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  • 8/16/2019 Paradiso (promo stampa)

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    Matteo Guarnaccia

    PARADISO PSICHEDELICO

    Amsterdam 1967-74: la Mecca degli hippies  pp. 176 cm. 14x21 (prima edizione: Maggio 1998)

    A prosecuzione del volume Provos, l’autore racconta le meraviglie di una città e

    delle tribù colorate che la resero un Nirvana a portata di autostop.

    RASSEGNA STAMPA:

    “Le Edizioni AAA hanno tirato fuori dal loro cappello a cilindro Paradiso Psichedelico di MatteoGuarnaccia, la dimostrazione di come Amsterdam abbia incarnato al meglio e più a lungo di qualsiasi altracittà l’ideale psichedelico di comunione tra arte e vita (e non solo).” John Vignola, Rockerilla n. 215/216,Luglio-Agosto 1998

    RETRO-COPERTINA:

    Ciò che San Francisco aveva solo promesso, Amsterdam ha mantenuto coraggiosamente, diventando la piùcelebre e longeva tra le fluttuanti capitali della scena psichedelica planetaria: una città “liberata” dove arte evita quotidiana si univano felicemente.Andare ad Amsterdam è stato per anni un viaggio di iniziazione collettiva, intrapreso da giovani ditutto il mondo. Questo volume è il proseguimento di Provos - Amsterdam 1960-67: gli inizi dellacontrocultura e racconta la storia di mitici locali multimediali (Paradiso, Fantasio, Melkweg,Kosmos), di una sfolgorante rivoluzione sessuale (Wet Dream Festival, Suck), di fumerie, Sleep-in eluoghi fatati (Piazza Dam, Vondelpark), di gnomi in consiglio comunale (Kabouter) e di tribùcolorate che vivevano sui barconi e nelle case occupate...

    Oltre a numerose foto e immagini dell’epoca, questo libro comprende anche una serie ditestimonianze di personaggi che hanno vissuto gli anni eroici della controcultura hippie.

    Matteo Guarnaccia (Milano, 1954) è uno dei più apprezzati artisti della scena psichedelica internazionale,oltre che appassionato storico delle controculture. Recentemente ha pubblicato: Almanacco Psichedelico (1996), Beat e Mondo Beat  (1996), The Summer of Love (1997), The Magickal Mystery Book  (1998).

    INDICE:

    AntefattoIntroduzioneRiassunto delle puntate precedentiDalla città bianca alla città arcobalenoUna città underground alla luce del soleGli gnomi e il libero Stato di OrangeLa città eroticaLa stampa sotterraneaLa città massacrata e la città squatterizzataTestimonianze e documentiBibliografia

    UN ESTRATTO:

    ANTEFATTO

    - E dove vai?- Vado ad abitare in un paese... che è il più bel paese di questo mondo: una vera cuccagna!- E come si chiama?- Si chiama il Paese dei Balocchi. Perché non vieni anche tu?

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    - Io? No davvero!- Hai torto Pinocchio! Credi a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi trovare un paese più salubre per noialtri ragazzi? Lì non vi sono scuole: lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa mai scuola: ogni settimana è composta di sei giovedì e diuna domenica. Figurati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo gennaio e finiscono coll’ultimodi dicembre. Ecco un paese, che mi piace veramente! Così dovrebbero essere tutti i paesi civili!...

    - Ma come si passano le giornate nel Paese dei Balocchi?- Si passano baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera. La sera poi si va a letto, e la mattina doposi ricomincia daccapo. Che te ne pare?- Uhm!.. - fece Pinocchio: e tentennò leggermente il capo, come per dire: “è una vita che farei volentierianch’io”.(Carlo Collodi, Pinocchio)

