parametrico nostrano

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di Giovanni Corbellini e Cecilia Morassi

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ISBN 978-88-6242-082-2

Prima edizione Italiana, Febbraio 2013

© 2013, LetteraVentidue Edizioni© 2013, Giovanni Corbellini, Cecilia Morassi

tutti i diritti riservati

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare.

Book design: Officina22

LetteraVentidue Edizioni S.r.l.www.letteraventidue.comVia Luigi Spagna, 50 L96100 Siracusa, Italia

Il volume è stato realizzato grazie al Fondo per ricercatori di ateneo Fra 2009 dell’Università degli studi di Trieste.

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Workshop

Dibattito 82

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Il progetto macchinicoAleksandra Jaeschke e Andrea Di Stefano

Architettura-codice Andrea Graziano

La cultura della simulazioneMirko Daneluzzo

La programmazione informatica per il disegno architettonico come pratica di giardinaggioClaudia Pasquero e Marco Poletto

Ultimo tango a ZagarolGiovanni Corbellini

Progetti automaticiCecilia Morassi

Paper Fields Studio Aion

Data PlaygroundCo-de-iT

Allucinosi da simulazioneDisguincio&co

Infrastrutture urbane fibroseecoLogicStudio

Workshop

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Il design parametrico costituisce uno dei più recenti terreni di ricerca in architettura, promosso e sperimentato soprattutto in alcune fra le più note scuole a livello mondiale.

ProgettiautomaticiCecilia Morassi

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Il design parametrico costituisce uno dei più recenti terreni di ricerca in architettura, promosso e sperimentato soprattutto in alcune fra le più note

scuole a livello mondiale. Di cosa poi si stia parlando, pochi lo sanno effettivamente, e io per prima. La vaga concezione che se ne ha oscilla facilmente tra una idea di controllo meramente strumentale e approcci teorici con l’ambizione di rifondare le basi dell’architettura. Una vaghezza dovuta anche al fatto che questi argomenti, con le loro opportunità e contraddizioni, difficilmente varcano le soglie delle università italiane. “Progetti automatici”, workshop organizzato a Gorizia da Giovanni Corbellini, è stato un tentativo di introdurre precocemente gli studenti a questi metodi progettuali. Il presente volume ne raccoglie gli esiti, insieme ad alcune riflessioni che sono state al centro del convegno di apertura del workshop stesso. I quattro studi di architettura invitati (Aion, Co-de-iT, Disguincio&co, ecoLogicStudio) rappresentano giovani, anche giovanissime ma collaudate realtà italiane impegnate su questo fronte della ricerca architettonica e la possibilità di riunirle per una settimana nello stesso luogo ha costituito una interessante occasione di confronto e dibattito.Si è trattato di una iniziativa ambiziosa e non esente da rischi, specie se si considera che ha coinvolto studenti del primo e secondo anno i quali a malapena sapevano tirare una linea in Cad. La conoscenza dei software, come le basilari abilità matematico-geometriche che sottendono gli argomenti trattati non potevano essere date per scontate e ogni docente ha cercato di affrontare queste difficoltà/opportunità a modo suo, proponendo uno specifico programma, con altrettanto specifici metodi e intenti.Questi i numeri: 169 studenti, 9 tutor, 4+2

docenti ospiti, 5 giorni. Il tutto all’interno di un seminario veloce, intenso, il cui ritmo incalzante si è tradotto in risultati spesso al di là delle aspettative.

