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Passioni in Costa D’Avorio
Di
Fabio Petrini
Fabio Petrini
Via Sestese 126/9
50141 Firenze
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Capitolo primo
-Il Viaggio e la prima notte-
Chiusi l’auto, posteggiata nell’area lunga sosta del parcheggio dell’aeroporto.Mi sentivo leggero e
la routine giornaliera era già un ricordo.
Stavo partendo, l’ennesima volta, per la Costa D’Avorio; dove speravo di passare un Natale sereno
e tranquillo.Mi aspettava un villaggio turistico in riva all’oceano Atlantico con una spiaggia
incantevole.
Spingendo il carrello con sopra la valigia, entrai nell’area “gruppi” dell’aeroporto di Malpensa e
scrutai l’immenso salone alla ricerca dello sportello del mio tour operator.
Lo sguardo fu attratto da una ragazza bionda incredibilmente bella con un fisico pregevole seduta
nelle scomode sedie dell’aeroporto con le gambe accavallate: la vista era degna di nota, soprattutto,
perché la minigonna lasciava intravedere molto. Sentivo i miei ormoni incitarmi all’abbordaggio,
ma evitai, perché non mi sembrò un comportamento da “uomo di classe” come usavo definirmi.
L’altoparlante annunciò la partenza del mio volo ed ecco dimenticata la bella bionda.
<Posto vicino al finestrino, per non fumatori. Un posto, dove possa allungare le gambe > chiesi; con
voce suadente, presentandomi al check-in.La ragazza rimase con la testa china sul monitor, senza
degnarmi di uno sguardo. Com’era possibile? Avevo usato tutto il mio fascino nel pronunciare
quelle frasi.In ogni occasione, mi mettevo alla prova attuando le tecniche da “Don Giovanni”,
apprese durante le numerose vacanze nei villaggi turistici.
La ragazza, alzando la testa, mi guardò intensamente e sorrise.Porgendomi il passaporto e la carta
d’imbarco con voce un po’ impastata disse:
<Gate numero dodici ed imbarco alle diciotto e cinquanta>
Il mio ego fu soddisfatto.La ragazza aveva sorriso, mi aveva guardato e le poche parole erano state
pronunciate con scarsa professionalità.
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Dopo aver vagabondato fra i duty shop, mi presentai per l’imbarco: in cima alla scaletta, l’hostess
m’indicò la fila tredici posto” C “ nel corridoio in corrispondenza dell’uscita d’emergenza. Mi
sedetti, spensi il cellulare ed evitai di allacciarmi le cinture nell’attesa dei vicini; osservavo le
operazioni dei miei compagni di viaggio, che stavano lentamente occupando i loro posti.
Arrivarono due uomini vestiti in un modo alquanto buffo ed irrimediabilmente uguali: cappello
rosso firmato Ferrari e Schumacher, maglietta anch’essa rossa, della Parrocchia di San Pietro alle
Scale di un posto che risultava illeggibile, bermuda verde mimetico e sandalo marrone con calzino
bianco.
Quando furono più vicini notai che i due si somigliavano come due gocce d’acqua, pensai: sono
veramente fuori posto chissà come ci saranno capitati?
Stavo guardando i due gemelli, che si accomodavano nei posti davanti al mio e non mi resi conto
che stava arrivando la mia vicina.Alzandomi per farla passare, la guardai e rimasi impietrito. Era la
ragazza bionda!
Quando mi ripresi dalla sorpresa, pensai che simili situazioni accadono solo nei film. Adesso, anche
per cortesia, non potevo evitare di rivolgerle la parola, ma mi chiedevo come senza fare la parte del
solito pappagallo.Mi comportavo con naturalezza sfogliando la rivista della compagnia aerea. I miei
occhi guardavano la rivista, senza vederla minimamente, perché il cervello stava lavorando,
alacremente, per trovare il miglior modo per rompere il ghiaccio e mentre ero assorto nei miei
pensieri, fu lei a rivolgermi la parola.
<Scusi disturbo se fumo?>
Rimasi interdetto, poiché sapevo che la zona in cui eravamo era riservata ai non fumatori.
Farfugliai un no, senza aggiungere altro. Io che odiavo soltanto l’odore del fumo!
L'approccio non era stato granché però la vista del corpo debordante della ragazza, mi aveva già
svegliato gli ormoni alquanto arrugginiti.La mia vita sentimental-sessuale era stata abbastanza
fallimentare: arrivato alle soglie dei cinquanta anni, il bilancio era estremamente deludente. Un
matrimonio fallito sul nascere da cui era arrivato un figlio; e altre storie, cui davo pochissima
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importanza se non, forse, quella dello scorso anno con Cristina, che i miei ormoni la ricordavano a
fatica. Cristina era la donna che, alle 22,30 del martedì e del giovedì, mi preparava la macchinetta
del caffè e socchiudeva la porta d’ingresso.Entravo senza far rumore per non farmi sentire dalle sue
due figlie, che lei stava facendo addormentare.Mi godevo il caffè, sprofondato nella poltrona del
salotto in attesa del suo arrivo.
Le bambine avevano una buon’abitudine: si addormentavano velocemente e nel caso di risveglio,
durante la notte, chiamavano la mamma senza scendere dal letto. Particolare quest’ultimo che
apprezzavo moltissimo.In genere, verso l’una di notte tornavo a casa.Ricordo sempre con piacere
la storia con Cristina; anche se era veramente duro lasciare il caldo letto ed uscire durante le notti
invernali tempestate dalla tramontana.La storia finì durante l’inverno del 2001, che fu uno dei più
freddi del secolo.
Mi scossi e, rivolgendomi alla ragazza, chiesi:
<Sta andando al Villaggio di Les Paletuviers in Costa D’Avorio?>
Domanda stupida, perché il volo era un charter e tutti i passeggeri si stavano recando in quel
villaggio. Lei rispose di sì, sorridendo e continuò:
<E’ la prima volta, che vado in Africa.Sono, un po’ preoccupata per le vaccinazioni >
<Questa, per me, è la quinta volta che mi reco in questo villaggio > replicai mentendo. Ero stato,
ben undici volte in quel villaggio. Avevo pensato che sarebbe stato difficile spiegare in modo
razionale questa mia assurdità.Mi domandavo frequentemente perché andassi sempre nello stesso
posto, era difficile rispondere sia a me stesso sia agli altri.
<Sempre nello stesso villaggio? Deve esserle piaciuto molto?> chiese la ragazza meravigliata
<Il posto è splendido ed anche la vita al villaggio è da sogno. Il villaggio è su una striscia di terra
circondata dall’acqua: sul davanti l’oceano e sul retro una splendida laguna.La sabbia è
bianchissima e finissima; mentre ci cammini suona come un violino.> risposi
<Che bello! > esclamò < Mi piace ascoltarla, continui > disse sfiorandomi il braccio
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A questo punto, i miei ormoni erano già molto più che svegli e m’impedivano una buona
concentrazione per proseguire il racconto. Il decollo mi salvò.
<Io sono Paolo > dissi sorridendo guardandola fisso negli occhi.
Gli amici, che hanno successo con le donne, mi avevano insegnato che si devono guardare
intensamente e diritto negli occhi. Cosa che non mi era mai riuscita, anzi, io ero il primo a non
guardar negli occhi le persone con cui stavo parlando. Era, forse, questo il motivo delle mie
difficoltà nei rapporti verso gli altri e soprattutto nei confronti delle donne.
In quell’occasione riuscii a non distogliere lo sguardo per primo, anzi fu la ragazza che guardò
fuori del finestrino.
<Io. Anna.Diamoci del tu. Che ne pensa?>
<Ok. Cosa, vuoi sapere sulla Costa D’Avorio >
< Ci sono zanzare? C’è pericolo della malaria?> chiese con apprensione
< Non ho visto molte zanzare durante i soggiorni al villaggio e non ho mai sentito parlare di casi di
malaria.Stai facendo la profilassi antimalarica ?>
<Si.Ho iniziato una settimana fa >
< La profilassi antimalarica è necessaria, però ha delle controindicazioni, che si manifestano
principalmente sul fegato > affermai, con tono professionale.Mi ero completamente dimenticato
della mia laurea in Farmacia, mai sfruttata. Il lavoro d’agente di cambio, mi prendeva
completamente ed i ritmi erano infernali.Dal lunedì al venerdì la mia vita era regolata dagli orari
delle borse mondiali: alle nove aprono quelle di Francoforte, Parigi e quella italiana; gli occhi sul
video per tutta la mattina per controllare l’andamento del future del Nasdaq in America.Ore
quindici e trenta, Ora cruciale per i mercati di tutto il mondo per l’apertura di Wall Street.Ore
diciassette e trenta Chiusura delle borse europee .Ore diciotto apertura after hour mercato italiano.