    Affrontai l'iniziazione - il famoso triplo salto carpato oltre le porte della percezione (che si aprirono senzacigolare) - in una stradina che rispondeva al nome felicemente beneaugurante di “Fiori Chiari”. Mi trovavoin quello che ai tempi era il quartiere hip milanese, Brera, e il mio maestro di cerimonie era stato un druidoinglese venuto da Ibiza. L’acciottolato emanava un chiarore abbagliante, sembrava che la luna ci si fossespalmata sopra. Quegli stessi ciottoli, diventati gommosi sotto lo sguardo indagatore dei miei bulbi oculari,nell'800 avevano conosciuto i passi di un altro tipo di bizzarri viaggiatori della notte, gli “scapigliati”,

    lontani parenti dei bohémienne francesi, che si procuravano la materia prima per le loro esplorazionimentali nella farmacia braidense di Carlo Erba (nomen omen).Il giorno dopo durante due energetici free-concert (pomeriggio e sera) i Canned Heat mi passarono unmantra, che cominciò a ronzare e ad agire nella mia testa. On the Road Again. On the Road Again: On the Road Again. Per Brera passavano, e spesso si fermavano per qualche giorno, gli intrepidi viaggiatori diritorno o in partenza per le nostre città sante. I fumosi abbaini lillipuziani, dalle pareti ricoperte di disegni e poesie, in cui ci riunivamo a confrontare i nostri progressi evolutivi, si illuminavano e si espandevano adismisura attraverso i racconti febbricitanti e inverosimili di chi tornava dai viaggi. Mi intrigavano in particolare le descrizioni di Amsterdam - un nome ed una città che, sino ad allora, avevo collegatoesclusivamente ai mulini a vento e ad Anna Frank. Allora era vero - mi dicevo sconcertato - da qualche parte esisteva veramente un posto dove quelli come noi potevano vivere indisturbati e prosperare. I raccontidi quei cari Lucignoli stonati avevano un effetto dirompente. Per la prima volta capivo come dovevanosentirsi i cavalieri e gli sradicati del Medioevo quando ascoltavano le esortazioni di Pietro l’Eremita che li

    spingeva a partire per le Crociate.On the Road Again. Cominciai a girare in autostop con il mio fedele compagno di avventure, Gary, undandy americano che, tra le altre sollecitazioni sensoriali, mi introdusse a Castaneda, agli illustratori difiabe russi, ai comix underground e ai mocassini fatti a mano. Gironzolavamo per le città d'arte italiane tra i Nuovi Barbari, “un esercito di zaini dietro la schiena di vagabondi del dharma”. Entrammo in trancedavanti all'Adamo ed Eva di Lucas Cranach agli Uffizi e cambiammo dimensione sotto il raggiotrasportatore del magico spazio del Pantheon. A quindici anni (1970) mollai la scuola (un polveroso ecomatoso liceo artistico), cambiai frequenza vibratoria e me ne andai definitivamente via di casa. Vennifelicemente accolto nella nuova famiglia allargata che avevo scelto ascoltando il canto del mio DNA, e midiressi sparato verso Amsterdam per godermi la mia personale Summer of Love (visto che per motivianagrafici mi ero perso quella di Haight-Ashbury). Ci riuscii solo al terzo tentativo. La prima volta la polizia svizzera mi ricacciò indietro per vagabondaggio. La seconda mi fermai a Zurigo in un posto che sichiamava Bunker, tra gang di motociclisti e seguaci di Frank Zappa. La terza volta entrai in Olanda in

    treno, dopo una notte d’amore molto pneumatico, tra nuvole di patchouli, con la mia sfolgorante compagnad’allora che aveva i capelli infuocati di henné, kajal negli occhi e tintinnanti cavigliere rajastane. Durante le pause scambiavo considerazioni filosofiche con dei freaks, molto affumicati e impolverati, che per non pagare il biglietto, si nascondevano come veri fachiri nell’intercapedine del soffitto della toilette del treno.La prima cosa che vidi dell’Olanda fu una bella mucca pezzata, di razza frisona, in puro stile Atom Earth Mother , le cui macchie sul mantello rivelavano con assoluta precisione le coste di Atlantide (ve lo giuro).La durezza delle guardie di frontiera, che fecero di tutto per negarci le chiavi del Giardino Profumato, nonriuscì a rovinarmi l’umore. (La volta dopo sarei entrato in maniera molto sciamanica, nascosto dentro uncamion frigorifero addetto al traporto di quarti di bue, grazie alla gentilezza di un camionista olandese che presentava evidenti segni di gnomaggine). Quello che avevo sentito dire e che mi ero bevuto nelle nottiumide di Brera non era vero. Amsterdam era molto, ma molto meglio di qualsiasi descrizione e di come mel’ero immaginata. Mi ritrovai a camminare in quello che sembrava un villaggio da cartone animato deifratelli Fleischer, tra casette storte - sicuramente fatte di marzapane - con tanto di nasini, occhietti e

