato il marito: ed ora quando avranno finito di quistiona-re11 andranno a dormire nella loro casa.Gli altri stettero zitti, e per tutto il paese era un gran silenzio, soltan-to si udiva sbattere ancora qualche porta che si chiudeva; e Alessi aquelle parole si fece coraggio per dirgli:– Se volessi anche tu ci hai la tua casa. Di là c’è apposta il letto per te.– No – rispose ’Ntoni. – Io devo andarmene. Là c’era il letto dellamamma, che lei inzuppava tutto di lagrime quando volevo andar-

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7. gli era bastato l’animo:aveva avuto il coraggio.8. starsene nei guai: anda-re in prigione. 9. col pretesto del vitello:con la scusa di fargli vede-re il vitello. 10. la Mena ... fatti lei:dopo lo scandalo suscitatodal disonesto comporta-mento di ’Ntoni e di Lia,Mena aveva rinunziato asposarsi con Alfio per noncoinvolgerlo nel disonoredella sua famiglia, e si eradedicata interamente aibambini di Alessi e Nun-ziata. 11. quistionare: litigare.

L’ O T T O C E N T O

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mene. Ti rammenti le belle chiacchierate che si facevano la sera,mentre si salavano le acciughe? e la Nunziata che spiegava gli indo-vinelli? e la mamma, e la Lia, tutti lì, al chiaro di luna, che si sentivachiacchierare per tutto il paese, come fossimo tutti una famiglia?Anch’io allora non sapevo nulla, e qui non volevo starci, ma ora cheso ogni cosa devo andarmene.In quel momento parlava cogli occhi fissi a terra, e il capo rannic-chiato nelle spalle12. Allora Alessi gli buttò le braccia al collo.– Addio, – ripeté ’Ntoni. – Vedi che avevo ragione d’andarmene! Quinon posso starci. Addio, perdonatemi tutti. E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi, quando fu lonta-no, in mezzo alla piazza scura e deserta, che tutti gli usci erano chiu-si, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del nespo-lo, mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiareche era solo in mezzo al paese. Soltanto il mare gli brontolava la so-lita storia lì sotto, in mezzo ai faraglioni13, perché il mare non ha pae-se nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di quae di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tut-to suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa traquegli scogli nei quali si rompe14, e par la voce di un amico.Allora ’Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il paese tuttonero, come non gli bastasse il cuore di staccarsene, adesso che sa-peva ogni cosa, e sedette sul muricciuolo della vigna di massaro Fi-lippo.Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guardando il pae-se nero, e ascoltando il mare che gli brontolava lì sotto. E ci stettefin quando cominciarono ad udirsi certi rumori ch’ei conosceva, edelle voci che si chiamavano dietro gli usci, e sbatter d’imposte, e

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12. rannicchiato … spalle:con il collo rientrato fra lespalle, come se fosse op-presso da un pesante far-dello.13. faraglioni: scogli cheemergono dal mare di fron-te alla costa catanese fraAci Trezza e Aci Castello.14. si rompe: si infrange.

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dei passi per le strade buie. Sulla riva, in fondo alla piazza, comin-ciavano a formicolare15 dei lumi. Egli levò il capo a guardare i TreRe che luccicavano, e la Puddàra16 che annunziava l’alba, comel’aveva vista tante volte. Allora tornò a chinare il capo sul petto, ea pensare a tutta la sua storia. A poco a poco il mare cominciò afarsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spuntavano ad unaad una nelle vie scure, cogli usci chiusi, che si conoscevano tutte,e solo davanti alla bottega di Pizzuto17 c’era il lumicino, e RoccoSpatu18 colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava. «Fra po-co lo zio Santoro19 aprirà la porta», pensò ’Ntoni, «e si accoccoleràsull’uscio a cominciare la sua giornata anche lui». Tornò a guarda-re il mare, che s’era fatto amaranto20, tutto seminato di barche cheavevano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua spor-ta, e disse: – Ora è tempo di andarsene, perché fra poco comince-rà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata èstato Rocco Spatu.

da G. Verga, I Malavoglia, cap. XV, Zanichelli

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15. formicolare: per lalontananza i lumi appaio-no piccoli come formichea ’Ntoni che li osserva.16. Tre Re … Puddàra: sitratta di stelle; le primeappartengono alla costel-lazione di Orione, l’altra èil nome dato ad Aci Trezzaal gruppo delle Pleiadi.17. Pizzuto: Vanni Pizzutoè il barbiere del paese.18. Rocco Spatu: è un fan-nullone che è stato com-pagno di ’Ntoni nelle sueimprese disoneste.19. lo zio Santoro: è unvecchio che chiede l’ele-mosina.20. amaranto: di colore vio-laceo, cupo.

L’ O T T O C E N T O

COMMENTOVerga affida il compito di concludere il romanzo al personaggio del gio-vane ’Ntoni Malavoglia, al quale del resto aveva assegnato una delle par-ti di maggior rilievo. Il ruolo di ’Ntoni è quello di un uomo che non ac-cetta di vivere una vita di avvilente miseria. Si allontana allora dal pae-se alla ricerca di una ricchezza che gli sembra facile raggiungere, ma lesue speranze sono deluse e non gli resta altro che tornare ad Aci Trezza. Nonostante lo scrittore lo segua nella sua rivolta senza giudicarnel’operato, i fatti sono più eloquenti di qualsiasi commento. E per ’Nto-ni dunque non ci sono che sconfitte, una dopo l’altra, una più gravedell’altra: non più un lavoro onesto, ma la ricerca di guadagni nel con-trabbando, il tentativo di uccidere un finanziere che lo ha scoperto, lagalera. Scontata la pena ritorna di nuovo al paese, ma sente di nonavere più il diritto di continuare a vivere nella sua casa: è ormai con-dannato alla solitudine, definitivamente “vinto”.La scena dell’addio si svolge nei modi consueti del Verismo verghia-no: niente commozione, niente commento, poche parole, gesti essen-ziali che rivelano tutta la solitudine del giovane. Il dramma di ’Ntonidiventa però parte integrante della monotonia quotidiana grazie auna frase che mette sullo stesso piano la partenza del giovane e il vi-vere del paese: «Ora è tempo di andarsene, perché fra poco comince-rà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata èstato Rocco Spatu».

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to1.Nella prima parte del brano Verga si limita a descrivere le azioni com-piute da ‘Ntoni. Cosa fa prima che sua sorella gli chieda cos’ha inten-zione di fare?

2. In che modo viene descritto ‘Ntoni? Che aspetto ha?

3.Prima di allontanarsi nuovamente, e questa volta per sempre, ’Ntoni faun giro per la casa. La voce narrante menziona un particolare di ognistanza. Quale?a. stalla ....................................................................................................................................

b. cucina ..................................................................................................................................

c. camera della Mena ........................................................................................................

4.Da quali parole si capisce che nella casa del nespolo c’è ancora posto per‘Ntoni? Chi le pronuncia?

5.Prova a riassumere il dialogo di ’Ntoni e Alessi, mettendo in ordinecon un numero progressivo le sequenze sotto riportate.a. Alessi chiede a ’Ntoni di rimanere con loro �b. ’Ntoni, accompagnato da Alessi, fa un giro per la casa �c. ’Ntoni risponde che deve andarsene, che in quella casa non può viverci �

d. ’Ntoni dice che è venuto solo per vedere i familiari, ma ha deciso di andare lontano �

e. Alessi fa capire a ’Ntoni che il nonno non c’è più e che la Lia è fuggita �

6. Cosa fa il protagonista del brano dopo essersi allontanato definitiva-mente dalla propria casa? Dove va?

7. Con quali espressioni ’Ntoni rievoca la serenità del passato?

8.Quali delle seguenti frasi si riferiscono al mare di Aci Trezza?a. brontola la solita storiab. abbaia dietro a ‘Ntonic. è di quelli che lo stanno ad ascoltared. si riconosce subito dal suo gorgogliaree. è tutto nero e deserto

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L’ O T T O C E N T O

Nella seconda metà dell’Ottocento, in reazione al prevalente sentimentalismoromantico, si afferma un modo nuovo di vedere e sentire la realtà. Parallela-mente allo sviluppo economico industriale, capitalistico e urbanistico, l’inte-resse degli artisti, come del resto quello degli scrittori, non è più rivolto ai

soggetti eroici, mitici o religiosi, ma alla realtà quotidia-na e ai problemi concreti della gente comune. La polemi-ca contro la pittura di soggetto storico, ritenuta una“fantasia di archeologi”, spinge a considerare degne dirappresentazione le sole esperienze contemporanee, inparticolare il lavoro delle classi povere a cui si riconoscela più alta dignità umana. Oltre ai temi sociali, uno deisoggetti prediletti dai pittori è la natura, che viene raffi-gurata anche nei suoi aspetti più umili e degradati.

Eduard Manet, Ritratto di Émile Zola, 1868La corrispondenza di contenuti tra il mondo letterario equello artistico è testimoniata, oltre che dalle operestesse, dai legami d’amicizia fra artisti e scrittori. Inquesto quadro il pittore francese Eduard Manet ritrae,con attenta e precisa cura dei particolari, l’amico scrit-tore Émile Zola – padre del Naturalismo francese – sedu-to nel suo studio.

Gustave Courbet,Spaccapietre, 1849Con l’affermarsi del Realismo, ogniaspetto della realtà, anche quello piùsemplice e umile, deve trovare postonella pittura. I protagonisti di questo di-pinto del francese Gustave Courbet nonsono infatti né eroi né rappresentantidella nobiltà o dell’alta borghesia, bensìsemplici lavoratori che svolgono la lorofaticosa attività quotidiana.

L’arte realista dell’Ottocento

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Gustave Callebotte, I piallatori di parquet, 1875

L’attenzione rivolta dal Realismo alle problematiche sociali, al mondo della famiglia e del lavoro,fa sì che anche la pittura si confronti con questi temi. L’interesse centrale per la figura umana, ein generale per la vita popolare, è evidente nelle opere dei pittori francesi Gustave Callebotte eEdgar Degas, che rappresentano con inquadrature originali i loro soggetti: operai che piallano ilparquet di una casa signorile e una donna seduta in un caffè davanti a un bicchiere di assenzio,un liquore ricavato da una pianta erbacea.

Edgar Degas, L’assenzio, 1876

Giovanni Fattori, Libecciata, 1880 circaL’innovazione del gruppo di artisti detti “macchiaioli”, a cui appartiene Giovanni Fattori, non fusolo di carattere formale (la loro pittura era costruita per mezzo di accostamenti di macchie dicolore). Essi posero infatti fine alla tematica religiosa o storica preferendo il “vero” dei paesag-gi ripresi all’aperto, delle scenette ambientate nella campagna toscana, del mondo della quoti-dianità fissato sulla tela con straordinaria immediatezza.

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Carduccie la poesia

L’opera di Giosue Carducci è caratterizzata per lo più da temi au-tobiografici legati agli affetti familiari e alla nostalgia per il pae-saggio maremmano, anche se ne fanno parte anche componimen-ti che rievocano grandi momenti della storia patria. Sono infattipresenti, nella sua poesia, due ispirazioni diverse: una ancora le-gata al Romanticismo (in particolare al concetto della missioneche il poeta ha nella società di diffondere valori e ideali); l’altrapiù moderna e rispondente a quanto egli stesso dichiara, cioè che«il poeta deve esprimere se stesso nel modo più sincero e schiet-to: il resto non è affar suo».

Per quanto riguarda la rievocazione del passato, quella di Carduc-ci non è un’operazione di recupero fatta da un intellettuale col-to, ma serve per contrapporre all’eroica storia passata (e in par-ticolare ad alcuni momenti dell’età romana e medievale) la realtàitaliana all’indomani dell’Unità, che il poeta giudica mediocre. I contemporanei definirono Carducci “vate”, cioè profeta, perchécome gli antichi profeti della Bibbia guidava il popolo nel cammi-no della storia. L’impegno civile e l’intento polemico si affievoli-scono però nelle opere della maturità, dove subentrano il ripiega-mento nostalgico sui ricordi legati al mondo delle origini e degliaffetti, sull’analisi dei sentimenti di angoscia e inquietudine.

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L’ O T T O C E N T O

giosue carducci

Giosue Carducci nasce nel 1835 a Val di Castello, nella Versilia toscana. A causadel trasferimento del padre, medico condotto, trascorre la giovinezza in Marem-ma, proseguendo gli studi a Firenze e poi a Pisa, dove si laurea in lettere. Dopoun breve periodo di insegnamento nelle scuole, ottiene la cattedra di Letteraturaitaliana presso l’Università di Bologna. Qui rimane fino alla morte, avvenuta nel1906, dopo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura.Le sue poesie sono riunite in varie raccolte: Iuvenilia; Levia gravia; Giambi ed epo-di, che richiamano nel titolo i versi greci e latini che il poeta vuole imitare; Rimenuove e Odi barbare, così chiamate perché riprendono la metrica dell’ode classicain una lingua che suonerebbe “barbara” all’orecchio degli antichi Greci e Romani;Rime e ritmi.

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carducci e la poesia 285

Traversando la Maremma toscanaDolce paese, onde portai conformel’abito fiero e lo sdegnoso cantoe il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.

5 Ben riconosco in te le usate formecon gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,e in quelle seguo de’ miei sogni l’ormeerranti dietro il giovanile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu invano;10 e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;

e dimani cadrò. Ma di lontano

pace dicono al cuor le tue collinecon le nebbie sfumanti e il verde pianoridente ne le pioggie mattutine.

da G. Carducci, Rime nuove, Zanichelli

1. onde portai … canto:del quale ebbi, in un rap-porto di affinità («confor-me»), l’atteggiamento fie-ro e il canto sdegnoso.3. petto: cuore.4. pur: finalmente.5. usate forme: gli aspettiche ben conosco.8. erranti … incanto: cheinseguono i sogni dellagioventù.11. e dimani cadrò: e do-mani morirò; è un’allusio-ne alla brevità e precarietàdella vita.

COMMENTOMotivo dominante di Traversando la Ma-remma toscana è il ricordo: tornare inquel luogo, che ben conosce per avervipassato la fanciullezza, dà a Carduccil’opportunità di confrontare il passato eil presente, meditando così sull’interocorso della sua vita. All’inizio del sonetto il poeta si sentepartecipe di quel paesaggio dolce e fieroinsieme, riconoscendo in esso alcuniaspetti del suo carattere giovanile. Alsentimento di gioia si accompagna peròben presto quello di una nostalgia strug-gente, tanto che non si può dire se ilpianto che nasce nei suoi occhi sia di fe-licità o piuttosto di dolore. La sua terra,rimasta fedele all’immagine di sempre, lopone anche davanti alla propria sconfitta:gli ideali e le speranze che aveva insegui-to da giovane non si sono realizzati. El’unica cosa certa che gli riserva il futuronon sembra essere altro che la morte.

lavo

riam

o su

l tes

to

1. Con quali parole il poeta si rivolge alla suaterra di Toscana, in apertura della poesia?

2. In che modo Carducci definisce ciò che hasognato e sperato durante la propria giovi-nezza?

3.Alla luce di queste considerazioni, perché ilpoeta dice di guardare la sua terra «con gliocchi incerti tra ’l sorriso e il pianto»?a. perché è incerto tra la gioia di aver rivistola sua terra e la malinconia per un tempoormai passato

b. perché è incerto tra la delusione e il desi-derio di gioire

c. perché è incerto sul comportamento da te-nere quando incontrerà persone conosciute

4. Come viene descritto il paesaggio maremma-no nell’ultima strofa? Completa le frasi.a. le colline sembrano dire .......................................

b. le nebbie sono ...........................................................

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Alla stazione in una mattina d’autunnoOh quei fanali come s’inseguonoaccidiosi là dietro gli alberi,tra i rami stillanti di pioggiasbadigliando la luce su ’l fango!

5 Flebile, acuta, stridula fischiala vaporiera da presso. Plumbeoil cielo e il mattino d’autunnocome un grande fantasma n’è intorno.

Dove e a che move questa, che affrettasi10 a’ carri fóschi, ravvolta e tacita

gente? a che ignoti dolorio tormenti di speme lontana?

Tu pur pensosa, Lidia, la tesseraal secco taglio dài de la guardia,

15 e al tempo incalzante i begli annidài gl’istanti gioiti e i ricordi.

Van lungo il nero convoglio e vengonoincappucciati di nero i vigili,com’ombre; una fioca lanterna

20 hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei

freni tentati rendono un lugubrerintócco lungo: di fondo a l’animaun’eco di tedio rispondedoloroso, che spasimo pare.

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10. carri foschi: i vagoniscuri del treno.12. speme: speranza.13. Lidia: è Lina CristoforiPiva, con cui il poeta ave-va un legame sentimenta-le. – la tessera: il bigliettodel treno.14. la guardia: è il control-lore.21. tentati: colpiti dai fer-rovieri con le loro mazzedi ferro.23. tedio: noia profonda.

L’ O T T O C E N T O

Oh come si insegue la fila dei fanali pigri là dietro gli alberi [della stazione], dai cui ra-mi scendono gocce di pioggia proiettando la loro [triste] luce sul fango! (5) Il treno [emette suoni] deboli, acuti, striduli. Il cielo è grigio e il mattino autunna-le [con la sua nebbia] sembra un grande fantasma che avvolge tutte le cose. Dove si dirige questa gente che silenziosa, avvolta [nei mantelli], si affretta (10) [a sa-lire] sulle carrozze nere? Verso quali dolori ignoti o tormenti di speranza lontana?Anche tu, pensosa, o Lidia porgi la tessera al secco taglio della guardia, (15) e sembriconsegnare al tempo che ci incalza i tuoi anni giovanili, le gioie passate e i ricordi. Come delle ombre, lungo il treno nero procedono i ferrovieri incappucciati nella loro ne-ra divisa; hanno [in mano] una fioca lanterna (20) e mazze di ferro [con le quali] bat-tono i freni che rimandano un suono lungo e funereo. Quel suono penetra nell’animaprovocando un senso di angoscia che sembra uno spasimo.

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25 E gli sportelli sbattuti al chiuderepaion oltraggi: scherno par l’ultimoappello che rapido suona:grossa scroscia su’ vetri la pioggia.

Già il mostro, conscio di sua metallica30 anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei

occhi sbarra; immane pe ’l buiogitta il fischio che sfida lo spazio.

Va l’empio mostro; con traino orribilesbattendo l’ale gli amor miei portasi.

35 Ahi, la bianca faccia e ’l bel velosalutando scompar ne la tenebra.

O viso dolce di pallor roseo,o stellanti occhi di pace, o candidatra’ floridi ricci inchinata

40 pura fronte con atto soave!Fremea la vita nel tepid’aere,fremea l’estate quando mi arrisero;e il giovine sole di giugnosi piacea di baciar luminoso

45 in tra i riflessi del crin castaneila molle guancia: come un’aureolapiù belli del sole i miei sogniricingean la persona gentile.

carducci e la poesia 287

26. l’ultimo appello: è l’ul-timo invito a salire in car-rozza.33. l’empio mostro: è iltreno.34. gli amor miei: il poetasi riferisce a Lidia.43. giovine: il sole è “gio-vane” perché l’estate è ap-pena iniziata.

(25) Gli sportelli che sbattono nel chiudersi sembrano offese e sembra una derisionel’ultima rapida chiamata [del capotreno] mentre la pioggia scroscia forte sui vetri. Già la mostruosa macchina, consapevole della sua anima metallica, (30) sbuffa, sussul-ta, ansima, accende i suoi fanali simili ad occhi fiammeggianti, e lancia nel buio un for-te grido che sfida lo spazio. Avanza l’orrido mostro; e trascina con sé come se avesse le ali, il mio amore. (35) Ahi-mè il bianco volto e il bel velo scompaiono salutandomi nell’oscurità [della nebbia].O dolce viso rosa pallido, e occhi lucenti come stelle [che danno] pace, o fronte candi-da e pura piegata, fra splendidi ricci, (40) in atteggiamento dolcissimo!Era tutta un fremito la vita nell’aria tiepida, era tutta un fremito l’estate quando [i suoiocchi] mi sorrisero; e il luminoso, giovane sole di giugno si compiaceva di baciare (45)la sua morbida guancia tra i riflessi dei capelli castani: i miei sogni, più belli del sole,avvolgevano come un’aureola la sua gentile persona.

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Sotto la pioggia, tra la caligine50 torno ora, e ad esse vorrei confondermi;

barcollo com’ebro, e mi tócco,non anch’io fossi dunque un fantasma.

Oh qual caduta di foglie, gelida,continua, muta, greve, su l’anima!

55 Io credo che solo, che eterno,che per tutto nel mondo è novembre.

Meglio a chi ’l senso smarrì de l’essere,meglio quest’ombra, questa caligine:io voglio io voglio adagiarmi

60 in un tedio che duri infinito.

da G. Carducci, Odi barbare, Mondadori

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59. adagiarmi: qui signifi-ca “annullarmi”.

L’ O T T O C E N T O

Torno ora [alla realtà] sotto la pioggia, tra la nebbia, (50) e vorrei confondermi con es-se; barcollo come [fossi] ubriaco e mi tocco, dubbioso di essere un fantasma.Oh, che caduta di foglie gelida, continua, muta, pesante [scende] sulla [mia] anima!(55) Io credo che solo, eterno, dovunque nel mondo sia novembre. Meglio smarrire la coscienza dell’esistenza [individuale], meglio questa oscurità, que-sta nebbia [che tutto avvolge]: io voglio adagiarmi (60) in una tristezza che duri eter-namente.

COMMENTOÈ una triste giornata autunnale e il poeta ac-compagna alla stazione Lidia, la donna ama-ta. L’immagine reale del presente è, per con-trasto, uno spunto per ritornare con il pensie-ro al passato. Alla realtà cupa della stazione,dominata dal colore nero («carri foschi», «ne-ro convoglio», ecc.) che richiama simbolica-mente la morte, si contrappone infatti l’imma-gine del passato. Un passato caratterizzatodalla luce, dal calore, dai raggi del sole che siriflettono tra i capelli della donna e le acca-rezzano il viso. Dopo l’immagine lieta del pas-sato il poeta però torna di nuovo al presente,al paesaggio piovoso e freddo iniziale, simbo-lo della profonda angoscia provata di frontealla moderna civiltà industriale dominata dal-la macchina (in questo caso il treno).

lavo

riam

o su

l tes

to

1.A quali periodi dell’anno corrispondono,rispettivamente, la partenza di Lidia e lasua prima apparizione?

2.Quali sono, secondo te, i motivi che pre-dominano nella poesia?

3. La stazione ferroviaria è il luogo dove un«mostro» rapisce la bellezza e l’amore.Chi o cosa è questo mostro?

4. Indica gli elementi sonori che creano unsenso di angoscia nell’anima del poeta.

5. Sottolinea nel testo le espressioni che in-dicano la personificazione del treno.

6. In che modo Lidia viene descritta dal poe-ta? Cosa si dice del suo aspetto fisico?

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IL PRIMONOV ECENTO

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Il quadro storico-politico

LA SITUAZIONE DELL’EUROPA Agli inizi del Novecento il sistema industriale avevaraggiunto la piena maturità con la “seconda rivolu-zione industriale” di fine Ottocento, caratterizzata dauna serie di innovazioni scientifiche e tecnologiche(come l’uso dell’elettricità e del petrolio, l’invenzionedel telefono, il telegrafo) e da un ulteriore sviluppodei mezzi di comunicazione, tra cui l’automobile. Le grandi industrie, grazie alla disponibilità di ingentiquantità di denaro, erano ormai in grado non solo diinfluenzare la politica dei governi, ma anche di con-trollare i mercati internazionali e l’economia mondia-le. L’aumento della produzione necessitava, comesappiamo, di vasti mercati: se il vecchio capitalismoaveva esportato prodotti finiti nelle proprie colonieper ottenere in cambio materie prime, il nuovo capi-talismo esportava e investiva soprattutto capitali neiPaesi poveri, per poterne meglio sfruttare le materieprime e ricavare quindi altissimi profitti.In questo clima di grande espansione economica iconflitti tra le classi sociali si acuirono soprattuttonelle metropoli, dove ricchezza e benessere nonerano distribuiti in modo equo. Inoltre, l’aspirazionedelle grandi industrie a ottenere un ruolo di presti-gio in tutti i Paesi del mondo dette origine a forti ri-valità tra le potenze europee. Al passaggio del seco-lo, il continente era dunque un’enorme polverierapronta a esplodere.

LA PRIMA GUERRA MONDIALEPer circa un decennio fu possibile mantenere, sep-pure con grandi difficoltà, il precario equilibrio poli-tico europeo, ma fu sufficiente una piccola scintillaa provocare un’immane tragedia. La difficile situa-zione raggiunse infatti un tragico epilogo nel 1914,quando un attentato, in cui trovò la morte l’erede altrono d’Austria Francesco Ferdinando, scatenò laprima guerra mondiale, a cui presero parte quasi

tutti gli Stati europei compresa l’Italia, e in seguitoanche gli Stati Uniti. L’intensità del conflitto, la sua durata, la vastità deifronti obbligarono i vari Paesi a mobilitare tutte le ri-sorse di cui disponevano: milioni di uomini furonomandati a combattere, mentre le industrie adegua-rono la propria produzione alle necessità belliche.

LE CONSEGUENZE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALEL’Europa uscì dalla “guerra totale”, conclusasi nel1918, completamente sconvolta. Già dal 1917 la Russia era stata investita da un’on-data rivoluzionaria che aveva posto fine all’Imperodegli zar e instaurato un governo di orientamentoliberale, a cui aveva fatto seguito la nascita della Re-pubblica sovietica, che nel 1922 assunse il nome diUnione delle repubbliche socialiste sovietiche(URSS). Cessarono inoltre di esistere l’Impero au-stro-ungarico (che venne diviso in tre Stati indi-pendenti: Austria, Cecoslovacchia e Ungheria) el’Impero ottomano, al posto del quale fu istituita laRepubblica turca. Alla grave situazione economica e sociale del primodopoguerra – segnato da gravi problemi come l’au-mento delle spese sociali, la recrudescenza dellemalattie, la disoccupazione, le difficoltà legate allanecessità di passare da un’economia di guerra aun’economia di pace — si aggiunsero le conse-guenze determinate dai trattati di pace. Tali trattati stabilirono infatti condizioni umilianti perle nazioni uscite sconfitte dalla guerra, in particolarela Germania — che fu costretta a pagare ai Paesi vin-citori ingenti riparazioni per i danni di guerra — maanche l’Italia, generando una pericolosa volontà dirivincita e ponendo le basi per la nascita di regimidittatoriali, come il fascismo in Italia e il nazismo inGermania, che avrebbero portato l’Europa alla se-conda guerra mondiale.

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Il quadro culturaleLA CRISI DI INIZIO SECOLONella complessa situazione sociale che caratterizza gliultimi decenni dell’Ottocento e i primi anni del Nove-cento, entrano in crisi sia la cultura romantica, siaquella positivista. Lo scrittore, che durante il Romanticismo aveva as-sunto la funzione di guida verso il mondo degli idea-li e nell’età del Realismo aveva creduto di poter risol-vere i mali della società attraverso un’accurata indagi-ne della società stessa, vede ora fallire miseramentei propri obiettivi. Si sente infatti emarginato, in quan-to elemento estraneo al mondo della produzione, ereagisce con un atteggiamento di rifiuto della societàe dei suoi miti. Si ripiega così in se stesso e divieneprotagonista di una serie di esperienze eccezionali,che ne fanno ora un privilegiato, un “superuomo”,per la raffinatezza del suo sentire, ora una vittima, perla sua incapacità di impegnarsi nell’azione: in ogni ca-so, sempre un “diverso”.La perdita di fiducia nella ragione, il senso di smar-rimento, il sentimento inquieto del mistero che cir-conda l’uomo, l’esasperata solitudine ispirano dun-que la letteratura del periodo precedente la primaguerra mondiale. A questa produzione artistica vie-ne dato il nome di Decadentismo.

IL DECADENTISMOIl termine “decadente” nasce in Francia per indicarequegli artisti anticonformisti la cui vita, e la cui ope-ra, provocavano scandalo nel pubblico borghese.Da esso deriva poi il Decadentismo, una comples-sa corrente culturale di dimensioni europee che,pur nella varietà delle sue manifestazioni, presentaalcuni denominatori comuni: un diffuso senso disconfitta, di profonda angoscia esistenziale e di so-litudine, la perdita di fede nella ragione. Per i decadenti dietro la realtà sensibile vi è la realtàvera, indecifrabile e misteriosa: i fenomeni sono lamanifestazione di qualcosa di più profondo e, al di làdella loro diversità apparente, risultano uniti da unarete di segrete corrispondenze che solo l’artista puòcogliere. Egli infatti, come un veggente, è capace dispingere lo sguardo là dove l’occhio umano solita-mente non arriva, trascurando di conseguenza gliaspetti della realtà e della società contemporanea.

IL SIMBOLISMOPer rappresentare questo mondo che appare loromisterioso, i decadenti utilizzano lo strumento delsimbolo, sia in letteratura che nelle arti figurative. Laparola poetica perde così il suo valore razionale perdiventare soprattutto parola-musica, adatta a evoca-re suggestioni e sensazioni singolari. Come corrente letteraria vera e propria, il Simboli-smo nasce in realtà nella seconda metà dell’Otto-cento in Francia per iniziativa di un gruppo di poeti— tra i quali Charles Baudelaire, Paul Verlaine eArthur Rimbaud — che ricorrono ai simboli e allamusicalità delle parole per esprimere il mistero delmondo.

LE AVANGUARDIEIl panorama culturale del primo Novecento si carat-terizza anche per la presenza delle Avanguardie, co-sì chiamate prendendo in prestito dal linguaggio mi-litare il termine “avanguardia”, usato per indicare lapattuglia di soldati che va in avanscoperta. Tali movi-menti letterari (ma anche pittorici) rappresentano in-fatti uno slancio verso il nuovo, la prima manifesta-zione di un’ansia di rottura con il passato e del desi-derio di aprirsi a nuove modalità espressive.Gli artisti che si rifanno a questo orientamento si ca-ratterizzano per un’eccezionale carica rivoluzionariae per il fatto di scegliere la via della provocazione,della demolizione di tutto ciò che è vecchio e tradi-zionale, a cui sostituiscono un’arte ispirata agli ele-menti e ai prodotti della modernità: l’industria, lamacchina, la pubblicità, la città. L’entusiasmo legato a questo nuovo clima culturaleha però breve durata: lo scoppio della secondaguerra mondiale avrebbe infatto aperto una fase diincertezza e ripensamento destinata a protrarsi finoagli anni Sessanta.

NUOVI VALORI E NUOVE IDEEIl Novecento si caratterizzò per una serie di muta-menti e innovazioni anche in ambiti diversi da quel-lo letterario: il settore scientifico, la filosofia, le arti fi-gurative, la musica. Ad esempio, la teoria della relatività formulata dal-lo scienziato tedesco Albert Einstein sancì la fine

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dello spazio e del tempo come concetti assoluti,mentre dagli studi del medico e filosofo SigmundFreud sull’inconscio, nasce la psicoanalisi, graziealla quale l’io e l’identità personale cominciano aimporsi come realtà mutevole, in cui convivonopaure, pensieri, desideri che possono sfuggire alcontrollo cosciente della ragione.

Anche nella musica si scoprono e sperimentanonuove direzioni: alla musica tonale, fondata cioèsulle sette note musicali disposte in un ben precisorapporto gerarchico, comincia a subentrare la mu-sica atonale (o dodecafonica), in cui tutti i dodicisuoni della scala cromatica sono posti su un pianodi assoluta parità.

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L’attivita letteraria in Italia’LA POESIA TRA DECADENTISMO E SIMBOLISMOLa poesia italiana del primo Novecento, in cui si av-vertono legami con le esperienze del Decadenti-smo e del Simbolismo, ha i suoi maggiori rappre-sentanti in Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio. Giovanni Pascoli canta soprattutto il mondo dellacampagna e delle “piccole cose”, in cui sente espri-mersi il mistero dell’infinito. La sua poesia si caratte-rizza per un accento dimesso, raccolto, un’interiori-tà profonda, ma arriva anche a percepire la solitu-dine dell’uomo e della terra, perduta nell’immensi-tà dello spazio. Gabriele D’Annunzio esalta invece la bellezza, laguerra, la violenza, l’amore-passione, giungendo allavera arte soprattutto nei momenti in cui, ripiegando suse stesso come fosse vinto dalla nostalgia e oppressodal dolore, abbandona il proprio personaggio di “su-peruomo” per avvicinarsi alla bellezza della natura oper ricordare con rimpianto la sua terra d’origine.

LA LIRICA CREPUSCOLARE Alla retorica e alle complicate immagini dannunzia-ne si oppone il Crepuscolarismo, un movimentoletterario così chiamato perché, per alcuni critici, se-gnava il crepuscolo (cioè il tramonto) di una grandestagione letteraria. I crepuscolari non rappresentanouna scuola letteraria vera e propria, bensì un grup-po di poeti che scelsero un orizzonte di piccole co-se, privilegiarono i sentimenti tenui, rappresentaro-no, fra ironia e nostalgia, vecchi mondi perduti e gri-gie atmosfere provinciali: i tristi pomeriggi domeni-cali, le vecchie case un po’ polverose, il suono ma-linconico di un organetto in lontananza. Il rappre-sentante principale di tale indirizzo letterario è Gui-do Gozzano, seguito da molti altri autori, fra cuiSergio Corazzini, Marino Moretti e, almeno nellesue prime esperienze poetiche, Aldo Palazzeschi.

IL FUTURISMOFra le Avanguardie letterarie si afferma in Italia il Fu-turismo, che considera del tutto superata la tradi-zione classica e abolisce la sintassi fino all’approdoalle “parole in libertà”, cioè alle parole accostate inordine casuale. Il Futurismo nasce per iniziativa di Filippo Tomma-so Marinetti che nel 1908 pubblica sul giornalefrancese “Le Figaro” il Manifesto futurista in cui tro-vano posto il rifiuto della vecchia cultura, la culturadei “professori”, identificata nel mondo delle acca-demie e dei musei, ma anche l’esaltazione della vi-ta come energia, della velocità, del dinamismo sim-boleggiato dai nuovi “mostri” tecnologici (automo-bili, aeroplani, ecc.), della guerra considerata «solaigiene del mondo».Numerosi i poeti che aderiscono, magari per unbreve periodo, a questa corrente, tra cui Aldo Pa-lazzeschi, Corrado Govoni e Luciano Folgore.

I POETI VOCIANI Un’altra via verso il rinnovamento culturale e lette-rario è quella seguita dai poeti che aderiscono allarivista «La Voce», pubblicata a Firenze a partire dal1908 sotto la direzione del giornalista, scrittore ededitore Giuseppe Prezzolini. I vociani tentano, come Camillo Sbarbaro, di espri-mere il disagio dell’esistenza attraverso le piccole co-se della realtà quotidiana; o, come Dino Campana,danno vita a liriche visionarie e arditamente simboli-che; oppure, come Clemente Rebora, trovano unarisposta agli interrogativi e alle inquietudini dell’uo-mo contemporaneo nella dimensione religiosa. Altri autori, tra cui Vincenzo Cardarelli, direttoredella rivista romana «La Ronda», cercano inveceun’espressione poetica che nella sua semplicità siriallacci alla grande tradizione ottocentesca.

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Figura di spicco della poesia italiana del dopoguer-ra è infine Giuseppe Ungaretti, che attua un ap-passionato lavoro intellettuale per ridurre all’essen-ziale la frase poetica, eliminando dal verso tutto ciòche considera “in più”, in modo da isolare la parolanel suo valore più significativo.

LA NARRATIVA Oltre alla poesia, un genere assai diffuso in Italia inquesto periodo è senz’altro il romanzo. Non si trat-ta però più di un romanzo di fatti come quello delRealismo, bensì del cosidetto romanzo di analisi,che si caratterizza per una serie di cambiamenti re-lativamente alla struttura dei personaggi, al modo dicostruire l’intreccio, alla prospettiva nei confronti deltempo e dello spazio e, in parallelo, alle tecnicheespressive. Tra queste ultime spicca in particolarequella del monologo interiore, con la quale il nar-ratore immette il lettore direttamente, e senza alcu-na presentazione, nella vita interiore del personag-gio, riuscendo a esprimerne pienamente il fluire deipensieri e della coscienza. Uno dei temi principali della narrativa del primo No-vecento è la tragica solitudine dell’uomo. Scrittoricome Italo Svevo, Luigi Pirandello e Federigo Tozzidanno infatti vita a personaggi disorientati, alle pre-se con un mondo in cui appare sempre più difficilericonoscersi e realizzare le proprie aspirazioni; dub-bi, angosce, paure lacerano l’individuo e rendonoinutili tutti i tentativi di azione e di intervento sullarealtà. Sebbene incapaci di una scelta di vita stabile e defi-nitiva, i personaggi di Italo Svevo raggiungono peròla coscienza che il disagio di vivere è la dimensionepiù autentica nella quale è inserito l’uomo moderno. Allo stesso modo, nei romanzi e nei racconti di Lui-gi Pirandello, ma ancor più nella sua opera teatra-le, il personaggio vive in continuo contrasto fra l’es-sere e l’apparire, fra la ricerca di una propria auten-ticità e la maschera che gli viene imposta dalle con-venzioni sociali. La vita normale appare a questi

nuovi “eroi” assurda, paradossale e soprattutto co-me un instabile gioco di ipocrite finzioni. Anzi, forsenessun autore ha rappresentato al pari di Pirandel-lo il personaggio della crisi nelle sue più varie sfu-mature: una creatura in cerca d’identità, divisa esdoppiata fra l’essere e l’apparire, fra l’aspirazione avivere liberamente come “persona”, e la condannaa dover recitare come “personaggio” la parte che leè assegnata nel mondo.

IL PROTAGONISTA DEL ROMANZOPer quanto riguarda la figura del protagonista, purnella grande varietà che contraddistingue il romanzoin questo periodo, si possono distinguere due ten-denze principali. Se infatti i romanzi di Gabriele D’An-nunzio (tra cui Il Piacere) si caratterizzano per la pre-senza della figura dell’esteta, che isola il valore dellabellezza e costruisce la sua vita come un’opera d’ar-te, i romanzi di Italo Svevo (soprattutto La coscienzadi Zeno) e Luigi Pirandello (Il fu Mattia Pascal) sonoincentrati sulla figura dell’inetto, cioè di un protago-nista incapace di inserirsi nel frenetico ritmo della so-cietà moderna, che però sfida la propria debolezzasottoponendola a una lucida analisi.

IL TEATROAnche la rappresentazione teatrale in questi annipropone gli stessi interrogativi sull’uomo, la suaidentità e il suo rapporto con la realtà del mondo.Se, come si è detto, il punto più alto di questa ricer-ca è rappresentato dall’opera di Luigi Pirandello,che sviluppa i motivi centrali della sua narrativa, altriautori affrontano con successo queste problemati-che. È il caso del “teatro grottesco” di MassimoBontempelli, le cui commedie portano alla luce glielementi di irrazionalità presenti nelle situazioniquotidiane; è il caso del “teatro dei processi morali”di Ugo Betti, che propone con nuova forza l’anticoconflitto tra bene e male, tra innocenza e corruzio-ne, delineando la necessità per l’uomo di un pro-fondo rinnovamento morale.

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Verifica1. Indica, tra le seguenti frasi, quali sono riferite al Decadentismo(D) e quali al Futurismo (F).a. nasce per iniziativa di Filippo Tommaso Marinetti nel 1908b. si caratterizza per la perdita di fede nella ragionec. celebra la guerra, definendola «sola igiene del mondo»d. ricorre ai simboli sia nella letteratura che nella pittura e. esalta la vita come energia, la velocità, le macchinef. si serve della parola-musica per evocare suggestioni g. abolisce la sintassi e accosta le parole in ordine casualeh. coglie le corrispondenze nascoste dietro i fenomeni della realtài. ne fanno parte Aldo Palazzeschi e Corrado Govoni

2. Sottolinea l’opzione corretta scegliendo tra quelle poste fraparentesi. Il (Futurismo/Crepuscolarismo/Decadentismo) nasce intorno al 1910 edè formato da un gruppo di (romanzieri/poeti/pittori) che scelgono unorizzonte di piccole cose, privilegiano i sentimenti tenui,rappresentano, fra ironia e nostalgia, vecchi mondi perduti e grigieatmosfere provinciali. Il rappresentante principale di questo movimentoletterario è (Italo Svevo/Guido Gozzano/Filippo Tommaso Marinetti).

3. Quali sono le caratteristiche principali della poesia di GiovanniPascoli? Indica la risposta corretta.a. canta il mondo delle moderne città, in cui trova espressionel’angoscia dell’uomo

b. canta il mondo della campagna e delle “piccole cose”, in cui trovaespressione il mistero dell’infinito

c. canta il mondo moderno, caratterizzata dalle industrie e dallemacchine

4. Quali sono le caratteristiche principali della poesia di GabrieleD’Annunzio? Indica la risposta corretta.a. esalta la bellezza, la guerra, l’amore-passione, giungendo alla veraarte quando abbandona il personaggio di “superuomo” e siabbandona alla bellezza della natura

b. canta il mistero dell’universo, giungendo alla vera arte quandoriesce a percepire la solitudine della terra perduta nell’immensitàdello spazio

c. fa riferimento alla solitudine dell’uomo moderno, giungendo alla vera arte quando rappresenta la quotidianità in cui è inserita la figura dell’ “inetto”

5. Indica a chi si riferiscono le frasi scegliendo tra i seguenti nomi. Vincenzo Cardarelli – Giuseppe Prezzolini – Camillo Sbarbaro –

Dino Campana – Clemente Rebora – Giuseppe Ungaretti

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a. riduce all’essenziale la frase poetica per isolare la parola nel suovalore più significativo ............................

b. poeta “vociano”, esprime il disagio dell’esistenza attraverso lepiccole cose della realtà quotidiana .........................

c. giornalista e scrittore, dirige la rivista «La Voce», pubblicata aFirenze dal 1908 ............................

d. poeta “vociano”, trova una risposta alle inquietudini dell’uomocontemporaneo nella dimensione religiosa ........................

e. direttore della rivista «La Ronda», cerca un’espressione poeticasemplice riallacciandosi alla grande tradizione ottocentesca............................

f. poeta “vociano”, scrive liriche visionarie e fortemente simboliche............................

6. Indica quale dei seguenti brani è corretto.a. il romanzo di analisi si caratterizza per la presenza della psicoanalisi, una tecnica narrativa con cui il narratoreimmette il lettore, senza alcuna presentazione, nella vita interiore e nei pensieri del personaggio

b. il romanzo di analisi si caratterizza per la presenza della dodecafonia, una tecnica narrativa con cui il narratore riesce a rappresentare il susseguirsi dei pensieri nella mente del personaggio

c. il romanzo di analisi si caratterizza per la presenza del monologo interiore, una tecnica narrativa con cui il narratore immette il lettore direttamente nella vita interiore del personaggio, di cui esprime il fluire dei pensieri

7. Ognuna delle seguenti frasi contiene un errore. Sottolinealo eriscrivi le frasi correggendole. a. i romanzi di Gabriele D’Annunzio si caratterizzano per la presenzadella figura dell’inetto, che costruisce la sua vita come un’operad’arte

.............................................................................................b. i romanzi di Svevo e di Pirandello sono incentrati sulla figura delsuperuomo, che è incapace di inserirsi nel frenetico ritmo dellasocietà moderna

.............................................................................................c. i personaggi di Gabriele D’Annunzio raggiungono la coscienza cheil disagio di vivere è la dimensione più autentica nella quale èinserito l’uomo moderno

.............................................................................................d. Svevo crea un personaggio diviso fra l’aspirazione a vivereliberamente come “persona”, e la condanna a dover recitare come“personaggio” la parte che gli è stata assegnata nel mondo

.............................................................................................

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Pascoli:tra vita e poesia

Giovanni Pascoli è uno dei maggiori esponenti della poesia italianafra Ottocento e Novecento. I lutti familiari incidono profondamentesul suo carattere e sulla sua produzione letteraria, condizionandone insenso pessimistico la visione del mondo. L’intero universo, dove nonriesce a vedere nessun disegno provvidenziale, gli appare infatti av-volto in un profondo mistero, mentre l’uomo si muove sulla Terra smar-rito, facile preda del male e del dolore. Come reagire a questa condi-zione, comune a tutti gli esseri umani? Solo tornando alle piccole co-se, a un rapporto amichevole con la natura si potrà trovare un po’ dipace e vivere in fraternità con gli altri.

Per Pascoli il poeta deve essere come un fanciullo, che sa trarre gioiadalle piccole cose e che si pone di fronte al mondo con un atteggia-mento di ingenuità negato all’uomo adulto. La capacità del «fanciulli-no» di osservare con serena meraviglia la realtà che lo circonda e dicogliere voci misteriose, capaci di suscitare sensazioni di gioia e feli-cità, viene infatti meno con il passare del tempo. Una volta cresciuto,l’uomo è preso da altri interessi e perciò soffoca la voce del fanciulli-no, che solo il poeta è capace di ascoltare e di riproporre cantando, adesempio, la bellezza di un filo d’erba, delle stelle nel cielo, del graci-dare di una rana, del balenare di un fulmine. Per quanto riguarda la scelta dei temi, prevale nella poesia pascolianala rappresentazione del dolore e della morte, che talvolta tende ad as-sumere sfumature e toni languidi o addirittura patetici.

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I L P R I M ON O V E C E N T O

giovanni pascoli

Giovanni Pascoli nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna. La sua giovinezza è se-gnata da una serie di lutti familiari, tra cui l’assassinio del padre nel 1867. Lascia-ta Urbino – dove dal 1862 ha studiato in collegio – continua gli studi liceali a Ri-mini, Firenze e Cesena, ottenendo poi una borsa di studio presso l’Università diBologna. Aderisce al movimento socialista e nel 1879 viene arrestato per la suaattività politica. Ripresi gli studi, si laurea e inizia la carriera universitaria; nel1907 viene chiamato all’Università di Bologna a succedere a Carducci come pro-fessore di letteratura italiana. Le sue liriche sono raccolte nelle Myricae; nei Poe-metti, che sviluppano la vicenda di una semplice famiglia contadina di Barga, inprovincia di Lucca; nei Canti di Castelvecchio, il paese dove si trasferisce conl’amata sorella Mariù; nei Poemi conviviali, ispirati al mondo greco e orientale; inOdi e Inni, che celebrano il lavoro e il progresso umano. Autore anche di impor-tanti saggi danteschi, muore nel 1912 a Bologna.

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pascoli: tra vita e poesia 297

LavandareNel campo mezzo grigio e mezzo neroresta un aratro senza buoi, che paredimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene5 lo sciabordare delle lavandare

con tonfi spessi e lunghe cantilene.

Il vento soffia e nevica la frasca,e tu non torni ancora al tuo paese!quando partisti, come son rimasta!

10 come l’aratro in mezzo alla maggese.

da G. Pascoli, Myricae, Mondadori

1. mezzo … nero: i coloridella parte ancora da araree di quella già arata.3. vapor leggero: nebbiatenue.4. gora: stagno.6. cantilene: canti mono-toni, con cui le lavandaieaccompagnano il lavoro.7. Il vento … la frasca: ilvento fa cadere le foglie.8. tu: è l’amato lontano.10. maggese: campo la-sciato a riposo, in attesa diun nuovo ciclo di coltura.

COMMENTOLa lirica che hai appena letto fa par-te della raccolta Myricae, il cui tito-lo richiama un verso del poeta lati-no Virgilio «mi piacciono gli arbustie le umili mirice», cioè le tamerici.Il motivo dominante della raccolta,in cui trovano posto le poesie giova-nili di Pascoli, è quello delle “picco-le cose” che, pur nella loro semplicequotidianità, diventano per il poetasimboli di “altre cose”, che solo luiriesce a intuire poiché, come un«fanciullino», sa osservare e ascolta-re la realtà con serena meraviglia. Nasce così il simbolismo pascolianoper cui ogni oggetto, ogni essere vi-vente e addirittura il paesaggio ri-chiamano qualche altra cosa. Ne èun esempio, in Lavandare, l’aratroabbandonato in mezzo al campo,che diviene il simbolo di uno statod’animo pervaso da tristezza e ma-linconia, segnato dall’abbandono edalla solitudine.

lavo

riam

o su

l tes

to

1.Ogni strofa della poesia ha un “protagonista”diverso. Quale? Chi, o che cosa, è al centro del-le tre immagini presenti in essa?

2. Cosa può significare per il poeta la presenza diun aratro senza buoi?a. qualcosa che si è rotto e quindi è inutilizza-bile

b. qualcosa che un tempo è stato utile e cheora giace dimenticato

c. qualcosa che è pronto per essere nuovamen-te usato

3.A chi si rivolge il poeta nell’ultima strofa? Chiè il «tu»?

4.A cosa viene paragonata la donna nell’ultimastrofa?

5.Per quale motivo il poeta ha scelto questa si-militudine?

6.Qual è lo stato d’animo espresso da questapoesia?a. solitudine e desolazioneb. gioia e allegriac. frenesia e agitazione

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I L P R I M ON O V E C E N T O

La mia seraIl giorno fu pieno di lampi;ma ora verranno le stelle,le tacite stelle. Nei campic’è un breve gre gre di ranelle.

5 Le tremule foglie dei pioppitrascorre una gioia leggera.Nel giorno, che lampi! che scoppi!

Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle10 nel cielo sì tenero e vivo.

Là, presso le allegre ranelle,singhiozza monotono un rivo.Di tutto quel cupo tumultodi tutta quell’aspra bufera,

15 non resta che un dolce singultonell’umida sera.

È, quella infinita tempesta,finita in un rivo canoro.Dei fulmini fragili restano

20 cirri di porpora e d’oro.O stanco dolore, riposa!La nube del giorno più nerafu quella che vedo più rosa

nell’ultima sera.

3. tacite: silenziose.4. ranelle: piccole rane.5. Le … leggera: un venti-cello, che sembra quasi unsoffio di gioia, muove lefoglie dei pioppi facendo-le tremolare.9. aprire: effondere tuttele loro luci.12. rivo: ruscello.13. cupo tumulto: paurosofragore.15. singulto: singhiozzo.20. cirri: nuvolette quasitrasparenti.

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pascoli: tra vita e poesia 299

25 Che voli di rondini intorno!che gridi nell’aria serena!La fame del povero giornoprolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi

30 nel giorno non l’ebbero intera.Né io... e che voli, che gridi,

mia limpida sera!

Don... Don... E mi dicono, Dormi!mi cantano, Dormi! sussurrano,

35 Dormi! bisbigliano, Dormi!Là, voci di tenebra azzurra…Mi sembrano canti di culla,che fanno ch’io torni com’era…sentivo mia madre... poi nulla...

sul far della sera.

da G. Pascoli, Canti di Castelvecchio, Mondadori

27. La ... cena: il non averpotuto mangiare duranteil giorno per la tempesta,fa sì che la cena vengaprolungata oltre il solito ein allegria (garrula).31. Né io: la corrisponden-za tra il poeta e gli uccel-lini, la casa e il nido, latempesta e i drammi dellavita giunge a una pienaidentificazione.33. dicono: il soggettopuò essere i nidi o le cam-pane o le voci dei defunti(di tenebra).38. com’era: la pace dellasera è la stessa dell’infan-zia di Pascoli.

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COMMENTOI Canti di Castelvecchio, da cui è tratta la poesia che hai letto, sono am-bientati nel mondo rustico della campagna lucchese e raccolgono liri-che che cantano le umili cose quotidiane con un linguaggio semplice esimile al parlato, quasi fossero una riflessione rivolta dal poeta a sestesso. In La mia sera ritorna un motivo caro a Pascoli, vale a dire iltema della memoria: dal passato emergono un luogo, una data, un suo-no, un profumo che fanno riaffiorare eventi in apparenza dimenticati,ma presenti nelle profondità della coscienza. La memoria ha in sé unacomponente di dolcezza: infatti, recuperando gli affetti perduti, inte-nerisce l’animo e comunica un profondo senso di pace. In questa lirica è esplicito il rapporto fra gli eventi naturali e la vicen-da biografica dell’autore. La tempesta, con tuoni e lampi, ha infuriatoper tutto il giorno ma ora, a sera, si è calmata: di tanti suoni paurosiresta solo il gracidare delle rane; di tanta pioggia, solo il gorgogliare diun piccolo ruscello. Secondo il simbolismo pascoliano, la tempesta cor-risponde alla vita e la sera alla morte, mentre il suono delle campanediviene la voce della tomba, cioè dei cari scomparsi che rivivono nel ri-cordo. L’immagine del volo di rondini nell’aria tornata serena riconduceinvece al nido, che a sua volta riporta alla casa della fanciullezza, alsuono delle campane e questo si confonde e sfuma nel canto della ma-dre, che cerca di far addormentare il bambino di allora. Di suggestione in suggestione il tempo si è progressivamente annulla-to; perciò indefinito e non doloroso resta anche l’implicito accenno al-la morte, sentito come un dolce abbandono nelle braccia della madre.

lavo

riam

o su

l tes

to

1. La prima parte della poesia è dedicata alla rappresentazione di immagini, suoni, impressioni cheemergono dalla visione della natura. Prova a spiegare il significato delle seguenti espressioni.a. tacite stelle .............................................. c. tremule foglie ......................................b. gioia leggera ............................................ d. fulmini fragili ......................................

2.Dopo aver fatto riferimento alla natura, Pascoli rivolge la propria attenzione su se stesso. Indi-vidua e sottolinea il verso in cui avviene tale passaggio.