Parametrico analogicoStudio Aion

All’interno di un panorama dove le potenzialità offerte dagli strumenti parametrici quasi sempre determinano un’esuberanza formale spesso immotivata, lo studio Aion propone agli studenti un esercizio che mette la componente digitale sullo sfondo. L’attenzione si focalizza, quindi, sui processi più che sugli strumenti. Si evita così di aprire il vaso di Pandora della facilità (e velocità) di realizzazione di forme complesse che i programmi in commercio offrono e si sceglie al contrario il controllo, lento, sudato, ragionato: bisogna sporcarsi le mani.Unico “componente” è il foglio di carta, nel formato uni a4 o a3 disponibile nelle normali risme di fogli da fotocopie: ha un suo peso, una sua resistenza, flessibilità, malleabilità, fragilità che vanno tenute in conto. Attraverso un insieme di operazioni elementari (piegare, tagliare, incastrare...) applicate sul componente-foglio, si studia un elemento geometrico di base e il suo sviluppo nello spazio, al variare dei parametri che lo definiscono.La complessità, in questo caso, si ottiene dal controllo diretto su operazioni molto semplici, che possono essere processate anche senza computer. Se l’algoritmo funziona, si possono toccare letteralmente con mano i suoi prodotti, altrimenti la figura non si piega, non si unisce... non c’è possibilità di barare. Ridurre gli strumenti a disposizione significa porre l’accento sulla loro operatività, sullo studente/progettista che comprende e organizza il processo. È sempre una questione di controllo:

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Gruppo AEdoardo RidoliNicole TrevisanAlessia Troian

Gruppo BMartina SormaniDaniele TomasinNicholas Visintin

Gruppo CMatteo PojanLuca ScaramuzzaSimone Stancic

Gruppo DFresia Dalla FrancescaIvana SissotMirijana Staric

Gruppo EElena RigonatVeronica SandàliGiulia Venier

Gruppo FPaolo SkabarMartin ZuzekMax Zuzek

Gruppo GJacopo RomaninVeronica TalottiGiovanni Toninelli

Gruppo HMarta LiutLorenzo ViginiIsaac Zampieri

Gruppo IMichela BattagliaEleonora NadalonElisa Vinicio

Gruppo LAndrea ScarabòAndrea StabileEdgaras StonciusMatteo Vicari

Gruppo MVeronica RigonatErsarda ShtjefniatIlaria Zaupa

Andrea Grazianocon Federico Fait e Andrea Peraz

Data PlaygroundCo-de-iT

Gruppo BGruppo A

Gruppo E

Gruppo H

Gruppo M

Gruppo D

Gruppo G

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Gruppo C

Gruppo F

Gruppo I

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Dibattito

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Aion intende l’architettura come una pratica creativa materialmente impegnata nell’organizzazione dell’ambiente costruito.

Il progetto macchinicoAleksandra Jaeschke e Andrea Di Stefano

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Aion intende l’architettura come una pratica creativa materialmente impegnata nell’organizzazione dell’ambiente

costruito. L’approccio è sistemico, volto alla costruzione di dispositivi architettonici che integrino dinamiche antropiche e processi naturali1, con l’obiettivo di massimizzare la performance dell’ambiente nel suo complesso. In opposizione al tradizionale approccio progettuale fondato sullo sviluppo di idee preconcette e sull’imposizione di geometrie idealizzate, la ricerca dello studio Aion adotta un approccio sperimentale “dal basso”, in linea con l’attuale mutamento del paradigma metodologico che caratterizza la teoria dei sistemi e lo studio della complessità applicate all’architettura.Apprendendo dalle nuove scienze biomimetiche e appropriandosi dei più recenti sviluppi della computazione digitale, Aion osserva i processi di auto-organizzazione che governano la morfogenesi in natura2, per sviluppare modelli di generazione della forma e conseguentemente organizzare lo spazio architettonico.L’oggetto della ricerca si allontana dalle consuete modalità di concezione della forma, in favore di una logica della formazione propria degli organismi viventi, i quali si adattano all’ambiente circostante stabilendo complesse relazioni ecologiche fra i materiali che li costituiscono, le prestazioni funzionali ed energetiche che li caratterizzano e le contingenze ambientali che li condizionano.