Ore ventidue e trenta chiusura Wall Street.Ore ventiquattro apertura Tokio.Ore sette e trenta
chiusura Tokio
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In genere, restavo circa dieci ore il giorno davanti al video, mentre per il resto della giornata
seguivo i mercati, mediante gli SMS sul cellulare. Era, sicuramente, una vita assurda, ma a me
piaceva.Non avevo mai un momento in cui rilassarmi e, soprattutto, non avevo mai un momento per
pensare.
Mi ricordo spesso quella volta che, mentre stavo andando a casa di Cristina, ricevetti un SMS per
l’attivazione dello stop loss su Intel. Ritornai in ufficio dove lavorai fino a tarda notte e non bevvi il
caffè di Cristina.
<Mi scusi, ho sentito che lei è già stato in Costa D’Avorio > disse la donna alla mia sinistra. Una
signora piacente e vestita con eleganza in compagnia di un uomo tarchiato, un po’ trasandato nel
vestire e con la barba lunga.
<Ci sono stato, varie volte >
< Com’è il posto? Ci sono Serpenti, Coccodrilli? C’è pericolo?> incalzò la donna
< Ho visto i coccodrilli, soltanto in un allevamento> risposi sorridendo <Il posto è splendido come
dicevo poco fa alla signorina >
Iniziai a descrivere la località con parole misurate senza eccedere negli aggettivi superlativi, che in
qualche caso sarebbero stati necessari. Ero completamente a mio agio, perché mi trovavo al centro
dell’attenzione e tutti i miei compagni di viaggio mi stavano ascoltando: i due gemelli, Anna, la
coppia e sicuramente anche quelli dei posti dietro.
Le mie conoscenze della Costa D’Avorio erano abbastanza superficiali e derivavano da ciò che
avevo appreso durante tutte le precedenti vacanze.
<Il clima è incredibile.La temperatura è di solito costante intorno ai venticinque-trenta gradi, ma ciò
che colpisce è l’umidità dell’aria, che è sempre elevata e rasenta spesso il cento percento.Noi
europei frequentemente incontriamo delle difficoltà a adattarci ed il nostro ritmo di vita deve essere
rallentato, particolarmente all’inizio del soggiorno.Nei primi giorni non eccedete nel mangiare
ananas. E’ veramente speciale e molto diverso da quello che mangiamo in Italia. Se ne mangiate
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troppo, potrebbe formarsi una mistura esplosiva composta da, ananas con effetto lassativo, caldo e
farmaco antimalarico: rischiereste di stare al bagno per tutta la settimana.>
Tutti risero e m’incoraggiarono a continuare.
Anna mi strinse il braccio e sussurrò nuovamente che le piaceva ascoltarmi.
<Il clima della Costa D’Avorio è caratterizzato dalla stagione delle piogge che va da maggio a
novembre; per questo il villaggio apre nella stagione secca da Natale a Pasqua. Nella stagione secca
c’è un periodo in cui le temperature e l’umidità dell’aria sono meno elevate per lo spirare di un
vento freddo chiamato “Armatan”.Riguardo alla popolazione posso affermare che gli ivoriani sono
persone abbastanza tranquille, hanno solo il vizio di far figli.Ogni uomo, per sentirsi tale, deve far
fare molti figli ed avere varie mogli, cosa che la loro religione gli permette. Se andrete al “
villaggetto “ vedrete bambini da tutte le parti e di tutte le età. >
<Che cos’é il villaggetto?> Chiesero, i due gemelli quasi in coro
Il mio racconto ha interessato proprio tutti, considerai con soddisfazione.
<Il villaggetto è il villaggio ivoriano di pescatori, che confina con il nostro albergo. Con l’arrivo dei
turisti italiani, il villaggetto si è trasformato ed è divenuto un agglomerato di negozi che vendono
artigianato locale. Dopo aver oltrepassato la sbarra di confine fra villaggio turistico e villaggetto, vi
troverete in una strada di terra rossa, dove ai due lati vi sono una serie di botteghe. Questa strada
di Assinie, località dove sorge il nostro villaggio, può essere paragonata a Via Calzaioli di Firenze. I
negozi hanno nomi italianissimi: Gianni Agnelli Nero, I fratelli di Roberto Baggio, Prendi tre paghi
due ecc>
La mia esposizione fu interrotta dall’hostess, che servì la cena.
Anna aprì i recipienti del vassoio e osservò il contenuto. L’odore era del pane appena cotto nel
forno a microonde.
<Che cosa passa il convento stasera ?> chiesi
<Non so bene che carne sia >
Spilluzzicando il frugale pasto, domandai ad Anna di raccontarmi un po’ della sua vita.
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Anna dimostrava meno dei suoi quaranta anni e aveva l’aspetto di una ragazzina. Solo l’aspetto,
però, perché il suo modo di parlare e di comportarsi era di una donna assai decisa ed emancipata.
Era proprietaria di una profumeria in centro a Milano ed aveva sei dipendenti, tutte donne che
faceva lavorare duramente per sua stessa ammissione.Gestiva i suoi risparmi in prima persona con
investimenti in fondi azionari ed in azioni.Valutai professionalmente il suo portafoglio come molto
aggressivo con alto indice di rischio, ma con possibilità d’elevati guadagni.Sulla vita sentimentale
fu abbastanza elusiva; una sola cosa era certa: stava andando in Costa D’Avorio per dimenticare
qualcuno.
Quando raccontai della mia vita, anche io fui evasivo sulla mia situazione sentimentale e familiare
evitando particolari sulla mia ex moglie e su mio figlio. Mi dilungai, invece, sulle mie frequenti
vacanze e sulla mia vita molto movimentata.
La voce del capitano dell’aereo, che annunciava l’iniziò della discesa verso l’aeroporto di Abidjan,
interruppe il mio racconto.Le sei ore di volo erano “volate”, non mi ero reso conto del passaggio del
tempo, forse per la presenza di Anna o per tutte le chiacchiere.
Quando ci affacciammo al portellone di uscita, lo sbalzo di temperatura fu enorme. La sensazione
era sgradevole: respiravamo a fatica e l’afa era opprimente.
Mi tolsi la camicia rimanendo in maglietta e jeans come fece anche lei; appena discesa la scaletta
di sbarco, eravamo già completamente sudati e le magliette erano bagnate.
La canottiera di Anna, secondo la moda, era di due misure più piccole del necessario ed arrivava a
solamente a metà addome. L’effetto bagnato, le ridotte dimensioni della maglia e le sue, non
proprio ridotte dimensione del seno, la rendevano un bello spettacolo, che mi gustavo, mentre ci
stavamo dirigendo verso i locali dell’aeroporto.
All’ingresso nella sala arrivi, l’aria condizionata al massimo ed una conseguente differenza di
temperatura di quasi dieci gradi, ci indussero ad indossare di nuovo e velocemente la camicia.
Al controllo passaporti la fila era lunghissima; eravamo in coda, dietro alla coppia incrociata
sull’aereo.
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<Quando ci parlerà di nuovo della Costa D’Avorio> mi chiese la donna
<Siamo tutti stanchi dopo questo viaggio e non è ancora finita. Dobbiamo percorrere un tragitto in
strade accidentate per circa un'ora di pullman e poi la traversata della laguna in “pinasse” >
<Che cos’è la “pinasse”?> chiesero all’unisono i gemelli, anch’essi in fila dietro di noi.
<La pinasse è un barcone utilizzato dagli ivoriani per spostarsi nella laguna> risposi e,
concludendo, dissi
< Sono un po’ stanco. Il mio racconto proseguirà domani.Ci incontriamo nelle vicinanze del bar
della piscina.>
Il controllo passaporti ed il ritiro dei bagagli non fu velocissimo. Tutti i turisti erano distrutti dal
viaggio e fremevano per arrivare sotto la doccia, ma il ritmo di lavoro degli addetti era piuttosto
lento. D’altra parte, il clima africano non favorisce grossi sforzi e nell’indole ivoriana il lavoro è
necessario, ma non serve per realizzarsi e va preso a giuste dosi. Pensai a me stesso e a tutti i miei
colleghi che vivono e si realizzano soltanto nel lavoro.
