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P P ALERMO migliaia di ragazzi sotto l’Albero Falcone Noi ci crediamo Periodico dell’Associazione di Volontariato Onlus VOCI DI DENTRO per promuovere la solidarietà a favore dei detenuti e per il loro reinserimento sociale Anno VII Numero 17 - Giugno 2012

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Comune di Chieti

Come aiutare Voci di Dentro versamento su c/c postale n° 95540639c/c bancario IBAN:IT-17-H07601-15500000095540639Per il contributo del 5 per milleil codice fiscale è: 02265520698

N. 17 - GIUGNO 2012Periodico di cultura, attualità, cronaca dalleCase Circondariali di Chieti, Pescara, Vasto,

Lanciano edito dall’Associazione “Voci di Dentro” [email protected]

Redazione: via De Horatiis 6 - Chieti

Direttore responsabile: Francesco Lo Piccolo

Art Director: Mario D’Amicodatri - CSV Chieti

Impaginazione: Cristian Di Marzio

Revisione testi: Giuliana Agamennone, MasciaDi Marco

In redazione: Ciro Improta, Nicola Paradiso, Da-niele Baldini, Elian Osman, Ermanno Orsini

Laboratori di scrittura, giornalismo e informa-tica a cura di: Giuliana Agamennone, Silvia Civi-tarese Matteucci, Mascia Di Marco, Francesco LoPiccolo, Ivano Placido, Alessandro Fusillo

Stampa: TECNOVADUE viale Abruzzo 232, Chieti

Registrazione Tribunale di Chietin. 9 del 12 /10/2009

Voci di Dentro è un’associazione di volontariato senza fini dilucro che opera nelle Case Circondariali di Chieti, Pescara, Vastoe Lanciano. Lo scopo è quello di promuovere la solidarietà afavore dei detenuti e agire per il loro reinserimento.Voci di Dentro è iscritta al registro delle Onlus. Organizza in-contri, convegni, iniziative di sensibilizzazione sociale comespettacoli teatrali e altro, attività di formazione all’interno eall’esterno del carcere.

I progetti di Voci di dentro anni 2011 e 2012 (labora-tori di scrittura in carcere, Liberamente, digitalizza-zione Vocabolario abruzzese, corsi di informatica perdetenuti in articolo 21, ecc.) sono realizzati grazie allequote dei soci, ai contributi volontari di privati e conil sostegno di:

La realizzazione grafica di questo numero èdi Cristian Di Marzio uno dei detenuti chesta seguendo i corsi di informatica presso lanostra sede in via De Horatiis n. 6 a Chieti

I disegni di pagina 16, 18 e 24 sono di CarloDi Camillo (Cadica)Le illustrazioni di pagina 37 e della IV di co-pertina sono di Daniele Baldini e Elian Osman

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Sulla nostra prima pagina de-dicata a Falcone e Borsellino inoccasione del ventennale dellastrage di Capaci abbiamo di-scusso a lungo. Per alcuni pren-dere le parti dei giudici è appar-so quasi un controsenso visto chenon sono pochi quelli che si ri-tengono vittime di ingiustizie e

nello Stato vedono spesso un nemico. Eppure, quando unodei detenuti che fa parte dei nostri laboratori ha spiegatola sua posizione e ha rivelato che lui crede nello Stato e chequando ci fu la strage di Capaci era in auto e si è fermatoa piangere, quando ha detto che oggi quei due simbolisono usati anche da chi li ha mandati a morte … e che sonosimboli per lavarsi la coscienza, allora più che mai è diven-tato giusto mantenere la copertina pensata all’inizio.E dunque noi ci crediamo all’impegno dei Falcone e deiBorsellino e dei tanti che hanno dato la vita contro le mafie.Noi siamo per la legalità dove la parola legalità non è unmodo di dire, ma significa rispetto dell’altro, significa li-bertà e giustizia. Perché noi sappiamo bene che non siamoaffatto liberi se siamo vittime del ricatto di un mafioso checi impone il pizzo; non siamo liberi se non c’è giustizia. Noicrediamo nei diritti inviolabili dell'uomo e nel principio chetutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali da-vanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lin-gua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni per-sonali e sociali. Noi crediamo nella legalità nelle fabbriche,nei cantieri, nei tribunali; noi crediamo nella legge che nonè la legge del più forte, ma è la legge che rispetta le per-sone sempre e ovunque. E che è uguale per tutti e che deveessere applicata allo stesso modo per tutti nessuno esclu-so. Noi crediamo nella legge al servizio delle persone e nondel mondo degli affari o del potere politico; noi crediamoche la legge debba essere al servizio della migliore convi-venza.Crediamo che il marchio dell’ex detenuto non sia un mar-chio a vita, e che la parola pregiudicato non debba esseredi ostacolo al lavoro e al reinserimento nella società; cre-diamo che debba essere punita ogni violenza fisica e mo-rale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà; chel'imputato non è considerato colpevole sino alla condan-na definitiva; che le pene non possono consistere in trat-tamenti contrari al senso di umanità e devono tendere allarieducazione del condannato; che non è ammessa la penadi morte. Noi crediamo nella legalità e nella giustizia den-tro il carcere. Noi crediamo che nelle carceri debbano es-sere garantiti come diritti la socialità, l’esercizio della pro-pria confessione religiosa, l’alimentazione, l’igiene personale,le misure alternative, i colloqui, i permessi, lo studio. Noicrediamo che non è legalità rinchiudere 8 persone in celleda 4 per 20 ore al giorno o che non ci sia l’acqua calda o ilriscaldamento d’inverno. Noi crediamo che non è legalitàche in carcere ci siano oltre 13 mila persone in attesa di giu-dizio di primo grado.Noi crediamo che legalità significhi interrogarsi su chi sonoi detenuti e per quali ragioni finiscono in carcere. Legali-tà significa sapere come vi entrano, come vivono e comeescono. Legalità significa impegnarsi per una società mi-gliore.

Francesco Lo Piccolo

S“L’Italia è un Paese mera-viglioso, che in ogni ango-lo propone umanità, impe-gno, dedizione. Ma è ancheun Paese al quale la violen-za - subita e agita - non èpurtroppo estranea. Ce lodicono i tanti omicidi didonne, gli scontri negli stadi,il difendersi da soli con learmi, la presenza invasivadi cosche mafiose, il nostrotollerare, come nel casodelle carceri, situazioni chenon possono che lasciarespazio a comportamentiviolenti, l’aderire all’ideache i conflitti internazio-nali si risolvono con le armie non con la diplomazia.Dobbiamo ancora lavorareper espellere la violenza dalnostro modo di essere e dipensare, nell’unica manie-ra possibile, ovvero non con-siderandola mai una ri-sposta efficace ai problemidi ognuno di noi, del nostroPaese e del mondo”.

Agnese Moro

volte il mondo degli adulti scivolafacilmente nei luoghi comuni: “Lecommemorazioni? Vista una, vistetutte”! Ma a Palermo, il 23 mag-gio, questo luogo comune non vale.Non si commemorano le vittimedella mafia con un atteggiamentodi rimpianto verso qualcuno chenon c'è più.

A Palermo si svolge una grande festa, per-ché i giudici Falcone e Borsellino e tuttigli uomini e le donne che hanno un nome(come ha sottolineato Don Ciotti, Presi-dente di Libera) e che sono stati uccisi in-giustamente sono più che mai vivi e pre-senti nella società italiana. E lo hannodimostrato meravigliosamente le miglia-ia di giovani che hanno gridato con forzala loro voglia di vivere in una società piùgiusta. E chi come noi ha avuto la fortu-na di entrare in questo “bagno di folla”rigenerante si è accorto che qualcosa stadavvero cambiando in questa nostra Ita-lia “in crisi”: i palermitani, che davanti alloscorrere del corteo, qualche anno fa, ri-manevano dietro le serrande chiuse a guar-darlo passare, oggi hanno il coraggio diaffacciarsi alle finestre, di sventolare i tri-colori. E dall'anno scorso a questo, che èun anno importante perché è il ventesi-mo dalla strage di Capaci, i lenzuoli bian-chi appesi alle finestre e ai balconi sonoraddoppiati, segno che la cultura della le-galità sta prendendo piede, si fa largo nona spintoni ma pacificamente, con la forzadelle idee, tra la gente comune. I giova-ni, con il loro entusiasmo, sono stati “Ca-paci” di trasformare un evento, che avreb-be potuto essere solo una formalità, inuna “trasfusione” di nuovo sangue, riccodi valori e ideali. Sulla Nave della Legali-tà partita da Civitavecchia, noi dell'IPSIA“Pomilio” di Chieti abbiamo stretto le-gami con giovani di tutta Italia: Bolzano+ Novara + L’ Aquila + Chieti + Padova +tante altre città, una somma significativacon un denominatore comune: legalità.Le nostre foto sorridenti, “taggate” suicomputer di tutta Italia, continuerannoa testimoniare la voglia di sentirci unitiper un unico ideale. Possiamo ancora spe-rare e lo diciamo perché sotto il magnifi-co “albero Falcone”, tra le migliaia di per-

sone, c’era accanto a noi una persona anziana, allaquale non abbiamo avuto il coraggio di chiedere chifosse. Quando però alle note del Silenzio, suonate dallatromba alle 17.58, i suoi occhi si sono riempiti di lacri-me, ci è sembrato di conoscerla da sempre…

La consulta studentesca dell’IPSIA “U. Pomilio” di Chieti

In viaggio con la Legalità

PRIMO

A

I ragazzi della consulta studentesca e i docenti dell’IPSIA che hanno partecipato alviaggio con il magistrato Pietro Grasso e don Luigi Ciotti fondatore del gruppo “Abele”

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"... Di sana e robusta Costituzione: le re-gole e la giustizia” è stato il titolo dell’in-contro che si è svolto lo scorso 17 febbra-io presso la Casa Circondariale di Chieti,ospiti i professori e una settantina di stu-denti dell'Istituto Commerciale per Geo-metri Manthoné di Pescara, e organizza-to nell'ambito del laboratorio "DallaCostituzione alla legalità: riscoprire e ri-costruire valori" avviato dall'Area Peda-gogica dell'Istituto e che coinvolge 35 de-tenuti. Relatori dell’incontro gli avvocatiMarco Alessandrini e Mauro Morelli. L'avvocato Morelli, rifacendosi al principioenunciato all'art. 54 della nostra Carta Co-stituzionale (tutti i cittadini hanno il do-vere di essere fedeli alla Repubblica, di os-servare la Costituzione e le leggi) haevidenziato come il rispetto delle regolenon è una mera esecuzione di obblighi im-posti dall'alto spiegando che non c'è pos-sibilità di espressione senza regole. In que-sto senso sono stati esaminati i valorifondamentali della libertà, della solida-rietà e dell'uguaglianza, per arrivare a di-mostrare che questi valori dipendono dallacapacità della società di darsi delle regoledemocratiche e di rispettarle. "Penso chela legalità si basi sul rispetto delle perso-ne, delle professioni e della verità. Se vo-lessimo sintetizzare in cosa deve caratte-rizzarsi una società che crede nella legalità,credo che essa debba fondarsi sul rispetto.Rispetto della magistratura, del potere po-litico, degli insegnanti ecc.".“Credo che la legalità - ha aggiunto - debbaessere per tutti uno stile di vita. È impor-tante che siano i giovani ad esprimersi, per-ché oggi dobbiamo ascoltare loro, dob-

biamo ascoltare i vostri messaggi per recepirlie per fare in modo di tradurli in atti con-creti perché la legalità non è soltanto par-lare di legalità, ma è soprattutto metterlain pratica, con comportamenti corretti per-ché solo così costruiamo un mondo mi-gliore". L'intervento è stato prezioso anche per ap-profondire i temi della reazione giusta, nelsenso di positiva e costruttiva, dinanzi al-l'ingiustizia, del superamento della logicadell'odio (ricompensa del male con altro

male) e del rispetto delle vittime del reato.Può sembrare esagerato, però partecipandoa questo convegno e tenendo conto dellamia turbolenta vita, ho pensato alla lega-lità come ad una necessaria fiducia nelloStato, basata su regole fondamentali che

si tramutano in senso di consapevolezza,appartenenza e responsabilità nei con-fronti della società stessa.Una domanda attanaglia la mia mente:nella nostra società c'è davvero questosenso di responsabilità? Credo che non esi-sta solo una forma di responsabilità: esi-stono quella morale, penale, civile, politi-ca, ma tutte si intersecano in quella giuridica.Riportare la società a diversi livelli di re-sponsabilità è necessario per ripristinarela giusta scala di valori al suo interno per-ché i principi costituzionali sono impor-tanti, che è come dire che le cose si devo-no fare nel miglior modo possibile; la scaladei valori non deve essere considerata unobbligo, ma una qualità ed anzi un'op-portunità.Interessante il dibattito al termine delle re-lazioni. Molte sono state le domande sullagiustizia e sulla funzione della pena, anchein relazione ai principi costituzionali e allasituazione di sovraffollamento delle car-

ceri. E molti gli interrogativi sul significa-to della detenzione, sul rispetto delle re-gole e sull'opportunità di cambiare stile divita. Ma il cambiamento, così come la ma-turazione per i giovani, non può venire –io credo - da un obbligo: è necessario tra-

smettere i valori ed educare dando conti-nui esempi di comportamento, quindi nonsolo con le parole. Voglio aggiungere che,a mio avviso, la questione più inquietantedella crisi della legalità è connessa nontanto agli effetti giuridici di comporta-menti dei singoli soggetti, famiglie o im-prese, ma agli effetti sulla vita delle per-sone. "Cosa succede se faccio una cosa?Non lo so". C'è una noncuranza per le con-seguenze delle azioni che si compiono sullapropria vita, su quella delle famiglie, dellacollettività, e questa noncuranza si tramutain un malessere per tutti. Concludo: ciò cheregge la legalità è la forza di ognuno di noinel portare avanti i valori in cui crediamo.

Nicola Paradiso – Chieti

PIANODi sana e robusta Costituzione

La direttrice della Casa Circondariale diChieti Giuseppina Ruggero con gli avvo-cati Marco Alessandrini e Mauro Morelli

Penso che la legalita’si basi sul rispettodelle persone, delle pro-fessioni e della verita’

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«Legalità è il rispetto e la pratica delleleggi. È un'esigenza fondamentale dellavita sociale per promuovere il pieno svi-luppo della persona umana e la costru-zione del bene comune». Sono parole diun documento del 1991 della Chiesa ita-liana. Legalità non sono, quindi, solo i ma-gistrati e le forze di polizia, a cui dobbia-mo riconoscenza e rispetto. Legalitàdobbiamo essere tutti noi. Legalità è responsabilità, anzi correspon-sabilità. Legalità sono quei beni confisca-ti alle mafie e destinati a uso sociale. Perquella legge "Libera" raccolse, quindicianni fa, un milione di firme. Legalità sono il pane, l'olio, il vino, la pastache produciamo nelle terre confiscate allemafie. Tremila giovani sono arrivati dal-l'Italia e dall'estero, durante le vacanzeestive, per dare una mano, volontaria-mente una mano per formarsi, per ap-profondire! Legalità è l'attenzione ai fa-migliari delle vittime innocenti delle mafiee ai testimoni di giustizia. Sabato erava-mo a Terrasini, in provincia di Palermo,con 400 famigliari. Persone che hannoavuto la forza di trasformare il dolore inimpegno e chiedono tre cose: giustizia,verità, dignità. Ci hanno guidato per lestrade di Milano, lo scorso 21 marzo: era-vamo in 150mila. Con loro è nata nel 1995la "Giornata della memoria e dell'impe-gno". Legalità sono quei percorsi che Li-bera anima in oltre 4500 scuole, quei pro-tocolli firmati con circa il 70% delleuniversità. E poi i progetti con le istitu-zioni e il ministero, il concorso "Regolia-moci", la collaborazione con la "nave dellalegalità", la globalizzazione dell'impe-gno: la presenza di "Flare - Libera inter-nazionale", in 35 paesi. «La mafia teme lascuola più della giustizia. L'istruzione ta-glia l'erba sotto i piedi della cultura ma-fiosa» diceva Nino Caponnetto. Non puòesserci legalità senza uguaglianza! Nonpossiamo lottare contro le mafie senzapolitiche sociali, diffusione dei diritti e deiposti di lavoro, senza opportunità per lepersone più deboli, per i migranti, per ipoveri. Legalità sono i gruppi e le asso-ciazioni che si spendono ogni giorno perquesto. Legalità è la nostra Costituzione:il più formidabile dei testi antimafia. Lemafie e ciò che le alimenta – le ingiusti-zie, i vuoti istituzionali, l'illegalità, la cor-ruzione, gli abusi di potere - si sconfiggo-no solo costruendo una società più giusta. legalità che è sempre un mezzo, mai unfine. Il fine è la giustizia sociale. Ecco per-ché non possiamo parlare di legalità senzaporre prima la questione dell'uguaglian-za. Una legalità senza uguaglianza - deidiritti e dei doveri, dei cittadini di frontealla legge - mina il legame sociale e ac-centua le distanze culturali ed economi-che. È l'uguaglianza il fondamento della

legge, non viceversa. La legge viene dopole persone e deve essere per tutte le per-sone. Di leggi fatte per pochi o incapacidi trovare il giusto equilibrio tra sanzioneed inclusione, traregole e acco-glienza, abbiamopurtroppo mol-teplici esempi.Pensiamo soloalle leggi ad per-sonam o a certemisure sull'immi-grazione: espres-sioni di una lega-lità forte coideboli e debolecoi forti. Di unalegalità che nonè più strumentodi giustizia ma dipotere, e chespesso "legitti-ma" le proprieforzature stru-mentalizzando lepaure che essastessa contribui-sce a determina-re. A farne lespese - lo dimo-stra la composi-zione sociale dellenostre carceri -sono soprattuttoi "poveri cristi".Non si tratta certodi "giustificare" iloro reati, ma ri-conoscere che chivive ai margini,senza o conpoche opportu-nità, è più inclinea delinquere rispetto a chi invece è ga-rantito. E che combattere il crimine signi-fica innanzitutto combattere le ingiusti-zie sociali, la distribuzione ingiusta diredditi e risorse, il sempre più profondosolco che separa ricchezza e povertà. Lasicurezza nasce dall'estensione dei dirit-ti, cioè delle responsabilità. Sicuro è quelcontesto sociale dove ogni persona si senteaccolta e riconosciuta nella sua dignità,dotata dei mezzi materiali e culturali pervivere, lavorare, amare, coltivare sogni,sentimenti e passioni. Dove è persona li-bera, senza per questo dimenticare che lalibertà implica responsabilità, impegnoper il bene comune. Legalità è speranza. E la speranza si chia-ma "noi". La speranza è avere più corag-gio. Adesso. Il coraggio ordinario a cuisiamo tutti chiamati: quello di risponde-re alla propria coscienza.

don Luigi Ciotti

«Non posso dire ai miei ragaz-zi che l'unico modo d'amare lalegge è d'obbedirla. Posso solodir loro che dovranno tenerein tale onore le leggi da osser-varle quando sono giuste (cioèquando sono la forza del de-bole). Quando invece vedran-no che non sono giuste (cioèquando sanzionano il soprusodel forte) essi dovranno bat-tersi perché siano cambiate».

don Lorenzo Milani

Che cos'è per noi legalità

PRIMO

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Vengo da un quartiere di Napo-li, il noto “quartieri Spagnoli”,dove vi è la gente di alta classe egente che purtroppo ha fatto econtinua a fare trasgressioni, genteche non ha regole ed è sempreesclusa dalla società.Ma oggi dopo anni di carcere misono accorto che effettivamenteuna vita senza regole e senza va-lori mi hanno portato alla di-struzione della mia persona. Nonso se ci riuscirò a recuperare mestesso, però parto con ottimismoperché grazie all’aiuto che mi statedando, sono sicuro che porterò atermine questo mio obiettivo siadentro che fuori da questo isti-tuto e cioè il cambiamento ed ilrispetto verso gli altri e soprat-tutto valorizzare le piccolecose.Dico “valorizzare le piccolecose”, poiché io nella vita ho sco-perto che uno si può divertireanche senza l’uso di sostanze (èper queste che io mi trovo in que-ste condizioni). Uno si può diver-tire anche con una cena a casa conamici, una passeggiata con la pro-pria ragazza, una partita a pallo-ne, un film con amici al cinema,una pizza il sabato sera. Ricordoquando i miei nonni mi dicevanoche prima si divertivano senzasoldi ed infatti gli arresti erano dimeno rispetto ad oggi, poichéoggi i vizi sono tanti e si cominciaa rubare o spacciare e via di se-guito… da un certo punto di vistanon è che mi fa piacere che arre-stino la gente però se non ci fos-sero le leggi ossia le regole, noistaremmo nel caos totale, vivre-mo come nel mondo animale.

Maurizio Saporito - Chieti

Dal 25 febbraio, grazie a un bandodel Csv di Chieti, l’AssociazioneVoci di Dentro organizza presso

l’Ipsia Pomilio il progetto “Liberamen-te”, approfondimento sul diritto pena-le e sul mondo carcerario per sensibiliz-zare i giovani al rispetto delle regole, eabbattere pregiudizi e stereotipi, anche

con la promozione della cultura dell’as-sociazionismo e del volontariato. Il pro-gramma: primo incontro il 25 febbraio

con la relazione del pro-fessor Luigi Orsini su “Di-ritti e Doveri”; secondoincontro: dibattito con glistudenti dopo la visionedel film “Bronx”; nel terzoincontro, il 5 maggio, lapsicologa Giuliana Aga-mennone e l’avvocato Da-vide Galasso hanno par-lato di disagio giovanilee del processo penale mi-

norile. Altri incontri sono in programmail 29 settembre con la Presidente del Tri-bunale di Sorveglianza de L’Aquila LauraLongo e il 15 dicembre con gli interventidi Francesco Lo Piccolo e Silvia Civitare-se Matteucci. Agli incontri hanno presoparte e sono intervenuti alcuni detenu-ti in articolo 21 che hanno raccontato leloro esperienze di vita con lo scopo di farconoscere il mondo dietro le sbarre e av-viare un percorso di riflessione e riela-borazione sui comportamenti sociali eantisociali, sulle mancate informazionie occasioni di crescita.

test imonianze. . .

PIANO

Liberamente

Mi chiamo Mauriello Gennaro re-sidente a Napoli e sono nato aScampia, quartiere ben conosciu-to sia per la sua criminalità e siaper il suo mercato di vendite didroghe e dove io non ho mai co-nosciuto la vita nel rispetto dellalegalità e dei valori della Costitu-zione. Ma ho avuto dei valori eprincipi sempre sani anche se poisono cambiato perché nel cresce-re volevo apparire agli occhi deglialtri quello che non ero, per cui hoiniziato ad usare le sostanze stu-pefacenti finendo poi a trovarmiin un tombino senza luce e senzauscite e così mi sono perso nonavendo più dignità di me stesso.Ma voglio comunque dire che hoavuto degli ottimi genitori e que-sto anche se mio padre viveva dicriminalità e che lo ha portato amorire nel 1992 a 3 metri davantia me fuori da un bar ma non di in-farto ma sotto una pioggia di pro-iettili. E così da allora ho distruttola mia vita trascurando tutto ciòche stava intorno a me. Per fortu-na che qui in questo carcere di Chie-ti ho trovato un’ottima equipe chemi ha permesso di frequentare icorsi sulla legalità e ora mi incan-to e mi incuriosisco perché per mesono cose nuove, come ad esem-pio quando nella prima seduta digruppo abbiamo fatto un giocodove si doveva scegliere tra i va-lori della vita ai quali dare più im-portanza e questi valori erano lalibertà, la famiglia, i figli, la pacenel mondo. Capisco ora che il va-lore più importante è accettarsiper come si è, che bisogna averepiù autostima nel senso di non per-dere mai di vista i nostri obiettivima guadagnandoli con sacrificio.

Gennaro Mauriello - Chieti

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Negli ultimi due anni si sono ve-rificati numerosi suicidi nel no-stro paese. Non persone conforti problemi psicologici mapersone normalissime come im-prenditori o operai. Il fattorescatenante è la crisi economicache sta attraversando il mondooccidentale, parliamo di per-sone che dopo aver dovuto ef-fettuare tagli sulla forza lavo-ro hanno comunque visto fallirele loro società e per di più hannoperso tutto. Per tutta rispostac’è chi ha detto che sono piccolinumeri, pochi casi in confron-to ai suicidi che si sono registratiin Grecia. Ma è una risposta chenon mi convince in alcun modo:anche una sola vita umana haun valore inestimabile e nondovrebbe essere tollerato inuna società “civile”. Ma perqualcuno evidentemente siamosolo numeri inseriti nello sche-ma della domanda e offerta.Ma così non è. Quando si veri-ficano fatti del genere una so-cietà evoluta dovrebbe riflet-tere. È vero, un mestiere o unimpresa possono andare benecome andare male, ma quelloche hanno perso queste perso-ne è la speranza nel domani. E’questo che fa paura: tutto ciòscaturisce dal fatto che non sisentono tutelati dalle autorità

che al momento ci sobbarcanodi tasse e per il resto fanno spal-lucce o ci prendono in giro gra-zie anche alla maggior partedei media che ci illustrano datistatistici che in realtà sono pro-iezioni del nulla perché nessu-no sa in realtà cosa ci prospet-ta il futuro. In ultima analisi nonci resta che rimboccarci le ma-niche e sperare che tutto mi-gliori. Un detto recita finché c’èvita c’è speranza.

Aniello Casillo - Lanciano

La speranzala speranza è una cosa buona, forse la migliore delle cose...e le cose buone non muoiono mai! dal film “Le ali della libertà”

La speranza II - Gustav Klimt

sguardo sul

ispetto ai ministri chel’hanno preceduta, il mi-nistro Paola Severinosembra avere maggior-mente a cuore il proble-ma della giustizia italia-na. Nella società odiernasono tanti i problemi ela battaglia del ministroè vista da noi come un’

impresa titanica, partendo dal presupposto che la si-tuazione sociale è molto difficile. Dalla manovra co-siddetta lacrime e sangue si può dedurre che il paese

sarà costretto ad affrontare un periodo di sa-crifici che oseremmo dire simili a quelli patitinel primo dopoguerra. Questa situazione avràsicuramente un effetto domino su tutte le clas-si sociali, nessuna esclusa. La crisi vissuta da den-tro si rispecchia inevitabilmente su quella dellagiustizia, con tempistiche dei processi este-nuanti, il sovraffollamento delle carceri e l’ine-vitabile lentezza della macchina della giusti-zia in generale. Per quanto le due realtà, quelladi dentro e quella di fuori, possano sembrarecosi distanti tra di loro, sono invece collegateintrinsecamente da un unico comune deno-minatore: il calo di valori nella nostra società.Basta l’esempio che ci viene dall’ex presiden-te del consiglio che ci ha lasciato in panne traun bunga bunga e l’altro, in mezzo a chi si nutredi pane e precariato, e con la triste immaginedel pensionato costretto a fare taccheggio alsupermercato per mangiare. Noi crediamo chealcune categorie siano determinanti per usci-re da questa crisi, e i giovani sono una di que-ste. Occorre un maggiore impegno, dal quale

nessuno può esserne escluso, perché tutti siamo coin-volti. Pensiamo all’arte ad esempio, a questa impor-tantissima forma di espressione che non è immune daquesta crisi. Gli artisti del passato rappresentavano ildisagio sociale attraverso le loro opere, facendo sì chele opere stesse diventassero la soluzione di quei pro-blemi, cosa che oggi non accade più. Purtroppo il con-sumismo sfrenato e la ricerca affannosa del profittostanno mangiando dall’interno la nostra società, e ilritratto che maggiormente rappresenta tutto questoè il volto presente nell’urlo di Munch. Con una com-pleta angoscia, con la paura di pensare a cosa potràaccadere, siamo talmente paralizzati dal futuro in-certo che non riusciamo più a credere in noi stessi. Nonabbiamo più fiducia nelle nostre capacità e lo dimo-stra il fatto che utilizziamo nel nostro linguaggio co-mune il punto di vista di qualcun altro. Non andiamoa fondo nell’informazione e il risultato è che su qual-siasi argomento ascoltiamo sempre le stesse versionidei fatti. Ci comportiamo come se fossimo delle amebe,come se non avessimo più la capacità di pensare. Cre-diamo di essere svegli ma in realtà dormiamo ad occhiaperti. Occorre fare un passo indietro, perché la veracrisi è in noi stessi. Occorre risvegliare le nostre co-scienze e proporre un cambiamento invece di cullar-si sulla parola crisi, senza lasciare che il pensiero er-rato di qualcun altro ci influenzi. Bisogna credere nelleproprie capacità, e non importa se alla fine non riu-sciremo a risolvere i problemi, magari sbaglieremoanche, ma almeno avremo sbagliato seguendo un no-stro punto di vista e chissà che cosi facendo alla finenon miglioreremo noi stessi e di conseguenza il mondo.