3. In questa lirica ogni immagine allude a un’altra con la quale è strettamente connessa. Cosa rap-presenta la tempesta del giorno? Cosa, invece, la serenità della sera?

4.Nella poesia si alternano sensazioni visive e uditive. Sottolinea con due colori diversi le paroleed espressioni che si richiamano a immagini e quelle che si richiamano a suoni.

lampi – stelle – gre gre di ranelle – tremule foglie – che scoppi! – dolce singulto – singhiozza monotono un rivo – rivo canoro – fulmini fragili – cirri di porpora e d’oro –

la nube del giorno più nera – che voli di rondini

5. In questa poesia Pascoli impiega spesso il procedimento della personificazione di cose ed ele-menti vegetali. Individua almeno tre personificazioni e trascrivile.

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pascoli: tra vita e poesia 301

Il lampoE cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto

5 una casa apparì sparì d’un tratto; come un occhio, che, largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera.

da G. Pascoli, Myricae, Mondadori

1. si mostrò: apparve, sirivelò.2. ansante: la terra, conuna metafora, è descrittacome una persona soffe-rente dal respiro affannoso.- livida: di un color plum-beo.3. il cielo ingombro: pienodi nuvole. - tragico: ancorauna volta, attraverso l’usodella metafora, viene attri-buita alla natura una sof-ferenza umana. - disfatto:sconvolto e agitato.4. tacito tumulto: Pascoliesprime attraverso un os-simoro (accostamento ditermini dal significatocontrastante) l’agitazionedella natura che è accom-pagnata da un momentodi silenzio infinito e pro-fondo.6. esterrefatto: sbigottitoe atterrito.

COMMENTOUn forte temporale infuria su cielo e terra e sconvolge la natura chesembra soffrire questo improvviso turbamento. Un lampo rompe il si-lenzio e il suo bagliore porta in primo piano il biancore di una casa checontrasta nettamente col buio minaccioso e angosciante che l’avvolge.Ma si tratta solo di un istante e subito la casa sparisce nella tragicaoscurità circostante. Il poeta offre con quest’immagine il suo messaggio e la sua drammati-ca sensazione: il male circonda e assedia il mondo intero, anche le co-se a noi più care come la casa (rappresentazione simbolica del “nido”,della famiglia, del posto sicuro in cui ciascuno può rifugiarsi) che vie-ne infatti paragonata ad un occhio atterrito e impaurito che si apre esi chiude per ricevere una tragica realtà di morte dalla quale sarà sem-pre minacciata.

lavo

riam

o su

l tes

to 1.Quale effetto produce nell’ambiente il sopraggiungere del lampo?a. annuncia l’arrivo della pioggiab. svela l’immenso turbamento della naturac. dona la luce alla notte

2. Con quali aggettivi viene descritta la terra?

3. Con quali il cielo?

4.Nella poesia sono presenti due termini che fanno riferimento a unastessa sensazione ma hanno significato opposto. Quali sono?

5.Nel momento in cui il lampo illumina il cielo a cosa viene paragonatala casa che improvvisamente compare?

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D’Annunzio e il Decadentismo

Le liriche di Gabriele D’Annunzio testimoniano l’adesione del poeta algusto decadente per le immagini preziose e raffinate che le parole, ac-curatamente scelte e accostate, riescono a creare: immagini che coin-volgono non solo il senso della vista, ma anche l’udito e addirittural’olfatto. La parola viene infatti utilizzata come un materiale preziosoda plasmare, creando associazioni inconsuete come un musicista checompone una straordinaria quantità di variazioni su una stessa melo-dia. Il verso diventa una musica che suggerisce sensazioni ora dolcis-sime ora impetuose.

Per D’Annunzio, il poeta è un “superuomo”, cioè un individuo eccezio-nale che con le sue qualità straordinarie si distingue dalla massa in-forme degli altri uomini e che è capace di provare, soprattutto di fron-te alla natura, sensazioni particolari, grazie alle quali è in grado discoprire aspetti della realtà ignoti agli altri.

Per quanto riguarda i temi, nelle sue poesie trovano espressione lagioia della vita e quella “volontà di potenza” che consente di riuscirevincenti nelle più diverse situazioni e che è una delle qualità principa-li del “superuomo”, caratterizzato dalla bellezza, ma anche e soprat-tutto dall’energia eroica e dall’attivismo.

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I L P R I M ON O V E C E N T O

gabriele d’annunzio

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863, da una famiglia agiata. Studia nelcollegio Cicognini di Prato e poi si iscrive alla facoltà di Lettere di Roma, dove fre-quenta gli ambienti mondani diventando ben presto celebre per i duelli, gli scan-dali, gli amori, il lusso, ma soprattutto per i suoi scritti. Oppresso dai debiti, nel1910 va in volontario esilio in Francia. Allo scoppio della prima guerra mondialeè tra i sostenitori dell’intervento italiano contro l’Austria e, tornato in patria, par-tecipa alla guerra rimanendo gravemente ferito all’occhio destro. Nell’immediatodopoguerra si lega al nascente movimento fascista. Ritiratosi nella sua villa sulLago di Garda, vi muore nel 1938.La produzione di D’Annunzio spazia dalla poesia alla prosa e al teatro.Le poesie sono raggruppate in tre raccolte: Canto novo, Poema paradisiaco, Laudi;queste ultime sono divise in libri, fra i quali Alcyone, che contiene le liriche più bel-le. I suoi romanzi più noti sono Il piacere, L’innocente, Il trionfo della morte, Il fuoco.Per il teatro scrive un gran numero di testi, che segnano il gusto di un’intera epo-ca: La città morta, Francesca da Rimini, La figlia di Iorio, La fiaccola sotto il mog-gio, interpretate da una delle più grandi attrici di allora, Eleonora Duse, con laquale D’Annunzio ebbe un’appassionata relazione amorosa.

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La pioggia nel pinetoTaci. Su le sogliedel bosco non odoparole che diciumane; ma odo

5 parole più nuoveche parlano gocciole e foglielontane.Ascolta. Piovedalle nuvole sparse.

10 Piove su le tamericisalmastre ed arse,piove su i piniscagliosi ed irti,piove su i mirti

15 divini,su le ginestre fulgentidi fiori accolti,su i ginepri foltidi coccole aulenti,

20 piove su i nostri voltisilvani,piove su le nostre maniignude,su i nostri vestimenti

25 leggieri,su i freschi pensieriche l’anima schiudenovella,su la favola bella

30 che ierit’illuse, che oggi m’illude,o Ermione.

Odi? La pioggia cadesu la solitaria

35 verduracon un crepitìo che durae varia nell’ariasecondo le frondepiù rade, men rade.

40 Ascolta. Risponde

2. non odo ... umane: nonsento più le parole umaneche tu pronunci.6. che … lontane: le goccedi pioggia sulle foglie delbosco producono suoni cheassumono il valore di unmisterioso linguaggio.11. salmastre ed arse: letamerici sono piante checrescono vicino al mare, equindi sono impregnate disalsedine e riarse dal sole.13. scagliosi ed irti: il cuitronco è rivestito da duresquame e le cui foglie han-no la forma di aghi.14. i mirti divini: il mirto,secondo gli antichi, era unarbusto sacro a Venere.16. ginestre ... accolti: ifiori giallo oro (fulgenti)della ginestra sono rag-gruppati a ciuffi.19. coccole aulenti: bac-che profumate.21. silvani: le creature uma-ne, immerse nella pioggia,hanno assunto un aspettovegetale.26. freschi pensieri: la fre-schezza della natura, rige-nerata dall’acqua, si comu-nica anche all’attività men-tale.29. la favola bella: il sognodi vivere al di fuori dellarealtà comune.32. Ermione: è la donnache lo accompagna e a cuiha dato il nome di una del-le figlie della greca Elena.34. su … verdura: nellasolitudine del bosco.38. secondo le fronde: ilrumore della pioggia variaa seconda che il bosco siapiù o meno folto.

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I L P R I M ON O V E C E N T O

al pianto il cantodelle cicaleche il pianto australenon impaura,

45 né il ciel cinerino. E il pinoha un suono, e il mirtoaltro suono, e il gineproaltro ancòra, stromenti

50 diversisotto innumerevoli dita.E immersi noi siam nello spirtosilvestre,

55 d’arborea vita viventi;e il tuo volto ebroè molle di pioggiacome una foglia,e le tue chiome

60 auliscono comele chiare ginestre,o creatura terrestreche hai nomeErmione.

43. il pianto australe: lapioggia portata dal ventodel sud; le cicale non smet-tono di cantare nonostanteil cielo grigio e la pioggia.49. stromenti diversi: ognipianta su cui cade la piog-gia diviene uno strumentomusicale, che produce unsuono diverso.51. innumerevoli dita: legocce di pioggia sono co-me le dita di abili musicisti.55. d’arborea vita viventi:la realtà umana è scompar-sa; le due creature si sonotrasformate completamen-te, e vivono la stessa vitadegli alberi.56. ebro: inebriato.60. auliscono: profumano.

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65 Ascolta, ascolta. L’accordodelle aeree cicalea poco a pocopiù sordosi fa sotto il pianto

70 che cresce;ma un canto vi si mescepiù rocoche di laggiù sale,dall’umida ombra remota.

75 Più sordo e più fiocos’allenta, si spegne.Solo una notaancor trema, si spegne,risorge, trema, si spegne.

80 Non s’ode voce del mare.Or s’ode su tutta la frondacrosciarel’argentea pioggiache monda,

85 il croscio che variasecondo la frondapiù folta, men folta.Ascolta.

66. aeree cicale: perchécantano sugli alberi, maanche perché il loro cantosi diffonde nell’aria.69. il pianto che cresce: ilsuono della pioggia che siintensifica.71. un canto ... remota: aisuoni elencati si mescola ilcanto rauco delle rane, pro-veniente dall’ombra lonta-na e bagnata dei pantani.75. Più sordo … spegne: ilsapiente uso dell’allittera-zione (cioè delle ripetizio-ne di suoni uguali, in que-sto caso la s), rende il lentospegnersi del canto dellecicale.84. monda: purifica.85. il croscio: il suono del-la pioggia, ricco di echisonori.

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La figlia dell’aria90 è muta; ma la figlia

del limo lontana,la rana,canta nell’ombra più fonda,chi sa dove, chi sa dove!

95 E piove su le tue ciglia, Ermione.

Piove su le tue ciglia neresì par che tu piangama di piacere; non bianca

100 ma quasi fatta virente,par da scorza tu esca.E tutta la vita è in noi fresca,aulente,il cuor nel petto è come pèsca

105 intatta,tra le palpebre gli occhison come polle tra l’erbe,i denti negli alvèolison come mandorle acerbe.

110 E andiam di fratta in fratta,or congiunti or disciolti(e il verde vigor rudeci allaccia i mallèolic’intrica i ginocchi)

115 chi sa dove, chi sa dove!E piove su i nostri volti silvani,piove su le nostre maniignude,

120 su i nostri vestimentileggieri,su i freschi pensieri che l’anima schiude novella,

125 su la favola bella che ierim’illuse, che oggi t’illudeo Ermione.

da G. D’Annunzio, Alcyone, Mondadori

89. La figlia dell’aria: è lacicala.91. limo: fango.99. di piacere: per la gioiadi sentirti penetrata diuna vitalità nuova.100. virente: di colore ver-de, come una ninfa dei bo-schi che esce dalla scorzadell’albero nel quale vive.104. il cuor … acerbe:ogni elemento del corpoumano è trasfigurato; ilcuore è diventato una pè-sca, gli occhi sorgenti diacqua pura (polle), i dentimandorle acerbe.110. fratta: cespuglio.112. il verde … ginocchi:gli arbusti e le erbe folte siintrecciano con le loro ca-viglie e le loro ginocchia,come in un abbraccio.

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COMMENTOLa pioggia nel pineto appartiene alla raccolta Alcyone, che contiene al-cune delle più belle liriche dannunziane.La poesia rivela la straordinaria capacità di D’Annunzio di esprimere at-traverso la musicalità delle parole il prodigio che egli sta vivendo. Ilpoeta e la sua donna, di nome Ermione, vagano in un bosco solitario,dove la pioggia porta refrigerio alla calura estiva, quasi rigenerando lavita. Nella natura vi è un’armonica corrispondenza di voci: quella dellapioggia, quella delle foglie che rispondono ciascuna con un suono diver-so, quella della cicala e della rana. Mano a mano che la musica cresce(sia il pianto della pioggia, che il canto delle creature), l’armonia dellanatura si comunica anche agli esseri umani. Il tempo e lo spazio realinon esistono più: il bosco pare infinito, la pioggia sembra durare dasempre e per sempre. Il poeta, senza che ci sia un passaggio logico, sirende conto di provare sensazioni nuove, che solo creature vegetali(«volti silvani») possono sperimentare: lui ed Ermione sentono, come sefossero elementi del bosco, il refrigerio della pioggia e si muovono nel-la vegetazione a ritmo di danza, in sintonia con la musica che si diffon-de nella natura e con i profumi che si sentono nell’aria dopo la pioggia.

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1.Che cosa “racconta” la poesia?a. l’incontro fra il poeta ed Ermioneb. il vagare senza meta del poeta e della sua donna in un bosco solitarioc. la ricerca di suoni degli elementi vegetali e animali nel bosco

2.Nella parte iniziale della poesia i due innamorati vengono trasformati in elementi della natura,su cui cade la pioggia. Individua in quali versi e sottolineali.

3. Cosa sono le «parole nuove» del v. 5? Più che di parole, di cosa si tratta?

4. Cosa intende dire D’Annunzio quando, al v. 29, parla di «favola bella»? A cosa si riferisce contale espressione?

5.Nella seconda e terza strofa, al canto della pioggia segue il canto di due animali, quali?

6.Numerosi termini ed espressioni presenti nella poesia fanno riferimento a sensazioni visive,olfattive, tattili o uditive. Individua almeno una sensazione per tipo e trascrivila.

7.Rileggi la poesia e individua, trascrivendole, due parole che si riferiscono al mondo vegetale,due che fanno parte del mondo animale e due che rimandano agli esseri umani.

8. Individua uno dei numerosi paragoni presenti nella poesia e spiegalo con parole tue.

9. La lirica si affida anche alla ripetizione di termini, soprattutto verbi. Individuane almeno tre etrascrivili indicando anche il numero del verso.

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I L P R I M ON O V E C E N T O

I pastoriSettembre, andiamo. È tempo di migrare.Ora in terra d’Abruzzi i miei pastorilascian gli stazzi e vanno verso il mare:scendono all’Adriatico selvaggio

5 che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fontialpestri, che sapor d’acqua natìarimanga ne’ cuori esuli a conforto,che lungo illuda la lor sete in via.

10 Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,quasi per un erbal fiume silente,su le vestigia degli antichi padri.O voce di colui che primamente

15 conosce il tremolar della marina!

Ora lunghesso il litoral camminala greggia. Senza mutamento è l’aria.Il sole imbionda sì la viva lanache quasi dalla sabbia non divaria.

20 Isciacquìo, calpestìo, dolci romori.

Ah perché non son io co’ miei pastori?

da G. D’Annunzio, Alcyone, Mondadori

3. gli stazzi: i recinti al-l’aperto per le pecore.4. selvaggio: dalle rivespoglie, desolate.5. verde … monti: il verdedell’acqua assomiglia a quel -lo dei prati montani.9. che lungo illuda: che in-ganni per lungo tempo. –la lor sete: il rimpianto delluogo che i pastori si sonolasciati alle spalle. – in via:durante il lungo cammino.10. verga d’avellano: ba-stone fatto con un ramo dinocciòlo.11. tratturo: pista tracciatadal passaggio delle greggi.12. un erbal fiume: la pi-sta si apre nell’erba, simi-le a un fiume che scorresilenzioso (silente).13. vestigia: orme.14. di colui … marina: dichi per primo vede scintil-lare il mare in lontananza. 16. lunghesso: lungo.18. la viva lana: le pecore.19. non divaria: non si di-stingue per colore.20. Isciacquìo … romori: ipastori e le loro greggi muo-vendosi producono suo ni,che si fondono con quellodelle onde.

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COMMENTOLa lirica appartiene all’ultima parte di Alcyone, dedicata al rimpiantodell’estate che ormai sta finendo, mentre sta per sopraggiungere l’au-tunno. Questa stagione suscita un senso di nostalgia per un tempo chenon è più e, insieme, il desiderio di uno spazio lontano. Ritorna così al-la memoria del poeta l’immagine del natio Abruzzo e della sua gentesemplice. La lirica è infatti ispirata dalla tradizione della transumanzaautunnale: quando, con l’arrivo dei primi freddi, le greggi si spostanodai pascoli estivi di montagna verso le pianure costiere. E celebrandoin poesia il loro lento viaggio, D’Annunzio rende un tributo d’amore al-la sua terra, esprimendo al tempo stesso il rimpianto di quel mondosemplice che è anche quello della sua infanzia.

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1.Perché il poeta chiama i pastori «miei»?a. perché è il padrone delle greggib. perché li conosce di personac. perché è abruzzese come loro

2.Quali versi esprimono l’emozione provata all’improvviso apparire del marescintillante?

3.Più volte nella poesia si avverte la presenza del silenzio. Individua attraver-so quali espressioni D’Annunzio riesce a comunicare questa sensazione e tra-scrivile.

4.Nella lirica vengono indicati due colori: il verde e il giallo oro. A cosa si ri-feriscono?

5. La transumanza, cioè lo spostamento dei pastori con le loro greggi, è unaconsuetudine molto antica anche ai tempi di D’Annunzio. Sottolinea il versodella poesia da cui puoi ricavare questa informazione.

6.Dove ha inizio il “viaggio” dei pastori? Dove si conclude?

7. Trascrivi tutti i verbi che indicano tale “viaggio”, cioè il movimento.

8. Individua tutti i vocaboli attinenti al mondo della campagna e dei pastori etrascrivili, indicandone poi il significato.

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Come la letteratura, anche le arti figurative, si fanno interpreti di quel-la corrente della cultura europea, il Decadentismo, che caratterizza idecenni compresi tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. Nella pittura di questo periodo, particolarmente in quella francese,si afferma un linguaggio nuovo, che appare più enigmatico perché siserve di analogie e simboli per trasmettere i propri contenuti, ricer-cando corrispondenze tra sensazioni diverse come quelle suscitateda profumi, colori, suoni. Le opere riportate in queste due pagine nesono esempi significativi.

Gustav Klimt, Giuditta, 1901La figura femminile ha un ruolo importante nella tematica decaden-te. La donna appare come un angelo o un demonio, ambigua e mi-steriosa, ma comunque sempre affascinante.

Gustav Klimt,Il bacio, 1907-1908Le opere del pittore au-striaco Gustav Klimt, so-no spesso caratterizzateda una certa tendenza al-la stilizzazione (nel qua-dro a lato soltanto la fac-cia e le braccia dei perso-naggi sono realistiche)oltre che da un preziosocromatismo, cioè dal par-ticolare risalto dato a co-lori preziosi e raffinati,come l’oro che avvolge lel’uomo e la donna raffi-gurati nel quadro.

L’arte negli annidel Decadentismo

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Odilon Redon,Donna tra i fiori, 1905Rappresentante del movimento simbolista, Odilon Re-don crea immagini ricche di significati simbolici e distrane forme, che rivelano una realtà ben più comples-sa di quella che normalmente appare. Nel dipinto soprala cascata di fiori di fronte alla donna è come un’am-plificazione della vita, dell’amore, della bellezza.

Odilon Redon, Il ciclope, 1895 Quelli raffigurati nelle opere di OdilonRedon sono ambienti e personaggi per-sonalissimi, come nel dipinto sopra, nelquale l’occhio del ciclope scruta la don-na addormentata, che giace in un maredi luci e colori.

Gustave Moreau, L’apparizione, 1876In pittura, come in letteratura, si ricercano le emozio-ni e le sensazioni di una bellezza inquietante, miste-riosa e sempre rara. L’artista – poeta, pittore o musi-cista che sia – diventa interprete del mistero che sinasconde dietro la realtà. Il simbolismo di GustaveMoreau evoca atmosfere in cui si mescolano sacro eprofano, vero e fantastico, sogno e allucinazione, co-me nel dipinto a lato nel quale appare a Salomè la te-sta di San Giovanni, che la giovinetta ha preteso daErode come premio per la sua danza.

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La poesiadei crepuscolari

Pur non essendo una scuola con manifesti, proclami, dichiarazioni diuna poetica comune (come, ad esempio, il Futurismo) il Crepuscolari-smo rappresenta senz’altro un movimento innovativo. Tale termine in-dica un clima culturale, il modo di atteggiarsi di fronte alla realtà e al-la letteratura di un gruppo di poeti che non si riconoscono più nel mi-to eroico del poeta-vate di Carducci, né in quello superomistico diD’Annunzio e del costume letterario da essi diffuso. La poesia crepu-scolare, infatti, canta sentimenti lievi come la tenerezza e la malinco-nia, atmosfere domestiche, oggetti quasi banali spesso consideraticon una certa affettuosa ironia.A questo clima culturale appartengono Sergio Corazzini, che può esse-re considerato l’iniziatore della tendenza, Guido Gozzano, che ne è ilmaggiore esponente, Marino Moretti e Aldo Palazzeschi, che vi aderi-sce nella sua prima fase poetica.

I L P R I M ON O V E C E N T O

Sergio Corazzini

Desolazione del povero poeta sentimentaleIPerché tu mi dici: poeta?Io non sono poeta.Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.Vedi: non ho che le lacrime da offrire al Silenzio.

5 Perché tu mi dici: poeta?

IILe mie tristezze sono povere tristezze comuni.Le mie gioie furono semplici,semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.Oggi io penso a morire.

III10 Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;

solamente perché i grandi angioli

4. le lacrime ... al Silenzio:il poeta crepuscolare ten-de a raccogliersi in se stes-so, nel silenzio, contrap-ponendosi alla realtà che èrumore, lotta, dispersione;e al silenzio il poeta altronon può offrire che le suelacrime. 8. arrossirei: per la vergo-gna di aver vissuto una vi-ta così angusta.11. solamente ... angoscia:gli angeli sono il simbolod’una vita ultraterrena allaquale il poeta aspira.

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su le vetrate delle catedralimi fanno tremare d’amore e di angoscia;solamente perché, io sono, oramai,

15 rassegnato come uno specchio,come un povero specchio melanconico.

Vedi che io non sono un poeta:sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.…

da AA.VV, Poeti italiani del Novecento, Mondadori

la poesia dei crepuscolari 313

12. catedrali: scrivere “cat-tedrali” con una sola t, èun vezzo ortografico pre-sente anche in Gozzano.

sergio corazzini

Sergio Corazzini nasce a Roma nel1886 e vi muore, poco più che ven-tenne, nel 1907. Costretto ad abban-donare gli studi ginnasiali per ungrave dissesto finanziario che colpi-sce la sua famiglia, conduce una vitatriste e mediocre, consolato solo dal-l’amore per la poesia. Fin dal 1902comincia a pubblicare liriche, alcunedelle quali in dialetto romanesco. Nel1904 escono le raccolte Dolcezze eL’amaro calice; l’anno successivo Leaureole. Seguiranno Piccolo libro inu-tile, Elegie e Libro per la sera della do-menica. Tutte queste opere sarannoraccolte nel volume intitolato Liriche,pubblicato dopo la sua morte.

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COMMENTOIl tema della poesia, della quale ti abbiamo presentato le prime strofe,è il rifiuto della concezione tradizionale del poeta-vate carducciano.Corazzini vuole infatti affermare una nuova figura di poeta, appunto il«poeta sentimentale», capace di cogliere la desolata condizione esi-stenziale dell’uomo contemporaneo, la sua solitudine, ma anche la pro-pria personale malinconia. La sua è dunque una lirica che canta le pic-cole cose, i semplici affetti quotidiani, i sentimenti dimessi e un po’tristi.L’inizio della poesia sembra essere un dialogo tra il poeta e un lettoreimmaginario, a cui Corazzini si rivolge in tono confidenziale utilizzan-do il “tu”. In realtà, però, la domanda ripetuta per ben due volte nellaprima strofa non introduce un dialogo, bensì un monologo in cui il poe-ta definisce se stesso e riflette sulla propria vita. Corazzini pensa in-fatti di aver vissuto un’esistenza semplice, in cui hanno trovato postosentimenti che accomunano tutti gli esseri umani e non certo i senti-menti solenni e alti che caratterizzano il poeta nel senso vero e propriodel termine. Anzi, la sua vita è stata talmente poca cosa che quasi sivergogna a parlarne («se io dovessi confessarle a te arrossirei»), arri-vando perfino a desiderare di morire, un desiderio che nasce soprattut-to dall’infinita stanchezza che prova.

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1.Qual è la domanda da cui trae spunto la poesia?

2. Come si definisce Corazzini nella prima strofa della poesia? Con qualeespressione?

3. Con quali aggettivi, o con quali espressioni, vengono definite la tri-stezza e la gioia del poeta?

4.Perché il poeta dice di voler morire? Da cosa nasce questo suo desiderio?

5. Come si definisce Corazzini nella terza strofa della poesia? Con qualeespressione?

6. Sempre nella terza strofa è presente una personificazione. Quale?

7. Sottolinea nel testo i versi che esprimono un desiderio di rinuncia e dimorte.

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la poesia dei crepuscolari 315

Guido Gozzano

La Signorina Felicita ovvero La Felicità10 luglio: Santa Felicita.ISignorina Felicita, a quest’orascende la sera nel giardino anticodella tua casa. Nel mio cuore amicoscende il ricordo. E ti rivedo ancora,

5 e Ivrea rivedo e la cerulea Dorae quel dolce paese che non dico.

Signorina Felicita, è il tuo giorno!A quest’ora che fai? Tosti il caffè,e il buon aroma si diffonde intorno?

10 O cuci i lini e canti e pensi a me,all’avvocato che non fa ritorno?E l’avvocato è qui: che pensa a te.

[…]

IISei quasi brutta, priva di lusinganelle tue vesti quasi campagnole,

75 ma la tua faccia buona e casalinga,ma i bei capelli di color di sole,attorti in minutissime trecciuoleti fanno un tipo di beltà fiamminga...

E rivedo la tua bocca vermiglia80 così larga nel ridere e nel bere

3. amico: l’aggettivo si ri-ferisce al ricordo, un ricor-do piacevole che fa com-pagnia al poeta come fos-se un vecchio amico.5. cerulea: azzurra; la Dorae il fiume che bagna queiluoghi.7. è il tuo giorno: è il tuoonomastico.8. tosti il caffè: all’epocala preparazione casalingadel caffè cominciava dallatostatura dei chicchi.10. i lini: la biancheria.11. avvocato: Gozzano ave-va studiato giurisprudenza.73. lusinga: capacità direnderti attraente con lacivetteria.77. attorti: intrecciati.78. beltà fiamminga: Feli-cita somiglia alle belle fan-ciulle ritratte dai pittoriolandesi del Seicento.79. vermiglia: di colorerosso vivo.

guido gozzano

Guido Gozzano nasce a Torino, nel 1883, da una famiglia dell’alta borghesia, chegli consente di trascurare gli studi di giurisprudenza per coltivare le relazioni so-ciali, le amicizie con molti intellettuali e la precoce passione per la poesia. Appe-na ventenne, inizia infatti a pubblicare le proprie composizioni su varie riviste enel 1907 esce la sua prima raccolta, La via del rifugio, che sarà seguita dalla piùcelebre, I colloqui. Gozzano è ormai un poeta di successo quando viene colpitodalla tubercolosi, una malattia all’epoca incurabile. Nonostante ciò, nel 1912 faun viaggio in India, del quale narra nell’opera in prosa Verso la cuna del mondo,che sarà pubblicata postuma. Muore nel 1916, poco più che trentenne.

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e il volto quadro, senza sopracciglia,tutto sparso d’efelidi leggieree gli occhi fermi, l’iridi sincereazzurre d’un azzurro di stoviglia…

85 Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermirideva una blandizie femminina.Tu civettavi con sottili schermi,tu volevi piacermi, Signorina:e più d’ogni conquista cittadina

90 mi lusingò quel tuo voler piacermi!

Ogni giorno salivo alla tua voltapel soleggiato ripido sentiero.Il farmacista non pensò davveroun’amicizia così bene accolta,

95 quando ti presentò la prima voltal’ignoto villeggiante forestiero.

Talora – già la mensa era imbandita –mi trattenevi a cena. Era una cenad’altri tempi, col gatto e la falena

100 e la stoviglia semplice e fioritae il commento dei cibi e Maddalenadecrepita, e la siesta e la partita…

Per la partita, verso ventun’oregiungeva tutto l’inclito collegio

105 politico locale: il molto RegioNotaio, il signor Sindaco, il Dottorema – poiché trasognato giocatore –quei signori m’avevano in dispregio...

M’era più dolce starmene in cucina110 tra le stoviglie a vividi colori:

tu tacevi, tacevo, Signorina:godevo quel silenzio e quegli odoritanto tanto per me consolatori,di basilico d’aglio di cedrina…

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81. quadro: quadrato.82. efelidi: lentiggini.83. occhi … stoviglia: i suoiocchi hanno uno sguardosincero e sono azzurri comela porcellana.86. blandizie femminina:civetteria femminile.87. con sottili schermi:cioè in maniera evidente.90. mi lusingò: toccò lamia vanità.91. volta: casa.93. Il farmacista … fore-stiero: il farmacista delpaese aveva presentato ilpoeta alla «Signorina».97. la mensa era imbandi-ta: la tavola era apparec-chiata.99. falena: è una farfallanotturna.101. Maddalena decrepita:una serva molto vecchia.102. siesta: riposo.103. ventun’ore: le nove disera.104. l’inclito … locale: l’il-lustre gruppo di “personali-tà” del paese.107. trasognato: distratto,poco attento.108. m’avevano in dispre-gio: preferivano che nonpartecipassi al gioco.110. vividi: vivaci.114. cedrina: erba profu-mata.

I L P R I M ON O V E C E N T O

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115 Maddalena con sordo brontoliodisponeva gli arredi ben detersi,rigovernava lentamente ed io,già smarrito nei sogni più diversi,accordavo le sillabe dei versi

120 sul ritmo eguale dell’acciottolio.

Sotto l’immensa cappa del camino(in me rivive l’anima d’un cuocoforse…) godevo il sibilo del fuoco;la canzone d’un grillo canterino

125 mi diceva parole, a poco a poco,e vedevo Pinocchio e il mio destino…

Vedevo questa vita che m’avanza:chiudevo gli occhi nei presagi grevi;aprivo gli occhi: tu mi sorridevi,

130 ed ecco rifioriva la speranza!

Giungevano le risa, i motti brevidei giocatori da quell’altra stanza.

da G. Gozzano, Opere, Utet

la poesia dei crepuscolari 317

115. con sordo brontolio:borbottando fra sé e sé.119. accordavo … acciot-tolio: componevo versi se-guendo il rumore monoto-no delle stoviglie.121. Sotto … fuoco: il pia-cere di starsene vicino algrande camino della cuci-na ad ascoltare il sibilo delfuoco è tale da fargli pen-sare, ironicamente, di es-sere stato cuoco in una vi-ta precedente.124. la canzone … destino:il canto di un grillo si tra-sforma per il poeta in undiscorso, come quelli delGrillo Parlante a Pinocchio.127. m’avanza: mi resta.128. presagi grevi: la tra-gica previsione della mor-te ormai vicina.131. motti brevi: le pocheparole che i giocatori siscambiano durante la par-tita a carte.

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COMMENTOLa poesia che ti abbiamo proposto fa parte della raccolta I colloqui e,come tutta l’opera di Gozzano, appartiene al filone della poesia crepu-scolare. Si tratta di un componimento poetico che tende a riportare tut-to alla semplicità della vita quotidiana, delle persone comuni e deglioggetti domestici. È la festa di Santa Felicita e al poeta torna in mente una giovane conquel nome, conosciuta l’autunno precedente durante una vacanza tra-scorsa presso Ivrea, nel Canavese. Era una ragazza modesta, di campa-gna, non bella né colta, nella cui casa ha però trascorso ore di sereni-tà, lontano dalle preoccupazioni e dal triste pensiero della malattia edella morte. Le gioie domestiche, la felicità di una vita semplice lo han-no attratto a tal punto da fargli considerare per un momento la possi-bilità di restare lì con lei per sempre: la signorina Felicita si è infattiinnamorata di lui, che dal canto suo le ha fatto per qualche tempo lacorte. Ma è stato soltanto un breve momento: l’incapacità di adattarsialla quotidianità noiosa e un po’ meschina della provincia – come an-che l’incapacità di provare sentimenti profondi – hanno prevalso e ilgiovane poeta è tornato all’esistenza cittadina di sempre, portando consé la tenerezza di un ricordo.

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1.Quale ricorrenza ispira a Gozzano la poesia La Signorina Felicita?

2. I tratti fisici della protagonista sono definiti anche con termini che indicano colori un po’ par-ticolari. Abbina a ciascuno dei seguenti termini le parole usate dal poeta.a. i capelli .................................................................................................................................................................................

b. la bocca ................................................................................................................................................................................

c. gli occhi ................................................................................................................................................................................

3. Chi ha presentato il poeta alla Signorina?

4.Nella poesia compaiono vari personaggi importanti del paese. Quali?

5. Cosa fanno tali personaggi a casa della Signorina? Cosa fa invece il poeta?

6.A un certo punto il poeta sospende il tono ironico e fa un accenno alla propria malattia e allamorte. Con quali parole?

7.Nel testo compaiono termini oggi poco usati. Riscrivi i seguenti con parole più moderne.

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Marino Moretti

A CesenaPiove. È mercoledì. Sono a Cesena,ospite della mia sorella sposa,sposa da sei, da sette mesi appena.

Batte la pioggia il grigio borgo, lava5 la faccia della casa senza posa,

schiuma a piè delle gronde come bava.

Tu mi sorridi. Io sono triste. E forsetriste è per te la pioggia cittadina,il nuovo amore che non ti soccorse,

10 il sogno che non ti avvizzì, sorellache guardi me con occhio che s’ostinaa dirmi bella la tua vita, bella,

bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora,o sposa, io vedo tuo marito, sento,

15 oggi, a chi dici mamma, a una signora;

so che quell’uomo è il suocero dabbeneche dopo il lauto pasto è sonnolento,il babbo che ti vuole un po’ di bene.

«Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi20 ch’io sia gentile, vuoi ch’io le sorrida,

che le parli dei miei viaggi, poi...poi quando siamo soli (oh come piove!)mi dici rauca di non so che sfidacorsa tra voi; e dici, dici dove,

2. sposa, sposa: la ripeti-zione fa capire l’importan-za che il matrimonio dellasorella ha per il poeta.5. senza posa: senza so-sta, incessantemente.6. schiuma … bava: la piog-gia che esce schiumandodalla base delle grondaiesembra bava.7. Tu: è la sorella sposa.9. il nuovo … avvizzì: for-se il matrimonio non hacambiato la tua vita, comeera nei sogni che ti tene-vano viva.13. bambina … sposa: ilpoeta considera qui la so-rella in tutti i ruoli fami-liari che ha avuto e inquelli che ha assunto spo-sandosi.15. a chi … signora: si rife-risce all’uso, allora comu-ne, di chiamare “mamma”e “babbo’ i suoceri.17. lauto: abbondante.

marino moretti

Marino Moretti nasce a Cesenatico (Forlì-Cesena) nel 1885 e si avvicina giovanis-simo alla letteratura, pubblicando appena ventenne la pri ma raccolta di versi, Fra-ternità, e successivamente le più famose Poesie scritte col lapis, Poesie di tutti igiorni e Il giardino dei frutti. Tra i suoi romanzi e racconti si segnalano I puri dicuore, La vedova Fioravanti, La camera degli sposi. Tornato alla poesia negli ulti-mi anni della vita, Moretti pubblica tre raccolte di liriche che sviluppano in sensomoderno il suo originale Crepuscolarismo. Muore a Cesenatico nel 1979.

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25 quando, come, perché; ripeti ancoraquando, come, perché; chiedi consigliocon un sorriso non più tuo, di nuora.

[…]

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,sono a Cesena e mia sorella è qui,tutta d’un uomo ch’io conosco appena,

40 tra nuova gente, nuove cure, nuovetristezze, e a me parla… così,senza dolcezza, mentre piove o spiove:«La mamma nostra t’avrà detto che...E poi si vede, ora si vede, e come!

45 sì, sono incinta... Troppo presto, ahimè!

Sai che non voglio balia? che ho speranzad’allattarlo da me? Cerchiamo un nome...Ho fortuna, è una buona gravidanza…».

Ancora parli, ancora parli, e guardi50 le cose intorno. Piove. S’avvicina

l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi.

E l’anno scorso eri così bambina!

da AA.VV., Poeti italiani del Novecento, Mondadori

46. balia: donna che, die-tro compenso, dà il pro-prio latte al bambino dialtre persone.51. È tardi: si è fatta ormaisera, è l’ora di congedarsi.

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la poesia dei crepuscolari 321

COMMENTOQuesta poesia di Marino Moretti appare completamente immersa inun’atmosfera di quotidianità, in cui la pioggia che cade sembra accom-pagnare lo svolgersi della situazione narrata.L’attacco, con le tre brevissime frasi spezzate («Piove. È mercoledì. So-no a Cesena») definisce la quotidianità domestica, quasi banale, che èargomento della lirica.In essa Moretti si rivolge alla sorella che si è sposata e la cui felicità èforse solo apparente. Una volta rimasti soli, infatti, la donna si sfogacon voce tesa e intristita raccontando di un litigio avuto con la suoce-ra, ripetendo più volte l’accaduto e chiedendo un consiglio al poeta,che ora la sente diversa: non è più la sua sorellina che parla, ma unadonna che ormai appartiene a un’altra famiglia, a un altro mondo.Poi lo stato d’animo della giovane cambia di nuovo: nel comunicare alfratello che è in attesa di un figlio, all’inizio ha quasi un attimo di rim-pianto e paura, ma successivamente prevalgono in lei la gioia e l’otti-mismo. E come si alternano i sentimenti della donna, così si alternanoanche quelli del poeta, il quale nell’esclamazione finale esprime l’insie-me di sentimenti che prova per lei: la constatazione che forse è cresciu-ta troppo in fretta, la paura che non sia felice, la sottile gelosia e latristezza di chi sente allontanarsi una persona amata.

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1. Individua nel testo i versi in cui compaiono la pioggia o immagini a es-sa collegate.

2.Che tipo di sentimenti evoca la presenza della pioggia?a. dolore e angosciab. tristezza e malinconiac. serenità e allegria

3. La sorella del poeta si è sposata da poco trasferendosi in un’altra città,in un ambiente e una famiglia nuovi. In quali versi, e con quali espres-sioni, Moretti descrive i mutamenti avvenuti nella vita della donna, ilsuo essersi trasformata in moglie e nuora?

4.Quali sono, invece, le parole che usa per esprimere la sensazione di estra-neità che prova nei confronti di sua sorella?

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I L P R I M ON O V E C E N T O

Aldo Palazzeschi

Chi sono?Son forse un poeta?No, certo.Non scrive che una parola, ben strana,la penna dell’anima mia

5 «follìa».Son dunque un pittore?Neanche.Non ha che un colorela tavolozza dell’anima mia:

10 «malinconìa».Un musico, allora?Nemmeno.Non c’è che una notanella tastiera dell’anima mia:

15 «nostalgìa».Son dunque… che cosa?Io metto una lentedavanti al mio cuoreper farlo vedere alla gente.

20 Chi sono?Il saltimbanco dell’anima mia.

da AA.VV., Poeti italiani del Novecento, Mondadori

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la poesia dei crepuscolari 323

aldo palazzeschi

Nato a Firenze nel 1885 e morto a Roma nel 1974,Aldo Palazzeschi ha attraversato quasi un interosecolo della letteratura italiana, interpretandonelle sue opere tendenze culturali diverse. Avvici-natosi giovanissimo alla poesia, agli inizi del No-vecento, nel clima del Crepuscolarismo, si orientaverso forme espressive nuove e compone versi ca-ratterizzati da una sottile vena ironica. È autore diraccolte poetiche (I cavalli bianchi, Poemi, L’incen-diario, Poesie, Cuor mio) e di romanzi (Il codice diPerelà, Sorelle Materassi, Stefanino).

COMMENTOLa poesia che hai appena letto è caratteriz-zata dalla presenza di numerose definizioni“al contrario”. Il poeta tenta cioè di defini-re se stesso partendo dall’elencazione di ciòche non è: non è un poeta, né un pittore,né un musicista. Non è infatti certo un poe-ta chi scriverebbe unicamente la parola“follia”, e d’altra parte se la sua anima fos-se come la tavolozza di un pittore, l’unicocolore presente sarebbe quello più adatto aesprimere uno stato di malinconia.Se infine l’anima fosse una tastiera avrebbeuna sola nota, quella adatta ad esprimere lanostalgia. Non gli rimane perciò altro cheporre simbolicamente una lente d’ingrandi-mento davanti al suo cuore, in modo chetutti possano vedere, a dimensione ingran-dita, i suoi veri sentimenti.Chi sono? è una poesia composta in versi li-beri, che non hanno cioè un numero fisso disillabe né una collocazione degli accenti ob-bligata. Si tratta di una scelta innovativa rispetto al-la tradizione, e sembra a Palazzeschi piùadeguata a esprimere l’inquietudine e il de-siderio di novità che caratterizzano la suaepoca. Da ora in poi, molti altri poeti si ser-viranno di questa forma, tanto che si ritro-verà in tutta la poesia del Novecento.

lavo

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1.Qual è la parola che Palazzeschi defi-nisce «ben strana»?a. l’anima miab. folliac. neanche

2. Il poeta paragona poi la propria ani-ma a una tavolozza con un solo colo-re: quale sentimento dipinge tale co-lore?a. malinconiab. nostalgiac. allegria

3. La sua anima si trasforma infine inuna tastiera con un’unica nota.Quale?a. tristezzab. nostalgiac. gioia

4. Indica per quale motivo il poeta nonè, rispettivamente, un poeta, un pit-tore, un musicista. a. non è un poeta perché .......................

.........................................................................

.........................................................................

.........................................................................

b. non è un pittore perché ..............................................................................................

.........................................................................

.........................................................................

c. non è un musicista perché ..........................................................................................

..........................................................................

..........................................................................

5.Quali sono le caratteristiche princi-pali, indicate per mezzo di tre so-stantivi, del suo carattere?

6.Riflettendo sui termini usati dall’au-tore per parlare di sé, quale statod’animo ti sembra che voglia espri-mere?a. serenità e gioia di vivere

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Tra innovazionee sperimentazione

I primi decenni del Novecento offrono un panorama di movimenti chepropongono una profonda frattura con la tradizione, e avviano un no-tevole rinnovamento culturale e letterario. I loro programmi trovanospazio nelle varie riviste culturali dell’epoca o sui giornali.

La poesia futurista, ad esempio, nasce ufficialmente sulle colonne diun noto quotidiano parigino, dove appare il Manifesto del Futurismofirmato da Filippo Tommaso Marinetti, fondatore ed esponente di spic-co del movimento. Scrive Marinetti: «Noi vogliamo cantare l’amore delpericolo… glorificare la guerra, sola igiene del mondo… distruggere imusei, le biblioteche, le accademie di ogni specie». A questa tenden-za, che esalta la civiltà delle macchine, la modernità e il caos (e siesprime attraverso la poesia, la prosa e le arti figurative) aderirannoin una prima fase anche molti poeti che in seguito prenderanno stra-de diverse.

Altri scrittori esprimono il loro desiderio di rinnovamento sulle paginedella rivista fiorentina «La Voce». Ai vociani il mondo appare in predaa un disordine del quale si sentono incapaci di dare un’organica rap-presentazione artistica. Appartengono a questo gruppo Camillo Sbar-baro e Dino Campana. Alcuni autori, invece, non si inseriscono in nes-suna corrente e si richiamano ai valori classici, sostenuti in particola-re da Vincenzo Cardarelli, il direttore della rivista romana «La Ronda». Da segnalare infine gli scrittori che, attraverso le pagine della rivistafiorentina «Solaria», mostrano grande apertura nei confronti delleesperienze straniere, soprattutto europee: vi vengono infatti pubbli-cate traduzioni di poesie dell’angloamericano Thomas Stearns Eliot edi racconti dell’irlandese James Joyce, ma anche recensioni delle ope-re di scrittori come lo statunitense Ernest Hemingway.

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I L P R I M ON O V E C E N T O

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tra innovazione e sperimentazione 325

Filippo Tommaso Marinetti

Dominaredominare

straripare d’azzurro e di silenzio 2 minutistrada scendere

scenderescendere

scenderescendere

salirescendere scendere

pianerottolo d’un torrentescendere ancora

ancora fuga di colline e vallate subitaneoottenebrarsi dei contrafforti dei Rodopi1 a piccosotto i piedi dell’aviatore tra chiarori di fiumi2

da F.T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Mondadori

1. Rodopi: monti della Bul-garia.2. chiarori di fiumi: proba-bilmente il poeta allude afiumi della penisola balca-nica.

Filippo Tommaso Marinetti

Filippo Tommaso Marinetti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1876 e trascorre la giovinezza a Parigi, dovepubblica le prime opere, tra cui Distruzione. Fondatore e teorico del Futurismo, è autore di numerosi “mani-festi” nei quali si scaglia contro i valori della tradizione, esaltando il dinamismo della modernità e delle mac-chine, la guerra, la violenza come affermazione “superomistica” di individualità. Esempi letterari più impor-tanti di questa sua poetica sono il romanzo Mafarka il futurista e alcune poesie (Zang Tumb Tumb e Adriano-poli, ottobre 1912). Legatosi al fascismo, nel 1929 viene nominato accademico d’I talia. Muore nel 1944 a Bellagio, presso Como.

COMMENTONella poesia di Marinetti le parole sono scelte e dispo-ste nella pagina in assoluta libertà, quasi seguendol’immaginario percorso dell’aviatore nel suo volo. I verbi sono all’infinito, vicini l’un l’altro senza appa-rente connessione logica, e sono ripetuti quasi doves-sero disegnare sulla pagina il messaggio che comuni-cano. Ad esempio, il verbo «scendere» – ripetuto benotto volte – sembra tracciare un’immaginaria scala ver-so il basso, mentre l’andamento orizzontale delle altreparole descrive la fuga dell’aviatore fra colline e valla-te quasi tracciando il suo rapido volo a bassa quota. la

voria

mo

sul t

esto 1. Elenca i verbi utilizzati dal

poeta.

2. Individua i vocaboli che descri-vono i luoghi attraversati osorvolati dall’aviatore.

3. Cosa evoca la sequenza di pa-role «scendere»?

4. Cosa evocano invece le ultimetre righe della poesia?

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I L P R I M ON O V E C E N T O

Camillo Sbarbaro

Talor, mentre cammino solo al soleTalor, mentre cammino solo al solee guardo coi miei occhi chiari il mondoove tutto m’appar come fraterno,l’aria la luce il fil d’erba l’insetto,

5 un improvviso gelo al cor mi coglie.Un cieco mi par d’essere, sedutosopra la sponda d’un immenso fiume.Scorrono sotto l’acque vorticose,ma non le vede lui: il poco sole

10 ei si prende beato. E se gli giungetalora mormorio d’acque, lo crederonzio d’orecchi illusi.Perché a me par, vivendo questa miapovera vita, un’altra rasentarne

15 come nel sonno, e che quel sonno siala mia vita presente.Come uno smarrimento allor mi coglie,uno sgomento pueril.Mi seggo

20 tutto solo sul ciglio della strada,guardo il misero mio angusto mondoe carezzo con man che trema l’erba.

da C. Sbarbaro, Pianissimo, Marsilio

2. occhi chiari: lo sguardodi chi spera di sentirsi inarmonia con la vita.3. fraterno: che invita aun fiducioso abbandono.5. improvviso gelo: la co-scienza del niente che loavvolge.6. Un cieco … essere: ilpoeta è incapace di “vede-re” il significato di quelloche accade intorno a lui.12. ronzio … illusi: un in-ganno dell’udito.15. quel … presente: ilpoeta è come un sonnam-bulo che si muove a occhichiusi.18. sgomento pueril: comequello di un fanciullo smar-rito.22. carezzo … l’erba: difronte all’angoscia dellasolitudine esiste per il poe-ta solo il conforto di unrapporto fraterno con lanatura.

CamilloSbarbaro

Nato a Santa Marghe-rita Ligure nel 1888 emorto a Spotorno (Li-guria) nel 1967, Ca-millo Sbarbaro ha vis-suto un’esistenza ap-partata e solitaria. Èautore di versi (rac-colti in Resine, Pianis-simo, Rimanenze, Pri-mizie) e di prose poe-tiche (Trucioli, Liqui-dazione, Gocce).

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COMMENTONel primo Novecento si fa strada una poesia delle piccole cose, che co-glie in esse la tristezza, la malinconia, il disagio del vivere quotidiano.Le voci dei poeti comunicano dubbi e incertezze sulla vita, sui suoi va-lori e il suo significato: questo “disagio esistenziale” nasce dalla con-sapevolezza che non si può far altro che contemplare il vuoto che ci av-volge separandoci dalla realtà.Un esempio di quanto detto è la lirica di Sbarbaro che hai appena let-to. Essa infatti esprime la condizione desolata in cui il poeta si muovecome fosse un sonnambulo: lo spettacolo della vita ha perso i suoi co-lori, ed egli, troncato ogni rapporto con la realtà, prende coscienza del-la negatività della propria esistenza. I versi iniziali sembrano creareun’atmosfera di serena e fiduciosa corrispondenza nei confronti di tuttigli aspetti della vita. Ma l’armonia con il mondo è solo apparente e ilpoeta si scopre incapace di illusioni, immerso nell’incubo di non poterapprodare alla verità. Addirittura sogno e realtà si confondono fino aprocurargli uno stato di smarrimento. La sola, e momentanea, salvezzapuò venire dal contatto con gli aspetti più semplici della natura, quasiche ciò possa ridurre il senso di vuoto che rischia di sommergerlo.

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1. Con quali parole Sbarbaro esprime il senso della fratellanza, dell’armoniacon la natura?

2.A chi si paragona il poeta? Chi gli sembra di essere?

3.Una sola cosa gli procura un senso di pace e di beatitudine. Quale?a. il mormorio delle acqueb. il ronzio che sente nelle orecchiec. i deboli raggi del sole

4. Il poeta sente dei suoni, ma non sa individuarne la provenienza. Con qua-le espressione manifesta questo concetto?a. scorrono sotto l’acque vorticoseb. lo crede ronzio d’orecchi illusic. carezzò con man che trema l’erba

5.Quale sensazione suscitano tali suoni?

6.Perché il poeta definisce il suo mondo «angusto»?a. perché vive chiuso in se stesso, senza rapporti con la realtà circostanteb. perché vive esclusivamente nella dimensione della campagnac. perché è delimitato da una strada e da un fiume

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Dino Campana

Tre giovani fiorentine camminanoOndulava sul passo verginaleondulava la chioma musicalenello splendore del tiepido soleeran tre vergini e una grazia sola

5 ondulava sul passo verginalecrespa e nera la chioma musicaleeran tre vergini e una grazia solae sei piedini in marcia militare.

da D. Campana, Opere, TEA

Dino Campana

Nato a Marradi (Firenze) nel 1855 e morto a Castel Pulci (Firenze) nel 1932, DinoCampana vive un’esistenza travagliata, segnata dalla malattia mentale che si ma-nifesta fin dall’adolescenza, impedendogli di compiere studi regolari e condan-nandolo alla morte in manicomio. Nella sua vita la poesia rappresenta dunquel’unica consolazione. Le sue liriche più importanti sono raccolte nei Canti orfici.

COMMENTOOsservando tre giovani ragazze che cam-minano al sole, il poeta le percepisce co-me una sola e graziosa immagine in movi-mento, dalla quale sembra diffondersi unadelicata e squisita musicalità, sottolinea-ta dalle ripetizioni di parole e verbi (pas-so verginale … chioma musicale … ondu-lava, ecc).In generale quella di Campana è una poe-sia originalissima e solitaria, ricca di sim-boli e immagini legate al sogno o talvol-ta addirittura al delirio, con rari momentidi serenità.

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1. In questa breve lirica non è importante iltema, bensì la sensazione prodotta dallamusicalità dei versi. Attraverso qualistrumenti il poeta la produce? Individualo schema delle rime, le assonanze, leconsonanze, le ripetizioni.

2.Quale figura retorica richiama l’espres-sione «chioma musicale»?

3. La breve composizione ha una sua armo-nia, che nasce dal primo verso prenden-do spunto da pochissimi elementi delletre figure femminili. Quali?

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Vincenzo Cardarelli

Sera di GavinanaEcco la sera e spiovesul toscano Appennino.Con lo scender che fan le nubi a valle,prese a lembi qua e là

5 come ragne fra gli alberi intricate,si colorano i monti di viola.Dolce vagare alloraper chi s’affanna il giornoed in se stesso, incredulo, si torce.