     boccucce. Vagavo stralunato fissando il cielo, rischiando continuamente di cadere nei canali e di venirstirato dai ciclisti kamikaze. Too much! Il potente prana della città mi faceva girare la testa, era come essereimprovvisamente salito ad alta quota senza maschera d’ossigeno. Nei mesi successivi fluttuai sopra ilCentro Magico, impegnandomi con estrema attenzione in tutte quelle attività consone al mio nuovo stato di

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    antenna parabolica aperta alla santità, all'amore cosmico e alle avventure psicogeografiche.AMSTERDAM, MAD STREAM. Mi gettai nel Flusso Folle. Mi immersi nel Fiume Matto. Come cuscinousavo una copia sdrucita del Libro Tibetano dei Morti. Spesso e volentieri andavo al di là dello Specchio,lucidando quotidianamente i tre gioielli dell’uomo: il risveglio spirituale, l’energia e lo spirito. Giravo a piedi scalzi e coi capelli lunghi sino alla cintola, una via di mezzo tra Blek Macigno e Milarepa.“Non ho mamma, non ho Governo, non ho nessun altro tranne me e i miei amici. E i miei amici credono

    tutti in Unicorni diversi”. (Allen Ginsberg, 1960)Passai l’inverno in una freddissima e spettrale casa abbandonata dietro al Paradiso. La casa non aveva più i piani inferiori e per salire all’ultimo piano - l’unico agibile e dotato di finestre che si chiudevano - avevamocostruito una specie di passerella tarzanesca. Poi mi trasferii in un barcone molto romantico, ancoratovicino a quello della Lowlands Weed Company, dove al mattino mi svegliava un gabbiano dall’occhiettostranito che picchiettava sull’oblò. In primavera mi unii con un equipaggio pirata composito e zuzzurellone(americani, norvegesi e italiani) su un barcone nel villaggio anfibio di Oudeschanse, con tanto di caprettada mungere sul ponte. Scendevo raramente a terra, saltavo da un’imbarcazione all’altra, visitando letemporanee aggregazioni di viaggiatori e contrabbandieri psichedelici, nutrendomi di Mars e di risointegrale.Una sera, mentre mi trovavo nel Paradiso, tra la massa di iniziandi che si affollava nella sala di sotto,lavorando il Cinabro interiore, mi arrivò un messaggio. Una pulsante ameba multicromata, sfuggita al lightshow proiettato dalla balconata verso di noi, illuminò una minuscola porzione di muro su cui stavano scritte

    due parole che mi colpirono irresistibilmente: “Insekten Sekte”. Setta degli insetti era un nome che siadattava perfettamente alla mia percezione di fronte alle tribù dei sacchi a pelo, che scivolavano per lestrade d'Europa per poi raccogliersi attorno al bianco lingam del Dam; mostruosi baccelli che presto sisarebbero schiusi rivelando farfalle multicolori.Il suono e l'insieme delle lettere mi stregò completamente e da quel momento le aggiunsi ai manifesti psichedelici che disegnavo, stampavo, vendevo o barattavo per strada per mantenere la mia comune. (Solomolti anni dopo ho scoperto che Insekten Sekte era il nome di un gruppo di artisti ecologisti olandesi).Trent’anni dopo il mio primo contatto col cuore della città nordica, devo ammettere che ne sono ancorainnamorato. Avvicinandomi al suo Centro Magico, il mio apparato neurocellulare inizia a ticchettare comeun contatore geiger impazzito. Amsterdam continua a svolgere il suo compito karmico (anche se in manieradecisamente meno visibile e fragorosa degli anni ’60/’70) ed è una sicurezza ed un conforto sapere, per tutticoloro che non vi aderiscono, che la sciocca normalità fatta di automobili/cellulari/abitifirmati/maleducazione, a tutt’oggi non è ancora riuscita ad espugnarla. Non è il paese di Utopia, un posto

    che non esiste, quanto piuttosto Eutopia, un buon posto.