Aniello Casillo e Pierpaolo Rago* – Lanciano*Pier Paolo Rago è uscito il 29 marzo dopo 9 mesi

di reclusione ed è in attesa di giudizio

La

cris

i den

trod

i noi

rmondoe banche hanno fallito.Il loro sistema ha crea-to una crisi devastanteper tutto il mondo. Que-sto sistema bancario che,non troppo lontano daoggi, segnava vinciteiperuranie in ogni mer-cato affaristico, nello

stesso momento stroncava spietatamente chi sba-gliava e chiedeva mutui con interressi che gra-dualmente sono diventati colossali. La soluzionepiù facile per molti è stata quella di andare inbanca e chiedere mutui per poter andare avan-ti. Ma, i lavori non sono più garantiti perché, come

i nostri politici dicono, lavoro fisso non cisarà più e cambiare lavoro ogni tanto (perloro sempre) è saggio. Beato chi lo trovaoggi questo lavoro. La verità è che nonavevamo capito che siamo noi ad ali-mentare questo sistema bancario. Ognu-no separatamente e tutti insieme gli ab-biamo preparato i pasti più lussuosi eipercalorici. E ancora, siamo stati dispostianche a sacrificarci sul suo altare. La be-stia è diventata gigantesca succhiando dicontinuo il nostro sudore quotidiano, lanostra fatica, i nostri sogni, ma anche i no-stri beni. Ed è stata anche aiutata a com-piere la sua opera malvagia da governi eda politici poco responsabili. Ma la colpaè nostra e solo nostra. A questo punto sicrea spontanea una domanda: se avessi-mo investito in altre banche e depositi di-versi il risultato sarebbe stato migliore ela nostra vita meno ansiosa e più felice?Sono convinto di sì. Per dare una rispostadevo dirvi che intendevo le banche deisentimenti! Sentimenti come amore eaiuto per il prossimo. La mia ricetta è que-sta: dai e al momento del bisogno ti saràdato. Non servono cifre assurde e non cisono prezzi fissi. Qualche volta basta unsorriso, una telefonata, una visita ina-

spettata, una parola dolce, buona o consolante.Se avessimo risparmiato i nostri “tesori” in que-sto tipo di banche quanto migliore sarebbe que-sto mondo! Quante guerre, sofferenze, carestieavremmo risparmiato se avessimo fatto quelloche è ovvio! Abbiamo indurito però i nostri cuorie infischiandocene abbiamo girato le spalle al bi-sogno del prossimo e così al momento del nostrobisogno non abbiamo più trovato aiuto. Dandola nostra fiducia alle banche e non ai depositi sen-timentali, loro hanno fallito e noi siamo diven-tati poveri, disoccupati, indebitati e più che maistanchi. Tutto può cambiare, non servono gran-di passi. Basta ricordare quello che disse l’apo-stolo Paolo nella Bibbia nella lettera indirizzataai Romani (cap.12 vers.21): “Vinci il male con ilbene”.Vasileios Chatzianastasiou (il Greco) - Pescara

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Qiil palazzo visto da qui

Qui ad Atene noi facciamo così. Quiil nostro governo favorisce i moltiinvece dei pochi e per questo vienechiamato democrazia. Qui ad Atenenoi facciamo così. Le leggi qui as-sicurano una giustizia eguale pertutti nelle loro dispute private, manoi non ignoriamo mai i meriti del-l’eccellenza. Quando un cittadinosi distingue, allora esso sarà, a pre-ferenza di altri, chiamato a servirelo Stato, ma non come un atto diprivilegio, come una ricompensaal merito, e la povertà non costi-tuisce un impedimento. Qui adAtene noi facciamo così. La libertàdi cui godiamo si estende anchealla vita quotidiana; noi non siamosospettosi l’uno dell’altro e non in-fastidiamo mai il nostro prossimose al nostro prossimo piace viverea modo suo. Noi siamo liberi, libe-ri di vivere proprio come ci piace etuttavia siamo sempre pronti a fron-teggiare qualsiasi pericolo. Un cit-tadino ateniese non trascura i pub-blici affari quando attende alleproprie faccende private, ma so-prattutto non si occupa dei pub-blici affari per risolvere le sue que-stioni private. Qui ad Atene noifacciamo così. Ci è stato insegnatodi rispettare i magistrati, e ci è statoinsegnato anche di rispettare leleggi e di non dimenticare mai chedobbiamo proteggere coloro chericevono offesa. E ci è stato ancheinsegnato di rispettare quelle leggi

non scritte che risiedono nell’universalesentimento di ciò che è giusto e di ciò cheè buon senso. Qui ad Atene noi facciamocosì. Un uomo che non si interessa alloStato noi non lo consideriamo innocuo,ma inutile; e benchè in pochi siano in gradodi dare vita ad una politica, beh tutti quiad Atene siamo in grado di giudicarla. Noinon consideriamo la discussione come unostacolo sulla via della democrazia. Noicrediamo che la felicità sia il frutto dellalibertà, ma la libertà sia solo il frutto delvalore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuo-la dell’Ellade e che ogni ateniese crescesviluppando in sé una felice versalità, lafiducia in se stesso, la prontezza a fron-teggiare qualsiasi situazione ed è per que-sto che la nostra città è aperta al mondoe noi non cacciamo mai uno straniero. Quiad Atene noi facciamo così.

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U na nuvolaglia si andava addensandosul cielo della politica italiana. Nonprometteva nulla di buono: certi che

la nottata fosse passata e alle prime avvisa-glie di una parvenza di normalità economi-co-finanziaria, i partiti già si stavano ringal-luzzendo. Più cheda un senso del do-vere erano spintida un più cheumano senso di rivalsa: ridimensionare i Pro-fessori per farli tornare lì, da dove erano ve-nuti. Fra gli studenti. Sarà stato però il caso,ma lo spread ha ripreso a salire e la Borsa a

traballare; prudentemente, come loro abi-tudine, i politicanti hanno rinfoderato le vel-leità e i tecnici continuano imperterriti a farei “tecnici”. E il Parlamento? Sordo e grigio,bivacco non di “manipoli” ma di accattoni eprofittatori, continua a latitare. E natural-mente approva. Una noia mortale. Scomparso dalla scena governativa Berlu-sconi e nonostante le artificiose polemichesull’art. 18, i giornali non sapevano più a qualesanto votarsi per riempire le pagine, i talkshow languivano a tal punto che uno dei piùnoti conduttori in piena diretta è stato sor-preso – per dirla alla Camilleri – con gli occhiche gli facevano pupi-pupi. Gli opinionistidelle varie estrazioni, per una volta tutti d’ac-cordo, stavano seriamente pensando di chie-dere l’inserimento in qualche categoria chegodesse di ammortizzatori sociali. I più fon-damentalisti premevano anche per una ma-nifestazione di protesta sotto i palazzi delpotere al grido di “fatece litigà, pure noi do-vemo da magnà!”. Altri, i più intraprendenti,avevano già avviato contatti con le varie tra-smissioni calcistiche dove la caciara è peren-ne e la lite garantita o con i talent show dellaDe Filippi per proporsi come giurati. Tantouna marchetta vale l’altra. Fortuna che ognicategoria può contare su un santo protetto-re e il miracolo nemmeno stavolta è manca-to: sono stati sufficienti i fattacci dei tesorierie dei tesori dell’ex Margherita e della Legaper tornare nella piena normalità. E ci risia-mo: l’indignazione monta, i moralisti mora-leggiano, i sondaggisti fanno affari d’oro, ilpopolino un po’ se la prende e parecchio sela ride. Intanto il Trota, figlio prediletto delgrande barbaro padano, dopo avere an-nunciato le sue dimissioni da consigliere re-gionale, le ha veramente date: tra l’altro fa-ceva la cresta anche sul carburante dell’autodel partito. L’ormai ex futuro erede di papàBossi se non altro passerà alla storia comeprimo politico italiano che abbia rinunciatoalla cadrega dopo una solenne sculacciata.Nel frattempo sul fronte della Margheritaspuntano altri milioni di euro sempre alle-gramente gestiti, ma i riflettori sono semprepuntati sul fronte Nord in pruriginosa atte-sa di novità su mance e crapulate varie. LaLega che del fare politica in maniera disin-teressata ne aveva fatto una bandiera è stata

affondata dalle sue stesse armi. Disorienta-ti i leghisti più puri e più duri hanno dato vitaalla serata dell’orgoglio padano che si è te-nuta a Bergamo e in un teatro che ha mo-strato molti buchi in platea c’è stata la reci-ta – pardon – il redde rationem della situazione.

E chi sperava in un gran-dguignolesco novello Piaz-zale Loreto, è andato de-luso, si è ripiegato come

al solito sul sacrificio per il dio Padus con lavittima lì, bell’e pronta: femmina – per il “ce-lodurismo” leghista è un’onta – nera, in odoredi stregoneria e per di più meridionale. Rosy

Mauro è stata espulsa. Tuttavia gli affari in-terni della Lega continuano a tenere bancoe alla disinvolta finanza della famiglia Bossicon qualche assegno protestato, il via vai diinvestimenti in terra d’Africa, diamanti, lin-gotti, auto, si sono aggiunti l’affitto pagatoa Calderoli per la casa sul Gianicolo e il di-sinvolto uso delle carte di credito del capo-gruppo leghista del Senato. Nel frattempoFormigoni si preoccupa di far conoscere alPaese la sua propensione per le vacanze digruppo, mentre Vendola è rimasto senza pa-role esattamente come Di Pietro del qualenon si hanno notizie.Di fronte a tutto questo ci si aspetta che dal-l’abbecedario della politica – Alfano, Bersa-ni, Casini – arrivino segni chiari ed inequivo-cabili sull’esistenza della politica stessa. Unsegnale è arrivato: incredibilmente tutti e tred’accordo, hanno dichiarato che al finan-ziamento mascherato da rimborso eletto-rale ai partiti non rinunceranno. E gli altriproblemi del Paese? Non si riesce ad andareoltre la solita fuffa delle scaramucce dialet-tiche. Insomma, i politici non si scaldano piùdi tanto: il lavoro sporco lo sta facendo Monti.“Ci pensassero loro ai problemi del Paese.Tanto noi comunque li votiamo”: questo paresia il pensiero che unisce l’ABC che sostieneil governo. Non bastasse quanto già acca-duto, sul fronte Lega si abbatte il dossier suMaroni. Al primo accenno della notizia, tuttele redazioni sono entrate in fibrillazione.L’euforia però dura poco: gli animi non si scal-dano, le polemiche non si accendono, glistracci non volano e, con la pratica che gliviene dalla sua non breve esperienza al Vici-nale, l’ex ministro degli Interni smascheral’inconsistenza dei documenti. Sono fuffa,frutto di fuffanteria di bassa “lega”. Anche i dossier non sono più quelli di unavolta! Insomma una noia. Ma ci pensa Grilloche annuncia il suo ingresso in politica noncon la discesa in campo, ma più semplice-mente scendendo dal palcoscenico e, in over-dose di sondaggi favorevoli, incomincia ascalpitare. Non bastassero i politici trasformati in co-mici, ora sono i comici che fanno la politica.E la satira, chi farà la satira? (marzo 2012)

Domenico Silvagni - Vasto

il palazzo visto da qui

Corruzione, malaffare, eva-sione fiscale, politici e im-prenditori scoperti con lamazzetta in mano. I datisono sempre più allarmanti,e dopo vent’anni da manipulite, la situazione sem-bra peggiore di prima. Ep-pure la ricetta c’è, in tanticasi funziona e ha funzio-nato. E per ottenere il ri-sultato spesso è bastatoinasprire le pene per certireati. Prendiamo ad esem-pio il contrabbando di si-garette. Lo Stato lo ha eli-minato in 24 ore: è statosufficiente imporre perlegge l’arresto dei con-trabbandieri. Sono scom-parsi e il contrabbando dibionde è finito. E lo stessoin questi anni è stato fattocontro la grande crimina-lità. In carcere, lo vediamocon i nostri occhi in questiultimi cinque anni sono fi-niti tantissimi pezzi da no-vanta della criminalità or-ganizzata. La situazione ètale per cui oggi quelli chesono rimasti fuori se nestanno fermi e nascosti.Con questo vogliamo dire che1) lo Stato negli anni passati (primadi cinque anni fa) ha fatto poco con-tro le grandi imprese criminali;2) che l’inasprimento delle penepaga.Ma il nostro ragionamento portaa una considerazione: che aspet-tano ad inasprire le pene per chievade il fisco? Che serve fare unapiccola multa? Che cosa si aspettaa fare come si fa in America per cuii cittadini Usa hanno più paura degliinvestigatori del fisco che della po-lizia? La nostra opinione è che bi-sogna punire pesantemente chinon paga le tasse, solo così lo statopuò recuperare l’evasione che è ar-rivata a 120 miliardi l’anno. Altroche nuove manovre finanziarie onuove tasse! Misure che vanno acolpire solo le fasce più deboli dellasocietà. E lo stesso vale per chi cor-rompe e si fa corrompere, per i po-litici e per gli imprenditori. Cari le-gislatori, aumentate le pene, avreterisolto un altro dei mali del nostropaese. (maggio 2012)

Eugenio Ferrazzo, Francesco Aquino,Aiello Casillo, Francesco Montella,Luigi Gallozzi - Lanciano

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o sul mondo

La solita fuffa

Il nostro paese èin perenne emer-genza: frane, al-luvioni, allaga-menti e nonultimi terremotie neve. Non tuttoperò è imputabi-le a fenomeni ec-cezionali e a cam-b i a m e n t iclimatici, pensoche la causa pri-maria di tutto ciòsia dovuta all’in-curia dell’uomo ealla disorganiz-zazione.

Era il sei maggio del 1976, quando,come tutti gli adolescenti del mio paese,stavo in strada a godermi le prime se-rate tiepide di primavera. Venzone,nel cuore della Carnia, con il suo pugnodi case, la chiesa e il forno, si stava pianpiano riprendendo dal lungo invernoe le alpi che la circondano iniziavanoa far scorgere i loro pendii carsici e ma-gnificamente brulli. Alle ventuno unintenso odore di gas saturò l’aria e im-pregnò le nari-ci, seguì il tetrorumore digrondaie fusti-gate dal ventoe mentre noiragazze ci sta-vamo chieden-do il perché dicosì strani fe-nomeni la terrainiziò a muo-versi. Nel ten-tativo di anda-re verso casapresi la manodella mia cugi-netta e mi ri-trovai perterra, in menche non si dicasordi rumori sidiffusero e lecase intorno siaccasciarono su se stesse come fosse-ro di carta. Nel buio totale sentivi cal-cinacci cadere ovunque finché un gran-de cancello cadde su di noiproteggendoci dai detriti ma seppel-lendoci sotto le macerie. Dopo un lasso

di tempo che sembrò eterno, laterra si calmò, attorno a me sen-tivo grida di aiuto, sommessi la-menti e pianti disperati, il ter-rore mi paralizzava ogni partedel corpo tanto che non riusci-vo nemmeno a piangere, senti-vo solo il battito forte del miocuore e della mia cuginetta chesotto di me mi alitava sul colloe si stringeva a me con tutte lesue forze tremanti. Dopo un at-timo di surreale quiete sentii inlontananza e attutita la voce dimamma che mi chiamava, segnoche era viva, poi altre voci e altrinomi si intersecavano in modoconfuso, le prime mani che cer-cavano di spostare i primi rude-ri. Mi calmai, cercai di fare unasommaria analisi delle nostrecondizioni fisiche, per miracoloniente dolori lancinanti, riusci-vamo a muovere ogni parte delcorpo senza forti dolori, perciòpensai di battere con insistenzail cancello sopra di me per atti-rare l’attenzione. Ma tutto sem-brava vano. Troppa era la con-

fusione in superficie, le voci dichi si aggirava senza meta allaricerca di ciò che rimaneva dellapropria casa sovrastavano i segnie i lamenti provenienti da noisepolti vivi, il rumore dei moto-

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La Torre di Finale Emiliafoto di Alebergamini dawww.juzaphoto.com

Terremoto in Friuli - 1976

Questo testo èstato scritto primadel terremoto cheha colpito l’EmiliaRomagna. Una tra-gedia che mette inluce i mali di sem-pre, dove le vitti-me sono i lavora-tori costretti adandare a lavorarein capannoni pe-ricolanti e co-struiti senza trop-pa attenzione allasicurezza. Come aL’Aquila.

Un paese in emergenza:

sguardo

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ri di grossi elicotteri che si sta-vano velocemente avvicinandodava a tutta quella situazio-ne una sinistra atmosfera diguerra. A questo avevo pen-sato fino a quel momento fin-ché non mi giunse una voceche gridava terremoto, macomunque per me, in quelmomento, le due cose anchese diverse per natura eranouguali negli effetti. La spe-ranza si alternava alla dispe-razione, alla paura, alla sete,non riuscivamo più ad averela cognizione del tempo, del-l’alternarsi del giorno e dellanotte. Era sempre buio e levoci andavano e venivano equando le sentivo più vicinebattevo le mani sul cancellopiù forte che potevo ma sem-brava che nessuno sentisse,che ci avessero dimenticati làsotto. Improvvisamente, duemani mi raggiunsero e ci aiu-tarono a uscire. Mi accorsi cosìche scendeva quasi una piog-gia autunnale, l’aria era fre-

sca e la giornataera uggiosa, mamai mi è sem-brata più bella.Mi guardai at-torno e vidi unpaesaggio luna-re, niente era piùcome prima, nes-suno stava al suoposto, vidi miamadre far capo-lino tra uominisconosciuti in uni-forme militare,vidi uomini edonne e bambi-ni scavare a maninude laddovestavano le cose,vidi disperazionee sgomento mavidi anche forzae orgoglio. Tre

giorni e due notti erano pas-sate, ritrovai tutta la mia fa-miglia, ma non tutti gli abi-tanti del piccolo paese, tuttoera raso al suolo e davanti anoi solo il vuoto. I primi ad ar-

rivare sono stati gli Americani della vi-cina base di Aviano che in poco tempoavevano montato tende, cucine dacampo, ospedali e portato l’acqua. Cifu una mobilizzazione impressionan-te da parte degli Alpini in servizio, cifu la sensibilità e la cooperazione disindaci operai, che smessi gli abiti deiburocrati imbracciarono le pale perfare la cosa giusta e dare l’esempio.Non ci furono proclami, non ci furonopellegrinaggi di pseudo politici, nonci furono grosse organizzazione sta-tali, non ci furono altisonanti nomi pre-posti alla coordinazione, c’era solo lavolontà di un popolo, abituato da sem-pre ad affrontare le distruzioni ma fer-mamente deciso a risorgere, comeun’Araba Fenice, da quel disastro. C’erala determinazione di gente di monta-gna abituata al lavoro duro e a fare dasola senza aspettarsi niente da nessu-no. Anni sono passati e tutto è ritor-nato come e meglio di prima di quel-la tragedia, in quei posti non c’è piùtraccia di quello che è suc-cesso se non nei ricordipersonali di chi ha vissu-to quei momenti. Mi sono riaffiorati questiricordi mentre al tele-giornale c’è la solita car-rellata di sindaci ben ve-stiti che piangonodisgrazia e che reclama-no aiuto allo stato per af-frontare l’ennesimo ca-taclisma. Tutto qua sembraemergenza, o megliotutto è emergenza, ogniavvenimento è invalidantee crea un blocco delle at-tività sociali ed economi-che. Quando venne il ter-remoto in Abruzzo io mitrovavo in una località dimare e gli alberghi dellacosta erano pieni di ter-remotati in attesa di so-luzione, tutti stavanoaspettando che le mace-rie venissero portate viada altri, che altri gli des-sero la casa e che altriprovvedessero ai loro bi-sogni. Ma come si puòpensare che altri faccia-no le cose per te? Posso-no collaborare ma io penso che il la-

voro grosso lo devi fare tu. E penso allanevicata di questo inverno: città bloc-cate, uffici chiusi, mille disservizi, paesibloccati. Ma come è possibile che suc-ceda questo? Certo ci possono essere dei rallenta-menti ma mai un fermo totale. Ep-pure la protezione civile si è mossa inforze per questa regione, milioni emilioni di euro sono stati erogati pro-Abruzzo. Forse in Friuli l’assenza di grossi entipreposti alla coordinazione del-l’emergenza è stato il nostro punto diforza, ci ha coesi e ci ha fatto tirarefuori lo stato di antica memoria.Forse i sindaci moderni si devono spo-gliare dei vestiti istituzionali e indos-sare le tute da operai, mettendo al ser-vizio dei cittadini che rappresentanonon solo competenza e conoscenza,ma anche e soprattutto lavoro e ab-negazione.

Sonia Gregoratti – Chieti

Il Terremoto de l’Aquila, 2009,in un disegno realizzato in car-cere a Chieti nel laboratorio diVoci di dentro

ieri e oggi a confronto

o sul mondo

Sono un detenuto greco ristretto (provvi-soriamente) nella Casa Circondariale di Pe-scara. Sono fiero e orgoglioso di essere ungreco, di far parte di questo popolo, di que-sta terra che ha creato principi, disciplineche si sono tramandate nel tempo e sonoarrivate fino ad oggi. In questa terra sononati uomini grandi che hanno aperto lastrada, con le loro idee, alla filosofia, allamedicina, alla democrazia, alla storia, alteatro, all’arte, alla scienza; poi c’è la lin-gua dolce e piena di termini che tutto ilmondo usa. Ultimi, ma non sottovalutati,arrivano i posti meravigliosi che cambian-do continuamente, mozzano il fiato con laloro bellezza e le innumerevoli isole pienedi persone accoglienti, col cuore sorriden-te come chiedeva anche il mitico Zeus. Inpoche parole questo è il paese che politicicorrotti e codardi hanno distrutto e umi-liato nel mondo, nascondendosi dietro laloro immunità, sicuri di essere intoccabili;hanno imbrogliato un popolo perché nonerano all’altezza del ruolo a loro richiesto.Non hanno avuto la forza e il coraggio dirisolvere i problemi che i loro antenati hannocreato. Non hanno avuto idee adatte perfar diventare di nuovo la Grecia lo Statoche era. Hanno trascurato problemi evi-denti sperando che si risolvessero da soli,come se bastasse lasciarsi tra le braccia diMorfeo (Dio dei sogni). Ma questi proble-mi non affrontati nel modo giusto e di-menticati, si sono accresciuti; in questomodo il loro volume ha assunto dimensio-ni gigantesche. Senza risolvere tempesti-vamente le criticità, la situazione si è fattadrammatica e per la loro incapacità, nonrisolvibile. L’eredità che hanno ricevuto (go-vernare questo paese) significa per lorosolo fama personale, lauti stipendi, anzi-ché patriottismo e amore per questa terra,per farla tornare famosa com’era. Nono-stante tutto sono fiducioso che la Grecia cela farà ad uscire da questa crisi. Credo checon le mosse giuste riusciremo a trovare ilnostro perduto orgoglio greco; togliendoquesto peso devastante dalle nostre spal-le e con la testa alta più che mai riusciremoa riaffermare la nostra così gloriosa pro-venienza senza vergogna.

Vasileios Chatzianastasiou (il Greco)Pescara

La Grecia e la crisi

Ogni anno 11 milioni di persone al mondo muoiono per malattie

legate alla povertà. Cosa pensereste se vi dicessi che la cioccolata

che mangiamo ogni anno è causa di sfruttamento dei minori? Che

direste se vi dicessi che Mc Donalds è uno dei maggiori responsa-

bile dell’emissioni gas serra? E ancora come possono le banche de-

cidere il destino di interi Stati? Molti farmaci che troviamo sul mer-

cato sono il risultato di vere e proprie sperimentazioni in cavie

umane inconsapevoli. Come vi sentireste se vi dicessi che marchi

come Nike, Adidas, Puma sono responsabili di sfruttamento dei

lavoratori e addirittura sono responsabili di alimentare un vero e

proprio commercio di schiavi? Come reagireste se sapeste che 1%

della popolazione mondiale possiede il 50% di tutta la ricchezza

mondiale? Chi sono i responsabili di questa situazione e perché

nessuno fa nulla per fermarli? Questo è molto altro lo scoprirete

leggendo il libro di Klau Wernrl dal titolo: “Il Libro che le Multi-

nazionali non ti farebbero mai leggere”.Aniello Casillo – Lanciano

Letture consigliate

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Caro Direttore,sono indignato, sdegnato. ina-sprito e irrevocabilmente in-cazzato.Da tempo si parla solodi miliardi di Euro il che, per unapopolazione che in maggio-ranza sopravvive ammini-strando i centesimi, forse rap-presenta una botta di vita checontribuisce a far rientrare 13milioni di Euro nell’ambito dellequisquilie e pinzillacchere. I co-mici-opinionisti si sono ovvia-mente scatenati sulla sparizio-ne di granparte deirimborsielettoralidella Mar-gherita e sono anche riusciti astrappare amari sorrisi che perònon hanno aiutato non dico acreare ma nemmeno a far spe-rare in un clima più serio ancheperchè da parte della Politicasarebbe stata scontata una rea-zione tempestiva, responsabi-le, dignitosa e soprattutto dura..Se identico reato, con medesi-mo bottino e stesse modalità,fosse stato consumato dal re-sponsabile amministrativo diuna qualsiasi semisconosciutaimpresa, non sarebbe manca-to un immediato mandato dicattura alla cui esecuzione avreb-bero presenziato gli inviati ditutti i più importanti Tg tem-pestivamente ed immancabil-mente informati. A quel punto,vista la mala parata, se il mal-capitato avesse candidamenteammesso la sua colpa e osatoventilare la richiesta del pat-teggiamento della pena con lacondanna a un anno di reclu-sione e la restituzione di menodella metà del malloppo con fi-deiussione bancaria, sicura-mente sarebbe scattata l’ulte-riore incriminazione per“Tentativo di presa per i fon-delli della Nazione” e, visto cheè tornata di moda, si sarebbeaggiunta l’aggravante dell’ol-traggio alla Bandiera con gliimmancabili richiami alla CartaCostituzionale che, visto chec’è, sarebbe opportuno smet-tere di “tirarla per la giacchet-ta”, parlarne un po’ meno asproposito e semmai attuarlanella sua interezza. Tutta. Talefattispecie di reato non è peròcontemplata nel Codice Pena-le – nemmeno Rocco nella sualungimiranza aveva immagi-

nato tanto – ma un Governotecnico e quindi decisionista eserio, con tempestivo DecretoLegge avrebbe dovuto sanarela lacuna aggiungendo l’ag-gravante dello Status di Parla-mentare della Repubblica Ita-liana e ovvia obbligatorietà delprocesso per direttissima -- maun processo“per direttissima”sul serio - e con la possibilità perogni cittadino di dichiararsiparte civile. Non si può impu-nemente prendere per i fon-delli l’intera Nazione.