10 Viene dai borghi, qui sotto, in faccende,un vociar lieto e folto in cui si sente il giorno che declinae il riposo imminente.Vi si mischia il pulsare, il batter secco

15 ed alto del camion sullo stradonebianco che varca i monti.E tutto quanto a sera,grilli, campane, fonti,fa concerto e preghiera,

20 trema nell’aria sgombra. Ma come più rifulge nell’ora che non ha un’altra luce,il manto dei tuoi fianchi ampi, Appennino.Sui tuoi prati che salgono a gironi,

25 questo liquido verde, che rispunta fra gl’inganni del sole ad ogni acquata,al vento trascolora, e mi rapisce,per l’inquieto cammino,sì che teneramente fa star muta

30 l’anima vagabonda.

da V. Cardarelli, Opere, Mondadori

5. ragne: ragnatele.7. Dolce … torce: è un’oradel giorno in cui è dolcelasciar andare il pensiero,anche per chi durante lagiornata si affanna senzariuscire a capire se stesso.10. Viene … imminente:dai villaggi della valle, do-ve ancora il lavoro non èterminato (in faccende),sale un suono fitto e alle-gro di voci, in cui si avver-te il compiacimento perl’imminenza della sera edel riposo.22. ora … luce: è l’iniziodel crepuscolo; la luce na-turale diminuisce, ma an-cora non sono state accesele luci artificiali.24. a gironi: in manieracircolare.25. rispunta … acquata:dopo ogni scroscio di piog-gia, il sole, apparendo escomparendo tra le nuvole,sembra far spuntare l’erbadi nuovo.27. al vento trascolora: on-deggiando al vento, l’erbasembra cambiare colore.

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COMMENTONella poesia che hai appena letto, Cardarelli riesce a esprimere concet-ti molto complessi con parole semplici e facilmente comprensibili. At-traverso la rappresentazione di una sera qualunque al tramonto nel pae-se di Gavinana (sull’Appennino pistoiese), ci parla infatti di se stessocome di un uomo troppo spesso incapace di godere la vita con sereni-tà, che vive un’esistenza inquieta e piena di affanni, rimanendo estra-neo alle attività e alle gioie quotidiane degli altri esseri umani. Soloquando la bellezza della natura lo coinvolge al punto da dimenticare sestesso, riesce a trovare momenti di serenità.Le immagini di questa lirica evocano i monti e le verdi vallate appen-niniche, la mutevolezza del loro clima, le gioie semplici dei loro abitan-ti e sembrano invitarci a guardare ciò che ci circonda con occhi diver-si e con i sensi pronti a coglierne tutto il valore.

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1.Quale paesaggio fa da sfondo alla poesia? Elenca tutti gli elementi della natura che ne fannoparte.

2. Il titolo della poesia indica chiaramente a quale momento della giornata fa riferimento il poeta.Sono presenti altre parole o espressioni che rimandano a tale momento? Se sì, sottolineale.

3.Nella natura si avverte la presenza di altri esseri umani oltre al poeta, una presenza che peròviene indicata per mezzo di suoni. Di quali suoni si tratta?

4.Ricerca ed evidenzia le espressioni che rimandano ai colori del paesaggio.

5. Individua nel testo i versi e le espressioni mediante cui l’autore parla, anche in maniera allusiva,di se stesso.

6.Cosa significa l’espressione «anima vagabonda»?a. anima distratta b. anima irrequieta c. anima sognatrice

Vincenzo Cardarelli

Nato nel 1887 presso Orvieto, in una famiglia modesta, Vincenzo Cardarelli è co-stretto a interrompere gli studi dopo le elementari e si forma culturalmente attra-verso le letture. A diciassette anni si trasferisce a Roma, dove svolge lavori umilie infine diviene giornalista. Tra il 1919 e il 1923 dirige la rivista letteraria «LaRonda».Cardarelli è un esponente di quella tendenza culturale che, nel periodo fra le dueguerre, si impegna in un tentativo di rinnovare il linguaggio poetico stabilendouna continuità con la grande tradizione del passato. Ispirandosi alla sobria ele-ganza dei classici come Leopardi, ma modernizzandola, compone quindi liriche(Poesie, Poesie nuove) caratterizzate da immagini intense e da una grande atten-zione per le sfumature più sottili. Muore a Roma nel 1959.

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Io non so più qual eraIo non so più qual erail porto a cui miravo.Per tanti luoghi insospettati e strani mi trattenne l’amore, ch’è nemico

5 ad ogni alto destinocome il vento contrario al navigare:dove persi il mio tempoe logorai le forze del mio cuore.Luoghi a cui, disertati,

10 non tornerò giammai.Sì che per me la terranon è più che un asilovietato, un cimitero di memorie.

da V. Cardarelli, Opere, Mondadori

2. Io … porto: la vita delpoeta è come il viaggio diuna barca che deve arrivareal porto.9. disertati: abbandonati,cioè mai raggiunti; sono iprogetti fatti dal poeta ingioventù.

COMMENTOFin dai primi versi della poesia Io non so più qualera emerge tutta l’amarezza del poeta, che ormainon ricorda neppure più quali erano i suoi pro-getti di vita, quali le mete che si era prefisso ingioventù e pensa anche di aver sprecato la pro-pria esistenza inseguendo un amore impossibile.Si trova così solo e inaridito nei sentimenti, enon riesce più a trovare conforto in niente, nep-pure nei ricordi, che gli appaiono come le tom-be di un cimitero.In questa lirica torna tra l’altro uno dei motivipresenti in molte poesie di tutti i tempi e di tut-ti i Paesi: la vita paragonata a un viaggio. In que-sto caso un viaggio difficile e pieno di ostacolicome quello di una barca quando soffiano venticontrari. Infatti perfino l’amore, un sentimentopositivo che rallegra la vita rendendola degna diessere vissuta, è stato per il poeta un’esperienzanegativa.

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1. Indica a cosa si paragona im-plicitamente il poeta nella pri-ma parte della lirica (vv. 1-8).a. un portob. una barcac. un vento contrario

2.Nella parte finale della lirica(vv. 9-13) è ancora più forte iltono negativo, ottenuto anchemediante alcune parole cheesprimono un senso di estra-neità e morte. Individuale neltesto e trascrivile.

3. Individua nella poesia le paro-le e le espressioni che ti sonosembrate difficili e danne, do-po un attento esame, la giustaspiegazione.

Vincenzo Cardarelli

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Ungaretti:la poesia e la guerra

Le liriche che leggerai, tratte dalla raccolta intitolata L’Allegria, sonoispirate dalla partecipazione di Giuseppe Ungaretti alla prima guerramondiale, un’esperienza fondamentale per la sua vita e la sua opera.All’inizio del conflitto molti intellettuali erano “interventisti”, eranocioè favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia, ma poi, di fronte allamorte e alla distruzione, la maggior parte cambiò le proprie posizioni,mostrando attraverso varie forme d’arte gli aspetti più tragici del con-flitto e le sue terribili conseguenze.

Anche per Ungaretti la guerra significa solitudine atroce, freddo, fame,morte, ma il poeta trova la forza di reagire a questa dolorosa consape-volezza riscoprendo la propria dignità interiore e il senso di partecipa-zione al destino comune dell’umanità. Scrive dunque una sorta di “dia-rio di guerra” in versi (molte liriche portano l’indicazione del luogo edella data) in cui, accanto a immagini drammatiche di morte e di de-solata attesa della fine, trovano posto momenti di intensa solidarietàfra gli essere umani.

Per quanto riguarda la forma espressiva, Ungaretti utilizza la parolacaricandola di un significato intenso. La rapidità e l’essenzialità delverso, talvolta concentrato in una sola parola, è stata chiamata “poe-tica del frammento”, poiché ricorda la forma frammentaria in cui spes-so la poesia dell’antichità classica è giunta fino a noi.

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I L P R I M ON O V E C E N T O

Giuseppe Ungaretti

Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto. Nel 1912 viene in Eu-ropa: visita l’Italia e poi si stabilisce a Parigi. Combatte come volontario nella pri-ma guerra mondiale, vivendo in prima persona la traumatica esperienza di soldatoal fronte. Successivamente aderisce al fascismo e trascorre alcuni anni in Italia co-me funzionario ministeriale; nel 1936 si trasferisce in Brasile, dove insegna lette-ratura italiana presso l’Università di San Paolo. Rientrato in Italia, dal 1942 vive aRoma, nella cui Università insegna letteratura italiana e dove muore nel 1970.Protagonista della poesia del Novecento, ha pubblicato numerose raccolte di liri-che, le più importanti delle quali sono Il porto sepolto; L’Allegria, che contiene poe-sie scritte negli anni di guerra (l’“allegria” è quella del marinaio che è riuscito a so-pravvivere al naufragio); Sentimento del tempo; Il dolore; Il taccuino del vecchio.È autore anche di numerose traduzioni poetiche, di prose e saggi.

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ungaretti: la poesia e la guerra 333

VegliaCima Quattro il 23 dicembre 1915

Un’intera nottatabuttato vicinoa un compagnomassacrato

5 con la sua boccadigrignatavolta al pleniluniocon la congestionedelle sue mani

10 penetratanel mio silenzioho scrittolettere piene d’amore.Non sono mai stato

15 tantoattaccato alla vita.

da G. Ungaretti, Opere, Mondadori

2. buttato: sdraiato.6. digrignata: coi denti ser-rati in un ghigno.7. plenilunio: luna piena.in un ghigno.8. con … silenzio: le manirattrappite del morto sem-brano una morsa che af-ferra l’anima del poeta im-merso in un desolante si-lenzio. L’aumento del san-gue nelle vene (congestio-ne) fa gonfiare le mani.

COMMENTOIl soldato ucciso, il cui cada-vere inerte è colto in Vegliacon pochi tratti di nudo reali-smo, è illuminato, nel gran si-lenzio della notte, dalla freddaluce della luna piena. Il poeta, come assediato dallamorte, si attacca con dispera-zione alla vita, quasi a cercarenelle «lettere piene d’amore»che ha scritto una difesa istin-tiva che lo protegga dalle im-magini di morte che gli stan-no intorno, simili alle visionidi un incubo.

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1.Quale tragica esperienza viene narrata dal poeta inprima persona?

2.Nella poesia l’autore allude al silenzio. Scegli, fra leopzioni proposte, il significato del silenzio nel conte-sto della situazione descritta.a. il silenzio è quello in cui il poeta è immerso mentrele mani del morto sembrano afferrare e stringere inuna morsa la sua anima

b. il silenzio è quello che resta dopo la battaglia: è ilsilenzio della morte che lo circonda

c. il silenzio è ciò in cui il poeta si rifugerà perché in-capace di esprimere il suo dolore

3. In che modo il poeta manifesta il suo disperato attac-camento alla vita? Cosa fa?

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I L P R I M ON O V E C E N T O

FratelliMariano il 15 luglio 1916

Di che reggimento siete fratelli?Parola tremantenella notte.

5 Foglia appena nata.

Nell’aria spasimanteinvolontaria rivoltadell’uomopresente alla sua

10 fragilità

Fratelli.

da G. Ungaretti, Opere, Mondadori

6. spasimante: percorsadai suoni tormentosi dellaguerra.7. involontaria rivolta: laparola «fratelli», pronun-ciata involontariamente, èla rivolta di chi contrap-pone all’odio il bisogno diaffetto.

COMMENTONella lirica che hai appena letto il poeta cerca diritrovare il valore della vita in una parola, «fratel-li», che generalmente si dice di rado anche agliamici più cari e che invece, in quelle ore di mor-tale pericolo, diventa naturale e spontanea. «Fratelli» è una parola pronunciata quasi con timo-re («tremante»), bella e fragile come una foglia ap-pena nata, e viene ripetuta più volte, come se orasoltanto se ne comprendesse il significato, come se,nei suoni stessi che la compongono, si nascondes-se il segreto dell’amore e della solidarietà umana. La poesia inizia con una domanda che – come di-mostra il termine «reggimento» – si può supporrerivolta, nel buio, da soldati ad altri soldati, perpoi conludersi con la constatazione che il soldato(e con lui l’uomo in generale) è consapevole dellapropria fragilità.

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1. La parola «fratelli», pronunciatacon voce tremante, è assimilata aun elemento naturale. Di quale ele-mento si tratta?a. la notteb. l’ariac. una foglia

2.Da cosa, o meglio da quale parola,si capisce che la poesia che haiappena letto fa riferimento allaguerra?

3. Che cosa, secondo te, vuole sottoli-neare questa breve lirica? a. la fragilità fisica dei soldati feritib. la solidarietà tra gli uominic. il dolore di tante morti

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ungaretti: la poesia e la guerra 335

San Martino del CarsoValloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916

Di queste casenon è rimastoche qualchebrandello di muro

5 Di tantiche mi corrispondevanonon è rimastoneppure tanto

Ma nel cuore 10 nessuna croce manca

È il mio cuore il paese più straziato

da G. Ungaretti, Opere, Mondadori

4. brandello di muro: sitratta dei calcinacci rima-sti dopo che le case sonostate distrutte.5. Di tanti … tanto: di tan-ti compagni con cui avevarapporti di amicizia e af-fetto, non è rimasto nien-te, cioè sono tutti morti.«Mi corrispondevano» si-gnifica “contraccambiava-no il mio affetto”.

COMMENTOIn San Martino del Carso, nei momenti di più cupo sconforto, la guerra è sentita come distru-zione del proprio mondo interiore. Le bombe fanno crollare le case e non lasciano in piedi cheresti di muro, ma nel cuore del poeta ci sono ben altre rovine. La devastazione provocata dal-la guerra ha lasciato infatti nel suo cuore soltanto il triste ricordo dei tanti compagni morti,trasformandolo in un desolato cimitero costellato di croci. La guerra, cioè, ha provocato gravidanni materiali (come le case rase al suolo), ma anche una distruzione ancora più dolorosa eprofonda: quella del mondo degli affetti di chi è sopravvissuto.

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1. Il poeta stabilisce un paragone tra ciò che rimane dopo i bombardamenti e quello che resta de-gli uomini che erano con lui. Associa alla parola «case» e alla parola «tanti» (che sta per “tanticompagni”) ciò che è rimasto.a. case ............................................................................................................................................................................................b. tanti ...........................................................................................................................................................................................

2.A cosa paragona il poeta il suo cuore?a. a un cimitero in cui vi sono tutte le croci dei compagni uccisib. a una croce che indica la morte della sua animac. a una croce segno del dolore fisico dell’uomo

3.Nell’ultimo verso, Ungaretti introduce un nuovo paragone. Tra cosa?a. le case e un cimiterob. il proprio cuore e il paese devastato dalla guerrac. il proprio cuore e lo strazio per coloro che sono morti

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I L P R I M ON O V E C E N T O

NataleNon ho vogliadi tuffarmiin un gomitolodi strade

5 Ho tantastanchezzasulle spalle

Lasciatemi cosìcome una

10 cosaposatain unangoloe dimenticata

15 Quinon si sentealtroche il caldo buono

Sto20 con le quattro

caprioledi fumodel focolare

Napoli il 26 dicembre 1916

da G. Ungaretti, Opere, Mondadori

2. tuffarmi: per il poetaandare in giro per le stra-de piene di gente allegra ècome tuffarsi in un gorgodi acque pericolose.3. gomitolo: le strade chesi intersecano danno l’ideadi un gomitolo aggrovi-gliato.8. così: da solo, nel mioquieto raccoglimento.9. come … dimenticata: co-me un oggetto, e non comeun uomo con i suoi ricordi ela coscienza del dolore vis-suto.20. quattro ... focolare: ilpoeta è assorto nella con-templazione degli anelli difumo che salgono dal fuo-co del camino e sembranole acrobazie di un gioco-liere.

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ungaretti: la poesia e la guerra 337

COMMENTODurante una licenza dal fronte, l’anima del poeta si popola di ricorditerribili: la desolazione della vita in trincea, i compagni feriti o mor-ti, il dolore di essere lontano dai propri cari. Ungaretti è stanco, nonha voglia di uscire per le strade affollate della città, vorrebbe essereun oggetto per non avere sentimenti. Così resta solo, al tepore delfuoco che arde nel camino: è il Natale solitario di un uomo che, nelsilenzio della propria casa, cerca di dimenticare tante sofferenze. La ricorrenza del Natale non è dunque associata, come spesso succede,a uno spettacolo di luci e colori, alla possibilità di stare più vicini al-le persone che si amano, ma diventa un’occasione per trovare pace, perabbandonarsi al tepore tranquillizzante («caldo buono») della propriacasa dopo la paura e i pericoli della guerra, per cercare di vincere unastanchezza che forse non è causata solo dalla triste esperienza dellaguerra, ma anche dalla fatica del vivere.

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1. Con quali parole il poeta esprime l’idea delle strade aggrovigliate?a. tuffarmib. gomitoloc. quattro capriole

2.Ungaretti afferma di avere tanta stanchezza sulle spalle. Da cosa è causata, secondo te?a. dal duro viaggio di ritorno dal fronteb. dalla faticosa giornata trascorsac. dalla dolorosa esperienza della guerra

3.Perché vuole essere lasciato solo «come una cosa posata in un angolo e dimenticata»?a. perché vuole riposare e non vedere nessuno nemmeno a Nataleb. perché vorrebbe essere come un oggetto privo di ricordi dolorosi e della coscienza di tantesofferenze

c. perché la solitudine non può essere guarita da niente e nessuno

4. Con quale espressione Ungaretti comunica la sensazione di intimità e affetto che il focolare glitrasmette?

5.Perché usa l’espressione «quattro capriole di fumo»?a. perché il fumo del focolare lo distrae da cupi pensierib. perché il fumo che si sprigiona dalla legna simboleggia il Natalec. perché anche lui vorrebbe fare delle capriole come il fumo

6.A cosa corrispondono, secondo te, le pause dei versi brevi, talvolta formati addirittura da una solaparola («qui/sto»)?a. all’abbandono di chi cede piano piano al sonnob. al fumo che si sprigiona dal focolare accesoc. al calore che avvolge chi è davanti al focolare

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Uno degli aspetti tipici del primo Novecento artisti-co e letterario sono le cosiddette “Avanguardie”. Conquesto termine si intende un insieme di movimenticulturali tesi alla ricerca e alla sperimentazione dinuove forme espressive e nuovi modi di concepire larealtà. Nelle arti figurative, l’Espressionismo, il Futurismo, ilCubismo, l’Astrattismo costituirono i linguaggi diver-si attraverso i quali si tentò di dare una nuova formu-lazione della tecnica pittorica. In queste pagine tene offriamo alcuni esempi.

Eduard Munch, L’urlo, 1893Alcuni aspetti della letteratura novecentesca, quali ilpessimismo o la complessa analisi psicologica, trova-no riscontro nei contemporanei movimenti pittorici.Questo famoso dipinto del norvegese Eduard Munch èforse il primo in cui la pittura, abbandonato ogni in-tento descrittivo, esprime soltanto lo stato d’animodell’autore, cioè un’incontenibile angoscia.

Pablo Picasso, Natura morta spagnola, 1912Pablo Picasso fu uno dei fondatori del Cubismo. Partitoinizialmente come una semplificazione geometrica deivolumi naturali, questo movimento artistico arriverànell’ultima fase alla scomposizione geometrica e a unafantasiosa ricomposizione delle forme della realtà,ma con l’introduzione di segni riconoscibili (numeri,lettere) e di frammenti a stampa incollati, fino allacreazione di veri e propri collage.

L’arte del primo Novecento

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Wassili Kandinsky,Primo acquerello astratto, 1910Questo acquerello del pittore russoWassili Kandinsky apre il ciclo storicodell’arte astratta. Apparentementepuò sembrare uno scarabocchio, inquanto intende rappresentare la pri-ma fase del disegno infantile, unospazio gremito di cose che non hannoancora un posto, una forma, un nome.

Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912Lo studio sulla velocità e il movimento operato dai futuristi, che volevano esprimere la vitalità del-l’età moderna, ben si individua in questa divertente immagine di un bassotto al guinzaglio. È comese si riproducesse l’effetto di una imma-gine fo tografica a lunga esposizio ne,dando l’im pressione del mo vimento.

Egon Schiele, Autoritratto con le dita aperte, 1912La cruda realtà dell’uomo colto in un conflitto este-nuante tra la vita e la morte sono ben espressi daquesta immagine del pittore espressionista austriacoEgon Schiele. La rappresentazione dell’angoscia è af-fidata non tanto al colore quanto alle linee forti e ta-glienti della figura.

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Svevo e La coscienza di Zeno

La coscienza di Zeno è un romanzo importante perché offre la rappre-sentazione più esemplare dell’inetto, un eroe negativo, un “malato”che è espressione di una società in profonda crisi e avviata all’afferma-zione delle ideologie nazifasciste. L’inetto è un individuo abulico (cioèinerte, privo di volontà), che non è in grado di affrontare la realtà e diintervenire su di essa, ed è pertanto destinato ad avere la peggio difronte agli ostacoli. Egli tenta inutilmente di nascondere a se stessola propria condizione di eterno sconfitto e continua a sognare possi-bili evasioni e vie d’uscita dal suo stesso modo di essere, in cui è im-prigionato.

Un inetto è dunque Zeno Cosini che, su consiglio del suo psicoanalista(la nascente prospettiva psicoanalitica ha grande importanza nellastruttura del romanzo), scrive il diario della propria vita ripercorren-done gli eventi più significativi. Libero da ogni impegno di lavoro, sidedica dunque interamente a studiare gli innumerevoli sintomi dellemalattie che pensa di avere. Si delinea così la sua figura di “inetto”(cioè incapace) a vivere, insidiato non tanto da una malattia fisica,quanto piuttosto da una malattia morale che frena ogni impulso al-l’azione. Di questa malattia morale Zeno raggiunge la “coscienza” che,se non gli consente di guarire, gli consente però di affrontare la vitacon lucida ironia.

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italo svevo

Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz) nasce a Trieste nel 1861. Problemieconomici lo costringono, neppure ventenne, ad abbandonare gli studi per impie-garsi in banca. Contemporaneamente inizia a scrivere e nel 1892 pubblica il pri-mo romanzo, Una vita, mentre il secondo, Senilità, esce sei anni dopo. Entrambele opere non hanno successo e così Svevo abbandona la letteratura per dedicarsiall’attività commerciale, diventando un esperto dirigente. Seguono anni di tran-quilla vita borghese, di viaggi e lunghe permanenze all’estero, durante i quali ve-de la luce La coscienza di Zeno, il romanzo pubblicato nel 1923 che è consideratoil suo capolavoro e uno dei testi fondamentali del Novecento europeo. L’opera vie-ne accolta con favore da importanti critici e Svevo comincia a essere conosciutocome scrittore, ma nel 1928 muore in un incidente automobilistico. Le altre sueopere – di narrativa (novelle) e di teatro – saranno pubblicate postume.

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La triplice dichiarazione d’amoreZeno Cosini, protagonista e voce narrante del romanzo, ha conosciu-to il ricco commerciante Giovanni Malfenti e ha preso a frequentarnela casa, dove ha incontrato le figlie: Augusta, Alberta, Ada e la picco-la Anna. L’uomo si è innamorato di Ada, ma non le ha ancora fatto la“dichiarazione”.Zeno si trova ora a casa Malfenti, dove è in corso una seduta spiriti-ca: al buio tutti i presenti, seduti intorno a un tavolino, invocano lospirito di una persona morta.

Io non ho alcun’avversione per i tentativi di qualunque genere dispiare il mondo di là. Ero anzi seccato di non aver introdotto io in ca-sa di Giovanni1 quel tavolino, giacché si otteneva tale successo. Manon mi sentivo di obbedire agli ordini di Guido2 e perciò non mi rac-colsi affatto. Poi m’ero fatto tanti di quei rimproveri per aver permes-so che le cose arrivassero a quel punto senz’aver detta una parolachiara ad Ada3, che giacché avevo la fanciulla accanto, in quell’oscu-rità tanto favorevole, avrei chiarito tutto. Fui trattenuto solo dalla dol-cezza di averla tanto vicina a me dopo di aver temuto di averla per-duta per sempre. Intuivo la dolcezza delle stoffe tepide che sfiorava-no i miei vestiti e pensavo anche che così stretti l’uno all’altra, il miotoccasse il suo piedino che di sera sapevo vestito di uno stivaletto lac-cato. Era addirittura troppo dopo un martirio tanto lungo.Parlò di nuovo Guido:– Ve ne prego, raccoglietevi. Supplicate ora lo spirito che invocastedi manifestarsi movendo il tavolino.Mi piaceva ch’egli continuasse ad occuparsi del tavolino. Oramaiera evidente che Ada si rassegnava di portare quasi tutto il mio pe-so! Se non m’avesse amato non m’avrebbe sopportato. Era venutal’ora della chiarezza. Tolsi la mia destra dal tavolino e pian pianinole posi il braccio alla taglia4:– Io vi amo, Ada! – dissi a bassa voce e avvicinando la mia faccia al-la sua per farmi sentire meglio.La fanciulla non rispose subito. Poi, con un soffio di voce, però quel-la di Augusta, mi disse:– Perché non veniste per tanto tempo?La sorpresa e il dispiacere quasi mi facevano crollare dal mio sedile.Subito sentii che se io dovevo finalmente eliminare quella seccantefanciulla dal mio destino, pure dovevo usarle il riguardo che unbuon cavaliere quale son io, deve tributare alla donna che lo ama esia essa la più brutta che mai sia stata creata. Come m’amava! Nel

1. Giovanni: è GiovanniMalfenti.2. Guido: Guido Speier, ungiovane sicuro di sé checorteggia Ada e si dilettadi sedute spiritiche, comequesta che ha organizzatoin casa Malfenti.3. Ada: Zeno si illude cheaccanto a lui sieda Ada; inrealtà si tratta della sorel-la di Ada, Augusta, che èinnamorata di Zeno.4. alla taglia: alla vita.

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mio dolore sentii il suo amore. Non poteva essere altro che l’amoreche le aveva suggerito di non dirmi ch’essa non era Ada, ma di far-mi la domanda che da Ada avevo attesa invano e che lei invece cer-to s’era preparata di farmi subito quando m’avesse rivisto.Seguii un mio istinto e non risposi alla sua domanda, ma, dopo unabreve esitazione, le dissi:– Ho tuttavia piacere di essermi confidato a voi, Augusta, che io cre-do tanto buona!

Giunge all’improvviso, da una stanza lontana, un urlo: la piccola Anna ècaduta. Tutti escono, tranne Ada. Zeno decide di approfittare dell’occa-sione, di giocare il tutto per tutto e di dichiarare ad Ada il suo amore.

– Io vi amo, Ada. Perché non mi permettereste di parlarne a vostropadre?Ella mi guardò stupita e spaventata. Temetti che si mettesse a stril-lare come la piccina, là fuori. Io sapevo che il suo occhio sereno e lasua faccia dalle linee tanto precise non sapevano l’amore, ma tantolontana dall’amore come ora, non l’avevo mai vista. Incominciò aparlare e disse qualche cosa che doveva essere come un esordio5.Ma io volevo la chiarezza: un sì o un no! Forse m’offendeva giàquanto mi pareva un’esitazione. Per fare presto e indurla a decider-si, discussi il suo diritto di prendersi tempo:– Ma come non ve ne sareste accorta? A voi non era possibile di cre-dere ch’io facessi la corte ad Augusta!Volli mettere dell’enfasi nelle mie parole, ma, nella fretta, la misifuori di posto e finì che quel povero nome di Augusta fu accompa-gnato da un accenno e da un gesto di disprezzo.Fu così che levai Ada dall’imbarazzo. Essa non rilevò altro che l’of-fesa fatta ad Augusta:– Perché credete di essere superiore ad Augusta? Io non penso micache Augusta accetterebbe di divenire vostra moglie!Poi appena ricordò che mi doveva una risposta:– In quanto a me... mi meraviglia che vi sia capitata una cosa similein testa.La frase acre6 doveva vendicare l’Augusta. Nella mia grande confusio-ne pensai che anche il senso della parola non avesse avuto altro sco-po; se mi avesse schiaffeggiato credo che sarei stato esitante a studiar-ne la ragione. Perciò ancora insistetti:– Pensateci, Ada. Io non sono un uomo cattivo. Sono ricco... Sono unpo’ bizzarro, ma mi sarà facile di correggermi.Anche Ada fu più dolce, ma parlò di nuovo di Augusta.

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5. esordio: inizio di un di-scorso.6. acre: pungente, risentita.

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– Pensateci anche voi, Zeno: Augusta è una buona fanciulla e fareb-be veramente al caso vostro. Io non posso parlare per conto suo, macredo...Era una grande dolcezza di sentirmi invocare da Ada per la primavolta col mio prenome7. Non era questo un invito a parlare ancorapiù chiaro? Forse era perduta per me, o almeno non avrebbe accet-tato subito di sposarmi, ma intanto bisognava evitare che si compro-mettesse di più con Guido sul conto del quale dovevo aprirle gli oc-chi. Fui accorto, e prima di tutto le dissi che stimavo e rispettavo Au-gusta, ma che assolutamente non volevo sposarla. Lo dissi due vol-te per farmi intendere chiaramente: «io non volevo sposarla». Cosìpotevo sperare di aver rabbonita Ada che prima aveva creduto cheio volessi offendere Augusta.– Una buona, una cara, un’amabile ragazza quell’Augusta; ma nonfa per me.

In quel momento gli altri rientrano con la piccola Anna in lacrime.Nessuno bada a Zeno che, comprensibilmente abbattuto, decide di an-darsene. Ma, prima, torna a chiedere scusa a Ada che, ora più tran-quilla, gli stringe la mano in segno di pace. È questo l’unico momen-to di felicità per il povero corteggiatore.

Il mio destino volle che men-tre tutti ancora si occupavanodella bimba, io mi trovassi se-duto accanto ad Alberta. Nonl’avevo vista e di lei non m’ac-corsi che quando essa mi parlòdicendomi:– Non s’è fatta nulla. Il grave èla presenza di papà il quale, sela vede piangere, le fa un belregalo.Io cessai dall’analizzarmi per-ché mi vidi intero8! Per avere lapace io avrei dovuto fare in mo-do che quel salotto non mi fossemai più interdetto. Guardai Al-berta! Somigliava ad Ada! Eraun po’ di lei più piccola e porta-va sul suo organismo evidentidei segni non ancora cancellati

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7. prenome: il nome dibattesimo, in questo casoZeno.8. mi vidi intero: mi vidiquale realmente ero.

La coscienza di Zeno Zeno Cosini, il protagonista delromanzo, è un ricco commerciante triestino che a un certo pun-to della vita decide di smettere di fumare e, per riuscire a farlo,ricorre all’aiuto di uno psicoanalista, il Dottor S. Quest’ultimogli consiglia di scrivere un diario sulla sua vita, ripercorrendonegli episodi più importanti in modo da individuare le ragioni pro-fonde dei suoi problemi – tra cui l’incapacità di rinunciare al vi-zio del fumo – e riuscire così a risolverli. Veniamo quindi a co-noscenza dei suoi ripetuti e inutili tentativi di smettere di fu-mare, associati alle circostanze più diverse, ai momenti più im-portanti dell’esistenza di Zeno: la morte del padre, che avendomale interpretato un suo gesto, gli dà uno schiaffo poco primadi morire; il matrimonio con Augusta, la meno attraente dellesorelle Malfenti a cui ha dichiarato per errore il proprio amore;il tradimento fatto alla moglie con una ragazza di nome Carla;la morte accidentale dell’amico e cognato Guido Speier, che fin-ge un suicido e, per errore, muore davvero. Il romanzo si con-clude con la decisione di interrompere la terapia psicoanalitica:grazie allo scoppio della prima guerra mondiale, Zeno ha avutosuccesso nel commercio e ha conquistato finalmente la vera“salute”, cioè la capacità di vedere, fuori della propria nevrosi, imali del mondo.

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dell’infanzia. Facilmente alzava la voce, e il suo riso spesso eccessivole contraeva la faccina e gliel’arrossava. Curioso! In quel momento ri-cordai una raccomandazione di mio padre: «Scegli una donna giovanee ti sarà più facile di educarla a modo tuo». Il ricordo fu decisivo.Guardai ancora Alberta.Le dissi:– Sentite, Alberta! Ho un’idea: avete mai pensato che siete nell’etàdi prendere marito?– Io non penso di sposarmi! – disse sorridendo e guardandomi mite-mente, senz’imbarazzo o rossore. – Penso invece di continuare i mieistudi. Anche la mamma lo desidera.– Potreste continuare gli studi anche dopo sposata.Mi venne un’idea che mi parve spiritosa e la dissi subito:– Anch’io penso d’iniziarli dopo essermi sposato.Essa rise di cuore, ma io m’accorsi che perdevo il mio tempo, perchénon era con tali scipitezze9 che si poteva conquistare una moglie e lapace. Bisognava essere seri. Qui poi era facile perché venivo accoltotutt’altrimenti che da Ada.Fui veramente serio. La mia futura moglie doveva intanto saperetutto. Con voce commossa le dissi:– Io, poco fa, ho indirizzato ad Ada la stessaproposta che ora feci a voi. Essa rifiutò consdegno. Potete figurarvi in quale stato iomi trovi.

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9. scipitezze: sciocchezze.

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Queste parole accompagnate da un atteggiamento di tristezza nonerano altro che la mia ultima dichiarazione d’amore per Ada. Dive-nivo troppo serio e, sorridendo, aggiunsi:– Ma credo che se voi accettaste di sposarmi, io sarei felicissimo edimenticherei per voi tutto e tutti.Essa si fece molto seria per dirmi:– Non dovete offendervene, Zeno, perché mi dispiacerebbe. Io fac-cio una grande stima di voi. So che siete un buon diavolo eppoi, sen-za saperlo, sapete molte cose, mentre i miei professori sanno esatta-mente tutto quello che sanno. Io non voglio sposarmi. Forse mi ri-crederò, ma per il momento non ho che una meta: vorrei diventareuna scrittrice. Vedete quale fiducia vi dimostro. Non lo dissi mai anessuno e spero non mi tradirete. Dal canto mio, vi prometto chenon ripeterò a nessuno la vostra proposta.Mi guardai d’intorno per trovare Augusta. Era uscita sul corridoiocon un vassoio sul quale non v’era che un bicchiere semivuoto con-tenente un calmante per Anna. La seguii di corsa chiamandola pernome ed essa s’addossò alla parete per aspettarmi. Mi misi a lei difaccia e subito le dissi:– Sentite, Augusta, volete che noi due ci sposiamo?La proposta era veramente rude. Io dovevo sposare lei e lei me, edio non domandavo quello ch’essa pensasse né pensavo potrebbe toc-carmi di essere io costretto di dare delle spiegazioni. Se non facevoaltro che quello che tutti volevano!Essa alzò gli occhi dilatati dalla sorpresa. Così quello sbilenco10 eraanche più differente del solito dall’altro. La sua faccia vellutata ebianca, dapprima impallidì di più, eppoi subito si congestionò. Af-ferrò con la destra il bicchiere che ballava sul vassoio. Con un filo divoce mi disse:– Voi scherzate e ciò è male.Temetti si mettesse a piangere ed ebbi la curiosa idea di consolarladicendole della mia tristezza.– Io non scherzo, – dissi serio e triste. – Domandai dapprima la suamano ad Ada che me la rifiutò con ira, poi domandai ad Alberta disposarmi ed essa, con belle parole, vi si rifiutò anch’essa. Non serborancore né all’una né all’altra. Solo mi sento molto, ma molto infelice.Dinanzi al mio dolore essa si ricompose e si mise a guardarmi com-mossa, riflettendo intensamente. Il suo sguardo somigliava ad unacarezza che non mi faceva piacere11.– Io devo dunque sapere e ricordare che voi non mi amate?– do-mandò.Che cosa significava questa frase sibillina12? Preludiava ad un con-

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10. sbilenco: Augusta eraaffetta da strabismo.11. non ... piacere: vi sen-tiva infatti un senso dipietà.12. sibillina: ambigua,che si presta a interpreta-zioni diverse.

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senso13? Voleva ricordare! Ricordare per tutta la vita da trascorrersicon me? Ebbi il sentimento di chi per ammazzarsi si sia messo inuna posizione pericolosa ed ora sia costretto a faticare per salvarsi.Non sarebbe stato meglio che anche Augusta m’avesse rifiutato eche mi fosse stato concesso di ritornare sano e salvo nel mio studio-lo nel quale neppure quel giorno stesso m’ero sentito troppo male?Le dissi:– Sì! Io non amo che Ada e sposerei ora voi...Stavo per dirle che non potevo rassegnarmi di divenire un estraneoper Ada e che per ciò mi contentavo di divenirle cognato. Sarebbestato un eccesso, ed Augusta avrebbe di nuovo potuto credere chevolessi dileggiarla14. Perciò dissi soltanto:– Io non so più rassegnarmi di restar solo.Essa rimaneva tuttavia poggiata alla parete del cui sostegno forsesentiva il bisogno; però pareva più calma ed il vassoio era ora tenu-to da una sola mano. Ero salvo e cioè dovevo abbandonare quel sa-lotto, o potevo restarci e dovevo sposarmi? Dissi delle altre parole,solo perché impaziente di aspettare le sue che non volevano venire:– Io sono un buon diavolo e credo che con me si possa vivere facil-mente anche senza che ci sia un grande amore.Questa era una frase che nei lunghi giorni precedenti avevo prepa-rata per Ada per indurla a dirmi di sì anche senza sentire per me ungrande amore.Augusta ansava leggermente e taceva ancora. Quel silenzio potevaanche significare un rifiuto, il più delicato rifiuto che si potesse im-maginare: io quasi sarei scappato in cerca del mio cappello, in tem-po per porlo su una testa salva.Invece Augusta, decisa, con un movimento dignitoso e che mai di-menticai, si rizzò e abbandonò il sostegno della parete. Nel corrido-io non largo essa si avvicinò così ancora di più a me che le stavo difaccia. Mi disse:– Voi, Zeno, avete bisogno di una donna che voglia vivere per voi evi assista. Io voglio essere quella donna.Mi porse la mano paffutella ch’io quasi istintivamente baciai. Evi-dentemente non c’era più la possibilità di fare altrimenti. Devo poiconfessare che in quel momento fui pervaso da una soddisfazioneche m’allargò il petto. Non avevo più da risolvere niente, perché tut-to era stato risolto. Questa era la ve ra chiarezza.

da I. Svevo, La coscienza di Zeno, Einaudi

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13. Preludiava ... consen-so: la frase ambigua an-nunciava forse una rispo-sta affermativa?14. dileggiarla: prenderlain giro, deriderla.

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COMMENTONel brano che hai letto, Zeno, ospite della famiglia Malfenti, ha deciso didichiararsi alla bella Ada di cui è innamorato e della quale è innamoratoanche Guido Speier, un giovane molto più brillante di lui che poi la spo-serà. Oltre ad Ada sono presenti anche le sue sorelle, Augusta, Alberta eAnna. Nel momento decisivo della dichiarazione d’amore, Zeno è però col-to da mille ripensamenti: il terrore di sbagliare a scegliere la donna del-la sua vita lo porterà alla paralisi totale e infine a prendere una decisio-ne che non aveva assolutamente previsto. L’inetto, infatti, per l’incapa-cità di prendere le decisioni che lo contraddistingue, si trova sempre adover subire ogni evento, e anche questo episodio dimostra che è il ca-so a decidere e non certo la sua volontà.

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1. L’oscurità di una seduta spiritica costituisce per Zeno l’occasione ideale per chiedere la manodella fanciulla che ama, ma i dubbi di fronte a una situazione che impone determinazione lo pa-ralizzano. Quali sensazioni prova ad avere la donna che ama così vicina? Utilizza le parole diSvevo, nelle prime righe del brano.a. in quell’oscurità tanto ...................................................................................................................................................b. fui trattenuto ......................................................................................................................................................................c. intuivo la dolcezza delle ...............................................................................................................................................d. e pensavo anche che ......................................................................................................................................................e. era addirittura troppo .....................................................................................................................................................

2.Quale frase Zeno rivolge all’improvviso alla ragazza mettendole un braccio intorno alla vita?

3. Zeno è vittima di un equivoco: la ragazza seduta accanto a lui non è Ada, bensì la sorella Augu-sta. Cosa avverte il giovane da parte di Augusta?a. l’amore che la ragazza prova per luib. il fastidio di averlo vicinoc. l’imbarazzo per quella frase indiscreta

4. Zeno trova comunque il modo di dichiarare il proprio amore a Ada. Quale risposta gli dà la fan-ciulla?

5. L’insuccesso avuto con Ada spinge Zeno a rivolgersi ad Alberta, l’altra sorella. Cosa risponde laragazza alla sua proposta?

6. L’ultima dichiarazione di Zeno è per Augusta, delle tre sorelle l’unica che lo ama. Come gli ri-sponde Augusta?

7. Zeno dunque non è stato capace di “scegliere” una moglie: le circostanze hanno scelto per lui.Tuttavia ora prova una sensazione piacevole, la tranquillità di chi non ha più niente da affronta-re. Attraverso quale espressione emerge tale sentimento?

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Nei decenni successivi alla prima guerra mondiale, sispegne progressivamente la carica rivoluzionariadelle Avanguardie artistiche del primo Novecento esi afferma una generale volontà di “richiamo all’or-dine”, di ricostruzione e semplificazione dell’imma-gine che era stata precedentemente frantumata escomposta. Le espressioni artistiche sono varie, dif-ferenziate e le immagini che proponiamo, di artistiitaliani, vogliono offrire un panorama generale, nel-la produzione pittorica, della tendenza al recuperodella realtà e della concretezza.

Gino Severini, Maternità, 1916 Nel recupero della figuratività, tipico del “richiamoall’ordine” del primo dopoguerra, il tema largamen-te diffuso della maternità assume un valore quasisimbolico. La figura della madre col bambino riman-da all’intimità quotidiana, alla famiglia e alle certez-ze di ciò che si conosce e che ci appartiene.

Giorgio De Chirico, Il grande metafisico, 1917Un esempio di reazione polemica alle Avan-guardie (in particolare alle frantumazioni del-l’immagine dei Futuristi) è l’opera di GiorgioDe Chirico, fondatore, insieme ad altri artisti,della pittura “metafisica”. È questa una pittu-ra affascinante ed enigmatica, ricca di citazio-ni classiche: l’artista si richiama a un mondolontano che non ha uno stretto rapporto conla realtà, metafisico appunto (dal greco metafisicon: “al di là delle cose fisiche, naturali”),tramite accostamenti imprevisti di oggettiquotidiani sullo sfondo di paesaggi architetto-nici deserti.

L’arte nel primo dopoguerraI L P R I M O

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Giorgio Morandi, Natura morta, 1929 I quadri di Giorgio Morandi, che dipinse quasi esclusiva-mente nature morte e paesaggi, richiamano un mondoquieto di oggetti familiari, liricamente rievocati dalla me-moria. Ciò che caratterizza i suoi dipinti è l’estrema po-vertà di colori, tutti articolati sulle tenui tinte di bruni,bianchi e grigi, e la ricerca di forme pure, geometriche,dai tratti essenziali.

Ruggero Michahelles, Industria, 1931 Il soggetto di quest’opera, nella quale incom-be un paesaggio industriale ridotto a formegeometriche inquietanti, testimonia come al-cuni artisti, nel periodo tra le due guerre, fos-sero sospesi tra l’esaltazione della modernitàdi tipo futurista e atmosfere irreali che mo-strano un mondo senza tempo.

Felice Casorati, Una donna, 1921Il ritorno a una pittura tradizionale che recupera le formee gli spazi, è testimoniato dalle opere dell’artista torine-se Felice Casorati. In questo dipinto si vede come l’auto-re insista sul recupero della forma nella rappresentazionedella donna, del tavolo e degli oggetti che vi sono sopracollocati.

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Pirandello e Il fu Mattia Pascal

Il fu Mattia Pascal si colloca nell’ambito del romanzo di analisi, che affron-ta la crisi di identità dell’individuo caratteristica del periodo, in quanto pro-pone il dramma esistenziale di un uomo che non riesce a fissare la propriaidentità. Il protagonista crede di potersi liberare dalle finzioni e dai legamisociali diventando un’altra persona, ma questa nuova condizione, che lo do-vrebbe portare a vivere in modo “autentico”, si rivela ancora peggiore: lanuova vita è infatti basata su un’altra finzione, che lo costringe a una reci-tazione continua. Riaffiorano allora la pena di vivere e la coscienza di esse-re solo un’apparenza, un’ombra. Mattia si rende così conto di non poter ave-re alcuna identità reale e che quello che gli resta è solo un nome.

Tutta la vita è una finzione, e l’uomo si sente una marionetta che parte-cipa a una messa in scena costituita dalla vita quotidiana, dalla masche-ra che gli altri gli impongono. La maschera che Mattia ha assunto nongli ha comunque impedito di agire, di vivere coscientemente il propriodramma, di analizzare la propria condizione, tanto da rendersi conto diessere costretto ad avere un ruolo che non gli corrisponde: questa con-sapevolezza ha dapprima un effetto quasi comico che suscita il riso, maben presto si trasforma in pena e angoscia. Dal riso nasce, quindi, unsentimento contrario: la dolorosa consapevolezza del male di vivere.

Per Pirandello la sola forma d’arte possibile nel mondo moderno èl’umorismo, che permette di cogliere gli aspetti contraddittori delcomportamento umano. L’artista, infatti, non deve suggerire evasionidalla realtà, ma sottolineare gli atteggiamenti che l’uomo assume nel-la vita quotidiana, dai quali possono emergere elementi in apparenzaridicoli, ma in realtà drammatici. Così, ad esempio, la vista di una vec-chia signora piena di rughe ed eccessivamente truccata può provoca-re il riso; ma quando interviene la riflessione, il riso si trasforma in pe-na, perché si riflette sul fatto che la signora si è agghindata così nel-l’illusione di poter ritrovare la giovinezza.Quando crea un personaggio tratto dalla realtà quotidiana lo scrittoredeve quindi metterne a nudo l’anima, liberandolo da quella mascherain cui le opinioni del personaggio stesso, o degli altri, lo hanno impri-gionato. Dunque, tutte le opere di Pirandello – compreso il Il fu Mat-tia Pascal – sono in un certo senso umoristiche. In esse, infatti, il tra-gico si mescola al comico, la serietà al sorriso, dando vita a un mondodi sentimenti e comportamenti in cui non esiste alcuna armonia e lavita mostra tutta la sua assurdità.

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luigi pirandello

Luigi Pirandello nasce nel 1867 ad Agrigento (allora chiamata Girgenti) da una fa-miglia agiata, che gli consente di ricevere un’istruzione superiore. Inizia gli stu-di tecnici, poi sceglie quelli letterari, che prosegue a livello universitario prima aPalermo, quindi a Roma e infine a Bonn, in Germania. Nel 1894 rientra in Italia esi stabilisce a Roma, insegnando per oltre vent’anni Letteratura italiana a livellouniversitario. Nel frattempo si è sposato e il matrimonio influenza profondamen-te anche la sua attività letteraria: la moglie, infatti, ha una malattia mentale equindi uno dei temi centrali delle opere di Pirandello sarà la follia. Entrato in con-tatto con alcuni protagonisti del Verismo, e in particolare con Luigi Capuana, ne-gli anni successivi scrive e pubblica romanzi (Il fu Mattia Pascal, I vecchi e i gio-vani, Si gira), le Novelle per un anno, un saggio intitolato L’umorismo. Dal 1916 inpoi scrive e rappresenta le sue numerose opere teatrali, fra cui Pensaci Giacomino,Il berretto a sonagli, Sei personaggi in cerca d’autore, Così è (se vi pare), Questa se-ra si recita a soggetto, Enrico IV. Dal 1929 collabora con la nascente industria delcinema, cercando di adattare i propri testi alle esigenze del nuovo mezzo di co-municazione. Ormai la sua fama si è diffusa a livello mondiale e nel 1934 riceve ilpremio Nobel per la letteratura. Muore a Roma nel 1936.

Cambio trenoMattia Pascal, tornando al suo paese da Montecarlo, mentre è in tre-no legge sul giornale una notizia…

Guardai l’orologio: eran le otto e un quarto. Fra un’oretta, dunque,sarei arrivato.Avevo il giornale ancora in mano e lo voltai per cercare in secondapagina qualche dono migliore di quelli del Lama1. Gli occhi mi an-darono su un

SUICIDIOcosì, in grassetto2.Pensai subito che potesse esser quello di Montecarlo3 e m’affrettai aleggere. Ma mi arrestai sorpreso al primo rigo, stampato di minutis-simo carattere: «Ci telegrafano da Miragno4».«Miragno? Chi si sarà suicidato nel mio paese?»Lessi: «Ieri, sabato 28, è stato rinvenuto nella gora5 d’un mulino un cada-vere in istato d’avanzata putrefazione...».A un tratto, la vista mi s’annebbiò, sembrandomi di scorgere nel ri-go seguente il nome del mio podere; e, siccome stentavo a leggere,con un occhio solo6, quella stampa minuscola, m’alzai in piedi, peressere più vicino al lume.«... putrefazione. Il molino è sito in un podere detto della Stìa, a circa duechilometri dalla nostra città. Accorsa sopra luogo l’autorità giudiziaria con

1. dono migliore ... Lama:nell’articolo che sta leggen-do Mattia ha trovato unanotizia sui doni presentatiallo zar di Russia dal Da laiLama, capo supremo dellareligione buddista.2. grassetto: carattere distampa in cui il segno gra-fico ha uno spessore mag-giore di quello normale.3. di Montecarlo: durantela permanenza di Mattia,un giovane si è suicidatonei pressi del casinò.4. Miragno: è il paese im-maginario in cui vive Mat-tia.5. gora: canale artificiale diacque che alimentano unmulino.6. occhio solo: Mattia èstrabico e quindi legge conun occhio solo.

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altra gente, il cadavere fu estratto dalla gora per le constatazioni di legge epiantonato7. Più tardi esso fu riconosciuto per quello del nostro...».Il cuore mi balzò in gola e guardai, spiritato, i miei compagni di viag-gio che dormivano tutti.«Accorsa sopra luogo... estratto dalla gora... e piantonato... fu riconosciu-to per quello del nostro bibliotecario8...».«Io?»«Accorsa sopra luogo... più tardi... per quello del nostro bibliotecario Mat-tia Pascal, scomparso da parecchi giorni. Causa del suicidio: dissesti finan-ziari».«Io?... Scomparso... riconosciuto... Mattia Pascal...».Rilessi con piglio feroce e col cuore in tumulto non so più quante vol-te quelle poche righe. Nel primo impeto, tutte le mie energie vitali in-sorsero violentemente per protestare: come se quella notizia, così ir-ritante nella sua impassibile laconicità9, potesse anche per me esservera. Ma, se non per me, era pur vera per gli altri; e la certezza chequesti altri avevano fin da ieri della mia morte era su me come unainsopportabile sopraffazione, permanente, schiacciante... Guardai dinuovo i miei compagni di viaggio e, quasi anch’essi, lì, sotto gli occhimiei, riposassero in quella certezza, ebbi la tentazione di scuoterli daquei loro scomodi e penosi atteggiamenti, scuoterli, svegliarli, per

gridar loro che non era vero.«Possibile?»E rilessi ancora una volta la noti-zia sbalorditiva.Non potevo più stare alle mos-se10! Avrei voluto che il treno s’ar-restasse, avrei voluto che corres-se a precipizio: quel suo andarmonotono, da automa11 duro,sordo e greve, mi faceva cresceredi punto in punto l’orgasmo12.Aprivo e chiudevo le mani conti-nuamente, affondandomi le un-ghie nelle palme, spiegazzavo ilgiornale; lo rimettevo in sesto perrilegger la notizia che già sapevoa memoria, parola per parola.«Riconosciuto! Ma è possibile chem’abbiano riconosciuto?... Inistato d’avanzata putrefazione...puàh!»

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7. piantonato: posto sottola sorveglianza della guar-dia pubblica.8. bibliotecario: Mattia èimpiegato presso la biblio-teca del paese.9. laconicità: brevità. 10. stare alle mosse: aspet-tare. Mattia prova un in-sopprimibile bisogno di a -zione.11. autonoma: macchinaazionata da altri.12. orgasmo: eccitazione.

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Il fu Mattia Pascal Mattia Pascal, il protagonistadel romanzo, lavora come bibliotecario a Miragno, un imma-ginario paese ligure. Allontanatosi dalla famiglia dopo un li-tigio, si reca a Montecarlo, dove vince una grossa somma algioco. Durante il ritorno a casa in treno legge però sul gior-nale la sconcertante notizia che i suoi concittadini lo hannoriconosciuto nel cadavere di uno sconosciuto trovato in uncanale. Pensa così di approfittare della situazione e di co-struirsi una nuova identità e una nuova vita: si inventa il no-me di Adriano Meis, corregge con un’operazione lo strabismoche ha a un occhio e va a vivere a Roma. Ben presto però sirende conto delle difficoltà che incontra chi vive senza docu-menti ufficiali che attestino la sua identità: non può, adesempio, sposare la donna che ama, né denunciare un furto.Decide allora di rivelare la verità e di riacquistare la sua pri-mitiva identità e, inscenato il finto suicidio di Adriano Meis,ritorna a Miragno. Qui scopre di essere ormai un intruso: nes-suno lo riconosce e sua moglie si è risposata e ha avuto altrifigli. Resosi conto di non poter riprendere la vecchia esisten-za, sceglie di rinunciare ai propri diritti e di vivere in solitu-dine, recandosi di tanto in tanto al cimitero davanti allatomba del suicida sconosciuto su cui è scritto il suo nome.