All’uscita dell’aerostazione, ci imbattemmo negli animatori del villaggio: tutti vestiti di bianco con
un’abbronzatura invidiabile. Sorridevano e distribuivano “Ciao” a tutti. Osservandoli, mi resi conto
che il sorriso era forzato e che stavano morendo di sonno.
Anche loro, non hanno dormito, considerai.
Un ragazzo siciliano, che si presentò come Giuseppe in arte Picciotto, fornì tutte le istruzioni per
l’assegnazione della camera.
Quando uscimmo dall’aeroporto, ci scontrammo con un altro sbalzo di temperatura ed umidità e
quei cento metri fino al pullman sembrarono interminabili. L’autobus non era modernissimo, le
poltrone erano scomode ma l’aria condizionata era al massimo.
Mi affrettai ad indossare un golf di cotone e sedetti accanto ad Anna.
< Ho freddo > disse
Mi tolsi il golf e glielo porsi. Lei mi guardò ed io abbassai gli occhi come sempre.
<Grazie Paolo >
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Ora ero io che soffrivo, quasi, il freddo. Chissà se è giusto, essere sempre un perfetto cavaliere!
Mi è stato insegnato che con le donne si deve essere gentili e servizievoli, ma, in molti casi, ho
verificato che tale comportamento non è quello migliore: frequentemente, i troppo buoni vengono
puniti.
<Più le tratti male, più ti cercano > Mi diceva spesso il mio amico Andrea, animatore di villaggio
turistico soprannominato “Il Murena”. Non sbagliava mai un colpo ogni volta che usciva,
fulmineamente, dalla tana.
Il sedile era scomodo, faceva freddo, ma la stanchezza vinse e ci addormentammo quasi subito.
Fui svegliato da un gran sobbalzo: il pullman era entrato in un’enorme buca troppo velocemente.
Anna dormiva ancora ed aveva appoggiato la testa sulla mia spalla. Rimasi immobile, perché non la
volevo disturbare e poi era bello sentire il suo contatto.
Guardai fuori del finestrino e vidi solo buio. La strada non era illuminata e la notte africana era
veramente nera. Vidi alcuni bagliori, solo quando il pullman attraversò un agglomerato di baracche,
che doveva essere un mercato. Le casupole erano di legno ed erano illuminate da una lampadina,
che emetteva una debole luce. L’ambiente era tetro e buio, ma ciò che mi sorprese fu l’enorme
numero di ivoriani che si aggiravano e si agitavano intorno alle baracche alle tre e trenta di notte.
Il pullman rallentò perché stavamo arrivando e poi, nella strada, aumentavano le buche.
Una volta scesi, il buio africano ci avvolse. Quando i nostri occhi si adattarono all’oscurità, ci
rendemmo conto di essere in un agglomerato di case in riva alla laguna.Davanti a noi c’erano un
gruppo di bambini di tutte le età, che ci stava osservando con curiosità. In una macchia nera in
movimento vedevano solo il bianco dei loro occhi.
<Ciao Paolo> urlò un ivoriano
Era Goffredo.Lo avevo conosciuto in spiaggia undici anni prima, quando era solo un ragazzo, in
occasione del mio primo viaggio in Costa D’Avorio.
<Ehi Goffredo! Come va ?> risposi, andandogli incontro.
Ero felice di rivedere il mio amico, che definivo scherzosamente “il mio agente al villaggetto”.
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<Tutti a bordo > urlarono gli animatori, indicando un vecchio barcone di legno ancorato lì vicino.
< Ci incontriamo domani in spiaggia > dissi a Goffredo salutandolo.
Presi il mio bagaglio e lo gettai sul tetto della pinasse, dove salii agevolmente, mentre il resto dei
turisti era un po’ titubante, mentre si avvicinava verso la barca.
<Vieni qui sopra.Vedrai che bello.>
Anna vi salì con po’ di difficoltà aiutata da un animatore.
<Dove ci sediamo?>
Sorrisi ed indicai un angolo in fondo.
Ero in piedi, mi guardavo intorno e mi gustavo quello spettacolo che avevo visto molte altre volte.
Il barcone stava lasciando il pontile, i bambini urlavano e salutavano i turisti.
Ci stavamo addentrando nella laguna, davanti a noi s’intravedevano delle deboli luci che
spuntavano da sotto un numero infinito di palme. Nel silenzio della notte africana, udivamo il
rumore del motore della pinasse e, in lontananza, il rumore sordo e ripetitivo dell’oceano, che si
trovava appena dietro le palme.Il cielo era uno spettacolo a se stante, con i miliardi di stelle, che
brillavano in modo inverosimile.
<Qui, è tutto bagnato!> esclamò la mia compagna di viaggio, sedendosi
<E’ la condensa dell’umidità. Ti dovrai abituare. >
Ecco all’improvviso spuntare, dal buio della laguna, un motoscafo, lanciato a tutta velocità, che
trainava tre animatori, che eseguivano peripezie sugli sci d’acqua. I tre avevano in mano delle
fiaccole e s’incrociavano con le piroghe africane, dove alcuni ivoriani suonavano con gran maestria
i bongos.
<E’ spettacolare > esclamò Anna, entusiasta della situazione.
<Anche se ho vissuto questo momento molte volte, mi sembra bello come la prima >
Affermai, stringendola a me con naturalezza; lei mi strinse ancor di più.
Apprezzavo e vivevo quel contatto.
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Ci separammo al momento dell’attracco alla banchina del villaggio, dove tutti gli animatori, vestiti
da ivoriani con delle fiaccole in mano, ci accolsero cantando la sigla del villaggio. I turisti erano
abbastanza confusi dall’atmosfera e lo sbarco non fu proprio agevole, la pinasse non era certa una
nave da crociera comodissima.
Percorremmo un corridoio formato da animatori, sempre sorridenti e con fiaccola, ed arrivammo in
una radura, dove ci fu servito un cocktail di benvenuto, contenuto in un ananas da cui spuntava la
cannuccia.
I miei compagni di viaggio erano distrutti e volevano andare a letto prima possibile, ma
l’organizzazione prevedeva la cena.Cenare alle quattro e trenta di notte era assurdo, ma seguii il
gruppo passivamente.
All’uscita dal ristorante incontrammo nuovamente Picciotto che ci consegnò le chiavi delle nostre
rispettive camere.
Guardai Anna, diritto negli occhi, mentre ci dirigevamo verso le camere, e domandai
<Hai sonno?>
Lei rispose di no, facendo felice me ed i miei ormoni, ormai elevati alla trentaduesima.
<Perché non andiamo in discoteca?> le chiesi.
Accettò con entusiasmo e ci avviammo, nel buio della notte ivoriana, verso un piccolo viale in
mezzo alle palme lungo la spiaggia.La discoteca era all’aperto, sotto le palme localizzata
all’estremità sinistra del villaggio: vi arrivammo tenendoci per mano.Naturalmente alle cinque del
mattino era chiusa, però vi era ancora il disk jokey, che stava ripulendo e provando alcuni cd.
La musica era soft e romantica. Invitai Anna a ballare prendendola sottobraccio e trascinandola in
pista. Lei non si lasciò pregare, anzi fece il modo che il suo corpo aderisse completamente al mio.
Ero in difficoltà, c’era sempre il dj, mentre i miei ormoni si facevano molti meno scrupoli.
<Andiamo a vedere i granchi in spiaggia ? > chiesi con un filo di voce
Questa era la frase che si usava al villaggio per invitare una donna, poiché non c’erano collezioni di
farfalle.
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Lei, afferrandomi per mano, mi trascinò verso il buio della spiaggia.Camminammo in silenzio lungo
l’oceano, mano nella mano.Le onde si frangevano sulla costa emettendo microscopiche goccioline
d’acqua che, insieme all’elevata umidità dell’aria, producevano un effetto “flou”. La vista
dell’orizzonte era annebbiata e il panorama non era ben definito. Nel cielo c’era un bellissimo
quarto di luna contornato da miliardi di stelle.
Respiravo a pieni polmoni l’aria umida della notte ed oltre agli ormoni si risvegliò anche l’animo
romantico, rimasto nascosto in qualche angolo del mio cuore di agente di cambio.
La presi sottobraccio, senza guardarla negli occhi.
Anna con” nonchalance “ mi mise la mano sul sedere e strinse.
Fui bruscamente interrotto dai miei pensieri romantici, perché gli ormoni urlavano come Tarzan.