La metodologia progettuale si prefigge di superare la convenzionale comprensione dei materiali da costruzione per esplorarne le proprietà intrinseche, al fine di liberarne potenzialità inedite facendo emergere prestazioni latenti3.In questa prospettiva, la sperimentazione progettuale diventa un’opportunità per integrare tecnologia, controllo ambientale, programma funzionale e sistema infrastrutturale attraverso scale e ambiti disciplinari altrimenti isolati.Gli innovativi modelli di strutture catenarie di Gaudí o gli esperimenti con le superfici minime di Frei Otto4 per lo Stadio di Monaco o la Multihalle di Mannheim, hanno dato origine a un filone di ricerca recente che impiega analoghe tecniche empiriche di form-finding in combinazione

con analisi e simulazioni digitali avanzate, per generare forme architettoniche capaci di integrare prestazioni multiple. Significativi progressi in questo campo sono stati conseguiti nel primo decennio degli anni duemila presso

l’Architectural Association di Londra, grazie al lavoro

di Ciro Najle5, Achim Menges e Michael Hensel6. Contemporaneamente l’Istituto di Biomimetica del Montana, negli Stati Uniti, fondato da Janine Benyus7, definiva la biomimetica come nuova scienza interdisciplinare

al servizio di architetti, ingegneri e studiosi della scienza

dei materiali e oggi diverse università del mondo hanno iniziato a inserire la biomimetica nei loro piani di studio.

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Note

1. Per approfondimenti circa i processi in natura vedi A.N. Whitehead, Il concetto di natura, Einaudi, Torino 1975.

2. La teoria della morfogenesi è stata formalizzata ai primi del Novecento dal biologo scozzese D’Arcy W. Thompson, Crescita e forma. La geometria della natura, Bollati Borighieri, Torino 1969.

3. Vedi M. De Landa, Mille anni di storia non lineare: rocce, germi e parole, Instar Libri, Torino 2003.

4. Vedi F. Otto, Occupying and Connecting: Thoughts on Territories and Spheres of Influence with Particular Reference to Human Settlement, Edition Axel Menges, Stuttgart, London 2009, e F. Otto, B. Rasch, Finding Form: Towards an Architecture of the Minimal, Edition Axel Menges, Munich 1995.

5. Vedi M. Mostafavi, C. Najle (a cura di), Landscape Urbanism: A Manual for the Machinic Landscape, AA Publications, London 2003.

6. Vedi M. Hensel, A. Menges (a cura di), Morpho-Ecologies, AA Publications, London 2006.

7. Vedi J. Benyus, Biomimicry: Innovation Inspired by Nature, HarperCollins Publishers, New York 2002.

8. Vedi S. Allen, Points and Lines: Diagrams and Projects for the City, Princeton Architectural Press, New York 1999.

9. Vedi J. Reiser, N. Umemoto, Atlas of Novel Tectonics, Princeton Architectural Press, New York 2006. e Id., Tokyo Bay Experiment, CBA, New York 1994.

ANGOLO DI ROTAZIONE DEL MATTONE (β)

DISTANZA TRA MATTONI (c)

Tessitura muraria

ALTEZZA DELL’APERTURA

Apertura

RAGGIO (r)determina il volume e la super�cie globale determina la larghezza dell’arco di apertura

determina il grado d’aggetto del mattone

determina l'illuminazione diffusa e la ventilazione passiva

FUORI FUOCO VERTICALE (h)

FUORI FUOCO ORIZZONTALE (b) determia la sezione della cupola

AMPIEZZA DELL’ANGOLO IN ELEVAZIONE (a)

determina la forma della cupolae l’attacco a terra

determina la dimensione dell'oculo

Volume

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B01 - LIVELLI CON ROTAZIONE INCREMENTALE

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SPINA INIZIALE

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(β)

10. Vedi S. Kwinter, Architectures of Time: Toward a Theory of the Event in Modernist Culture, The MIT Press, Cambridge 2001.

11. Per un’antologia di testi riguardanti l’uso dei diagrammi in architettura vedi il numero monografico di “Any”, n. 23, 1998, Diagram Work: Data Mechanics for a Topological Age, a cura di B. van Berkel e C. Bos. Per una migliore comprensione del concetto deleuziano di diagramma vedi in particolare G. Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, Quodlibet, Macerata 1995.