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Mi vidi per un momento lì nell’acqua verdastra della gora, fradicio,gonfio, orribile, galleggiante... Nel raccapriccio istintivo, incrociai lebraccia sul petto e con le mani mi palpai, mi strinsi:«Io, no; io, no... Chi sarà stato?... mi somigliava, certo... Avrà forseavuto la barba anche lui, come la mia... la mia stessa corporatura...E m’han riconosciuto!... Scomparso da parecchi giorni... Eh già! Maio vorrei sapere, vorrei sapere chi si è affrettato così a riconoscermi.Possibile che quel disgraziato là fosse tanto simile a me? vestito co-me me? tal quale? Ma sarà stata lei, forse, lei, Marianna Dondi13, lavedova Pescatore: oh! m’ha pescato subito, m’ha riconosciuto subi-to! Non le sarà parso vero figuriamoci! – È lui, è lui! mio genero! ah,povero Mattia! ah, povero figliuolo mio! – E si sarà messa a piange-re fors’anche; si sarà pure inginocchiata accanto al cadavere di quelpoveretto, che non ha potuto tirarle un calcio e gridarle: – Ma lèva-ti di qua: non ti conosco –.»Fremevo. Finalmente il treno s’arrestò a un’altra stazione. Aprii losportello e mi precipitai giù, con l’idea confusa di fare qualche cosa,subito: un telegramma d’urgenza per smentire quella notizia.Il salto che spiccai dal vagone mi salvò: come se mi avesse scosso dalcervello quella stupida fissazione, intravidi in un baleno... ma sì! lamia liberazione la libertà una vita nuova!Avevo con me ottantaduemila lire14, e non avrei più dovuto darle anessuno! Ero morto, ero morto: non avevo più debiti, non avevo piùmoglie, non avevo più suocera: nessuno! libero! libero! libero! Checercavo di più?Pensando così, dovevo esser rimasto in un atteggiamento stranissimo,là su la banchina di quella stazione. Avevo lasciato aperto lo sportellodel vagone. Mi vidi attorno parecchia gente, che mi gridava non soche cosa; uno, infine, mi scosse e mi spinse, gridandomi più forte:– Il treno riparte!– Ma lo lasci, lo lasci ripartire, caro signore! – gli gridai io, a mia vol-ta.– Cambio treno!

da L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Einaudi

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13. Marianna Dondi: la suo-cera di Mattia.14. ottantaduemila: circa42 euro. In realtà, allora,la somma in lire valevamolto di più dell’equiva-lente odierno in euro.

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1. dal canto mio: da partemia.2. Pomino: è un vecchioamico di Mattia, con cuiRomilda (la moglie di que-st’ultimo) si è risposatapensando di essere rima-sta vedova.

E ora... dove vado?Mattia ha ormai assunto il nome di Adriano Meis e iniziato un rap-porto amoroso con una giovane donna, Adriana, ma l’impossibilità disposarla – poiché è ufficialmente defunto – lo rende inquieto e in-soddisfatto, tanto che decide di ritornare al paese per chiarire l’equi-voco in cui tutti sono caduti. Nel frattempo, però, la moglie Romildasi è risposata e ha avuto una figlia, e dunque il suo intervento chia-rificatore distruggerebbe la nuova famiglia. Mattia deve prendere unadecisione…

«E ora?» domandai a me stesso. «Dove vado?».Mi avviai, guardando la gente che passava. Ma che! Nessuno mi ri-conosceva? Eppure ero ormai tal quale: tutti, vedendomi, avrebbe-ro potuto almeno pensare: «Ma guarda quel forestiero là, come so-miglia al povero Mattia Pascal! Se avesse l’occhio un po’ storto, si di-rebbe proprio lui». Ma che! Nessuno mi riconosceva, perché nessu-no pensava più a me. Non destavo neppure curiosità, la minima sor-presa... E io che m’ero immaginato uno scoppio, uno scompiglio, ap-pena mi fossi mostrato per le vie! Nel disinganno profondo, provaiun avvilimento, un dispetto, un’amarezza che non saprei ridire; e ildispetto e l’avvilimento mi trattenevano dallo stuzzicar l’attenzionedi coloro che io, dal canto mio1, riconoscevo bene: sfido! Dopo dueanni... Ah, che vuol dire morire! Nessuno, nessuno si ricordava piùdi me, come se non fossi mai esistito...Due volte percorsi da un capo all’altro il paese, senza che nessunomi fermasse. Al colmo dell’irritazione, pensai di ritornar da Pomino2,per dichiarargli che i patti non mi convenivano e vendicarmi sopralui dell’affronto che mi pareva tutto il paese mi facesse non ricono-scendomi più. Ma né Romilda con le buone mi avrebbe seguito, néio per il momento avrei saputo dove condurla. Dovevo almeno pri-ma cercarmi una casa. Pensai d’andar al municipio, all’ufficio dellostato civile, per farmi subito cancellare dal registro dei morti; ma, viafacendo, mutai pensiero e mi ridussi invece a questa biblioteca diSanta Maria Liberale, dove trovai al mio posto il reverendo amicodon Eligio Pellegrinotto, il quale non mi riconobbe neanche lui, lìper lì. Don Eligio veramente sostiene che mi riconobbe subito e chesoltanto aspettò ch’io pronunziassi il mio nome per buttarmi le brac-cia al collo, parendogli impossibile che fossi io, e non potendo ab-bracciar subito uno che gli pareva Mattia Pascal. Sarà pure così! Leprime feste me le ebbi da lui, calorosissime; poi egli volle per forzaricondurmi seco in paese per cancellarmi dall’animo la cattiva im-pressione che la dimenticanza dei miei concittadini mi aveva fatto.

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Ma io ora, per ripicco, non voglio descrivere quel che seguì alla far-macia del Brisigo prima, poi al Caffè dell’Unione, quando don Eligio,ancor tutto esultante, mi presentò redivivo. Si sparse in un baleno lanotizia, e tutti accorsero a vedermi e a tempestarmi di domande. Vo-levano sapere da me chi fosse allora colui che s’era annegato allaStia, come se non mi avessero riconosciuto loro: tutti, a uno a uno. Edunque ero io, proprio io: donde tornavo? Dall’altro mondo! che ave-vo fatto? il morto! Presi il partito3 di non rimuovermi da queste duerisposte4, e lasciar tutti stizziti nell’orgasmo della curiosità, che duròparecchi e parecchi giorni. Né più fortunato degli altri fu l’amico Lo-doletta5 che venne a «intervistarmi» per il Foglietto. Invano, per com-muovermi, per tirarmi a parlare mi portò una copia del suo giornaledi due anni avanti, con la mia necrologia. Gli dissi che la sapevo amemoria, perché all’Inferno il Foglietto era molto diffuso.– Eh, altro! Grazie caro! Anche della lapide... Andrò a vederla, sai?Rinunziò a trascrivere il suo nuovo pezzo forte6 della domenica se-guente che recava a grosse lettere il titolo: MATTIA PASCAL È VIVO!Tra i pochi che non vollero farsi vedere, oltre ai miei creditori, fu Bat-ta Malagna7, che pure – mi dissero – aveva due anni avanti mostratouna gran pena per il mio barbaro suicidio. Ci credo. Tanta pena allo-ra, sapendomi sparito per sempre, quanto dispiacere adesso, sapen-domi ritornato alla vita. Vedo il perché di quello e di questo.E Oliva? L’ho incontrata per via, qualche domenica, all’uscita dellamessa, col suo bambino di cinque anni per mano, florido e bello co-me lei: – mio figlio8! Ella mi ha guardato con occhi affettuosi e riden-ti, che m’han detto in un baleno tante cose...Basta. Io ora vivo in pace, insieme con la mia vecchia zia Scolastica,che mi ha voluto offrir ricetto9 in casa sua. La mia bislacca10 avven-tura m’ha rialzato d’un tratto nella stima di lei. Dormo nello stessoletto in cui morì la povera mamma mia, e passo gran parte del gior-no qua, in biblioteca, in compagnia di don Eligio, che è ancora benlontano dal dare assetto e ordine ai vecchi libri polverosi.Ho messo circa sei mesi a scrivere questa mia strana storia, aiutatoda lui. Di quanto è scritto qui egli serberà il segreto, come se l’aves-se saputo sotto il sigillo della confessione11.Abbiamo discusso a lungo insieme sui casi miei, e spesso io gli ho di-chiarato di non saper vedere che frutto se ne possa cavare.– Intanto, questo, – egli mi dice: – che fuori della legge e fuori diquelle particolarità, liete o tristi che sieno, per cui noi siamo noi, ca-ro signor Pascal, non è possibile vivere.Ma io gli faccio osservare che non sono affatto rientrato né nella leg-ge, né nelle mie particolarità. Mia moglie è moglie di Pomino, e ionon saprei proprio dire ch’io mi sia.

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3. Presi il partito: decisi,presi la decisione.4. queste due risposte:Mattia ha deciso di conti-nuare la parte che gli altrigli hanno assegnato, quel-la del morto che è ritorna-to dall’aldilà.5. Lodoletta: il giornalistache aveva scritto l’articolosul suicidio di Mattia el’epigrafe sulla sua lapideal cimitero.6. pezzo forte: l’articoloche Lodoletta scrisse sulsuo giornale per il ritornodi Mattia.7. Batta Malagna: l’astutoamministratore che ha con-tribuito alla rovina econo-mica di Mattia e della suafamiglia.8. E Oliva ... figlio!: si trat-ta del figlio che Mattia haavuto da una relazione conOliva, moglie di Malagna.9. ricetto: accoglienza,ospitalità.10. bislacca: strana, stra-vagante.11. sotto … confessione: isacerdoti cattolici non pos -sono rivelare a nessunoquello che hanno saputodai fedeli durante il sacra-mento della confessione.

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Nel cimitero di Miragno, sulla fossa di quel povero ignoto che s’uc-cise alla Stia, c’è ancora la lapide dettata da Lodoletta:

COLPITO DA AVVERSI FATI

MATTIA PASCALBIBLIOTECARIO

CUOR GENEROSO ANIMA APERTA

QUI VOLONTARIO

RIPOSA

LA PIETÀ DEI CONCITTADINI

QUESTA LAPIDE POSE

Io vi ho portato la corona di fiori promessa e ogni tanto mi reco a ve-dermi morto e sepolto là. Qualche curioso mi segue da lontano; poi,al ritorno, s’accompagna con me, sorride, e – considerando la miacondizione – mi domanda:– Ma voi, insomma, si può sapere chi siete? Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e gli rispondo:– Eh, caro mio... Io sono il fu Mattia Pascal.

FINEda L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Einaudi

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COMMENTO«Cambio treno»: una frase che potrebbe benissimo significare che Mattiasceglie per la propria esistenza un binario diverso, decide cioè di “cam-biare vita”. E allora vuol dire che una persona come lui, per tutti priva diinteressi e incapace di prendere decisioni e di agire, è finalmente riusci-ta a dare una svolta alla propria vita, decidendo addirittura di assumereuna nuova identità. La sua decisione è però basata su una menzogna(non è lui il morto ritrovato nel canale) e Mattia più che una personanuova diventa una sorta di fantasma, perché per gli altri non esiste. Infatti, una volta tornato da Roma a Miragno, si rende conto che in suaassenza la vita ha continuato a fluire e tutto nel paese è cambiato.Nessuno, quindi, lo riconosce per quello che era perché tutti lo guarda-no con occhi diversi. Per tutti egli è davvero un fantasma; ormai nongli resta che arrendersi. Ma certo qualcosa è cambiato anche per lui; oranon può più affermare come un tempo «una delle poche cose, anzi for-se la sola che io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo MattiaPascal». Adesso, come non ha un’identità, non ha più nemmeno un no-me, è divenuto «il fu Mattia Pascal». Vive, ma fuori della vita, costret-to a vedersi, da vivo, morto e sepolto dietro una lapide del cimitero sucui è scritto il suo nome.

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lavo

riam

o su

l tes

to1.Durante il ritorno da Montecarlo, Mattia legge sul giornale l’incredibilenotizia del proprio suicidio. Prova a riassumere i punti essenziali dell’arti-colo.a. città ............................................................................. data ...................................................

b. posizione del cadavere ......................................................................................................

c. stato del cadavere ...............................................................................................................

d. cadavere riconosciuto per ...............................................................................................

2. Confronta le parole scritte nell’articolo con le reazioni di Mattia trascri-vendo le espressioni che trovi nel testo.

3.Mattia immagina le manifestazioni di convenzionale ipocrisia della suoce-ra e la violenta reazione del cadavere del suicida. Quali sono le parole cheattribuisce alla suocera? Quali quelle che immagina dette dal cadavere?

4.Quando il treno si ferma a una stazione, Mattia prende una decisione im-provvisa: cancellare ogni legame con il passato e iniziare una vita libera,nuova. Qual è la frase che segna il passaggio verso questa nuova vita?

5.Ritornato al paese, Mattia si sente un estraneo: è senza un nome, una fa-miglia, una casa. Come esprime questa sensazione? Quali sentimenti pro-va vedendo che nessuno lo riconosce?

6. Come risponde ai compaesani che gli chiedono chi è?

7. Il protagonista del romanzo ha vissuto tre vite – quella di Mattia Pascal,quella di Adriano Meis e quella del redivivo – senza identificarsi con nessu-na di esse. Anche se torna a Miragno per dimostrare che non è morto, tut-tavia non si sente neppure vivo e per questo si colloca ai margini della real-tà. Qual è lo stato d’animo di Mattia alla fine del romanzo? Aiutati con leparole di Pirandello.a. io ora vivo ...............................................................................................................................

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La produzioneteatrale

Nel teatro italiano della prima metà del Novecento non sono presenticorrenti vere e proprie, ma esperienze di autori di particolare prestigio.

L’autore che lascia l’impronta decisiva è Luigi Pirandello, che porta sul-la scena le problematiche esistenziali e il “taglio” grottesco già eviden-ziato nella sua narrativa. Anche sul palcoscenico, i personaggi pirandel-liani non hanno un’identità precisa, ma vivono scissi fra la maschera ar-tificiale che gli altri impongono loro e un’interiore, tormentosa ricercadi autenticità. La contraddizione è tale che vengono messe in discussio-ne tutte le verità, tutte le certezze, fino a dubitare che la realtà concre-ta valga meno di quella immaginata. Un’ulteriore novità del teatro pi-randelliano è la scelta di collocare i drammi nell’ambiente della borghe-sia. L’ipocrisia dei rapporti, la mediocrità dei valori, la grande importan-za attribuita ai beni materiali in contrapposizione al disinteresse per lequestioni morali fanno infatti dell’ambiente borghese lo sfondo piùadatto per l’analisi e la rappresentazione delle profonde contraddizionidell’uomo e del suo “disagio” esistenziale. Dopo Pirandello, questa saràla “linea” seguita dalla maggior parte dei drammaturghi.

Meno determinanti ma dotate di una certa rilevanza per il rinnova-mento teatrale sono anche le opere del cosiddetto “teatro grottesco”,secondo cui i pensieri, le azioni, i sentimenti umani non possono es-sere spiegati razionalmente e sono, quindi, “grotteschi”. Ne sonoesempio Nostra Dea e Minnie la candida di Massimo Bontempelli.

Il maggior drammaturgo italiano del Novecento, dopo Pirandello, puòcomunque considerarsi Ugo Betti, che attraverso l’originale tecnica del“processo” esplora tematiche morali collegate al rapporto dell’individuocon la società (Corruzione al Palazzo di giustizia). Si tratta di un proces-so ufficioso, condotto da uno dei personaggi, il quale, dopo aver solle-vato sospetti e accuse, scompare, lasciando gli altri personaggi a un’ag-gressiva battaglia reciproca, mentre nel pubblico si apre una tensionemoralizzatrice. Betti rappresenta così la sofferenza umana per l’incapa-cità di realizzare concretamente le leggi della giustizia e dell’amore eper l’impossibilità di dare, su questa realtà, giudizi di valore assoluto.

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Luigi Pirandello

Eh! La verità?Il signor Ponza si presenta di fronte ai vicini riuniti per dare spiegazionedello strano comportamento di sua suocera, la signora Frola. Quest’ultima,che è appena uscita di scena, sostiene infatti che sua figlia (la moglie delsignor Ponza) è tenuta “prigioniera” in casa dal signor Ponza a causa del-la gelosia opprimente del marito, il quale nega alle due donne la possibi-lità di vedersi. Madre e figlia quindi sono costrette a comunicare tramitedei bigliettini che si scambiano in un paniere da una finestra all’altra.

ATTO PRIMO, SCENA QUINTAPONZA Sono qua appunto per chiarir questo, signor Com-

mendatore. La condizione di questa donna è pieto-sissima1. Ma non meno pietosa è la mia, anche peril fatto che mi obbliga a scusarmi, a dar loro conto eragione d’una sventura, che soltanto… soltanto unaviolenza come questa2 poteva costringermi a svela-re. (si fermerà un momento a guardare tutti, poi diràlento e staccato) La signora Frola è pazza.

TUTTI (con un sussulto) Pazza?

1. La … pietosissima: leparole hanno la funzionedi stupire gli altri perso-naggi, che si aspettano disentire accuse crudeli con-tro la suocera.2. soltanto … questa: vitti-ma di una società pettego-la e crudele, Ponza è co-stretto a togliersi in pub-blico quella maschera didecenza che gli rende sop-portabile la convivenza so-ciale.

Così è (se vi pare) Protagonisti del dramma sono il signor Ponza e sua suocera, la signora Frola.Essi hanno uno strano comportamento, che suscita la curiosità e fa mormorare tutto il paese: la mo-glie del signor Ponza, infatti, comunica con la madre solo per scritto, con dei biglietti che vengono ca-lati in un panierino dalla finestra. La signora Frola e il signor Ponza, prima l’una e poi l’altro, si presen-tano dunque alla ribalta, davanti ai vicini riuniti, per dare una spiegazione di questo strano fatto.La signora Frola sostiene che la figlia è costretta a servirsi di questo bizzarro sistema di comuni-cazione perché il marito la tiene chiusa in casa, impedendole di vedere la madre e parlarle normal-mente. Esce di scena la signora Frola ed entra il signor Ponza, che implora gli interlocutori di noncrederle: la povera donna è impazzita dopo la morte della figlia nel terremoto; egli si è risposatoed è la seconda moglie, che la suocera crede la propria figliola ancora viva, a scrivere i biglietti permantenerla in quella confortante illusione. Ma la signora Frola torna in un secondo momento, in-sistendo che il problema è lui ed è alla sua gelosia che lei stessa e la figlia debbono conformarsinel comportamento, fingendo l’una di essere pazza, la seconda di essere un’altra donna, la nuovamoglie, appunto. Ambedue le versioni sono possibili, sono verosimili: qual è dunque la verità? Non rimane che interrogare la signora Ponza, l’unica che può dirlo: ella si presenta in scena col vol-to velato e spiega che entrambi, tanto la madre quanto il marito, hanno raccontato la verità, inquanto lei è «nessuno». «Io sono colei che mi si crede», afferma la donna, e con ciò esprime unconcetto centrale nella visione del mondo di Pirandello: la verità assoluta e oggettiva non esiste,ciascuno interpreta la realtà e gli altri secondo una propria verità, che per lui è quella “vera”.

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PONZA Da quattro anni.SIGNORA SIRELLI (con un grido) Oh Dio, ma non pare affatto!AGAZZI (stordito) Come, pazza? PONZA Non pare, ma è pazza. E la sua pazzia consiste ap-

punto nel credere che io non voglia farle vedere lafigliuola3. (con orgasmo d’atroce e quasi feroce commo-zione) Quale figliuola, in nome di Dio, se è morta daquattro anni la sua figliuola?4

TUTTI (trasecolati) Morta? – Oh!… – Come? – Morta?PONZA Da quattro anni. È impazzita proprio per questo5.SIRELLI Ma dunque, quella che lei ha con sé?PONZA L’ho sposata da due anni: è la mia seconda moglie6.AMALIA E la signora crede che sia ancora la sua figliuola?PONZA È stata la sua fortuna7, se così può dirsi. Mi vide pas-

sare per via con questa mia seconda moglie, dalla fi-nestra della stanza dove la tenevano custodita8; cre-dette di rivedere in lei, viva, la sua figliuola; e si mi-se a ridere, a tremar tutta; si sollevò d’un tratto dal-la tetra disperazione in cui era caduta, per ritrovar-si in quest’altra follia, dapprima esultante, beata,poi a mano a mano più calma, ma angustiata9 così,in una rassegnazione a cui s’è piegata da sé; e tutta-via contenta, come han potuto vedere. S’ostina acredere che non è vero che sua figlia sia morta, mache io voglia tenermela tutta per me, senza farglielapiù vedere. È come guarita. Tanto che, a sentirlaparlare, non sembra più pazza affatto.

AMALIA Affatto! Affatto!SIGNORA SIRELLI Eh sì, dice proprio che è contenta così.PONZA Lo dice a tutti. E ha per me veramente affetto e gra-

titudine. Perché io cerco d’assecondarla quanto piùposso, anche a costo di gravi sacrifizii10. Mi tocca te-ner due case. Obbligo mia moglie, che per fortuna sipresta caritatevolmente, a raffermarla di continuoin quella illusione: che sia sua figlia. S’affaccia allafinestra, le parla, le scrive. Ma, carità, ecco, dovere,fino a un certo punto, signori! Non posso costringe-re mia moglie a convivere con lei. E intanto è comein carcere, quella disgraziata11, chiusa a chiave, perpaura che ella non le entri in casa. Sì, è tranquilla, epoi così mite d’indole; ma, capiranno, si sentirebberaccapricciare da capo a piedi, mia moglie, alle ca-rezze che ella le farebbe12.

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3. che io … figliuola: Pon-za riferisce l’interpretazio-ne che della realtà dà lasuocera.4. Quale … figliuola?: ora,strappandosi con dolorel’ultimo velo di ritegno checela il suo segreto, Ponzarivela la “sua” verità.5. È … questo: potrebbeessere vero. Il dolore perla morte di un figlio è mo-tivo plausibile per la per-dita della ragione.6. è … moglie: l’intrecciodei casi assume una lucepiù chiara e insieme piùtragica. C’è dunque unapersona che vive rappre-sentando per i due esseriche di più la amano (ma-dre e marito) due diversiruoli, quello di secondamoglie per l’uno, di figliaper l’altra.7. È … fortuna: nel sensoche in questa convinzioneha trovato una sua serenità.8. custodita: questo ac-cenno lascia pensare a unperiodo di esagitazioneacuta della povera malata.9. angustiata: la poveret-ta, infatti, è convinta chela figlia sia ancora viva,ma per il bene e la pace dilei accetta di vederla soloda lontano.10. Perché … sacrifizii: ilsignor Ponza si rivela unavittima del dramma. Affet-tuoso, compassionevole,costretto a recitare un’ama-ra commedia nella quale ècoinvolta anche la sua se-conda moglie.11. quella disgraziata: an-cora un’altra vittima, anzila vittima principale: que-sta donna costretta a ri-nunciare alla sua libertà dimovimenti, cioè ad esserese stessa.12. si … farebbe: ancheperché sentirebbe di rice-vere le carezze destinatead una persona defunta.

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AMALIA (scattando, con orrore e pietà insieme) Ah, certo, pove-ra signora, immaginiamoci!

SIGNORA SIRELLI (al marito e alla signora Cini) Ah, vuole dunque lei –sentite? – star chiusa a chiave?

PONZA (per troncare) Signor Commendatore, intenderà che ionon potevo lasciar fare, se non forzato, questa visita13.

AGAZZI Ah, intendo, intendo, ora; sì sì, e mi spiego tutto. PONZA Chi ha una sventura come questa deve starsene ap-

partato. Costretto a far venire qua mia suocera, eramio obbligo fare davanti a loro questa dichiarazio-ne: dico, per rispetto al posto che occupo; perché acarico d’un pubblico ufficiale non si creda in paeseuna tale enormità: che per gelosia o per altro io im-pedisca a una povera madre di veder la figliuola14.

Rimasti soli, i vicini commentano la strana vicenda, non senza che qual-cuno di loro avanzi un dubbio sull’autenticità del racconto udito. Intantola signora Frola, che ha veduto uscire dall’appartamento il genero, tornain scena. Certo è imbarazzata, perché lei sa quale verità il signor Ponzaha svelato ai presenti e si rende conto di apparire ai loro occhi come unapazza. Tuttavia, quando comincia a parlare, la sua prima preoccupazioneè di difendere la dignità del genero, ottimo impiegato, zelante, scrupolo-so. Ma intanto rivela di essere a conoscenza della versione dei fatti da luisostenuta, dettata non dalla verità, ma da un suo oscuro male.

SCENA SESTAAGAZZI Ah, ma bisogna che lei ci spieghi, signora, e chiara-

mente, come stanno le cose! Possibile che suo gene-ro sia venuto qua a inventarci tutta una storia15?

SIGNORA FROLA Sissignore, sì, ecco, spiegherò loro tutto! Ma bisognacompatirlo16, signor Consigliere!

AGAZZI Ma come? Non è vero niente che la sua figliuola èmorta?

SIGNORA FROLA (con orrore) Oh no! Dio liberi!AGAZZI (irritatissimo, gridando) Ma allora il pazzo è lui!SIGNORA FROLA (supplichevole) No, no… guardi17…SIRELLI (trionfante) Ma sì, perdio, dev’essere lui!SIGNORA FROLA No, guardino! guardino! Non è, non è pazzo! Mi lasci-

no dire! – Lo hanno veduto: è così forte di comples-sione; violento… Sposando, fu preso da una vera fre-nesia d’amore. Rischiò di distruggere, quasi, la mia fi-gliuola, ch’era delicatina. Per consiglio dei medici e ditutti i parenti, anche dei suoi (che ora, poverini, nonsono più!) gli si dovette sottrarre la moglie di nasco-

13. questa visita: si riferi-sce alla visita che la si-gnora Frola, costretta, hafatto in casa dei vicini.14. perché … figliuola: ilsignor Ponza, un pubblicoufficiale, ha una sua rispet-tabilità da tutelare; devedifendere la propria imma-gine di fronte all’opinionepubblica che pretende divedere in lui l’uomo dabbe-ne, non la preda di oscurepassioni.15. una storia: una vicen-da inventata di sana pian-ta. Gli ascoltatori nonpossono accettare che perognuno dei due personag-gi la realtà assuma aspettiopposti.16. compatirlo: perché èmalato e non cattivo.17. No, no … guardi: la si-gnora Frola non vuole chel’ambiente cittadino, bol-landolo come pazzo, esclu-da il genero da una vitanormale e, soprattutto, dallavoro.

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sto, per chiuderla in una casa di salute. E allora lui,già un po’ alterato, naturalmente, a causa di quelsuo… soverchio amore, non trovandosela più in ca-sa… – ah, signore mie, cadde in una disperazione fu-riosa; credette davvero che la moglie fosse morta; nonvolle sentir più niente; si volle vestir di nero; fece tan-te pazzie; e non ci fu verso di smuoverlo più da que-st’idea. Tanto che, quando (dopo appena un anno) lamia figliuola già rimessa, rifiorita, gli fu ripresentata,disse di no, che non era più lei: no, no; la guardava –non era più lei. Ah, signore mie, che strazio! Le si ac-costava, pareva che la riconoscesse, e poi di nuovono, no… E per fargliela riprendere, con l’aiuto degliamici, si dovette simulare un secondo matrimonio18.

SIGNORA SIRELLI Ah, dice dunque per questo che…SIGNORA FROLA Sì, ma non ci crede più, certo, da un pezzo, neanche

lui! Ha bisogno di darlo a intendere agli altri19, non puòfarne a meno! Per star sicuro, capiscono? Perché forse,di tanto in tanto, gli balena ancora la paura che la mo-gliettina gli possa essere di nuovo sottratta. (a bassa vo-ce, sorridendo confidenzialmente) Se la tiene chiusa achiave per questo – tutta per sé. Ma l’adora! Sono sicu-ra. E la mia figliola è contenta. (si alzerà) Me ne scap-po, perché non vorrei che tornasse subito da me, se ècosì eccitato. (sospirerà dolcemente, scotendo le manigiunte) Ci vuol pazienza! Quella poverina deve figura-re20 di non esser lei, ma un’altra; e io… eh! io, d’esserpazza, signore mie! Ma come si fa? Purché stia tran-quillo lui! Non s’incomodino, prego, so la via. Riveri-sco, signori, riverisco. (salutando e inchinandosi si ritire-rà in fretta, per l’uscio comune. Resteranno tutti in piedi,sbalorditi, come basiti21, a guardarsi negli occhi. Silenzio)

LAUDISI (facendosi in mezzo a loro) Vi guardate tutti negli oc-chi? Eh! La verità22? (scoppierà a ridere forte) Ah! Ah!Ah! Ah!

da L. Pirandello, Così è (se vi pare), atto I , scene V-VI, Mondadori

Adesso i due punti di vista appaiono entrambi convincenti, entrambi “ve-ri”. Non resta che chiamare la signora Ponza e chiedere a lei la sua realeidentità. Ma la donna si presenta col volto coperto da un velo e spiegache esistono tutte e due le verità, in quanto ognuno di noi è quello cheappare nella coscienza degli altri. Quando le verrà chiesto chi ella sia perse stessa, risponderà: «Nessuno. Io sono colei che mi si crede».

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I L P R I M ON O V E C E N T O

18. simulare … matrimo-nio: ecco spiegato in altromodo lo stesso mistero!Dunque è il signor Ponzache attribuisce una diversaidentità a quella personache, veramente, è sempree solo la sua prima moglie,figlia della signora Frola.19. Ha … altri: per il fattoche gli altri ci credono, sisente convinto anche lui.Altrimenti sarebbe costret-to ad ammettere di esserepazzo, o di esserlo statoper un periodo. 20. Quella … figurare: ladonna oggetto di così con-trastanti affetti deve, co-munque, fingersi un’altra,rappresentare una parte chenon corrisponde alla suaverità.21. basiti: impietriti dallanotizia.22. Eh! La verità: quale frale due versioni è la vera?Ma esiste poi una sola, og-gettiva verità?

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1. Il signor Ponza e la signora Frolavedono la realtà delle cose da unproprio individuale punto di vi-sta. Quale versione ciascuno deidue fornisce riguardo alla signo-ra Ponza?

2.Nell’esporre la propria versionedei fatti, il signor Ponza rappre-senta se stesso come un uomocostretto per bontà a recitarenella vita un’amara commedia.Cosa, infatti, egli afferma di es-sere obbligato a fare?

3.Anche la signora Frola, durantela sua spiegazione dei fatti, di-pinge di se stessa un ritratto po-sitivo. Cosa racconta la donnadel genero?

4. I vicini, che rappresentano ilcomplesso della società borghe-se, si esprimono dimostrando diaver bisogno di fatti chiari, diverità assolute in cui credere. Tipare che riescano a ottenerli?

5. Come finisce l’opera?

6.Qual è la convinzione di fondodell’autore che emerge da essa?

COMMENTOCosì è (se vi pare) esprime chiaramente, fino daltitolo, quel duplice aspetto della realtà che è ilmotivo dominante di tutta l’opera pirandelliana.Questa duplicità emerge, da un lato, attraverso ipiccoli provinciali curiosi, assetati di saper tutto,convinti che tutto debba essere capito per assicu-rare una vita tranquilla; dall’altro, attraverso i dueprotagonisti, immersi in un dolore misterioso, cheli rende incerti nel parlare, finché non dichiaranociascuno la follia dell’altro. Ma è proprio la naturadi questa follia la sostanza del dramma: entrambisono convinti di possedere l’unica verità circal’identità della persona da loro amata. E insiemeciascuno ha pena dell’altro nel quale vede riflessae duplicata la propria angoscia. Di solito in palcoscenico il contrasto fra due an-tagonisti si chiude con la vittoria dell’uno sull’al-tro; con il ritrovamento della chiave dell’enigma.Ma Pirandello “non conclude”: idolo o fantasma,chiusa nel suo velo, la signora Ponza, cioè la ve-rità, non ha volto. Questo perché nessuna veritàvalida per sempre e per tutti è concepibile perchi, come l’autore, pensa che la realtà sia peren-nemente mutevole e che l’individuo non possanemmeno affermare di conoscere se stesso. Ognu-no crede di essere in un certo modo e può appa-rire agli altri in vari modi diversi. Di qui la soli-tudine dell’uomo, la sua impossibilità di comuni-care e di essere compreso.

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Massimo Bontempelli

L’abito fa il monaco?Nel brano che ti presentiamo, tratto dalla commedia forse più conosciu-ta di questo autore, Nostra Dea, emerge dal dialogo fra l’uomo d’affariVulcano ed Anna, la cameriera della signora Dea, una nota inquietante:Dea non ha alcuna personalità, e via via assume le caratteristiche chel’abito che indossa le suggerisce. Così è aggressiva se vestita di rosso, ti-mida e remissiva se vestita in color tortora.

ATTO PRIMOVULCANO1 (si guarda attorno. Pausa) Voi siete la cameriera?ANNA La prima cameriera2.VULCANO Ve lo domando perché qui non mi raccapezzo più. E

la signora che è uscita, chi è? ANNA Viene a trovarla, e non sa chi è?3VULCANO La signora Dea. Ieri me l’hanno presentata, cioè me

a lei4, sa un tè; un tè elegante, dalla contessa Orsa. ANNA Lo so. L’ho vestita io per andarci. Vestito grigio5.VULCANO Sì. Oh bello. Grigio-tortora, anzi grigio-gola-di-torto-

ra6, quando la muovono così, e così, e tubano erabella: m’è piaciuta infinitamente. Tutto un poema dimorbidezza7, e lei – questo dicevo – lei, la signoraDea, dolce dolce, timida, una tortora anche lei, par-lava con una voce piana piana, a note, un po’ basse,e guardava con certi occhi umidi, e diceva “sì” “sì”.

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1. Vulcano: uno dei prota-gonisti. Turbato dal com-portamento di Dea, che inprecedenza gli era sem-brata molto diversa, chie-de spiegazioni alla came-riera.2. La prima cameriera: sia-mo in un ambiente altoborghese nel quale le ge-rarchie contano anche frala servitù.3. Viene … chi è?: Annaragiona con un concretobuon senso che mette inevidenza il paradosso del-la situazione.4. cioè me a lei: secondo ilgalateo si presenta primaun uomo a una signora, enon viceversa.5. Vestito grigio: la came-riera vuole solo dimostrarel’importanza della sua pre-senza nella vita della pa-drona.6. grigio-gola-di-tortora:per indicare un colore an-cora più delicato.7. Tutto … morbidezza: ilcolore della veste si adat-tava pienamente all’atteg-giamento delicato della si-gnora, creando tutto unarmonioso insieme (poe-ma) di gentilezza.

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massimo bontempelli

Massimo Bontempelli nasce a Como nel 1878. Dopo aver inse-gnato italiano in varie città del Nord, si stabilisce a Firenze epoi a Roma, dedicandosi al giornalismo e alla letteratura. Tra il 1915 e il 1919 aderisce al Futurismo, per la sua carica dirottura con la tradizione, ma in seguito abbandona il movi-mento e si indirizza verso una produzione letteraria in cui èforte la presenza dell’elemento irrazionale che pervade la real-tà: “realismo magico”, la definisce egli stesso. Tra le sue mag-giori opere di narrativa si ricordano La scacchiera davanti allospecchio, Gente nel tempo, La donna dei miei sogni e altre av-venture moderne, L’amante fedele. Legatosi d’amicizia a Piran-dello, si interessa di teatro, trasferendo la propria visione delmondo in commedie quali Nostra Dea, Eva ultima e Minnie, lacandida. È inoltre autore di importanti saggi critici. Muore a Roma nel 1960.

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Le abbiamo chiesto, io e Orsa, anzi s’era accorda-to8… via, questo non posso dirlo9; ma ci ha sùbitodetto “sì” “sì” di tutto; benefica10, gentile come unangiolo. Stamattina dovevamo avere la lettera – già,voi11 non sapete di che cosa si tratta – una certa let-tera, molto importante. S’era detto di venire qui acombinarla12, ha detto che bastava che Orsa glieladettasse, capite, lo ha detto lei, badate, lei, l’ho vistobene che è lei, non ho sbagliato di strada, di nume-ro, di piano, no; è lei, ma…13

ANNA Col tailleur rosso14 e un garofano bianco e il cappel-lo rosso.

VULCANO Sì, bello15, ma non è questo che dico: è lei che ècambiata, il suo modo di fare, di parlare, di muo-versi; le sue risposte; non avete visto? Altro che“sì”, e che dettarle la lettera. Ora intuisco16 che sa-rà un affare serio. Insomma, sarà lei, è lei, ma per-dio è un’altra, tutta un’altra da quella di ieri, timi-da, dolce.

ANNA … vestita color tortora17, con un cappellino piccolocon le ali, due alette.

VULCANO Già. E ora… ANNA (interrompe) Ma non ha capito? VULCANO Io? Niente.ANNA La mia signora è molto sensitiva18.VULCANO Che c’entra? Tutte le donne sono molto sensitive.

Purtroppo. ANNA Molto sensitiva ai vestiti che porta. È un fenome-

no19. Se ha un vestito vivace, è vivace, come oggi; seha un vestito timido, è timida, come ieri: e cambiatutta, tutta: parla in un altro modo; è un’altra. Ungiorno l’ho vestita da cinese, s’è messa a parlare incinese purissimo. Se le mettessi un vestito nero e unvelo lungo, andrebbe a singhiozzare al cimitero so-pra una tomba.

VULCANO Magnifico. Mostruoso. Neppure capisco bene. Unmomento. Quando…20 (s’interrompe)

ANNA Dica.VULCANO Voi dovete saperlo. Volevo dire, quando è tutta… Ec-

co: quando fa il bagno? ANNA Allora niente.VULCANO Come niente?

la produzione teatrale 365

8. s’era accordato: aveva-mo concordato.9. non posso dirlo: nonpuò dare tante spiegazionia una cameriera, anche sesi tratta della “prima ca-meriera”.10. benefica: accondi-scendente verso le richie-ste altrui.11. voi: si rivolge alla ca-meriera.12. a combinarla: è la let-tera da preparare in favoredi un’amica.13. ma…: qualcosa nelcomportamento di Dea èmutato e Vulcano se ne èevidentemente accorto.14. Col tailleur rosso: ladonna, mutando vestito, hamutato comportamento.15. Sì, bello: Vulcano cre-de, lì per lì, che Anna allu-da all’eleganza della suasignora.16. Ora intuisco: Vulcanopensa, e a ragione, chenon siano cambiate solo lemaniere, il comportamen-to esterno di Dea, ma an-che il suo atteggiamentointeriore. 17. vestita color tortora:Anna richiama l’attenzio-ne sui particolari dell’ab-bigliamento, insiste volu-tamente, ma Vulcano noncapisce.18. sensitiva: dotata distraordinaria sensibilità.19. È un fenomeno: Annasvela finalmente l’arcano.Sono i vestiti che danno aDea una personalità (il ve-stito vivace, il vestito timi-do), mentre lei di per sénon ne ha nessuna.20. Quando…: cioè quan-do non ha niente indosso.

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ANNA Come un bambino: un bambino piccolo, ma diquelli buoni, che non piangono, e non ridono, la-sciano fare. Niente, le dico21. Poi, appena le infiloun vestito, di colpo è… è, come il vestito che le hoinfilato.

VULCANO È straordinario. È da ridere.ANNA Davvero? Io ci sono abituata. Credo che sia come

una malattia.VULCANO (improvvisamente si fa serio) No, forse non è come

una malattia. E forse non è da ridere.ANNA Sarà. Quel che è certo, è che la signora, la signora

Dea, la faccio io, due o tre volte al giorno22.VULCANO Ma non accade mai, per esempio, che quand’è a un

modo vi dia un ordine, e quand’è cambiata si con-traddica?

ANNA Questo non avrebbe importanza. Da venti anni fo lacameriera alle signore; per contraddirsi, nessuna hamai avuto bisogno di cambiare vestito.

VULCANO (la scruta un momento) Voi vi chiamate?ANNA Anna.VULCANO Anna, voi siete una donna intelligente23.

da M. Bontempelli, Nostra dea e altre commedie, atto I, Einaudi

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21. Niente, le dico: di suoDea non possiede alcuncarattere che la distingua;non è quindi una “perso-na” ma solo un corpo cheassume dall’esterno il va-rio modo di atteggiarsi edi comportarsi.22. la faccio … al giorno:l’affermazione di Anna nonsembra alludere all’operadi una cameriera che, sem-plicemente, esegue gli or-dini della padrona, bensì auna iniziativa personale econsapevole della came-riera stessa che sulla pa-drona esercita una sorta dipotere assoluto: attraversol’abito con cui di volta involta la veste ella è infattiin grado di manovrarla.23. una … intelligente:perché mostra di aver co-scienza sia della realtà, siadello straordinario caso delquale è testimone.

I L P R I M ON O V E C E N T O

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to 1.Nel dialogo fra Vulcano e Anna vie-ne presentata la figura di Dea, conla sua straordinaria caratteristica.Quale?

2. Com’era apparsa a Vulcano la don-na vestita di grigio e come vestitadi rosso?

3. Come si comporta Dea quando èpriva di vestiti?

4.Qual è il compito della cameriera ecome la considera Vulcano?

COMMENTONostra Dea di Massimo Bontempelli rappresen-ta una variante del tema pirandelliano dellamancanza di identità e, insieme, delle innume-revoli identità che sono possibili. Pirandellostesso apprezzò l’opera, che aveva seguito du-rante l’elaborazione con consigli e incoraggia-menti. Certo si tratta di un testo assai diverso,sul piano stilistico, da quelli pirandelliani. Inesso sono infatti molto evidenti gli elementidel paradosso o addirittura dell’assurdo: quelsenso di irrazionalità che caratterizza per Bon-tempelli la realtà quotidiana dell’uomo.

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Ugo Betti

Innocenza e corruzioneLa figlia di Vanan, il magistrato più anziano del Palazzo di giustizia, par-la in difesa del padre, ingiustamente accusato di un omicidio. Ella si ri-volge al Giudice Cust, convinta di trovare comprensione e aiuto, ma si èrivolta proprio alla persona sbagliata!

ATTO SECONDOELENA Sono sua figlia1. CUST Lo so. ELENA (con dolore) Lui non ha altro al mondo. E lo stesso io.

Non trovate triste che egli mi sfugga? E ridicolo2 che iolo insegua?

CUST Non è facile capire ciò che avviene in noi3. ELENA Voi siete l’inquisitore4?CUST Avete qualche cosa da dirgli?ELENA Sono venuta apposta.CUST Parlate pure. Riguarda l’inchiesta? ELENA Sì. È importante, segreto. CUST Allora presto. Le decisioni sono per questa sera. ELENA Signore, ciò che mio padre vi ha detto non è la verità5.

So che non è stato sincero. CUST (cauto)6 Quando è che un uomo lo è veramente? Diffici-

le esserne sicuri. ELENA Scusate, signore. Il mio primo ricordo è questo: io sono

sulle ginocchia di mio padre, che allora non aveva i ca-pelli bianchi, lui tiene gli occhi chiusi e io, con un ditopiccolo così, fingo di disegnargli tutto il viso, gli facciogli occhi, il naso, la bocca… Questo era uno dei nostrigiochi; ma ne avevamo molti. Non vi dico la felicità, ilrapimento, di tutti e due! Quando sento parlare di per-sone che si amano, io so che nessuno potrà essere maicome noi, io e papà. Se qualcuno mi diceva che gli as-

la produzione teatrale 367

1. sua figlia: Elena alludea Vanan, che è appenauscito dalla stanza, la-sciandola sola con Cust.2. triste … ridicolo: Elenamisura gesti e reazionicon il metro dell’amore peril padre e del proprio inge-nuo modo di giudicare larealtà. 3. Non è facile … in noi:Cust parla come la vocedel dubbio. 4. l’inquisitore: il magistra-to incaricato dell’inchiesta.In realtà Cust non ha nes-sun incarico speciale, malascia credere il contrarioalla ragazza, perché pensadi poter ottenere solo dalei notizie che per lui sonodi importanza vitale. 5. non è la verità: Vananha detto a Cust di aver ri-nunciato a scrivere un me-moriale in propria difesa. 6. (cauto): Cust non si ren-de conto ancora se Elenasta accusando o difenden-do il padre.

ugo betti

Nato a Camerino (Macerata) nel 1892, Ugo Betti combatte nella prima guerramondiale e poi entra nella magistratura. Esordisce come poeta (Il re pensieroso,Uomo e donna) e pubblica opere di narrativa (Caino, Una strana serata, La pietraalta), prima di dedicarsi al teatro, dove raccoglie i maggiori successi e conseguei più alti risultati. Come drammaturgo è autore di molti testi, fra cui si ricordanoin particolare La padrona, Il giocatore, La fuggitiva e Corruzione al Palazzo di giu-stizia, che di essi è certamente il più noto. Muore a Roma nel 1953.

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somigliavo, sentivo le guance scottarmi d’orgoglio.Avrei rifiutato di andare in paradiso7, se mio papà nonavesse dovuto esservi. (tace un momento, poi, senzaparole, estrae dalla borsetta una busta, la mostra)

CUST Che cosa è? ELENA Le sue difese, signore. Il memoriale8. Basterà che ven-

ga letto e mio padre sarà assolto. (un silenzio) CUST Ma vostro padre ha detto or ora9…ELENA Sì. Lui ricusa10 di presentarlo. L’ho portato io di nascosto.CUST Ha addirittura escluso di averlo scritto…ELENA Oh, lui ha impiegato qui sopra intiere notti… io l’ho

aiutato… CUST E perché ora lo rifiuterebbe? ELENA (con dolore e affanno) Perché è un uomo spaventato e

confuso. Qualcuno ha messo dentro di lui non so chedubbi, paure, è stata come una malattia… Come unoche fosse caduto… e non volesse più rialzarsi, ma solochiudere gli occhi11.

CUST Voi conoscete il contenuto di questi fogli? ELENA Certo. Papà si è ricordato di mille particolari… la sua in-

nocenza è evidente. È fatta luce su tutto. CUST E codesta luce ci permette poi di scorgere l’altro? Dico

il vero colpevole. ELENA Ma certo, signore. Di pagina in pagina, a poco a poco,

lo si capisce, lo si indovina: il vero colpevole. CUST Ne ricordate il nome? Un certo Croz12?ELENA (incerta) Non questo nome. (porge il memoriale, lo mette

nelle mani di Cust)

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7. di andare in paradiso:tutta la ricostruzione del-l’intimità familiare è illu-minata non solo dall’amo-re, ma da una candida in-nocenza. 8. Il memoriale: Elena pro-nuncia queste parole consicurezza, non immaginan-do quali paure provochinel suo interlocutore. 9. Ma … or ora: Vanan si èsempre proclamato inno-cente, ma ha fatto allusio-ne ad una certa sua re-sponsabilità. Egli, però, siriferiva solo alla propriadebolezza, che non lo ren-deva più adatto all’alta ca-rica che ricopriva. 10. ricusa: si rifiuta. 11. chiudere gli occhi:perché è crollato il mondodi sicurezze nel quale eravissuto. 12. Un certo Croz: Cust sabenissimo che Croz, suocollega rivale, è innocen-te, ma ne fa il nome persondare cosa sa la ragazza.

I L P R I M ON O V E C E N T O

Corruzione al Palazzo di giustizia Nel Palazzo di giustizia di una città imprecisataè stato ucciso un uomo potente, coinvolto in trame oscure, il quale stava per essere processato:evidentemente qualcuno ha avuto paura di ciò che egli avrebbe potuto rivelare e lo ha fatto eli-minare. Si apre un’inchiesta, che coinvolge tutti i funzionari, e i sospetti cadono sul magistratopiù anziano, il Presidente Vanan. In questo clima di tensione, in cui tutti accusano tutti, la figliadi Vanan, Elena, chiede un incontro al giudice Cust, sicura di trovare in lui un sostegno al proprioturbamento. Profondamente convinta dell’assoluta innocenza del padre, Elena è infatti disorien-tata dal comportamento di lui, che le appare diverso, chiuso in se stesso e sfuggente alla con-sueta confidenza. Ma proprio questo colloquio con Cust, che è il vero colpevole, sarà fatale allagiovane donna, in quanto il giudice approfitta della circostanza per scuotere la fiducia di lei, nonsolo nel padre, ma negli stessi valori morali in cui ella crede. E poco dopo Elena si uccide.

Page 369: PAGINE DI LETTERATURA

CUST Bene. (muove un po’ fra le mani il memoriale; inopinatamen-te, per qualche istante,canterella fra i denti) Mia cara, Elena,vero? Sedete. L’amicizia che mi lega a vostro padre, qual-che cosa che veramente brilla in voi e che… veramentemi commuove... (interrompendosi) Quando vi ho visto, hodetto: ecco veramente entrare l’innocenza e la bella giu-stizia in questo triste luogo… (riprendendo) Tutto ciò, dice-vo, mi impone di farvi una domanda. Non pensate che levostre siano più che altro speranze13, e che l’inquisitore(mostrando il memoriale) possa trovare qui tutt’altro?

ELENA Signore, sono sicura. CUST Ammetterete che il parere di un giudice possa variare

da quello di una figlia. ELENA Quando voi avrete letto correrete da mio padre e lo ab-

braccerete, punirete severamente quelli che hanno du-bitato di lui. Sarete indignato, nessuna creatura umanapotrebbe rimanere indifferente.

CUST Ma vostro padre, che non è un inesperto, avrà pur avu-to un motivo per tacere di questo scritto.

ELENA V’ho spiegato… CUST Sì, ma forse voi non sapete in modo completo ciò che

egli ha detto poco fa. Ha espresso il timore che propriouna maggiore luce sui fatti potesse danneggiarlo.

ELENA Ma sì, appunto, egli non ragiona14, è ciò che vi dicevo. CUST Egli ritiene che il trattamento usatogli dall’amministra-

zione sia stato assai indulgente; e che insistere potreb-be stuzzicare la severità. Vostro padre esprimeva la suagratitudine.

ELENA Signore, io ho letto che anche i condannati a morte, inultimo, benché innocenti, chiedono perdono come sefossero colpevoli. Accade così. Mio padre è un uomostanco. Ma è innocente.

CUST Bene. (canterella qualche istante fra i denti, butta il memo-riale sul tavolo, lo riprende) Bene. Mi costringete, mia ca-ra. Siete ostinata. Tutt’adesso15 ascoltandovi… (buttaun’occhiata verso l’archivio)16 benché il tempo stringa,sapete? e non ci sia punto da addormentarsi, no davve-ro… e tuttavia ora, ascoltandovi, non potevo impedirmidi pensare buffe cose. Per esempio che io ho l’età giustaper essere vostro padre. Tutto ciò che di desiderabile cipassa accanto noi vorremmo in qualche modo farlo no-stro. (improvvisamente, con uno scatto quasi angoscioso) E

la produzione teatrale 369

13. Non … speranze: cosìcomincia a insinuarle dub-bi, a trattarla come se fos-se solo una povera illusa. 14. egli non ragiona: men-tre per Cust le esitazionidi Vanan sono il pretestoper insinuare altri dubbisulla sua colpevolezza, perla figlia costituiscono solola prova della sua interioresofferenza di uomo inte-gro e sensibile. 15. Tutt’adesso: proprio po-co fa. 16. (butta … l’archivio):nell’archivio il vero inquisi-tore, Erzi, è al lavoro, die-tro suggerimento di Cust,per trovare documenti utiliall’inchiesta.

Page 370: PAGINE DI LETTERATURA

io vi facevo mia figlia, vi rubavo a Vanan! Avrei tratte-nuto il respiro per non appannarvi17. Vi dirò che io, inun certo modo, vi ho conosciuta da ragazzo, troppo lun-ga da raccontare. C’è una semplice parola che mi pareadatta a esprimere ciò che sembrate voi: leale. Leale.Ma ognuno di noi corre fissato all’indifferente nastrodel tempo18, e ciò produce un’infinità di appuntamentisbagliati. Si sarebbe potuto essere padri, fratelli, sposi,figli, ricevendo e dando… qualche cosa. E invece…19

Voi non supponete nemmeno quanto sia ridicolo cheio, data la congiuntura20, perda qualche minuto per dir-vi ciò. Dunque. Volevo dirvi… (con esasperata crudezza,per chiudere)… che poco fa, vostro padre, si è esplicita-mente riconosciuto responsabile21. (un silenzio)

ELENA (quasi fra sé) Non posso crederlo. CUST Cioè, vi dispiace, crederlo. Non avete detto che vostro

padre vi evita22? Che vuol dire ciò? Che proprio con voi,se mai, egli nasconde qualche cosa.

ELENA (fissa nel suo pensiero) Ci sarà stato un motivo. Tuttocrederò, ma non che lui possa essersi macchiato. (unsilenzio)

CUST (un po’ stridulo) Che crudele parola. Macchiato. Tristeche l’adoperiate23, essendoci in ballo vostro padre. Inu-mana parola. (quasi supplichevole) Non potete ammettereche possano esservi errori… dei quali uno si accorge sol-tanto… dopo averli compiuti, troppo tardi per tornare in-dietro? Basta un errore, il primo…

ELENA (dopo aver riflettuto un momento) Oh. Se penso che a undato momento – e questo momento, commettendo co-deste azioni abbiette dovrà pur venire, non è vero? – sepenso che a un dato momento mio padre abbia potutofare qualcosa, svelto svelto, di nascosto, guardandosiattorno; oppure che sia stato lì a sentire un uomo che abassa voce gli dà degli ordini segreti e infami, e mio pa-dre in fretta a bassa voce gli dice di sì... Mio padre! Miopadre, far questo! Mio papà!24 (quasi ride)

CUST (sudato, supplichevole) Non credete che possa capitare atutti, anche a vostro padre, di aver bisogno di una certapietà?25

ELENA Ma mio padre non potrebbe, non potrebbe assolutamen-te fare qualche cosa per cui dovesse vergognarsi e stare aocchi bassi! Dovreste vederlo, mio papà, quando diven-

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17. Avrei … appannarvi:nella sua abilità Cust fa ri-corso anche al registro af-fettivo, pensando che lavoce del sentimento possafar presa su Elena. 18. Ma ognuno … tempo:il tempo come un nastromeccanico scorre senza te-ner conto delle situazionialle quali il singolo si trovainchiodato. 19. E invece…: e invece lavita si svolge seguendoitinerari diversi da quelliche avremmo voluto. 20. data la congiuntura:tenute presenti le partico-lari tristi situazioni che sisono create e che hannoprovocato un clima da in-cubo nell’intero palazzo. 21. responsabile: Cust gio-ca, perfidamente, sempresull’equivoco: Vanan, perstanchezza e avvilimento,ha parlato di errori com-messi, ma si è anche ripe-tutamente dichiarato in-nocente rispetto al delittosul quale si indaga. 22. Non avete … vi evita:di nuovo Cust parte all’at-tacco delle sicurezze diElena. 23. Triste che l’adoperiate:quasi che fosse, così, la ra-gazza a condannare dura-mente il padre, mentre luisi mostra più comprensivo.24. Mio papà!: il lessico fa-miliare esprime quale forzaabbiano in Elena l’amore ela fiducia nel padre che co-stituisce per lei un baluar-do insuperabile di frontead ogni sospetto. 25. Non credete … pietà?:magari inconsapevolmenteCust chiede pietà per sé,sentendo con quale sde-gno l’innocenza giudichi lacorruzione.