Per il Sen. Luigi Lusi però nien-te di tutto ciò. Ammessa la suacolpa, per il post-Margheritinoe a questo punto ex DS le di-missioni sarebbero state op-portune e dignitose e invece ilSen Lusi rimane ben piantatosulla sua cadrega, mentre nei

suoi confronti fioccano dichia-razioni dolorosamente sde-gnate, prese di distanza, di-stinguo e i “sospetti di una zonagrigia nei bilanci del partito”.Zona grigia? Spariscono 13 mi-lioni di Euro con novanta bo-nifici e si parla di “zona grigia”?Anche il senso del ridicolo nonè più quello di una volta. Saremmo però una Nazionesenza futuro se nonostante tuttonon ci ostinassimo a sperare inuna moral suasion che spingao, alle brutte, costringa il Sen.Lusi a irrevocabili dimissioni im-mediatamente ratificate dal Se-

nato? Se di fronte alle emer-genze economiche nulla ciè stato risparmiato, è maipossibile che ci si fermi difronte al disorientamento

generato da simili inqualifica-bili episodi? Verrebbe da pen-sare che la moral suasion siastata invece attuata dal Sen.Lusi. Direttore, ti prego di scusarmima abuso del privilegio di po-termi esprimere attraverso lepagine di “Voci di dentro” persconfinare nel personale. Unaserie di reati commessi nell’ar-co di 5 anni con un bottino quan-tificabile in 8.500 Euro in granparte immediatamente rim-borsati, mi ha comportato unapena complessiva a 7 anni, 4mesi e 15 giorni di reclusione:2.690 giorni di carcere da scon-tare con annesse “pene acces-sorie” non contemplate da nes-sun regolamento e tuttaviapresenti e opprimenti. Un gior-no di carcere per 3,15 Euro. Con-tinuo a nutrire fiducia nelloStato e voglio continuare a spe-rare che la giustizia sommarianon appartenga alla Giustiziae a credere che “La Legge èuguale per tutti”. Lo sia.Adottato lo stesso criterio, ilSen Luigi Lusi, ridimensionatoa rango di normale cittadino,si troverebbe rinchiuso per iprossimi 11.306 anni, bisestilicompresi ma, come un qualsiasidetenuto. “In galera, in gale-ra!”. Ricordi? Era il tormento-ne di Bracardi nei panni del fe-derale fascista nell’indimenticabile “Alto Gradi-mento”. Demagogia? Ebbenesì. E allora, anche per evitareuna deriva sempre più perico-losa, il Sig. Lusi, tanto per co-minciare, se ne vada a casa. Al-meno lui di case ancora ne ha.Per ora.

Domenico Silvagni - Vasto

La politica italiana

Io ho 35 anni e una crisi cosinon l’avevo mai vissuta, vedodalla TV che tutto va male,non c’è nessun segno di ri-presa, la nostra nazione èinvasa da scioperi dal nordal sud ed è questo che mispaventa di più, queste ma-nifestazioni apparente-mente pacifiche in realtàsono sempre a rischio morto,come è successo con il bloc-co dei tir che manifestava-no sulle autostrade; li ilmorto ci è scappato.. i tas-sisti che non hanno aderi-to agli scioperi per portareil pane a casa..Che dire, que-sta crisi mi spaventa, si parlamolto di globalizzazionema di globale nel mondoc’è solo la crisi, la poveragente sempre più tassata, ipoveri pensionati che nonsanno come arrivare a finemese, visto che tutto au-menta e gli stipendi sonosempre gli stessi, io speroche tutto questo possa fi-nire al più presto e la situa-zione si aggiusti per potervivere nel migliore dei modi.

M. La Carbonara - Chieti

il caso Lusi

1 Giugno 1981, moriva Rino Gae-tano, cantante popolare di ori-gine calabrese, emigrato con lasua famiglia per trovare lavo-ro. Si stabilirono a Roma e luicominciò come muratore colti-vando la sua passione per la poe-sia e la musica.Nelle sue canzoni si parlavad’amore, di storie, di salari bassi,di ladri incravattati in auto blu,di prostitute, di disagi giovani-li, di reati di stato. Ma negli anni‘70 a parte i giovani studenti nelpieno delle loro rivoluzioni stu-dentesche, pochi capivano i suoitesti e li definivano incom-prensibili. Descriveva solo la si-tuazione politica sociale giova-nile del tempo, che è la stessadi oggi solo che sono passatiquaranta anni.Era un veggente? No, capiva chela classe politica del tempo nonera disposta a preoccuparsi delpopolo “salari bassi”, come nonlo è adesso. Anzi ora è peggio,quelli che ci governano non cipensano proprio.Un grandissimo saluto a chi con-tinuerà ad ascoltarti, perché... il cielo è sempre blu.

Fabio Costanzo - Chieti

il cielo e’ sempre piu’ blu

o sul mondo

“Se guardi bene ci sei anche tu” - Cadica

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Sono un grande tifoso del Pe-scara e voglio fare una piccolariflessione riguardo agli ultimiepisodi che si sono manifestatiin questa città, dopo l’uccisio-ne di un ultrà avvenuta per manodi un ragazzo di origine Rom.Nel contempo gli ultrà del Pe-scara hanno più volte marciatominacciosamente vicino ai quar-tieri caldi, chiedendo a gran vocel’espulsione dalla città di tuttala popolazione Rom. Pur essendo a tutti evidente ilmodus vivendi della maggiorparte di questa gente, per quan-to mi riguarda sono sempre statocontrario al principio che vedepagare tutti per colpa di pochi,e questo voler far di tutta l’er-ba un fascio ha nelle sue fon-damenta un sentimento discri-minante nei confronti del qualetutti dovrebbero mettere le maniavanti. Mi pongo questa do-manda: se la vittima fosse stataun ultrà di una tifoseria rivale,quelli del Pescara sarebbero scesiin piazza chiedendo l’espulsio-ne dei Rom? Posso capire chequando una tragedia ci toccada vicino, in noi possono nasceresentimenti di rabbia e di ven-detta, ma non saranno di certoquesti a onorare la memoria delnostro amico scomparso. Tut-tavia rimane il delitto ed è giu-sto che chi l’ha commesso debbapagare.

Cristian Di Marzio Chieti

Per me un essere umano che si re-puta razzista è una persona con di-sturbi mentali, che non riesce né acomunicare, né a condividere modidi vita diversi dal suo. Se poi il raz-zista è un uomo bianco che portaodio per un uomo di colore, dopoaverli schiavizzati, dopo essersi ap-propriato delle loro terre e delleloro risorse, sicuramente è lui cheha un problema. Che strano poi,che gli stessi che portano odio perle persone di colore nelle primegiornate di sole si mettono comelucertole al sole per diventare comeloro, o d’inverno si fanno le lam-pade o le docce abbronzanti.Antonio Idioma - Chieti

Marciaanti Rom

Il paradosso

Poche settimane fa Pescara èstata sconvolta da una tra-gedia cittadina; le cose sisono svolte così: un pe-scarese ha avuto un litigiocon un rom, il rom lo haminacciato di morte e al-cuni giorni dopo gli ancheteso un agguato; infinenell’inseguimento per sba-glio è stato ucciso il ge-mello del pescarese. La rea-zione è stata immediata eun gruppo di giovani di Pe-scara se l’è presa non conil responsabile, ma contutta la comunità rom. Sì,è vero, un ragazzo è statoucciso da degli scapestra-ti ma non si può demoniz-zare un intera comunitàper colpa di un singolo.Inoltre stiamo parlando diuna comunità che è stabi-le in questa zona da al-meno 65 anni, di personeche sono nate in Italia ecioè italiani di due- tre ge-nerazione. Quello che cidobbiamo chiedere è se ègiusto definire queste per-sone ancora dei rom e ali-mentare incomprensionio se al contrario si debbasmettere di cercare diffe-renze a tutti i costi invecedi trovare delle cose in co-mune? Secondo me le isti-tuzioni hanno l’obbligo disensibilizzare la coscienzapopolare e far capire chenon bisogna giudicare lepersone dalla provenien-za razziale, ma per quelloche sono e che fanno al-l’interno di una società.Certo, se infrangono lalegge devono essere pu-niti ma i singoli trasgres-sori non le loro comunità:uno stato civile deve abo-lire simili cose. Anche ledita della mano non sonotutte uguali non per que-sto ce le tagliamo per farletutte di una unica misura;solo uno sconsiderato pen-serebbe in questi termini.

La tolleranza è l’unica medicina. Aniello Casillo - Lanciano

Anche le dita di una mano non sono tutte uguali

sguardo sul mondo

Gli italiani non hanno più au-torevoli riferimenti politici etantomeno un partito a cuipoter dare cieca fiducia. So-stanzialmente gli uomini po-litici non sembrano avere piùuna cultura politica, e di con-seguenza c’è necessità di unarifondazione culturale ed etica.Nel nostro Paese, a mio avvi-so, stanno accadendo troppiepisodi che tendono a portarciindietro nel tempo: penso adesempio all’attentato del 1969alla Banca dell’Agricoltura diMilano. Ma veniamo all’oggi:agli attentati a Equitalia, ai sui-cidi di operai e imprenditori,al caso del corvo in Vaticanocon la diffusione di documen-ti rilevanti. Molti pensano checi sia il ritorno al terrorismo oalle stragi della mafia. Moltiesperti dicono che con questacrisi ci può essere il ritorno dimolte organizzazioni di tipoanarchico. Inoltre voglio ri-cordarvi cosa sta accadendonel nostro calcio con numero-si arresti di giocatori con l’ac-cusa di corruzione. E di fron-te a tutto quersto mi chiedoanche se le organizzazioni ma-fiose stiano cercando di far sen-tire la loro voce, mandando unsegnale a chi di dovere per-ché stanchi di subire numero-si sequestri di capitali e imprese.Insomma, sta tornando la stra-tegia del terrore come neglianni ‘90?

Ermanno Orsini

Cosa accadein Italia?

Fuori dalla finestra è ancora buio,è il posto dove indirizzo i mieipensieri, il posto che mi tormen-ta la notte. Il rintocco delle cam-pane mi avvisa che sarà una lungagiornata da carcere, tutto que-sto mi riempie di angoscia. Sonopassati ormai quattro mesi dalgiorno in cui ho sbagliato, e il mionon sapermi comportare nella so-cietà, mi ha portato a vivere que-sta mia prima esperienza in car-cere.La mia storia, il mio destino, pen-savo fosse stato scritto solo perme, ma mi accorgo che non è così.In questo posto è pieno di gentecome me cambiata da qualcosa,cambiata dal pensiero di non es-sere più indipendente. Al primotornante finiamo tutti fuori stra-da. Nel periodo dell’adolescen-za l’incontro, molto spesso il bi-sogno, di qualsiasi narcotico chepotesse alleviare il mio senso dicolpa. L’importante per me eracombattere, anche per pochi mi-nuti, i fantasmi del passato e quin-di andava bene qualsiasi aneste-tico che mi provocasse quellasensazione di non avere la mini-ma coscienza di quello che ero, odi quello che potevo essere.Se rifletto su quello che sono ora,e sul posto in cui mi trovo, o altempo che ho perso per starme-ne sempre spento, mi viene dapiangere, ma questo è il postomeno adatto per farlo. Non pen-savo che il carcere, con la sua re-clusione forzata, mi portasse a ri-flettere su tutto questo, alcontrario dei primi mesi, quandopensavo che avrebbe potuto di-struggere quel poco di buono chec’è in me. Il carcere può raffor-zarti o può spezzarti. Credo dinon essere mai stato cosi tantotempo da solo con me stesso. Cre-devo ci fosse il sole a scaldarti l’ani-ma, o almeno era quello che de-sideravo, e invece adesso sonorinchiuso in questa cella, mi ac-corgo che era sempre buio, e chequella ricerca affannosa delladroga non faceva altro che ge-larmi l’anima.

Marco Palma – Pescara

Solo con me stesso

“Le lacrime che ho pianto”Cadica

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Cesare Beccaria: “Uno dei più gran

freni dei delitti non è la crudeltà

della pena, ma la sua infallibilità”

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Chi sono i detenuti? Come ècambiata la popolazione car-ceraria dagli anni Ottanta aoggi? Come risolvere il pro-blema del sovraffollamento?Che fare perché in carcere siapplichi realmente l’articolo27 della Costituzione? Ne parliamo con Ettore To-massi, Comandante della casacircondariale di Vasto, caglia-ritano, una profonda cono-scenza dei carcerati visto chein trent’anni di servizio, dopoaver girato gli istituti della pe-nisola in lungo e il largo, daNapoli a Gragnano, da Bene-vento all’Ucciardone e a Pia-nosa, ha avuto modo di cono-scere alcune migliaia didetenuti.

“Il carcere è uno spaccato dellasocietà. Ovviamente, cam-biando la società cambia ancheil detenuto. Prima erano ingran parte italiani, e molti fi-nivano in carcere per reati con-tro il patrimonio, furti, scippio rapine. Di fatto era una de-vianza spesso dettata da esi-genze di sopravvivenza e ra-ramente (a parte le ovvieeccezioni) evidenziava carat-teri cruenti. Potremmo quasidire che era una figura piùumana. In definitiva visto chela società non era ancora in-vasa dai modelli negativi del-l’oggi, il “delinquente” di untempo non era ancora spintoal delinquere per appagarsidei nuovi vizi della società, miriferisco allo spaccio e al con-sumo delle droghe. Molto ècambiato con l’ingresso nelpaese di migliaia di stranieri;siamo diventati una societàmulti etica, nel bene e anchenel male. E in carcere sono fi-niti anche tantissimi stranieri.Fenomeno che ha innescatopicchi di sovraffollamento egravi problemi di gestione peril fatto che la maggior partedei detenuti stranieri non haalcuna risorsa economica pro-pria. Inoltre, i sempre più fre-quenti tagli ai capitoli di bi-lancio operati dall’Amministrazione penitenzia-ria hanno determinato un au-mento della sofferenza dellastruttura costringendo il per-sonale penitenziario ad in-ventarsi dei veri e propri arti-

fici pur di assicurare un minimo diconforto. Non dimentichiamo cheda 40 mila detenuti in pochi annisiamo passati a 70 mila, 30% deiquali sono appunto stranieri”.“Di fronte a questi mutamenti dellasocietà e della popolazione carce-raria non c’è dubbio che si deve ri-pensare al modello carcere. Il per-corso è indicato, da anni si parla dialternative alla carcerazione e digiustizia riparativa, ma come sivede dalle parole si tarda a passa-re ai fatti. La soluzione è un pattosociale tra comuni, province e re-gioni con l’istituzione carceraria.Un patto che preveda per coloroche hanno commessi certi reati diminor impatto sociale un percor-so diverso dalla carcerazione conuno sconto, ad esempio la metà

della pena per chi lavora per la so-cietà, per chi viene impegnato daiComuni nella cura del verde pub-blico, nella manutenzione dellestrade, eccetera. Solo così diamoun senso alle pena, che non diventasolo afflittiva, ma diventa ancheun modo perché chi ha commessoun reato “ripaghi” con il lavoro lasocietà e che sia anche occasionereale di recupero come recita l’ar-ticolo 27 della Costituzione. Senzadimenticare che così facendo si at-tenua il problema del sovraffolla-mento evitando che il carcere di-venti un ammasso di persone inozio a carico della società. E non ètutto, è anche necessario rivederelo strumento della liberazione an-ticipata sempre in chiave ripara-trice, concedendo a chi lavora adesempio altri 45 giorni ogni 6 mesi,in aggiunta agli attuali 45”.“Infine c’è da dire che il carcere èvecchio. Un carrozzone. A titolo diesempio basta guardare il parcomacchine, con furgoni che hannoanche dieci anni di vita e migliaiadi chilometri di strada. Ma è tuttoil sistema che è vecchio. Pensiamoalle cause in tribunale che costrin-gono agenti e detenuti a viaggia-re per il paese da nord a sud perpartecipare ai processi. E pensareche basterebbe usare le tecnolo-gie informatiche dotando carcerie tribunali di postazioni con webcam per le videoconferenze. Esi-ste per alcune tipologie di dete-nuti; perché non farlo per tutti?Risparmiando viaggi, spese di ben-zina, costi di personale”.

F. L. P.

Intervista a Ettore Tomassicomandante del carcere di Vasto

Come rivela l’ottavo rapporto di Antigone i reclusi allafine dello scorso anno erano 67.428 distribuiti in 206 isti-tuti con una capienza regolamentare di 45.817, in prati-ca 147 detenuti ogni 100 posti. Insomma: situazionegrave, non si riesce nemmeno ad ottenere l’effetto pla-cebo su questo malato cronico qual è il sistema carcera-rio italiano. Infatti, generalmente, prima che una rifor-ma possa essere attuata passano degli anni: quando siriesce ad applicarla è già superata dalla nuova realtà equindi è inutile. I detenuti, invece, hanno bisogno di fatticoncreti: sono anni che si sentono ripetere promesse supromesse, da troppo tempo si deludono le loro aspetta-tive; eppure, la gran parte della popolazione detenutaè sempre stata disposta ad una collaborazione costrut-tiva per raggiungere la vera finalità della pena: quelladel recupero dei condannati e del loro reinserimento. Èvero che vi è carenza di strutture, ma questi problemi

non possono impedire l’attuazione di una politica car-ceraria innovativa e risocializzante. Anzi, proprio perchéesistono determinati problemi si dovrebbe attuare conurgenza un piano di riforma per permettere al detenu-to di reinserirsi nella società. Non si può pensare al pro-gresso e al grado di civiltà di uno stato democratico se sitrascura il mondo carcerario che è rimasto indietro di de-cenni; come si fa a parlare di rieducazione e di reinseri-mento quando questi due mondi sono così distanti esenza la possibilità di dialogo? È evidente allora che lasoluzione di un problema così vasto deve venire dall’al-to. Se è vero che ognuno di noi deve dare il suo piccolocontributo perché si possa giungere alla soluzione è purvero che anche quelle persone autorevoli che hanno lafacoltà (e il dovere) di agire, dovrebbero decidersi a met-tere in pratica tutte le loro buone intenzioni, trasfor-mandole in decisioni concrete e soprattutto attuabili intempi brevi. Un altro problema sono poi i pregiudizi della gente neiconfronti del detenuto. Questi sussistono perché, trop-po spesso, gli organi di informazione diffondono sol-tanto episodi negativi, si contano solo i casi di violenzae di recidiva, ma mai si sente parlare di tutti quei dete-nuti che si sono reinseriti nel contesto sociale dopo averespiato la loro pena. Spesso si parla del detenuto comedi un individuo “diverso”, quasi venisse da un altro pia-neta. Ma si dovrebbe al contrario analizzare il suo pas-sato, scavare a fondo nella sua personalità, per capire,per correggerle le cause della sua devianza. In effetti egliè un uomo uguale a tutti gli altri, che può avere sbagliato,ma che non per questo si deve vedere negare la possi-bilità di una riabilitazione e di un reinserimento sociale.È certo che il carcerato ha bisogno di credere in qualco-sa, e in genere desidera ricostruire la sua vita nel mondopiù giusto possibile. È scontato dire che il lavoro è unodegli strumenti della rieducazione. Il più importanteforse. Ma il lavoro in carcere spesso è puro assistenziali-smo, è sempre fine a se stesso. La vera palestra della rie-ducazione è dunque il lavoro e la successiva occupazio-ne. Occorre pertanto, da un lato, dare giusta applicazionealle misure alternative alla detenzione già previste dal-l’Ordinamento (art. 21 e altro), nel contempo prevede-re l’introduzione di un sistema che realizzi sempre piùfrequenti contatti tra il carcere e la comunità esterna, alfine di trasportare le attività rieducative penitenziariein una dimensione di realtà e di effettivo interscambiocon il tessuto sociale. L’ex carcerato, così, si troverà giàreinserito, in grado di affrontare la vita di tutti i giornicome qualsiasi cittadino, senza subire quel “rifiuto” daparte della collettività che lo potrebbe ricondurre sui sen-tieri dell’asocialità e della recidiva. Il detenuto è stancodi sentire sempre e solo promesse, parole che volano viaal primo alito di vento contrario. Si deve fare quanto ènecessario per consentirgli delle effettive possibilità perun ritorno decoroso alla vita civile. La società non ha ildiritto di rifiutare questi uomini.

Nicola Paradiso Chieti

Le promesse non bastano

““lavoro fuori dal carcere: ecco lastrada perche’ la pena non sia soloafflittiva”

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E’ il momento di pensare al dopo. Acome sarà la vita fuori da questomondo. Perché la vita è un’altra e vo-glio dimenticarmi di questa avven-tura-carcere. Quattro inverni sonopassati; ho nascosto i miei pensieribelli e brutti e i miei ricordi e ho im-maginato troppe volte il mio futu-ro. Proprio questo: come sarà il miofuturo da ex carcerato? Ci vorrà deltempo ad abituarmi a rifare anchele piccole cose e i piccoli gesti quoti-diani come attraversare una stradasenza rischiare di finire sotto unamacchina, ma anche il mio futuro la-vorativo, il rapporto con le persone.Sarà come prima?, o porterò per sem-pre sulle spalle il peso di essere unex-carcerato? Additato dalla gentecome un delinquente quando in re-altà non sanno nemmeno come michiamo e quello che ho fatto, noncredo sarà facile trovare un onestolavoro. Aprire un conto in banca?Non credo sarà facile, ma non possonon pensare che ci sono anche moltepersone intelligenti che prima di espri-mere giudizi vorranno conoscermi,vorranno capirmi e magari vorran-no darmi una mano e offrirmi unanuova opportunità per ripartire. Infondo quello che dovranno valuta-re sarà la mia educazione, il rispettoche ho per le persone. Spesso mi ècapitato di parlare e scambiare opi-nioni con dei ragazzi che li chiama-no recidivi, e il problema che emer-ge è quello che nonostante la vogliae la volontà le strade fuori sembra-no inevitabilmente chiuse. Troppeporte sbattute in faccia, e sbattereuna porta in faccia a chi si trova inuna situazione di disagio e di debo-lezza il più delle volte fa ricadere nelvortice delinquenziale, come unicaàncora di salvezza, almeno fino aquando non ci si ritrova in qualchenuovo cubicolo.

Til Mirosliav – Chieti

uesto mio articolo è di monito pertanti ragazzi che come me s’imbar-cano in vie sbagliate distruggendocosì la loro vita o pagando prezzi al-tissimi. La mia storia ha inizio nel 1993,quando venni arrestato per aver com-

messo un grave reato. Oggi ho 44 anni e la miavita si è troncata a vent’anni. Entrando in que-sto mondo, con il cuore fra le mani, nella miatesta è esplosa una frase di Jim Morrison: la re-

altà è più assurda della fantasia. Chiu-so in cella cercavo di comprendere, maso che i perché senza risposta sono tut-tora inspiegabili. È stato tutto un tra-nello? O sono io un tranello? Mantie-ni la calma, mi ripetevo, sapendo chevivere l’attimo era la cosa più giusta dafare. L’attimo, infatti, l’ho vissuto e an-cora lo vivo, anche se spesso ha il sa-pore dell’eterno. Dopo quasi diciottoanni sono ancora in cella, dove il bagnoè cucina e camera da letto. È questa larealtà in cui ho vissuto il corso di que-st’agonia, è come vedere davanti aipropri occhi mille strade che portanotutte ad un’unica via, la via della morte.Questo pensiero pessimistico è fruttosolo di esperienze e riflessioni. Non miritengo non colpevole, in quanto reoconfesso, e ho accettato le mie re-sponsabilità, credendo in ciò che è giu-sto e in ciò che è sbagliato, ma chi puòdire quello che è idoneo in determi-nate situazioni, per far sì che la psichetrovi la saggezza d’intraprendere undomani migliore? Sono convinto chenon esiste l’uomo dal cuore duro, comenon esiste chi non ha un cuore. Ciò incui credo è la vita: vivere significa anchesoffrire, e il dolore può aiutare a com-prendere ciò che non si sarebbe mai ca-pito senza il dolore. Ma, avvenuta la ri-nascita, non c’è mondo pronto ad

accoglierti. Si vive nel ricordo dell’errore del pas-sato perché lo ritrovi negli occhi degli altri. Sonostato detenuto nel carcere di Pianosa (sezionemedia sicurezza) e in una delle mie solite pas-seggiate mattutine che non sono mai superioria 25 passi nella stessa direzione, ho gettato unapietra, e ho immaginato un meraviglioso mare!Se ora mi trovo a scrivere di me e delle sensazioniche ho vissuto in questi anni non posso fare altroche pensare che la pietra lanciata nella pozzan-ghera si sia davvero immersa, entrando in unmondo più protetto dai rumori e che, forse, potràvivere in un’emozione vera. Domani non cadràpioggia, e innamorato della vita continuerò lalotta verso la libertà, vincendo il frastuono diquesto silenzio che incombe e continua ad esplo-dere in un’enorme solitudine. Non bisogna men-tire su quello che sei stato.

Nicola Paradiso - Chieti

Una

vita

die

tro

le sb

arre

Mi chiamo Lorenzo, ho 26 anniho quattro figli, una mogliemeravigliosa, ho un passatoalle spalle che a mia avviso èunico. Quando avevo diecianni, uscendo da scuola vidiuna gazzella dei carabinieripassare a sirene spiegate e unmio compagno di classe midisse: guarda, lì dentro ci sonoi tuoi genitori e io gli risposi:no, ti stai sbagliando, e que-sto anche se li riconobbi subi-to: erano davvero mia mammae mio padre. Ma non provaivergogna, perché per me eranormale avere dei genitori car-cerati, abitare nelle case po-polari e avere una compagniache aveva le tue stesse ragio-ni e condivideva il tuo stessostile di vita. Mi ricordo la primavolta che provai davvero ver-gogna, a distanza di due o treanni da quell’episodio con ilcompagno di classe, quandomi innamorai di una ragazza.Mentre parlavamo del più edel meno mi disse: tu sei il fi-glio di quei due che hanno ar-restato e che sono andati sulgiornale? Io a quel punto chiu-si gli occhi e le risposi: sì, sonoio il figlio di quei due chehanno arrestato. A quel puntolei mi disse: “Volevo solo sa-pere se eri sincero e visto chelo sei stato, adesso posso dirtiti amo”. Quella ragazza oggi è mia mo-glie e mi ha dato quattro bam-bini meravigliosi che amo allafollia, e quella fu la prima voltache provai davvero vergogna.Oggi provo per la seconda voltavergogna, dentro alla gazzelladei carabinieri che a sirenespiegate mi porta via davan-ti agli occhi dei miei figli, eogni giorno che passa pensoa loro, e mi domando se tuttociò che ho provato io lo hannoprovato anche loro. Lorenzo Di Lorenzo - Pescara