<Scusa, mi scappa la pipì > disse distaccandosi all’improvviso.
Senza darmi la possibilità di reazione, si chinò in quella spiaggia meravigliosa, che suonava come
un violino, dove la fece con gusto.
Per educazione mi girai di spalle, mentre il rumore dell’oceano e l’altro di acqua scrosciante si
confusero.
Gli ormoni avevano perso molto brio e l’esponente stava velocemente andando a zero.
Che fare adesso? Perché si è comportata così?Anna è una donna emancipata e forse si sente, già, in
intimità con me, pensavo cercando di trovare una giustificazione.
Ero combattuto e non sapevo come uscire dalla situazione. Parte di me, gli ormoni primordiali,
m’incitavano a saltarle addosso lì seduta stante, magari evitando la sabbia bagnata, mentre l’altra
parte era indecisa.
Gli ormoni primordiali furono messi in minoranza.
<Torniamo al villaggio> dissi e senza aspettare risposta mi diressi verso la luce.
<Perché ?> chiese
<Sono stanco.Sono partito da casa stamani mattina all’alba.> risposi bruscamente
Quando arrivammo al villaggio, le diedi la buonanotte, un bacio sulla guancia e andai in camera.
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Aprii l’enorme valigia, che avevo trascinato all’interno della stanza a fatica, e le cose pressate con
tanta energia, ne fecero schizzare in alto il coperchio.
Forse, questa volta ho esagerato, pensai, ricordando, anche, che il peso della valigia aveva superato
quello permesso per il volo aereo. Mi affrettai a trovare lo spazzolino da denti, il dentifricio e gli
altri prodotti per l’igiene personale. Feci una rapida doccia e mi gettai completamente nudo, e solo
parzialmente asciutto, sul letto. Ero stanco morto, ma non riuscivo a addormentarmi. Guardavo
fisso il soffitto e riflettevo su tutto ciò che mi era accaduto nelle ultime ore. Più che pensavo, più
ero convinto di aver fatto bene a non andare a letto con Anna. Certo, il mio amico Murena mi
avrebbe dato dello stupido, ma Anna, con quel suo atteggiamento aggressivo ed emancipato, mi
aveva disorientato. Mi vantavo, sempre con gli altri, affermando che non mi sarei, mai, fatto guidare
dagli ormoni e in quel momento ero fiero, perché avevo dimostrato che non erano solo chiacchiere.
Chissà cosa aveva pensato Anna, forse mi credeva finocchio o forse, nella migliore delle ipotesi, un
coglione. Mi addormentai con tanti dubbi e alla domanda:
<Sono stato un coglione? > Gli ormoni urlarono in coro un sì convinto.
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Capitolo Secondo
- il villaggio turistico -
Mi svegliai alle dieci, dopo aver dormito soltanto quattro ore. Ero eccitato come un ragazzino e
pregustavo la mia splendida e rilassante passeggiata in spiaggia.
Decisi di non mettere ordine in camera, mi lavai molto velocemente ed indossai un costume da
bagno ed una maglietta.Mi diressi verso il ristorante dove avrei fatto colazione. Ad accogliermi
c’era una splendida animatrice vestita in modo perfettamente integrato con l’ambiente ivoriano:
Aveva una gonna, molto mini, rifinita con delle conchiglie chiamate “ Cri Cri”. Il top le
racchiudeva appena il seno, lasciandole ben libero il bacino. La stoffa era di una di color avana e vi
erano disegnati degli ananas neri.
<Buongiorno. Ha dormito bene? >
Anche se avevo dormito bene, il mio morale cambiò immediatamente.Sentirsi dare del “Lei” da una
ragazza, mi fece sentire terribilmente vecchio.
Odio invecchiare e faccio di tutto per comportarmi come un ragazzo di venti anni.La mia
immaturità si manifesta costantemente ed anche in questo caso fu evidente.
Avvicinandomi all’orecchio della ragazza dissi sottovoce:
<La prossima volta che mi dai del “lei”, ti mando a quel paese >
La ragazza sorrise imbarazzata e provò a motivare l’uso del “Lei”, che derivava dalla sua
educazione familiare. Parlò di rispetto ed io la interruppi immediatamente per evitare l’ovvio:
“ l’anzianità e l’esperienza devono essere rispettate”.
La ragazza mi accompagnò al mio posto, in un grande tavolo dove mi lasciò volentieri.
La maggior parte dei turisti era ancora a letto a smaltire le fatiche del viaggio. I miei compagni di
tavolo erano un ivoriano ed una signora di mezza età che stavano mangiando in silenzio.
Li riconobbi entrambi. L’uomo era Lasseaux, lavorava nell’animazione sportiva allo sci nautico,
mentre Pauline era l’infermiera di lingua francese del villaggio. Lasseaux aveva imparato a sciare
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sulle acque della laguna e lavorava nel villaggio da più di venti anni. Era famoso per la sua
esibizione, che svolgeva con una maestria incredibile: riusciva a gustare una coca cola seduto su
una sedia sistemata su un disco di legno che era trainato ad alta velocità da un motoscafo.
Pauline aveva molte conoscenze sulla malaria ed era famosa, soprattutto, fra i dipendenti ivoriani ed
i loro familiari, che lei curava gratuitamente.
<Buongiorno> dissi sedendomi
I due mi risposero, a fatica, con un cenno, continuando a mangiare in silenzio la loro sostanziosa
colazione, costituita da uova strapazzate, formaggio e yogurt.
Ed io, che la mattina bevevo solo un caffè prima dell’apertura di Francoforte, mi chiedevo come
facessero a mangiare tutte quelle cose.
Vidi i gemelli dirigersi verso il mio tavolo, mentre mi versavo il latte ed il caffè.Erano ancora
vestiti uguali: canottiera bianca di marca cagi, cappello bianco da muratore delle costruzioni
incisane, soliti bermuda e sandali con calzino bianco. Tutto ciò, completato da un marsupio di taglia
extra large, posto sul basso ventre.
<Buongiorno > dissero in coro sedendosi uno alla mia destra e l’altro a sinistra.
<Come va? Vi è piaciuto il posto?>
<E’ bellissimo > disse il gemello alla mia destra
<Ci racconta ancora qualcosa sulla Costa D’Avorio? > continuò quello di sinistra.
<Innanzitutto, io sono Paolo> dissi tendendo la mano a quello di destra.
<Io sono Alfredo > rispose stritolandomi quasi la mano
L’altro era Giovanni ed anche lui mi strinse la mano in modo vigoroso.
<Perché avete scelto questo viaggio? >
Domanda che avrei voluto porre loro fin dal primo momento in cui li avevo visti.
Alfredo iniziò a raccontare e Giovanni interveniva frequentemente concludendogli le frasi.
I due gemelli provenivano da Incisa Valdarno, paese della provincia di Firenze, ed erano proprietari
di un’autofficina.La ditta, che li riforniva di batterie, offriva dei viaggi premio al raggiungimento di
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un budget di vendita. Negli ultimi dieci anni non erano mai riusciti a guadagnarsi il viaggio premio.
Quell’anno, il rappresentante di zona, considerata l’estrema puntualità di pagamento delle fatture e
la simpatia dei gemelli, decise di accordare il viaggio anche senza il raggiungimento del budget di
vendita.
Era la prima volta che si recavano all’estero, anzi era la prima volta che andavano in vacanza in un
posto diverso dal campeggio Arcobaleno di Cecina.
Il racconto in stereofonia, Alfredo da destra e Giovanni da sinistra, aveva esaudito le mie curiosità e
per sdebitarmi parlai loro, ancora, della Costa D’Avorio
<Sto andando in spiaggia a cercare i dollari >
E anticipando la loro domanda, proseguii <I dollari sono una specie di conchiglia, che si trova
lungo il bagnasciuga dell’oceano e sono caratteristici della costa del golfo di Guinea.Tanto tempo fa
i dollari erano utilizzati come moneta, adesso sono un simbolo ivoriano e le donne lo usano per
farne collane o monili.La forma è rotonda e piatta, mentre il colore è generalmente verde chiaro
striato, il bordo è frastagliato con punte arrotondate, mentre sul dorso vi è incisa un’immagine tipo
stella marina.Il colore può variare da verde a bianco sabbia e dipende da quanto tempo il mollusco
lo ha lasciato: più è il tempo che il dollaro è rimasto in balia delle correnti oceaniche, più il colore
originale sbiadisce avvicinandosi al color sabbia.Se ne troverete potrete portarli come ricordo, però
dovrete prestare attenzione, perché sono molto fragili e non devono perdere completamente
l’umidità. Dovrete conservarli in acqua od altrimenti potreste dipingerli con una vernice trasparente
in modo tale, che non restino privi di umidità.>
<Molto interessante > dissero i gemelli in coro
<Andiamo a cercarli anche noi > disse Alfredo al fratello.