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ta rosso rosso e furioso! Non c’è nulla – in mio papà – chenon sia nobiltà, bontà, orgoglio. Chi si macchia di questecose abbiette, bisogna che sia fatto in tutt’altro modo!Chi è capace di tradire così io credo che basti guardarlo,se ne deve provare subito una specie di ribrezzo26.

CUST Sì, schifosi topi gli escono dalla bocca27, e poi vannotrottando per queste stanze. (canticchia un po’) Comesiete crudele, mio piccolo angelo. Soprattutto è l’età. Lastupita azzurra neve dell’infanzia, ferita dal primo in-candescente raggio della giovinezza28. (con una specie diferocia) Che inebriante sfolgorio! Se ne resta immalin-coniti, umiliati; voi non ne avete colpa; voi splendete,alla lettera, in questo inferno. Fate pensare ai cristallipuri di cui è formata, come sapete, la materia inorgani-ca. Voi intendete presentare questo memoriale?29

ELENA (un po’ turbata) Sì. CUST Bene. (leggerissimamente stridulo) Dicevo che siamo tutti

degli ex cristalli30, mia cara, è per questo che vi si guar-da con melanconia… Pare che la vita nasca più tardi,sulle gelide geometrie dell’inorganico, come una speciedi prurito, una proliferazione maligna, una lebbra ap-punto. Oh, quel giorno la vostra voce avrà perduto que-sto timbro-luce31, e non parlerete più di macchie.

ELENA Mio padre… CUST (interrompendola) Vostro padre. Parlandone finalmente

alla buona, fu32 un uomo arrivato, di quelli cui la vita hadato parecchio. Ma penseremo davvero che questo pa-recchio la vita gliel’abbia regalato? Dato per nulla? E chenon sia occorso pagarla almeno con della furberia? È unnome sotto il quale cammina una quantità di vigliacche-ria. Di questo probabilmente il memoriale non parla.

da U. Betti, Corruzione al Palazzo di Giustizia, atto II, Mondadori

Per salvare se stesso, Cust, con il suo modo di fare tra l’insinuante e l’ag-gressivo, continua la propria opera di dissuasione, affinché Elena nonpresenti il memoriale del padre: per lui, che è il vero colpevole, esso rap-presenterebbe infatti un atto d’accusa. In tal modo l’uomo riesce a di-struggere la fede che Elena ha nel padre e nei valori che da lui ha appre-so. Al termine di questo terribile colloquio, la giovane donna decide di ri-prendere il memoriale, nella cui verità ormai non crede più, e se ne va.Cust è salvo, ma Elena è perduta: la fine della fiducia e delle certezzemorali determinerà infatti in lei una terribile crisi di identità, in conse-guenza della quale ella non vedrà altra via d’uscita che il suicidio.

la produzione teatrale 371

26. ribrezzo: l’espressioneè molto forte; serve a sot-tolineare la visione forseun po’ schematica, ma mo-ralmente netta, che Elenaha della distinzione fra be-ne e male. 27. schifosi … dalla bocca:Cust non può trattenersidal ricorrere al sarcasmo.Sono due visioni del mon-do che si contrappongono. 28. La … giovinezza: il can-dore ingenuo dell’infanzia èdestinato, nel primo con-tatto con la vita, nel fioredella giovinezza ad esseredistrutto, come la neve chesi scioglie sotto un soletroppo caldo. 29. Voi … memoriale?: è ilpunto che preoccupa Cust,il quale spende tante pa-role, ricorre ad ogni truccoper dissuadere Elena. 30. ex cristalli: in gioven-tù siamo stati tutti puri ecristallini. 31. voce … timbro-luce:questo tono sicuro che na-sce dall’ingenuità, dalla pu-rezza che ispira i suoi giu-dizi. 32. fu: ne parla come di undefunto o di un uomo co-munque già condannato.

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1.Nel dialogo fra Elena e Cust, l’abilità di quest’ultimo si manifesta nell’usosapiente delle insinuazioni, mescolate ad appelli di tono affettivo. Rileg-gi il brano, individuando i momenti fondamentali degli interventi di Cust,volti a minare le certezze di Elena.

2. Su cosa si basano le certezze di Elena nei confronti del padre? Quale im-magine “morale” ha di lui?

3.Quale atteggiamento assume Elena rispetto alla corruzione? E come sisente di dover reagire Cust di fronte a questa presa di posizione?

4. Sul piano pratico, Cust risulta, in questa scena, il vincitore, ma nella suainteriorità egli forse non è così forte e sicuro come vorrebbe apparire. In-dividua le espressioni di Cust dalle quali ti sembra che emerga qualchesuo dubbio o debolezza.

COMMENTOIl dialogo fra Elena e Cust rappresenta la chiave di volta dell’interodramma, sia come momento cruciale dell’intreccio, sia per la rilevanzache assume la psicologia dei due personaggi, sia per il messaggio chese ne ricava e che coincide con il senso ultimo dell’opera. Per quanto siriferisce all’intreccio, infatti, non solo la giovane Elena resta così scon-volta dal malefico influsso esercitato su lei da Cust, che arriva ad ucci-dersi, ma lo stesso giudice, pur essendo riuscito a evitare ogni incrimi-nazione, quando l’inchiesta è ormai chiusa, sconvolto dalla morte diElena, arriva a costituirsi. Il profilo psicologico dei due interlocutori è disegnato con grande rilie-vo: nitida come un cristallo la personalità della giovane, fiduciosa nel-l’innocenza, convinta di trovare negli altri la lealtà che le è propria; tor-tuoso, pronto ad ogni perfida macchinazione, profondamente corrottoil personaggio di Cust, che procede attraverso sottili, successive, incal-zanti insinuazioni. Nelle sue parole, dietro la perfidia, affiora la com-plessa natura dell’uomo (in senso assoluto), che, anche quando è cor-rotto, rimpiange la purezza e prova terrore della propria devastazionemorale. Attraverso il quadro della realtà del Palazzo, che rappresental’intera società, come emerge dalle parole di Cust, si comprende chel’opera non si limita ad un’indagine poliziesca, benché strutturata co-me un processo, ma è volta a richiamare la riflessione dello spettatoresullo squallore di una condizione umana insidiata dall’avidità e dal-l’egoismo.

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IL SECONDONOV ECENTO

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Il quadro storico-politico

LA SECONDA GUERRA MONDIALE L’incapacità di risolvere i problemi venutisi a crearedopo la conclusione della prima guerra mondiale,ma soprattutto la volontà di dominio della Germanianazista, fecero precipitare il mondo in un nuovo con-flitto. Nel 1939 l’invasione tedesca della Polonia det-te infatti inizio alla seconda guerra mondiale, una“guerra totale” per gli uomini e i mezzi impiegati, perla molteplicità e la vastità dei fronti, per il numero deiPaesi che vi presero parte, da quelli europei agli Sta-ti Uniti e al Giappone. La guerra – segnata tra l’altro da una serie di imma-ni tragedie, quali il genocidio degli Ebrei nei lager na-zisti e le bombe atomiche lanciate nel 1945 dagliStati Uniti su Hiroshima e Nagasaki per costringere ilGiappone alla resa – si concluse con milioni di mor-ti, città rase al suolo, fabbriche e infrastutture distrut-te. Cambiò inoltre l’assetto politico e geografico delcontinente europeo, dove si formarono due blocchicontrapposti.

GLI ANNI DELLA “GUERRA FREDDA” Nel secondo dopoguerra non solo l’Europa persedefinitivamente il primato culturale e politico cheaveva avuto in passato, ma si trovò divisa in dueschieramenti contrapposti: quello dei Paesi occi-dentali, soggetti all’influenza degli Stati Uniti, e quel-lo dei Paesi orientali, posti sotto il controllo del-l’Unione Sovietica. Il timore di un’ulteriore espansio-ne dell’influenza sovietica indusse gli Stati Uniti apromuovere una politica di decisa contrapposizioneall’URSS, che portò, nel 1949, alla firma del PattoAtlantico (o Nato), un’alleanza politico-militare tra iPaesi dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti a cuil’Unione Sovietica rispose stipulando con i Paesiamici, nel 1955, il Patto di Varsavia. Ebbe così inizio la “guerra fredda”, una guerra non di-chiarata ma combattuta sul piano politico, diplomati-co e ideologico fra i due blocchi, che sembrò prelu-dere a un ulteriore e catastrofico conflitto mondiale.Tuttavia, pur nella reciproca diffidenza e nonostantemomenti di forte tensione, l’Unione Sovietica e gli

Stati Uniti seguirono il principio della “coesistenza pa-cifica”, garantita soprattutto dall’equilibrio degli arma-menti, cioè dal fatto di aver consolidato le rispettiveposizioni di forza attraverso la corsa al riarmo e consolide alleanze militari in ogni parte del mondo.

DAGLI ANNI NOVANTA AL NUOVO MILLENNIONei primi anni Novanta il sistema dei blocchi con-trapposti era ormai superato. Già investita alla finedegli anni Ottanta dal rinnovamento economico epolitico promosso dal leader Michail Gorbaciov, nel1991 l’Unione Sovietica si dissolse, dando vita allaComunità degli Stati indipendenti, composta daundici ex repubbliche sovietiche. Oltre all’Unione Sovietica, la crisi del comunismoaveva investito anche gli altri Paesi dell’Est europeo:nel novembre del 1989 fu così abbattuto il Muro diBerlino, eretto nel 1961 per sancire la divisione tra ledue Germanie (quella dell’Est, filosovietica, e quelladell’Ovest, filoccidentale) e il Paese venne riunifica-to in una sola nazione. La dissoluzione del bloccoorientale riaprì però antiche divisioni etniche, risve-gliando vecchi nazionalismi con conseguenze tragi-che soprattutto nei Paesi della ex Iugoslavia.Agli inizi del terzo Millennio è poi scoppiata una gra-vissima crisi che ha visto la contrapposizione fra duemondi diversi: quello rappresentato essenzialmentedalle democrazie occidentali e quello del fondamen-talismo islamico, espressione della componenteconservatrice ed estremista del mondo musulmano.Una contrapposizione che ha preso avvio nel 2001con l’attacco alle “torri gemelle” di New York, a cui hafatto seguito l’invasione da parte degli Stati Uniti del-l’Afghanistan, ritenuto il centro del fondamentalismoislamico e il principale responsabile di tale attentato. Attualmente il mondo si trova a dover fronteggiarenumerose emergenze: dalle gravi tensioni che in-sanguinano in particolare il Medio Oriente e moltiPaesi dell’Africa, ai problemi ambientali che metto-no in pericolo l’esistenza stessa del pianeta. La via da percorrere sul cammino della pace, del ri-

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Il quadro culturale

spetto dell’uomo e dell’ambiente è ancora lunga edifficile, ma si è comunque raggiunta la generaleconsapevolezza della necessità di impegnarsi e dicollaborare a livello mondiale.

L’ITALIA DAL DOPOGUERRA AL SECOLO SCORSO All’indomani della seconda guerra mondiale, l’Italiadovette affrontare una serie di gravi problemi: distru-zioni e miseria, disoccupazione, tensioni sociali. S’im-poneva inoltre l’esigenza di definire una nuova formadi Stato dopo la ventennale dittatura fascista. Così il 2giugno 1946, con l’elezione dei deputati dell’Assem-blea costituente — incaricata di redigere la nuova Co-stituzione — si tenne anche il referendum istituziona-le, in seguito al quale nacque la Repubblica italiana. Governi di centro e poi, dagli anni Sessanta, di cen-tro-sinistra guidarono il Paese nel difficile processodella ricostruzione, favorendo tra l’altro, attraverso

una serie di riforme, il rinnovamento sociale, econo-mico e culturale della penisola. Alla fine degli anniSessanta l’Italia fu però percorsa da un’ondata dimanifestazioni studentesche contro l’autoritarismodella scuola tradizionale, a cui andò ad affiancarsil’inasprimento della lotta sindacale promossa daglioperai. Il decennio successivo fu segnato dal terro-rismo, un fenomeno caratterizzato da una tragicacatena di attentati compiuti per abbattere le istitu-zioni democratiche, in cui persero la vita semplicicittadini, giornalisti, industriali e numerosi rappre-sentanti dello Stato (magistrati, forze dell’ordine,politici). Negli anni Novanta la scoperta di una rete di scan-dali e corruzioni ha sancito il declino della “PrimaRepubblica” nata nel 1946, portando tra l’altro allacrisi dei partiti tradizionali e alla nascita di nuove for-mazioni politiche.

LA LETTERATURA TRA IMPEGNO E SPERIMENTALISMO Dalla terribile esperienza del secondo confitto mon-diale (1939-1945) e del difficile dopoguerra ha fa-ticosamente preso avvio una nuova epoca, che haposto le premesse per gli sviluppi, ancora in corso,della cultura e della società del Terzo Millennio.In Europa il dramma bellico sconvolse le coscienzedegli intellettuali, inducendoli a porre la loro esperien-za al servizio dell’utilità comune. Il mondo della cultu-ra si sentì infatti coinvolto nel clima di rinnovamentosociale, politico e morale del dopoguerra e, rifiutandoil modello del letterato distaccato dal mondo reale ededito soltanto alla propria arte, scelse l’impegno,scelse cioè di assumere una precisa posizione ideo-logica e pratica nei confronti dei problemi politici e so-ciali. Molti autori fecero così delle loro opere un mez-zo per testimoniare il recente passato: gli orrori dellaguerra, l’Olocausto (lo sterminio degli Ebrei da partedei nazisti), la violenza dei regimi totalitari. A questa “letteratura dell’impegno” si opposero lenuove forme letterarie che videro la luce agli inizidegli anni Sessanta. Nacque infatti in tale periodo loSperimentalismo che, proponendosi di illuminaregli aspetti contraddittori della società contempora-nea, cercava di confrontarsi con la “modernità”.

Gli artisti che seguivano tale indirizzo tentarono diusare nuovi linguaggi per esprimere il senso di vuo-to e di alienazione che spesso caratterizza l’uomomoderno: è questo il caso, ad esempio, del teatro, incui vennero utilizzate tecniche e forme rivoluziona-rie per esprimere l’assurdità dell’esistenza umana.

GLI ANNI PIÙ RECENTIPur nella difficoltà di inquadrare in movimenti letterarie artistici la cultura della seconda metà del Novecen-to, si può comunque affermare che negli ultimi de-cenni del secolo scorso gli artisti, e l’umanità in gene-rale, hanno assistito a fenomeni nuovi e destabilizzan-ti: la disgregazione del mondo politico tradizionale e iltramonto delle vecchie ideologie (come il crollo deiregimi comunisti in Unione Sovietica e nei Paesi del-l’Europa orientale), il progressivo allargarsi del divarioeconomico fra Nord e Sud del pianeta, l’esplosione diconflitti etnici e di integralismi religiosi, ma anche l’af-fermazione dei mezzi di comunicazione di massa —che hanno stravolto i rapporti sociali — e l’irromperedella crisi ecologica come fenomeno globale. Di fron-te a questa complessa situazione, l’intellettuale sem-bra ancora oggi alla ricerca di “nuovi itinerari” che pos-sano guidare la società verso un futuro più vivibile.

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L’attivita letteraria in Italia’IL NEOREALISMONei primi decenni successivi alla seconda guerramondiale si segnala, come già detto, la figura del-l’intellettuale impegnato nella società e nella politi-ca, che vuole offrire nelle proprie opere una rappre-sentazione degli avvenimenti appena trascorsi edella vita quotidiana soprattutto delle classi più po-vere. In tale ambito si sviluppa in Italia il Neoreali-smo, un movimento artistico che raggiunge risulta-ti importanti anche nel cinema, con registi comeVittorio De Sica e Roberto Rossellini. Pur avendo uncarattere eterogeneo, il Neorealismo si caratterizzaper l’intento di denuncia sociale e il dichiarato im-pegno politico. Tra gli scrittori che si rifanno a questacorrente letteraria sono da annoverare Vasco Pra-tolini, Alberto Moravia e, seppure a suo modo,Pier Paolo Pasolini. Il realismo e l’impegno politico si arricchiscono poidi motivi psicologici nelle opere del narratore e poe-ta Cesare Pavese, mentre la continuità con il gran-de romanzo realista di tradizione ottocentesca è te-stimoniata da Ignazio Silone, impegnato in tal sen-so già da decenni.La poesia del secondo Novecento è invece rap-presentata soprattutto da Eugenio Montale, Um-berto Saba e Salvatore Quasimodo che, traen-do ispirazione dalla terribile esperienza dei recen-ti avvenimenti storici, cantano il dolore umano, lasofferenza universale, la solidarietà fra gli uomini,ma si interrogano anche sulla funzione stessa del-la poesia. Quasimodo è tra l’altro uno degli espo-nenti più rappresentativi dell’Ermetismo, una cor-rente poetico-letteraria nata tra gli anni Trenta eQuaranta e così chiamata perché caratterizzata daun linguaggio difficile e a volte indecifrabile (non acaso il termine deriva da quello del misterioso Er-mete Trismegisto, che secondo il mito fu autore dilibri magici).

LA CRISI DEL NEOREALISMOVerso la metà degli anni Cinquanta, anche per effet-to dei mutamenti intervenuti nella società italiana, lacorrente neorealista entra in crisi e ricompare la fi-gura del letterato propenso a rappresentare situa-zioni esistenziali recuperando anche i modelli degliscrittori del romanzo di analisi del primo Novecen-to. Contemporaneamente si avvia nell’ambito dellapoesia una ricerca spesso basata sul rifiuto della lin-gua come strumento di comunicazione, a cui si so-stituisce ogni mezzo espressivo capace di cogliere ilcontraddittorio caos del reale. Le soluzioni più radi-cali giungono al rifiuto totale del significato delle pa-role e all’accostamento di esse solo per il loro suo-no. Esperienze originali e di alto valore poetico so-no, in questo periodo, quelle di Sandro Penna,Mario Luzi e Giorgio Caproni, che però lascianoalla parola tutto il suo potere di creare immagini.In questi anni la narrativa italiana si segnala per lapresenza di Italo Calvino, uno scrittore di grande ri-lievo che, attraverso generi diversi e storie spessofantastiche, sa parlare della realtà umana più vera.

GLI SVILUPPI DEGLI ANNI SETTANTA E OTTANTA A partire dagli anni Settanta il clima letterario cambianuovamente. Se autori come Eugenio Montale, MarioLuzi e Giorgio Caproni continuano a scrivere liricheche, seppure in stile diverso, riaffermano il potere del-la parola come mezzo per esplorare la realtà esistente,altri autori, tra cui Giovanni Giudici, presentano unagrande varietà di temi e di mezzi espressivi che rispec-chiano la complessità del nuovo linguaggio globale. Così, anche i narratori non fanno ormai più capo ascuole o correnti, ma analizzano le grandi proble-matiche dell’uomo e i sentimenti attraverso sceltetematiche ed espressive molto personali, come te-stimoniano, tra le altre, le opere di Elsa Morante edi Antonio Tabucchi.

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1. Scrivi le espressioni corrispondenti alle due definizioni.a. conflitto combattuto sul piano politico, diplomatico e ideologico

fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel secondo dopoguerra............................................................................................

b. principio basato sull’equilibrio degli armamenti, vale a dire sullacorsa al riarmo e sulle alleanze militari............................................................................................

2. Ognuna delle seguenti frasi contiene due errori. Sottolineali eriscrivi le frasi correggendole. a. nel 1961 l’Unione Sovietica si dissolse, dando vita alla Comunità

degli Stati Indipendenti, formata da due ex repubbliche sovietiche........................................................................................................................................................................................

b. il Muro di Berlino, che divideva la Germania dell’Est, filoamericana,da quella dell’Ovest, filoccidentale, fu abbattuto nel 1955 ........................................................................................................................................................................................

3. Metti in ordine cronologico, con un numero progressivo, leseguenti frasi riferite all’Italia. a. il terrorismo tenta di abbattere la democraziab. viene avviata la ricostruzione del Paesec. viene istituita la Repubblica italianad. tramonta la «Prima Repubblica»e. si scatena un’ondata di manifestazioni studentesche

4. Indica, tra le seguenti frasi, quali sono riferite alloSperimentalismo (S) e quali al Neorealismo (N). a. nasce nei decenni successivi alla seconda guerra mondialeb. vuole esprimere l’alienazione dell’uomo modernoc. rappresenta la vita quotidiana soprattutto delle classi più povered. raggiunge risultati importanti anche nel cinemae. nasce agli inizi degli anni Sessantaf. si caratterizza per la denuncia sociale e l’impegno politicog. utilizza nuovi linguaggi

5. Indica a chi si riferiscono le frasi scegliendo tra i seguenti nomi. Salvatore Quasimodo – Vasco Pratolini – Cesare Pavese – Ignazio Silone a. arricchisce il realismo e l’impegno politico con motivi psicologici

.................................b. si riallaccia al grande romanzo realista di tradizione ottocentesca

.................................c. canta nelle sue poesie il dolore umano e la sofferenza universale

.................................d. è uno dei principali scrittori che si rifanno al Neorealismo

.................................

Verifica

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I poeti e la condizione umana

La seconda guerra mondiale ha avuto profonde ripercussioni in ambi-to politico e sociale, ma anche nel settore della cultura. Anche il mon-do degli intellettuali fu infatti profondamente colpito da tale espe-rienza e trasse ispirazione dalle drammatiche situazioni in cui fu coin-volto.Per molti poeti l’impatto con la realtà della guerra, con i suoi messag-gi e i suoi orrori, portò alla consapevolezza delle contraddizioni del vi-vere umano, alla coscienza dell’impossibilità di qualsiasi intervento, aun senso di grande fragilità e profonda pena, riassunti nell’espressio-ne del poeta Eugenio Montale «il male di vivere». Se alcuni fecero ri-ferimento diretto all’esperienza del conflitto e dell’occupazione stra-niera – mostrando nella loro poesia quella tendenza all’impegno poli-tico-sociale che caratterizza questo periodo – altri interpretarono ildolore e le lacerazioni come il sintomo di un male più profondo che in-veste tutta la condizione umana, e altri ancora trovarono una sorta diconsolazione nella semplicità e bellezza della natura o nel mondo de-gli affetti.

Pur nella grande varietà di esperienze dei singoli autori, sul piano sti-listico la poesia di questi anni presenta generalmente versi scarni, cherecuperano la “poetica del frammento” inaugurata da Ungaretti nelprimo dopoguerra. La frase viene quindi ridotta all’essenziale, talvol-ta a una sola parola carica di significati che esprimono la pena di vi-vere. La poesia non deve più descrivere, bensì evocare, cioè suscitarenel lettore sentimenti, emozioni, immagini e ricordi.Tra i numerosi autori che animano la scena poetica del secondo Nove-cento, abbiamo scelto alcuni nomi che ci sembrano essere le voci prin-cipali delle differenti tendenze di questo clima poetico: Eugenio Mon-tale, Umberto Saba, Salvatore Quasimodo, Sandro Penna, Giorgio Ca-proni, Mario Luzi, Giovanni Giudici.

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I L S E C O N D ON O V E C E N T O

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Eugenio Montale

Meriggiare pallido e assortoMeriggiare pallido e assortopresso un rovente muro d’orto,ascoltare tra i pruni e gli sterpischiocchi di merli, frusci di serpi.

5 Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formichech’ora si rompono ed ora s’intreccianoa sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare 10 lontano di scaglie di mare

mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbagliasentire con triste meraviglia

15 com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muragliache ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

da E. Montale, Ossi di seppia, Mondadori

i poeti e la condizione umana 379

1. Meriggiare: trascorrereil meriggio, cioè le ore piùcalde del giorno.2. rovente muro: un murocaldissimo perché investi-to dal calore del sole.3. sterpi: arbusti secchi. 4. schiocchi: parola onoma-topeica che indica il versocaratteristico dei merli. 5. crepe: il terreno, aridoper il gran caldo, si spac-ca. – veccia: pianta erba-cea che cresce spontaneanei suoli aridi.7. si rompono: si interrom-pono.8. a sommo … biche: sullasommità, in cima a piccolimucchi di terra (in realtà,le biche sono i mucchi deicovoni di grano).9. il palpitare: il moto einsieme la vita (il verbo siusa per indicare il pulsarecome segno della presenzadella vita o per effetto diuna forte emozione). 10. scaglie di mare: colpi-te dal sole a picco, le ondedel mare luccicano comefossero scaglie di metallo.11. tremuli scricchi: rumo-ri discontinui prodotti dal-le cicale quando cantano. 12. dai calvi picchi: dairialzi del terreno brulli, pri-vi di vegetazione.13. andando: procedendo,camminando.14. sentire … meraviglia:intuire, comprendere conlo stupore che deriva dallatristezza della conclusioneespressa nei versi finalidella poesia. 15. com’è … travaglio: co-me la vita è travagliata,cioè caratterizzata da con-tinue sofferenze.

Eugenio Montale

Nato a Genova nel 1896, Eugenio Montale passa l’infanzia e parte della giovinez-za in Liguria, a contatto con quel mare e quel paesaggio che saranno fonte di ispi-razione per le sue prime prove poetiche. Partecipa come ufficiale alla prima guer-ra mondiale. Nel 1927 si trasferisce a Firenze, dove lavora per una casa editrice ediviene direttore di un’importante istituzione culturale, ma nel 1938 perde taleincarico per aver rifiutato di iscriversi al partito fascista. È quindi costretto a gua-dagnarsi da vivere attraverso traduzioni e collaborazioni giornalistiche, pur con-tinuando nel frattempo a comporre versi. Nel 1948 lascia Firenze per Milano, do-ve resterà fino alla morte, avvenuta nel 1981; nel 1975 gli viene assegnato il pre-mio Nobel per la letteratura.Famoso a livello mondiale come poeta ma anche come autore di prose poetiche,traduzioni, saggi e interventi culturali, Montale ha pubblicato molte raccolte.Fra quelle poetiche, le più importanti sono Ossi di seppia, Le occasioni, La bufe-ra, Satura.

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I L S E C O N D ON O V E C E N T O

COMMENTONella lirica che hai letto, il poeta descrive un afoso pomeriggio d’estate.Immobile presso il muro di un orto reso rovente dal sole, ascolta il cantodei merli e il fruscio delle serpi, osserva le file delle formiche e guarda ilmare lontano. Tutto il paesaggio appare desolato, arso, muto. Ed egli sirende conto che quello che sta contemplando è la vita stessa: forse vive-re è come camminare lungo un muro che non si potrà mai superare. Ogniuomo è cioè solo, la vita di ciascuno è come chiusa in un luogo ristrettoda cui non si può uscire, simile all’orto di cui si parla nella poesia. L’uomo non può comunicare con i suoi simili, né rivelare i propri senti-menti perché lo divide dagli altri un muro insuperabile («i cocci aguz-zi di bottiglia» esprimono proprio l’impossibilità di scavalcare il muro,cioè di andare al di là di esso). Non resta dunque altro che contempla-re un mondo (simboleggiato dall’orto) che non si comprende più e cam-minare sotto un sole così forte da abbagliare, procedendo senza alcunamèta da raggiungere.«Meriggiare… ascoltare… spiar… osservare… sentire» sono infiniti chenon sono retti da alcun verbo principale. Le azioni che esprimono non av-vengono, dunque, in un tempo determinato (passato, presente, futuro), masono al di fuori del tempo, come se appartenessero a una storia incessan-te che non conosce soste. Il silenzio è così profondo e l’ambiente tanto de-solato, che i pochi suoni e movimenti acquistano straordinario risalto.

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1. Il verbo «meriggiare» indica il trascorrere delle ore più calde dellagiornata, da mezzogiorno fino al primo pomeriggio. Indica quali ele-menti visivi e uditivi, riferibili a questo momento della giornata, sonopresenti nella poesia.a. elementi visivi ................................................................................................................b. elementi uditivi .............................................................................................................

2.Nelle prime due strofe lo sguardo del poeta è attratto da particolarimolto vicini, mentre nella terza strofa il suo sguardo si volge lontano.Cosa osserva tra le fronde degli alberi?a. le cicale che frinisconob. il luccichio del marec. il cielo tra i rami degli alberi

3.Quale svuono si accompagna alla vista del mare in lontananza?a. il rumore delle ondeb. il frinire delle cicalec. il frusciare delle serpi

4. Cosa indica il termine «travaglio» dell’ultima strofa?a. il tramonto che il giorno, inevitabilmente, porta con séb. il faticoso lavoro quotidiano che ognuno deve svolgerec. il “viaggio” doloroso della vita

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i poeti e la condizione umana 381

Spesso il male di vivere ho incontratoSpesso il male di vivere ho incontrato:era il rivo strozzato che gorgoglia,era l’incartocciarsi della fogliariarsa, era il cavallo stramazzato.

5 Bene non seppi, fuori del prodigioche schiude la divina Indifferenza:era la statua nella sonnolenzadel meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

da E. Montale, Ossi di seppia, Mondadori

1. il male di vivere: è l’an-goscia legata al semplicefatto di esistere.2. era ... stramazzato: isuoni duri delle parole(gorgoglia, riarsa, stramaz-zato) rappresentano inmodo ancora più negativoi fenomeni naturali richia-mati, che costituiscono unostacolo alla vita. Unostacolo che impedisce alruscello (rivo) di scorrere,che fa accartocciare la fo-glia asciugata (riarsa) dal-la calura, che fa cadere ilcavallo stroncato dalla fa-tica della corsa.5. Bene ... Indifferenza:non conobbi altro bene al-l’infuori del miracolo (pro-digio) che rende possibilel’Indifferenza suprema.7. era la statua … levato:si tratta di tre immaginiche simboleggiano l’indif-ferenza al male di vivere;la statua insensibile per-ché di marmo, la nuvola eil falco staccati dal mondoperché in alto nel cielo.

Eugenio Montale

COMMENTOEugenio Montale è il maggiore rappresentante di quella tenden-za della poesia italiana che esprime il sentimento del vuoto edel male presenti nella vita umana, la crisi morale di un’interaepoca. Per il poeta ligure, il male e il dolore sono infatti parteintegrante della vita stessa. Questa profonda sofferenza che in-veste l’esistenza umana trova piena corrispondenza nella natu-ra: il «male di vivere» è un’esperienza universale che il poeta,nella lirica che hai appena letto, coglie in ogni elemento e ma-nifestazione naturale. Al male si contrappone il bene, che però non è un valore positi-vo, ma è rappresentato solo dalla conquista della «divina Indif-ferenza», cioè del più completo distacco dall’esistenza. Il male eil bene sono messi in contrapposizione da Montale con precisasimmetria attraverso una struttura molto semplice, costituita dadue quartine. In realtà, si tratta di una contrapposizione solo ap-parente, poiché l’identificazione del bene con l’indifferenza nonfa che confermare la sua visione pessimistica dell’esistenza.

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1.Quali elementi dellanatura simboleggianoil male della vita? Conquali aggettivi vengo-no definiti tali ele-menti?

2.Qual è, secondo il poe-ta, l’unico modo persfuggire al male dellavita?

3.Aiutandoti con le no-te, spiega il significatodegli ultimi due versidella poesia.

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I L S E C O N D ON O V E C E N T O

Nel fumoQuante volte t’ho atteso alla stazionenel freddo, nella nebbia. Passeggiavotossicchiando, comprando giornali innominabili,fumando Giuba poi soppresse dal ministro

5 dei tabacchi, il balordo!Forse un treno sbagliato, un doppione oppure unasottrazione. Scrutavo le carrioledei facchini se mai ci fosse dentroil tuo bagaglio, e tu dietro in ritardo.

10 Poi apparivi, ultima. È un ricordotra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.

da E. Montale, Satura, Mondadori

1. t’ho atteso: il poeta si ri-volge idealmente alla mo-glie.3. giornali innominabili:quelli che sfoglia per pas-sare il tempo e che, nor-malmente, quasi si vergo-gnerebbe a comprare.4. fumando Giuba: le Giu-ba erano una marca di si-garette.6. Forse … sottrazione: pre-occupato, il poeta fa diver-se ipotesi per il mancatoarrivo della donna.

Eugenio Montale

COMMENTOTutte le liriche della sezione di Satura dedicate,come questa, da Montale al ricordo della mogliemorta sono caratterizzate da un linguaggio quo-tidiano, che si traduce in una scelta sintattica elessicale di grande semplicità. Quasi che la poe-sia volesse riprodurre la consuetudine e le abitu-dini della vita coniugale, nella quale, spesso, isentimenti si esprimono attraverso piccole coseed eventi banali. E sono proprio questi ultimi chetornano a ossessionare chi ha perso una personacara: gli stessi difetti della persona amata, le si-tuazioni in cui il suo comportamento sembravaquasi insopportabile, sono poi, quelli che ne fan-no sentire di più la mancanza. Ad esempio, unodei tanti ricordi che il poeta ha di sua moglie –e che torna continuamente nei suoi sogni – èquello delle innumerevoli volte in cui, leggendoun giornale e camminando su e giù, l’ha aspetta-ta alla stazione.

lavo

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1. Cosa fa il poeta mentre aspetta lamoglie alla stazione?

2. Cosa pensa, poi, non vedendo ar-rivare la donna? Quali ipotesi fariguardo al suo mancato arrivo?

3.Quali sono le due immagini checoncludono la poesia?

4.Un grande poeta come Montalenon ha paura di usare parole chesembrerebbero poco adatte per-ché poco “poetiche”. Secondo te quali sono, in questapoesia, tali parole?

5. Secondo te, durante le lunghe at-tese alla stazione, che sentimen-ti provava il poeta nei confrontidella moglie?

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i poeti e la condizione umana 383

Umberto Saba

La capraHo parlato a una capra.Era sola sul prato, era legata.Sazia d’erba, bagnatadalla pioggia, belava.

5 Quell’uguale belato era fraternoal mio dolore. Ed io risposi, primaper celia, poi perché il dolore è eterno,ha una voce e non varia.Questa voce sentiva

10 gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semitasentiva querelarsi ogni altro male,ogni altra vita.

da U. Saba, Il Canzoniere, Einaudi

5. era … dolore: esprimevaun dolore simile al mio.7. per celia: per scherzo.8. ha … varia: ha una vocesola; il dolore non cambia,è lo stesso per tutti.9. sentiva: sentivo.11. viso semita: il musodella capra ricorda le cari-cature degli Ebrei (Semiti)legate alle persecuzionirazziali. L’espressione nonè casuale: gli Ebrei diven-gono il simbolo delle soffe-renze dell’umanità.12. querelarsi: lamentarsi.

Umberto Saba

Nato a Trieste nel 1883, Umberto Saba crescesenza il padre, che ha abbandonato la moglieprima della sua nascita e del quale rifiuterà ilcognome (Poli) per assumere quello di Saba(che in ebraico significa “pane”) in omaggio al-la madre. Trascorre l’infanzia in estrema povertà,tanto che abbandona prestissimo gli studi perimbarcarsi come mozzo e poi impiegarsi in unaditta della sua città. Nel frattempo ha comincia-to a scrivere versi, ma la sua prima raccolta, ilCanzoniere, viene pubblicata solo nel 1921. Nel1938, con l’inizio delle persecuzioni razziali, Sa-ba – ebreo per parte materna – è costretto a la-sciare Trieste, dove potrà tornare solo nel dopo-guerra. Nel 1948 esce la seconda edizione delCanzoniere, che riscuote notevole successo. Di-venuto così poeta nel vero senso del termine,affianca alla poesia un volume in cui ne spiega imotivi: Storia e cronistoria del Canzoniere. Se-guono via via altre edizioni rinnovate e amplia-te della raccolta, i Ricordi-Racconti, e il romanzoincompiuto Ernesto. Muore a Gorizia nel 1957.

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I L S E C O N D ON O V E C E N T O

COMMENTONella poesia di Umberto Saba che hai appena letto è presente un dia-logo immaginario tra il poeta e una capra legata a un palo, sola in unprato. La prima strofa è dedicata alla descrizione del disagio dell’ani-male, il cui dolore nasce dalla solitudine e dalla privazione della liber-tà; la seconda ruota intorno al dialogo tra il poeta e la capra, un dia-logo volto a cogliere il dolore esistenziale comune a tutti gli esseri vi-venti. Il verso monotono e un po’ lamentoso dell’animale richiama in-fatti l’attenzione del poeta che, quasi per gioco, risponde imitandone ilbelato. Così facendo, però, giunge a sviluppare una riflessione profon-da: il lamento dell’animale rappresenta quello di tutti gli esseri viven-ti, perché la sofferenza non conosce differenze, né privilegi. Il dolore quindi per il poeta è un sentimento universale, comune a tut-ti, tanto che nell’ultima strofa il muso della capra viene chiamato «vi-so» per sottolineare che, di fronte alla sofferenza, uomini e animali so-no nella medesima condizione.

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1.Perché il poeta ha scelto come interlocutore una capra?a. perché conosce il linguaggio degli animalib. perché entrambi parlano la medesima lingua del dolorec. perché la capra capisce gli uomini

2.Dove si trova la capra? Perché bela?

3. Cosa intende il poeta con l’aggettivo «fra terno»?

4. Cosa simboleggia il belato della capra?a. la voce della naturab. la voce del dolorec. la voce del fratello

5.Aiutandoti con la nota, spiega cosa significa l’espressione «viso se-mita».

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i poeti e la condizione umana 385

UlisseNella mia giovanezza ho navigatolungo le coste dalmate. Isolottia fior d’onda emergevano, ove raroun uccello sostava intento a prede,

5 coperti d’alghe, scivolosi, al solebelli come smeraldi. Quando l’altamarea e la notte li annullava, velesottovento sbandavano più al largoper sfuggirne l’insidia. Oggi il mio regno

10 è quella terra di nessuno. Il portoaccende ad altri i suoi lumi; me al largosospinge ancora il non domato spiritoe della vita il doloroso amore.

da U. Saba, Il Canzoniere, Einaudi

2. coste dalmate: le costedell’attuale Croazia.4. intento a prede: impe-gnato a cacciare le sueprede.7. li annullava: li nascon-deva alla vista.9. per … insidia: per sfug-gire al pericolo.10. terra di nessuno: luo-go isolato e abbandonatoda tutti.11. me … amore: il poeta sisente spinto dal desideriodi conoscenza non ancoraappagato (non domato) edall’amore per la vita, an-che se essa procura dolore.

Umberto Saba

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1.Nella prima parte della poesia, Saba ricordai viaggi fatti lungo le coste dalmate. Comedescrive quel paesaggio? Cosa dice degliisolotti che affiorano dalle acque del mare?

2. Cosa significa l’espressione «Quando l’altamarea e la notte li annullava»?a. quando le barche rischiavano di incagliarsi

negli scogli per l’alta marea e per l’oscuritàb. quando l’alta marea si alzava soprattutto

di notte e all’improvvisoc. quando l’alta marea e l’oscurità della not-te nascondevano alla vista gli scogli

3.Perché le imbarcazioni «sbandavano»? A co-sa si riferisce il termine «insidia»?

4.Quale espressione usa il poeta per indicareil suo «regno», cioè la vita che gli resta davivere?

5.Quale significato ha la parola «porto» inquesta poesia?

6.Quali sono le due “qualità” che il poeta ri-conosce a se stesso negli ultimi due versi?Cosa lo spinge a continuare a vivere?

COMMENTOUlisse è l’ultima lirica della raccolta inti-tolata Canzoniere e con essa Saba, in for-ma metaforica, si congeda dal lettore. Ri-corda infatti le scelte compiute dalla suaanima irrequieta nel corso di una vita cheè stata ricca di esperienze affascinanti,ma anche difficile e piena di insidie co-me una navigazione tra gli scogli per unabarca che procede in direzione contrariaa quella in cui soffia il vento («sottoven-to»). Neppure ora che è anziano, può pe-rò rinunciare e ritirarsi nella quiete: trop-po forte è ancora in lui l’amore per la vi-ta, reso tra l’altro doloroso dalla coscien-za delle pene che essa porta con sé. Co-me l’Odisseo di Omero e, forse ancor più,come l’Ulisse di Dante, ha scelto una vi-ta errabonda, ha viaggiato a lungo permare spinto dal desiderio di conoscere edalla voglia di avventura, nonostante laconsapevolezza dei tanti pericoli. Per al-tri, non per lui, è fatta la tranquilla sicu-rezza del porto, cioè la tranquilla como-dità di chi decide di chiudersi nel mondodelle sue abitudini.

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I L S E C O N D ON O V E C E N T O

Salvatore Quasimodo

Ed è subito seraOgnuno sta solo sul cuor della terratrafitto da un raggio di sole:ed è subito sera.

da S. Quasimodo, Tutte le poesie, Mondadori

Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo nasce a Modica (Siracusa) nel 1901, in una famiglia modesta. Trascorre l’infanzia el’adolescenza nell’isola, a cui rimarrà sempre profondamente legato, e appena diciottene si trasferisce a Ro-ma per frequentare l’Università. Le difficili condizioni economiche lo costringono però a interrompere gli stu-di e a cercarsi un lavoro. Tuttavia legge, studia da solo il greco e il latino (traducendo tra l’altro alcuni bra-ni dell’Iliade e dell’Odissea di Omero) e comincia a scrivere versi. Fra il 1930 e il 1936 escono le sue prime raccolte: Acque e terre, Oboe sommerso, Erato e Apollion. Nel frat-tempo si è trasferito a Milano, dove pubblica le sue traduzioni dei Lirici greci e la nuova raccolta Ed è subitosera. Sono gli anni terribili della guerra e dell’occupazione nazista, ed anche la poesia di Quasimodo ne re-sta profondamente influenzata. Nel dopoguerra escono altre opere importanti: Giorno dopo giorno, La vitanon è sogno, Il falso e vero verde, La terra impareggiabile. Nel 1959 riceve il premio Nobel per la letteratura.Muore a Napoli nel 1968.

COMMENTOQuesta lirica è espressione dell’Ermetismo, unacorrente poetica sviluppatasi tra le due guerremondiali così chiamata per il valore spessooscuro dato alla parola: Quasimodo ne è unodei maggiori esponenti. Il poeta siciliano siserve infatti di parole apparentemente sempli-ci, ma capaci di creare una musicalità armoni-ca attraverso cui suggerire stati d’animo edevocare immagini di breve durata.Qui, ad esempio, le parole sono ridotte all’es-senziale, ma sono cariche di significato: così, insoli tre versi, il poeta riesce a comunicare il sen-so profondo della solitudine dell’uomo, la preca-rietà e la brevità della vita. Nel primo verso siaccenna alla solitudine dell’uomo, che è soloanche quando è in mezzo al pulsare della vita;nel secondo alla gioia di breve durata dell’esi-stenza, simboleggiata dal raggio di sole che, in-vece che comunicare un senso di gioia e vita,trafigge l’uomo come una freccia; mentre nelterzo si allude al sopraggiungere immediato eimpietoso della morte, simboleggiata dalla sera.

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1. «Solo sul cuor della terra»: quale pensiche sia il significato di questo verso?a. ognuno è solo, in una parte remota

della terrab. ognuno è solo, ma è confortato dagli

affetti della sua terrac. ognuno è solo sulla terra, che sentepulsare di vita come un cuore possente

2.Nel v. 2 il poeta evoca i momenti digioia presenti nella vita e paragona lafelicità a un raggio di sole. Perché?a. perché è inconsistenteb. perché riscalda il cuorec. perché brucia

3.Un elemento positivo come il calore e laluce del sole, diventa anche il simbolodi qualcosa di negativo. Spiega perché.

4. Cosa rappresenta la sera in questa poesia?a. la morteb. la disperazionec. la sera vera e propria

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ElegiaGelida messaggera della nottesei ritornata limpida ai balconidelle case distrutte, a illuminarele tombe ignote, i derelitti resti

5 della terra fumante. Qui riposail nostro sogno. E solitaria volgiverso il nord, dove ogni cosa corresenza luce alla morte, e tu resisti.

da S. Quasimodo, Tutte le poesie, Mondadori

Salvatore Quasimodo

COMMENTOIl termine “elegia”, che dà il titolo alla poesia che hai appena letto, in-dica un componimento poetico in cui trova posto una confessione au-tobiografica, uno sfogo sentimentale. Argomento centrale della lirica diQuasimodo è infatti una sorta di amaro rimprovero nei confronti dellaluna, che continua il suo percorso nel cielo indifferente alle devastazio-ni provocate dalla guerra, devastazioni che distruggono irrimediabil-mente il sogno di un futuro sereno («Qui riposa il nostro sogno»). Laluna dunque, e con essa la natura in generale, non partecipa in alcunmodo al destino degli esseri umani, specie quando sono gli uomini stes-si, armandosi l’uno contro l’altro, i responsabili del proprio dolore e del-la propria morte.

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to 1.A chi si rivolge Quasimodo nella poesia?

2.Quali sono gli aggettivi che utilizza per indicare la luna?

3.Perché Quasimodo definisce le tombe «ignote»?

4.Quali sono le espressioni e le parole con cui il poeta fa riferimento almondo devastato dalla guerra?

5.Qual è il significato della frase «Qui riposa il nostro sogno»? A qualetriste realtà allude il poeta?

6. Cosa significa il verbo «resisti» che conclude la poesia e ne riassume ilcontenuto? A chi si riferisce?

1. Gelida: il poeta si rivol-ge alla luna.4. tombe ignote: le tombesenza nome perché di vit-time sconosciute. - dere-litti: abbandonati; si rife-risce alle macerie fumantiche restano dopo un bo-bardamento.6. nostro sogno: è il sognodell’uomo di un avveniresereno.

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Alle fronde dei saliciE come potevamo noi cantarecon il piede straniero sopra il cuore,fra i morti abbandonati nelle piazzesull’erba dura di ghiaccio, al lamento

5 d’agnello dei fanciulli, all’urlo nerodella madre che andava incontro al figliocrocifisso al palo del telegrafo?Alle fronde dei salici, per voto,anche le nostre cetre erano appese,

10 oscillavano lievi al triste vento.

da S. Quasimodo, Tutte le poesie, Mondadori

2. con … straniero: sotto ilpeso dell’oppressione del-l’esercito tedesco.3. morti abbandonati: i na-zisti proibivano di seppel-lire subito coloro che ucci-devano durante le loro rap-presaglie perché fossero dimonito alla popolazione.4. lamento d’agnello: è illamento dell’innocente sa-crificato (l’agnello è unsimbolo di purezza e inno-cenza). – urlo nero: gridodi dolore, di tremenda di-sperazione.7. crocifisso: il figlio cro-cifisso rimanda al sacrifi-cio di Cristo.8. voto: impegno assuntoverso la divinità per otte-nere una grazia, in questocaso la salvezza.9. le nostre cetre: le cetre,antichi strumenti musicali,sono qui il simbolo dellapoesia.

Salvatore Quasimodo

COMMENTOIn questa lirica, Quasimodo rievoca gli anni del conflitto e dell’occupa-zione nazista; nell’orrore di un mondo che ha rinunciato alla propriaumanità, in un clima di schiavitù e di dolore, il poeta ha scelto il si-lenzio. La poesia si ispira a un salmo biblico dedicato alla prigionia ba-bilonese degli Ebrei («Ai salici lungo le rive avevamo appeso le nostrecetre… Come cantare i canti del Signore in terra straniera?») ed è ar-ticolata in soli due periodi: il primo, più lungo, è costituito da un an-sioso interrogativo sul significato della poesia in un mondo sconvoltodalla guerra, mentre la risposta è concentrata negli ultimi tre versi.L’unica cosa che, secondo Quasimodo, i poeti possono fare di fronte al-la tragedia collettiva è appendere le loro cetre ai salici (alberi che sim-boleggiano il pianto e il dolore), cioè smettere di comporre versi peresprimere con il loro silenzio la protesta contro le atrocità commesse.

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to 1. Chi sono coloro che dovrebbero cantare?

2. Cosa intende comunicare il poeta con l’espressione «il piede stranierosopra il cuore»?a. l’aver assistito all’invasione stranierab. l’essere stato imprigionato dagli stranieric. il peso dell’oppressione straniera che strazia il cuore

3. E cosa con l’espressione «lamento d’agnello dei fanciulli»?

4.Perché, secondo te, il poeta definisce «nero» l’urlo della madre?

5. Cosa simboleggiano le cetre?

6. Cosa significano i tre versi che concludono la poesia?

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Sandro Penna

Sul molo il vento soffia forteSul molo il vento soffia forte. Gli occhihanno un calmo spettacolo di luce.Va una vela piegata, e nel silenziola guida un uomo quasi orizzontale.

5 Silenzioso vola dalla testadi un ragazzo un berretto, e tocca il marecome un pallone il cielo. Fiamma restaentro il freddo spettacolo di lucela sua testa arruffata.

da S. Penna, Poesie, Garzanti

6. tocca … cielo: il vento fadanzare il berretto sull’ac-qua del mare come fosseun pallone lanciato in ariache tocca il cielo.

Sandro Penna

Nato a Perugia nel 1906 in unafamiglia borghese, Sandro Pen-na termina gli studi superiori –condotti in maniera irregolare –con il diploma di ragioniere. Nel1929 si trasferisce a Roma, do-ve vivrà sino alla morte, avve-nuta nel 1977. Privo di un’oc-cupazione stabile, fa mille me-stieri e collabora a varie riviste.Conduce un’esistenza modestae solitaria, interamente dedica-ta alla poesia. Le sue liriche so-no raccolte in Poesie, Tutte lepoesie, Stranezze e Il viaggiato-re insonne.

COMMENTOSandro Penna è una voce di grande originalità nel panorama italianodel Novecento. Le caratteristiche principali della sua opera sono il di-stacco, l’estraneità riguardo al contesto storico e alla propria vicen-da personale (non parla, cioè, di grandi avvenimenti né di se stes-so), ma anche uno stile spontaneo con il quale tratta temi qualil’amore, il senso della vita, il bene e il male, la natura e il paesaggio.Nella poesia che hai appena letto, ad esempio, Penna riesce a ri-creare con parole semplici l’atmosfera di una giornata al mare, lu-minosa e piena di vento. Tre le immagini presenti nella poesia, tutte e tre “provocate” dalvento: una barca a vela così inclinata che il marinaio sembra qua-si sdraiato («orizzontale») sul mare, un berretto che vola in ac-qua, i capelli arruffati del ragazzo simili a fiamme che si alzanonell’aria fredda e luminosa («nel freddo spettacolo di luce»).

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to 1.Quale tra i seguenti elementi appare determinante nella poesia?a. il mareb. il ventoc. il sole

2.Quali sono gli efetti provocati dalla presenza di tale elemento?

3.A tuo parere, perché il berretto è paragonato a un pallone?a. perché è allegro e coloratob. perché il vento lo fa volare e rimbalzarec. perché è rotondo

4. Secondo te, perché i capelli del ragazzo sono paragonati a una fiamma? Spiega con parole tue.

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Il giorno ha gli occhi di un fanciulloIl giorno ha gli occhi di un fanciullo. Chiara la sera pare una ragazza altera.Ma la notte ha il mio buio colore, il colore di un cupo splendore.

da S. Penna, Poesie, Garzanti

2. altera: fiera, sicura di sé.3. il mio … splendore: ilcolore dell’anima è scuro ecupo, ma al tempo stessosplende di luce.

Sandro Penna

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to 1.Nonostante sia compostadi soli quattro versi, que-sta lirica risulta divisa indue parti. Individuale espiega qual è l’argomentodi ciascuna di esse.

2.Nella lirica c’è un enjam-bement: dove? Trascrivilo.

3.Ricerca e trascrivi le nu-merose assonanze presen-ti nella lirica.

COMMENTOProtagonista della breve lirica di Penna è la luce. Con im-magini di grande intensità, il poeta ci fa infatti “vedere”la prima luce del mattino, che ha il colore azzurro e l’in-nocenza che si possono trovare negli occhi di un bambi-no, mentre la luce limpida e fredda della sera somiglia auna ragazza bella e fiera di se stessa. Infine, il colore del-la notte ci riporta nell’anima del poeta stesso che, tor-mentata e quindi buia, attraverso la poesia riesce a man-dare lampi di splendore.