Le mie storie

quattro

Sguardo sul futuro

Q

Il problema carceri è laprova del fallimento daparte dello Stato. Ho 42anni e vivo la mia primareclusione. Provo irrita-zione quando sento eleggo dei propositi diqualche politico che vor-rebbe apparire umano,che crede di trasforma-re il carcere in qualcosadi più umano grazie aqualche cesso in più oqualche muro in meno.Il carcere vero lo cono-sce solo il detenuto,quello che è costretto atrascorrere venti ore inuna cella, in nove per-sone, a confrontarsi quo-tidianamente con cul-ture diverse, a riuscirea trovare un po’ di si-lenzio per poter legge-re o scrivere ai familia-ri e per non pensare alcarcere. Nelle carceri ita-liane non vige nessunrispetto della dignitàumana, per capire ecomprendere il carcere,entrare nel suo mecca-nismo fatto di sovraf-follamento, distruzio-ne delle persone,privazioni della libertà,e dell’affettività non ba-stano i pochi minuti chetrasmettono le stazionitelevisive. Dall’altraparte di quel sottile con-fine che è il cancello, laprospettiva e la visualedel carcere è di una di-stanza abissale.Marco Palma - Pescara

ono sdraiata sulla brandina e conla mano sinistra socchiusa sor-reggo il mento e osservo ciò chemi circonda. Innanzitutto vedouna stanza per nulla accogliente

e l’atmosfera che si respira all’interno èsoffocante. Pochi arredi e pallide lampa-dine elettriche alimentate da un impian-to antiquato. Le mura sono ricoperte dafigure di modelle ritagliate dai giornali eda scritte ricorrenti tipo “presto libertà”.Sulla sinistra un finestrone incorniciatoda intelaiature di metallo che vietano ildialogo tra esterno e interno. Da lì si in-travedono alcuni bambini che fanno al-legri saluti con la mano durante la gior-nata di colloquio. Piove e vi è la percezionedi lampi come se fossero dei flash di mac-chine fotografiche. Ascolto nel buio la re-spirazione calma di Osvalda, la tosse seccadalla cella vicina, il battito del mio cuoree lo smisurato strepito del mondo fuori,di cui fino allora non mi ero accorta. Restoimmobile per un lungo momento chie-dendomi meravigliata come aveva fattoad arrivare in quell’abisso di abbandono.Ma torniamo a quello che vedo: ecco trebrande una sopra all’altra. Quelle più inalto sono occupate dalle più giovani cheogni sera parlano insonni fino all’alba esoffrono uguali della stessa sonnolenza.Attaccata alla parte un calendario sul qualeSofia aveva segnato con inchiostro blu ladata di fine pena e le giornate utili eranoridotte a 19 giorni. Oltre la porta il bagnocon gli intonaci rigonfi da umidità causa-ta da rotture idriche e uno spioncino doveun occhio intruso calpesta ogni nostra di-gnità. I primi tempi, appena arrivata, Sofiaaveva perso l’appetito e il sonno e nonriusciva a liberarsi delle sue preoccupa-zioni e fu presa dal malumore, negli ulti-mi tempi scoppiava in una risata espansi-va che si propagava per tutte le sezioni.Passa le notti girando nella cella, pen-sando ad alta voce. Alla mia destra c’è ilblindo sbarrato dallo spuntare del gior-no fino all’ora di andare a dormire. Sottola finestra un termosifone di nove ele-menti e più che scaldare l’ambiente, servead asciugare la biancheria intima. Un pic-colo televisore inchiodato al muro in alto,che era spesso motivo di discussione traPenelope e Luisa per la scelta del pro-gramma. Per giorni non si parlarono. Inun angolo un tavolino dove ci si appog-giano contenitori carichi di cose da man-giare e sotto intere casse di minerale. Ieril’ingresso di una nuova arrivata con occhidi animale spaventato e lunghi capellicolor nocciola sparsi sul guanciale. Prima

fu portata in un luogo dove, con ordinibrevi e inappellabili, fu costretta a sve-stirsi e ti fanno girare per il dritto e per ilrovescio. In quell’istante si avverte la paurae l’aria stupefatta, la voglia di fuggire enello stesso tempo di rimanere in quel si-lenzio esasperato e spaventoso. Mi ritor-na in mente la stessa sensazione provatada me nello stesso modo. Avevo perso lamia spontaneità diventando ermetica eostile. Si diventa ansiosi, morsi da un astioe dal rancore verso il mondo…Continuaa piovere…Dopo molti mesi e un lungo percorso ria-bilitativo, è così intensa la nostalgia divita, così incalzante il bisogno di riscoprirsie nello stesso tempo terrificante la delu-sione di non avere un’opportunità e lapaura ti rode dentro oltre il dolore fisico.Continuo a chiedermi quali impegni devoassumere per tornare ad essere protago-nista della mia vita. La prima sfida: scol-larmi di dosso la definizione scomoda diex-detenuta. Senza un lavoro stabile, senzaun’idea ravvicinata di famiglia, senza pro-spettive certe nel futuro. Uno dei modipiù efficaci per cancellare il passato è mo-strarlo concentrandosi solamente su ciòche si sa fare, molto bene. E da qui la ne-cessità di essere più attiva nella societàcarceraria facendo sentire fortemente lapropria voce, per poter creare le basi diuna riconquista felice di una vita sempli-ce e fatta di rapporti autentici. Allora co-mincio a vedere ben oltre quello che finora ho elencato. Vedo con chiarezza il la-voro dei volontari…Poi come se gli occhiriflettessero uno specchio osservo me stes-sa e vedo una donna sensibile e profon-da, solare e spontanea con una spolvera-ta di lentiggini sul viso. Adoro scrivere esono disposta ad uscire dell’indifferenza:ora penso al presente con uno sguardoaperto al futuro. Ripenso spesso alle pa-role di Alda Merini che dopo un atrocepercorso di vita in manicomio disse:”Nonsono brava a morire, ma sono ancora unabrava scrittrice”. Mi hanno toccato il cuoree se riscopro le qualità che sono racchiu-se in me: intelligenza, coraggio e forzapotrò realizzare i miei progetti…no…nonsto sognando, sono ancora sveglia, aspet-to l’occasione di avere un’opportunità chemi consenta di dimostrarlo…

Sandra Marchesani - Chieti

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La mia cella

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Negli ultimi mesi ho ricevuto tante lettere della mia fa-miglia, in particolare le lettere di mio fratello, e ho co-nosciuto il vero senso della lontananza. Quando ero acasa non apprezzavo le cose più semplici, tipo un bacioda mia moglie prima di uscire oppure rimanere a casacon i miei bambini. Solo adessoho capito cosa è la superfi-cialità. Sono stato unbravo papà e unmarito semprepresente per lamia famiglia,e posso assi-curarvi che imiei figlinon faran-no i mieistessi errorie spero tantoche in futuroavranno il lavo-ro sicuro e un’Ita-lia migliore. Sonostato un marito presen-te, sono quindici anni che stovicino alla mia convivente. Quando mi tro-vavo chiuso nel carcere della mia città non mi sono maiperso un colloquio, ma da quando sono stato trasferi-to nel carcere di Chieti non ne ho fatto più uno e ho tra-smesso senza volerlo molta ansia alla mia famiglia. Hocercato di rassicurarla con le lettere che gli mando, gliho detto di non preoccuparsi e che il giorno che mette-rò i piedi fuori da questo posto non commetterò più glistessi sbagli, e insegnerò ai miei figli di stare lontanodall’illegalità. Dalla nascita della mia principessa Elviranon ho goduto della sua crescita, ma recupererò il tempoe non la lascerò neanche un minuto da sola e le daròtutte le mie attenzioni da padre buono e felice e fierodella sua famiglia.

Sergio Laudieri – Chieti

Purtroppo ci sono migliaia dipersone piene di sofferenza e che hanno

bisogno di aiuto. Fare una scelta è sempre dram-matico. Ma io direi che il primo criterio è quello evan-

gelico, “Ama il prossimo tuo.” E il prossimo tuo è quelloche incontri e che ti parla per primo. Ma spesso sorge un pro-

blema: la gente ha troppi pregiudizi. Ma il detenuto è umano.Dobbiamo quindi cominciare con il distruggere le idee già fatte,i pregiudizi, per accostarci agli altri con più umiltà, conpiù voglia d’imparare e di condividere: una relazione èun rapporto in cui ciascuno ha qualcosa da dare e qual-

cosa da imparare. Il punto di partenza per accostarci aldetenuto è dunque ripartire dalle persone. Amare il

detenuto è facile, se metterete nei vostri cuori chesono persone umane come voi.

Antonio Sannino - Chieti

Ho trent’anni e mi trovoper la prima volta in car-cere. L’impatto, dal primoistante, è stato moltoforte e ho sentito subi-to che cosa significa ilcarcere, qual è il sensodi questa parola, le sueregole. Dopo tutto il

tempo passato qui den-tro la mia impressione iniziale nonè cambiata per niente, anzi ne hoavuta piena conferma. Quandosono entrata era estate, e il caldonon mi faceva capire ancora tantecose, poi, quando il freddo comin-ciava a farsi sentire, ho capito chequesto posto, come tanti altri inItalia, si può chiamare un carcerecondizionato, dove le tue necessi-tà e le tue richieste non vengonoprese sul serio, non sempre alme-no. Se sei malata devi sopportareil fatto che non sempre ci sono lemedicine, quando il freddo ti con-gela le ossa, perché il riscaldamentoè praticamente inesistente, o quan-do per mancanza di acqua caldadobbiamo riscaldare noi l’acquacon le bombolette per poterci la-vare e sembrare persone normali.Nonostante tutto siamo esseriumani, e conserviamo la nostra di-gnità perfino in un posto dove ci sitrova rinchiusi come degli anima-li in gabbia. Qui dentro ho cono-sciuto diverse persone straniere,specialmente rumene che mi hannoraccontato di come si vive nelle car-ceri del loro paese. In Romania lecelle vengono aperte di giorno e idetenuti così possono socializzaremeglio, c’è la liberazione antici-pata per i giorni lavorativi, per chia-mare a casa ci sono i telefoni neicorridoi e i detenuti hanno tuttiuna scheda ricaricabile con la qualepossono chiamare quando ne hannobisogno, il pane se lo fanno da solie mangiano quello che cucinanosenza sprecare tanto cibo inutil-mente, e tante altre cose che per-mettono ai detenuti di vivere di-gnitosamente perfino in un postoche limita la propria libertà. Ancheuna detenuta di origine spagnolami ha detto come anche lì funzio-na tutto diversamente, ti offronolavoro pagato, ci sono diverse at-tività sportive che si possono faree pasti decenti e vestiti nuovi se undetenuto non ha niente indossoquando entra. Perché qui è diver-so? Spero che ci si renda conto chec’è qualcosa di sbagliato nelle car-ceri italiane, l’importanza di offrirciuna vita migliore e dignitosa, per-ché in fin dei conti siamo tutti es-seri umani.

A.C.

La mia famiglia

EEgregio Presidente Napolitano,chi Le scrive è D’Ambrosio Gianfranco ristretto presso la Casa Circondariale diChieti. Vengo con questa mia a dirLe che in

un momento difficile del Paese e dell’Europa,

la S.V. si è espressa a favore dei detenuti. Vi

ringrazio poiché si è mobilitato con interesse

a favore dei carcerati ricordando che la Giu-

stizia deve prendere in considerazione le ri-

chieste Europee e rispettare l’articolo 2 della

Costituzione Italiana fondata nel 1947,

anche se non si è concluso “niente”. La ri-

tengo il Padre degli italiani. Perciò Vi rin-

novo i miei più sinceri ringraziamenti. Spero

di essere un Vostro figlio. La saluto.

Gianfranco D’Ambrosio - Chieti

la so

ffer

enza

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The aim of the project is to support rehabilitation and social re-integration of ex-priso-ners in the European Union. The project will provide the public with new image of de-tention centres, different from the common stereotypes shown on television or films. Theproject entitled Voci di dentro (“voices from inside”) will use visual as well as audio-mediato change this by allowing prisoners to express themselves. The project will create a linkbetween the prisoners and the outside world. The result of the project will be two-fold:it will contribute to mitigate the effect of isolation of the prisoners, leading to easier re-integration into society once their sentence is over. People will have an insight into lifeinside a detention centre which will help them understand prisoners’ problems. They willtherefore be more tolerant and more inclined to help them in their re-integration.The partnership will be based on the cooperation between social workers, associationsand specialists from different European countries who deal with the problem of priso-ners’ re-integration in society. They will work in collaboration with prisoners and ex-in-mates in order to help them express themselves. In order to offer a high quality serviceprisoners and ex-inmates will be assisted by local professionals during their activities. Theprisoners will be offered the opportunity to participate in various activities such as thecreation of a radio program, the redaction of newspaper articles and the production ofshort films in the case of Italy. A website will be also created in order to promote the pro-ject, to inform about the activities related to this.The aim of the project is to tackle the issue of the integration of ex-prisoners by establi-shing an intermediary connection between the inside and the outside of the prison. In-deed, a great percentage of ex-prisoners feel rejected by society once they come out ofprison. Their difficulties to find a new job and adapt to their new life make them feel likeimmigrants. The problem is also that the general public has stereotypes concerning pri-son and its environment. It is often considered as an isolated and dark place and not as aplace of redemption. Even if they have done their time in prison, ex-inmates are still seenas convicted and thus set apart from society. People don’t sympathise with prisoners andex-prisoners. Moreover, there is a manifest lack of information concerning the prison en-vironment and the project will try to remedy this situation. Many people don’t know whatprisons are like and what life is like for the prisoners since prisons are a closed place withrestricted and limited access. People tend to forget that prisoners and ex-inmates are stillhuman beings and thus they should be treated as such. However prisoners have to facea number of problems which affect them even after their detention, for example theirisolation may cause psychological problems. Their limited access to information leavesthem feeling out of place. Many detention centres do not give their prisoners enoughaccess to information; internet access as a learning tool is too often neglected.Prisoners may also feel completely alone, having lost contact with their relatives. Somemembers of their family are ashamed of them and reject them. Moreover two other fac-tors should be taken into account: time and distance. Detention centres can be situatedfar away from their relatives making visits difficult while the length of some prisoner’ssentence can prove too long to sustain relationships. Knowing that prisoners’ familiescan be their only link with the outside world, it is important for the inmates to maintainthis connection and the moral support they provide otherwise they risk loneliness anddepression. Many people forget the fact that inmates have the opportunity to learn andfollow courses or work in the prison. Prisons offer a wide range of services such librariesor sport facilities. Detention centres give prisoners a sense of responsibility by involvingthem in various works sometimes even outside their walls. The project will ensure theconnection between the prison and the outside world. It will help people discover theprison environment reassuring them since lack of information always leads to mistrustand fear. The partnership will work towards helping the prisoners (and their families)and ex-inmates to obtain a second chance in their life which will ensure them an easierintegration into society.

LLP - Lifelong Learning Programme - Grundtvig

This project has been funded with support from the European Commission.This publication reflects the views only of the author, and the Commission cannot be held responsiblefor any use which may be made of the information contained there in.

http://voicesfrominside.eu/

THE VOICES FROM THE INSIDE

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Voci di Dentro - Chieti (Italy)The “Voci di dentro” Association has got the main aim to integrate inmatesboth socially and professionally. Born in Chieti, in 2009, the association is madeby a group of people who work spontaneously and for free, non-profitmaking,inside several prisons (Chieti, Pescara, Vasto e Lanciano). Thus far, thanks to thesupport given by other bodies, such as the Municipality of Chieti and the off-siteCriminal execution office (Uepe), the organization has got three work grants andthe semi-liberty regime for three excluded people who are working in the edi-torial office of the homonymous newspaper born “intra Moenia”. “Voci di Den-tro”, infact, is the publishing house of a newspaper, printed in five thousand co-pies, completely written by inmates and diffused inside and outside thepenal Institution: Chieti, Pescara, and in the entire Abruzzo region. Anadditional step has been made for the association with a conversationstipulation with the university: thanks to that, infact, a new inmate hasgot the permission to go out of the prison every morning, working forthe editorial office. The job, infact, is the first and true instrument for theprisoners rehabilitation. For this reason, the final aim of “Voci di Dentro”is to give prisoners, become ex detained people, the opportunity to work,to be more independent, to stand on their own feet putting their doingsin the service of the newspaper as editors, typographers, photographers,proofreaders.

Città dei Giovani - Firenze (Italy)It is a non-profit NGO, headquartered in Assisi, which is active since 1998as a non-profit organization, but for over 25 years is active on the Italianand European territory, with the main intention of exploiting the re-sources of young and adult people, to prevent the discomfort and thephenomenon of deviance. Our Association (a subsidiary of ERA – Euro-pean Rogationist Association) organizes meetings, seminars and studymeetings for young and adult people coming from 10 European coun-tries (Italy, Spain, Portugal, Czech Republic, Slovakia, Hungary, Poland,Romania, Germany, Malta and Albania). Since last September we haveanother home, business, even in the city of Florence.

Agapao / Kris - Siauliai (Lithuania)Charity and support fund „KRIS in North-West of Lithuania“ is foundedin 2004-02-17. The main objective of this organization is to provide so-cial, psychological and spiritual help for people staying in such detentionsinstitutions as prisons and interrogation chambers and those who havealready served their sentence. The most this organization focuses on drugand alcohol abusers and their family members. Services provided by thisorganization are: social and psychological support services encouragingsocial reintegration process for people who come from freedom deten-tion institutions for the purpose to become productive and responsiblemembers of the society; social and psychological support services for people de-pendent on drugs or alcohol, who are imprisoned or have already served theirsentence; social and psychological support services encouraging the integra-tion process to the labor market; trainings, seminars and informational, cultu-ral and sports (promoting healthy lifestyle) events..

Hotelcilik - Diyarbakır (Turchia)Our school has opened in 1991. It is located in Diyarbakır, biggest city in thesoutheast of Turkey. There is 76 girl and 155 boy pupils in our school. Studentsof our school are trained to work in food and beverage services, hospitalityand travel services and entertainment services. Our school offers a four-yeareducation after primary school. Our aim is to train students who knows foreign lan-guage and to stand on their own.

Papilot - Lubiana (Slovenia)Papilot, Institute for enhancement and development of the quality of life was found in 1995. Papilot has4 units in Slovenia, 3 units abroad (Bosnia and Herzegovina, Croatia, Montenegro) and employs largenumber of professionals in the field of education, psychology, professional rehabilitation, employment,occupational therapy… Regarding our main purpose -to enhance and develop the quality of life -we usea holistic, interdisciplinary approach, emphasising promotion of social inclusion of people with specialneeds .Our main activities are focused on education, training and guidance for unemployed and othervulnerable groups. Aims of our services and activities are to provide employment opportunities, quali-ty work with vulnerable groups and enable their successful reintegration in social society. Our main ac-tivities are: Vocational /occupational; Active employment policy programmes; Social inclusion pro-grammes; Help centre for the victims of criminal deeds; Day-care centre for elderly people; Soft skillsand other training and educational programmes; National and international projects.

Partnership

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Francesco Lo Piccolo, Voci di DentroVoci di dentro Association, thanks to support by spon-sors, is running computer courses for inmates who aregranted the possibility to work or study outside the pri-son during the day (Article 21). 2 inmates come from Pe-scara prison and 4 come from Chieti prison. The coursesstarted in November 2011 and they are still being heldfor 5 hours a day. Inmates are learning p.c. programs, webmaster program, web design program . They are now ableto realize brochure and other files. This magazine has beenrealized completely by one of them. They have lunch in arestaurant in the town centre and sometimes their relati-

ves eat with them. This is a different “ way of prison” and most of all in this way societycan change the prejudice it has towards them. Inmates also attended several public mee-tings with many students. During these meetings they told people their experiences.Finally their message is that they have lost more than they earned….it’s better to be ho-nest and have a family and sons…

Marco Sabadini, Città dei GiovaniIn Villa Poggio Gherardo (Città dei giovani) are hosted minors male under residentialand in-mate artic. 21. In addition to this there arechildren with situations of personal di-stress and/or family detrimental to their growth and development; foreign minors unac-companied (found on the national territory, without reference to parental or tutorial);children sent by the Department of Juvenile Justice in collaboration with the Social Ser-vice Department of Juvenile Justice, for which an order was placed as an alternative pe-nalty to imprisonment, or execution with the placement in the community (DPR 448/88).

Andreus Karpovas, director of Agapao:In Agapao center we have different treatments programs, this is dry rehabilitation: itmeans we don’t use any medicines or sub drugs like methadone. At the moment thereare 15/16 people staying here and we accept men from 18 years until 60/65. We accept

only those who is possible to reintegrate in the labor marketbecause at the moment we are running European union foun-ded projects whose aims is exactly to integrate drug addictsand alcoholics in the labor market. To succeed in this goal weprovide them several services: for example social workers andpsychologists’ consultations, English courses, computer clas-ses and they have the possibilities to go to school in Siauliaifrom 2 to 4 months to get a professional short degree in con-struction.

Linas Androponovas, Kris organization:The situation in Siauliai is really difficult: lot of people isemigrated; it s a dying city, the city is full of empty buildingsand empty schools. Lithuania generally has a peasant men-tality, full of prejudices; they don’t care about social issues,just about their little backyards. In this context the Krisorganization is collapsed and Agapao, that is doing sowell, has projects funded until next year. Next year theproject will be over and we don’t know what will hap-pen. As well the third foundation, Samarija center will

collapse next year for the same problems: no funds. Go-vernment is not going to support work with socially marginalized people,

even if we have so many persons asking for help. It’s a very difficult environment to liveand work.

Meltem Kilik Kurt, Hotelcilik :We are running courses in prisons . The main aim is to give to inmates opportunities tofind jobs when they leave prisons. They are confident with these courses they can findjobs in real life. In Turky most of inmates are politic inmates. This is why we don’t havemuch drug or wine problems within prisoners. Some of inmates have a good level ofeducation, some have been educated in University. All inmates have a right to go to Uni-versity. When they leave prisons, people outside generally don’t have prejudice to em-ploy ex- politic inmates, but they have prejudice towards other ex-inmates. There aregovernment programs to support ex-inmates starting working activities giving them fi-nancial help. There is a program supporting women who suffered violence.

Second meeting reportSiauliai, Lithuania

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In front of a total capacity of

just over 42,000 places, on the

date of last March 31 in 208

italian prisons there were

about 68,000 prisoners, 25,000

of which (around 37% of pre-

sent) are foreigners. The ita-

lian prisons are real “lazza-

retti”: the 45 per cent of

prisoners are awaiting trial.

The 38% is in conditions of

poor health, 37% in poor con-

dition, 4% have severe health

problems. Only 20% of priso-

ners is healthy. Not only that:

30% of detainees and tested

Hiv, the 4% and a positive re-

sult. And yet, the 16% suffer

from depression or other men-

tal disorders, 15% have pro-

blems chewing, 13% suffer

osteoarticular diseases, 11%

of liver disease, 9% of ga-

strointestinal disorders and fi-

nally, about 7% and bearer of

infectious diseases. A priso-

ner on three problems of drug

dependence: the 49.9 % con-

sumes more of a substance,

the 27.6 % 23.4 % opiates and

cocaine. In 2011 died suicide

66 detenut, 166 deaths from

other causes (diseases or other).

From the beginning of 2012

to June 11, suicides were 25.

What a painful flight has mylife been! A take off at lightspeed to hastily put my handson and grab anything at reach,and a spinning free fall withfinal crash against a rectangu-lar shaped concrete wall. Anunsurmountable concrete wallon all four sides, nothing buta gloomy prison blandly called“House of Correction”, the cagewhere I have been confinedsince the end of my thoughtlessflight: a place I can’t escapefrom and where I can’t evenhide my shame.“Come on, ladies and gentle-men, come and see our mainattraction!” would yell a fun-fair barker while disrespect-fully showing the monster ofthe moment to the throng’smorbid curiosity. How sad! Howdid I wind up in such a place?A question that needs no an-swer, as obvious as it is. Whoe-

ver runs his life at light speedknows that sooner or later he’lllose control, get hurt or causecollateral damages.In the cage where my mono-tonous life is now relegatedinevitable contagious diseasessuch as anxiety, depression,neurosis are at home and keepcompany to regrets, sorrow,sadness, gloom and anger. Anadditional sour taste to themany years to spend in jail asa form of reparation for crimescommitted in irresponsibleyears: the years of my youth,mostly lies and mistakes, to besecretly and shamefully dum-ped away simply as uselesswaste.Is there any hope that, after le-arning the lesson and gettingfree from this cage, I’ll be a bet-ter man in my mature years orwhatever is left of my life?

We are constantly induced to change our opinions,our habits and our behaviour by solicitations our so-ciety proposes us with everchanging alluring mo-dels: frustration caused by incapacity to conform tosuch expectations or to reach the stated goals takesus to deviated behaviour or to ethical shortcuts thatnearly always result into damages for the commu-nity and, for the accompanying guilty feeling, intointerior suffering for the culprit. Who, more than aconvict, knows the meaning of it? Each one of us has a moral code; it stems from na-

tural and social values which prescribe and governbehaviour in the domain of human society. Whenour behaviour causes sufferings to the other mem-bers of the community, when our interests – nomatter what they are – are in conflict with thoseof society, the guilty feeling comes into play. Werealize that we did the wrong thing, we deservepunishment and we owe amends: it’s the law ofnature! The guilty feeling beleagues and racks usdeep inside, makes our responsibilities clear, re-minds us the due respect for other people’s rightsand awakens our sensibility, if sensibility hasn’tbeen totally suffocated yet by bestiality. The inte-rior suffering, as a purifying function, has to becombined with the willingness to adhere to moralsensibility and behaviour; only then it is able to liftman up from a state of rude bestiality and takehim back to a state of reconquered humanity.

It is not enough, though, to experience the guiltyfeeling as a simple wish to rewind the clock and erasepast mistakes or as a pious empty promise: it is ne-cessary to recognize our own faults, choose beha-vioural patterns that will avoid repetition of wrongchoices, beg forgiveness from the victims of our wron-gdoings and offer reparation. Recognition of ourfaults wil remind us constantly our intimate moralcode, the standard upon which we value what wedo and how we do it; continuous exercise of willpo-wer by choosing what is morally right – but I mightsay what is humanly right – will make us more thou-ghtful and more responsible in favour of the com-munity’s needs; atonement, reparation and beha-vioural rehabilition process will allow us a new lifecourse with no outstanding debts towards society.It is only at this point that the feeling of guilt willgive the individual a chance to overcome his interiorsense of unease and to propose himself to society asa new, rightful and generous man, worth being cal-led so. And his personal ordeal will be somewhatmore bearable.When – with all our humility, willingness, commit-ment and perseverance – we get to the finishing lineof such a hard and painstaking transformation, wecan say we passed the most difficult test of our life.No matter how deep we sank into shame, we canwalk tall with a newly acquired dignity. With pride,at last!

The situation of Itali

an prisons

The feeling of guilt!by Celestine Odogwu, inmate in

Vasto

Painful flightby Celestine Odogwu, inmate in Vasto

Spesse volte noi detenuti sbandieriamo il nostro sta-tus di vittime: vittime della società, vittime della giu-stizia o di qualche ingiustizia, vittime di avvocaticialtroni e vittime dell’insostenibile situazione dellecarceri in Italia. Volendo fare un’analisi più appro-fondita, potrei dire che mai mi è capitato di sentireun detenuto affermare di essere vittima della droga,del guadagno facile o della non voglia di lavorare.Ma proviamo a guardare l’altra faccia della meda-glia. Siamo proprio sicuri di essere vittime e non car-nefici? E carnefici di chi o di che cosa?Volendo considerare le tante tipologie di reato, im-magino che andremmo incontro a diverse prese diposizione: c’è chi può sentirsi in colpa nei confron-ti di uno o più individui ai quali si è fatto del male,e chi invece non prova nessun tipo di rimorso neiconfronti di una banca derubata o di una morale

calpestata. Ma voglio portare le mieattenzioni su un’altra cate-goria di vittime: le nostre fa-miglie. Ho deciso di affron-tare questo argomento nelmomento in cui - il 26 gen-naio 2012 - mi apprestavo aduscire dal carcere grazie allaconcessione dell’articolo 21esterno. Coincidenza volle cheera giorno di colloqui, di con-seguenza mi ritrovai per alcu-ni minuti nella sala d’aspetto in-sieme ai familiari dei detenuti enon potei fare a meno di osser-varli attentamente: facce tristi,facce stanche, file interminabili,gente anziana, madri con in brac-cio i propri bambini. Dopo un po’arrivò il momento in cui dovettiuscire, e mentre lo facevo notai chec’era qualcuno che dormiva in mac-china, probabilmente aveva af-frontato un lungo viaggio. Dovevaessere una giornata particolare chedi lì a poco mi avrebbe riproiettatonella seppur limitata libertà, ma nonriuscivo a non pensare a quella gentee automaticamente a tutto ciò cheanche i miei familiari hanno dovutoaffrontare. Fu proprio quello il mo-mento in cui iniziai a prendere coscienzache loro sono le vere vittime, e vittimedi chi se non nostre? In un attimo lamente riavvolse il nastro della mia de-tenzione: ricordi di soggetti che impre-cavano contro i genitori rei di non averdepositato abbastanza soldi, oppure per-ché le scarpe Nike ricevute non corri-spondevano al modello preteso. Tutto ciòè veramente assurdo! Accecati da un inef-fabile egoismo, c’è anche chi ha il corag-gio di cadere in uno squallido vittimismo,non rendendosi conto che non siamo altroche i carnefici di noi stessi e delle nostre fa-miglie.