Ero in difficoltà perché avrei voluto farmi la passeggiata da solo.Mi alzai dal tavolo, affermando
che dovevo fare un salto in camera e dissi loro che ci saremmo ritrovati al bar.
Dopo essere stato in camera, mi guardai bene di ritornare al bar e mi avviai in beata solitudine verso
la spiaggia che i bagnini ivoriani erano intenti a ripulire, rimuovendo i detriti portati nella notte
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dall’oceano per poi, sistemare le sdraio ed i lettini per i turisti.Passando li salutai.Uno di loro
contraccambiò il saluto calorosamente e, in un italiano storpiato, mi fece capire che si ricordava di
me.Mi ricordava soprattutto, perché gli avevo regalato una maglietta e delle caramelle per i suoi
bambini, il cui numero era cresciuto di un’unità anche quest’anno.Era molto fiero dei suoi dieci
figli, forse erano un po’ troppi considerati i suoi trenta anni.
Un sole anemico non riusciva a disperdere la foschia formata dalla umidità. Faceva già caldo,
nonostante fossero soltanto le dieci e trenta del mattino. L’oceano si agitava come sempre ed
all’orizzonte non c’era assolutamente niente.
Arrivando al punto in cui, la sera prima, Anna aveva fatto “scrosciare le acque”, mi soffermai a
rimuginare.
Che situazione! Se racconto la storia, nessuno mi crede!
I dubbi sul mio comportamento stavano piano, piano scomparendo.Sono venuto in vacanza per
rilassarmi e per i bambini del villaggetto, non mi devo far trasportare dagli ormoni specialmente da
quelli primordiali.
Certo, l’avventura della sera prima era fuori dalla norma e lontana mille miglia dalla mia vita di tutti
i giorni.
Forse questa possibilità di vivere situazioni eccitanti ed impensabili, è uno dei motivi che mi
hanno spinto a tornare per ben undici volte consecutive in quel posto.
Ripresi a camminare lungo la battigia alla ricerca dei dollari: avevo una tecnica di ricerca appresa
ed affinata durante gli anni passati, cercare i dollari è come cercare i funghi.Andavo a cercare i
funghi all’età di quindici anni, nel paese natale di mio padre con uno zio, che era un super esperto e
conosceva i luoghi delle “fungaie”.
<I funghi non stanno mai da soli, mi diceva lo zio, si concentrano e nascono, appunto, nelle
fungaie.>
Anche, i dollari si concentravano soltanto in alcune zone del bagnasciuga.Tali zone erano
riconoscibili dalla presenza di detriti oceanici composti da sassolini bianchi.
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Mentre stavo tentando di raccogliere un bellissimo dollaro, che le onde e la corrente dell’oceano
rendevano quasi vivo trasportandolo e nascondendolo sotto la sabbia, vidi il palmo chiaro di
piccola mano nera, che conteneva due conchiglie. Un bambino, che doveva avere poco meno di
dieci anni, mi guardava con dei grandi occhi e mi porgeva delle conchiglie.Gli sorrisi, ma non presi
le conchiglie, perché non avevo niente da dargli in cambio. Alzando lo sguardo, mi resi conto che il
bambino non era solo e che stava lavorando con parte della sua famiglia.Il padre ed il fratello erano
nell’oceano ad una distanza di venti metri dalla sua posizione e stavano pescando.Mi sedetti per
osservare meglio la scena.Il padre, con l’acqua fino al bacino, aveva in mano una rete che lanciava
frequentemente nell’oceano e poi la recuperava. La rete, chiamata giacchio, era bilanciata da tanti
piccoli pesi fissati agli estremi dell’imboccatura. I lanci erano frequenti, ma la pesca era scarsa. Il
figlio maggiore stava, costantemente, vicino al padre e lo osservava con molta attenzione per
apprendere il mestiere.Il piccolo seguiva, dalla spiaggia, le mosse del padre ed aveva in mano un
sacchetto di plastica con il pescato.L’uomo continuava a lanciare la rete senza mai fermarsi.Non
facendosi scoraggiare dagli scarsi risultati.Chiamava i suoi figli intorno a sé, quando pescava un
pesce e glielo mostrava con fierezza.
Con il mio approssimativo francese, mi rivolsi al bambino, che si era seduto a fianco, chiedendogli
il nome, quanti anni avesse e se andava a scuola.
Alì aveva nove anni ed andava a scuola raramente, perché doveva aiutare il padre nella pesca.Lo
salutai, lasciandolo lavorare con il padre e proseguii la mia passeggiata.
Il sole era riuscito a vincere la foschia, la luce era fortissima e fui obbligato a infilarmi gli occhiali
da sole.
Guardando all’orizzonte verso il villaggio, vedevo solo sagome indefinite, mentre davanti a me
c’erano solo spiaggia, palme e oceano. L’effetto “flou” era ancor più evidente, data l’elevata
temperatura. Era come, essere avvolti in un batuffolo di cotone Non sapevo se ero in cielo o in terra.
Mi godevo quelle sensazioni, non pensando a niente.
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Dopo aver camminato per altri cento metri, cominciai a percepire la stanchezza e la forza del sole,
di cui, invertendo la direzione per tornare al villaggio, avvertii il calore sulle spalle.Vidi in
lontananza una sagoma, che si avvicinava velocemente. Era Goffredo e stava correndo verso di
me.
<Ciao Paolo> disse con voce affannata.
Con quelle condizioni climatiche, anche per gli ivoriani è faticoso correre, considerai.
Contraccambiai il saluto chiedendogli le novità dell’anno appena trascorso.
<La mia donna aspetta un figlio.Sono felicissimo, però sono preoccupato per il futuro del mio
bambino. Non ho un lavoro fisso e mi arrangio lavorando con i turisti >
<Sei diverso dagli altri. Qui tutti sfornano figli come mano d’opera, non preoccupandosi del loro
futuro > affermai
Il comportamento diverso di Goffredo derivava, forse, dal fatto che era stato molto tempo a contatto
con i turisti italiani ed aveva conosciuto una realtà diversa.Il suo primo obiettivo era di andare a
lavorare in Italia.
Come ero solito fare, provai a dissuaderlo, spiegandogli quanto era difficile viverci, specialmente
per uno di colore senza lavoro. Goffredo non voleva ascoltare minimamente i miei consigli e
cambiò argomento, chiedendomi di aiutarlo con i turisti, infatti, era il “promoter” per una serie
di negozi del villaggetto. Io lo presentavo ai turisti come un amico affidabile, lui li accompagnava
nelle botteghe e riscuoteva la percentuale sugli acquisti
< Certo, come sempre > risposi e proseguii < Domani, è la vigilia di Natale, voglio andare a far
visita alla scuola >
<Ok. Vieni anche a casa mia > disse
Annuii sorridendo. Camminai, in silenzio, per un lungo tratto verso il villaggio.
Il mio amico ivoriano era veramente diverso dagli altri, perché capiva quando non avevo voglia di
parlare e se ne stava zitto al mio fianco. Era felice di avermi incontrato anche quest’anno, perché gli
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avrei fatto guadagnare molto, facendogli conoscere i miei compagni di viaggio.Inoltre, sperava di
incontrare l’italiano che l’avrebbe aiutato a realizzare il sogno del viaggio in Italia.
Arrivammo al confine del villaggio e la guardia non avrebbe voluto far passare Goffredo.
<E’ con me > dissi con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Goffredo mi ringraziò con un’occhiata.
Gli ivoriani non possono entrare nella spiaggia del villaggio. C’è un corpo di guardia, composto da
ivoriani di Abidjan dotato di manganelli, che impedisce loro l’accesso.La scena, che si svolge
giornalmente in spiaggia, è molto triste e mi irrita per il razzismo di fondo di cui è testimonianza: i
ragazzi ivoriani, schierati sul confine del villaggio, sono tenuti a freno da una guardia, mentre i
turisti occupano il posto sui lettini e un po’ intimoriti dalla situazione, rimangono all’interno del
recinto privilegiato. Durante la giornata, le guardie permettono a ridotti gruppi di ivoriani
l’attraversamento dell’area del villaggio soltanto lungo la battigia. I ragazzi, passando, provano a far
conoscenza con i turisti e li propongono l’acquisto di statuette in ebano, dei batik ed altri oggetti
ivoriani.Non si possono soffermare a lungo, perché, altrimenti arriva la guardia che li scaccia.