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COMMENTOLa lirica ha per tema il desiderio del poeta, pur-troppo irrealizzabile, di rivedere la madre morta,e rievoca con pochi tratti la figura di questa don-na semplice, a cui Caproni era molto legato.Quando infatti una persona cara non è più tranoi, la sua presenza può essere percepita soltan-to con la memoria, resa più sensibile e pura(«netta») dal dolore e identificata dal poeta conl’anima. A quest’ultima («Anima mia leggera»)Caproni chiede il favore di andare a Livorno – lacittà della sua infanzia e della madre – per trova-re le tracce che permetterebbero alla donna di ri-vivere almeno nel ricordo. Il tema centrale dellacomposizione è dunque la continuità della vitadella madre nella memoria del figlio, anche dopoche la morte ha interrotto il loro legame fisico.

Giorgio Caproni

PreghieraAnima mia, leggerava’ a Livorno, ti prego. E con la tua candelatimida, di nottetempo

5 fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,perlustra e scruta, e scrivi se per caso Anna Picchiè ancor viva tra i vivi.

Proprio quest’oggi torno, 10 deluso, da Livorno.

Ma tu, tanto più nettadi me, la camicetta ricorderai, e il rubinodi sangue, sul serpentino

15 d’oro che lei portava sul petto,dove s’appannava.

Anima mia, sii bravae va’ in cerca di lei.Tu sai cosa dareise la incontrassi per strada.da G. Caproni, L’opera in versi, Mondadori

4. timida: dalla luce fioca.6. perlustra e scruta: guar-da dovunque con grandeattenzione.7. Anna Picchi: è la madredel poeta, da lui chiamataaffettuosamente Annina.11. netta: pura, chiara.13. il rubino di sangue: ilrubino è una pietra prezio-sa di colore rosso.16. s’appannava: il gioielli-no che la donna portavasempre appuntato sulla ca-micetta, perdeva lucentez-za via via che il tempo pas-sava.

GiorgioCaproni

Giorgio Caproni nasce aLivorno nel 1912, ma benpresto si trasferisce con lafamiglia a Genova. Com-pletati gli studi liceali, di-viene maestro elementare,quindi combatte nella se-conda guerra mon diale epartecipa alla Resistenza.In seguito si sposta a Ro-ma, dove unisce l’attivitàdi insegnante a quella ditraduttore e critico. I suoiversi sono raccolti princi-palmente in Come un’alle-goria, Il passaggio di Enea,Il seme del piangere, Con-gedo del viaggiatore ceri-monioso, Il franco cacciato-re. Muore a Roma nel 1990.

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1.Da quali espressioni emerge l’immagi-ne della madre del poeta?

2.Cosa significano i versi «Proprio que-st’oggi torno, deluso, da Livorno»?a. che ha avuto una giornata difficileb. che ha provato a cercare la madre a

Livorno, ma non l’ha trovatac. che Livorno è una città dove ormainon si sente più a suo agio

3.Perché il poeta definisce la sua anima«netta»?a. perché è leggerab. perché è sincerac. perché è pura e quindi può vedereciò che gli occhi non vedono

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Mario Luzi

Mario Luzi nasce a Firenze nel 1914 e in que-sta città trascorre l’intera vita, partecipandocon importanti contributi alla cultura delNovecento. La sua raccolta Avvento nottur-no, ad esempio, rappresenta uno dei testifondamentali dell’Ermetismo. Per molti an-ni ha insegnato Letteratura francese al-l’Università, pubblicando saggi critici sutale argomento e studi su Dante. Dopo laconclusione dell’esperienza ermetica, lasua poesia si apre a temi religiosi e auna sofferta riflessione sul mistero del-la vita, il tempo, l’eternità. Oltre alleopere citate, è stato autore di molteraccolte poetiche, tra le quali La bar-ca, Primizie del deserto, Per il bat-tesimo dei nostri frammenti edi alcune opere per il teatro.Muore a Firenze nel 2005.

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Mario Luzi

Notizie a Giuseppinadopo tanti anni

Che speri, che ti riprometti, amica,se torni per così cupo viaggiofin qua dove nel sole le burraschehanno una voce altissima abbrunata,

5 di gelsomino odorano e di frane?

Mi trovo qui a questa età che sai,né giovane né vecchio, attendo, guardoquesta vicissitudine sospesa;non so più quel che volli o mi fu imposto,

10 entri nei miei pensieri e n’esci illesa.

Tutto l’altro che deve essere è ancora,il fiume scorre, la campagna varia,grandina, spiove, qualche cane latra,esce la luna, niente si riscuote,niente dal lungo sonno avventuroso.

da M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti

2. per: attraverso, dopo.4. abbrunata: fornita delsegno del lutto, cioè nera.L’aggettivo si riferisce alleviolente burrasche.8. vicissitudine sospesa:l’alterna vicenda della miaesistenza che, per prodi-gio, pare essersi fermata.10. n’esci illesa: il ricordodella donna amata nonviene modificato in nes-sun modo dalla mente delpoeta, perché non suscitain essa alcuna reazione.11. Tutto ... avventuroso:come la natura si ripete neisuoi fenomeni, così l’av-ventura della vita è comeun sonno da cui niente rie-sce a scuoterci.

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i poeti e la condizione umana 393

COMMENTONelle sue liriche Mario Luzi esprime un tema molto caro ai poeti del se-condo Novecento: la contrapposizione fra tempo ed eternità, tra il flui-re tumultuoso della vita e l’immobilità della morte. In tutte le sue com-posizioni evidenzia infatti l’inquietudine e l’affanno creati all’uomo dal-la ricerca di un punto di riferimento in un universo che sembra in con-tinua trasformazione e in continuo “disfacimento”, ma che resta inve-ce sempre uguale a se stesso.L’inizio della lirica che hai appena letto, ad esempio, potrebbe sembra-re di tono realistico, perché fa riferimento alla violenza delle burraschedel paese appenninico – pieno di fiori e minacciato dalle frane – in cuiil poeta si trova. Si tratta, invece, solo del riferimento a una manife-stazione di movimento vitale che ha la funzione, per contrasto, di mo-strare come in realtà nella natura niente cambia. Il tempo burrascosorichiama il tema della memoria, mentre la voce cupa del tuono, in con-trasto con la luce solare, fa probabilmente riferimento alla contrappo-sizione fra presente e passato. Il fremere della natura colpisce per unmomento l’animo del poeta che però, non più giovane, si sente estra-neo al turbinio dell’esistenza. Turbinio dell’esistenza di cui entra a farparte anche la dimensione del ricordo, tanto che nemmeno ricordare ladonna forse amata in un tempo lontano, suscita in lui reazioni forti esentimenti precisi («n’esci illesa»): in questa età e situazione, l’uomonon si sente spinto a nessuna scelta, a nessuna azione, e anche le emo-zioni del passato appaiono vane.

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1.Quali sono le immagini della natura che il poeta presenta nella primastrofa di questa lirica?

2.Quali sensazioni vuole esprimere con queste immagini?a. il senso della fissità e dell’immobilitàb. il senso del movimento e della vitalitàc. il senso di un ricordo doloroso

3.Nella seconda strofa il poeta parla in prima persona. Qual è l’indica-zione che dà riguardo alla propria età?

4. Come definiresti l’atteggiamento del poeta nei confronti della vita?a. di incomprensioneb. di gioiosa partecipazionec. di sofferta partecipazione

5.Qual è, secondo te, la funzione della donna a cui è dedicata la poesia?a. dimostrare che la memoria del passato è cancellatab. dimostrare che le sensazioni del passato non sono più le stessec. dimostrare che si possono rivivere le stesse emozioni di un tempo

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I L S E C O N D ON O V E C E N T O

Giovanni Giudici

Il rivale“Non ti voglio più bene non ti regaleròla bella cosa – la portoa quel bambino di Spezia che lui sì se la meritanon te brutto e cattivo.” Ma per quale

5 motivo non avevo nemmenoil fiato di domandare – e che altro se nonchinare il capo e basta, spuntare lucciconi,promettere di non farlo

mai più... Che cosa? E chi fu10 il senzavolto rivale nella città lontanissima

e prossima? Di qualicalzoncini e lindissima

maglietta a righe vestito? Lui lànel suo cielo in agguato

15 a leccare un gelato sicuro del suo momentoo esibendo quaderni dal perfetto dettato al dio

fantasma e voce di tormento – e iocol cuore che mi trema a colpi di paroleguitto che scappo di scena

20 pauroso del non amore.da G. Giudici, Poesie, Garzanti

7. spuntare lucciconi: trat-tenere le lacrime che fan-no luccicare i suoi occhi.10. il … rivale: l’altro bam-bino, di cui non sa immagi-nare il volto, che abita a LaSpezia, città vicina (prossi-ma) ma che, nelle paroledel padre, gli appare lonta-na, quasi mitica.12. lindissima: perfetta-mente pulita.14. nel … agguato: il bam -bino sconosciuto gli sem-bra una specie di uccello(nel suo cielo) in agguato,pronto a sottrargli l’amoredel padre.16. o … tormento: il pro-tagonista pensa che l’altrobambino mostri i suoi qua-derni, ordinati e senza er-rori, guadagnandosi cosìl’amore di quel padre perlui irraggiungibile (fanta-sma) e come una voce chelo tormenta.17. e io … amore: mentreio, con il cuore ferito dalleparole di mio padre e im-paurito dalla sua mancanzadi amore, fuggo come unattore di basso livello inca-pace di recitare (guitto).

Giovanni Giudici

Nato presso La Spezia nel 1924, Giovanni Giudici studia a Roma e si laurea in Let-teratura francese. Dopo alcuni anni trascorsi nella capitale, si trasferisce in Pie-monte e poi a Milano, dove lavora come pubblicitario presso una grande aziendae collabora alle pagine culturali di alcuni quotidiani. Dagli anni Cinquanta comin-cia a pubblicare i propri versi in varie raccolte, tra le quali si ricordano La vita inversi, Autobiologia e Il ristorante dei morti. È anche saggista e traduttore di poe-sia angloamericana e russa.

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COMMENTONei suoi versi Giovanni Giudici racconta si-tuazioni quotidiane, piccole storie, scambidi battute, scorci di conversazione: il prota-gonista è lui stesso in prima persona, ma di-venta poi la voce di un uomo qualunque, conle sue frustrazioni e sofferenze. È per questoche la sua produzione è considerata un riu-scito esempio di realismo poetico. La maggior parte delle sue liriche sono in-fatti autobiografiche, cioè ispirate alle vi-cende della sua vita, in particolare al perio-do dell’infanzia, di cui il poeta conserva unamaro ricordo, come hai appunto potuto ve-dere leggendo la poesia Il rivale. Giudici par-la spesso di gelosie e di sconfitte che portacon sé dall’infanzia e delle quali non riescea liberarsi: fa dunque rivivere il suo passatocome fosse un “teatro” di delusioni, dolori,inquietudini vissute senza consolazione.Ad esempio, in questa poesia rievoca un epi-sodio che ha segnato i suoi ricordi di bam-bino, quando non aveva il coraggio di chie-dere il perché della punizione e poteva solopiangere, abbassare la testa e domandarsichi fosse il suo rivale: un altro bambino, for-se felice e verso il quale suo padre si mostra-va comprensivo? Nei versi rivive la stessasofferenza provata allora e il confronto umi-liante è ancora un fantasma tormentoso, cheinsegue il poeta ormai adulto rendendolo bi-sognoso di parlarne. Torna così a essere quelbambino che desidera solo fuggire per il do-lore di non essere amato dal padre.

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1. Con quali parole il padre si rivolge al suobambino nella prima strofa?

2. Il protagonista reagisce con un atteggia-mento di completa sottomissione. In chemodo? (Indica le espressioni giuste).a. non avevo nemmeno il fiato di doman-

dareb. lui sì se la meritac. chinare il capo e bastad. non ti voglio più benee. spuntare lucciconif. promettere di non farlo mai più

3. Con quali espressioni Giudici fa riferi-mento al suo «rivale»? (Indica le espres-sioni giuste).a. Mai più… Che cosa?b. Di quali calzoncini e lindissima ma-

glietta a righe vestitoc. a leccare un gelatod. rivale nella città lontanissimae. esibendo quaderni dal perfetto dettato

4. Cosa significa l’espressione «nel suo cie-lo in agguato»?a. il suo rivale è lontanissimo e scono-

sciutob. il suo rivale è come un fantasma mi-

naccioso nel cieloc. il suo rivale è come un avvoltoio pron-to ad afferrare l’amore di suo padre

5. Cosa significa l’espressione «pauroso delnon amore»?

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La narrativa e il Neorealismo

All’indomani della seconda guerra mondiale fiorisce, in ambito speci-ficamente italiano, l’esperienza del Neorealismo, che si caratterizzasoprattutto per la passione documentaria e l’impegno civile. La documentazione è rivolta all’Italia regionale e provinciale e, in parti-colar modo, alla realtà popolare, contadina e operaia, ma riguarda an-che l’esperienza recente della guerra e della Resistenza. L’impegno è in-vece il nuovo carattere dell’artista, che non è più spettatore-testimoneimpassibile, bensì persona coinvolta moralmente e socialmente.La narrativa neorealista si segnala per l’uso di un linguaggio dimesso,spesso con la presenza di influssi dialettali, e per la preferenza data aipersonaggi comuni, agli uomini “della strada” colti nella loro quoti-dianità.

In realtà, già nei decenni precedenti, alcuni scrittori si erano dimo-strati eredi della grande tradizione del Realismo ottocentesco, dandovita a una narrativa attenta a cogliere i diversi aspetti della realtà so-ciale o i problemi delle classi popolari. Nel 1929, infatti, Alberto Mo-ravia aveva scritto Gli indifferenti; Ignazio Silone pubblicava nel 1930Fontamara e nel 1936 Pane e vino; nel 1934 Aldo Palazzeschi presen-tava Sorelle Materassi e Carlo Bernari Tre fratelli.

Ma, adesso, è il clima generale della cultura a riflettere ciò che finoraera stato l’interesse individuale di alcuni e dunque fiorisce, in ambitospecificamente italiano, l’esperienza del Neorealismo, destinata a da-re i suoi frutti in letteratura e nelle arti figurative, ma soprattutto nelcinema. A tale clima diffuso danno il proprio personale contributomolti artisti, anche se per alcuni l’esperienza neorealista è soltantouna fase transitoria. Tra questi artisti vanno ricordati Vasco Pratolini,Elio Vittorini, Carlo Levi, ma anche Beppe Fenoglio, Alberto Moravia,Cesare Pavese, Primo Levi, Pier Paolo Pasolini, Corrado Alvaro.

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Ignazio Silone

L’amico del popoloIl romanzo si svolge a Fontamara, un piccolo paese abruzzese, nel de-cennio 1920-1930 e narra le sopraffazioni di cui sono vittima i pove-ri abitanti, anche per i raggiri dell’abile avvocato don Circostanza, cheè riuscito a farsi considerare dai Fontamaresi l’«Amico del Popolo». La storia prende il via dalla deviazione del ruscello che rifornisce i po-veri contadini decisa dall’Impresario, un forestiero che fa i propri in-teressi a danno di tutti gli abitanti di Fontamara. Le donne del pae-se rivendicano i loro diritti e si recano dall’Impresario per otteneregiustizia, credendo di poter contare sull’aiuto di don Circostanza.

Don Circostanza, detto anche l’Amico del Popolo, aveva sempreavuto una speciale benevolenza per la gente di Fontamara, egli era ilnostro Protettore1, e il parlare di lui richiederebbe ora una lunga li-tania2. Egli era sempre stato la nostra difesa, ma anche la nostra ro-vina. Tutte le liti dei Fontamaresi passavano per il suo studio. E lamaggior parte delle galline e delle uova di Fontamara da una qua-rantina d’anni finivano nella cucina di don Circostanza3.Una volta, quando avevano diritto di voto solo quelli che sapevanoleggere e scrivere, egli mandò a Fontamara un maestro che insegnòa tutti i cafoni4 a scrivere il nome e cognome di don Circostanza.I Fontamaresi votavano dunque sempre unanimi per lui; d’altra par-te, anche volendo, essi non avrebbero potuto votare per altri, perchésapevano scrivere solo quel nome. Poi cominciò un’epoca in cui lamorte degli uomini di Fontamara in età di votare non venne più noti-ficata al comune, ma a don Circostanza, il quale, grazie alla sua arte,li faceva rimanere vivi sulla carta e a ogni elezione li lasciava votare amodo suo5. La famiglia del morto-vivo riceveva ogni volta in compen-so cinque lire di consolazione. Così c’era la famiglia Losurdo che dimorti-vivi ne aveva sette e riceveva ogni volta trentacinque lire di

la narrativa e il neorealismo 397

1. nostro Protettore: chinarra è uno dei poveri Fon -tamaresi, che ormai hacom preso qual è la veranatura di don Circostanza.2. litania: discorso lungocome una preghiera ripeti-tiva.3. maggior … Circostanza:tutte le liti, tutte le que-stioni da risolvere finivanoin mano all’avvocato e ipaesani, per sdebitarsi, gliregalavano sempre qualco-sa.4. i cafoni: i poveri conta-dini.5. a modo suo: don Circo-stanza approfitta dei “fal-si vivi” per mettere in attodei brogli elettorali a pro-prio vantaggio.

Ignazio Silone

Ignazio Silone nasce nel 1900 in un piccolo paese della Marsica, presso L’Aquila,in una famiglia poverissima e sfortunata. Per completare gli studi si trasferisce aRoma, dove ben presto si occupa di politica e, in quanto antifascista, nel 1927 ècostretto a fuggire all’estero. Rientra in Italia nel 1945 e vive facendo il giornali-sta; viene anche eletto deputato al Parlamento. Muore a Ginevra nel 1978.Tra i suoi romanzi si ricordano in particolare Fontamara, Pane e vino, Una mancia-ta di more, Il segreto di Luca e L’avventura di un povero cristiano, poi adattato peril teatro. Silone è autore anche di saggi e di testi teatrali.

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consolazione; le famiglie Zompa, Papasisto, Viola e altre che ne ave-vano cinque, ricevevano venticinque lire; e noi, per farla breve, neavevamo due, che in realtà erano al camposanto ma ancora vivi sullacarta (il nostro figlio buon’anima morto a Tripoli6 e l’altro alla cavadelle pietre) e a ogni votazione anch’essi erano due fedeli elettori didon Circostanza e per questo ci venivano pagate ogni volta dieci lire.Con l’andare degli anni, si capisce, il numero dei morti-vivi era diven-tato ragguardevole ed era una discreta rendita per i poveri Fontama-resi, era una fonte di guadagno che non ci costava grande fatica, edera anche l’unica occasione in cui, invece di pagare, eravamo pagati.Quel vantaggioso sistema si chiamava, come l’Amico del Popolo ci ri-peteva, la democrazia7. E grazie all’appoggio sicuro e fedele dei no-stri morti, la democrazia di don Circostanza riusciva in ogni elezionevittoriosa. Benché noi avessimo avuto alcune gravi disillusioni dadon Circostanza, che sotto sotto c’ingannava spesso con don CarloMagna8, non avevamo mai avuto il coraggio di separarci da lui e dicercarci un altro protettore, principalmente perché lui ci teneva le-gati coi nostri morti, i quali soltanto col suo potere non erano anco-ra interamente morti e ci fruttavano ogni tanto quella piccola rendi-ta di cinque lire a testa, che non era una ricchezza, ma era meglio diniente. Grazie a quel sistema successe tra l’altro che, come conse-guenza, a Fontamara figurassero viventi un bel gruppo di uomini suicento anni, sproporzionatissimo alla piccolezza dell’abitato; e quellacostituì anzi, per un po’ di tempo, la nostra celebrità in tutta la con-trada9. Chi l’attribuiva all’acqua delle nostre parti, chi all’aria, chi al-la semplicità del nostro nutrimento, per non dire alla nostra miseria;e a sentire don Circostanza, molti ricconi dei paesi vicini sofferentidi fegato, di stomaco, di gotta10, per quella buona salute e longevitàapertamente ci invidiavano. Il numero dei morti-vivi assoldati dadon Circostanza crebbe a tal punto che quando, per risentimentocontro l’appoggio che lui dava sfacciatamente al nostro peggioresfruttatore, don Carlo Magna, molti cafoni principiarono a votarecontro di lui, la maggioranza gli era pur sempre assicurata.«I vivi mi tradiscono», ci rinfacciava amaramente don Circostanza«ma le anime sante dei morti mi restano fedeli».Successe poi, quando nessuno se lo aspettava, che lui non volle piùpagarci l’abituale consolazione per quel servizio che i nostri mortigli rendevano, col pretesto poco credibile che le votazioni erano sta-te abolite, e noi non sapevamo che pensare. Ne discutemmo per me-si e mesi, e non riuscivamo a rassegnarci. Come ammettere che tut-ti quei nostri cari improvvisamente non servissero più a nulla e do-vessero interamente e per sempre morire? Ogni tanto c’era ancora

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6. Tripoli: si riferisce al1911, quando l’Italia eraimpegnata nella guerra diLibia.7. vantaggioso … demo-crazia: il potente don Cir-costanza si approfitta del-l’ignoranza dei paesani perattribuirsi valori positivi euniversali come la demo-crazia.8. don Carlo Magna: è ungrande proprietario terrie-ro, cioè un altro personag-gio assai potente in pae-se. È stato Carlo Magna avendere le terre all’Impre-sario per una cifra irrile-vante, fatto di cui i Fonta-maresi non sono a cono-scenza.9. contrada: rione, quar-tiere.10. gotta: malattia che col-pisce le articolazioni, so-prattutto dei piedi, facen-dole diventare gonfie e do-loranti.

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qualche Fontamarese, qualche vedova, qualche povera madre di fa-miglia, che andava da don Circostanza a reclamare le cinque liredella consolazione per il congiunto morto-vivo; ma lui neppure piùli riceveva, e appena sentiva parlare dei nostri morti-vivi andava sul-le furie e sbatteva la porta in faccia. Erano perciò sempre più rari iFontamaresi che ancora osavano insistere per quell’antico diritto.Non serve avere ragione, diceva il generale Baldissera11, se mancal’istruzione per farla valere. E un giorno lo stesso Baldissera era tor-nato a Fontamara tutto eccitato, pretendendo che l’epoca dei morti-vivi fosse tornata, almeno così gli si era rivelato, poiché nel capoluo-go aveva assistito a una sfilata di uomini in camicia nera12, allineatidietro bandierine anch’esse nere, con teschi e ossa di morti come or-namento tanto sul petto di quegli uomini quanto sulle loro bandie-re. «Che siano i nostri morti?» aveva chiesto Marietta13 che pensavaai suoi trapassati e alle cinque lire della consolazione. Ma il genera-le non aveva riconosciuto con sicurezza alcun Fontamarese.«Viva, viva le mie Fontamaresi!» gridò don Circostanza verso di noidal balcone della villa dell’Impresario.Quella voce ci rassicurò non poco. Non ci sentivamo più sole. Era-vamo così stanche e avvilite da poter scambiare quel vecchio imbro-glione per un angelo inviatoci da Dio.[...]Marietta si fece avanti, mise una mano sul cuore all’altezza dellaMedaglia14, e con parole ricercate parlò della birbonata dei cantonie-ri15 i quali volevano deviare il corso del ruscello di Fontamara.«È un sacrilegio» disse. «Noi siamo sicure che le Loro Signorie pen-seranno a punire i cantonieri per la prepotenza», concluse Marietta.

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11. generale Baldissera:soprannome di un vecchiociabattino del paese. Ilgenerale Baldissera avevacombattuto in Eritrea nel1896.12. uomini … nera: appar-tenenti al partito fascista.13. Marietta: una delle po-vere donne del paese, chesperava ancora di guada-gnare qualcosa con i pro-pri morti (trapassati).14. Medaglia: è la meda-glia ricevuta da un paren-te caduto in guerra.15. cantonieri: sono glioperai che provvedono allamanutenzione delle stra-de; qui sono stati incarica-ti di deviare il ruscello.

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«Se si trattasse di una prepotenza» rispose subito l’Impresario «pote-te star sicure che saprei io come reprimerla. Finché io sarò capo delcomune, prepotenze non ce ne saranno. Ma in questo caso, mi di-spiace, siete male informate, non si tratta di una prepotenza. Segre-tario spiega tu di che si tratta».Dal gruppo degli invitati si fece avanti il segretario del comune, timi-do e impaurito ed evidentemente ubriaco; prima di parlare si tolsela paglietta a caciottella16.«Non si tratta di una prepotenza» balbettò il segretario. «Parolad’onore. Sotto il nuovo Governo, prepotenze non ne possono piùsuccedere. Prepotenze? Giammai. È una parola proibita. Ecco, sitratta di un atto legale; anzi, addirittura di un favore che le autoritàhan voluto fare a Fontamara».Disse «favore» e si guardò attorno sorridendo; poi cacciò di tasca unfascio di fogli e continuò più spedito17:«Ecco qui una petizione18 con i nomi di tutti i contadini di Fonta-mara, insomma dei vostri mariti, senza una sola eccezione. La pe-tizione chiede al Governo nell’“Interesse superiore della produ-zione” che il ruscello venga deviato dalle terre insufficientemen-te coltivate dei Fontamaresi verso le terre del capoluogo “i cuiproprietari possono dedicarvi maggiori capitali”. Non so se voidonne potete capire certe cose».Il segretario voleva aggiungere ancora altro, ma lo interrompemmo.Noi sapevamo in che modo la sera precedente un certo cavalier Pe-lino avesse scritto i nomi dei Fontamaresi su fogli di carta bianca19.«Imbroglioni, truffatori, speculatori» ci mettemmo a protestare.«Studiate tutte le leggi per ingannare la povera gente. Quella è unapetizione falsa».L’Impresario cercò di dire qualche cosa, ma non glielo permettem-mo. La nostra pazienza era esaurita.«Non vogliamo più sentire chiacchiere» gridavamo.«Basta coi discorsi. Ogni vostro discorso è un imbroglio. Basta coi ra-gionamenti. L’acqua è nostra e resterà nostra. Ti mettiamo fuoco al-la villa, com’è vero Cristo».Le parole esprimevano esattamente il nostro stato d’animo; maquello che ristabilì la calma fu don Circostanza.«Queste donne hanno ragione»20 si mise a urlare, separandosi daicolleghi e venendo verso di noi. «Hanno dieci volte ragione, centovolte ragione, mille volte ragione».Noi allora tacemmo di colpo, fiduciose. Don Circostanza prende-va le nostre difese e noi sapevamo che era un grande avvocato. Lasua voce suscitò in noi una commozione infantile, veramente in-

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16. la … caciottella: ilcappello di paglia di formarotonda come quella diuna caciotta.17. spedito: rapido, veloce.18. petizione: richiesta.19. Noi … bianca: nessunFontamarese ha posto lapropria firma; le firme so-no state fatte tutte dal ca-valier Pelino, che ha agitoper conto dell’Impresario.20. hanno ragione: don Cir-costanza sembra dare ra-gione alle povere donne,ma in realtà si prende gio-co di loro.

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spiegabile. Alcune di noi non riuscirono a nascondere le lagrime.«Queste donne hanno ragione» continuò l’Amico del Popolo. «Io leho sempre difese e le difenderò sempre. Che cosa vogliono in fondoqueste donne? Essere rispettate».«È vero!» interruppe Marietta e corse a baciargli le mani.«Vogliono essere rispettate e noi dobbiamo rispettarle» continuò donCircostanza rivolto con braccio minaccioso verso i notabili. «Esse me-ritano il nostro rispetto. Queste donne non sono prepotenti. Esse san-no che la legge è purtroppo contro di loro, e non vogliono andarecontro la legge. Esse vogliono un accordo amichevole col podestà21.Esse fanno appello al suo buon cuore. Esse non fanno appello al ca-po del comune, ma al benefattore, al filantropo, all’uomo che nellanostra povera terra ha scoperto l’America. È possibile un accordo?».Quando don Circostanza ebbe finito di parlare in nostro favore,noi lo ringraziammo e alcune di noi gli baciarono le mani per lesue buone parole, ed egli si pavoneggiava22 per i nostri compli-menti. Poi vi furono varie proposte di accomodamento. Una pro-posta fece il canonico don Abbacchio, un’altra il notaio, un’altrail collettore delle imposte23. Ma erano proposte impossibili per-ché non tenevano conto della scarsa quantità d’acqua del ruscel-lo e degli usi dell’irrigazione.L’Impresario non diceva nulla. Lasciava parlare gli altri e sorrideva,col sigaro spento a un angolo della bocca.La vera soluzione la presentò don Circostanza.«Queste donne pretendono che la metà del ruscello non basta per ir-rigare le loro terre. Esse vogliono più della metà, almeno così credodi interpretare i loro desideri. Esiste perciò un solo accomodamentopossibile. Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell’acqua del ru-scello e i tre quarti dell’acqua che resta saranno per i Fontamaresi24.Così gli uni e gli altri avranno tre quarti, cioè, un po’ di più della me-tà. Capisco» aggiunse don Circostanza «che la mia proposta danneg-gia enormemente il podestà25, ma io faccio appello al suo buon cuo-re di filantropo e di benefattore».Gli invitati, riavutisi dalla paura, si misero attorno all’Impresarioper supplicarlo di sacrificarsi in nostro favore. Dopo essersi fattopregare, l’Impresario finalmente cedette26.Fu in fretta portato un foglio di carta. Io vidi subito il pericolo.«Se c’è da pagare qualche cosa», mi affrettai a dire «badate che nonpago».«Non c’è nulla da pagare» spiegò ad alta voce l’Impresario.«Niente?» mi disse sottovoce la moglie di Zompa.«Se non costa niente, c’è imbroglio».

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21. podestà: è l’Impresa-rio, considerato un bene-fattore, un uomo che svol-ge un’attività benefica afavore di propri simili (fi-lantropo).22. si pavoneggiava: si da-va delle arie.23. collettore delle impo-ste: l’esattore delle tasse.24. per i Fontamaresi: gio-cando sull’ignoranza dellepovere donne del paese,don Circostanza proponecome divisione a metà del-le acque del ruscello l’im-possibile ripartizione indue frazioni di tre quarticiascuna.25. danneggia … podestà:la beffa si completa facen-do apparire il podestà-Im-presario come una vittima.26. finalmente cedette:l’Impresario, che in realtàsi è messo d’accordo condon Circostanza, finge dinon sapere niente e accet-ta solo dopo molte pre-ghiere.

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«Se ci tieni tanto a pagare», le feci osservare «puoi benissimo pagare».«Neanche se volessero cecarmi27» essa mi rispose. «Però se non costaniente, è certamente un imbroglio»28.«Allora sarebbe meglio se tu pagassi» dissi io.«Neanche se mi cecano» essa ripeté.Il notaio scarabocchiò sulla carta le parole dell’accomodamento29 elo fece firmare all’Impresario, al segretario comunale e a don Circo-stanza come rappresentante del popolo fontamarese30.Dopo di che noi ci rimettemmo in cammino per tornare a casa. (Inrealtà, nessuna di noi aveva capito in che consistesse quell’accordo).«Meno male che è stato gratis», ripeteva Marietta come una lita-nia. «Meno male».

da I. Silone, Fontamara, Mondadori

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27. cecarmi: accecarmi.28. un imbroglio: Mariettafiuta l’imbroglio, ma anco-ra non lo capisce.29. accomodamento: ac-cordo.30. firmare … fontamare-se: le donne non sanno fir-mare. Firma per loro donCircostanza.

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1. Chi è Don Circostanza? Come è stato so-prannominato?

2.Perché i Fontamaresi alle elezioni possonovotare solo per don Circostanza?

3.Qual è l’«unica occasione», tra l’altro defini-ta ironicamente come una forma di demo-crazia, in cui i poveri abitanti di Fontamaradicono di essere pagati da Don Circostanza?

4.Per quali ragioni si lamentano le donne diFontamara?

5. In che modo don Circostanza divide a metàl’acqua del ruscello ingannando le donne?

6. Il “gioco” di don Circostanza risulta tantopiù meschino perché non è “ad armi pari”.Di cosa si approfitta per fare i propri inte-ressi?

7.A un certo punto una donna di nome Ma-rietta, sembra sospettare l’inganno tesodall’Impresario e da Don Circostanza ai po-veri abitanti di Fontamara. Sottolinea neltesto la frase da cui si ricava tale informa-zione.

8.Da chi viene firmato l’accordo? Come si con-clude il brano?

COMMENTOIgnazio Silone è uno degli autori piùrappresentativi del filone narrativo ere-de del Realismo manzoniano e verghia-no, col quale tornano in scena gli umi-li, i semplici con la loro ingenuità e,nello stesso tempo, con la volontà di di-fendere la propria dignità. Lo scrittore,che ben conosce la miseria dei povericontadini dell’Italia meridionale – inquanto è nato in un paese dell’Abruzzo– rappresenta infatti in Fontamara la lo-ro dura realtà. Affida il racconto dellavicenda a tre contadini della Marsica, icafoni, che denunciano le ingiustizie su-bite e la loro difficile lotta contro ognigenere di avversità.Il romanzo è ambientato negli anni delfascismo, verso il quale l’autore manife-sta la propria ostilità, denunziando, co-me nel brano che hai letto, gli abusi, lesopraffazioni e le violenze dei potenti,che si presentano come “amici del popo-lo” per meglio ingannarlo. La nar rativarealista, dunque, assume con Fontamarauna prospettiva politica e sociale, cheanticipa quella del Neorealismo che ca-ratterizzerà il secondo dopoguerra.

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Vasco Pratolini

Il risveglio di via del CornoSiamo a Firenze, in un rione popolare nel cuore della città, tra il 1925e il 1926, anni in cui il fascismo si avvia a diventare dittatura. Prota-gonista della narrazione è la “coralità” degli abitanti, la povera gen-te di via del Corno. Il brano è l’inizio del romanzo, con la presenta-zione dell’ambiente e di alcuni personaggi.

Ha cantato il gallo del Nesi carbonaio, si è spenta la lanterna dell’Al-bergo Cervia. Il passaggio della vettura che riconduce i tranvieri delturno di notte ha fatto sussultare Oreste parrucchiere che dorme nel-la bottega di via dei Leoni, cinquanta metri da via del Corno. Doma-ni, giorno di mercato, il suo primo cliente sarà il fattore di Calenzanoche ogni venerdì mattina si presenta con la barba di una settimana.Sulla Torre di Arnolfo il marzocco rivolto verso oriente garantisce ilbel tempo1. Nel vicolo dietro Palazzo Vecchio i gatti disfanno i fagottidell’immondizia. Le case sono così a ridosso che la luce lunare sfioraappena le finestre degli ultimi piani. Ma il gallo del Nesi, ch’è in ter-razza, l’ha vista ed ha cantato.Spenta la lanterna elettrica dell’Albergo, in via del Corno resta accesauna sola finestra, nella camera della Signora che trascorre la notte incompagnia delle sue piaghe alla gola. Il cavallo di Corrado maniscal-co2 scalpita di tanto in tanto: ha la mangiatoia sistemata nel retro del-la forgia3. È maggio, e nell’aria notturna, senza alito di vento, affiora-no i cattivi odori. Davanti alla mascalcia4 è accumulato lo sterco deicavalli ferrati durante la giornata. […] I fagotti e le biche5 della spazza-tura domestica sono stati seminati fuori delle porte come di consueto.I poliziotti hanno il passo pesante e la voce sicura. Entrano in via delCorno con la familiarità e la spigliatezza del pugilatore fra le corde.È la ronda degli ammoniti6.«Nanni, ci sei?».«Buona notte, brigadiere!».«Affacciati Nanni!».Da un primo piano si sporge un uomo di quarant’anni dal viso di fai-

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1. Sulla … tempo: il sim-bolo di Firenze è il mar-zocco – un leone accovac-ciato che regge uno scudogigliato – raffigurato sullabanderuola posta in cimaalla torre di Palazzo Vec-chio, attribuita ad Arnolfodi Cambio (ca. 1225-1302). Dall’orientamentodella ban deruola dovuto aiventi, si traevano previ-sioni meteorologiche.2. maniscalco: artigianoche prepara i ferri e li ap-plica agli zoccoli dei ca-valli.3. forgia: apparecchio sucui si riscalda il metalloper lavorarlo.4. mascalcia: bottega delmaniscalco.5. biche: mucchi.6. ronda degli ammoniti:controllo della polizia pergli abitanti di via del Cor-no colpiti da “ammonizio-ne”, un provvedimento si-mile all’odierna libertà vi-gilata.

Vasco Pratolini

Vasco Pratolini è nato a Firenze nel 1913, da una famiglia modesta. In gioventùsvolge molti mestieri a contatto con l’ambiente più popolare della sua città, checostituirà poi lo sfondo dei suoi romanzi, tra cui Cronache di poveri amanti, Le ra-gazze di San Frediano, Metello, Lo scialo, La costanza della ragione. Dal 1951 vivea Roma, dove collabora con il cinema come sceneggiatore e dove è morto nel1991. Dalle sue opere sono stati tratti diversi film e uno sceneggiato televisivo.

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na7. Ha la camicia bianca priva del colletto e chiusa da un gemello,le maniche rimboccate. In bocca un mozzicone di sigaretta.«Ora torna a letto e sogna cose oneste» gli viene detto dalla strada.«Sarà fatta la sua volontà, brigadiere».Poco più in là, da una finestrella sovrastante la mascalcia, un altrovigilato saluta la ronda.«Riverisco, brigadiere».«Senti Giulio: se la prossima volta ti trovo affacciato, ti porto dentro».«Servo suo, brigadiere».«Vai a letto, buonanotte».«Brigadiere!».«Cosa c’è?».«Non mi prenda a noia. Mi mancano soltanto diciotto giorni per fi-nire l’ammonizione».«Fossi in te non sarei tanto sicuro. Che ti risulta di un lavoro8 in viaBolognese?».«Nulla, quant’è vero Iddio. L’ho letto sul giornale. Del resto lei lo sa,via Bolognese non è mai stata la mia zona».«Ora dormi. Domani se ne parla».La ronda risale Borgo de’ Greci. La facciata di Santa Croce9 è umidadi luna. Ma non è cosa, questa, che interessa la polizia.Via del Corno è finalmente tutta per i gatti che banchettano a un cu-mulo più grosso d’immondizia: dai Bellini, al secondo piano del n.3, c’è stato pranzo nuziale. Milena s’è sposata con il figlio del pizzi-cagnolo di via dei Neri. Milena ha diciotto anni, è bionda, con gli oc-chi chiari di colomba […]. Dopo il viaggio di nozze Milena andrà adabitare in un appartamentino delle Cure10.Le sveglie sono fatte per suonare. Ce ne sono cinque in via del Cor-no che suonano nello spazio di un’ora. La più mattiniera è quella diOsvaldo. È la sveglia di un rappresentante di commercio “che battela provincia11”: è piccola, di precisione, ha un trillo di giovinetta eanticipa di un quarto d’ora il fragore della sveglia di casa Cecchi cheha il suono della campanella di un tranvai, ma è quello che ci vuoleper rimuovere uno spazzino dal suo sonno di tartaruga.La sveglia di Ugo è della stessa razza urlante, ma un po’ più fioca e in-certa: il contrario del suo proprietario che gira tutto il giorno col bar-roccino12 di frutta e verdura ed ha una voce di baritono nell’offrire lamercanzia. Ugo occupa una stanza in subaffitto, al n. 2 terzo piano, edè per questo che la sveglia dei coniugi Carresi non si fa mai sentire.Maria si desta quasi sempre “quando esplode il macinino del suo doz-zinante13”, allunga una mano per portare sul silence la chiavetta dellapropria sveglia. Così, Beppino che le dorme accanto, non si desterà. […]

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7. dal viso di faina: che nelvolto dai tratti aguzzi econ gli occhi piccoli ricor-da il muso di una faina, unanimaletto carnivoro dapreda.8. lavoro: qui nel senso di“furto”.9. Santa Croce: basilica si-tuata nell’omonima piazzafiorentina all’interno dellaquale sono sepolti nume-rosi personaggi famosi, daMichelangelo a Galileo Ga-lilei.10. Cure: quartiere fioren-tino, che all’epoca si tro-vava nell’immediata peri-feria della città.11. un … provincia: unrappresentante di commer-cio che, per lavoro, viaggiain lungo e largo nelle pro-vince della Toscana.12. barroccino: carretto amano per il trasporto el’esposizione delle merciusato dai venditori ambu-lanti.13. dozzinante: inquilino,pensionante presso un pri-vato o una famiglia.

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La lancetta dei minuti ha azionato il meccanismo della quinta sve-glia. Antonio terrazziere14 si scuote e borbotta una maledizione. È laprima voce che rompe il silenzio. L’alba reca la sua luce sulla stradaove anche i gatti hanno trovato riposo. Il gallo ha buttato giù dal let-to il suo padrone carbonaio. La mamma di Milena è in piedi, le manisul grembo, sospira dinanzi al lettino vuoto della sposa. In ogni casadel vicolo c’è già qualcuno che ha aperto gli occhi. Soltanto la Signo-ra si è appena assopita. Nanni sogna forse cose oneste e Corrado aprela mascalcia. Il cavallo lo saluta con un nitrito a cui fa eco il piantodella neonata che dorme nella stanzetta soprastante, fra i due genito-ri che le tolgono l’aria. La mamma cerca di calmarla porgendole il se-no. Il padre ha passato una notte bianca, dopo che il brigadiere ha ac-cennato al furto di via Bolognese. E il fattore di Calenzano è per lastrada da un pezzo, col suo calessino15. Pensa che anzitutto affiderà lostorno16 a Corrado, poi andrà a farsi radere da Oreste la barba di unasettimana. Con la faccia fresca e il cavallo ferrato a nuovo, gli affaririescono più facilmente: è un’antica scaramanzia17 che va rispettata.

da V. Pratolini, Cronache di poveri amanti, Mondadori

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14. terrazziere: sterratore,cioè addetto ai lavori disterro (scavo) nell’ediliziae nelle costruzioni stradali. 15. calessino: carrozzinoscoperto a due ruote trai-nato da un cavallo.16. storno: cavallo dalmantello nero con mac-chioline bianche sparse.17. scaramanzia: gesto ocomportamento mirante apropiziarsi la fortuna.

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1. Il primo personaggio citato nel brano è Ne-si, il proprietario del gallo. Che mestiere fa?

2.Quanti sono gli “ammoniti” che il brigadierecontrolla in via del Corno? Come si chiamano?

3.Nel brano che hai letto si parla delle cinquesveglie che, al mattino, suonano in via delCorno. Indica a chi appartengono e, nei ca-si in cui si ricava dal testo, quale mestieresvolgono i rispettivi proprietari.

4.Al suono delle sveglie si affianca, nell’ulti-ma parte del brano, quello prodotto da al-cuni animali. Quali?

5. Chi è Milena? Come viene descritta? Cosa sidice di lei?

6.Due personaggi vengono citati “in coppia”all’inizio e alla fine del testo: chi sono? Chemestiere fanno?

7.Quale ambiente fa da sfondo al brano chehai appena letto? Come viene descritto?

COMMENTOCronache di poveri amanti, il romanzopiù famoso di Pratolini, rappresenta ilprimo esempio di narrativa neorealistaper l’attenzione rivolta agli aspetti poli-tici e sociali della realtà – soprattuttodelle classi più umili – ma anche per illinguaggio facilmente comprensibileperfino per i lettori meno colti. Come hai potuto verificare dal brano chehai appena letto, argomento della narra-zione non è la grande Storia (quella cioèdei fatti più importanti), bensì le vicendequotidiane di povera gente – operai, arti-giani, piccoli commercianti, ma anche la-druncoli – che negli eventi della Storia sitrova coinvolta, diventandone spesso vit-tima. Nessuno dei personaggi, poi, sem-bra essere più importante degli altri, inquanto tutti insieme caratterizzano e con-tribuiscono a descrivere la strada (via delCorno) nella quale vivono e che, in realtà,è la vera protagonista del romanzo.

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Cesare Pavese

Non facevo proprio nulla per cambiareSiamo a Torino, durante la seconda guerra mondiale. Corrado, narra-tore e protagonista, insegna scienze in una scuola della città e vive inuna casa sulla collina. Di carattere chiuso e solitario, è incapace dicompiere scelte concrete, di entrare nel vivo dell’azione. Per questomotivo, ha precedentemente troncato un’importante storia d’amore eadesso, pur essendo fortemente contrario alla dittatura, non si unisceal gruppo di antifascisti che ha conosciuto in un’osteria e che sta perentrare a far parte della Resistenza, cioè del movimento di opposizio-ne al regime nazista e ai suoi loro alleati. La guerra intanto si fa sem-pre più terribile. Una mattina Corrado scende in città dopo un bom-bardamento avvenuto nella notte.

La mattina rientrai con molta gente in città mentre ancora echeggia-vano in lontananza schianti e boati. Dappertutto si correva e si por-tavano fagotti. L’asfalto dei viali era sparso di buche, di strati di fo-glie, di pozze d’acqua. Pareva avesse grandinato. Nella chiara lucecrepitavano1 rossi e impudichi2 gli ultimi incendi.La scuola, come sempre, era intatta. Mi accolse il vecchio Domeni-co3, impaziente di andarsene a vedere i disastri. C’era già stato avan-ti l’alba, al cessato allarme, nell’ora che tutti vanno, tutti sbucano, equalche esercente4 socchiude la porta e ne filtra la luce (tanto ci so-no i grossi incendi) e qualcosa si beve, fa piacere ritrovarsi. Mi rac-contò cos’era stata la notte nel nostro rifugio5 dove lui dormiva.Niente lezioni per quest’oggi, si capisce. Del resto anche i tram sta-

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1. crepitavano: scoppiet-tavano.2. impudichi: eccessivi,sfacciati.3. il vecchio Domenico: ilcustode del collegio (con-vitto) scolastico.4. esercente: persona chesvolge un’attività com-merciale in proprio.5. nel nostro rifugio: du-rante la guerra, per sfug-gire ai bombardamenti lepersone si radunavano inrifugi improvvisati, comenelle cantine.

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Cesare Pavese

Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo (Cuneo) nel 1908. Originario delleLanghe, la regione collinare piemontese a sud di Alba, resta legato a tale paesag-gio per tutta la vita, facendone lo sfondo di quasi tutta la sua narrativa. Dopo glistudi compiuti a Torino, e la laurea in Lettere, diviene antifascista ed è pertantocostretto a rinunciare all’insegnamento; nel 1935 viene addirittura mandato alconfino in Calabria. Nel frattempo ha iniziato a scrivere. Rientrato a Torino primadella guerra, si impiega in una casa editrice, ma nel 1950, nonostante i successiletterari, una serie di delusioni personali lo spinge a togliersi la vita.Tra le sue opere narrative si ricordano i romanzi Paesi tuoi, Feria d’agosto, Il com-pagno, La casa in collina, La luna e i falò e alcuni racconti; le poesie sono raccoltein Lavorare stanca e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi; di rilievo è anche il diario, Ilmestiere di vivere, pubblicato postumo. Tra i primi intellettuali ad aver apprezzatoe introdotto in Italia la letteratura nordamericana, Pavese si segnala anche per lasua attività di traduttore.

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vano fermi, spalancati e deserti, dove il finimondo li aveva sorpresi.Tutti i fili erano rotti. Tutti i muri imbrattati come dall’ala impazzitadi un uccello di fuoco. – Brutta strada, non passa nessuno, – ripete-va Domenico. – La segretaria non si era ancora vista. Non si è vistoFellini6. Non si può sapere niente.Passò un ciclista che, pied’a terra, ci disse che Torino era tutta di-strutta. – Ci sono migliaia di morti, – ci disse. – Hanno spianato7 lastazione –. E scappò pedalando, senza voltarsi.– Quello ha la lingua per parlare, – borbottò Domenico. – Non capi-sco Fellini. Di solito è già qui.La strada era davvero solitaria e tranquilla. Il ciuffo d’alberi del cor-tile del convitto incoronava l’alto muro come un giardino di provin-cia. Qui non giungevano nemmeno i fragori consueti, i trabalzi8 deitram, le voci umane. Che quel mattino non ci fosse trepestio9 di ra-gazzi, era una cosa d’altri tempi.Pareva incredibile che, nel buio della notte, anche su quel calmo cielotra le case avesse infuriato il finimondo. Dissi a Domenico di andarse-ne, se voleva, a cercare Fellini. Sarei rimasto in portieria ad aspettarli.Passai mezza la mattina riordinando il registro di classe per gli scru-tini imminenti. Facevo addizioni, scrivevo giudizi. Di tanto in tantoalzavo il capo al corridoio, alle aule vuote. Pensavo alle donne checompongono un morto, lo lavano e lo vestono10. Fra un istante il cie-lo poteva di nuovo muggire, incendiarsi, e della scuola non restareche una buca cavernosa. Solamente la vita, la nuda vita contava. Re-gistri, scuole e cadaveri erano cose già scontate.Borbottando nel silenzio i nomi dei ragazzi, mi sentii come una vec-chia che borbotta preghiere. Sorridevo tra me. Rivedevo le facce. Neerano morti stanotte? La loro allegria l’indomani di un bombarda-mento – la vacanza prevista, la novità, il disordine – somigliava almio piacere di sfuggire ogni sera agli allarmi, di ritrovarmi nellastanza fresca, di stendermi nel letto al sicuro11. Potevo sorridere del-la loro incoscienza? Tutti avevamo un’incoscienza in questa guerra,per tutti noi questi casi paurosi si erano fatti banali, quotidiani, spia-cevoli. Chi poi li prendeva sul serio e diceva – È la guerra, – costuiera peggio, era un illuso o un minorato.Eppure, stanotte qualcuno era morto. Se non migliaia, magari deci-ne. Bastavano. Pensavo alla gente che restava in città. Pensavo a Ca-te12. Mi ero fitto in testa13 che lei non salisse lassù14 tutte le sere.Qualcosa in questo senso mi pareva di aver sentito nel cortile, e in-fatti da quella volta dell’allarme non avevano più cantato. Mi chiesise avessi qualcosa da dirle, se da lei temessi qualcosa. Mi pareva sol-tanto di rimpiangere quel buio, quell’aria di casa e di bosco, le voci

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6. Fellini: il portinaio.7. spianato: raso al suolocon i bombardamenti.8. i trabalzi: le vibrazioni,gli scuotimenti.9. trepestio: col pestio,rumore confuso di passi.10. Pensavo … vestono: unpensiero funebre che riflet-te la tetra atmosfera dellacittà bombardata. Riferitoa un cadavere, “comporre”significa sistemare per lasepoltura.11. somigliava … sicuro:Corrado è consapevole diquesto suo compiacimen-to egoistico per riuscire,ogni sera, ad allontanarsidai luoghi più pericolosidella città.12. Cate: la donna amatada Corrado, poi ritrovatatra gli sfollati in collina. 13. Mi … testa: mi eromesso in testa, ero sicuro.14. lassù: in collina.

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giovani, la novità. Chi sa che Cate quella notte non avesse cantatocon gli altri. Se nulla è successo, pensai, stasera tornano lassù.Suonò il telefono. Era il padre di un ragazzo. Voleva sapere se dav-vero non c’era lezione. Che disastro stanotte. Se i professori e il si-gnor preside erano tutti sani e salvi. Se suo figlio studiava la fisica.Si capisce, la guerra à la guerra. Che avessi pazienza. Bisognavacomprendere e aiutare le famiglie. Tanti ossequi e scusassi15.Da questo momento il telefono non ebbe più pace. Telefonarono ra-gazzi, telefonarono colleghi e segretaria. Telefonò Fellini, da casa deldiavolo16. – Funziona? – disse sorpreso. Sentii la smorfia di sconten-to che gli mangiò mezza la faccia. – Non c’è nessuno in portineria,cosa credi? che sia festa? Vieni subito a dare una mano a Domenico–. Chiusi. Uscii fuori. Non volli rispondere più. Dopo una notte co-me quella era tutto ridicolo.Finii la mattina andando a zonzo, nel disordine e nel sole. Chi corre-va, chi stava a guardare. Le case sventrate fumavano. I crocicchierano ingombri. In alto, tra i muri divelti17, tappezzerie e lavandinipendevano al sole. Non sempre era facile distinguere tra le nuove lerovine vecchie. Si osservava l’effetto d’insieme e si pensava che unabomba non cade mai dov’è caduta la prima. Ciclisti avidi, sudati,mettevano il piede a terra, guardavano e poi ripartivano per altrispettacoli. Li muoveva un superstite amore del prossimo18. Sui mar-ciapiedi, dov’era avvampato un incendio, s’accumulavano bambini,materassi, suppellettili rotte. Bastava una vecchia a vuotare l’allog-gio. La gente guardava. Di tanto in tanto studiavamo il cielo.

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15. Tanti … scusassi: fraseche chiude il discorso ce-rimonioso (reso in discor-so indiretto) del mediocrepersonaggio.16. da casa del diavolo: danon si sa dove.17. divelti: distrutti, scar-dinati.18. Li … prossimo: è dettoin senso ironico, in quantoi ciclisti non hanno inten-zione di aiutare nessuno,bensì soltanto di vederegli effetti devastanti dellebombe.