    INTRODUZIONE

    Un mondo visionario parve dischiudersi a coloro che ne erano alle soglie. Le cose vecchie parevano sul punto di dileguarsi e si sognava soltanto la rigenerazione della razza umana.(Robert Southen, giacobino inglese)

    Sono passati circa trent’anni dagli eventi descritti in questo libro. Oggi, in tempi di accelerataglobalizzazione, di monoculture all’ombra delle Arcate d’Oro della polpetta, di teenagers omologatiunitedcolours, di sbrigativi voli aerei e di frontiere aperte (sempre, naturalmente, che non si abbia il look daextracomunitario), l’idea che spostarsi in una città europea possa ancora rappresentare un evento“formativo”, una tappa del Grand Tour  esistenziale, fa solo sorridere.

    Il valore del viaggio viene ormai valutato con lo stesso metodo delle gare tra bambini sul “chi ce l’ha piùlungo”, si misura solo il chilometraggio, non la ricaduta esperenziale. Ci si è abituati a consideraresignificativi e degni di nota solo i masochistici tour estremi - ovviamente organizzati da qualche agenzia esponsorizzati da qualche ditta - tra Patagonie tibetane e Mongolie amazzoniche. Eppure, solo trent’anni fa ilviaggio verso Amsterdam - specie se effettuato in autostop - rappresentava un’esperienza assolutamentesensazionale e “diversa”, qualcosa da far impallidire qualsiasi trofeo del cammello nicotinico. Era una dellemete più esotiche e conturbanti che l’Europa d’allora, più o meno uniformemente grigia e repressa, potesseoffrire: una Shangrillà psichedelica, una Mecca hippie, una Lourdes erotica, una Las Vegas mistica, unfolle circo esperienziale. Andare ad Amsterdam, rappresentava per ogni sano ragazzo avventuroso e ribelleun dovere (e un piacere) irrinunciabile. Faceva parte di quelle bizzarre pratiche di iniziazione collettiva -come farsi crescere i capelli, accendere il primo chillum e vestirsi in maniera eccentrica - che i giovanidissidenti avevano elaborato in quegli anni, in temporanea sostituzione a quelle vigenti (maturità liceale,chiamata alle armi, ricerca del primo posto di lavoro). Piazzarsi all’ingresso della tangenziale e allungare il

     pollice, godendosi l’ubriacante sensazione del vento tra i capelli, avendo come solo bagaglio un album dadisegno ed un sacco a pelo arrotolato, era un preciso atto di guerra verso la vita che la società dominanteaveva programmato per i giovani. Mettersi sulla strada era compiere un esorcismo contro l’Occidenteconsumista, militarista e nemico della natura; significava provare a sintonizzarsi con la propria “leggenda

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     personale”, abbandonare la misura metrica standard e smettere di credere all’esistenza di un solo spazio(quello in cui ci avevano rinchiusi).Molti dei giovani che affrontavano il viaggio in questione erano del genere che potremmo definire,seguendo le indicazioni dell’ Encyclopaedia Britannica, “anticonformisti che vivono separati dalla societàcostituita e che si distinguono per una ricerca di un modo di vita non materialistico, per la preferenza per ivestiti non convenzionali e, molto spesso, per l’uso di droghe psichedeliche o di marijuana”, o come dice la