<Ehi! Signor Paolo > L’urlo era dei gemelli e proveniva da sotto un enorme ombrellone di paglia.
<Andiamo Goffredo, ti presento un po’ di italiani >
<Noi l’abbiamo aspettato al bar >disse Alfredo
Scusandomi, presentai il mio agente al villaggetto.
<Ci si può fidare di lui.Se volete acquistare qualche ricordo africano, non andate alla boutique del
villaggio, perché i prezzi non sono convenienti.Fatevi accompagnare da Goffredo, ai negozi del
villaggetto dove i prezzi sono molto più bassi>
<Cosa possiamo comprare? > chiese una donna sdraiata lì vicino.
Riconobbi la donna incrociata sull’aereo e mi presentai.Il marito, sdraiato poco più in là, era
Lorenzo mentre lei era Tiziana.
<Ci sono moltissime cose carine.Potete comprare dei pantaloni e delle casacche confezionate in
quella variopinta stoffa africana.> dissi indicando una donna ivoriana che camminava lungo
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l’oceano.<Voi scegliete la stoffa ed il modello.Loro vi prendono le misure ed in pochissimo tempo
vi rendono il vestito già confezionato >
Mi accorsi che il mio pubblico era distratto dalla scena della donna indicata poco prima. Avevo
visto la scena molte volte, ma per gli altri era qualcosa che monopolizzava la loro attenzione.La
donna aveva un aspetto imponente e guardava davanti a sé, senza curarsi dei turisti.Il bambino,
portato sulle spalle in una sacca formata da un prolungamento della stoffa del suo vestito, stava
dormendo placidamente, mentre un altro bambino camminava al suo fianco tenendola per mano.
La donna stava tornando a casa dal lavoro e sulla testa aveva un enorme catino di alluminio colmo
di ananas, ne stimai il peso in circa cinquanta chili.
<Mamma mia! Come farà?> esclamò Tiziana
<Questo, è normale per donne ivoriane > rispose Goffredo
<Ti lamenti sempre dei lavori di casa.Se vivessi qui sarebbe diverso, pensa quanto sei stata
fortunata> disse Lorenzo rivolgendosi a sua moglie.
<Sono stata, però, sfortunata ad avere un marito come te> replicò lei stizzita.
<Quando andrete al villaggetto, potrete comprare il “Bubu” per pochi CFA.> intervenni, nel
tentativo di smorzare la tensione fra moglie e marito.
<Che cosa sono il Bubu ed i CFA ?> domandarono in coro i gemelli.
<Il Bubu è quel costume che gli animatori indossavano al nostro arrivo.E’ composto da pantaloni e
da una grande casacca in parte ricamata, mentre i CFA sono la moneta della Costa D’Avorio.Sono i
franchi delle nazioni dell'Africa centrale ed erano legati in rapporto fisso con il franco francese >
<E con l’euro ?> replicarono i gemelli
Ero in difficoltà a rispondere a quella domanda e Goffredo intervenne in mio aiuto.
< Un CFA vale quindici centesimi di euro> affermò con sicurezza.
<Un CFA quante palline viola ? > chiesero sorridendo i gemelli
Loro avevano già familiarizzato con il valore delle palline, di vario colore, che al villaggio
utilizzavamo per pagare le consumazioni al bar.
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Vidi, in lontananza, Anna che stava parlando con un animatore con un fisico imponente e senza
capelli.Salutai la compagnia e con Goffredo le andai incontro.
<Buongiorno Paolo>
<Ciao.Come va’? >
<Benissimo, ho conosciuto Stefano > disse indicandomi l’animatore, abbronzantissimo, al suo
fianco.Mi presentai e seppi che Stefano era il caposport. L’animatore responsabile di tutte le attività
sportive del villaggio.
<Questo è Goffredo, il mio agente al villaggetto>
Il caposport allungò svogliatamente la mano per salutarlo.
Mi resi conto che gli occhi di Anna mi stavano guardando in modo molto diverso dalla sera
precedente e che le sue attenzioni erano tutte per i muscoli lucidi e sproporzionati di Stefano.
Ho paura di avere buttato al vento un’altra occasione. Chissà come sarebbe stato far l’amore con
Anna? Avrebbe sicuramente preso lei l’iniziativa, mi avrebbe sdraiato nella spiaggia e avrebbe fatto
tutto lei, saltandomi addosso.Gli ormoni stavano piangendo disperatamente. Anch’io avevo qualche
rimpianto, ma, ormai, era fatta e salutai Anna che cinguettava con il suo abbronzantissimo
animatore.
<Bella donna > commentò Goffredo
Annuii e non raccontai l’avventura della sera prima. Ero sicuro che mi avrebbe dato dello stupido.
All’improvviso, vidi una ragazza biondissima che si muoveva con leggiadria sulla spiaggia e che
stava dirigendosi proprio verso di me.Aveva in mano un gran vassoio colmo di ananas tagliato a
fette, mentre addosso aveva, solo, un microscopico due pezzi.
<Ne vuole una fetta ? >
Ancora del ”lei”, devo sembrare proprio vecchio! Il mio aspetto è di un discreto uomo di mezza età,
con i capelli che stanno lentamente imbiancando. Il mio fisico non è proprio asciutto, ho delle belle
rotondità sui fianchi che definisco scherzosamente “le maniglie dell’amore”.Quando faccio notare,
con rimpianto, il bianco della mia capigliatura, gli altri obiettano che l’uomo brizzolato è molto più
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interessante. E’ una magra consolazione, concludo sempre amaramente.Questa volta, reagii più
compostamente e chiesi alla ragazza di darmi del tu.Presi una fetta di ananas dal vassoio, che offrii
a Goffredo, mentre la seconda me la gustai tranquillamente. La ragazza dell’ananas rimase ferma di
fronte a me per l’eventuale bis.Mangiavo la fetta di ananas, ma i miei sensi non apprezzavano la
dolcezza ed il sapore del frutto, perché gli ormoni primordiali, sempre quelli, erano di nuovo in
agitazione e mi distraevano.Mi facevano notare il fisico della ragazza. Non era prorompente come
quello di Anna. Era di una bellezza tranquilla, senza super misure.
Gli occhi della ragazza erano di un blu intenso ed il nasino era minuto e proporzionato.
Mi resi conto che, forse, non erano proprio primordiali gli ormoni, che mi distraevano, per tale
motivo riuscii a tranquillizzarli facilmente.
<Ne vuoi un‘altra fetta ?> domandai a Goffredo
Lui rifiutò e mi salutò
<Ci vediamo dopo pranzo > risposi
Goffredo si fece largo fra il gruppo dei ragazzi del villaggetto schierati sul confine e mi salutò
agitando la mano.
Io sarei andato alla gran kermesse del pranzo dei villeggianti, chissà cosa avrebbero mangiato
Goffredo e gli altri abitanti del villaggetto
Mi recai al bar, perché non era ancora l’ora del pranzo ed il ristorante era chiuso.Mi accolse il
sorriso più che smagliante di Adamo, il mio barista ivoriano preferito.
Tiziana e Lorenzo mi salutarono mentre stavano sorseggiando un aperitivo
<Ciao Adamo, ci vediamo di nuovo. Mi prepari il solito aperitivo >
Adamo era in difficoltà, perché si ricordava la mia faccia, ma non si ricordava assolutamente che
cosa era il solito.