12. Per approfondimenti vedi G. Deleuze, F. Guattari, Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 1997.

13. Vedi C. Najle, Convolutedness, in Mostafavi M., Najle C. (a cura di) Landscape Urbanism, cit., nel quale l’autore sviluppa un inedito ragionamento sulla complessità in architettura a partire da alcuni tipici concetti koolhaasiani. Per ulteriori approfondimenti vedi R. Koolhaas, Delirious New York, Electa, Milano 2001, e R. Koolhaas, B. Mau, S, M, L, XL, The Monacelli Press, New York 1998.

14. Vedi F. Moussavi, A. Zaera-Polo, FOA Code Remix 2000, in 2G, n. 16, 2000.

15. Per una maggiore comprensione del concetto si rinvia alle molteplici ecologie invocate da G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi Milano, 1977.

Luigi Alini con Studio Aion, Dome, cantiere didattico sperimentale, Facoltà di architettura, Siracusa, 2011.

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Co-de-iT, Convoluted Inferences – fovea’s secret garden, installazione per Migz festival, polipropilene e multistrato,

palazzo Ottobre rosso, Mosca, 2011.

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materia sia a livello accademico che nella pratica progettuale e realizzativa. Ma credo che, come per ogni tipo di cambiamento, sia solo questione di tempo. Semmai è doveroso chiedersi quanto, data l’accelerazione tecnologica e anche di riflessione teorica cui assistiamo all’estero (anche se ristretta a pochi centri di eccellenza), questa resistenza ci costerà, aumentando il nostro divario. Comunque, qualcosa ultimamente sta cambiando, anche se per lo più grazie a iniziative personali. Ovviamente la rete, con il suo potere di facilitare le connessioni e lo scambio di idee, sta aiutando a catalizzare la formazione di un dialogo e una cultura inerente tali tematiche anche nel nostro Paese, ma si può capire che per i protagonisti di tale cambiamento (formatisi in gran parte all’estero) e per le caratteristiche della sua diffusione, le questioni geografiche non siano più così prioritarie.

3d si possono costruire con il fai da te e alla loro vertiginosa diffusione, si capisce come mai la produzione di oggetti “customizzati” stia accelerando drasticamente, in numero e scala. Altro aspetto da considerare è una certa comprensibile inerzia del comparto edilizia tale da incorporare i metodi digitali settorialmente. Molte volte la progettazione parametrica e computazionale e utilizzata in aspetti particolari del progetto, per la redazione di specifici elaborati, soluzioni di facciata o problematiche particolari che richiedono la gestione di grandi quantità di dati e geometrie complesse, anche se le forme realizzate non lo mostrano con evidenza. Per ciò che riguarda il panorama italiano, l’isolamento culturale che stiamo ancora soffrendo non aiuta l’introduzione di tali argomenti, sia tecnici che teorici. Inoltre vi sono forti resistenze al cambio di paradigma necessario per affrontare la

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ecoLogicSudio, Hortus, Hydro Organism Responsive to Urban Stimuli, installazione, Architectural Association,

Londra, 2012. Foto ©Sue Barr-AA.

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della vita. Esattamente come un “algoritmo urbano”, la vita prolifera nutrendo potenziali di differenze intensive; è costantemente opportunistica e aperta all’attualizzazione di nuove organizzazioni materiali.A differenza dei protocolli tecnologici, gli “algoritmi urbani” non necessitano dell’emergere di problemi, o catastrofi per essere in grado di fabbricare soluzioni significative. Attraverso l’integrazione tecnologica, essi agiscono sulla auto-organizzazione di forze sociali e la loro efficacia emerge nella giornaliera sperimentazione materiale all’interno del milieu in cui operano: la “real-time world city”. L’efficace sopravvivenza della “real-time world city” richiede partecipazione e scambi a vari livelli sociali e a diverse scale

materiali: un codice partecipativo deve essere in grado di crescere contemporaneamente allo sviluppo del network; non può essere definito a priori in un ambiente asettico e controllato. Gli “algoritmi urbani” evolvono all’interno del loro milieu, l’articolazione delle loro strutture cresce in relazione alla complessità e alla diversità del network urbano che servono; sono logiche programmatiche necessarie alla città che si auto-organizza.