Cristian Di Marzio - Chieti

Vittime di chi?Siamo continuamente indotti a cambiare le nostre opinioni, lenostre abitudini e il nostro modo di comportarci dalle sollecita-zioni che la società ci propone con modelli sempre diversi e al-lettanti. La frustrazione causata dalla incapacità di adeguarci atali aspettative o di raggiungere determinati traguardi ci portaa comportamenti deviati o a scorciatoie che quasi sempre risul-tano essere un danno per la comunità e, per l’intrinseco senso dicolpa, causano sofferenza interiore all’individuo. Chi, più del de-tenuto, ne conosce il significato?Ciascuno di noi ha un senso morale, l’insieme dei valori naturalie dei valori sociali giusti e necessari che servono ad indicare e re-golare il comportamento nell’ambito della società umana. Quan-do il nostro comportamento è causa di sofferenza agli altri mem-bri della comunità, se i nostri interessi – non importa quali essisiano – sono in conflitto con quelli della società, ecco che entrain azione il senso di colpa. Ci rendiamo conto di aver sbagliato,di meritare una punizione e di dover riparare il danno:è la legge della natura. Il senso di colpa ci tormentainteriormente, ci addita le nostre responsabilità, ciricorda il doveroso rispetto dei diritti altrui e risve-glia la nostra sensibilità, se essa non è stata com-pletamente soffocata dalla bestialità umana. Lasofferenza interiore, come funzione purificatrice,deve essere combinata al libero arbitrio guidatodalla sensibilità morale; solo allora ha la capacitàdi sollevare l’individuo da uno stato di gretta be-stialità e riportarlo ad uno stato di riconquistataumanità. Non è sufficiente però provare il sensodi colpa, inteso come desiderio di tornare in-dietro nel tempo e correggere gli errori o comepia promessa da marinaio: è indispensabile ri-conoscere le proprie colpe, fare scelte com-portamentali che non le ripetano, chiedere per-dono a chi ha subito il danno e offrireriparazione. Il riconoscimento degli errori nonci farà mai dimenticare il codice morale inna-to, in base al quale valutiamo ogni nostra azio-ne ed ogni nostro comportamento; l’eserci-zio continuo della volontà nella scelta di ciòche è moralmente giusto, oserei dire uma-namente giusto, ci renderà più responsabi-li e più attenti alle esigenze della comuni-tà; l’espiazione della pena, la riparazione eil processo di riabilitazione ci consentiran-no un percorso di vita nuova e senza debi-ti nei confronti della società. Ed è solo al-lora che il senso di colpa darà all’uomo lapossibilità di superare il suo disagio inte-riore e di riproporsi alla società come unessere nuovo, giusto e generoso, degnodi essere chiamato tale. E il suo tormen-to si affievolerà. Quando con umiltà, vo-lontà, impegno e perseveranza giun-geremo al traguardo di questo faticosoprocesso di recupero, con orgoglio po-tremo dire di aver superato la provapiù difficile della nostra vita perché,dopo essere sprofondati nella vergo-gna della delinquenza, siamo stati ca-paci di rialzarci e riacquistare la no-stra dignità. A testa alta.

Celestine Odogwu - Vasto

Il senso di colpa

Si sente molto parlare di vittime ocarnefici, e noi spesso ci chie-diamo se

siamo vittime o car-nefici. C’è chi dice che siamo noi icarnefici, c’è chi invece pensa chesiamo noi le vittime, ma io sono del

parere che, a prescindere da tutto,abbiamo sicuramente fatto dellevittime. Inoltre, penso che se mi

ritrovo rinchiuso dentro questequattro mura un motivo c’è, e nonpenso di essere una vittima dellostato, ma penso di essere stato an-ch’io nel mio piccolo un carnefice,e le vittime non sono solo le per-sone che hanno subito un dannodiretto, ma anche tutte quelle per-

sone che ci amano e ci circondano,ad esempio la mia famiglia e i mieifigli. Loro che colpa hanno? Miamoglie che male ha fatto per ri-

trovarsi sola con quattro figli esenza marito solo perché è mogliedi un carcerato? E i miei figli, queipoveri bambini, che peccato hannofatto per ritrovarsi senza il loropapà e presi in giro dai loro com-

pagni di classe, e a ogni festa dicompleanno non avere una fami-glia vicino come tutti i loro amici?Queste per me sono le vere vitti-me e io, essendo stato un carnefi-ce, posso dire anche cosa si provaad essere vittime, e sapete perché?

Perché vent’anni fa mi sono tro-vato nella stessa situazione dei mieifigli, con un padre e una madre car-cerati. Concludo, oggi per fortuna ho im-parato a distinguere la personache ero da quella che sto diven-

tando e quella che vorrei essere. Lorenzo Di Lorenzo - Pescara

Vittime o carnefici?

quattro mura

“Il timoniere” - Cadica

Aspettavamo la neve ecome previsto final-mente è arrivata. Nonuna nevicata qualsiasi

ma sessanta centimetri di neve cheha cambiato completamente ilpaesaggio che da anni siamo abi-tuati a vedere dalla piccola fine-stra della nostra stanza. Oggi ègiorno di colloquio, 22 febbraio,e un’ emozione in più sarà quelladi poter giocare con le mie figliecon la neve nello spazio che ci ri-servano. Aspetto con ansia sedu-to sul mio letto sperando che no-nostante le condizioni atmosfericheproibitive (da quello che ci dico-no le strade sono parecchio inne-vate) la mia famiglia riesca a rag-giungermi. Non si avverte la solitaconfusione dei giorni di colloquioe quasi mi sento sconfortato, mal’amore che mi unisce ai miei bimbie a mia moglie ha fatto sì che lavoglia di vederci è stata più fortedi qualsiasi condizione avversa. Sono arrivati, mi chiamano per ilcolloquio, sono due ore ma mi sem-bra un minuto, ci salutiamo conaffetto, giochiamo con la neve,guardo i miei bimbi felici e que-sto mi trasmette serenità per an-dare avanti. Il tempo passa vorreiche si fermasse, la neve scendeguardo l’orologio, il tempo di scal-dare le mani ai miei bimbi e iltempo è terminato. Giusto un mo-mento per salutarci, come se fossepassato un secondo mi ritrovo sulmio letto a ricordare il momentofelice trascorso con i miei figli.

Tommaso Musicco - Chieti

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Arrivai nel pianeta carcerenel febbraio 2010. Era laprima volta, e come tutte leprime volte avevo bisognodi metabolizzare, di capire.La solitudine è sempre statauno dei miei peggior nemi-ci, di conseguenza sentivoil bisogno di relazionarmicon gli altri. Ogni giorno cer-cavo di approfittare di quel-le poche ore durante le qualisi può usufruire del passeg-gio, consapevole che il restodella giornata l’avrei pas-sata inevitabilmente rin-chiuso in cella. Tra i vari di-scorsi, a volte puerili, nonpotevo fare a meno di ascol-tare quelli dei cosiddetti “co-atti”, coloro che avevanouna maggiore esperienzaacquisita nelle precedenti enumerose carcerazioni. Qual-cuno parlava di celle aper-te, specificando che si trat-tava di una sorta di privilegioconcesso solo nei grandi pe-nali o comunque nel piùavanzato nord Italia. Tro-vandomi in terra d’Abruz-zo, considerai subito utopiaquesta possibilità, ma oggia distanza di soli due anniquest’utopia sta per diven-tare realtà grazie alla nuovanormativa che permetteràa tutti i detenuti di stare“meno chiusi”. Mi è giuntaperò una notizia alquantodisarmante: nelle sezioni cisono malumori e discor-danze a riguardo, perché

la maggioranza, è contra-ria a questo cambiamento.Tutto questo mi sembra ve-ramente assurdo! Fino adoggi non si è fatto altro chedenunciare il carcere come“istituzione totale” che an-nienta coscienze e dignità,puntando spesso il dito suglispazi limitati di cui disponeogni singolo individuo, edoggi mi ritrovo ad osserva-re quanta poca coerenza visia da parte della popola-zione detenuta. Ho cercatodi capire cosa potesse na-scondersi dietro questo mal-contento generale, e dopouna breve riflessione sonogiunto a queste conclusio-ni: difficilmente riusciamoad accettare le cose che cam-biano, dopo che le abbiamorinchiuse ben ordinate in uncassetto della nostra mente,in un concetto astratto checi fa credere che la situa-zione migliore è quella at-tuale, che ci da una sicurez-za per il suo restare sempreuguale. Esistono diritti in-negabili, ma pensare a sestessi e alle proprie como-dità non può prevaricare ciòche ci sta intorno e sottrar-ci alle responsabilità. E sel’etimologia della parola ciinsegna che questo agget-tivo deriva da due parolecomposte (reagire con abi-lità), beh amici miei, ci con-viene iniziare a farlo...

C.D.M. - Chieti

Fra i tanti luoghi comuni sul carcere,

il più diffuso è che i carcerati non stia-

no poi così male: “sono praticamen-

te in vacanza, non lavorano, fanno

niente dalla mattina alla sera con vitto

e alloggio garantito...” . Nulla di più

falso. Sul vitto e alloggio ci sarebbe

molto da dire, ma soprattutto è bene

che si sappia che in carcere proprio

non si ha tempo da dedicare al lavo-

ro. Detto, o meglio, letto così di primo

acchito, potrebbe anche apparire

come una provocazione o quanto-

meno inverosimile. Invece è proprio

così e basta po’ di aritmetica per di-

mostrare gli innumerevoli e stressanti

impegni giornalieri del detenuto

medio. E’ scientificamente dimostrato

che per un uomo in buona salute siano

necessarie almeno 8 ore di sonno:

praticamente 1/3 della vita passata

fra le braccia di Morfeo: 120 giorni

nell’ arco di un anno. La vita in car-

cere è fatta anche di relazioni socia-

li: consigli legali, notizie sulle rispet-

tive famiglie, sport, pettegolezzi,

commenti su processi,la partitella di

pallone, ginnastica e qualche “di-

scussione” animata: 4 ore al giorno

che corrispondono a 60 giorni pieni.

Nel carcere si tiene molto alla pulizia

sia personale che del monolocale as-

segnato, ma è soprattutto il rito della

preparazione di pranzi e cene che si

porta via almeno altre 3 ore: 45 gior-

ni in un anno. Sabato e Domenica non

si lavora: altri 104 giorni. Ma voglia-

mo dimenticare le festività religiose

e feste nazionali? Altri 15 giorni. Poi

una settimana da passare al letto o

in assoluto riposo per influenza e ac-

ciacchi vari va computata. A questo

punto siamo a un totale di 351 gior-

ni in un anno. E le ferie? Almeno due

settimane sono necessarie e siamo a

365 giorni di impegni stressanti in un

anno. E il lavoro? Rimane il 366° gior-

no degli anni bisestili. Anche per que-

sto quadriennio ho lavorato.

Domenico Silvagni - Vasto

A discrezione del giudice”. È la frase che sentiamo forsepiù di tutte pronunciare in carcere e che determina ilnostro diritto a poter usufruire di una pena alternati-va o determina il rigetto di un’ istanza. La discreziona-

lità è un’ incognita indecifrabile e incom-prensibile ai più, perché non si capisce lamodalità della sua applicazione. È facoltà delgiudice decidere autonomamente, cioè conparametri soggettivi, e perciò non è chiaro seesistono delle regole certe o se ci sono solodelle tracce su cui ogni togato può interpre-tare una norma. E così accade che, agendo ilgiudice in piena autonomia, due casi similipossono avere esiti diversi se trattati da duegiudici distinti. Tutto questo non mi sembramolto logico e nemmeno giusto, non è possi-bile che a una persona, per quanto autore-vole, venga dato il potere di decidere dellavita degli altri. Sembra che il compito dei giu-dicanti non sia quello di discutere le ragioni,ma quello di far rispettare le regole, che spes-so sono flessibili e aleatorie. Come mai, michiedo, noi che siamo rinchiusi perché non ri-spettiamo le regole della società civile, ve-niamo condannati in virtù di regole non spe-cifiche ma soggette a interpretazioni personali?Come mai, quando sia evidente la diversità digiudizio, questo risulta indiscutibile e incon-testabile? Non credo che le norme giuridichesiano state concepite per un’ applicazione adpersonam, ma per tutelare la collettività nelrispetto dell’uguaglianza legale. Nelle auledei tribunali c’è scritto “la legge è uguale pertutti”, e non “ la legge è uguale per tutti tran-ne che per alcuni”. La certezza della pena, se-

condo me, passa anche attraverso la chiarezza dei co-dici dove non ci deve essere margine di interpretazionesoggettiva, ma oggettiva enunciazione. L’autonomianon deve significare infallibilità, ma indipendenza senzache siano esercitate pressioni o influenze.

Sonia Gregoratti - Chieti

quattro mura

Celle aperte

LLuoghi comuni: in carcere come in

vacanza

A discrezione del giudice

Mi trovo qui a scrivere un po’perché sono annoiato da tantotempo passato in carcere,sballottato come un paccopostale da un istituto al-l’altro e senza mai saperela destinazione. Ma scrivo

anche per dire quello che succede in car-cere e quanto sia stressante la vita quidentro. Ecco quindi una specie di diariodi bordo che bene illustra quello che suc-cede in un istituto penitenziario, cheanche se si trova nel centro di una città,abbellito da muri colorati e siepi ram-picanti, rimane sempre un posto chiusoe dove quello che vi succede non si sapràmai fuori.La giornata in un carcere inizia così: lamattina alle sei l’agente fa la conta stan-za per stanza, e se tu stai dormendo, oltread accenderti la luce, ti punta la torcianegli occhi per vedere se ti muovi, e quin-di sa se sei vivo o morto. Alle sette ti apro-no il blindato (è il portone di ferro chechiude il cancello con le sbarre), e fannouscire i lavoranti, quelli che vanno incucina, gli scopini così chiamati perchévanno a pulire i corridoi delle sezioni.Il mattino presto, sembra di stare al mer-cato, tutti si muovono in fretta, tutti pu-liscono, e tutti gridano, perché in car-cere non si parla ma si grida, perché lavoce deve sovrastare il volume dei tele-visori, delle canzoni napoletane e il ru-more dei cancelli che sbattono. Rumoriassordanti e metallici che dopo un paiodi mesi di carcere non li senti più perchéti ci abitui. Alle otto arrivano nelle cellele guardie che ti contano di nuovo, tichiedono se devi segnarti a udienza, tipomatricola, educatore o comandante, epoi a sorteggio ti fanno anche la per-quisizione della cella rovistando anchenello zucchero e nel caffè sempre alla ri-cerca di qualcosa non consentito. Allenove c’è il cosìddetto passeggio (l’orad’aria): si scende tutti in un cortile e quiquasi cento persone si ammassano. Nelcortile c’è chi cammina, chi si ferma ingruppo a parlare degli avvocati, delleistanze fatte e dell’attesa della scarce-razione. Ma il passeggio è anche il postodove spesso si risolvono le divergenzedi opinione, e quindi scattano le ag-gressioni e le risse. Alle undici si ritor-na su in sezione, nella stanza, e si aspet-ta il pranzo che ci viene portato dallacucina con un carrello, intanto si sento-no delle grida, c’è sempre qualcuno chesi taglia con le lamette perché non sitrova la domandina per telefonare, equindi non ha potuto telefonare alla fa-miglia, oppure liti nella cella per chi devetenere il telecomando, o sgabelli rotti intesta o meglio caffettiere, perché quelloche è rimasto in cella per il turno dellepulizie e non le ha fatte o non le ha fattebene. In carcere è tutto esasperato e nonci sono mezze misure o mediazioni. Poiè la volta degli agenti, se commetti un’in-

frazione, sei fortunato se ti fanno il rap-porto disciplinare che comporta la per-dita della liberazione anticipata di qua-rantacinque giorni ogni sei mesi, ma ilpiù delle volte viene a prenderti la squa-dretta che è formata dagli agenti più fortie più cattivi, e ti riempiono di botte, e poiti portano nelle celle di isolamento, ti la-sciano solo con le mutande, senza ma-terasso, senza coperte, e ti lasciano lì.E tu sopporti tutto questo passivamen-te, sperando solo nella scarcerazione.Alle tredici si va di nuovo al passeggio,dove si gioca a pallone o si gioca a bocce,ed anche qui le liti sono in agguato, per-ché dovete sapere che in carcere non c’èniente da fare, e le piccole incompren-sioni diventano problemi irrisolvibili,o risolvibili con le risse, perché c’è sem-pre qualcuno che ti dice: hai sentito cosati ha detto quello, oppure come ti fai trat-tare così da quello? Il carcere esaspe-ra tutto, gli affetti, i problemi, la de-pressione e la gioia, questo perché si hamolto tempo a disposizione senza im-pegnarlo al lavoro, alla lettura, o a corsidi formazione lavoro, si passa tutto iltempo del giorno e della notte sul lettoa guardare la televisione, o ad oziarefissando il soffitto e pensare il mondoesterno. Ma fortunatamente non è così negativocome sembra, perché il tutto rimane cir-coscritto alla coscienza di chi ci lavorain carcere, e parlo degli agenti, degliispettori, il commissario, il direttore, ildirigente sanitario, gli educatori, e tuttoil personale che tiene in piedi la strut-tura. Io ho girato numerosi istituti, e viposso dire che ognuno di questi ha le sueregole, basta solo adeguarsi all’anda-mento del carcere e non hai mai proble-mi. Poi mi è capitato di conoscere agen-ti molto coscienziosi, che svolgono beneil loro lavoro, che non è più quello diguardia, ma quello di operatore socia-le, sì perché il carcere negli ultimi ventianni è cambiato tantissimo. Oggi i de-tenuti hanno tante problematiche, ini-ziando dall’essere stati abbandonatidalle famiglie, per poi finire ai proble-mi psichici. E qui entra l’esperienza del-l’essere umano-agente di polizia checerca di risolvere i problemi di ogni de-tenuto impegnandosi personalmente, fa-cendo da psicologo, da educatore, e avolte anche da padre. Io continuo a scri-vere illudendomi di cambiare qualcosa,ma ci sarebbe tanto da fare, un po’ cistanno provando le associazioni di vo-lontariato, ma le risorse sono esigue,anzi nulle, ed è un tirare a campare, per-ché si potrebbero creare laboratori in-terni alle strutture carcerarie di lavoro,cooperative, in modo tale da tenere oc-cupati con la mente i soggiornanti. Tuttal’Europa ha carceri che funzionano inquesta maniera, basta avere un po’ dibuona volontà e meno tagli al ministe-ro della giustizia.

ome sempreaccade i fattidifficilmen-te seguono leparole e tante

parole si sono sprecateper illustrare e spiegarequella che da una parte èstata promossa come unariforma epocale e dal-l’altra come un fuori tuttii cattivi. In realtà tutto ècome e peggio di prima,il carcere è stracolmo,hanno aggiunto letti, c’ègente che dorme per terrae quindi sulle cinte mu-rarie si può affiggere car-telli con la dicitura tuttoesaurito solo posti in piedi.E’ una situazione diffici-le da affrontare e soste-nere sia per noi, a cui gior-nalmente viene ridotto lo

spazio vitale, sia per leagenti e gli operatori chedevono sopperire alle notecarenze di organico e strut-turali. L’unico rimedioche le alte sfere hanno tro-vato sono i trasferimen-ti. Non si sa come nè chi,di sicuro noi la viviamocome una roulette russa,ti avvertono la sera di-cendoti che la mattinadevi essere pronta ad an-dare non si sa dove, e tuti trovi sopra un blindocon direzione ignota. Nonhai modo di avvertire ituoi familiari, non puoisegnalare al tuo avvoca-to lo spostamento, nel girodi poche ore devi spez-zare gli equilibri fatico-samente raggiunti per ri-cominciare a sopravviverein una nuova realtà. Nonserve piangere e dispe-rarsi, non c’è modo di op-porsi nè obiettare, devisolo obbedire come unautoma inanimato a que-sta sorta di “respondeatsuperior” che il più dellevolte, non tiene conto deituoi affetti esterni ab-bandonati qui e che, perfarti visita, dovranno sob-

barcarsi viaggi lunghi esnervanti. Quando in se-zione si diffonde la noti-zia, rapidamente scendeun rumoroso silenzio egli sguardi delle tue com-pagne di cella si incro-ciano con il tuo in unamuta speranza auspican-do che l’agente, come unasorta d’angelo vendica-tore si fermi prima o passioltre il tuo blindo salvandola tua “casa”. E quandoil silenzio viene squar-ciato da sommessi pian-ti capisci che per questavolta è andata bene masai anche che questa ap-parente tranquillità du-rerà poco. Non si capiscecome questa girandola didetenuti che da un carce-re affollato vengono spo-

stati in un’altra situazio-ne simile, possa giovarela situazione o possa ri-solvere il problema, dicerto per noi è un ulte-riore trauma psicologi-co, ma forse anche que-sto rientra nel piano dirieducazione e reinseri-mento così caldamentesostenuto dai più, forselo Stato ritiene che in-fliggerti la pena stabilitadal codice penale non siasufficiente, forse l’espia-zione e la soddisfazioneper ciò che uno commet-te deve necessariamentepassare anche attraversola convivenza multiplain spazi angusti, in doccefredde in posti frugoli ein periodici turbamentipsicologici. Forse chi ènella stanza dei bottonipensa che una personaesca da tutto questo piùforte, assolutamente re-dento e rinfrescato e chein nessun caso possa usci-re da questa esperienzacon un crescente senti-mento di rabbia e di ri-scossa.Sonia Gregoratti - Chieti

La riforma a parole:in carcere c’è gente che dorme per terra

C

quattro26

27o mura

Premetto che vengo dal centro nord eper motivi di lavoro ero emigrata a Ce-sena; affidata in prova ai lavori social-mente utili per aver commesso dei reatidi truffa nel 2000. Un secondo ordinedi esecuzione sempre per la stessa ti-pologia di reati commessi nel 2001 si èsoprapposto revocandomi la sospen-sione dell’esecuzione in quanto la penaespiata supera il limite previsto dal-l’art.656 c. 5 c.p.p. Alla luce della si-tuazione descritta sono stata tratta inarresto più di un anno fa presso la CasaCircondariale di Forlì e successivamenteassegnata al carcere di Bologna“Dozza”. Ma non è delle vicissitudini della miaesistenza che volevo parlare, bensì dellapiaga che persiste ancora nel 2012 trail sud arretrato rispetto al nord più evo-luto. La struttura dell’edificio del car-cere di Bologna è nuova, ovvio più fun-zionale, fornitura passata veramenteogni 15 giorni compreso i prodotti perla pulizia della cella, opportunità la-vorativa e qualificata e cooperativeesterne; corsi di formazione retribuitie scuole dell’obbligo comprese corsi dilingua e possibilità di essere seguitinegli studi universitari. Per non parla-re di carceri sperimentali tipo quellodi Bollate o Padova raccontata dallaVanna Morali che prima dell’aprile2011, faceva parte della popolazionedetenuta di Bologna, con misure al-ternative o assicurazioni all’art.21, piùequo e riabilitativo.L’emergenza sovraffollamento carce-ri, si avverte ovunque, ma le disuma-nità supera la decenza. Al punto che timettono in condizioni di dover ele-mosinare beni di prima necessità…tipoacqua calda, sapone…e questo è in-decente. Si fa passare ciò che è un di-ritto per un favore. Dire le cose comestanno, spesso è controproducente,ma la mia indignazione è rivolta allapolitica, all’economia e agli ammini-stratori locali. Sono regioni distrutteda una classe politica condizionata solodai propri affari che si occupa degli ap-palti e suggeriscono nomine e pro-mozioni secondo i propri interessi. Po-liticanti più che politici che hanno presodi mira il bene del Paese, spremono lecasse pubbliche con privilegi che of-fendono la gente laboriosa e onesta.L’amministrazione non è in grado digarantire il minimo per fronteggiarel’emergenza carceri e lavoro. Eppureanche a Forlì, carcere piccolo con pocolavoro, era ben altra cosa. Siamo unaparte dell’Italia di mendicanti e risso-si, come speso ci raffigurano e ci ricor-dano sempre che li c’è la criminalità eche noi del Sud siamo come Don Chi-sciotte, bella gente sì, ma in lotta con-tro i mulini a vento.

Sandra Marchesani - Chieti

Ho deciso di darmi un annodopo mi toglierò la vita forseun anno è poco ma ho de-ciso di dare una scadenza

alla risoluzione dei demoni che miabitano ho necessità di discuterecol rancore che indosso e l’odio dicui mi nutro ho deciso di sedermi ecome un compito di matematica tro-vare la soluzione al problema e dun-que mi chiedo promosso? Alloravivi bocciato? Sei morto so che saràdura ma prima c’è una cosa che vor-rei fare donare i miei organi in casodi bocciatura e voglio che sia chia-ro che il mio non è un gesto di al-truismo anzi il mio è proprio quel-lo che viene chiamato egoismo loso forse vi sto confondendo allorami spiegherò meglio mettiamo chegli organi che si possono donaresiano dieci io darei a dieci personela possibilità di vivere ma in realtàsarebbero dieci pezzi di me che pren-dono dieci corpi diversi e così mi ri-troverei ad avere altre dieci occa-sioni potrei essere sfortunatotrovando nove pezzi di merda noveassassini nove persone più o menocome me che hanno fatto solo dannoche hanno seminato male ma al-meno uno può darsi sia una bravapersona quindi un pezzo di me po-trebbe avere una vita normale e sefossero i miei occhi in un brav’uo-mo potrei vedere il tramonto inmodo diverso potrei avere la gioiadi guardarmi allo specchio potreb-be forse la persona in questioneaspettare il mio cuore per permet-tergli di batter ancora di pomparesangue mentre dai il primo bacio ei polmoni per respirare all’apertoin un campo di girasoli e non nei vi-coli di Napoli dove si respira soloviolenza e rassegnazione insommasono qui che scrivo una sorta di te-stamento e da un tratto mi arrivauna voce da dentro che mi dice cheil tempo è partito che il conto allarovescia è iniziato quindi smetto discrivere e comincio il compito in clas-se.“Potrebbe essere solo uno scrittosolo uno scherzo forse solo unosfogo ma allora vi chiedo mentre ciguardiamo negli occhi: chi può direcosa è?”

Giuseppe Festinese - Teramo

Che parabola dolorosa lamia vita fino ad oggi! Una par-tenza alla velocità della luce perarraffare tutto senza code di attesa,l’avvitamento in caduta libera e loschianto contro un muro di cemen-to: un muro di cemento chiuso sututti e quattro i lati, il carcere, la gab-bia in cui sono finito intrappolato,da dove non posso fuggire e dovenon posso nemmeno nascondere lamia vergogna. “Venghino, signori,venghino!”, direbbe lo sgrammati-cato imbonitore (barker) che espo-ne in maniera irriguardosa il mostroalla morbosa curiosità altrui. Che tri-stezza! Come ho fatto a finire quidentro? Una domanda che non habisogno di risposta, tanto è ovvia.Chi corre alla velocità della luce sache prima o poi può perdere il con-trollo, farsi del male o causare dannicollaterali. Nella gabbia in cui è orarinchiusa la mia vita si diffondonomalattie contagiose inevitabili: ansia,depressione, neurosi, e si è consu-mati da rimpianto, dispiacere, tri-stezza, malinconia e ira repressa. Unsapore amaro da aggiungere allapena degli anni da scontare in car-cere per riparare il male fatto nelpassato. La mia vita passata, per lopiù menzogne e inganni, da cesti-nare di nascosto e vergognosamente:anni buttati via per niente. C’è spe-ranza che, imparata la lezione e usci-to da questa gabbia, io possa esse-re un uomo migliore in ciò che rimarràdegli anni della mia vita?

Celestine Odogwu - Vasto

Caduta libera

Chi puo’ dire che cos’e’NNord e Sud a confronto

28 quattro

Cosa farò una volta scontata la mia pena?Non so quanti detenuti si facciano questa do-manda, in carcere viene naturale mettersi unamaschera: c’è chi si atteggia a boss o grande spac-ciatore. Premesso che i “boss” o i grandi spac-ciatori sono dislocati in altre sedi, (41 bis o re-parti a.s.) mi verrebbe da dire: ragazzi, facciamociaiutare! E la risposta è scontata, ma chi ci aiuta? E allora che facciamo? Facciamoci sentire! Manon come siamo abituati a fare nascondendocidietro un vittimismo tipo, “a me mi hanno datotre anni per un grammo di cocaina” o altre scusedi questo genere . Facciamoci sentire per quelloche siamo, raccontiamo le nostre storie, ester-niamo i nostri sentimenti, abbassiamo quell’im-magine che non ci appartiene e togliamoci quel-la maschera che ci allontana dalle persone. Parliamodei nostri progetti perché io voglio credere, iovoglio credere che fuori di qui ci sono personepronte ad aiutarci. Ma se non siamo noi i primia metterci in gioco non aspettiamoci che lo fac-ciano gli altri per noi, in particolare le istituzio-ni. È vero che non tutti gli istituti propongonoiniziative, sia per mancanza di fondi o per moti-vi a me sconosciuti. Io non so voi cosa volete fareuna volta usciti ma vi posso dire quello che vo-glio io. Vorrei uscire con una prospettiva di vitamigliore. Un lavoro lo trovo, o me lo invento.Vorrei stare con la mia famiglia e vedere cosafanno i miei figli.Sono un detenuto, con chi me la devo prende-re? Col giudice o con i carabinieri? Non mi hannoallontanato loro dai miei cari e non mi hannotolto loro la libertà, sono io che l’ho voluto, macome inconsciamente non volevo questo, oggiconsciamente so quello che voglio: rivoglio lamia vita, come posso farlo? Mi affido a chi puòe vuole aiutarmi, non voglio chiudermi in mestesso. Ho fiducia in me stesso e so di poterneuscire con forza ma questa forza la devo forgia-re già da adesso, da qui dentro, anche perché èfacile fuori scontrarsi con un mondo di pregiu-dizi. Di gente che si fa un’idea difficile da cam-biare.L’idea che hai di me è fabbricata con i pensieripresi in prestito da altri e da te stesso. Quelloche pensi di me dipende da quello che pensi dite. Forse tu crei l’idea che hai di me con il mate-riale che ti piacerebbe eliminare dall’idea chehai di te stesso. Forse l’idea che hai di me è unriflesso di quello che gli altri pensano di te, oforse quello che tu pensi di me è semplicemen-te quello che tu credi io pensi di te. I giudizi e ipregiudizi non portano mai alla conoscenza veradella persona, sono solo frutto delle nostre paure,del nostro orgoglio e soprattutto della nostrapresunzione.