    Treccani, “che ripudiano norme e costumi della società dei consumi, mettendosene ai margini in una posizione di protesta individualistica solitamente non violenta”. Stiamo naturalmente parlando deicosiddetti hippies.Città santa dell’hippiedom mondiale, Amsterdam, era entrata ufficialmente nel grande circuito dei pellegrinaggi moderni, assieme al viaggio verso il Marocco (con tappe intermedie alle Baleari) e quelloverso le Indie (con deviazione nelle isole greche). Il comportamento dei viaggiatori che intraprendevanoquegli itineraria, era perfettamente assimilabile a quello dei peregrini medievali che si muovevano sullavia gerosolimitana, su quella franchigena o sul Camino per Santiago de Compostela. Persone esaltate edesaltanti, mosse dalla ricerca di se stesse (o perlomeno di qualcosa che potesse assomigliargli) e desiderosedi raggiungere il domicilio temporaneo della Gerusalemme Celeste, la Città Splendente sulla Terra, il Paesedel Latte e del Miele. Quei viaggiatori erano una moderna versione picaresca e stonata delle BrigateInternazionali; idealisti, furfantelli e sognatori, totalmente disponibili a qualsiasi avventura la strada avesseloro da offrire, pronti a perdersi nella meta del viaggio (che naturalmente, allora, era il viaggio stesso). Una

    sorta di Crociata dei Fanciulli scaraventata in pieno XX secolo, gente ardente di entusiasmo e di fede, a cuigià pareva di veder albeggiare l’Età dell’Acquario©, diretta verso un altrove mistico, verso la “vera vita”.L’ultima grande ondata collettiva di veri viaggiatori, prima dell’avvento dei turisti che avrebberoconsumato il mondo senza vederlo, sostituendo la fantasia e la curiosità con i traveller’s check e conchilometri di pellicola da sviluppare (per proiettare le diapositive delle proprie vacanze agli amici annoiati).Là dove le persone normali vedevano solo una fredda città nordica un po’ in disarmo - che puzzava di patatine fritte e pipì, con case sgangherate e canali torbidi - i moderni peregrini, con gli occhi spalancati perla meraviglia, vedevano sorgere un’altra città, calda ed erotica, una Terra Promessa fatata e scintillante,invisibile ai non iniziati. Amsterdam, ovvero dell’architettura della mente, non della cazzuola.

    Amsterdam, si sa, è una città che può contare su una particolare protezione energetica. È una città che inqualche modo è stata “preparata”. I Deva ed i loro emissari terrestri, nel corso dei secoli hanno chiaramenteagito in modo da trasformare l’agglomerato urbano in un potente sito iniziatico che, all’interno della

    magica struttura dei suoi canali, potesse offrire un rifugio sicuro ad ogni genere di ricercatori. Dissidenti,alchimisti, eretici, filosofi, creatori di mondi, giocolieri, artisti, architetti evolutivi, occultisti, teosofi edanarchici da sempre hanno trovato nella città valviforme complicità e ispirazione. Il suo karma sociale èstraordinariamente felice e favorisce il prosperare di una multicultura iridata. La città è uno scintillantelabirinto fatato, disegnato dai passi e dalle vibrazioni di una genìa speciale; un labirinto che chiede di esseredecifrato da altri uomini mossi dalla ricerca e dal desiderio. È un progetto urbano e sociale elaborato perstabilire sino a che punto è possibile proseguire nella sperimentazione di nuovi stili di vita. È uno dei puntiesoterici localizzati esattamente all’incrocio tra spazio e desiderio, uno dei centri del Mandala Planetario, èuna delle Porte Cosmiche attraverso cui è possibile accedere in altre dimensioni, un Cancello Dorato perentrare ed uscire dal mondo.