Note

1. Gilles Clement, Il giardiniere planetario, 22 publishing, Milano 2008, p. 66.

2. Ivi, p. 71.

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Il primo computer sul quale ho messo le mani era il Commodore 64 di mio fratello. Sarà stato il 1985, ero laureato da un anno e lo usavo come una macchina da scrivere dotata di memoria.

Ultimo tango a ZagarolGiovanni Corbellini

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Il primo computer sul quale ho messo le mani era il Commodore 64 di mio fratello. Sarà stato il 1985, ero laureato da un anno e lo usavo

come una macchina da scrivere dotata di memoria (prima a cassette e poi con i “velocissimi” floppy disc cartonati). Neanche provare a disegnarci. Per quello ho dovuto comprare qualche anno dopo un 286, sul quale Autocad (era il 4.0?) si impallava subito. La prima versione del più diffuso programma di disegno digitale era stata sviluppata nel 1982. Possiamo quindi dire che la rivoluzione informatica in architettura compie trent’anni, anche se per molti di noi è cominciata con qualche ritardo. Nel frattempo è successo di tutto. Non ci sporchiamo le dita con la china, non spazzoliamo il tavolo dai residui di gomma e grafite, i vapori di ammoniaca delle eliocopie non ci intossicano più e non possiamo fare a meno di chiederci se la drammatica trasformazione degli strumenti di produzione e concezione del progetto (e ancora di più le alterazioni subite dal quadro generale in cui l’architettura si realizza e si abita) stiano producendo un reale cambio di paradigma, capace di mettere in discussione le più radicate certezze relative al mestiere dell’architetto, al suo ruolo sociale e alle sue capacità di incidere sulla realtà. Da un lato c’è chi confida nelle capacità di resistenza di un mestiere antico che, come quell’altro “più antico” con il quale condivide numerose analogie, si perpetuerebbe sostanzialmente invariato in quanto legato all’espressione di desideri e bisogni umani profondi e immutabili. Poco importerebbe quindi che si disegni con uno stilo sulla cera o pigiando sul mouse. Dall’altro è arduo dimenticare che l’idea di professionista e intellettuale dentro la quale siamo stati formati e alla quale è legata la nostra autocoscienza di architetti è relativamente recente,

conseguenza del mutamento culturale avvenuto nel Quattrocento e, come tale, irrimediabilmente esposta ai rivolgimenti nei sistemi produttivi, relazionali, narrativi, persino politici ai quali assistiamo in questi anni di particolare turbolenza1.Guardando alla questione dall’Italia, un paese che si è affidato in massa ai nuovi dispositivi di comunicazione e si è trasferito entusiasticamente sui social network, si percepisce, insieme allo scetticismo del primo approccio, una preponderante diffusione di reazioni conservative, tese a difendere la disciplina dalle conseguenze della contemporaneità2. Le ragioni sono molteplici, culturali, generazionali, organizzative, legate a una certa arretratezza e rigidità complessiva del sistema e trovano nelle nostre scuole di architettura una rappresentazione evidente e, insieme, uno dei motori che le alimentano3. L’insegnamento della progettazione e delle sue teorie è infatti in larga parte affidato in Italia a “migranti digitali” come me, architetti che, per inesorabili questioni anagrafiche, pensano analogico: i progetti che siamo capaci di insegnare si possono concepire tranquillamente con squadre e compasso o piegando del cartoncino. La selezione dei docenti avviene poi attraverso una sorta di partenogenesi, tale che anche i rari giovani cooptati tendono a condividere limitazioni tecniche e diffidenze ideologiche degli anziani. In più, la separazione dei settori disciplinari ha isolato il progetto (la “composizione”) dai suoi strumenti (il “disegno”), contribuendo a consolidare una visione di questi ultimi, appunto, strumentale, ancillare. Eppure, nonostante il “pericolo” per le sicurezze disciplinari rappresentato dalla potenza dei dispositivi digitali e le non poche contraddizioni che emergono dalla loro sempre più diffusa applicazione, appare sempre più inevitabile