Giovanni Caltagirone - Pescara

A mezzanotte e cinquantacinque, al buio, nel grido del miosilenzio, mi metto a pensare a come è stata la mia vita in gio-ventù: un fallimento totale. La penna scorre sul foglio e de-scrive ciò che è stato il mio passato. Alcuni giovani avrebbe-ro bisogno di provare emozioni forti e crude come la realtàche vivo, la detenzione, per imparare a vivere. Perché i geni-tori non riescono più ad educare i giovani? La risposta è sem-plice e complicata al tempo stesso: sarà per l’eccessivo per-missivismo, o per la voglia da parte dei giovani di provaretutto sulla propria pelle, prima di imparare. Non bastano leparole, vane, vacue. Vogliono provare sensazioni forti, anchese sanno che potranno pagarne le conseguenze. Sembra chealcuni genitori non riescano più a dare una sana educazioneai loro figli: li affidano a scuole specializzate, delegano la loroeducazione a insegnanti e educatori altamente qualificati, emettono così a tacere la loro coscienza. Non è questo quelloche serve.I giovani sono spinti impulsivamente dalla curiosità della sco-perta del mondo che li circonda. La società di oggi è diversada quella del passato. Molti criteri educativi sono cambiati,e la punizione per un comportamento sbagliato, sia essa unoscapaccione o un rimbrotto, è spesso sostituita da inutili pa-role se non addirittura con il premio di un dolcetto o il cedi-mento al capriccio. Il bastone è scomparso, rimane solo la ca-rota. Quando ero adolescente, i miei genitori le provarono tutteper darmi una buona educazione, dalle parole dolci a quelledure, sani consigli, scapaccioni, addirittura cinghiate. È ser-vito a poco, la mia curiosità era più forte di me e continuavoa ripetere gli stessi errori di sempre. Tuttavia avevo impara-to a distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò cheè sbagliato. La dura lezione sulla vita si impara ascoltandopredicozzi e consigli o ricevendo punizioni, i più testardi ap-prendono le cose sulla propria pelle, vivendo le proprie espe-rienze. I giovani, così come gli adulti, sono attratti da ciò chenon è permesso, e a volte solo le maniere forti servono a fre-narli. La globalizzazione sta cambiando tanti aspetti dellavita quotidiana: pur nelle diversità tra un paese e l’altro, traun continente e l’altro, pur nella diversità di valori e tradi-zioni, gli uomini si assomigliano tutti, con gli stessi pregi e glistessi difetti. Un proverbio africano dice: “mai sfidare la sorteuna volta di troppo”. Amici miei, se vi piace vivere una vitaspericolata, attenti a non precipitare in fondo al burronequando vi trovate sull’orlo del precipizio. Fortunato chi impara in fretta, solo ascoltando sane parole eseguendo saggi consigli! Chi vuole provare tutto, anche lesensazioni e le maniere forti,rischia di trovarle nel carcere,lungo il suo percorso. E così la lezione di vita diventa più lunga,più pesante e insopportabile.

Celestine Odogwu Chimezie- Vasto

Proverbio africano:mai sfidare la sorte una volta di troppo

Giudizie pregiudizi

29o mura

L’uomo ha avuto inizio su questa terra, in questa natura cosìbella e fragile. L’uomo nel suo cammino ha messo come baseil suo egoismo, senza capire che è solo un anello della natu-ra. L’uomo distrugge: ha costruito una ragione cieca e ipo-crita e così ora si trova schiavo di se stesso. Ognuno di noi hauna storia che può essere significativa. Siamo responsabilidelle scelte che facciamo, anche se non siamo sicuri che sonosempre scelte giuste, ma soltanto scelte umane, e quindi nonc’è modo di sfuggire alle conseguenze. L’uomo materialistaha eliminato con presunzione anche Dio dallo schema me-tafisico, tentando di spiegare ogni cosa nei termini di even-ti materiali. Ma se l’uomo non ritrova il rispetto per sé e pergli altri, come può guardare all’amore universale?

Jenti Milo - Pescara

Per me è come una giostra che gira e rigira su se stessa. Tutti noi ci acco-

diamo per salirci su e farci trasportare dagli eventi più importanti. In ognu-

no di noi sono rimaste queste emozioni di quando eravamo ragazzi o bam-

bini e non vedavamo l’ora di salirci su, invece per noi adulti c’è sempre

una giostra ma nel nostro inconscio noi aspettiamo come dei bambini il

nostro momento. Tutti gli uomini nel loro tratto di vita sono saliti sulla

giostra: una o più volte, chi per momenti di gioia, chi per un affare im-

portante, chi per il suo momento di gloria, chi per amore, o solo per un

emozione o magari anche costretti dagli eventi, c’è anche chi è salito e

non vorrebbe più scendere, ma la folla che si accalca e prima o poi lo farà

scendere. E per questo come si può capire accade anche nella vita reale ci

sono momenti felici per tutti compresi quelli tristi, e questi ultimi non

fanno altro che farci apprezzare di più quelli migliori. Per avere un mo-

mento triste dobbiamo pagare molto nella vita, ma per averne uno feli-

ce? Ci basta molto ma molto meno, anche un piccolo sorriso fatto ad una

persona con occhi lucidi, o tendere una mano ad una persona caduta,

anche offrire la propria spalla come appoggio ad una persona che zop-

pica. La felicità e la linfa della nostra vita non bisogna pagare nessuno ma

donargli un semplice gesto fatto con amore a chi ne ha bisogno, ed ecco

allora che si riavvia la vita dentro di noi, perché anche noi abbiamo biso-

gno. Francesco Aquino - Lanciano

Il mondo che gira

Troppe volte ormai mi fermo a pensare a quanto tempo è già passato dal gior-no del mio arresto. Penso soprattutto alla mia famiglia e ai miei figli, ai sacri-fici che hanno dovuto passare in mia assenza, agli sforzi che hanno compiu-to per starmi vicino durante le ore di colloqui settimanali, all’ansia in attesadi dieci minuti settimanali che mi concedono per telefonare. Tutto questo per-ché?Sono oltre tre anni che lotto per la mia innocenza, accusato soltanto per unaserie incredibile di circostanze, chi mi restituirà il tempo perso qui dentro?Lontano dalla realtà, lontano dai miei figli, dai miei cari? Mi sento vittima diun sistema giudiziario inconsistente, tre anni di battaglie giudiziarie senzaottenere niente, mentre vedo che ci sono boss mafiosi magari trattati con iguanti bianchi! Non mi resta che aspettare senza perdere la speranza che pre-sto tutto si sistemerà. Solo questo mi dà la forza di andare avanti insieme aisorrisi dei miei figli che tutti i giovedì ho la fortuna di poter incontrare. Sonosicuro che presto tutto questo sarà solo un ricordo. Dovrò iniziare tutto dacapo, le persone come mi giudicheranno? I tre anni di vita regalati allo statochi me li restituirà? Credo sia meglio non pensarci troppo, sarà il caso, quan-do arriverà il momento della mia liberazione, di accorciarsi le maniche e rico-minciare a ricostruire la mia vita dallo stesso punto dove tre anni fa è stata in-terrotta.

Tommaso Musicco - Chieti

L’uomo e lo specchio

La forza di andare avantiA che servevendicarsi?Non vediamo giustizia in una penascontata così, ammassati come polli.Vivere così è solo una grande ingiu-stizia, perché si reagisce al male conaltro male, aumentando il male com-plessivo. Non è giustizia far soffrire, enon rieducare la persona. Il riscattoumano non è possibile con una penache non ti inserisce nel mondo socia-le. La nostra vita qui è di una inutilitàtotale, sofferenza infinita. Una penache rende il nostro presente uguale alpassato, un passato che schiaccia il pre-sente, e toglie speranze per il futuro.Vogliamo scontare la nostra pena, machiediamo una speranza, una sola,chiediamo un programma di reinseri-mento che possa darci un futuro la-vorativo. Ci sentiamo abbandonati datutti, perché non si può essere controla guerra, contro l’eutanasia, ma nonsi fa nulla per il detenuto. Spesso sidice,”non fare agli altri, quello chenon vuoi sia fatto a te,” ma in realtàdetta così non va bene, è fuorviante.Se io non rubo, non uccido, non com-metto reati, sono in regola. Ma nonbasta! Nel vangelo di Matteo, la fraseè diversa, la frase in questione è scrit-ta così: fai agli altri quello che vuoi siafatto a te. E così siamo al tema del male:poter fare il bene e non farlo, questoè il male. E che cosa è il bene, ancorauna volta me lo indica la legge inte-riore: e come dice l’articolo 27 dellacostituzione italiana. Le pene non pos-sono consistere in trattamenti contrarial senso di umanità e devono tenerealla rieducazione del condannato.

Antonio Sannino - Chieti

La mia vergognaHo trentaquattro anni, la mia vergo-gna più grande è stata quando si è sco-perto della mia tossicodipendenza e lamia famiglia mi ha chiamato a casa emi ha detto del mio problema, poi quan-do i miei suoceri mi hanno invitato acasa loro per poter parlare di questoproblema vi giuro che mi sono vergo-gnato per davvero. La ciliegina sullatorta è stata quando ne ho parlato conmia moglie a quattrocchi, lei piangevae io vi giuro che oltre a vergognarmi misono sentito davvero una … C’è statoil fallimento del mio matrimonio, l’ab-bandono dei miei figli, la femminucciadi cinque anni e il maschietto di due,ora sono grandi. Il fallimento totale èstato il lavoro che ho perso e io pensoche questa è la mia vergogna.

Alberto Giannetti - Pescara

30 s c r i t t i

Non è facile spiegare a un bambino che cosavuol dire essere ristretti. Non lo è perché nel-l’età dell’infanzia, per amore e per affetto,tendiamo sempre a preservarli da un mondoche talvolta ci riserva tanta sofferenza. Allo-ra ci ricordiamo che sono pur sempre bambi-ni e il modo più efficace per comunicare conloro è attraverso le favole, perché talvolta spe-riamo che non crescano in fretta ma siano li-beri di crescere nei loro sogni e così li accom-pagniamo attraverso magici racconti chepermettono a loro di sognare e a noi adulti ditornare un po’ bambini.Con i miei nipotini è stato questo l’approccioche ho avuto durante il mio permesso, e io,profondamente imbarazzato di fronte alleloro domande curiose, ho trasformato l’al-bergo dove ero costretto a stare in un castel-lo fatato. Con loro ho giocato, diventando par-tecipe del loro mondo stupendo, e possogarantirvi che dopo tanto tempo trascorso instato di restrizione, mi sono sentito come unbambino, meravigliato dalla bellezza dellavita della quale per molto tempo sono statoprivato. I bambini sono fantastici perché nelloro linguaggio sono diretti e spontanei. Trale tante domande di mia nipote Azzurra vi citoquesta: ”Nonnino, perché vivi in un albergo?”In quel momento ho utilizzato una delle co-siddette bugie bianche, rendendomi conto diquanto sia spigliata la loro capacità di osser-vazione. Un altro mio nipote, Kevin, era soli-to addormentarsi con un videogioco dal qualenon si staccava mai, e mentre dormiva ho pen-sato di nasconderglielo, ignaro che il suo primopensiero, una volta svegliato, sarebbe statoproprio il videogioco. Infatti appena si svegliòchiese dove fosse, ed io gli ho detto che l’ave-vo prestato al figlio del proprietario dell’al-bergo, suo coetaneo. Mi rimproverò dicen-domi che non dovevo permettermi senza il suoconsenso, ed io mi giustificai dicendo che ilpermesso me lo aveva dato suo fratello mag-giore che in quel momento stava dormendo.E cosi lui gli saltò addosso svegliandolo.Non posso non citare anche Alberto, il mio ni-pote di diciotto anni, che, nonostante l’abbiavisto pochissime volte nella mia vita, mi ha di-mostrato tanto affetto e mi ha fatto piacereconstatare che avevamo gli stessi gusti in tutto.Come ciliegina sulla torta la mia nipotina Cri-stina, alla quale ho dato il soprannome di an-tifurto perché ogni qual volta voleva qualco-sa, strillava cosi forte e non smetteva affinchénon la otteneva. Allora ho detto che non ap-pena mi sarei ricomprato la macchina, avreimesso lei all’interno di essa come antifurto esicuramente nessuno me la avrebbe rubata.Tutto finì con una risata generale, permet-tendo sia ai bambini che a noi adulti di conti-nuare a sognare.

Salvatore Galletti - Lanciano

Anche i nostri figli sono dellevittime. La separazione forza-ta tra madri detenute e figli ine-vitabilmente comporta graviproblemi di squilibrio al puntoche il reinserimento sociale didetenuti-genitori sarà più dif-ficile se non si riesce a ristabili-re quell’equilibrio emotivo cheprima c’era nell’ambito fami-liare. Il mio timore è che i figli,che non hanno più un punto diriferimento stabile, siano espo-sti a un maggior rischio: per ri-bellione, emarginazione e con-dizioni di disagio culturale esociale, rischiano cioè di finirein carcere prima da adolescen-ti e poi da adulti. Il termine affettività includetutte quelle relazioni che peril detenuto hanno un notevo-le rilievo e che, se aiutate e so-stenute, possono contribuireenormemente al percorso diriabilitazione sociale e di ridurreal minimo le fratture genera-te dalla detenzione.La genitorialità, in una situa-zione come quella del carcere,non ha la possibilità di affer-mazione; infatti esiste incom-patibilità tra l’essere detenutoin un contesto chiuso e alie-nante come quello carcerarioed esercitare il ruolo di geni-tore.Pertanto, riconoscere dignità eimportanza della genitorialitàin carcere significa donare unfuturo ai bambini invisibili.

Sonia Gregoratti - Chieti

Ognuno di noi cerca per tutta la vita di tro-vare, magari anche gustare per un po', que-sto meraviglioso sentimento. Ciascuno dinoi lo ha desiderato almeno una volta. Sullaterra bruciata del passato, sui propri erro-ri e anche sui rari momenti di felicità, cia-scuno di noi ha pensato che tutto potreb-be essere fatto meglio se esistesse un pizzicod'amore. Tutti hanno detto, dicono e di-ranno: « voglio essere amato, magari ora», senza essere però disposti a fare la loroparte: amare per primi. Quanti errori po-trebbero essere evitati se riflettessimo dipiù: eviteremmo a chi ci ama una cocentedelusione data al posto dell'amore. La terrabruciata degli errori che noi abbiamo com-messo, con i magici semi d'amore può ri-fiorire e, magari, radicalmente cambiare.In ogni momento -anche raro- di felicità,se noi avessimo donato ancora un po' d'amo-re, sicuramente il risultato sarebbe più gran-de e la durata più' lunga. Ma come posso-no essere evitati gli errori? Come questodesiderio può far nascere e illuminare lanostra anima che fin dalla nostra infanziaè cosi oscura? Questo semplicissimo senti-mento può farlo, perché crea la dipen-denza!. Quando doni, a te non costa niente, maquanto felice, grande, riconoscente e riccofa chi ha la fortuna di riceverlo. La perso-na che l'ha ricevuto non può nasconderequesti sentimenti, anche se lo desidera. Cosiè costretta ad esprimerli e la magia co-mincia. E' facile capire che noi l'abbiamoresa tale soltanto perché abbiamo regala-to una cosa senza spendere niente per aver-la. Di conseguenza, aver donato ci arric-chisce: questa è la magia. L'amore nascedentro di noi e ci costringe spontaneamentea regalarlo. Nasce e rinasce cominciandodal nostro primo gesto e sin quando noisiamo disposti a regalarlo non smette dicrescere mai. Più lo diamo più felici siamo.Più felici siamo, più forti ci sentiamo. Qual-siasi cosa adesso è diversa, ma noi ci sen-tiamo più ricchi e felici. Non stiamo aspet-tando l'occasione, ma la cerchiamo in ognipersona che ne ha bisogno indifferente-mente. Ora l'amore è così tanto che nonvuole altro che essere regalato anziché spre-cato. Tutto questo ci illumina, ci rende unici,ci costringe ad avere un' altra idea di noistessi e ad essere più forti. L'amore ha unvalore ausiliare e le sue forme variano. Certevolte è mastodontico ma anche così picco-lo che ad occhio nudo non si vede. Ma so-prattutto, quello che lo rende unico è chelo si dà a tutti, spontaneamente. Il vostroviaggio, in un altro mondo migliore, è giàcominciato!

Vasileios Chatzianastasiou (il Greco)Pescara

Non e’ facile spiegarea un bambinoche cosa vuol dire essere ristretti

I nostri figlisono anche loro delle vittime

La magia dell’amore

La cura grazie

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Era l’anno 1991, quando io, giovane napo-letano di nome Gennaro di 31 anni, decisidi andare a cercare fortuna in Germania. DaNapoli, oltre alla valigia, portai con me “sogni,speranze e ambizioni”: volevo una vita mi-gliore rispetto a quella precedente, cioèquella che la bella Napoli mi aveva riserva-to. Qualcosa già sapevo di quella nazione,altre cose le avrei scoperte. Ma, arrivato nella città di Colonia iniziai ascontrarmi con la dura realtà, ben presto ca-piiche il mondo dei sogni era ben diverso daquello reale; la Germania è una grande na-zione, una macchina perfetta,ma per un gio-vane Italiano emigrante, che neanche co-nosceva quella lingua, non restò altro dafare che il venditore ambulante. E mentreil tempo trascorreva, cominciai a perdereogni speranza, anche perché essendo spo-sato e avendo una bambina (Michela), unlavoro fisso era la cosa che in quel momen-to mi avrebbe stabilizzato. E così avvenne:forte dell’ amore di mia moglie, seppi rea-gire a quella dura situazione, e mentre eroa lavoro, conobbi una persona speciale, fi-glio di padre Italiano e di madre tedesca, unuomo che aveva lavorato sempre onesta-mente e che si era realizzato con il frutto delsuo sudore. E anch’io alla fine ci riuscii. E mo-tivo di fierezza fu quando inaugurai la miapiccola attività. Finalmente era nata la “S RL Gennaro Scielzo moda internazionale”: letante notti passate insonne in quella terrastraniera sembravano lontane. Forse anchesapere che il proprio marito finalmente eradiventato qualcuno, spronò mia moglie,tanto che essa strinse amicizie, fino accet-tare quella vita. Finalmente usciva di casa,e sempre più spesso si recava a passeggiarenei parchi.Arrivati nell’anno 2001, la nostalgia di casa,si faceva sentire sempre di più eppure in Ger-mania ormai vivevamo bene. La vittima delfamoso”Cor Napulitan”fu mia moglie cheormai non resisteva più lontano da casa. Ve-dendola soffrire io che non sono mai statouna persona egoista decisi che era arrivatoil tempo di ritornare nella nostra città. Cosidefinitivamente eravamo tornati al puntodi partenza, cosa sarebbe accaduto nean-che lo si poteva immaginare. Per la man-canza di lavoro a Napoli, per i bisogni dellafamiglia avendo avuto un’altra bambina(Martina) incominciai a girare per l’Italia afare il venditore di giacche. Per una serie disfortunate circostanze, in nome di un bef-fardo destino era come se fossi entrato inun perfido gioco dell’oca, per ogni passo chefacevo mi ritrovavo di punto di partenza, afare sempre e solo il venditore ambulante. Ora mi trovo recluso nella Casa Circonda-riale di Vasto a scontare colpe mie, sono statoaccusato di cose che non ho mai fatto in vitamia, ho sempre lavorato, con il sole e sottola pioggia. Ma presto tutto finirà ritorneròad essere l’uomo di prima; un padre, un ma-rito, un uomo libero.

Gennaro Scielzo - Vasto.

Più scrivevo e più mi diventava chiaro il lega-me con mio padre, un uomo come me inclineall'introspezione e amante della scrittura, cheperò da ultimo aveva anestetizzato nell'al-cool la paura del fallimento. A stabilire uncontatto profondo tra me e mio padre eraquella visione del mondo da un unico osser-vatorio di ferite; ma mio padre non era statocapace di affrontare e perciò di curare il suopassato, cosa che invece io faccio con la scrit-tura. Già da tempo, infatti, sono stato l'uo-mo che, a seconda dei casi: non si è affatto co-ricato per notti intere, trascorrendole a scrivere;oppure si è svegliato di buon'ora e si mette-va a scrivere: inizialmente di pugno, poi laprima di una lunga serie di macchine da scri-vere ancora meccaniche, un paio di quelleelettroniche, alla fine !etteralmente fuse en-trambe, poi il PC e, poi, per circa un paio d'an-ni, nuovamente di pugno, e finalmente nuo-vamente col mio PC, nonostante i capricci dellamia vista ... è, infatti, nello scrivere che m'in-contro con il mio sé, che mi fa da maestro, perannusare le prime impressioni della giorna-ta che viene. E poi volteggio tra i miei pro-getti, che si susseguono l'un l'altro, con unsenso di eccitazione,di avventura e con unasorta di spirito investigativo ... da un mondoricco e disseminato di tesori emergono a pocoa poco queste verità antiche e sacre, nella loroveste fiabesca ... le cose che scrivo sono esat-tamente le cose che ho bisogno di conoscere.Esperienze come questa mia, non sono af-fatto insolite. Molti scrittori, persino tra i piùnoti e autorevoli, da Thomas Mann a VirginiaWoolf, da Joyce Cary a Maxine Hong Kon-gston, hanno spesso raccontato di "essere vi-sitati" dai loro personaggi, e di "avere in-ventato" cose che poi si sono rivelate vere.Dai mistici, antichi e moderni, ci è stato spes-so descritto il fenomeno della "scrittura au-tomatica": parole che provengono da pro-fondità così remote da far pensare che siaun'altra persona a scrivere "attraverso" diesse. Numerosi psicologi hanno riconosciutodignità alla "cura attraverso la scrittura", cosìcome alla "cura attraverso la parola", e moltiscrittori sottoscriverebbero senz'altro l'af-fermazione di Tennessee Williams, secondola quale lo scrittore scrive per non soccom-bere alla pazzia. "Noi non scriviamo per fareicapire", ha scritto C. Day Lewis "noi scrivia-mo per poter capire". Nel caso dei pochi chepubblicano i risultati, sappiamo come fun-ziona il processo, ma raramente veniamo asapere qualcosa su coloro che non lo fanno,ed è probabile che siano proprio questi moltia scrivere dal profondo della loro anima, senzaoperare censure. Scrivere interamente per sestessi, senza dare peso ai problemi di stile odi grammatica, può trasformare il difficilecompito di mettere insieme della parole in unmezzo efficace per dar voce all'inconscio.

Nicola Bruzzone - Vasto

c o r s a r i

alla scrittura Italia-Germania: andata e ritorno

Guardando fuorida queste sbarre

vedo solo muraglioniilluminati di arancione,

che nostalgia sento nel miocuore… Al di là so cosa c’è,

ma per adesso posso solo im-maginarlo, e sognare un gior-no di ritrovarmici anch’io eprego il prima possibile, per-ché il tempo vola e le cose cam-biano, solo qua è tutto fermo.Quanta ebbrezza sto provan-do nell’anima, è un’esperien-za che non auguro a nessunnemico. Quando una personaè fuori può solo immaginarlocome si vive qui dentro, manon può provarlo. Purtroppoquello che uno semina racco-glie e io non ho fatto unabuona semina, e quindi ogginon mi resta che raccogliere ifrutti di questa esperienza brut-tissima. Sapevo che l’amore fasoffrire e anche perdere la testama non immaginavo fino aquesto punto. Purtroppo anchele forze finiscono e la mentecomincia a cedere. Mi augu-ro che a me non succederà mai,anche se adesso ho comincia-to a perdere i colpi, ma la forzaviene dal cuore e io quello cel’ho forte. Il mondo va avanti,cerchiamo di non abbatterciche il tempo aggiusta tutto.Dedico a tutti quelli che si tro-vano nella mia situazione unsincero in bocca al lupo. Lorenzo Di Lorenzo –Pescara

muraglioni illuminati

Il “regalo” per il compimento del mio12° anno d’età, avvenne mentre erointernato in un Istituto d’Osservazio-ne Minorile, e fu il mio primo permes-so sperimentale di 15 giorni in am-biente famigliare. Ricordo: trovai miopadre immobilizzato a letto. Una di-sgrazia: da pochi mesi aveva acqui-stato, rigorosamente a rate, un auto-treno e s’era messo in proprio dopouna vita trascorsa da camionista di-pendente. Il giorno precedente a quel-la domenica aveva caricato il camionper Roma, poi s’era improvvisamentebloccato a letto. La domenica seraavrebbe dovuto partire col suo camionalla volta di Roma. Non partire avreb-be comportato per lui gravi esborsi dipenale mentre c’era anzi bisogno diguadagnare, anche per far fronte allerate del camion. Mio padre m’incaricò perciò di anda-re a cercare un autista, anticipandomiche comunque mi avrebbe mandatoassieme all’autista per quel viaggio esottolineandomi che l’autista servivasolo perché in possesso della paten-te,mentre per tutto il resto sifidava unicamente di me. Ecosì andai a cercarlo, ma fuinutile. Dissi però a mio padre,per non volerlo allarmare, che anzi neavevo trovato uno raccomandatomida un suo amico d’infanzia del qualesapevo avesse molta stima. In realtà partii da solo col camion dimio padre quella stessa sera, premu-randomi di prendermi un paio d’ored’anticipo su quella che sarebbe statala normale tabella di marcia di un ca-mionista avvezzo. All’epoca da Geno-va a Roma con un autotreno caricos’impiegava quanto meno una gior-nata e mezza: esisteva già l’autostra-da, ma era ancora interdetta ai mezzipesanti nei tratti appenninici e sui colliEuganei (proprio dove sarebbe stataproprio gradita e necessaria). Dunquepartii la domenica sera, per cui avreidovuto far rientro al massimo a Ge-nova il mercoledì sera… nel frattem-po, già al lunedì mattina mio padre sirimise in piedi e andò subito dal suoamico d’infanzia per informarsi su chiavesse mandato come autista con meper quel viaggio. Questi gli confermòla mia richiesta ma ammise di non es-sere riuscito a trovare alcuno disponi-bile. Fu così che mio padre intuì subi-to che ero partito in perfetta solitudine;si fece rapidamente i calcoli sui luoghiin cui avrei dovuto trovarmi (se ap-punto non fossi partito con ben dueore d’anticipo su quella che avrebbedovuto essere l’ordinaria tabella dimarcia…), e non perse tempo ad al-lertare la polizia stradale di quei luo-ghi affinché mi bloccasse in attesa del

suo arrivo. Quando dopo qualche orala polizia stradale lo informò di nonavermi affatto intercettato, gli resta-va una sola soluzione: farmi bloccarea Roma dove avrei dovuto scaricare.Solo che quando riuscì a telefonare,io avevo già scaricato ed ero ripartitoda qualche ora. Mio padre, allora, sup-ponendo che stessi rientrando vuotoa Genova, si rifece i calcoli in base al-l’orario in cui ero ripartito da Roma eallertò nuovamente i vari comandidella polizia stradaleAl mercoledì sera non solo non era an-cora riuscito a rintracciarmi, ma nonero nemmeno rientrato nonostante isuoi appelli alla polizia stradale, ai variautotrasportatori e camionisti che co-nosceva e alle sue personalissime ri-cerche. Rientrai finalmente il sabato pome-riggio inoltrato… non appena im-boccai la via di casa col suo autotrenocarico, mio padre mi si parava al cen-tro della carreggiata a un centinaio dimetri con fare inequivocabilmente mi-naccioso… bloccai istantaneamente

il camion, saltai giù e me la diedi agambe levate. Solo a sera inoltratariusciva ad avvicinarmi mia madre, laquale mi scongiurava di tornare a casa;rassicurandomi al contempo sulla sbol-lita rabbia di mio padre, placatosi al-lorché in cabina aveva trovate le bolledi carico e scarico di quell’intera set-timana in cui ero mancato… in effet-ti, accingendomi a partire, la dome-nica precedente, m’ero premurato diportarmi appresso l’agenda di miopadre con annotati i numeri telefoni-ci di tutte le agenzie cui egli soleva ri-volgersi per trovare carichi sia d’an-data che di ritorno. Dalle bolle avevacosì potuto riscontrare che io dopoaver regolarmente scaricato a Roma,avevo caricato ad Ostia un ritorno perTorino; a Torino avevo scaricato e ri-caricato un’andata per Venezia; dopoaver scaricato a Venezia avevo ricari-cato un’andata per Milano e qui infi-ne avevo caricato un ritorno per Ge-

nova. Insomma per mio padre fu qual-cosa di miracoloso, in quanto egli stes-so non avrebbe saputo immaginare dimeglio per una sola intera settimanadi lavoro e quella settimana era statasfruttata come non mai. Mio padrealla fine mi chiese solo come fosse statopossibile che con tutti i chilometri cheavevo macinati e nonostante mi aves-se aizzato svariati comandi di poliziastradale e tutte le sue conoscenze nel-l’ambito dell’autotrasporto e autisti,nessuno mi avesse fermato o inter-cettato. Ammisi che in realtà ero statofermato più volte dalle forze dell’or-dine, ma sempre avevo dichiarati an-ziché i miei, i dati anagrafici di un miocugino provvisto della regolare pa-tente, aggiungendo che il camion eradi mio zio e asserendo di aver dimen-ticato a casa la patente...Trascorse anche la settimana successi-va e poiché l’esperimento quindicina-le di permesso in famiglia per quantone avessero potuto sapere le istitu-zioni preposte al mio trattamento diallora, era andato per il meglio (?), fuilasciato in custodia ai miei famigliarie cominciai a viaggiare sistematica-mente assieme a mio padre. Col tra-

scorrere del tempo, sem-pre più spesso avveniva cheviaggiassi da solo col suocamion, essendosi nel frat-

tempo rivelato funzionante lo strata-gemma del proclamare le generalitàdi mio cugino al posto delle mie se fer-mato e consolidato al contempo il pattotra me e mio cugino il quale sì bron-tolava, ma si prestava… e anche per-ché mio padre aveva acquistato unaltro di autotreno… finché una do-menica a pranzo chiesi a mio padre diprestarmi un paio d’ore la sua mac-china per quel pomeriggio, questo sea lui non fosse servita. Mi rispose chenon gli serviva, ma che anzi dovevo alsolito provvedere a toglierla dalla stra-da e porla in garage in quanto non mel’avrebbe lasciata comunque. Alla miainsistenza chiedendogli: “Perché?”,mi rispose seccamente: “Perché nonmi fido!”. Scesi, spostai l’auto nel ga-rage, ma non tornai a casa, nemmenola sera e nei giorni successiviMa come, mi chiedevo, tutta la setti-mana in giro per il mondo da solo colsuo autotreno si fida, due ore di do-menica la semplice macchina non sifida?!!!” Con mio padre facevamo pacee litigavamo in continuazione: passa-vo una settimana a lavorare con lui e15 giorni fuori casa, durante i quali fa-cevo viaggi sporadici con camion dialtri autotrasportatori che sapendo-mi nato in mezzo al mestiere e aven-domi visto solingo coi camion di miopadre davano per scontato fossi per-fettamente in regola e me li affidava-no volentieri… .