< Succo di frutta con uno schizzo di Koutoukou > dissi comprendendo il suo imbarazzo
<Che cos’è il Koutoukou ?> chiese Lorenzo
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<Il “Koutoukou” è la grappa distillata dalle sostanze zuccherine della palma ed è prodotto, in
distillerie abusive, da clandestini provenienti dal Ghana.La situazione è molto strana, gli ivoriani
sono a conoscenza dell’esistenza di queste distillerie disseminate lungo la laguna, ma non fanno
assolutamente niente per mettere fine a questa industria non autorizzata.Il koutoukou è ottimo e solo
i ghanesi conoscono il metodo di distillazione >
<Molto interessante; la distillazione è a livello industriale?> replicò Lorenzo
<Assolutamente no.In una delle mie vacanze precedenti sono stato a visitare una distilleria.Mentre
la barca si stava avvicinando alla riva della laguna dalla parte opposta dell’oceano, non riuscivo a
scorgere niente, che lasciasse presupporre la presenza della distilleria.Una volta a terra, percorso un
breve tratto di un viottolo nel mezzo della vegetazione, sono arrivato in una piccola radura dove
c’era una capanna di paglia.Mi guardavo intorno cercando di capire. Vicino alla laguna vidi il
distillatore: era un bidone, da prodotti petroliferi, posto su un braciere.Un ghanese alimentava il
fuoco con del legno raccolto nella foresta e controllava il distillato.Dalla testa del bidone dipartiva
un piccolo tubo in metallo, che si immergeva nelle acque della laguna da dove riemergeva
dirigendosi verso il posto di raccolta del distillato.Utilizzano le acque della laguna per raffreddare e
condensare i vapori di alcol etilico.> Precisai e proseguii:
<Chiesi all’uomo, che sembrava il direttore della distilleria, come riuscivano ad impedire la
distillazione del tossico alcol metilico, che sapevo essere il principale inconveniente per chi distilla
alcol etilico.Ma il mio scarso livello di conoscenza del francese, insieme a quello ancor più scarso
del mio interlocutore, crearono notevoli difficoltà per la risposta. Mi condussero nella foresta di
palme dove raccolgono la loro materia prima.Con l’agilità di un gatto, uno di loro arrivò alla
sommità della palma dove prese un liquido zuccherino, che assaggiai mal volentieri, tenuto conto
della pulizia del recipiente che lo conteneva.Assaggiai con più gusto il koutoukou, che mi offriva un
altro ghanese. Ne comprai, infatti, con pochi CFA, un litro contenuto in una bottiglia di acqua
minerale di plastica.Quel koutoukou, fece una brutta fine: finì disperso nella mia valigia, durante il
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viaggio di ritorno, dopo che si era rotta la bottiglia.Qualche volta indosso ancora un paio di
pantaloni, che emettono odore di koutoukou.>
Lorenzo e Tiziana sorrisero, bevendo i loro aperitivi
Un nutrito gruppo di animatori era intorno alla piscina, ballavano e cantavano la sigla del villaggio.
<Buon appetito > urlarono in coro.
Fui accolto da una frotta di belle ragazze, le hostess, vestite tutte uguali con un bubu confezionato
con stoffa ivoriana. Il tessuto era lucido, tipo seta, di colore nero e vi erano ricamati, in oro, varie
immagini di animali. Dal gruppo uscì la ragazza incontrata in spiaggia con l’ananas.
<Buongiorno.Quanti posti?>
Mi guardai, ironicamente, dietro e feci cenno che non c’era nessuno.
<Sono solo >
<Mi segua > replicò la ragazza
<Ancora del”Lei” >.Decisi che non avrei più reagito.
La ragazza si inoltrava nella sala lungo i tavoli.
<Venga a questo tavolo> urlarono dal fondo della sala i gemelli.
L’hostess si volse verso di me per avere un gesto di approvazione e così eccomi di nuovo seduto
vicino ai gemelli e a Tiziana e Lorenzo.Mi sedetti ed in silenzio guardai ciò che c’era sul tavolo: era
ricolmo di dolci di ogni tipo.
<Perché tutti questi dolci?> chiesi
<Sono i primi ad esaurirsi e non vogliamo rimanere senza > rispose Lorenzo, mentre stava
mangiando un enorme piatto di pasta al forno.Con tutto quel ben di Dio che c’era al buffet, i miei
compagni avevano paura di non mangiare un poco di dolce, che assurdità!I clienti dei villaggi
turistici hanno la sindrome del tutto compreso. Hanno già pagato e si sentono defraudati, se non
mangiano di tutto e di più. I loro piatti sono sempre pieni all’inverosimile e, spesso, assaggiano
soltanto, lasciando il resto. I dolci, presi prima degli antipasti, spesso rimangono nei piatti perché le
porzioni sono esagerate. Mi chiedevo, frequentemente, dove finivano gli avanzi sia dei tavoli sia
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del buffet, considerando, poi, che a cento metri c’erano gli abitanti del villaggetto, che
sopravvivevano mangiando pesce affumicato.
Vidi i due gemelli tornare verso il tavolo con in mano un piatto stracolmo di spaghetti aglio, olio e
peperoncino.
Anch’io mi diressi verso il buffet: era come un mercato, gli animatori erano pronti a servire ed
urlavano pubblicizzando il cibo presente nella loro zona di competenza.
< Spaghetti, aglio, olio e peperoncino saltati in padella> urlò un ivoriano in un italiano non proprio
perfetto. Avvicinandomi, vidi un’enorme fila di turisti in attesa di essere serviti. Il cuoco stava
manovrando con attenzione una padella ricolma di spaghetti, che sembravano veramente appetitosi.
Il fornello emetteva un calore infernale, l’ivoriano stava sudando incredibilmente, però aveva
l’aspetto soddisfatto perché i clienti erano quasi tutti per lui.
L’uomo si comportava come un vero cuoco professionista a dimostrazione che aveva perfettamente
appreso il mestiere, che gli aveva insegnato un cuoco italiano.
Continuai a girovagare per il buffet, senza avere il piatto in mano come facevano gli altri.
<Ehi dottore ! > mi salutò il cuoco ivoriano addetto alla griglia.
In un primo momento, non lo riconobbi, poi misi a fuoco i miei ricordi: lo scorso anno, il cuoco
aveva un ascesso ad un dente e la faccia deformata da un enorme gonfiore.Il poveretto soffriva
molto ed io, con un atteggiamento professionale, gli detti degli antibiotici, raccomandandogli di
prendere una compressa la mattina ed una la sera per almeno quattro giorni. L’ivoriano, mi aveva
creduto un dottore ed io non lo smentii, per le mie note difficoltà con la lingua.La gratitudine
verso il “dottore” fu enorme, soprattutto, il giorno dopo quando il gonfiore cominciò a diminuire di
volume.
Salutai il cuoco, che mi ringraziò ancora per quegli antibiotici.
Tornato al tavolo, con della carne alla griglia e del purè di patate, non vi trovai più nessuno.
Gli altri erano già al bar, a bere il caffè ed a seguire lo spettacolo della “chitarrata”, una specie di
cabaret, dopo aver lasciato abbondanti tracce del loro pasto: avanzi dei dolci e di tutto ciò era stato
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solo assaggiato.Mangiai con gusto anche un bel piatto di frutta equatoriale composto di ananas,
papaia e dal frutto della passione.Dopo una razione di dolce, molto ridotta per non aumentare le mie
maniglie dell’amore, anch’io m’incamminai verso il bar, dove bevvi un caffè espresso piuttosto
cattivo, ma di gusto passabile considerato il posto in cui ero.
I turisti, insieme con gli animatori, erano in teatro e stavano cantando a squarciagola una canzone
piuttosto osé, intitolata “Frustami”.Lasciai la compagnia e mi recai in camera, perché ero stanco e
poi dovevo sistemare ancora la valigia.
Entrando nella stanza, percepii una sgradevole sensazione di freddo.Spensi immediatamente il
condizionatore, che era stato regolato al massimo.Aprendo la finestra per riscaldare l’ambiente,
notai che c’era un po’ di agitazione in spiaggia.
All’improvviso ecco un fastidioso suono di sirena.
Vidi due bagnini ivoriani che correvano, in modo incredibile, verso l’acqua.Uno di loro aveva in
mano un salvagente ed urlava frasi incomprensibili.Conclusi che doveva esserci un turista in
difficoltà con le correnti dell’oceano.Chiudendo la finestra ricordai la mia esperienza,
particolarmente traumatizzante, con i flutti dell’Atlantico.
Sistemai nell’armadio i pochi vestiti di ricambio, mentre lasciai nella valigia i regali per Goffredo,
per i bambini della scuola e dell’orfanotrofio.Accesi il cellulare, che avevo rinvenuto nel bagaglio
a mano, per verificare se potevo utilizzarlo. Dopo qualche tempo sul display apparve una sigla
strana con l’indicazione di campo a livello massimo.Il telefono iniziò vibrare in continuazione.Stava
ricevendo i messaggi di quasi due giorni.
Lessi i messaggi cancellandoli velocemente. Non c’era niente di nuovo: le borse stavano
inesorabilmente sprofondando.