    Il viaggio verso Amsterdam, effettuato preferibilmente tra la primavera e l’estate, per ovvi motivimeteorologici, era la via più veloce, semplice e più comoda per mettersi in contatto diretto con lo Spirito

    del Tempo, senza dover aspettare che una sua pallida copia, annacquata e sterilizzata, arrivasse da noi dopomesi, se non anni. Si partiva per sfuggire alla violenza e alla tristezza della famiglia, della scuola,dell’esercito, della televisione e dei supermercati.Era un bel viaggio. Niente di traumatico, niente di inquietante, tutto filava liscio. Poteva durare dai due aidieci giorni, dipendeva dai passaggi che si trovavano e dagli incontri che si facevano. A far da contraltareagli insulti di qualche automobilista frustrato e alle lunghe attese su strade dimenticate da Dio, c’erano le possibili deviazioni in villaggi di tepee sui monti dalle parti di Zug o in qualche stramba ma accoglientecomune reichiana nella Foresta Nera (dove prima di far colazione col muesli venivi invitato a provare lacamera orgonica). L’unico serio problema era rappresentato dai posti di frontiera. Chi non aveva l’aspettoda turista, doveva immancabilmente sottoporsi ai noiosissimi (e a volte pericolosi) riti eseguiti dalla sadicatribù dei doganieri. Durante la stagione estiva agli hippies si univano anche torme di studenti in vacanza (equalcuno di loro, dopo aver sperimentato i piaceri della strada, ad ottobre non si sarebbe più ripresentatoall’appello). L’autostop, che viveva il suo breve momento di gloria, rappresentava ancora un meraviglioso

    metodo di spostamento individuale socialmente responsabile (e inoltre era una maniera per togliere dei potenziali acquirenti ad uno dei più ricchi mercati di spaccio di mezzi di trasporto mossi da idrocarburi). Iragazzi che chiedevano un passaggio, e gli automobilisti che l’offrivano, non dovevano preoccuparsi divenir derubati, stuprati o sgozzati. C’era un’apertura strabiliante, si aveva temporaneamente sconfitta la

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     paura dell’altro. I generosi guidatori, in cambio del loro servizio, godevano di un corso accelerato di libertàe si sottoponevano immancabilmente ad una seduta di psicoterapia mobile, raccontando ai ragazzi, come sefossero sul lettino dell’analista, i loro sogni e i problemi familiari.Che ci crediate o no, esisteva veramente una confraternita invisibile sparsa per il pianeta, istantaneamentericonoscibile a colpo d’occhio, pronta a dare una mano o un sorriso ai propri simili. (N.B.: abbiamo amiciin ogni settore dell’universo). Lungo la strada si stendeva una rete di cospiratori illuminati che, senza averti

    mai visto prima, ti offriva una completa assistenza, informazioni di viaggio, qualcosa da mangiare, un posto per dormire e soprattutto buone vibrazioni. Avere i capelli lunghi e un sacco a pelo, ti faceva entrareistantaneamente all’interno di un club esclusivo, in cui si aveva diritto ad un numero strabiliante di bonus edi facilitazioni.C’erano naturalmente anche degli inconvenienti poco piacevoli. Sembrava che tutti i parenti, portinaie, professori, poliziotti, padroni di casa, politici, psichiatri e preti (avete fatto mai caso che tutti questi nomiiniziano con la lettera P?) del mondo si fossero coalizzati, avessero formato una Catena di Sant’Antonio perrenderti edotto sul significato della parola intolleranza.Come qualcuno ha ricordato, farsi crescere i capelli negli anni ’60, offriva ai giovani bianchi l’esperienzaunica e indimenticabile di capire sulla propria pelle cosa significasse essere nero in Alabama. Vaste areed’Europa e del mondo, erano state dichiarate No Flight Zones per i viaggi hippies. Raggiungere l’Olanda,significava anche sottrarsi temporaneamente dalla malefica emissione di onde negative che i popolimentalmente sottosviluppati proiettavano contro i “diversi”, gli anticonformisti. Appena si superava la