Nicola Bruzzone - Vasto

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Ricordi d’infanzia

Io, camionista a dodici anni

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Il mio Natale? Un Natale del cazzo. Sono già incammino verso la cella d’isolamento, questa volta

però non ho litigato e nonho pugnalato nessuno, hosoltanto voglia di stare dasolo e conosco molto bene

i sistemi da usare per essere punito. Basta pren-dere il primo assistente penitenziario e mandarloa fanculo. Certo, devi scegliere bene, non devitrovare l’assistente con cui di solito fai due chiac-chiere, ma devi fare una ricerca mirata: assistenteincazzato per i turni, assistente arrivato da unaltro istituto. Quindi applicherà semplicementele regole.Sono in cammino verso la sezione d’isolamento,gli assistenti sono molto stupiti di vedermi. Qual-cuno prova addirittura a rimandarmi indietro maquesta volta dalla mia parte c’è la legge. Nessu-no può andare contro il regolamento peniten-ziario. Molti non sanno che l’ho fatto apposta,sono quasi commosso del comportamento delleguardie nei miei confronti ma il mio obiettivo erastare da solo e ci sono riuscito.Si apre una porta blindata, è l’entrata della mianuova residenza, spero di essere punito fino alnuovo anno così eviterò queste feste che susci-tano in me solo brutti ricordi. Da piccolo venivomandato molto spesso dai miei vicini: era gentemolto buona, addirittura facevano finta di aver-mi fatto un regalo anche se io so che prendeva-mo un vecchio regalo e lo riciclavano. Sono moltograto ai miei vicini di casa ma non posso fare ameno di ricordare che mi sentivo un intruso. Visiete mai sentiti di troppo? Avete mai provato lasensazione di rubare un po’ del Natale di un altro? Entro in cella d’isolamento le guardie sono sva-nite, sono finalmente solo. Do una prima occhiatain giro, non è il mio primo isolamento ma que-sta volta è diverso: vedo le mura che saranno ilmio vestito, con occhi diversi comincio ad ana-lizzare tutto. Ci sono mura sporchissime, il ma-terasso con macchie di ogni genere, anche gliscarafaggi hanno fatto richiesta di trasferimen-to. Continuo a guardarmi intorno: le mura sonocolme di strane scritte, di simboli quasi dei ge-roglifici, scritte in tutte le lingue. C’è molta genteche passa da queste parti: nella mia cella d’iso-lamento c’è un pezzo di storia. Scritte stupide,lamentele e schiaffi, aforismi, gioia e dolore, tuttosi mischia e si tiene sotto braccio come fidanza-tini. Vocali mancanti, matto con una sola T, ab-basso lo stato viva la figa, paolo è stato qui, amoremi manchi, mamma perdonami, a morte i pedo-fili, viva la camorra. Molto spesso resti di stucco:qualcuno cita Socrate, Oscar Wilde, frasi di filmfamosi. Forse ci scrivono sopra per dare ad un altro lapossibilità di ammazzare il tempo che qui sem-bra scorrere lento, forse cercano il futuro, forsecercano in qualche modo di istruirti, non lo so,non ho risposte ma posso immaginare quelloche più mi fa comodo. Insomma vorrei con que-ste poche righe spiegare che non tutti i mali ven-gono per nuocere. Anche in carcere, in isola-mento, e soprattutto a Natale si può grazie adaltri uomini imparare che stare da soli moltevolte non nuoce alla salute.Ora vi lascio, augu-ri e buon Natale.

Giuseppe Festinese - Teramo

AuguriÈ venuta per distruggere la vitadi molti ignoranti, si è introdot-ta nelle feste e nelle discoteche,al principio ti fa’ vivere fuori daquesto mondo pieno di proble-mi, poi col passare del tempo, tifarà sentire la sua mancanza.

Io sono il nemico, la droga, ve-nuta per distruggere il mondointero, non m’importa se sei bian-co o nero, povero o ricco, io tiseguo e dopo che mi provi, seimio per il resto della vita. Ricor-di quando cominciasti? Eri triste,ti sentivi solo; ed io ti offrii la fe-licità e ora ti tengo, sei mio. Fac-cio di te quello che voglio, ti alzila mattina e devi pensare a me,anche quando tu non vuoi. Ti hoadescato e ti tengo schiavo, ti ma-novro come un pupazzo. Mia èla tua volontà. Distruggo la tuavita fisica, morale e spirituale.Sono quella che ha rubato l’amo-re della tua sposa e dei tuoi figli.Sono quella che ti ha portato inprigione e ho fatto di te un verme.Ti tengo incastrato. Di me sei in-namorato non c’è nessuno sullaterra che possa spezzare il nostroamore; cercasti di lasciarmi e fùinutile. Né la scienza, né gli psi-chiatri sono riusciti a rompere ilnostro amore.

Erman Emanuel Ochstadì - Vasto

Siamo rinchiusi qui lontani dalla vitae da chi più amiamo, dietro questesbarre che dividono il mondo irrea-le dalla realtà. Nessuno può capirela vita oltre le sbarre, se non l’ha pro-vata, qui il giorno è fatto di speran-za e senza di essa che ogni giorno ciaccompagna la vita non avrebbealcun senso. In ogni stanza senti latelevisione accesa ma nessuno laguarda, c’è chi legge, chi gioca acarte, chi si dedica a fare ginnasticae chi si mette sdraiato su una bran-da solo per pensare. Se socchiudi gliocchi sembra che stai sognando, mabasta il minimo rumore delle chiaviper farteli riaprire,e cosi ti alzi e dauna finestra vedi le persone pas-seggiare avanti e indietro.

Durante i colloqui l’aria si fa un po’più bella,tutti noi ci prepariamo perincontrare le persone care, con loroviviamo i ricordi che sembravano

ormai lontano,in quelle due ore siriaccende l’anima che senza di loroogni giorno sembra spenta. Ma ap-pena finisce il tempo senti un nodoin gola che non riesci a mandare giùe cosi torniamo senza conforto nellecelle con l’odore e il sapore dei no-stri cari sulle labbra. Sdraiati sullabranda pensiamo a loro e preghia-mo il buon Dio che ci dia la gioia diritornare al più presto vicini ai no-stri cari, perché solo Dio può vede-re la nostra sofferenza, e farci rivi-vere quelle giornate che per noirappresentano la vita. Ma grazie aquesto contesto ho capito la diffe-renza tra il carcere e la libertà.

Gino Gallozzi - Lanciano

AAmico, io sono la droga

Oltre le sbarre

34 s c r i t t i

Anche lo sport rientra tra le attività “trat-tamentali” come la scuola o i corsi. Eppu-re per queste attività, apparentementeequiparate, si adottano due pesi e due mi-sure. Sono d’accordo col fatto che le atti-vità ricreative sono considerate molto im-portanti per il cammino inframurario diogni detenuto, ma non capisco il perchéquelle sportive assumono un’importan-za quasi nulla. La mia non vuole essereuna critica nei confronti degli addetti ailavori, ma è di tutta evidenza la totale as-senza della cultura dello sport. Se per at-tività sportive continueremo a intenderele insignificanti partitelle a pallone, tut-t’altro che rieducative, non usciremo maida questa visione unilaterale riguardol’argomento. Quando manca la culturadello sport, non si ha la percezione deglieffetti importanti che queste attività pos-sono avere su ogni singolo individuo, chesia detenuto o no. L’attività sportiva - pra-ticata con serietà e costanza - oltre al be-nessere fisico, facilita il raggiungimentodi una personalità equilibrata e aumental’autostima, tutte cose importanti perquanto riguarda il relazionarsi con gli altri.A tal proposito voglio dare la mia testi-monianza su come lo sport ha influenza-

to positivamente il mio modo di agire. Lo pratica-vo da quando ero ragazzino, ma purtroppo duranteil servizio di leva scoprii il mondo dei vizi, tuttaviacontinuai la mia attività pugilistica alla quale devoveramente tanto. Negli anni successivi ho incon-trato tanti avversari, ma quello contro il quale nonpotevo mai abbassare la guardia, perché semprepronto a mettermi al tappeto, era lui: il vizio. Finquando ero impegnato con la mia attività sporti-va, esso nulla poteva nei miei confronti, perché lostare in forma, era troppo più importante; ma quan-do -per un motivo o per un altro- mi fermavo perun periodo, ecco che il vizio tornava all’attaccotrovando terreno fertile. Ogni qual volta dovevorialzarmi, non facevo altro che tornare ad alle-narmi e cosi via, tutto diveniva sempre inversa-mente proporzionale: praticavo sport e conduce-vo una vita regolare, smettevo di praticarlo ericominciavo con i vizi. Ovviamente questi “co-stano”, di conseguenza scattano quei meccanismiche tutti conosciamo e che, inevitabilmente, mihanno condotto in questo posto. Il messaggio cheintendo far arrivare è che, a mio avviso, la culturaallo sport può dare quella forza che ci rende im-muni dalle dipendenze. Allora perché non intro-durre più occasioni per praticare sport con pro-fessionisti in grado di dare il giusto valore a questeattività? Detta cosi sembra quasi un’utopia. Maproviamo a immaginare un ex detenuto che devereinserirsi nella società. Ammesso che egli abbiaun lavoro, nel restante tempo libero, per evitareche questi vada in qualche bar a “gareggiare” conun videopoker o con bottiglie di birra, ritenete siapiù utile una qualsiasi attività ricreativa di quellesvolte in carcere, oppure il beneficio derivante dal-l’andare in palestra o altrove a praticare una delletante attività sportive? A voi la risposta…

Cristian Di Marzio – Chieti

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Ciao Tommy,non potevo non menzionarti,non potevo non darti quest’ultimo saluto, che poi ultimo none’, perche’ sono certo che un giorno ci rivedremo.Te ne sei andato troppo in fretta amico mio, o meglio amico ditutti, perche’ con tutti eri disponibile, a tutti sorridevi etutti ti volevano bene. Il fardello e’ stato subito pesante conte, sin da quando eri ragazzino, ma nonostante tutto il tuosorriso ti ha accompagnato fino all’ultimo ed e’ proprio conquel sorriso che sempre ti ricorderemo.Sicuramente ci saremmo rincontrati io e te, e in giro per i no-stri piccoli paesi avremmo commentato quell’ infaustopassato che non e’ altro che il presente, ma purtroppo questonon avverra’ perche’ l’ illogica equazione della vita ha pro-dotto un risultato diverso.E mentre tu danzi con gli angeli in quell’infinito campo digrano,a me non resta che continuare questo percorso tortuosoverso l’ignoto traguardo, nella speranza che un giorno ti ri-vedro’ per bere insieme a te quella famosa birra che ci erava-mo promessi.

Dedicato a Tommaso Mennitti

Cristian

C’era una volta...in un lontano boschetto una bellissima famigliola di scoiattoli com-posta da Papà scoiattolo, Mamma scoiattolo e il nostro Scoiattoli-no. Ogni mattina Papà scoiattolo si reca a lavoro per portare avan-ti la sua famigliola, mentre mamma scoiattolo ha cura del suo amatoScoiattolino. E’ una famiglia felice.Scoiattolino cresce e Mamma scoiattolo lo va a iscrivere a scuola. Siavvicina il primo giorno di scuola e tutti insieme si recano alla cittàdi Scoiattolandia per comprare tutto il materiale che serve a Sco-iattolino. Dopo aver comprato tutto, la famiglia torna a casa con-tenta.Finalmente arriva il primo giorno di scuola ma per motivi di lavoroPapà scoiattolo non può accompagnare suo figlio e Scoiattolinodove andare e tornare da solo. I primi giorni va tutto bene e Scoiat-tolino è un ottimo studente. Ma un bel giorno arriva nella sua clas-se un nuovo scoiattolino molto vivace che si comporta male e fascherzi pesanti a tutti. Il tempo passa e il nostro Scoiattolino riescea diventargli amico e un giorno gli chiede perché aveva tanto odioverso tutti.Lo scoiattolino vivace gli spiega che dove abitava lui c’era un gran-de gufo cattivo e che un brutto giorno gli aveva mangiato tutta lasua famigliola. Da quel momento era diventato un duro e aveva ini-ziato a comportarsi così. Scoiattolino cerca di spiegargli che la ven-detta non serve a niente ma lo scoiattolino vivace sentendo questeparole si arrabbia e lo caccia via. Col passare del tempo questo gesto gli si ritorce contro: lo scoiatto-lino vivace è rimasto solo. Per la tristezza si mette a cercare il nostroScoiattolino buono per dirgli che aveva deciso che non avrebbe fattopiù male a nessuno. Quando finalmente si incontrano di nuovo idue scoiattolini diventano grandi amici e da allora tutti gli scoiat-toli di quel meraviglioso boschetto vivono felici e contenti.

Ciro Improta - Chieti

C’era una

C’era una volta…Così dovrebbe iniziare una bella favolae Daria pensò che doveva scrivere pro-prio una storia così, bella, piena di fan-tasia e con un lieto fine come tutte lefavole, ma adesso davanti al suo com-puter, non riusciva a pensare a nien-t’altro che a se stessa e alla sua storiache assomigliava proprio a una delle suestorie inventate, l’unica differenza erache la sua favola si poteva chiamare unastoria drammatica senza un finale.Guardando fuori dalla finestra il brut-to tempo che aveva portato una fred-da pioggia d’aprile, Daria pensò alla suavita passata che aveva lasciato delle fe-rite aperte per tutta la vita. Era unadonna ancora giovane ma si sentiva vec-chia, e soprattutto sola; sentiva come lasolitudine circondava la sua vita, nono-stante tutto quello che aveva, nono-stante l’amore che aveva scoperto da

ormai quattro annipassati…sì, nonostan-te tutto si sentiva solae lo sapeva che man-cava qualcosa per es-sere del tutto felice,mancava qualcosa cheaveva lasciato indietroper anni ma che non

l’aveva mai abbandonata in tutto que-sto tempo. Daria sapeva che era arriva-to il tempo di affrontare se stessa e diritornare a casa, alle sue origini, per ri-trovare una parte di lei. Un tuono ac-compagnato da fulmini, lontano nelbuio, avvertì che il tempo peggiorava elei andò sul divano dove si coprì con unacoperta, e malinconica riportò i suoi pen-sieri indietro di sette anni…Aveva solo 23 anni quando aveva deci-so di lasciare indietro a sé il suo piccolopaese e affrontare il mondo da sola. Pen-sava che solo così poteva trovare la suafelicità, il vero amore e che solo così po-teva crearsi una carriera, e non accet-tava nessun tipo di consiglio, non vole-va sentire la sua famiglia che le dicevadi restare con loro, di sposarsi con unbravo uomo e fare dei figli. No, lei nonapparteneva a quel piccolo mondo, nonera una ragazza di quelle che abbassa-

vano la testa quando i genitori decide-vano il loro destino, lei era molto più te-starda e perché non dirlo, molto più in-telligente di quelle ragazze, perchécredeva con tutta se stessa nelle sue ca-pacità e nessuno poteva fermarla. Ma,arrivata qui, si rese conto di quello cheaveva fatto e la vita la mise a dura prova;ma lei ogni volta che cadeva si rialzava,più determinata di prima e qualunquecosa gli bloccava la strada, lei non ab-bandonava mi le sue idee e i suoi sogni.Adesso ricordando tutto questo, un sor-riso amaro sfiorò le sue labbra e una la-crima gli sfuggì prima che lei la potes-se trattenere. Adesso, dopo una vitadura che le aveva comunque segnatol’anima, si era resa conto che aveva im-parato molto dalle sue esperienze eanche dai suoi sbagli, e finalmente avevaincontrato il vero amore ed era riuscitaa diventare una persona che sognavada piccola, una scrittrice di successo chefaceva felice ogni sera adulti e bambi-ni con le sue storie bellissime con lietofine. Adesso toccava a lei essere felice edecise di dare un lieto fine anche allasua storia, decise di parlare con il mari-to per ritornare a casa e riavere final-mente il suo lieto fine!

Cristina Iancu - Chieti

35 c o r s a r i

Sono le otto delmattino. L’odo-

re del caffè iniziaa diffondersi nei

corridoi e mi trovogià all’ennesima si-

garetta e sono d’untratto pervaso da una

strana sensazione…misento osservato!

Nel corso della notte hosentito più volte gli agenti

camminare e parlottare da-vanti alla mia cella pronun-

ciando più volte il mio nome.Credendo in un trasferimento,

avevo iniziato a preparare i “sac-chi” che ora sono poggiati sul letto

mentre tutti mi guardano in modo di-verso, o quantomeno è questa la mia im-pressione; persino quel ragazzo rume-no di cui non ricordo il nome, passando,ha accennato un timido sorriso salutan-domi con la mano. Da lontano i passi svel-ti dell’agente di turno e quel tintinnio dichiavi in ottone, diventano un suono rim-bombante nelle mie orecchie. Sta ve-nendo da me? oppure è solo frutto dellamia fantasia?Accendo un’altra sigaretta tentando di

distrarmi. L’ispettore di turno fermo da-vanti il cancello chiuso continua a fis-sarmi mentre il suo collega apre la cellae con voce ferma mi comunica che possoandare a casa. Confesso che per un istan-te ho creduto ad uno scherzo di pessimogusto ma non sono riuscito a dire nean-che una parola; i pensieri dapprima in-certi iniziano ad essere totalmente con-fusi…è stato il mio avvocato che,sicuramente, si sarà mosso in silenzio pernon creare illusioni, o forse, per quel-l’istanza mandata qualche mese fa?...orapoco importa…devo correre a prende-re un pulman per tornare a casa final-mente…!Saluto tutti ed arrivo in matricola per lenotifiche di rito e continuo ad avere laforte sensazione d’essere osservato. Notoin lontananza volti mai visti che mi fis-sano e così si rafforzano le manie perse-cutorie anche se passano velocementein secondo piano…voglio correre a casae basta!Dopo qualche ora sono nel rione dovevivo. Niente è cambiato…stessi rumori,stesso caos, anche quel piccolo bottega-io di fianco al portone di casa mia è an-cora lì seduto su una vecchia sedia in vi-mini proprio come la mattina del mio

arresto, ed anche in questi luoghi a mecosì cari, continuo a sentirmi osservato.Salgo le scale di casa a tre per volta, suonoil campanello è trovo mia madre che m’ac-coglie incredula tra le lacrime. Cerco dicalmarla e di strapparle un sorriso per-ché ora inizia un nuovo futuro, la nuovavita, che tanto agognavo negli anni didetenzione. Giro per casa toccando tuttocome un bimbo curioso mentre mia madreseduta in cucina continua a dirmi che po-lizia e carabinieri sono già passati a cer-carmi. Dentro me, penso per normali con-trolli ma di colpo il campanello d’ingressoirrompe prepotente riecheggiando pertutta la casa…guardo mia madre. Aprola porta con timidezza trovandomi da-vanti degli agenti di P.S. e senza darmitempo di parlare mi arrestano nuova-mente. Ho le lacrime agli occhi mi sentosmarrito e continuo ad urlare…poi piùnulla! Apro gli occhi, sono le otto…ri-percorro attentamente con la memoriaa quelle ore, turbato e stupito, rattristatoe disorientato. Gli odori del caffè caldoriempiono i corridoi ed il carcere di Chie-ti. Torno a dormire; forse questa realtàè solo un altro incubo dal quale spero disvegliarmi presto.

Maurizio Saporito - Chieti

Il m

io in

cubo

volta

Ognuno lodi la propria perché l’amore di una madre è sommo, puro, divino solo la Mamma sa quel che il proprio figlio desidera. Solo lei con un solo sguardo colma la profonda tristezza.

Solo una Madre si leva il cibo di boccaper donarlo al proprio figlio e quando digiuna va a letto non teme la fame, perché è sazia dell’amore che ha donato.Inno a mia Madre perché sono nato da leie non posso non lodarla.

P.P.Rago

Lentamente spazi via la calda stagioni ti imponi difronte ad essa con un vento malinconico che tra-scina via la spensieratezza degli amori estivi, muoviimpetuoso le alte fronde degli alberi spogliandolidelle loro ultime foglie le smuovi violentementenell’aria per poi lasciarle cadere dolcemente sulmanto erboso. Ed eccole lì come smarrite rimango-no solitarie fin quando il tuo soffio leggiadro nonle risolverà ancora una volta. Come le foglie scuotiil mio animo e in un attimo profumo d’autunno.

Pier Paolo Rago

Modellasti il fango e mi soffiasti nell’orecchiomi ritrovai già uomo però non molto vecchioti accorgesti che ero nudo e sentii il tuo grido: qualcunoche lo copra corsero molti angeli ma il sarto non capiva e invece dei vestiti dissero questa è Eva la immaginai da subito con un vestito bianco vidi una cicatrice scorrere sul mio fianco Eva fece un sorriso era così serena presi tutto il coraggio e la invitai a cena mi disse mi va bene però non mangio carne risposi c’è la frutta se vuoi posso comprarne ci incamminiamo piano in un viale splendente sentivo bisbigliare Eva con un serpente vide una grossa mela si innamorò di scatto allora io la colsi firmando il nostro sfratto ho un bozzolo alla gola sul fianco porto un livido disubbidire al Padre è stato molto stupidoinsomma persi tutto nel giro di un secondo credo sia colpa mia se gira male il mondo.

Giuseppe Festinese - Teramo

Cancello la realtà e uso i miei ricordi, rivedola tua faccia dentro i tuoi occhi verdilo splendido tepore della tua pelle chiarai baci che mi davi come fiori nelle serrenell’aria il tuo saporenon vedo più sbarreti scrivo una canzone racconta dell’amoreinizia con le note è il battito del cuore e una strana canzone che non ha molti accordiparla della mia faccia dentro i tuoi occhi verdi.Giuseppe Festinese -Teramo

Profumo d’autunno

Inno alle Madri

Era il lontano ‘96 ed io ero un bel ragazzoestroverso a dire poco forse a volte anche pazzo;

Era festa di paese e combinavo sempre guaiincontrai una ragazza e le chiesi:”Ciao, che fai?”

Da quel giorno grandi amici nella gioia e nel doloregiorno e notte spesso insieme eppure mai scoppiò l’amore

Ogni volta che si usciva la provavo a baciarecol sorriso e un certo stile mi mandava sempre a cagare;

Son passati sedici anni e ci siamo ritrovatisarà uno scherzo del destino ma ci siamo innamorati;

E mentre io continuo questo tortuoso camminoall’improvviso arriva l’intervento Divino;

Anche se nulla era stato premeditatooggi un bel bambino ci è stato regalato;Questa è la storia del mio grande amore

e ve la racconto così con la gioia nel cuore.Cristian Di Marzio - Chieti

Addio l’io

In cerca di occhi

Mea culpa

Se penso al peso dell’etichettaesso mi schiaccia come una marionetta;se penso alle critiche della gentefaccio guerra alla mia mente;allora mi sveglio e voglio pensareche il mio passato è solo da dimenticare;mi convinco che sconfiggerò la pauracosì la strada da percorrere sarà meno dura;mi convinco ancora che sono entusiastama tutto ciò evidentemente non basta;ed ecco mi ricordo di un vecchio amicoche se ci penso non mi ha mai tradito;gli dico: “Signore Signore non mi abbandonarealtrimenti non so proprio dove devo andare”;Lui mi dice: “non temere prendi la mia manoe insieme a me arriverai lontano”;mi faccio coraggio niente pauraforse è l’inizio di una nuova avventura;finalmente ho deciso, insieme a Lui voglio volareanche perché in galera non ci voglio tornare…

Cristian Di Marzio – Chieti

Ho deciso!

Non sò dove trovarvi, non so come cercarvi, ma sento una voce chenel vento mi parla di voi. Questa anima senza amore aspetta voi. Lenotti senza pelle, i sogni senza stelle, immagini del vostro viso chepassano all’improvviso mi fanno sperare ancora che un giorno vi tro-verò. Cerco il cammino che mi porta via dall’agonia, sento batterein me questa poesia che ho pensato per voi. Se sapete come trovar-mi, dove cercarmi, abbracciarmi con la mente. Il sole mi sembra spen-to, accendete il vostro nome in cielo. Ditemi che ci siete, quello chevorrei è vivere in voi. Il sole mi sembra spento, abbracciatemi con lamente, smarrita senza di voi.