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Faceva strano vedere i soldati. Quando passavano in pattuglie, con lapala e il sottogola, si capiva che andavano a sterrare rifugi, a estrarrecadaveri e vivi19, e si sarebbe voluto incitarli, gridargli di correre, farpresto perbacco20. Non servivano ad altro, si diceva tra noi. Tanto laguerra era perduta, si sapeva. Ma i soldati marciavano adagio, aggira-vano buche, si voltavano anche loro a sogguardare le case. Passava unadonna belloccia e la salutavano in coro. Erano gli unici, i soldati, ad ac-corgersi che le donne esistevano ancora. Nella città disordinata e sem-pre all’erta, più nessuno osservava le donne di un tempo, nessuno leseguiva, nemmeno vestite da estate, nemmeno se ridevano. Anche inquesto la guerra, io l’avevo prevista. Per me questo rischio era cessatoda un pezzo. Se avevo ancora desiderî, non avevo più illusioni21.In un caffè dove lessi un giornale – uscivano ancora i giornali – tragli avventori si parlava a bassa voce. Il giornale diceva che la guerraera dura, ma era una cosa tutta nostra, fatta di fede e di passione,l’estrema ricchezza che avessimo ancora22. Era successo che le bom-be eran cadute anche su Roma, distruggendo una chiesa e violandodelle tombe. Questo fatto impegnava anche i morti, era l’ultimo diuna serie sanguinosa che aveva indignato tutto il mondo civile. Biso-

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19. sterrare … vivi: scava-re nei rifugi rasi al suoloper estrarre dalle macerie icadaveri e gli eventuali so-pravvissuti.20. far presto perbacco:esortazione che segnalacome lo scrittore utilizziun linguaggio vicino alparlato.21. Se … illusioni: accennaal motivo del disingannoamoroso, che poi riprende-rà in modo più esplicito.22. l’estrema … ancora: quie nei periodi che seguono,riecheggiano gli accenti re-torici della propaganda delregime.

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gnava aver fede in quell’ultimo insulto. Si era a un punto che le co-se non potevano andar peggio. Il nemico perdeva la testa.Un avventore23 che conoscevo, uomo grasso e gioviale, disse che infondo questa guerra era già vinta. – Mi guardo intorno, e cosa vedo?– vociava. – Treni pieni, commercio all’ingrosso, mercato nero24 equattrini. Gli alberghi lavorano, le ditte lavorano, dappertutto si la-vora e si spende. C’è qualcuno che cede, che parla di mollare? Perquattro case fracassate, una miseria. Del resto, il governo le paga. Sein tre anni di guerra siamo arrivati a questo punto, c’è da sperare chela duri un altro poco. Tanto, a morire nel letto siamo tutti capaci.– Quel che succede non è colpa del governo, – disse un altro. – C’èda chiedersi dove saremmo con un altro governo.Me ne andai perché sapevo queste cose. Fuori finiva un grosso in-cendio che aveva danneggiato un palazzo sul viale. Dei facchini por-tavano fuori i lampadari e le poltrone. Sotto il sole, alla rinfusa, ave-vano ammucchiato mobilio, tavolini con specchi, grosse casse.Quelle cose eleganti facevano pensare a una bella vetrina. Mi ven-nero in mente le case di un tempo, le sere, i discorsi, i miei furori.Gallo25 era in Africa da un pezzo, io lavoravo all’istituto. Fu l’annoche credetti nella scienza come vita cittadina26, nella scienza accade-mica con laboratorî e congressi e cattedre. L’anno dei rischi grossi.Quando conobbi Anna Maria e la volli sposare. […]Durò tre anni e fui sul punto di ammazzarmi. Di uccidere lei nonvaleva la pena. Ma persi il gusto all’alta scienza, al bel mondo, agliistituti scientifici. Mi sentii contadino. Siccome la guerra non ven-ne nell’anno (credevo ancora che la guerra risolvesse qualcosa) con-corsi a una cattedra e cominciai questa mia vita. Adesso di fiori ecuscini mi tocca sorridere27, ma i primi tempi che con Gallo ne par-lai, pativo ancora. Gallo, in divisa un’altra volta, diceva: – Scioc-chezze. Tocca a tutti una volta –. Ma lui non pensava che, quel checi tocca, non è per caso che ci tocca28. In un senso, continuavo a pa-tire, non mica perché rimpiangessi Anna Maria, ma perché ognipensiero di donna conteneva per me quella minaccia29. Se mi chiu-devo a poco a poco nel rancore, era perché questo rancore lo cerca-vo. Perché sempre l’avevo cercato, e non soltanto con lei.Questo pensai, sul marciapiede sotto il viale, davanti al palazzosventrato. In fondo al viale, tra le piante, si vedeva la gran schienadelle colline, verdi e profonde nell’estate. Mi chiesi perché rimane-vo in città e non scappavo lassù prima di sera. Di solito l’allarmeveniva di notte; ma per esempio ieri a Roma era toccato a mezzo-giorno. Comunque, i primi giorni della guerra non scendevo nel ri-fugio; mi costringevo a stare in aula a passeggiare e tremare. A quei

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23. avventore: cliente abi-tuale.24. mercato nero: com-mercio clandestino di pro-dotti difficili da reperire.25. Gallo: un amico dellagiovinezza, poi morto peruna bomba in Sardegna.26. come vita cittadina:nella visione di Pavese, lacittà è originariamente as-sociata alla razionalità.27. Adesso … sorridere:allude ai cuscini del salot-to di Anna Maria, e ai fioriche lui le mandava.28. quel che … ci tocca:secondo Pavese il destinodi ognuno è determinatodalle origini e dall’infan-zia.29. quella minaccia: la mi-naccia di soffrire ancora.

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tempi gli attacchi facevano ridere. Adesso ch’erano cose massicce etremende, anche la semplice sirena sbigottiva. Se restavo in città fi-no a sera, non c’era un motivo. Tutta una classe di persone, i fortu-nati, i sempreprimi, andavano o se n’erano andati nelle campagne,nelle ville sui monti o sul mare. Là vivevano la solita vita. Toccavaai servi, ai portinai, ai miserabili, custodirgli i palazzi e, se il fuocoveniva, salvargli la roba. Toccava ai facchini, ai soldati, ai meccani-ci. Poi anche costoro scappavano a notte, nei boschi, nelle osterie.Dormivano poco. Ci bevevano sopra. Discutevano, dieci in un bu-co. Mi era rimasta la vergogna di non essere dei loro, e avrei volu-to incontrarne per i viali, discorrere. O forse godevo soltanto quelfacile rischio e non facevo proprio nulla per cambiare30. Mi piace-va star solo e immaginarmi che nessuno mi aspettava.

da C. Pavese, La casa in collina, Einaudi

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30. non … per cambiare:confessione che definiscel’inerzia, la mancanza divolontà del personaggio,la sua non-vocazione al-l’impegno.

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1.All’indomani di un bombarda-mento che ha devastato Torino,Corrado si reca in città, più pre-cisamente nella scuola in cui in-segna. Chi trova ad accoglierlo?

2. I pensieri del protagonista ven-gono improvvisamente interrottida una serie di telefonate. Chichiama per primo? Cosa vuolesapere?

3.Dopo una mattinata di lavoro,Corrado va in giro per la città eincontra alcuni soldati. Cosa im-pugnano? Perché? Cosa devonofare?

4. Che aspetto ha la città devasta-ta dalle bombe? Cosa vede Cor-rado?

5. Chi è Gallo? Cosa si viene a sa-pere di lui leggendo il brano? Dicosa parla con lui il narratore-protagonista?

6.A chi si riferisce Corrado con iltermine «sempreprimi»? Prova aspiegarlo con parole tue.

COMMENTOA causa del suo interesse per le classi popolari e delsuo impegno politico, Pavese è stato spesso acco-stato ai neorealisti. In effetti, la sua è una narrati-va all’insegna del realismo, legata alla cultura del“popolo”, ma si tratta di un realismo molto partico-lare, perché caratterizzato da una forte presenza dianalisi psicologica.Nella Casa in collina, ad esempio, lo svolgimentodella trama appare determinato tanto dagli eventistorici quanto dal carattere del protagonista-narra-tore, le cui riflessioni, come hai potuto vedere nelbrano che hai letto, occupano gran parte della pagi-na. Corrado è un uomo intelligente, ma abulico, in-capace cioè di prendere decisioni, sempre in difficol-tà di fronte alla vita: sembra dunque, almeno in par-te, erede di quell’“inetto” che aveva occupato la sce-na narrativa del primo Novecento. Diversa e più “mo-derna”, aderente cioè al mutato clima storico, è pe-rò la risposta che infine il personaggio dà a se stes-so. Alla conclusione del conflitto, infatti, nascerà inlui il dubbio di non aver saputo prendere la stradagiusta quando era necessario: non ha deciso, non haagito, ha rinunciato alle proprie responsabilità diuomo. Il dolore, il rimorso, le contraddizioni di Cor-rado sono quelle di Pavese stesso, per il quale fug-gire davanti alle responsabilità che la storia e la vi-ta ci impongono significa fallire come esseri umani.

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Alberto Moravia

Romolo e RemoL’urgenza della fame non si può paragonare a quella degli altri biso-gni. Provatevi a dire ad alta voce: «Mi serve un paio di scarpe... miserve un pettine... mi serve un fazzoletto», tacete un momento per ri-fiatare, e poi dite: «Mi serve un pranzo» e sentirete subito la differen-za. Per qualsiasi cosa potete pensarci su, cercare, scegliere, magari ri-nunziarci, ma il momento che confessate a voi stessi che vi serve unpranzo, non avete più tempo da perdere. Dovete trovare il pranzo, seno morite di fame. Il cinque ottobre di quest’anno, a mezzogiorno, apiazza Colonna sedetti sulla ringhiera della fontana e dissi a me stes-so: «Mi serve un pranzo». Da terra dove, durante questa riflessione,volgevo gli occhi, levai gli sguardi al traffico del Corso e lo vidi tuttoannebbiato e tremolante: non mangiavo da più di un giorno e, si sa,la prima cosa che succede quando si ha fame è di vedere le cose affa-mate, cioè vacillanti e deboli come se fossero esse stesse, appunto, adaver fame. Poi pensai che dovevo trovare questo pranzo, e pensai chese aspettavo ancora non avrei più avuto la forza neppure di pensarci,e cominciai a riflettere sulla maniera di trovarlo al più presto. Pur-troppo, quando si ha fretta non si pensa nulla di buono. Le idee chemi venivano in mente non erano idee ma sogni: «Salgo in un tram...borseggio un tale... scappo»; oppure: «Entro in un negozio, vado allacassa, afferro il morto1... scappo». Mi venne quasi il panico e pensai:«Perduto per perduto, tanto vale che mi faccia arrestare per oltraggioalla forza pubblica2... in questura una minestra me la danno sempre».In quel momento un ragazzo, accanto a me, ne chiamò un altro: «Ro-molo». Allora, a quel grido, mi ricordai di un altro Romolo che erastato con me sotto le armi. Avevo avuto, allora, la debolezza di rac-contargli qualche bugia: che al paese ero benestante mentre non so-no nato in alcun paese bensì presso Roma, a Prima Porta3. Ma, ades-so, quella debolezza mi faceva comodo. Romolo aveva aperto una

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1. afferro il morto: afferroil malloppo; lessico gerga-le della malavita.2. oltraggio … pubblica:reato che si compie quan-do si offende un pubblicoufficiale, in questo casoun poliziotto.3. Prima Porta: un quartie-re della periferia romana.

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Alberto Moravia

Alberto Moravia, nato nel 1907 a Roma, dove muore nel 1990, esordisce poco piùche ventenne con il romanzo Gli indifferenti, seguito da molti altri – tra cui Ago-stino, La romana, Il conformista, La ciociara, La noia – e da diverse raccolte di rac-conti (Racconti romani, Nuovi racconti romani, Il paradiso). È anche autore di sag-gi e di testi teatrali e ha inoltre collaborato a quotidiani e periodici con articolidi costume, critiche cinematografiche, reportage di viaggi.Dalle sue opere narrative sono stati tratti diversi film famosi e alcuni lavori tele-visivi.

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trattoria dalle parti del Pantheon4. Ci sarei andato e avrei mangiato ilpranzo di cui avevo bisogno. Poi, al momento del conto, avrei tiratofuori l’amicizia, il servizio militare fatto insieme, i ricordi... Insom-ma, Romolo non mi avrebbe fatto arrestare.Per prima cosa andai alla vetrina di un negozio e mi guardai in unospecchio. Per combinazione, mi ero fatto la barba quella mattina conil rasoio e il sapone del padrone di casa, un usciere di tribunale che miaffittava un sottoscala. La camicia, senza essere proprio pulita, nonera indecente: soltanto quattro giorni che la portavo. Il vestito, poi,grigio spinato5, era come nuovo: me l’aveva dato una buona signora ilcui marito era stato mio capitano in guerra. La cravatta, invece, erasfilacciata, una cravatta rossa che avrà avuto dieci anni. Rialzai il col-letto e rifeci il nodo in modo che la cravatta, adesso, aveva una partelunghissima e una parte corta. Nascosi la parte corta sotto quella lun-ga e abbottonai la giacca fino al petto. Come mi mossi dallo specchio,forse per lo sforzo di attenzione con cui mi ero guardato, la testa mi gi-rò e andai a sbattere contro una guardia ferma sull’angolo del marcia-piede. «Guarda dove vai» disse «che sei ubriaco?». Avrei voluto rispon-dergli: «Sì, ubriaco di appetito». Con passo vacillante mi diressi versoil Pantheon. Sapevo l’indirizzo, ma quando lo trovai non ci credevo.Era una porticina in fondo a un vicolo cieco6, a due passi da quattro ocinque pattumiere colme. L’insegna color sangue di bue portava scrit-to: “Trattoria, cucina casalinga”; la vetrina, anch’essa dipinta di rosso,conteneva in tutto e per tutto una mela. Dico una mela e non scherzo.Cominciai a capire, ma ormai ero lanciato ed entrai. Una volta den-tro, capii tutto e la fame per un momento mi si raddoppiò di smarri-mento. Però mi feci coraggio e andai a sedermi a uno qualsiasi deiquattro o cinque tavoli, nella stanzuccia deserta e in penombra.Una stoffetta sporca, dietro il banco, nascondeva la porta che davasulla cucina. Picchiai con il pugno sul tavolo: «Cameriere!». Subitoci fu un movimento in cucina, la stoffetta si alzò, apparve e scom-parve una faccia in cui riconobbi l’amico Romolo. Aspettai un mo-mento, picchiai di nuovo. Questa volta lui si precipitò di fuori abbot-tonandosi in fretta una giacca bianca tutta sfrittellata7 e sformata. Mivenne incontro con un «comandi» premuroso, pieno di speranza,che mi strinse il cuore. Ma ormai ero nel ballo e bisognava ballare.Dissi: «Vorrei mangiare». Lui incominciò a spolverare il tavolo conuno straccio, poi si fermò e disse guardandomi: «Ma tu sei Remo...».«Ah, mi riconosci» feci, con un sorriso.«E come se ti conosco... non eravamo insieme sotto le armi? Non cichiamavamo Romolo Remo e la Lupa per via di quella ragazza checorteggiavamo insieme?». Insomma: i ricordi. Si vedeva che lui tira-

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4. Pantheon: edificio diRoma antica costruito inorigine come tempio dedi-cato a tutte le divinità.5. spinato: tessuto con unmotivo disegnato o lavora-to a forma di spina di pe-sce, detto anche “spigato”.6. vicolo cieco: stradinasenza sbocco, priva cioè diuscita.7. sfrittellata: con mac-chie di unto.

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va fuori i ricordi non perché mi fosse affezionato ma perché ero uncliente8. Anzi, visto che nella trattoria non c’era nessuno, il cliente.Di clienti doveva averne pochi e anche i ricordi potevano servire afarmi buona accoglienza.Mi diede alla fine una manata sulla spalla: «Vecchio Remo»; poi sivoltò verso la cucina e chiamò: «Loreta». La stoffa si alzò e apparveuna donnetta corpulenta, in grembiale, con la faccia scontenta ediffidente. Lui disse, indicandomi: «Questo è Remo di cui ti ho tan-to parlato ». Lei mi fece un mezzo sorriso e un gesto di saluto; die-tro di lei si affacciavano i figli, un maschietto e una bambina. Ro-molo continuò: «Bravo, bravo... proprio bravo». Ripeteva: «Bravo»come un pappagallo: era chiaro che aspettava che ordinassi il pran-zo. Dissi: «Romolo, sono di passaggio a Roma... faccio il viaggiatoredi commercio... siccome dovevo mangiare in qualche luogo, hopensato: “Perché non andrei a mangiare dall’amico Romolo?”».«Bravo» disse lui; «allora che facciamo di buono: spaghetti?».«Si capisce».

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8. Si vedeva ... cliente: lamiseria trasforma anchel’amico in cliente; è l’ama-ra logica del bisogno.

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«Spaghetti al burro e parmigiano... ci vuole meno a farli e sono piùleggeri... e poi che facciamo! Una buona bistecca? Due fettine di vi-tella? Una bella lombatina? Una scaloppina al burro?».Erano tutte cose semplici, avrei potuto cucinarle da me, su un fornel-lo a spirito. Dissi, per crudeltà: «Abbacchio9... ne hai abbacchio?».«Quanto mi rincresce... lo facciamo, per la sera».«E va bene... allora un filetto con l’uovo sopra... alla Bismarck10».«Alla Bismarck, sicuro... con patate?».«Con insalata».«Sì, con insalata... e un litro, asciutto11, no?».«Asciutto».Ripetendo: «Asciutto» se ne andò in cucina e mi lasciò solo al tavoli-no. La testa continuava a girarmi dalla debolezza, sentivo che face-vo una gran cattiva azione; però, quasi quasi, mi faceva piacere dicompierla. La fame rende crudeli: Romolo era forse più affamato dime e io, in fondo, ci avevo gusto. Intanto, in cucina, tutta la famigliaconfabulava: udivo lui che parlava a bassa voce, pressante, ansioso;la moglie che rispondeva, malcontenta. Finalmente, la stoffa si rial-zò e i due figli scapparono fuori, dirigendosi in fretta verso l’uscita.Capii che Romolo, forse, non aveva in trattoria neppure il pane. Nelmomento che la stoffa si rialzò, intravidi la moglie che, ritta davantiil fornello, rianimava con la ventola il fuoco quasi spento. Lui, poi,uscì dalla cucina e venne a sedersi davanti a me, al tavolino.Veniva a tenermi compagnia per guadagnar tempo e permettere aifigli di tornare con la spesa. Sempre per crudeltà, domandai: «Ti seifatto un localetto proprio carino... beh, come va?».Lui rispose, abbassando il capo: «Bene, va bene... si capisce c’è la cri-si... oggi, poi, è lunedì... ma di solito, qui non si circola».«Ti sei messo a posto, eh».Mi guardò prima di rispondere. Aveva la faccia grassa, tonda, pro-prio da oste, ma pallida, disperata e con la barba lunga. Disse: «An-che tu ti sei messo a posto».Risposi, negligente12: «Non posso lamentarmi... le mie cento, cento-cinquantamila lire al mese13 le faccio sempre... lavoro duro, però».«Mai come il nostro».«Eh, che sarà... voialtri osti state sul velluto: la gente può fare a me-no di tutto ma mangiare deve... scommetto che ci hai anche i soldida parte».Questa volta tacque, limitandosi a sorridere: un sorriso proprio stra-ziante, che mi fece pietà. Disse finalmente, come raccomandandosi:«Vecchio Remo... ti ricordi di quando eravamo insieme a Gaeta?». In-somma, voleva i ricordi perché si vergognava di mentire e anche per-

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9. Abbacchio: è un piattoa base di agnello, piutto-sto costoso.10. alla Bismarck: la ricettaprende il nome dal cancel-liere tedesco dell’Ottocen-to, che aveva avuto l’ideadi farsi preparare una coto-letta con un uovo fritto so-pra.11. asciutto: di vino secco.12. negligente: con atteg-giamento noncurante.13. centocinquantamila li-re: circa 78 euro. In realtànegli anni Cinquanta – ilracconto è tratto da unaraccolta del 1954 – l’equi-valente in lire di 78 euroodierne era una sommapiuttosto alta.

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ché, forse, quello era stato il momento migliore della sua vita. Questavolta mi fece troppa compassione e lo accontentai dicendogli che ri-cordavo. Subito si rianimò e prese a parlare, dandomi ogni tanto del-le manate sulle spalle, perfino ridendo. Rientrò il maschietto reggen-do con le due mani, in punta di piedi, un litro colmo. Romolo mi ver-sò da bere e versò anche a se stesso, appena l’ebbi invitato. Col vinodiventò ancor più loquace14, si vede che anche lui era digiuno. Cosìchiacchierando e bevendo, passarono un venti minuti, e poi, come insogno, vidi rientrare anche la bambina. Poverina: reggeva con le brac-cine, contro il petto, un fagotto in cui c’era un po’ di tutto: il pacchet-to giallo della bistecca, l’involtino di carta di giornale15 dell’uovo, losfilatino16 avvolto in una velina marrone, il burro e il formaggio chiu-si in una carta oliata, il mazzo verde dell’insalata e, così mi parve, an-che la bottiglietta dell’olio. Andò dritta alla cucina, seria, contenta; eRomolo, mentre passava, si spostò sulla seggiola in modo da nascon-derla. Quindi si versò da bere e ricominciò coi ricordi. Intanto, in cu-cina, sentivo che la madre diceva non so che alla figlia, e la figlia siscusava, rispondendo piano: «Non ha voluto darmene di meno». In-somma: miseria, completa, assoluta, quasi quasi peggio della mia.Ma avevo fame e, quando la bambina mi portò il piatto degli spa-ghetti, mi ci buttai sopra senza rimorso; anzi, la sensazione di sbafa-re alle spalle di gente povera quanto me, mi diede maggiore appeti-to. Romolo mi guardava mangiare quasi con invidia, e non potei fa-re a meno di pensare che anche lui, quegli spaghetti, doveva per-metterseli di rado. «Vuoi provarli?» proposi. Scosse la testa come perrifiutare, ma io ne presi una forchettata e gliela cacciai in bocca. Dis-se: «Sono buoni, non c’è che dire» come parlando a se stesso.Dopo gli spaghetti, la bambina mi portò il filetto con l’uovo sopra el’insalata, e Romolo, forse vergognandosi di stare a contarmi i boc-coni, tornò in cucina. Mangiai solo, e, mangiando, mi accorsi cheero quasi ubriaco dal mangiare. Eh, quanto è bello mangiare quan-do si ha fame. Mi cacciavo in bocca un pezzo di pane, ci versavo so-pra un sorso di vino, masticavo, inghiottivo. Erano anni che nonmangiavo tanto di gusto.La bambina mi portò la frutta e io volli anche un pezzo di parmigia-no da mangiare con la pera. Finito che ebbi di mangiare, mi sdraiaisulla seggiola, uno stecchino in bocca e tutta la famiglia uscì dallacucina e venne a mettersi in piedi davanti a me, guardandomi comeun oggetto prezioso. Romolo, forse per via che aveva bevuto, adessoera allegro e raccontava non so che avventura di donne di quandoeravamo sotto le armi. Invece la moglie, il viso unto e sporco di unaditata di polvere di carbone, era proprio triste. Guardai i bambini:

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14. loquace: chiacchiero-ne, ciarliero.15. involtino … giornale:foglio di giornale ravvoltoa forma di cono.16. sfilatino: pane dallaforma allungata e sottile.

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erano pallidi, denutriti, gli occhi più grandi della testa17. Mi vennead un tratto compassione e insieme rimorso. Tanto più che la mogliedisse; «Eh, di clienti come lei, ce ne vorrebbero almeno quattro ocinque a pasto... allora sì che potremmo respirare».«Perché?» domandai facendo l’ingenuo: «non viene gente?».«Qualcuno viene» disse lei «soprattutto la sera... ma povera gente: por-tano il cartoccio, ordinano il vino, poca roba, un quarto, una foglietta18,la mattina, poi, manco accendo il fuoco, tanto non viene nessuno».Non so perché queste parole diedero sui nervi a Romolo. Disse:«Ahò, piantala con questo piagnisteo... mi porti iettatura19».La moglie rispose subito: «La iettatura la porti tu a noi... sei tu lo iet-tatore... tra me che sgobbo e mi affanno e tu che non fai niente epassi il tempo a ricordarti di quando eri soldato, lo iettatore chi è?».Tutto questo se lo dicevano mentre io, mezzo intontito dal benessere,pensavo alla migliore maniera per cavarmela nella faccenda del con-to. Poi, provvidenzialmente20, ci fu uno scatto da parte di Romolo: al-zò la mano e diede uno schiaffo alla moglie. Lei non esitò: corse allacucina, ne riuscì con un coltello lungo e affilato, di quelli che servonoad affettare il prosciutto. Gridava: «Ti ammazzo» e gli corse incontro,il coltello alzato. Lui, atterrito, scappò per la trattoria, rovesciando i ta-voli e le seggiole. La bambina intanto era scoppiata in pianto; il ma-schietto era andato anche lui in cucina e adesso brandiva21 un matta-rello, non so se per difendere la madre o il padre. Capii che il momen-to era questo o mai più. Mi alzai, dicendo: «Calma, che diamine... cal-ma, calma»; e ripetendo: «Calma, calma» mi ritrovaifuori dalla trattoria, nel vicolo. Affrettai il passo, scan-tonai; a piazza del Pantheon ripresi il passo normalee mi avviai verso il Corso.

da A. Moravia, Racconti romani, Bompiani17. Guardai ... testa: la de-scrizione è di un crudo rea-lismo, soprattutto per que-gli occhi che la fame fasembrare più grandi dellatesta.18. foglietta: recipienteche contiene circa mezzolitro di vino.19. iettatura: sfortuna.20. provvidenzialmente:per mia grande fortuna.21. brandiva: impugnavaminacciosamente; è paro-la dotta e appartiene piùal linguaggio dello scritto-re che a quello del perso-naggio.

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COMMENTOI Racconti romani di Moravia, dai quali è tratto quello che hai letto, so-no legati al clima culturale neorealista, e offrono scorci significatividella misera vita quotidiana del dopoguerra nella capitale. In questoracconto, i protagonisti sono due poveri diavoli dal nome significativo:Romolo e Remo. La vita di entrambi è minacciata dallo spettro della fa-me: un’urgenza, questa, che distrugge qualsiasi legame affettivo o disolidarietà umana; e così Remo non esita a imbrogliare Romolo, che haconosciuto sotto le armi.Il tema centrale («l’urgenza della fame») è ben chiaro fin dalle battuteiniziali, prima ancora della presentazione del protagonista. Remo è infat-ti alle prese con la fame ed è in cerca di un modo per soddisfarla. Non èperò privo di sentimenti positivi, come dimostra quando riflette tra sé esé («Purtroppo, quando si ha fretta non si pensa nulla di buono»), e ilrimorso che per un attimo lo assale quando scopre che l’amico Romolo vi-ve in una miseria quasi peggiore della sua («sentivo che facevo una grancattiva azione»). Ma la fame rende crudeli, cancella ogni rimorso, ognisenso di compassione. E Remo porta fino in fondo il proprio imbroglio.

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1.All’inizio del brano Remo fa una serie di riflessioni sulla condizione di chi non ha mezzi per po-tersi sfamare. Come reagisce al lungo digiuno?a. prova una grande spossatezza fisica che gli impedisce di vedere beneb. non ha una grande resistenza fisica e decide di prendere un tramc. non riesce a camminare e resta a letto per tutto il tempo

2.Quali soluzioni pensa di poter trovare per risolvere il suo “problema”?a. .......................................................................................................................................................................................................b. .......................................................................................................................................................................................................c. .......................................................................................................................................................................................................

3.Descrivi l’abbigliamento di Remo nel momento in cui si presenta in trattoria, facendo riferimen-to a quanto detto nel testo.a. la camicia: ...............................................................................................................................................................................b. la cravatta: .............................................................................................................................................................................c. il vestito: .................................................................................................................................................................................d. la giacca: .................................................................................................................................................................................

4. Cosa succede all’interno della trattoria? Prova a fare un breve riassunto.

5. La scena della lite fra i coniugi è la più tragica del brano: prova a descriverla completando loschema.a. Romolo: ....................................................................................................................................................................................b. Loreta: .......................................................................................................................................................................................c. La bambina: ............................................................................................................................................................................d. Il maschietto: ........................................................................................................................................................................

6. In che modo, alla fine, Remo riesce a mangiare?

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Pier Paolo Pasolini

Nella borgataSiamo a Roma, verso la fine degli anni Cinquanta, in una triste e squal-lida borgata con le sue baracche, i terreni incolti, le famiglie litigiose eil problema della sopravvivenza quotidiana. Tommaso, il protagonista,è poco più che un bambino, ma già conosce la miseria. Intorno a lui ilgruppo degli amici – coetanei o poco più grandi – ognuno impegnatonella propria battaglia per emergere e avere la meglio sugli altri.

Tommaso, Lello, il Zucabbo e gli altri ragazzini che abitavano nel vil-laggetto di baracche sulla Via dei Monti di Pietralata, come sempredopo mangiato, arrivarono davanti alla scuola almeno una mezzo-retta prima.Lì intorno c’erano già però pure altri pipelletti1 della borgata, chegiocavano […]. Tommaso, Lello e gli altri si misero a guardarli, ac-cucciandosi intorno, con le cartelle che strusciavano sulla fanga2:poi vennero due o tre con una palla, e gli altri buttarono le cartellesopra un montarozzetto3, e corsero dietro la scuola, nella spianatach’era la piazza centrale della borgata.Lello e uno che abitava al Lotto secondo4, lì accanto, buttarono le di-ta per dividersi5. A Tommasino invece non gli andava di giocare, e simise a zezza6 con altri due tre per terra, a guardarsi la partitella.

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1. pipelletti: ragazzini.2. fanga: terreno fangoso.3. montarozzetto: monti-cello, piccolo rilievo delterreno.4. Lotto secondo: gli isolatidelle case popolari dellaborgata, cresciuta in ma-niera disordinata, non han-no un indirizzo vero e pro-prio, ma sono indicati soloda un numero.5. buttarono … dividersi:fecero la conta per forma-re le squadre.6. a zezza: accovacciato.

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini nasce nel 1922 a Bologna, dove compie gli studi fino alla lau-rea in Lettere. Durante il periodo della guerra è a Casarsa, in Friuli, terra alla qua-le resterà sempre molto legato e a cui dedicherà poesie composte in dialetto friu-lano (La meglio gioventù). In questi anni si dedica all’insegnamento, al giornali-smo e all’impegno politico. Nel 1950 si trasferisce con la madre a Roma, dove vie-ne a contatto con la dura realtà delle borgate, dalla quale trarrà spunto e ispira-zione per iniziare la sua attività di scrittore. Comincia anche a collaborare al cine-ma e si appassiona a tal punto a questa forma di comunicazione che in seguito visi dedicherà a “tempo pieno”.Autore di versi (Le ceneri di Gramsci, Poesia in forma di rosa), romanzi (Ragazzi divita, Una vita violenta, Petrolio), saggi, articoli e interventi di attualità, negli an-ni Sessanta diviene uno dei maggiori e più discussi intellettuali del Paese: spes-so, infatti, assume posizioni critiche nei confronti della società borghese, ma an-che della “contestazione” giovanile.Dal 1960 fino alla morte – che avviene a Roma nel 1975 in circostanze mai deltutto chiarite – Pasolini si impegna prevalentemente nel cinema, realizzando filmimportanti, tra cui Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Il Vangelo secondo Mat-teo, Il Decameron.

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«Che, è arivato er maestro, a Carlè?» chiese a un mignoletto7 che glistava appresso.«Che nna so!» rispose quello alzando le spalle. […]Tommasino s’alzò, e andò verso la porta, dall’altra parte, dove Lello,piegato sulla vita, con le cianchette larghe e le braccia sbragate8, mapronto a lanciarsi, puntava tutto attento il gioco, con la faccia acida.«A Lello!» fece Tommasino.«E vattene, che vòi?» fece senza filarlo9 per niente Lello. […]Tommasino si sedette presso il mucchietto di breccole10 che facevanoda palo alla porta. Dopo un po’, Lello si rigirò indietro, a guardarlo. «E levate… ma che vòi», fece, rivoltandogli subito le spalle, e guar-dando fisso verso il centro del campo, dove gli altri correvano ap-presso al pallone strillandosi i morti11. […]In quel momento arrivarono sotto porta i ragazzini, in mucchio, euno di quelli che giocavano contro riuscì ad ammollare un calcio alpallone, che rotolò non tanto forte vicino al mucchietto di breccole:Lello fece un tuffo, pure se non ce n’era bisogno, perché lo potevaprendere pure se si chinava un tantinello, e rilanciò la palla al cen-tro dello spiazzo. […] dopo qualche minuto quelli ch’erano rimasti infondo, vicino alla scuola, si misero a strillare e a far segno con le ma-ni. Era arrivato il maestro ed era ora d’entrare. Quelli che giocavanoal pallone diedero ancora qualche calcio, poi corsero spingendosi elitigando a raccogliere le cartelle, nel mucchio, ed entrarono attra-verso il cancello scassato dentro il cortiletto della scuola.

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7. mignoletto: piccoletto.8. con le … sbragate: agambe larghe e con le brac-cia scomposte.9. filarlo: considerarlo.10. breccole: calcinacci.11. strillandosi i morti: in-sultandosi e lanciandosimaledizioni.

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Dopo le due, due e mezzo, la vita a Pietralata tornava sotto traccia12.Non si vedevano che masnade di pupi13, in mezzo ai lotti, o qualchedonna allo sgobbo14. Non c’era che sole e zella15, zella e sole. Ma eraancora marzo, e faceva presto il sole a calare, giù dietro Roma. L’ariatornava in penombra e quasi gelata. Come i ragazzini risortivanofuori di scuola, era quasi l’ora del tramonto: e la borgata era ancoradeserta, perché gli operai staccavano dal lavoro più tardi, il cinemaaveva aperto da poco, e i due o tre bar ancora si dovevano affollaredei soliti senza speranza16. I ragazzini filavano via dalla scuola, e si sparpagliavano tra i cortilidi terra battuta, per la borgata: quattro pareti di lotti, qualche lava-tore17 con intorno due braccia di fango nero, e un po’ più di luceche dentro la scuola. Lello era rimasto solo col maestro, perché quel giorno toccava a luifare le pulizie: questo succedeva parecchie volte dentro la settima-na, perché il maestro sceglieva a caso, senza né punire né premiare,ma secondo la testa sua. A ogni modo, si trattava di restare lì nem-meno una mezzoretta di più, a dare due botte di scopa tra i banchi,e a spolverare un po’ la cattedra e i quadri. Lello si sbrigò in quattroe quattr’otto a fare quello che doveva fare, perché ormai c’era avvez-zo18: e quand’ebbe finito, corse solo giù verso casa.Aveva un po’ di spagheggio19 a passare per i prati al buio o quasi, esi faceva la strada di corsa, coi capelli che gli saltavano davanti agliocchi, neri pure essi, e luccicanti come due cozze, e la maglietta afiori americana che gli sculappiava20 sopra i calzoni. I burini21 giàavevano smesso di lavorare, negli orti lì attorno, e Via delle Messid’Oro, coi cerasi22 e i mandorli al primo boccio, era tutta vuota,mentre si sentivano, da dietro i casali, delle voci di giovanotti checantavano facendo i Claudio Villa23, e, più lontano ancora, le trom-be del Forte24 che suonavano la libera uscita.Sotto il pilone del ponte dell’acquedotto, c’era Tommasino. Ancoranon se n’era andato a casa, e stava lì a aspettare con la borsa a tracolla. «A Tomà, mbè?» gli fece Lello, passandogli avanti e arrembandosi25per primo su per la scaletta di ferro lungo il pilone. Tommasino gli andò appresso senza dir niente, con la faccina tondae lenticchiosa26, che pareva sempre sporca di grasso. Lello se ne an-dava avanti per il ponte come fosse il capo, senza nemmeno voltar-si a guardare lo schiavo che gli trottava appresso. «Che, c’hai prescia27, a Lè?» faceva Tommaso, dietro, con faccia ma-landrina28. Ma Lello già era occupato a scendere giù per l’altro pilone: saltò sultrifoglio, e si mise a correre per il viottolo in mezzo al canneto. Tom-

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12. sotto traccia: tranquil-la, quieta.13. masnade di pupi: grup-pi, schiere di bambini.14. allo sgobbo: a lavorareintensamente, a faticare.15. zella: sporcizia.16. soliti senza speranza:bevitori incorreggibili, clien -ti abituali dei bar.17. lavatore: lavatoio pub-blico per i panni.18. avvezzo: abituato.19. spagheggio: spavento,paura.20. gli sculappiava: glisventolava.21. burini: persone cafo-ne, zoticoni.22. cerasi: alberi di cilie-gio.23. Claudio Villa: celebrecantante melodico deglianni Cinquanta.24. Forte: la caserma dellazona.25. arrembandosi: gettan-dosi baldanzosamente.26. lenticchiosa: lentiggi-nosa.27. prescia: fretta.28. faccia malandrina: conespressione da bullo.

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maso gli correva appresso col fiatone. «Aspettame... !» gli gridava. Ma l’altro, senza pensarlo per niente, se la filava di corsa; e solo co-me Tommaso fu ben distaccato, ricominciò ad andare più piano e acamminare giocando tra le canne e le frasche dei salci. Appena poiTommaso gli rifù di nuovo alle tacche29, si rimise a correre, per lascesa dei campi, che salivano verso l’alto coi filari dei broccoli giàspuntati, tra qualche alberuccio. Lo staccò30 un’altra volta, e un’altra volta, sull’altopiano, riandò alpasso. Ma stavolta gli ficcò31 di lasciarsi riprendere da Tommasino,che sudava come una fontanella: e scesero appaiati giù per le gobbe,verso il mucchio di catapecchie lì sotto dove abitavano, sulla stradatra Pietralata e Montesacro, poco prima del punto dove la cloaca delPoliclinico sbocca nell’Aniene. Nel villaggio di baracche era già accesa qualche luce, che si riflette-va sul fango. Gli altri ragazzini stavano giocando alla porta di casa,mentre dentro, in quelle stanzette dove vivevano in dieci o undici,si sentiva tutto uno strillare di donne che litigavano e di creature chefacevano la piagnarella32. Come videro Lello e Tommasino, i loro compagni smisero di gioca-re e gli andarono incontro. «Avete magnato, che?» gli fece tutto rosso e scapigliato il Zucabbo. «Ma quale avete magnato, quale avete magnato!» gli gridò Lello. «E vattene!» gli fece pure lui greve Tommasino, «ma si venimo ades-so de scola! Che, sei guercio?». «Aòh, sbrigateve», disse il Zucabbo senza abbozzare33, «che noi sen’annamo34, sa’!». «E annate!» disse Tommasino acido, «che, nun ce la sapemo ’a stra-da noi? Che, ce portate a cavacecio35, ce portate? An vedi questi!». «Aòh…!» rifece prendendo subito d’abbacchio36 il Zucabbo. «Si vevolete sbrigà sbrigateve, sinnò noi spesamo37!» E si batté con forzatre o quattro colpi con la mano sinistra contro il palmo della destrapuntata a coltello verso Montesacro38. Lello frattanto era corso avanti, era entrato nella baracca dove abita-va, e nemmeno un minuto dopo era riuscito con in mano uno sfila-tino con dentro dei peperoni. Fece un segno con la testa agli altri ma-schi, e disse: «’Namo!», con la bocca insaccata39. Tommasino, vedendo Lello, era corso pure lui dentro la sua barac-ca. Ma però sua madre ancora non gli aveva preparato la cena. Lui,quasi sbottò a piangere dalla rabbia: ma non perse nemmeno tempoa protestare. Risortì subito di fuori, e s’avventurò con gli altri, chegià s’erano incamminati, a pancia vuota.

da P. P. Pasolini, Una vita violenta, Garzanti

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29. alle tacche: alle calca-gna.30. Lo staccò: lo distan-ziò, lo lasciò indietro.31. gli ficcò: gli venne vo-glia.32. facevano la piagnarel-la: piagnucolavano.33. senza abbozzare: conimpazienza.34. se n’annamo: ce ne an-diamo.35. a cavacecio: a caval-cioni.36. prendendo … d’abbac-chio: prendendosene amale.37. sinnò noi spesamo: al-trimenti noi ce ne andia-mo via.38. verso Montesacro: indirezione di Montesacro,un quartiere a est dellacittà.39. insaccata: piena.

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la narrativa e il neorealismo 423

COMMENTOIl romanzo Una vita violenta, dal quale è tratto il brano che hai letto,narra la storia di Tommaso, un ragazzino di borgata che attraversoesperienze terribili – tra cui anche il carcere – inizia a maturare una co-scienza politica. Il suo “percorso di formazione” è però tutt’altro che alieto fine: avvicinatosi all’impegno politico, Tommaso tenta infatti coni compagni di salvare alcuni baraccati minacciati dal Tevere in piena, ein seguito a tale tentativo la tubercolosi di cui è malato si aggrava,portandolo alla morte.Critica sociale, denuncia morale e forte realismo narrativo sono le ca-ratteristiche principali di questo romanzo che ha come sfondo le squal-lide borgate romane negli anni del dopoguerra, segnate dalla fame edalla miseria.I personaggi che vi compaiono sono adolescenti o giovani emarginati al-le prese con un ambiente degradato e degradante, duro e violento, tal-volta addirittura feroce. In lontananza, in un contrasto terribile, si intra-vedono le bellezze monumentali della città e i quartieri pieni di verdedella borghesia: scintillanti richiami di una società che si avvia al benes-sere e dalla quale i giovani della borgata resteranno per sempre esclusi.Per dare voce pienamente a questa realtà, Pasolini elabora uno stileespressivo che colpisce per il suo realismo: cerca infatti di riprodurrenella pagina non solo la lingua parlata dalla gente delle borgate, maanche i gesti e i comportamenti, come se volesse essere il mezzo attra-verso il quale un intero mondo può finalmente raccontarsi.

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1.Prima di entrare in classe, i ragazzi giocano a pallone. Cosa fa Tommaso?

2. Come viene descritta la borgata nel primo pomeriggio? E come nel momento in cui i ragazzi esco-no di scuola?

3.Perché Lello rimane a scuola dopo che i suoi compagni se ne sono andati? Per quanto tempo sitrattiene? Cosa fa?

4.Nel testo non sono presenti descrizioni dell’abbigliamento dei ragazzi, a parte un accenno aquello di Lello. Cosa indossa?

5. Tornando a casa Lello incontra un amico. Di chi si tratta? Che aspetto ha? Cosa fanno i due ragazzi?

6.Perché, una volta a casa, Tommasino sta per mettersi a piangere?

7. Come si conclude il brano?

8. L’ambiente della borgata non viene descritto in modo dettagliato, ma emerge poco a poco attra-verso tutta una serie di indicazioni, che tracciano un quadro di miseria e squallore. Quali sonoqueste indicazioni?

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La narrativa di fine secolo

Verso gli anni Sessanta, esauritasi l’esperienza neorealista anche peril mutare della situazione storica e sociale nel Paese, si assiste a unatrasformazione anche nell’ambito della letteratura. Questa, infatti,presenta scrittori con caratteristiche proprie, che non fanno più rife-rimento a “scuole” o “movimenti”. Inoltre, diversamente da quanto ac-cadeva in passato, si registra un numero crescente di presenze femmi-nili, che da ora in poi animerà la scena letteraria.

Negli ultimi decenni del secolo, se continuano a operare alcuni deiprotagonisti degli anni precedenti – tra cui Pasolini, Moravia e ItaloCalvino – emergono anche figure di narratori dalle caratteristiche te-matiche e stilistiche più diverse. Da ciò nasce un panorama estrema-mente vario e complesso, che sfugge a ogni classificazione.

Carlo Emilio Gadda scrive romanzi e racconti caratterizzati dal piùavanzato sperimentalismo linguistico (Quer pasticciaccio brutto de viaMerulana, L’Adalgisa, La cognizione del dolore); Giorgio Bassani portanella letteratura la sua sottile analisi sulla crudeltà della storia e la so-litudine umana (Il giardino dei Finzi Contini, Gli occhiali d’oro); Giusep-pe Tomasi di Lampedusa recupera la grande tradizione del romanzostorico per dare, con Il Gattopardo, un quadro lucido e impietoso del-la società italiana; Leonardo Sciascia utilizza il genere del “giallo” peresprimere il proprio pessimismo sui problemi e le contraddizioni cheaffliggono la vita democratica (A ciascuno il suo, Il contesto, Todo mo-do); Elsa Morante, con La storia, riprende il filo del romanzo realista digrande tradizione; Antonio Tabucchi nei suoi romanzi e racconti in-treccia realtà e assurdo, verità e finzione; Umberto Eco, con Il nomedella rosa, rappresenta i conflitti ideologici e sociali del presente pro-iettandoli in una vicenda del tardo Medioevo.

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Italo Calvino

La strana vita di Cosimo sugli alberiSiamo in un paese ligure, nella seconda metà del Settecento. CosimoPiovasco di Rondò, tormentato dalla severità dei suoi educatori, un belgiorno ha deciso di salire su un albero e di non scendere più. Nonostan-te tutti i tentativi di fargli cambiare idea, Cosimo resta infatti sull’albe-ro, tra i cui rami si è creato una nuova vita, nella quale trovano postole sue attività di sempre: giocare, studiare, parlare col fratello Biagio,che lo aiuta in ogni occasione e che è anche il narratore della storia.

In quei giorni Cosimo faceva spesso sfide con la gente che stava a ter-ra, sfide di mira, di destrezza, anche per saggiare le possibilità sue1, ditutto quel che riusciva a fare di là in cima. Sfidò i monelli al tiro dellepiastrelle. Erano in quei posti vicino a Porta Capperi, tra le baracchedei poveri e dei vagabondi. Da un leccio2 mezzo secco e spoglio, Cosi-mo stava giocando a piastrelle, quando vide avvicinarsi un uomo a ca-vallo, alto, un po’ curvo, avvolto in un mantello nero. Riconobbe suopadre. La marmaglia si disperse; dalle soglie delle catapecchie le don-ne stavano a guardare.Il Barone Arminio cavalcò fin sotto l’albero. Era il rosso tramonto. Co-simo era tra i rami spogli. Si guardarono in viso. Era la prima volta,dopo il pranzo delle lumache3, che si trovavano così, faccia a faccia.Erano passati molti giorni, le cose erano diventate diverse, l’uno e l’al-tro sapevano che ormai non c’entravano più le lumache, né l’obbe-dienza dei figli o l’autorità dei padri; che di tante cose logiche e sensa-te che si potevano dire, tutte sarebbero state fuori posto; eppure qual-

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1. per saggiare … sue: permettere alla prova le suecapacità, le sue forze. 2. leccio: albero sempre-verde, simile alla quercia,tipico della macchia medi-terranea. 3. dopo … lumache: la ri-bellione di Cosimo neiconfronti del padre erainiziata con il rifiuto daparte del ragazzo di man-giare un piatto di luma-che, dopo il quale rifiutoCosimo era salito sugli al-beri del giardino per nonscenderne mai più.

Italo Calvino

Italo Calvino nasce nel 1923 nell’isola di Cuba, ma trascorre l’infanzia e l’adolescenza in Liguria. Nel 1943 en-tra nella Resistenza, esperienza importante che sarà argomento del suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi diragno, e di alcuni racconti. In seguito cura una raccolta di Fiabe italiane trascritte dai dialetti di tutte le re-gioni e pubblica opere (Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente, Marcovaldo) nellequali gli interessi per le tematiche umane e sociali si mescolano all’elemento fiabesco.Successivamente si cimenta in generi diversi: raffinati esperimenti di “fantascienza” sono ad esempio Le co-smicomiche e Ti con zero, mentre Le città invisibili, Il castello dei destini incrociati, Se una notte d’inverno unviaggiatore si basano su intrecci di grande complessità e Palomar dimostra come in questo scrittore il sensodel fantastico non sia mai del tutto privo di logica e razionalità. Nell’insieme, la sua opera lo rende uno de-gli autori più originali e complessi del nostro Novecento.Intellettuale lucido e ironico, Calvino ha partecipato al dibattito politico e culturale con interventi su quo-tidiani e periodici, rappresentando un importante punto di riferimento per la cultura italiana, tanto comescrittore quanto come critico e saggista. È morto a Siena nel 1985.

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cosa dovevano pur dire.– Date un bello spettacolo di voi! – cominciò il padre, amaramente.– E proprio degno di un gentiluomo! – (Gli aveva dato il voi, comefaceva nei rimproveri più gravi, ma ora quell’uso ebbe un senso dilontananza, di distacco).– Un gentiluomo, signor padre, è tale stando in terra come stando incima agli alberi, – rispose Cosimo, e subito aggiunse: – se si compor-ta rettamente4.– Una buona sentenza, – ammise gravemente il Barone, – quantun-que, ora è poco, rubavate susine ad un fittavolo5.Era vero. Mio fratello Cosimo era preso in castagna6. Cosa doveva ri-spondere? Fece un sorriso, ma non altero o cinico: un sorriso di timi-dezza, e arrossì.Anche il padre sorrise, un sorriso mesto, e chissà perché arrossì an-che lui. – Ora fate comunella7 coi peggiori bastardi ed accattoni8, –disse poi.– No, signor padre, io sto per conto mio, e ognuno per il proprio, –disse Cosimo, fermo.– Vi invito a venire a terra, – disse il Barone, con voce pacata, quasispenta, – e a riprendere i doveri del vostro stato.– Non intendo obbedirvi, signor padre, – fece Cosimo, – me ne duole.Erano a disagio tutti e due, annoiati. Ognuno sapeva quel che l’altro

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4. rettamente: in modocorretto, bene. 5. fittavolo: affittuario diun terreno agricolo. 6. era … castagna: era sta-to colto in fallo.7. fate comunella: vi ac-cordate.8. accattoni: mendicanti,persone che chiedono l’ele-mosina.

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avrebbe detto. – Ma i vostri studi? E le vostre devozioni9 di cristia-no? – disse il padre. – Intendete crescere come un selvaggio delleAmeriche?Cosimo tacque. Erano pensieri che non s’era ancora posto e nonaveva voglia di porsi. Poi fece: – Per essere pochi metri su, credeteche non sarò raggiunto dai buoni insegnamenti?Anche questa era una risposta abile, ma era già come uno sminuirela portata10 del suo gesto: segno di debolezza, dunque.L’avvertì il padre e si fece più stringente11: – La ribellione non si mi-sura a metri, – disse. – Anche quando pare di poche spanne12, unviaggio può restare senza ritorno.Adesso mio fratello avrebbe potuto dare qualche altra nobile rispo-sta, magari una massima13 latina, che ora non me ne viene in mentenessuna ma allora ne sapevamo tante a memoria. Invece s’era anno-iato di star lì a fare il solenne; cacciò fuori la lingua e gridò: – Ma iodagli alberi piscio più lontano! – frase senza molto senso, ma chetroncava netto la questione.Come se avessero sentito quella frase, si levò un grido di monelli in-torno a Porta Capperi. Il cavallo del Barone di Rondò ebbe uno scar-to14, il Barone strinse le redini e s’avvolse nel mantello, come pron-to ad andarsene. Ma si voltò, trasse fuori un braccio dal mantello eindicando il cielo che s’era rapidamente caricato di nubi nere, escla-

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9. devozioni: preghiere. 10. la portata: l’importan-za, il valore.11. più stringente: più in-calzante; le osservazionidel padre si fanno semprepiù insistenti.12. spanne: indica una mi-sura piccola, irrilevante.13. massima: detto, brevefrase che ha assunto valo-re di proverbio.14. ebbe uno scarto: de-viò, si spostò improvvisa-mente di lato.

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mò: – Attento, figlio, c’è chi può pisciare su tutti noi! – e spronò via.La pioggia, da lungo tempo attesa nelle campagne, cominciò a cade-re a grosse rade gocce. Di fra le catapecchie si sparse un fuggi fuggidi monelli incappucciati in sacchi, che cantavano: – Ciêuve! Ciêuve!L’aiga va per êuve!15 – Cosimo sparì abbrancandosi alle foglie giàgrondanti che a toccarle gli rovesciavano gocce d’acqua in testa.Io appena m’accorsi che pioveva, fui in pena per lui. L’immaginavozuppo, mentre si stringeva contro un tronco senza riuscire a scam-pare alle acquate oblique. E già sapevo che non sarebbe bastato untemporale a farlo ritornare. Corsi da nostra madre: – Piove! Che fa-rà Cosimo, signora madre?La Generalessa16 scostò la tendina e guardò piovere. Era calma. – Ilpiù grave inconveniente delle piogge è il terreno fangoso. Stando las-sù ne è immune.– Ma basteranno le piante a ripararlo?– Si ritirerà nei suoi attendamenti.– Quali, signora madre?– Avrà ben pensato a prepararli in tempo.– Ma non credete che farei bene a cercarlo per dargli un ombrello?Come se la parola «ombrello» d’improvviso l’avesse strappata dal suoposto d’osservazione campale17 e ributtata in piena preoccupazionematerna, la Generalessa prese a dire: – Ja, ganz gewiss!18 E una botti-glia di sciroppo di mele, ben caldo, avvolta in una calza di lana! E unpanno d’incerato, da stendere sul legno, che non trasudi umidità...Ma dove sarà, ora, poverino... Speriamo tu riesca a trovarlo...Uscii carico di pacchi nella pioggia, sotto un enorme paracquaverde, e un altro paracqua lo tenevo chiuso sotto il braccio, da da-re a Cosimo.Lanciavo il nostro fischio, ma mi rispondeva solo il croscio senza finedella pioggia sulle piante. Era buio; fuori dal giardino non sapevo do-ve andare, muovevo i passi a caso per pietre scivolose, prati molli, poz-zanghere, e fischiavo, e per mandare in alto il fischio inclinavo indie-tro l’ombrello e l’acqua mi frustava il viso e mi lavava via il fischio dal-le labbra. Volevo andare verso certi terreni del demanio19 pieni d’albe-ri alti, dove all’ingrosso20 pensavo che potesse essersi fatto il suo rifu-gio, ma in quel buio mi persi, e stavo lì serrandomi tra le braccia om-brelli e pacchi, e solo la bottiglia di sciroppo avvoltolata nella calza dilana mi dava un poco di calore.Quand’ecco, in alto nel buio vidi un chiarore tra mezzo agli alberi,che non poteva essere né di luna né di stelle. Al mio fischio mi par-ve d’intendere il suo, in risposta.– Cosimooo!