    frontiera (e gli arcigni controlli dei documenti - anche i doganieri olandesi non scherzavano), ci si sentivamaterialmente più leggeri, i chakra si aprivano; si percepiva di essere entrati in una zona benedetta. NeiPaesi Bassi nessuno si curava dell’aspetto fisico e dell’abbigliamento degli intrepidi viaggiatori, sisperimentava un piacevole choc culturale in un luogo in cui la diversità, più che una minaccia, era vistacome un arricchimento collettivo. Non c’erano locali off limits, ostilità da parte degli indigeni e nemmeno pogrom contro gli irregolari, ci si trovava circondati da una disarmante e piacevole leggerezza che investivatutti i rapporti sociali. Gli stili di vita non conformisti, ad Amsterdam venivano non solo tollerati ma a volte persino accettati. Si vedeva che la gente che girava per Amsterdam era cromosomicamente attrezzata per ilcambiamento.Questa Crociata dei Fanciulli verso le Sante Terre del Nord è un importante tassello di quel particolare periodo storico, incoerente e frammentato, sviluppatosi in Occidente in maniera fulminea tra il 1964 e il1973, che fa riferimento all’ascesa, allo splendore e al declino dell’Impero Psichedelico. Un periodoaffascinante, ancora poco investigato e denso di misteri non ancora svelati. Gli studiosi e gli appassionati

    del periodo, sino ad oggi hanno concentrato gli “scavi” di ricerca su due siti importantissimi, San Franciscoe Londra, nomi capaci di evocare un fastoso passato leggendario. Stranamente però, la terza città-stato dellaLega Psichedelica, Amsterdam - che è fiorita e si è sviluppata per un periodo di tempo più lungo rispettoalle altre - è stata toccata solo marginalmente dalle campagne di ricerca e continua a venir sistematicamentesnobbata nei lavori degli studiosi. La colpa di questa “dimenticanza” è sicuramente da imputarsi al vecchiovizio di cercare di scrivere la storia partendo esclusivamente dalla vita delle “celebrità” (principi, re,sacerdoti), trascurando il ruolo centrale svolto dalla gente “comune”. (Gli storici, si sa, si comportano un po’ come delle groupies).A differenza di San Francisco e Londra, due città-stato rette fondamentalmente da splendide Signoriemusicali, Amsterdam è stata una democrazia popolare hippie. Non è mai stata un posto completamente allamoda, “trendy”, come si suol dire, non ha espresso personalità particolari nel campo della sartoria, dellamusica o della filosofia, che potessero richiamare l’attenzione dei cronisti del tempo. È stata piuttosto unesaltante posto di frontiera, il più avanzato caravanserraglio nei territori dell’evoluzione terrestre, abitato da

    una popolazione altamente eccentrica e rotta ad ogni tipo di sperimentazione psico-sociale. Intrappolati dalclamore immaginifico della Swinging London e dalla Summer of Love californiana, è inevitabiledimenticarsi della dolce e fiabesca città olandese.Antropologicamente parlando, la collettività psichedelica batava ha impresso un movimento energeticocentrifugo che, espandendosi in modo capillare, ha coinvolto profondamente la vita sociale della città inogni suo aspetto. Le comunità anglosassoni, al contrario, dopo l’esplosione iniziale, si sono avvolte su lorostesse, con un movimento centripeto, coagulandosi attorno a personalità forti che sono state investite dal popolo psichedelico di aspettative messianiche (e che naturalmente si sono dimostrate incapaci disopportare un tale peso).Quello che San Francisco aveva solo promesso, e che aveva lasciato fugacemente intravedere tra un AcidTest  al Fillmore ed un Gathering of Tribes al Golden Gate Park, Amsterdam aveva pienamente mantenutocon coraggio impavido: un’intera città (e non solo qualche isolato come ad Haight-Ashbury) dove arte, politica e spiritualità si erano felicemente unite alla vita quotidiana. Il risultato è stato che, a differenza di

    Londra e San Francisco, nonostante le naturali difficoltà, la scena controculturale di Amsterdam èimpetuosamente cresciuta nel corso degli anni ed è stata in grado di durare molto più a lungo. Le ragioni diquesto diverso destino risiedono nel carattere estremamente peculiare dell’umida città nordica, irrequieta,ribelle e anticonformista per eccellenza. Senza nulla togliere al sogno californiano e al principesco

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    dandysmo beat anglosassone (che tutti abbiamo incondizionamente amato), è finalmente giunto il momentodi dedicare, a sua eterna gloria, un intero libro all’affascinante scena hippie di Amsterdam.