Antonio Idioma - Chieti

Vi cerco

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illustrazione di Daniele Baldini

«Mille sono i treni che passanoin una vita, mille sono le occa-sioni ... un treno racchiude ilseme della rinascita ... Un trenoche traduce la parola dolorecon la parola speranza. Il bi-glietto per quel treno dovrà con-tenere la tua coscienza , ciò chesei, ciò che vorrai fare, ciò chefarai. Solo se avrai quel biglietto,avrai l’accesso a quel treno.Solo se sarai pronto lo sentiraiarrivare e se lo sentirai arri-vare, lo vedrai. Apri i tuoi occhie la tua anima. E guarda».Queste le parole di uno degli at-tori detenuti che hanno recita-to al Flaiano a Pescara il 10maggio. Parole che danno ilsenso al lavoro fatto dal labo-ratorio teatrale di Manuela Ta-bassi: concreti esempi per pro-muovere il cambiamento eoperare per un percorso di rein-serimento di chi ha sbagliato eche non vuole più sbagliare. Lospettacolo, realizzato assiemeagli studenti dell’Istituto Pe-dagogico Marconi, ha com-mosso una foltissima platea. Ealla fine sul palco a ricevere gliapplausi i detenuti attori. Unodi loro mesi fa appena arriva-to a Pescara da un alto istitutomi era apparso deluso, sfian-cato e distrutto nel corpo e nellamente... ma quel 10 maggio eraun’altra persona. Era tornatoa sperare e a vivere. E sorri-dente e felice salutava un fami-liare in platea. La conferma chene vale la pena.

F. L.P.

“… Sapevamo fin trop-po bene che la mancanza di

strutture esterne e soprattutto dilavoro avrebbe indotto la maggior

parte di loro a commettere nuovi reati,ma per la prima volta la galera era di-ventata un luogo di speranza e e qual-

cuno si sarebbe salvato”(da La terra della mia anima

Massimo Carlotto)

Campobasso:era il 10 set-tembre 2011

e mi trovavo in iso-lamento quandovenne l’ispettoreper dirmi che erostato trasferito.Pensai ancora unavolta, uffa, chissàdove mi porteran-no questa volta. Co-munque, mi pre-paro e vado inmatricola per la so-lita prassi. Salgo sulfurgone, chiedo alcapo scorta la miadestinazione, mi ri-sponde “a Pescara,lì si sta bene”. Non

ci credevo, parole simili le avevo sentite moltevolte, perché già ero stato trasferito quattrovolte e tutti mi avevano detto cosi ma poi nonera cosi. E invece questa volta mio devo ricre-dere perché giorno dopo giorno sono anda-to avanti come i bambini, facendo un passoalla volta nella giusta direzione, perché hovisto cose che io non ho mai visto in un altrocarcere: il 20 dicembre nell’auditorium del tea-tro la tombola, in seguito la festa della melo-dia, e poi la cosa che mi ha più sorpreso è statoil 18 gennaio quando la direzione ha orga-nizzato la festa del bambino, era una festa perchi aveva i figli minori, potevamo passare treore con le nostre famiglie...insomma qui laparola reinserimento ha un senso. Concludocon un pensiero rivolto a chi ci legge fuori daqueste mura: anche noi detenuti siamo esse-ri umani con un cuore pieno di sentimento,basta con i soliti pregiudizi.

Alberto Giannetti - Pescara

Le buone pratiche

Teatro e non solo

n grande successo, ma soprattutto un granderisultato dal punto di vista umano. Parliamodello spettacolo realizzato dalla CompagniaTeatrale della Polizia Penitenziaria di Chieti,che ha portato in scena “Filumena Martu-rano” e il cui ricavato è stato devoluto a Voci

di Dentro. La manifestazione teatrale costituisce unponte tra il dentro e il fuori del carcere contribuendo adevidenziare alla società le difficoltà del carcere e degliuomini che in esso vivono, tutte le sue contraddizioni maanche le enormi potenzialità che gli sono proprie sotto ilprofilo umano, sociale e di recupero sociale. Purtroppo spes-so si sente parlare ingannevolmente del carcere solo pereventi anomali che lo interessano perché si vuole continuare

a considerare il carcere separato dalla società. Questo èun sbaglio, un errore per la società stessa, perché

essa dimenticandosi del carcere dimentica anchele proprie responsabilità. Spesso la colletti-

vità vuole considerare il carcere diviso dallasocietà, per crearsi una giustificazione,per continuare a non occuparsi del car-

cerario. Troppo spesso la società rinnegail carcere scaricando su di esso i problemi che

lei stessa ha prodotto e che non sa o non vuole risolvere im-maginando, forse non del tutto in buona fede, che queiproblemi possano trovare soluzione nel carcere. In re-altà c’è un atteggiamento ambivalente e pessimo nellerichieste che la società formula al penitenziario. Alcarcere e nel carcere essa chiede talvolta una sicurez-za che quasi rendi nullo il rischio del reato. Bisognaessere consapevoli che il “tentativo della rieducazio-ne” parte è condotto dall’Amministrazione Peniten-ziaria ma non grave esclusivamente su di essa. Gli ope-ratori penitenziari attraverso il loro impegno cercanodi creare valide premesse perché il detenuto possa riac-quistare un rapporto di rispetto e di impegno con se stes-so, perché poi il rispetto e l’impegno possa transitare versol’esterno. Qualcuno ha già detto che “il carcere non puòcontinuare ad essere alibi di ciò che non si può fare, non sivuole fare, una frontiera ultima dove la catena delle colpesi ferma, inchiodando chi vi opera a rispondere di tutto eper tutti”. E’ chiaro che molti sono gli obblighi e grandi sonole responsabilità per il miglioramento dell’universo peni-tenziario, mentre per converso poche sonole gratificazioni ed i meriti, entrambi peròfanno capo a tutti e non solo al carcere. Allafine è giusto chiudere ricordando le paroledi Domenico Soriano :”Hai ragione tu Filu-mè... E figlie so figlie, e so tutt ugual...”

I detenuti in art.21

U

39

‘E figli so figli...e so tutt’ugual’! “ Il personale penitenziario tocca ogni giorno con mano il dolore dei familiari, l’emarginazione, la promiscuità, la po-vertà. È testimone della necessità di recuperare le persone e vorrebbe che quando si parla di certezza della pena nonsi intendesse solo la certezza del carcere.”

Valentino Di Bartolomeo, Comandante della Casa Circondariale di Chieti

40 Le buone

18 gennaio, dopola rappresenta-zione teatrale suShakespeare e lafesta della musica

nel carcere di Pescara, la direzio-ne ha organizzato la festa deibambini ed è stata una festa veranel vero senso della parola, cheha commosso tutti. Anche noi de-tenuti eravamo molto emozio-nati e appena siamo entrati in tea-tro abbiamo avuto la sensazionedi trovarci in un’altra realtà. Ciòche ci ha più colpiti sono state legrida festose dei bambini e soloora che ci troviamo ognuno nellapropria cella, stiamo realizzan-do quanto essi ci abbiano porta-to “fuori” da queste mura. Ab-biamo provato un sentimentomisto, forse nostalgico, e non sa-premmo quantificare cosa pre-valesse, una parte di noi gioivanell’osservare quei bambini e queiragazzi ridere e correre per la stra-da abbracciati ai loro papà, l’al-tra parte provava una sorta di no-stalgia dovuta forse al desideriodi stare anche noi li insieme ai no-stri figli, e non in qualità di “in-viati” di Voci di dentro. Purtrop-po i nostri pensieri sono subitoandati ai nostri figli e al tempoperduto lontano da loro, e sonotornati quei sensi di colpa mai as-sopiti che spesso, prepotente-mente, ci travolgono. Con nonpoca fatica abbiamo accantona-to quei pensieri e quei sensi dicolpa, concentrandoci solo sullafesta, e l’osservare quei bambiniha semplificato il tutto. Negli occhidei nostri compagni abbiamo no-tato una luce diversa: orgoglio,fierezza, amore… molti erano gliocchi lucidi e in quegli sguardi ab-biamo intravisto gli stessi nostrisentimenti. Siamo consapevoliche siamo la causa di tutto e l’im-potenza del momento ci travol-ge e pur convincendoci che, unavolta fuori, tutto cambierà la sen-sazione e come quella di dovertamponare una grossa ferita conun piccolo cerotto. Non si puòcompensare il tempo perso conquello che si vorrebbe recupera-re, di certo è di poca consolazio-ne ma forse ci aiuta a rincorrerela speranza di un futuro miglio-re.

Ma torniamo ai bambini. Per unattimo abbiamo desiderato esse-re anche noi dei figli, immagi-nando tutte le emozioni che tra-sparivano dai loro occhi;sicuramente l’evento era specia-le anche per loro, consapevoli pur-troppo che quegli attimi di gioianon potevano durare oltre quelgiorno, e tutti quei sorrisi di li apoco si sarebbero trasformati intristezza dovuta al doversi sepa-rare di nuovo. È come essere co-scienti di vivere un sogno stupendoe aver paura del risveglio. Certa-mente non sono emozioni facilida descrivere ma crediamo di es-sere riusciti a rendere l’idea, stadi fatto che quelle tre ore sonostate vissute nella piena felicità eper chi legge può sembrare pocacosa, ma sia per noi papà, sia peri nostri figli che per le mamme ri-marrà un ricordo indelebile, per-ché a differenza dei soliti collo-qui resi asettici dal muro che cisepara, i bambini non si sono chie-sti il perché di tutte queste di-stanze dal padre. Sarebbe utopiachiedere un aria verde? Sicura-mente con un po’ di volontà que-sti momenti di affettività posso-no diventare continui, affinché ilcolloquio sia più “sentito” e ca-loroso, e nello stesso tempo menodrammatico per i bambini. Tuttoquesto è stato possibile grazie allagrande sensibilità della direzio-ne della Casa Circondariale di Pe-scara, dell’area educativa e degliagenti penitenziari che sono riu-sciti per un giorno a farci dimen-ticare di essere reclusi in carcere.Un ringraziamento particolare vaa tutti gli animatori che hannoreso la giornata incantevole, e so-prattutto a chi ha sostenuto l’even-to –Coop adriatica, Caritas dio-cesana, Istituto Alberghiero DeCecco, Associazione telefono az-zurro – perché è grazie a questienti e alla solidarietà di questepersone che si possono realizza-re questi eventi magnifici sia pernoi detenuti, che per i nostri figli.Concludiamo col ringraziare dicuore la dottoressa Ilenia Di Feboche ci ha scelti come inviati percommentare questa indimenti-cabile giornata.

Alberto Giannetti e GiovanniCaltagirone - Pescara

essere una giorna-ta come tantealtre, invece quelmercoledì 18 è

stato magico. Percorrevo le sezioni ed i corridoi ma nonvedevo più celle o cancelli. Mi sembrava di percorrereviali alberati … e mi sono trovato ad un passo dalla li-bertà: varcai la porta del teatro e vidi una piazza contante famiglie e tanti bei bambini e quando sono en-trato mi sono sentito come fuori; con lo sguardo cer-cavo la mia famiglia, avevo gli occhi lucidi, le gambe mitremavano, ed ecco che all’improvviso vedo i miei figlicorrermi incontro. Di colpo mi sono sentito come unRe. Subito sono stato immerso dalle coccole, quasi misentivo io figlio loro perché prendendomi per mano,mi hanno accompagnato lì dov’era seduta mia moglie.Ed eccomi di fronte a lei, con le lacrime agli occhi e conun sorriso smagliante. All’inizio non mi uscivano le pa-role di bocca, ma dopo un po’ mi siedo al suo fianco, laprendo per mano e le chiedo se era contenta, ma la ri-sposta l’ho avuta guardandola negli occhi. Ma non erol’unico ad essere emozionato, anche mia moglie lo era.Notai la grande felicità dei miei figli, ma quello che ren-deva il tutto fantastico era la totale assenza di ostaco-li; non vi erano né mura, né sbarre tra me e loro ed è perquesto che mi sentivo come libero, perché a volte nonè necessario esserlo, ma sentirsi liberi. E’ stata una festabellissima, gli spettacoli una favola, io e mia moglie era-vamo talmente felici che ci sentivamo noi bambini. Quasi mi sembrava di stare alla festa di Sant’Andrea a

San Donato: la feil

doveva

41 pratiche

grande festa. Si respiravaun’atmosfera di solidarietàincredibile, non solo tra noidetenuti con i nostri bambi-

ni e le nostre mogli: anche da parte deglioperatori c’era un clima di gioia, e questocredo sia stata una delle cose che mi è ri-masta più impressa, l’amore incondiziona-to di riuscire a regalare un sorriso a tantibambini che purtroppo per colpa nostra vi-vono il disagio di avere un genitore dete-nuto. Io credo che questo atto di generosi-tà sia veramente da ricordare ed io di certonon mi dimenticherò. Mia figlia quando miha visto mi è saltato adosso ed è scoppiatain lacrime stringendomi sempre più forte,ho sentito il suo parlarmi senza che mi fa-cesse sentire la sua voce, il suo pianto eradentro il mio cuore e solo Dio sa quello cheha scaturito nel mio essere, è stata un espe-rienza incredibile e non semplice da descri-vere. Gli occhi di mia moglie brillavano madevo dire che nonostante ciò mi ha aiutatocomunque a tranquillizzare mia figlia. C’era-no clown, illusionisti, musica e animazione,c’era persino un buffet preparato dall’isti-tuto alberghiero di Pescara con gli stessioperatori che distribuivano dolcetti, zuc-chero filato, palloncini ecc… ma per mia fi-glia non era importante tutto ciò, perchéper lei la sua festa ero io, non desideravanient’altro che stare abbracciata a me.Ho iniziato a spronarla facendole spuntarequalche sorriso, le ho sussurrato all’orec-chio che quando sarei tornato non l’avreilasciata mai più sola, ha rialzato la sua testanascosta tra le mie braccia, mi ha guardatoper un attimo senza dire una parola, quasiincredula di quello che aveva sentito, poimi ha detto: “promesso?”…ed io: “si, pro-messo!”. Siamo andati insieme a prendereuno zucchero filato e dei dolcetti che tral’altro poi ho dovuto mangiare io. Avrei vo-luto fermare il tempo per restare con lei al-l’infinito ma ormai le nostre due ore eranosvanite da un pezzo, e purtroppo ci siamodovuti lasciare poco dopo. Certo se potessitornare indietro nel tempo, di sicuro nonmi sarei perso neanche un solo attimo dellasua vita, visto che dei suoi dodici anni, neabbiamo vissuti insieme soltanto due. Vor-rei ringraziare l’amministrazione peniten-ziaria, in particolare la direttrice di questoistituto, la dottoressa Avvantaggiato, l’edu-catrice dott.ssa Federica Caputo per la ma-gnifica riuscita di questo pomeriggio indi-menticabile con l’auspicio che questi eventispeciali si possano ripetere nel tempo.

Davide Pecoraro - Pescara

Pescara. I miei figli ogni tanto mi chiedevano di pren-dere loro qualcosa ed io incominciavo a capire che bastapoco per rendere felici i propri figli, e soprattutto one-stamente. Il tempo a disposizione stava terminando esi avvicinava il momento di tornare alla realtà e contanto sangue freddo e una tristezza nel cuore inco-minciai a rimettere i giubbotti ai miei figli, nel con-tempo loro mi facevano un sacco di domande alle qualinon rispondevo perché sapevo quello che mi aspetta-va. Con molta calma incominciai a salutarli dicendogliche la festa era finita e che papà doveva tornare a la-voro, questo fu il momento più drammatico, e ancoradi più lo fu quando salutai mia moglie che, con le la-crime agli occhi mi disse di non temere perché là fuoric’erano loro che mi aspettavano. Vi lascio solo imma-ginare quello che stavo provando in quel momento. Mifeci forza e cominciai a ripercorrere il viale alberatosenza voltarmi, e pian piano tornai a sentire i rumoridelle chiavi e dei passi dell’agente che questa volta miseguiva per riportarmi dentro. Sospirando cercavo discaricare la rabbia che mi stava venendo mentre i mieiocchi cominciavano a vedere di nuovo sbarre e cancel-li; con fatica rientro nella mia cella, e fu proprio quel-lo il momento in cui mi sono voltato indietro renden-domi conto che ero tornato alla cruda realtà. Non mirestava che sdraiarmi sul letto e ripensare a tutto quel-lo che avevo vissuto con la mia famiglia e ai ricordi cherimarranno a lungo impressi nella mia mente.

Lorenzo Di Lorenzo - Pescara

esta dei bambini

Foto di Michele Raho

una

42 Le buone

no degli aspetti piùduri e dolorosi dellaprivazione della li-bertà è la lontananzadalle persone care, inparticolare dai figli. Ipadri detenuti vivo-

no una doppia distanza, quella fisica equella educativo-affettiva, conseguen-te alla prima, ma più profonda e silen-ziosa, dovuta alla difficoltà di esercita-re il loro ruolo e di condividere laquotidianità della vita dei figli. Per le famiglie, d’altra parte, la deten-zione di un genitore costituisce un even-to fortemente traumatico, soprattut-to per i bambini, che, privati dellapresenza fisica del padre e spesso anchedell’opportunità di rielaborare e dareun senso a quel vissuto, rischiano di in-contrare difficoltà aggiuntive e specifi-che nel loro percorso di crescita. La continuità del legame affettivo, no-nostante tutto, rappresenta per i figliun diritto inalienabile e per i genitoriun diritto/dovere, laddove il diritto dicontinuare a svolgere la propria fun-zione educativa, pur nella separazione

che il carcere comporta, è strettamen-te connesso alla responsabilità e al do-vere di esercitare tale diritto, come me-glio possibile. Presso la Casa Circondariale di Vasto,nell’ambito delle attività trattamenta-li orientate a facilitare le relazioni fa-miliari e grazie alla collaborazione in-staurata con l’Associazione “Sul sentierocon papà”, sono stati proposti tre filmincentrati sul rapporto tra genitori efigli: Il piccolo Nicolas e i suoi genitori(Francia, 2009), La musica nel cuore(U.S.A., 2006), e Che ora è (Italia, 1989).Tra maggio e giugno, per tre giovedìconsecutivi, alcuni papà dell’Associa-zione hanno assistito con i detenuti alleproiezioni, partecipando con attenzio-ne e rispetto ad una successiva occasio-ne di dibattito e di confronto tra espe-rienze comuni. A settembre, il progettoè di vedere un altro film tutti insieme,coinvolgendo anche i bambini.Papà di dentro e papà di fuori, dunque,insieme per riflettere sul ruolo di geni-tori e su come si possa – si debba – re-starlo comunque, anche quando i com-ponenti della famiglia si trovino ad

essere fisicamente distanti gli uni daglialtri, quali che ne siano le ragioni: se-parazione tra i genitori, malattia, as-senza per lavoro o, certo difficile da spie-gare ad un bambino, perché il genitoredeve trascorrere in carcere un periodopiù o meno lungo di tempo. Gli interventi di sostegno alla genito-rialità costituiscono per l’Amministra-zione Penitenziaria un dovere esplici-tato dalla normativa e possono divenireuna valida risorsa anche nella prospet-tiva della dimissione dal carcere e delreinserimento sociale. A tal fine, il con-tributo della comunità esterna, dell’as-sociazionismo e del volontariato è dav-vero prezioso e il suo significato prescindedalle singole iniziative, per quanto pre-gevoli, posto che il carcere è un pezzodella società, non cosa altra da essa, eche rendere migliore il carcere equiva-le a rendere migliore la stessa società,più giusta e solidale, ma anche mag-giormente sicura.

Giusi Rossifunzionario giuridico pedagogico - Vasto

In questo posto orribile e privo di emozioni e felici-tà, la galera, sono riuscito dopo tanto tempo a tro-vare quasi la mia stabilità e quella manciata di feli-cità che ti aiuta a superare tutto questo. Sembrabanale detto da me a 36 anni ma proprio ora sonoriuscito a capire cosa voglio fare nella vita. La gale-ra, quindi, in un certo senso a volte può farti capirequello che in tanti anni non hai capito e scoprire quelqualcosa di buono che è in te. E poi si sa che la vitaad ogni età può regalarti qualcosa di diverso. E chilo poteva immaginare che una cucina, dei forni epochi ingredienti potevano farmi stare bene! Oracucino per 350 compagni e lo faccio con coscienza eimpegno, anche se a volte c’è qualcuno che non ap-prezza, come in tutto, ma a me non importa, le cri-tiche fanno bene. Viceversa nel campo parallelo, lapasticceria, ricevo mille complimenti e con i miei squi-siti dolci so di fare anche un po’ la felicità di tutti imiei compagni. Questo mi gratifica molto e in que-sto posto che di tante soddisfazioni non si campa,io campo e vado avanti soddisfatto per quello cheho imparato e pensando ad un futuro migliore, se-reno per vivere nella legalità. E soprattutto sogno“che non è proibito” diventare un grande pastic-ciere.

Salvatore V. - Lanciano

Aria di liberta’

Sul sentiero con papà

Sono napoletano, sposato, ho quattro figli, il primogenito hadiciotto anni e il più piccolo ne ha otto, e ho una moglie specia-le che li segue e cerca in tutti i modi di non fargli mancare nien-te anche in mia assenza. Tutti questi sacrifici li fa anche per mecon tutto che l’ho fatta soffrire tanto e le ho dato molti dispia-ceri e tutto ciò perché a trentaquattro anni ho preso la stradadella droga. Le ho dato tanta delusione e non solo a lei, ma atutti i miei cari che ancora oggi mi stanno vicino …. Non vedol’ora di tornare libero per dimostrare a tutti i miei cari che sonotornato ad essere il Carmine di una volta, in particolare a miamoglie e ai miei figli che sono la cosa più cara e bella della miavita. Sono stato due anni a Poggioreale e poi trasferito a Pesca-ra dove ho beneficiato già di tre permessi premio. Il primo di treore nella casetta del telefono azzurro con i miei figli, il secon-do di tre giorni nell’abitazione della Caritas qui a Pescara e ilterzo di cinque giorni e vi posso dire che ho provato una sensa-zione bellissima. Ho incominciato ad assaggiare l’aria della li-bertà e ho fatto tutte le cose che desideravo da tempo. La primaemozione è stata pranzare a tavola con tutta la mia famiglia epoi la sensazione di bere con il bicchiere di vetro e mangiare conla forchetta. Mi sono fatto cucinare tutte quelle cose che nonmangiavo da tanto perché dentro non puoi mangiare una bellafrittura di pesce e tante altre cose. Un'altra cosa che mi ha emo-zionato è stata una passeggiata con mia moglie e i miei figli guar-dando le vetrine in mezzo al rumore dei clacson delle auto. Oraspero che questo incubo finisca al più presto per tornare alla miavita, lavorare e godermi la mia magnifica famiglia.

Carmine Castaldo - Pescara

Il pasticcere

U

43 pratiche

La catechesiGrazie, avete visto in noi l'uo-mo e la nostra sofferenza. Si-curamente anche in altre car-ceri esistono persone volontarieche tentano di aiutare i dete-nuti, ma con voi è diverso per-ché gli incontri del sabato po-meriggio diventano veri e propridibattiti, anche molto accesi avolte. Le parole di Don Giussa-ni aprono sempre nuovi oriz-zonti nelle nostre menti e aiu-tano a superare il difficilemomento del ritorno in cella.Voi ci dedicate tempo prezio-so ritagliandolo ai vostri impe-gni e ai vostri cari. Grazie a voinoi detenuti ci sentiamo menosoli a combattere con le nostrenegatività quotidiane. L'ami-cizia è una parola grossa, ma lapositività è la parola più ade-guata. Positività che noi ten-tiamo di trasferire agli altri com-pagni che non hanno avuto lafortuna di conoscervi e sono in-creduli quando spieghiamo lorol'ambiente e i momenti di gran-de serenità che riusciamo a co-gliere grazie a voi. Grazie a voiè possibile ancora credere neisani valori umani che riesconoa commuovere persone comenoi che non eravamo certo degli"angioletti". Don Giussani èstato un grande testimone dellafede in Dio: voi siete stati ca-paci di far entrare nei nostricuori questa grande testimo-nianza, senza nessun obbligoo vincolo. In ultimo, ma non perimportanza, come non si puònon ricordare la devozione diuna donna, amica, sorella, lanostra cara suor Livia la qualededica ogni giorno della suavita a noi detenuti. Ascolta e ri-solve: sono delle qualità noncomuni in una sola persona;solo una persona speciale comelei poteva avere queste doti.Grazie, grazie e grazie ancoraper tutto quello che fate pernoi e che insieme riusciremo acostruire sempre più con la fedein Dio e nell'uomo. Un uomo,il detenuto, che può cambiareed integrarsi nella società cre-dendo in voi. Con affetto e stima.

Domenico - Pescara

Mario Olivieri, co-ordinatore dellaFesta dei Popoli:““Quest’anno il simbolo dellafesta una mano. Siamo in tantima facciamo parte di un corpounico che si muove insieme,la mano simboleggia proprioquesto”

Domenica 20 maggio 2012 presso la villa co-munale di Chieti si è svolta la Festa dei Po-poli, un’iniziativa organizzata da: Centro In-terculturale Mondo Famiglia, Caritas Diocesanae Migrantes, Cen-tro Servizi per ilVolontariato, Co-munità Volontariper il Mondo,Centro Servizi Im-migrati del Co-mune, CentroSportivo Italianodi Chieti, Comu-ne di Chieti As-sessorato alle Po-litiche Sociali,Associazione e Co-munità Immigra-te. Tra i tanti po-poli dellatradizionale festac’èra anche quel-lo del carcere, tra-sportati dalla stes-sa aspirazione diintegrazione con il resto della città. E noi, de-tenuti accompagnati dalla vicepresidente diVoci di Dentro Silvia Civitarese, siamo stati irappresentanti del carcere di Chieti. Tutti ab-biamo condiviso la condizione di emargi-nazione simile a quella di un immigrato. Forsel'unica differenza è che spesso il detenuto siritrova ad essere straniero anche nella pro-pria terra, dove è cresciuto e quasi per as-surdo, soprattutto quando torna in libertà.Ma ancora peggio si ritrova in un paese, ilcarcere, dove la socializzazione non è osta-

colata solo dalla lingua, dalla cultura o piùsemplicemente dal colore della pelle, ma dallapossibilità, ridotta al minimo, di stabilire unarelazione autentica, stabile e di ricevere unsostegno. Amalgamati con gli altri alcuni dinoi hanno partecipato al mini torneo e per25 minuti non si sono sentiti uomini a metà.Insomma, tutti insieme per una bella festaall’insegna della partecipazione “reale” degliimmigrati. La straordinarietà dell’evento èstato quello di riuscire a trasformare la cittàin un polo di cultura etnica grazie alle pre-senze di persone straniere che hanno pro-

mosso delle singole sezioni tematiche, nonsono mancate le occasioni per confrontarsisu argomenti d’attualità, dalla sociologia alpaesaggio all’immigrazione, dalle risorse am-bientali all’evoluzione della famiglia. AllaFesta dei popoli 2012 è intervenuto S.Ecc.Mons. Padre Bruno Forte Arcivescovo di Chie-ti\Vasto ed i rappresentanti delle principalicomunità religiose presenti in regione peruna preghiera interreligiosa per la pace.

I ragazzi di Voci di Dentro di Chieti

La Festa dei Popoli

Da troppo tempo nonvedevo tante per-sone di varie nazio-

nalità in armonia tra loro,provenienti da ogni ango-lo del mondo: dalla Repub-blica Domenicana, dalla Po-lonia, dal Brasile, Ecuador,Colombia, Tunisia, Pakistan,Romania, Marocco, Cuba,Albania, Senegal, Ucraina,ecc. Molte persone si sonoriunite alla villa comunaledi Chieti fin dalle prime oredel mattino preparando ilcibo tradizionale per i visi-

tatori e organizzando glistand delle diverse nazionie tanti laboratori per i bam-bini. Le rappresentanze deivari popoli si sono con-frontate tra loro, per poiballare sul palco con i lorocostumi tradizionali pienidi colori. Inoltre, sono in-tervenuti alcuni detenutidal carcere di Chieti per par-tecipare al torneo di calcioa 5. Erano presenti tante as-sociazioni e organizzazionicome Emergency, CroceRossa e Caritas, con la pre-

ziosa partecipazione del Cen-tro di Servizio per il Volon-tariato della provincia diChieti. La manifestazione siè conclusa con un interes-sante dibattito sul volonta-riato.

Ermanno Orsini - Chieti

Io c’ero

illustrazione di Elian Osman

““... e sognò la libertà, e sognò di andare via”(La casa in riva al mare - Lucio Dalla)