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15. Ciêuve ... êuve: fila-strocca, priva di senso, indialetto ligure (“Piove! Pio-ve! L’acqua va per uova!”).16. La Generalessa: so-prannome attribuito allamadre, figlia di un genera-le tedesco, per il suo ca-rattere estremamente au-toritario. 17. campale: l’aggettivoindica qualcosa che si svol-ge, o viene utilizzato, sulcampo di battaglia; in que-sto caso si riferisce ironi-camente alle caratteristi-che “militari” della madredi Cosimo.18. Ja ganz gewiss!: “Sì cer-to, sicuramente!”; la madreè di origine tedesca.19. terreni del demanio:terreni appartenenti alloStato o a enti pubblici.20. all’ingrosso: all’incir-ca, grosso modo.

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– Biagiooo!21 – una voce tra la pioggia, lassù in cima.– Dove sei?– Qua...! Ti vengo incontro, ma fa’ presto, che mi bagno!Ci trovammo. Lui, imbacuccato in una coperta, scese sin sulla bassaforcella22 d’un salice per mostrarmi come si saliva, attraverso un com-plicato intrico di ramificazioni, fino al faggio dall’alto tronco, dal qua-le veniva quella luce. Gli diedi subito l’ombrello e un po’ di pacchi, eprovammo ad arrampicarci con gli ombrelli aperti, ma era impossibi-le, e ci bagnavamo lo stesso. Finalmente arrivai dove lui mi guidava;non vidi nulla, tranne un chiarore come di tra i lembi d’una tenda.Cosimo sollevò uno di quei lembi e mi fece passare. Al chiarored’una lanterna mi trovai in una specie di stanzetta, coperta e chiusada ogni parte da tende e tappeti, attraversata dal tronco del faggio,con un piancito23 d’assi, il tutto poggiato ai grossi rami. Lì per lì miparve una reggia, ma presto dovetti accorgermi di quant’era instabi-le, perché già l’esserci dentro in due ne metteva in forse l’equilibrio,e Cosimo dovette subito darsi da fare a riparare falle24 e cedimenti.Mise fuori anche i due ombrelli che avevo portato, aperti, a copriredue buchi del soffitto; ma l’acqua colava da parecchi altri punti, ederavamo tutt’e due bagnati, e quanto a fresco era come stare fuori.Però c’era ammassata una tale quantità di coperte che ci si potevaseppellire sotto lasciando fuori solo il capo. La lanterna mandavauna luce incerta, guizzante, e sul soffitto e le pareti di quella stranacostruzione i rami e le foglie proiettavano ombre intricate. Cosimobeveva sciroppo di mele a grandi sorsi, facendo: – Puah! Puaf! [...]L’indomani faceva bel tempo e fu deciso che Cosimo avrebbe ripre-so le lezioni dall’Abate Fauchelefleur. Non fu detto come. Semplice-mente e un po’ bruscamente, il barone invitò l’Abate (– Invece distar qui a guardare le mosche, mon Abbé25... –) ad andare a cercaremio fratello dove si trovava a fargli tradurre un po’ del suo Virgilio.Poi temette d’aver messo l’Abate troppo in imbarazzo e cercò di fa-cilitargli il compito; disse a me: – Va’ a dire a tuo fratello che si troviin giardino tra mezz’ora per la lezione di latino –. Lo disse col tonopiù naturale che poteva, il tono che voleva tenere d’ora in poi: conCosimo sugli alberi tutto doveva continuare come prima.Così ci fu la lezione. Mio fratello seduto a cavalcioni d’un ramo d’ol-mo, le gambe penzoloni, e l’Abate sotto, sull’erba, seduto su uno sga-belletto, ripetendo in coro esametri26. Io giocavo lì intorno e per un po’li perdetti di vista; quando tornai, anche l’Abate era sull’albero; con lesue lunghe esili gambe nelle calze nere cercava d’issarsi su una forcel-la, e Cosimo l’aiutava reggendolo per un gomito. Trovarono una posi-zione comoda per il vecchio, e insieme compitarono27 un difficile pas-

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21. Biagioo!: Biagio è ilnome del narratore, fratel-lo di Cosimo.22. forcella: biforcazionedel tronco.23. piancito: pavimento.24. falle: squarci, aperture.25. mon Abbé: “Abate mio”.Il precettore è francese equindi la conversazione sisvolge in quella lingua, cheperaltro nel Settecento eranormalmente parlata dal-l’aristocrazia colta.26. esametri: versi dellalingua latina.27. compitarono: lesseropronunciando separatamen -te le sillabe, decifrarono.

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so, chini sul libro. Mio fratello pareva desseprova di gran diligenza.

Poi non so come fu, come l’allievo scappasse via,forse perché l’Abate lassù s’era distratto ed era re-stato allocchito28 a guardare nel vuoto come alsolito, fatto sta che rannicchiato tra i ramic’era solo il vecchio prete nero, col librosulle ginocchia, e guardava una farfallabianca volare e la seguiva a bocca aper-ta. Quando la farfalla sparì, l’Abates’accorse d’essere là in cima, e gli presepaura. S’abbracciò al tronco, cominciò a

gridare: – Au secours! Au secours!29 – fin-ché non venne gente con una scala e pian piano

egli si calmò e discese.Insomma, Cosimo, con tutta la sua famosa fuga, viveva accosto a noiquasi come prima. Era un solitario che non sfuggiva la gente. Anzi sisarebbe detto che solo la gente gli stesse a cuore. Si portava sopra iposti dove c’erano contadini che zappavano, che voltavano il letame,che falciavano i prati, e gettava voci cortesi di saluto. Quelli alzavanoil capo stupiti e lui cercava di far capire subito dov’era, perché gli erapassato il vezzo30, tanto praticato quando andavamo insieme sugli al-beri prima, di fare cucù e scherzi alla gente che passava sotto. Nei pri-mi tempi i contadini, a vederlo varcare tali distanze tutto per i rami31,non si raccapezzavano, non sapevano se salutarlo cavandosi il cappel-lo come si fa coi signori o vociargli contro come a un monello. Poi cipresero l’abitudine e scambiavano con lui parole sui lavori, sul tem-po, e mostravano pure d’apprezzare il suo gioco di star lassù, non piùbello né più brutto di tanti altri giochi che vedevano fare ai signori.Dall’albero, egli stava delle mezz’ore fermo a guardare i loro lavori efaceva domande sugli ingrassi32 e le semine, cosa che camminandosulla terra non gli era mai venuto di fare, trattenuto da quella ritrosia33che non gli faceva mai rivolgere parola ai villici34 ed ai servi. A volte,indicava se il solco che stavano zappando veniva diritto o storto, o senel campo del vicino erano già maturi i pomodori; a volte s’offriva difar loro piccole commissioni come andare a dire alla moglie d’un fal-ciatore che gli desse una cote35, o ad avvertire che girassero l’acqua inun orto. E quando aveva da muoversi con simili incarichi di fiduciaper i contadini, allora se in un campo di frumento vedeva un volo dipasseri, faceva strepito e agitava il berretto per farli scappare.

da I. Calvino, Il barone rampante, Einaudi

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28. allocchito: sbalordito,istupidito.29. Au ... secours!: “aiuto!aiuto!”.30. il vezzo: l’abitudine, laconsuetudine. 31. tutto per rami: passan-do dal ramo di un albero aquello di un altro, cioè sen-za scendere dagli alberi. 32. ingrassi: termine rife-rito al bestiame. 33. ritrosia: esitazione, ti-midezza.34. villici: abitanti dellacampagna.35. cote: la pietra per affi-lare la lama.

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1. Una volta salito sugli alberi, Cosimo conti-nua la propria vita normalmente, come seniente fosse cambiato. Il brano inizia fa-cendo riferimento ad alcuni giochi che il ra-gazzo fa «con la gente che stava a terra». Acosa giocano?

2. Qual è la rezione del fratello di Cosimoquando scoppia un temporale? Di cosa sipreoccupa? Cosa fa?

3. Com’è il rifugio che Cosimo si è costruitosull’albero? Cosa ne pensa suo fratello Bia-gio?

4. Come, e soprattutto dove, si svolge la lezio-ne di latino? Qual è il comportamento tenu-to dall’Abate?

5. Come si comporta Cosimo nei confronti deicontadini che lavorano per suo padre?

6. In questo brano compaiono alcuni familiaridi Cosimo: il padre, la madre e il fratello.Come è il padre nei confronti di Cosimo?

7. E come si comporta Cosimo verso suo pa-dre?

8. Il carattere della madre è riassunto nel so-prannome che ha. Qual è questo sopranno-me?

9. Come è la madre nei confronti di Cosimo?

10. La figura di Biagio è molto importante, an-che perché è lui che racconta la stravagantevicenda di Cosimo ed è lui che parla spessocon il fratello. Come ti sembra Biagio neiconfronti di Cosimo?

COMMENTOIl barone rampante, da cui è tratto il bra-no che hai letto, appartiene alla trilogiaintitolata I nostri antenati, di cui fannoparte anche Il visconte dimezzato e Il ca-valiere inesistente. Come altre opere diCalvino, il romanzo è legato al generefantastico – fatto di racconti favolosi eintrecci inverosimili – ma ha un signifi-cato più profondo. La vicenda di CosimoPiovasco di Rondò si può infatti leggeresu piani diversi: quello superficiale dellastrana vita del ragazzo sugli alberi equello simbolico dell’uomo che, libero dacondizionamenti ideologici, riesce a os-servare e comprendere meglio la realtà. La strana scelta di Cosimo è frutto di unaforte ribellione: stanco di una vita forsepriva di significato, si rifugia in un luo-go strano, ma tutto suo: un albero o me-glio gli alberi, tra i cui rami, tra le cuifronde si muove libero come un uccello.Sceglie infatti di vivere in uno spazio pri-vilegiato, più alto, dal quale può vederemeglio il mondo e meglio comprenderlo.Scopre così la natura e le sue piccolecreature, l’esistenza e il lavoro dei conta-dini che faticano per suo padre; può in-tervenire nella storia scongiurando inva-sioni di pirati e combattendo controeserciti nemici, ma può anche scoprirecon maggiore consapevolezza gioie e do-lori dell’amore. Da lassù è dunque in grado di conoscerela vita, quella vita vera che forse, viven-do un’esistenza aristocratica, non sareb-be mai stato in grado di affrontare.

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Elsa Morante

Il mondo si apre a UseppeA Roma, durante la seconda guerra mondiale, un soldato tedesco siperde nel popolare quartiere di San Lorenzo, dove incontra Ida Ra-mundo, una giovane maestra elementare rimasta vedova che vive conil figlio Nino. Dal loro incontro nascerà poi il piccolo Giuseppe, pro-tagonista del brano che stai per leggere.

Il primo inverno della sua vita, come già l’autunno, Giuseppe lopassò in totale clausura, per quanto il suo mondo via via si fosse al-largato dalla stanza da letto al resto dell’appartamento. Durante lacattiva stagione, tutte le finestre erano chiuse; ma anche a finestreaperte, in ogni caso la sua piccola voce si sarebbe dispersa nei ru-mori della strada e nel vocio del cortile. Il cortile era immenso, giac-ché il caseggiato comprendeva diverse scale, dalla scala A alla sca-la E. La casa di Ida si trovava all’interno 19 della scala D, ed essen-do all’ultimo piano non aveva vicini diretti. Oltre al suo, difatti, suquel ballatoio1 si apriva soltanto un altro uscio, più in alto, che por-tava ai serbatoi dell’acqua. E per Ida, nelle sue circostanze, questaera una fortuna.Le stanze dell’interno 19 scala D erano, per Giuseppe, tutto il mon-do conosciuto; e anzi, l’esistenza di un altro mondo esterno dovevaessere, per lui, vaga come una nebulosa, giacché, ancora troppo pic-colo per arrivare alle finestre, dal basso non ne vedeva che l’aria.Non battezzato, né circonciso2, nessuna parrocchia s’era preoccupa-ta di riscattarlo; e lo stato di guerra, con la confusione crescente de-gli ordini, favoriva il suo bando dalla creazione3.Nella sua precocità, aveva presto imparato a camminare per la casasulle ginocchia e sulle mani, a imitazione di Blitz4, che forse fu il suomaestro. L’uscio dell’ingresso, per lui, era lo sbarramento estremodell’universo, come le Colonne d’Ercole5 per gli antichi esploratori.Adesso, non era più nudo; ma infagottato, per ripararsi dal freddo,in vari cenci di lana che lo facevano sembrare un poco più tondo, co-

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1. ballatoio: pianerottolo.2. circonciso: un’operazio-ne, praticata a scopo ritua-le da Ebrei e Musulmani;Ida, la madre di Useppe, èebrea.3. il suo … creazione: lanascita di Giuseppe nonera stata registrata né inchiesa, con il battesimo,né in Comune.4. Blitz: è il cagnolino dicasa. 5. Colonne d’Ercole: imma-ginarie colonne che, nel-l’antichità, si diceva fosse-ro poste sullo Stretto di Gi-bilterra e che era proibitooltrepassare perché segna-vano la fine del mondo.

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Elsa Morante

Nata nel 1912 a Roma, Elsa Morante esordisce giovanissima come autrice di favo-le e poesie per bambini e poi diviene collaboratrice di giornali e riviste. In segui-to ha pubblicato romanzi di successo (Menzogna e sortilegio, L’isola di Arturo, Lastoria), racconti (Lo scialle andaluso) e opere di poesia (Il mondo salvato dai ra-gazzini). La scrittrice è morta a Roma nel 1985, in estrema povertà e solitudine.

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me i cuccioli nel loro pelo. Il disegno del suo viso ormai si precisavacon evidenza. La forma del nasino cominciava a profilarsi, diritta edelicata; e i tratti, puri nella loro minuzia6, ricordavano certe picco-le sculture asiatiche. Decisamente, non somigliava a nessuno dellaparentela; fuorché negli occhi, quasi gemelli di quegli occhi lontani7.Gemelli, però, nella fattura e nel colore; non nello sguardo. L’altrosguardo, infatti, era apparso terribile, disperato e quasi impaurito8;e questo, invece, era fiducioso e festante.Non s’era mai vista una creatura più allegra di lui. Tutto ciò chevedeva intorno lo interessava e lo animava gioiosamente. Miravaesilarato9 i fili della pioggia fuori della finestra, come fossero co-riandoli e stelle filanti multicolori. E se, come accade, la luce sola-re, arrivando indiretta al soffitto, vi portava, riflesso in ombre, ilmovimento mattiniero della strada, lui ci si appassionava senzastancarsene: come assistesse a uno spettacolo straordinario di gio-colieri cinesi che si dava apposta per lui. Si sarebbe detto, invero,alle sue risa, al continuo illuminarsi della sua faccetta, che lui nonvedeva le cose ristrette dentro i loro aspetti usuali; ma quali imma-gini multiple di altre cose varianti all’infinito. Altrimenti non sispiegava come mai la scena miserabile, monotona, che la casa glioffriva ogni giorno, potesse rendergli un divertimento così can-giante10, e inesauribile.Il colore d’uno straccio, d’una cartaccia, suscitando innanzi a lui,per risonanza, i prismi e le scale delle luci, bastava a rapirlo in un ri-so di stupore. Una delle prime parole che imparò fu ttelle (stelle). Pe-rò chiamava ttelle anche le lampadine di casa, i derelitti fiori11 cheIda portava da scuola, i mazzi di cipolle appesi, perfino le manigliedelle porte, e in séguito anche le rondini. Poi quando imparò la pa-rola dóndini (rondini) chiamava dondini pure i suoi calzerottini stesia asciugare su uno spago. E a riconoscere una nuova ttella (che ma-gari era una mosca sulla parete) o una nuova dóndine, partiva ognivolta in una gloria di risatine, piene di contentezza e di accoglienza,come se incontrasse una persona della famiglia.Le forme stesse che provocano, generalmente, avversione o ripu-gnanza, in lui suscitavano solo attenzione e una trasparente meravi-glia, al pari delle altre. Nelle sterminate esplorazioni che faceva,camminando a quattro zampe, intorno agli Urali, e alle Amazonie, eagli Arcipelaghi Australiani, che erano per lui i mobili di casa, a vol-te non si sapeva più dove fosse. E lo si trovava sotto l’acquaio in cu-cina, che assisteva estasiato a una ronda12 di scarafaggi, come fosse-ro cavallucci in una prateria. Arrivò perfino a riconoscere una ttellain uno sputo.

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6. minuzia: piccolezza;Giuseppe è un bambino. 7. occhi lontani: Giuseppeè figlio di un soldato tede-sco, a cui assomiglia nellaforma e nel colore degli oc-chi.8. L’altro ... impaurito: losguardo del soldato tede-sco nella notte dell’incon-tro con Ida.9. Mirava esilarato: guar-dava ammirato, divertito.10. cangiante: mutevole,che cambia. 11. i derelitti fiori: i fioriormai appassiti.12. ronda: termine militareche indica un giro di perlu-strazione.

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Ma nessuna cosa aveva potere di rallegrarlo quanto la presenza diNino13. Pareva che, nella sua opinione, Nino accentrasse in sé la fe-sta totale del mondo, che dovunque altrove si contemplava sparsa edivisa: rappresentando lui da solo, ai suoi occhi, tutte insieme le mi-riadi dei colori, e il bengala14 dei fuochi, e ogni specie di animali fan-tastici e simpatici, e le giostre dei giocolieri. Misteriosamente, avver-tiva il suo arrivo fino dal punto che lui cominciava appena la salitadella scala! e subito si affrettava più che poteva, coi suoi mezzi, ver-so l’ingresso, ripetendo: ino ino, in un tripudio15 quasi drammaticodi tutte le sue membra. Certe volte, perfino, quando Nino rientravadi notte tardi, lui, dormendo, al rumore della chiave si rimuovevaappena e in un sorrisetto fiducioso accennava con poca voce: ino.La primavera dell’anno 1942 avanzava, intanto, verso l’estate. Al po-sto delle molte lane, che lo facevano sembrare un fagottello cencio-so, adesso Giuseppe venne rivestito da Ida di certi antichissimi cal-zoncini e camiciole già appartenuti al fratello, e malamente adattatiper lui. I calzoncini, addosso a lui, facevano da pantaloni lunghi, lecamiciole, ristrette alla meglio sui lati ma non accorciate, gli arriva-vano fin quasi alle caviglie. E ai piedi, per la loro piccolezza, basta-vano ancora delle babbucce16 da neonato. Così vestito, somigliava aun indiano.Della primavera, lui conosceva soltanto le dóndini che s’incrociava-no a migliaia intorno alle finestre dal mattino alla sera, le stelle mol-tiplicate e più lucenti, qualche lontana macchia di geranio, e le vociumane che echeggiavano nel cortile, libere e sonore, per le finestreaperte. Il suo vocabolario si arricchiva ogni giorno. La luce, e il cie-lo, e anche le finestre, si chiamavano tole (sole). Il mondo esterno,dall’uscio d’ingresso in fuori, per essergli sempre interdetto17 e vie-tato dalla madre, si chiamava no. La notte, ma poi anche i mobili(giacché lui ci passava sotto) si chiamavano ubo (buio). Tutte le voci,e i rumori, opi (voci). La pioggia, ioia, e così l’acqua, ecc. ecc.Con la bella stagione, si può immaginare che Nino sempre più spes-so marinasse la scuola, anche se le sue visite a Giuseppe in compa-gnia degli amici oramai non erano più che un ricordo lontano. Mauna mattina di sereno meraviglioso, apparve inaspettato a casa, vispoe fischiettante in compagnia del solo Blitz; e come Giuseppe, spun-tando da sotto qualche ubo, al solito gli muoveva incontro, lui gli an-nunciò, senz’altro:«Ahó, maschio, annàmo! Oggi si va a spasso!»E così detto, con azione immediata, si issò Giuseppe a cavallucciosulle spalle, volando come il ladro Mercurio18 giù per la scala, men-tre Giuseppe, nella tragedia divina della infrazione19, mormorava in

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13. Nino: è il primo figliodi Ida. Esuberante e spa-valdo nel carattere, alle-gro e scan zonato, è sem-pre pron to a trovare il latobello della vita. 14. bengala: fuoco d’arti-ficio particolarmente lu-minoso e colorato. 15. tripudio: esplosione difelicità e gioia. 16. babbucce: pantofoline.17. interdetto: vietato,proibito. 18. il ladro Mercurio: il mi-tico dio Mercurio, raffigu-rato con sandali alati, erail protettore di ladri e dimercanti.19. nella … infrazione: in-dica la paura che Giuseppeprova nell’oltrepassare lospazio conosciuto della suacasa e nell’avventurarsi perla prima volta nel mondoesterno.

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una sorta di cantilena esultante: «No... No... No...». Le sue manuccestavano chiuse quietamente dentro le mani del fratello; i suoi piedi-ni, dondolanti nella corsa, pendevano sul petto di lui, così da avver-tirne la violenza del respiro, fremente nella libertà contro le leggi ma-terne! E Blitz veniva dietro, sopraffatto dalla sua doppia felicità amo-rosa al punto che addirittura, disimparando il passo, rotolava comeun rimbambito giù per i gradini. I tre uscirono nel cortile, attraversa-rono l’androne; e nessuno, al loro passaggio, si fece a chiedere a Ni-no: «Chi è questo pupo che porti?» quasi che, per un miracolo, quelgruppetto fosse diventato invisibile.Così Giuseppe recluso fino dalla nascita compieva la sua primauscita nel mondo, né più né meno come Budda20. Però Budda usci-va dal giardino lucente del re suo padre per incontrarsi, appenafuori, coi fenomeni astrusi21 della malattia, della vecchiaia e dellamorte; mentre si può dire che per Giuseppe, al contrario, il mondo

si aperse, quel giorno, come il vero giardino lucente. Anche sela malattia, la vecchiaia e la morte, per caso, misero sulla

sua strada i loro simulacri22, lui non se ne avvide23. Davicino, immediatamente sot-

to i suoi occhi, la primacosa che vedeva, lungola passeggiata, erano iriccetti neri di suo fra-tello, danzanti nel ven-to primaverile. E tutto ilmondo circostante, aisuoi occhi, danzava nelritmo di quei riccetti.Sarebbe assurdo citarequi le poche vie per do-ve passarono, nel quar-tiere di San Lorenzo, e lapopolazione che si muo-veva d’intorno a loro.Quel mondo e quellapopolazione, poveri,affannosi e deforma-ti dalla smorfia dellaguerra, si spiegava-no agli occhi diGiuseppe come unamultipla e unica fan-

20. come Budda: a Budda (ilfondatore indiano del Bud-dismo, VI-V secolo a.C.),furono rivelate le sofferenzedel mondo attraverso quat-tro incontri; con un vecchio(la vecchiaia), un malato(la malattia), un corteo fu-nebre (la morte), un mona-co (la penitenza).21. astrusi: che l’uomo nonriesce a spiegarsi.22. simulacri: immagini,rappresentazioni. 23. non se ne avvide: nonse ne accorse.

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tasmagoria24, di cui nemmeno una descrizione dell’Alhambra25 diGranata, o degli orti di Shiraz26, né forse perfino del Paradiso Terre-stre potrebbe rendere una somiglianza. Per tutta la strada, Giusep-pe non faceva che ridere; esclamando o mormorando, con la picco-la voce venata da una emozione straordinaria: «Dóndini, dóndini...ttelle... tole... dóndini... ioia... opi...» E quando infine si arrestaronosu un misero spiazzale d’erba, dove due stenti alberi cittadini ave-vano messo le loro radici, e si riposarono a sedere su quell’erba, lafelicità di Giuseppe, davanti a quella bellezza sublime, diventò qua-si spavento; e si aggrappò con le due mani alla blusa del fratello.Era la prima volta in vita sua che vedeva un prato; e ogni stelo d’er-ba gli appariva illuminato dal di dentro, quasi contenesse un filo diluce verde. Così le foglie degli alberi erano centinaia di lampade, incui si accendeva non solo il verde, e non solo i sette colori della sca-la, ma ancora altri colori sconosciuti. I casamenti popolari, intornoallo spiazzo, nella luce aperta del mattino, essi pure sembravano ac-cendere le loro tinte per uno splendore interno, che li inargentava eli indorava come castelli altissimi. I rari vasi di geranio e di basilicoalle finestre erano minuscole costellazioni, che illuminavano l’aria;e la gente vestita di colori era mossa intorno, per lo spiazzo, dallostesso vento ritmico e grandioso che muove i cerchi celesti, con le lo-ro nubi, i loro soli e le loro lune.Una bandiera batteva al di sopra di un portone. Una farfalla cavolaia27stava posata sopra una margherita... Giuseppe sussurrò:«Dóndine...»«No, questa non è una rondine, è un insetto! una farfalla! Dì: FAR-FALLA».Giuseppe ebbe un sorriso incerto, che lasciava vedere i suoi primidenti di latte da poco nati. Ma non lo seppe dire. Il suo sorriso tre-mava.«Annàmo forza! Dì: FARFALLA! Ahò! diventi scemo?! e mó che fai?piagni?! se piangi, non ti ci porto più, a spasso!»«Dóndine».«No rondine! È una farfalla, t’ho detto! E io, come mi chiamo?»«Ino».«E lui, questo animale qua col collaretto, come si chiama?»«I».«Bravo! Adesso ti riconosco!! E questa, allora, che è?»«Lampàna».«Macché lampàna! FARFALLA! A’ scemo! E questo è albero. Dì: AL-BERO! E quello laggiù è un ciclista. Dì: CICLISTA. Dì: Piazza deiSanniti!»

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24. fantasmagoria: una se-rie di immagini fantasti-che.25. Alhambra: un palazzo-fortezza costruito dagliArabi a Granada tra il XIIIe il XIV secolo, famoso perle ricchissime decorazioni.26. Shiraz: una città persia-na famosa per essere l’uni-ca oasi verde in una vastazona desertica.27. farfalla cavolaia: farfal-la con le ali bianche mac-chiate di nero, le cui larvedivorano le foglie dei ca-voli.

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«Lampàna. Lampàna. Lampàna!» esclamò Giuseppe, apposta per fareil buffo, questa volta. E rise a gola spiegata di se stesso, proprio comeun buffone. Anche Nino rise, e perfino Blitz: tutti insieme come buf-foni.«Mó basta de scherzà. Mó se tratta de discorsi seri. La vedi, quellache sventola? È la bandiera. Dì: BANDIERA».«Dandèla».«Bravo. Bandiera tricolore»«Addèla ole».«Bravo. E adesso dì: eia eia alalà28».«Lallà».«Bravo. E tu, come ti chiami? Sarebbe ora, che imparassi il nome tuo.Sai tutti i nomi del mondo, e il tuo non l’impari mai. Come ti chiami?»«.....»«GIUSEPPE! Ripeti: GIUSEPPE!»Allora il fratellino si concentrò, in una durata suprema di ricerca edi conquista. E traendo un sospiro, con viso pensieroso disse:«Useppe29».«All’anima!! Sei un cannone, ahó! Pure la esse, ciài saputo métte!Useppe! Me piace. Più di Giuseppe, mi piace. Sai la novità? Io, perme, ti voglio chiamare sempre Useppe. E adesso monta. Si va via».E di nuovo a cavalluccio sulle spalle di Nino, si rifece di carriera30 lastrada indietro. Il ritorno fu più felice ancora dell’andata: giacché ilmondo, persa la sua prima emozione tragica, s’era fatto più confi-denziale. Esso era, in quella corsa di Nino, come una fiera di giostra:dove, per compiere la meraviglia delle meraviglie, fecero la loro ap-parizione, uno dopo l’altro, due o tre cani, un somaro, vari veicoli,un gatto, ecc.«I!... i!...» gridava Giuseppe (ovvero Useppe), riconoscendo Blitz intutti gli animali quadrupedi che passavano, saltellanti, erranti31 otrainanti, e magari perfino nei veicoli a ruote. Donde Ninnuzzu pre-se occasione per arricchirgli ancora il dizionario con le parole auto-mobile (momòbbile) e cavallo (vavallo); finché, stufo per oggi di farglida maestro, lo lasciò alle sue creazioni di fantasia.

da E. Morante, La storia, Mondadori

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28. eia, eia, alalà: esclama-zione di esultanza utilizza-ta dalle squadre d’azionenel periodo fascista.29. Useppe: il bambinopronuncia così il proprionome, cioè Giuseppe. 30. di carriera: di corsa, infretta. 31. erranti: che vagavano.

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COMMENTOCon il romanzo La storia, Elsa Morante fa rivivere quegli “umili” che era-no stati i protagonisti della narrativa ottocentesca, da Manzoni a Verga.Di essi la scrittrice racconta le vicende tragiche, segnate dal dolore e daldesiderio di giustizia: alla Storia ufficiale si contrappone ancora una vol-ta la storia con la “s” minuscola, cioè quella dei fatti quotidiani e appa-rentemente di poca importanza. I protagonisti non sono infatti né eroi néfigure importanti, bensì persone che fin dalla nascita sono vittime di undestino avverso e crudele. La storia di Ida è un susseguirsi di sventure edifficoltà di ogni genere, prima fra tutte la dolorosa vita del piccolo Giu-seppe, malato di epilessia. Dopo aver perso il primogenito in un tragicoincidente, Ida perde anche il secondo figlio. Rimasta sola, la donna im-pazzisce di dolore: dopo nove anni troverà finalmente pace nella morte.Nel brano che hai letto il piccolo Giuseppe è ancora nel mondo privile-giato della prima infanzia e si avvia alla conquista dello spazio circo-stante, del linguaggio, e tutto ciò che vede gli appare pieno d’incanto.Trascorre le giornate invernali in casa, attratto dai semplici oggetti incui si imbatte quotidianamente: le lampadine, il mobilio, l’acquaio o al-cuni scarafaggi che spuntano all’improvviso dal muro della cucina. Uni-ca visione del mondo esterno è quella offertagli dalla finestra, che di-venta un magico schermo su cui può ammirare estasiato la pioggia, lerondini o un raggio di sole che, filtrando dai vetri, crea strane ombre.Un bel giorno però, durante una passeggiata con il fratello Nino, quel-lo spazio gli si rivela in tutta la sua straordinaria varietà. Persone, ani-mali, oggetti animano quell’universo sconosciuto che Giuseppe divoracon gli occhi incantati e innocenti di chi si affaccia per la prima voltaal mondo reale, le cui insidie gli sono ancora ignote.

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1. La prima conquista dello spazio da parte di Giuseppe si svolge in casa. Cosa attira maggiormen-te la sua attenzione?

2.Un giorno di primavera Nino decide di uscire con il fratellino e, accompagnati dal cane Blitz, idue si avviano verso quella che per Useppe sarà un’esperienza meravigliosa. Cosa prova il bam-bino vedendo per la prima volta un prato? Quali sono le sue sensazioni?

3. Cosa dice la scrittrice riguardo al ritorno a casa dei due ragazzi? Come lo definisce?

4.Nino ha un grande ascendente su Useppe, che lo adora e lo ammira. Qual è, secondo te, l’atteggia-mento di Nino nei confronti del fratellino?

5.Useppe ha una vera e propria adorazione nei confronti di suo fratello. Trascrivi la frase del testoche ti sembra possa riassumere meglio questo suo atteggiamento.

6. L’autrice si sofferma spesso sui particolari; ad esempio, la descrizione dell’abbigliamento “primave-rile” ed “estivo” di Useppe è piuttosto dettagliata. Riscrivila con parole tue.

7. Come si conclude il brano? Quali espressioni usa la scrittrice per descrivere la felicità di Useppe?

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Antonio Tabucchi

Bentornato, Monteiro RossiSiamo a Lisbona nell’estate del 1938; il Portogallo, come altri Paesi,è dominato da un regime fascista. Il dottor Pereira, un anziano gior-nalista vedovo e solitario, conosce per caso il giovane rivoluzionarioMonteiro Rossi, che è impegnato nella lotta clandestina insieme allafidanzata Marta. Pereira diviene amico dei due ragazzi e ha occasio-ne di aiutarli, anche se inizialmente più per affetto che per scelta po-litica. Marta e Monteiro scompaiono, ma una sera Pereira sente suo-nare alla porta…

Salve, dottor Pereira, disse una voce che Pereira riconobbe, sono io,posso entrare? Era Monteiro Rossi, Pereira lo fece passare e richiu-se subito la porta. Monteiro Rossi si fermò nell’ingresso, aveva inmano una piccola borsa e indossava una camicia con le manichecorte. Mi scusi dottor Pereira, disse Monteiro Rossi, poi le spiegotutto, c’è qualcuno nel palazzo? La portiera è a Setúbal1, disse Perei-ra, gli inquilini del piano di sopra hanno lasciato l’appartamentosfitto, si sono trasferiti a Oporto2. Crede che mi abbia visto qualcu-no?, chiese affannosamente Monteiro Rossi. Sudava e balbettavaleggermente. Credo di no, disse Pereira, ma cosa ci fa qui, da dovearriva? Poi le spiego tutto, dottor Pereira, disse Monteiro Rossi, maora avrei bisogno di fare una doccia e di cambiarmi la camicia, so-no esausto. Pereira lo accompagnò in bagno e gli dette una camiciapulita, la sua camicia color kaki3. Le starà un po’ larga, disse, mapazienza. Mentre Monteiro Rossi faceva il bagno, Pereira si recònell’ingresso davanti al ritratto di sua moglie. Avrebbe voluto dirglidelle cose4, sostiene, che Monteiro Rossi gli era piombato in casa,per esempio e altre cose anco-ra. Invece non disse niente, ri-mandò la conversazione a piùtardi e ritornò in salotto. Mon-teiro Rossi arrivò affogato nellacamicia larghissima di Pereira.Grazie dottor Pereira, disse, so-no esausto, vorrei raccontarlemolte cose ma sono proprioesausto, forse avrei bisogno difare un pisolino. Pereira lo con-dusse in camera da letto e steseuna coperta di cotone sulle len-

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Antonio Tabucchi

Antonio Tabucchi, nato presso Pisa nel1943, è un importante studioso di let-teratura portoghese e vive tra l’Italia eil Portogallo. Docente universitario,narratore, traduttore, critico e saggi-sta, ha scritto numerose opere di nar-rativa tra cui alcune raccolte di rac-conti (Il gioco del rovescio, Piccoliequivoci senza importanza, Sogni di so-gni) e i romanzi Piazza d’Italia, Nottur-no indiano, Sostiene Pereira, La testaperduta di Damasceno Monteiro, Si stafacendo sempre più tardi.

1. Setúbal: città del Porto-gallo, vicina a Lisbona.2. Oporto: importante cittàe porto sulla costa setten-trionale portoghese.3. color kaki: colore inter-medio tra il rossastro e ilcolor sabbia.4. Avrebbe … cose: in con-seguenza della sua vita so-litaria, Pereira ha l’abitudi-ne di parlare con la foto-grafia della moglie morta,alla quale comunica tutti isuoi pensieri.

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zuola. Si sdrai qui, gli dis-se, e si tolga le scarpe,non si metta a dormirecon le scarpe perché ilcorpo non riposa, estia tranquillo, lasveglierò io più tar-di. Monteiro Rossi sicoricò e Pereira chiusela porta e ritornò in sa-lotto. Mise da parte lenovelle di Camilo CasteloBranco5, prese di nuovoBernanos6 e si mise a tradur-re il resto del capitolo. Se nonpoteva pubblicarlo sul «Li-sboa»7 pazienza, pensò, magaripoteva pubblicarlo in volume, al-meno i portoghesi avrebbero avuto

un buon libro da leggere, un libro serio, etico, che trattava di pro-blemi fondamentali, un libro che avrebbe fatto bene alla coscienzadei lettori, pensò Pereira.Alle otto Monteiro Rossi dormiva ancora. Pereira si recò in cucina,sbatté quattro uova, vi mise un cucchiaio di mostarda di Digione eun pizzico di origano e di maggiorana. Voleva preparare una buonaomelette alle erbe aromatiche, e forse Monteiro Rossi aveva una fa-me del diavolo, pensò. Apparecchiò per due nel salotto, stese unatovaglia bianca, mise i piatti di Caldas da Rainha8 che gli aveva re-galato il Silva9 quando si era sposato e sistemò due candele su duecandelieri. Poi andò a svegliare Monteiro Rossi, ma entrò piano nel-la stanza perché in fondo gli dispiaceva svegliarlo. Il ragazzo era ri-verso10 sul letto e dormiva con un braccio nel vuoto. Pereira lo chia-mò, ma Monteiro Rossi non si svegliò. Allora Pereira gli scosse ilbraccio e gli disse: Monteiro Rossi, è l’ora di cena, se continua adormire non dormirà questa notte, sarebbe meglio che venisse amangiare un boccone. Monteiro Rossi si precipitò giù dal letto conl’aria terrorizzata. Stia tranquillo, disse Pereira, sono il dottor Perei-ra, qui è al sicuro. Andarono in salotto e Pereira accese le candele.Mentre cuoceva l’omelette offrì a Monteiro Rossi un paté in scato-la che era rimasto nella dispensa, e dalla cucina chiese: che cosa leè successo, Monteiro Rossi? Grazie, rispose Monteiro Rossi, graziedell’ospitalità, dottor Pereira, e grazie anche per i soldi che mi ha

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5. Camilo Castelo Branco:narratore portoghese di fi-ne Ottocento.6. Bernanos: Georges Ber-nanos è uno scrittore fran-cese di ispirazione cattoli-ca dei primi del Novecento.7. Lisboa: è il giornale peril quale Pereira scrive.8. Caldas da Rainha: picco-la città portoghese dove siproducono caratteristicheceramiche decorate.9. il Silva: è un amico me-dico di Pereira.10. era riverso: era distesosulla schiena.

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mandato, me li ha fatti recapitare Marta11. Pereira portò in tavolal’omelette e si sistemò il tovagliolo intorno al collo. Dunque, Mon-teiro Rossi, chiese, cosa succede? Monteiro Rossi si precipitò sul ci-bo come se non mangiasse da una settimana. Piano, così si strozza,disse Pereira, mangi con calma, che poi c’è anche del formaggio, emi racconti. Monteiro Rossi ingoiò il boccone e disse: mio cugino èstato arrestato. Dove, chiese Pereira, alla pensione che gli avevo tro-vato io? Macché, rispose Monteiro Rossi, è stato arrestato in Alen-tejo mentre cercava di reclutare gli alentejani12, io sono sfuggito permiracolo. E ora?, chiese Pereira. Ora sono braccato13, dottor Perei-ra, rispose Monteiro Rossi, credo che mi stiano cercando per tuttoil Portogallo, ho preso un autobus ieri sera, sono arrivato fino alBarreiro, poi ho preso un traghetto, dal Cais de Sodré fino a qui so-no venuto a piedi perché non avevo soldi per il trasporto. Qualcu-no sa che è qui?, chiese Pereira. Nessuno, rispose Monteiro Rossi,nemmeno Marta, anzi, vorrei comunicare con lei, vorrei dire alme-no a Marta che sono al sicuro, perché lei non mi manderà via, verodottor Pereira? Lei può restare qui tutto il tempo che vuole, risposePereira, almeno fino a metà settembre, fino a quando non ritorne-rà la Piedade, la portiera dello stabile che è anche la mia donna diservizio, Piedade è una donna fidata, però è una portiera e le por-tiere parlano con le altre portiere, la sua presenza non passerebbeinosservata. Beh, disse Monteiro Rossi, di qui al quindici settembremi troverò un’altra sistemazione, magari ora parlo con Marta. Sen-ta, Monteiro Rossi, disse Pereira, lasci perdere Marta per ora, fin-ché lei è a casa mia non comunichi con nessuno, se ne stia tranquil-lo e si riposi. E lei cosa fa, dottor Pereira, chiese Monteiro Rossi, sioccupa ancora dei necrologi e delle ricorrenze14? In parte, risposePereira, ma gli articoli che mi ha scritto sono tutti impubblicabili, liho messi in una cartellina in redazione, non so perché non li buttovia. È tempo che le confessi una cosa, mormorò Monteiro Rossi, miscusi se glielo dico così in ritardo, ma quegli articoli non sono tuttafarina del mio sacco. Come sarebbe a dire?, chiese Pereira. Beh,dottor Pereira, la verità è che Marta mi ha dato una buona mano, inparte li ha fatti lei, le idee fondamentali sono sue. Mi pare una cosamolto scorretta, replicò Pereira. Oh, rispose Monteiro Rossi, non sofino a che punto, ma lei, dottor Pereira, lo sa cosa gridano i nazio-nalisti spagnoli15?, gridano viva la muerte16, e io di morte non soscrivere, a me piace la vita, dottor Pereira, e da solo non sarei maistato in grado di fare necrologi, di parlare della morte, davvero nonsono in grado di parlarne. In fondo la capisco, sostiene di aver det-to Pereira, non ne posso più neanch’io.

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11. Marta: la fidanzata diMonteiro Rossi.12. Alentejo ... alentejani:l’Alentejio è una regionedell’entroterra portoghese,i cui abitanti si erano ribel-lati alla dittatura di Salazarche, nel 1932, aveva in-staurato nel paese un go-verno autoritario, restandoal potere fino al 1968. 13. sono braccato: mi dan-no la caccia, mi stanno in-seguendo.14. necrologi … ricorrenze:il dottor Pereira è respon-sabile delle pagine cultu-rali del «Lisboa», e pertan-to si occupa anche degliarticoli che vengono scrit-ti quando muore un perso-naggio di rilievo o in occa-sione di avvenimenti e ri-correnze importanti.15. nazionalisti spagnoli:è una delle due fazioniprotagoniste della guerracivile scoppiata in Spagnanel 1936, conclusasi conla sconfitta delle forze re-pubblicane e l’instaurazio-ne della dittatura del ge-nerale Francisco Franco.16. viva la muerte: viva lamorte.

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Era caduta la notte e le candele diffondevano una luce tenue. Nonso perché faccio tutto questo per lei, Monteiro Rossi, disse Pereira.Forse perché lei è una brava persona, rispose Monteiro Rossi. Ètroppo semplice, replicò Pereira, il mondo è pieno di brave perso-ne che non vanno in cerca di guai. Allora non lo so, disse Montei-ro Rossi, non saprei proprio. Il problema è che non lo so nean-ch’io, disse Pereira, fino ai giorni scorsi mi facevo molte domande,ma forse è meglio che smetta di farmele. Portò in tavola le ciliegesotto spirito e Monteiro Rossi se ne fece un bicchiere pieno. Perei-ra prese solo una ciliegia con un po’ di sugo, perché temeva di ro-vinare la sua dieta.Mi racconti come è andata, chiese Pereira, cosa ha fatto fino a orain Alentejo? Abbiamo risalito tutta la regione, rispose MonteiroRossi, fermandoci nei luoghi sicuri, nei luoghi dove c’è più fermen-to17. Scusi, interloquì Pereira, ma suo cugino non mi sembra la per-sona adatta, io l’ho visto una volta sola, ma mi sembrava un po’sprovveduto, direi un po’ tonto, e poi non parla nemmeno il porto-ghese. Sì, disse Monteiro Rossi, ma nella vita civile fa il tipografo,sa lavorare con i documenti, non c’è nessuno meglio di lui per fal-sificare un passaporto. E allora avrebbe potuto falsificare meglio ilsuo, disse Pereira, aveva un passaporto argentino e si vedeva a unmiglio di distanza che era falso. Quello non lo aveva fatto lui, obiet-tò Monteiro Rossi, glielo avevano dato in Spagna. In conclusione?,chiese Pereira. Beh, rispose Monteiro Rossi, a Portalegre18 abbiamotrovato una tipografia fidata e mio cugino si è messo al lavoro, ab-biamo fatto un lavoro con i fiocchi, mio cugino ha confezionato unbel numero di passaporti, una buona parte li abbiamo distribuiti,altri sono rimasti a me perché non abbiamo fatto in tempo. Montei-ro Rossi prese la borsa che aveva lasciato sulla poltrona e vi infilòla mano. Ecco quello che mi è rimasto, disse. Mise sulla tavola unpacchetto di passaporti, dovevano essere una ventina. Lei è pazzo,mio caro Monteiro Rossi, disse Pereira, gira con quella roba in bor-sa come se fossero caramelle, se la trovano con questi documentilei fa una brutta fine.Pereira prese i passaporti e disse: questi li nascondo io. Pensò dimetterli in un cassetto, ma gli parve un luogo poco sicuro. Alloraandò nell’ingresso e li infilò di piatto nella libreria, proprio dietroal ritratto di sua moglie. Scusa, disse al ritratto, ma qui nessunoverrà a guardare, è il posto più sicuro di tutta la casa. Poi ritornò insalotto e disse: si è fatto tardi, forse sarebbe meglio andare a letto.Io devo comunicare con Marta, disse Monteiro Rossi, è in pensie-ro, non sa cosa mi sia successo, magari pensa che hanno arrestato

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17. fermento: agitazione,subbuglio, tumulto.18. Portalegre: città por-toghese vicina al confinecon la Spagna.

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anche me. Senta, Monteiro Rossi, disse Pereira, domani a Marta te-lefono io, ma da un telefono pubblico, per stasera è meglio che leistia tranquillo e se ne vada a letto, mi scriva il numero di telefonosu questo foglio. Le lascio due numeri, disse Monteiro Rossi, senon risponde a uno risponde sicuramente all’altro, se non rispon-de lei personalmente chieda di Lise Delannay, è così che si chiamaora. Lo so, ammise Pereira, l’ho incontrata in questi giorni, quellaragazza è diventata magra come un cane, è irriconoscibile, questavita non le fa bene, Monteiro Rossi, si sta rovinando la salute e orabuonanotte.Pereira spense le candele e si chiese perché si era messo in tuttaquella storia, perché ospitare Monteiro Rossi, perché telefonare aMarta e lasciare messaggi cifrati, perché entrare in cose che non loriguardavano? Forse perché Marta era diventata così magra che sul-

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le spalle le si vedevano due scapole; sporgenti come due ali di pollo?Forse perché Monteiro Rossi non aveva un padre e una madre chepotevano dargli ricovero? Forse perché lui era stato a Parede e il dot-tor Cardoso gli aveva esposto la sua teoria sulla confederazione del-le anime19? Pereira non lo sapeva e ancora oggi non si saprebbe ri-spondere. Preferì andarsene a letto perché l’indomani voleva alzar-si presto e organizzare bene la giornata, ma prima di andarsi a cori-care si recò un attimo nell’ingresso a dare un’occhiata al ritratto disua moglie. E non gli parlò, Pereira, gli fece solo un affettuoso ciaocon la mano, sostiene.

da A. Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli

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COMMENTONella narrativa di Tabucchi il caso sembra avere un ruolo centrale. An-che nel romanzo Sostiene Pereira è dall’incontro casuale con il giovanerivoluzionario Monteiro Rossi che inizia la lenta presa di coscienza delprotagonista. Quando poi Monteiro viene ucciso, in casa di Pereira, dasicari del regime, l’anziano giornalista sembra improvvisamente risve-gliarsi dall’apatia e capisce che è giunto il momento di condividere lasorte di un intero popolo che soffre sotto la dittatura. Decide così di“vendicare” l’amico e, al tempo stesso, di riscattarsi da anni e anni tra-scorsi nell’accettazione passiva dell’insopportabile situazione del suoPaese. L’impegno, la lotta costeranno sacrificio e comporteranno peri-coli, ma restituiranno al protagonista una ragione per vivere. Con Sostiene Pereira, Tabucchi lascia una preziosa testimonianza di im-pegno civile alle giovani generazioni, spesso accusate di non porsi inun confronto costruttivo e critico con il passato e di non avere, quin-di, coscienza del loro tempo.Nelle pagine che hai letto, Pereira rivede Monteiro Rossi. Il giovane ri-voluzionario suona alla porta del vecchio giornalista, che già l’ha aiuta-to, sicuro di poter contare nuovamente su di lui. E così è: senza capirefino in fondo perché, Pereira prova un grande affetto per il ragazzo e loaiuta, pur sapendo che così corre gravi rischi. Pereira è un personaggio malinconico, sofferente e problematico. La suavita è fatta di abitudini, la calma con cui si muove e parla rivela quel-l’atteggiamento di rassegnazione che fino all’incontro con Monteiro Ros-si ha dominato il suo modo di essere. Ma già in queste pagine l’anzianogiornalista ha fatto una scelta, decidendo di agire. La frattura con il pas-sato emerge anche dal rapporto con il ricordo della moglie morta, versola quale sembra progressivamente assumere un atteggiamento di distac-co. Pereira si lascia dunque il passato alle spalle e capisce che il presen-te richiede il suo impegno, perché solo attraverso l’impegno civile puòvivere coscientemente il proprio tempo e realizzare le sue più alte aspi-razioni di uomo.

19. Parede … anime: qual-che settimana prima, Pe-reira si è recato a Parede,un luogo di cura, dove ave-va conosciuto un medico,il dottor Cardoso, secondoil quale le anime degli uo-mini fanno parte di un tut-to unico; di conseguenzaPereira ha cominciato a in-terrogarsi sulla propria vitasolitaria e a farsi coinvol-gere di più dai problemidegli altri.

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1. Come reagisce Pereira quando vede Monteiro Rossi sulla porta?

2. Cosa fa Pereira, dopo che Monteiro Rossi è andato a dormire?

3. Cosa racconta Monteiro Rossi al suo risveglio? Metti nel giusto ordinele sequenze del racconto, inserendo nei quadratini un numero progres-sivo.a. ha preso un autobus, poi un traghetto ed è arrivato lì a piedi perché non aveva più soldi �

b. suo cugino si è messo al lavoro ed ha confezionato un bel numero di passaporti falsi �

c. suo cugino è stato arrestato nella regione dell’Alentejo �d. ha risalito tutta la regione dell’Alentejo, fermandosi nei posti più sicuri �

e. gli sono rimasti i passaporti falsi �

4. Nel brano compare l’immagine della moglie di Pereira, rappresentatadalla fotografia con cui l’anziano giornalista abitualmente conversa.Come si comporta di fronte a tale fotografia all’inizio e alla fine delbrano? Come cambia il suo atteggiamento?

5. Qual è la preoccupazione principale di Monteiro Rossi? Con chi vorreb-be mettersi in contatto?

6. Perché Pereira può ospitare Monteiro senza problemi fino alla metà disettembre? Chi è Piedade?

7. Che lavoro fa il cugino di Monteiro? In che modo aiuta gli oppositorial regime fascista che si è instaurato in Portogallo?

8. Monteiro Rossi dà a Pereira due numeri di telefono. Perché? Cosa devefare Pereira?

9. Dopo aver spento le candele per andare a dormire, Pereira si pone unaserie di domande. Cosa si chiede?

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Negli ultimi decenni del Novecento si manifestano nuove esperienze e nuo-ve sperimentazioni in campo letterario: qualcosa di analogo, e in misura for-se maggiore, si verifica anche in ambito artistico, dove si alternano e si so-vrappongono le più diverse proposte creative, come dimostrano gli esempiriportati in queste due pagine. Ad esempio, si afferma la Land Art (arte del-la terra), un’esperienza artistica provocatoria e polemica che utilizza gli ele-menti del paesaggio (boschi, deserti, ecc.) per creare figurazioni suggestive,ma anche la Body Art (arte del corpo), che invece utilizza il corpo umano co-me soggetto artistico. Si deve poi alla Minimal Art e all’Arte Povera la scoper-ta e l’impiego di materiali nuovi, poco costosi e facilmente reperibili, comeferro, cemento, acciaio. Si registra però, allo stesso tempo, anche un ritor-no all’arte figurativa e realistica del primo Novecento.

Renato Guttuso, Il caffè Greco, 1976Fra le varie esperienze artistiche che caratte-rizzano questi anni, alcune risultano semprelegate a un’arte figurativa e realistica, comele opere del pittore siciliano Renato Guttuso.Impegnato politicamente, entrò negli anniQuaranta nella Resistenza e lavorò prevalen-temente a Roma. Nelle sue opere è sempreevidente l’interesse per la rappresentazionedella vita quotidiana colta nei suoi aspettipiù vitali, come si vede in questo dipinto incui è rappresentato un famoso caffè romano,frequentato da artisti e scrittori.

Jannis Kounellis, Margherita di fuoco, 1967Per la realizzazione di questa margherital’artista greco si è servito di ferro smaltato,plexiglas e di una bombola a gas che per-mette alla fiamma di uscire dal centro delfiore. Quest’opera, che propone un confron-to tra natura trasposta nell’arte e oggettoconcreto, non è che una delle numerose ma-nifestazioni tipiche degli anni Sessanta.

Percorsi di artecontemporanea

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Christo, Costa impacchettata, 1969L’artista bulgaro Christo, che negli anni Cinquanta impacchettava gli oggetti realizzandooriginali sculture, ha trasportato su vasta scala le sue operazioni, raggiungendo risulta-ti riconducibili alla Land Art. L’artista infatti interveniva sul paesaggio, avvolgendolo congiganteschi teli di stoffa e plastica.

Alberto Burri, Il viaggio, 1979-1980Le opere sottostanti, che fanno parte di un ciclo unitario, devono essere considerate co-me un riepilogo dei mezzi espressivi e dei materiali usati dall’artista Alberto Burri. Sitratta per lo più di materiali poveri: vecchi sacchi laceri, tele ammuffite, legno e plasti-ca bruciata, ferri, acrilico.

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L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare riguardo le illustra-zioni riprodotte nel presente volume.