Mi distesi sul letto e mi addormentai immediatamente.
Svegliandomi dopo circa due ore, mi ritrovai completamente bagnato dal sudore e la camera era
come un forno.Feci l’ennesima doccia e prima di uscire regolai al minimo l’aria condizionata.
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Quando arrivai nella zona della piscina, fui chiamato da Tiziana che era seduta in una sedia a sdraio
all’ombra di una palma, in compagnia del marito e dei gemelli.
<Venga a sedere qui da noi > disse con voce suadente.
<Ho bisogno di buon caffè > dissi sprofondandomi nella poltrona
<Vado a prenderlo io > disse alla mia destra Giovanni
<Vengo anch’io > replicò Alfredo dalla sinistra.
I due gemelli si avviarono verso il bar.
<Ha saputo che cosa è successo subito dopo pranzo ? > mi chiese Lorenzo
Risposi di no, anche se presupponevo che si trattasse dell’intervento dei bagnini.
<Un turista stava per affogare.Lo hanno salvato i bagnini > disse
<Fare il bagno nell’oceano è molto divertente, perché le ondate ti colpiscono con violenza e ti
spostano.Dobbiamo essere prudenti perché la forza dell’ondata è incredibile ed è seguita da una
fortissima corrente che ti trascina verso il largo.In una delle mie prime vacanze in questo villaggio
mi capitò un’avventura che sicuramente non si ripeterà, > dichiarai con fermezza e proseguii:
<Mi gettai nell’oceano ignorando i fischi ed i richiami dei bagnini ivoriani.Ero capitato in un punto
della costa, dove la corrente era particolarmente forte e non riuscivo a tornare verso riva.Stavo
arrancando, avevo il respiro affannato ed avevo una paura tremenda.Non volevo chiedere aiuto,
volevo cavarmela da solo e poi pensavo alla brutta figura di fronte agli altri turisti.Il bagnino di
vedetta intuì le mie difficoltà e dette l’allarme con la sirena.Vidi arrivare due bagnini, che con un
balzo mi raggiunsero.Due forti mani mi presero e mi sollevarono con un’irrisoria facilità
adagiandomi sul salvagente. I due non mi rivolsero nemmeno una parola, ma il loro comportamento
mi tranquillizzò.Nuotarono e spinsero il salvagente, con me sopra, verso il largo.Non capivo cosa
stessero facendo e non potevo chiederglielo.Dopo essere arrivati a circa cento metri dalla spiaggia,
cambiarono direzione nuotando parallelamente alla costa.Si fermarono e sembrava che aspettassero
qualcosa: vidi formarsi un’enorme onda e i due bagnini iniziarono a nuotare in modo furioso verso
riva. L’onda ci prese in “collo”, i bagnini smisero di nuotare, e facendo surf, arrivammo sulla
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spiaggia in un battibaleno.Quando posai i piedi sulla spiaggia ebbi un momento di incertezza, i
muscoli delle gambe erano saturi di acido lattico.Mi ripresi velocemente e mi dileguai fra la piccola
folla di turisti curiosi >
<Ma allora io non faccio il bagno > disse Alfredo porgendomi il caffè ormai freddo.
Tutti sorrisero.
<Buon pomeriggio.Qui a Les Paletuviers sono le sedici di un pomeriggio infuocato. Vi ricordo il
programma di animazione della serata > gracchiò l’altoparlante.
<Tra poco inizierà il torneo di bocce in spiaggia.Alle diciassette, presso il campo centrale di Les
Paletuviers, si terrà il primo torneo di tennis doppio giallo.Alle diciotto, lezione di merengue in
spiaggia tenuta dalla nostra coreografa >
<Che facciamo? > Chiesero in coro i gemelli.
Non avevo nessuna voglia di muovermi da quella poltrona all’ombra.
Arrivò un’hostess, vestita (o svestita) come il solito, e si diresse verso i due gemelli.Li afferrò per
mano e li trascinò verso la spiaggia al torneo di bocce. Alfredo e Giovanni seguirono imbarazzati la
ragazza.
Forse, non hanno mai visto una ragazza bella come quella e poi li ha presi per mano!riflettei.
M’immaginai i loro ormoni che si stavano agitando.
Vidi un’altra hostess che si stava dirigendo verso il nostro tavolo.
<Venite al torneo di bocce > disse con voce fresca e giovanile.
Si alzò soltanto Lorenzo che abbracciò in modo caloroso la ragazza e la trascinò verso la spiaggia.
Osservai la reazione di Tiziana che, come se nulla fosse, mi chiese
<Andiamo al tiro con l’arco? >
Il poligono del tiro con l’arco era dall’altra parte del villaggio, nelle vicinanze della discoteca.
Camminammo lungo un vialetto pavimentato con delle enormi pietre squadrate e circondato da una
varietà incredibile di piante e fiori.
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Tiziana si fermò ad osservare un bellissimo ibiscus con i fiori di colore rosa. All’improvviso fece un
balzo verso di me.
<C’è un’enorme lucertola > disse impaurita.
Sorrisi e la tranquillizzai.
<Quei lucertoloni si chiamano Marguia e vivono numerosi in questa zona d’Africa.Non sono
pericolosi, anzi sono utili, perché si nutrono di mosche e zanzare.Il maschio è un po’ più grosso ed
ha colori sgargianti, mentre la femmina è di colore neutro, sul marrone.Ecco là un maschio > dissi
indicando un marguia che stava sopra una statua d’ebano posta al lato del vialetto.
<Cosa sta facendo? Perché si muove in quel modo? >
<Sta facendo le flessioni > risposi sorridendo
Il marguia stava piegando ritmicamente le zampe anteriori muovendo anche la testa.
<Sta corteggiando e si sta facendo bello agli occhi di quella femmina > continuai indicando un’altra
lucertola
I due lucertoloni si allontanarono velocemente, continuando le loro peripezie amorose.
Riprendemmo il cammino e, dopo aver familiarizzato, Tiziana mi confidò il suo segreto: era venuta
in quel villaggio per un motivo ben preciso.Durante le vacanze estive, in un villaggio in Sicilia,
aveva conosciuto un animatore e se n’era invaghita.Il bellissimo ragazzo, come lei lo definì, adesso
era maestro d’arco, proprio, in questo villaggio.
Mi chiese aiuto, perché voleva vivere, in modo completo dichiarò tranquillamente, la sua storia con
il suo animatore e non voleva che il marito se n’accorgesse.Mi resi disponibile all’aiuto, anche se
non sapevo come.
Ecco laggiù i paglioni con i bersagli e sotto la tettoia c’era una fila di turisti che tiravano con
l’arco.Due fischi acuti del maestro diedero il via al recupero frecce.
Il maestro era un bell’uomo, non più giovanissimo, che, però, emanava uno strano fascino. Tiziana
si mise ad ammirare il suo splendido animatore.
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Non sapendo cosa fare, chiesi di poter fare qualche volèe. I punteggi dei miei tiri furono molto
scarsi, poiché ero distratto dalla scena, che si svolgeva dietro di me. Tiziana era radiosa e sprizzava
energia da tutto il corpo, stava parlando con il maestro con intensa partecipazione. L’animatore
percepiva l’ammirazione di Tiziana e gonfiava il petto, gesticolando e parlando con sicurezza.
Lasciai l’arco e riposi le frecce, passando nelle vicinanze della coppia, salutai Tiziana
annunciandole che sarei andato in spiaggia. Lei rispose appena con un cenno della testa e continuò
le sue civetterie amorose.Come i due marguia di poco fa, notai.Però con le parti invertite: era una
femmina a fare le flessioni.
Quando arrivai alla piscina fui salutato dal magnifico sorriso di Adamo. Quando quei denti
apparivano, e ciò accadeva spesso perché Adamo sorrideva in continuazione, dimostravano una
salute incredibile ed il loro bianco brillante era quasi innaturale. Vidi Anna seduta vicino alla
piscina, ma non riuscivo a vedere il suo interlocutore che si trovava dietro il tronco di una palma.
Lei stava parlando animatamente e stava facendo, con molto impegno, “le flessioni” per il suo
compagno. La scena mi rese ancor più depresso, mi sentivo fuori posto e soprattutto di un’altra
generazione.Ho sempre pensato che dovrebbero essere gli uomini a corteggiare le donne, come
fanno i marguia.Mi piace conquistare le donne con quel gioco sottile, dove la ragazza, deve fingere
di non essere interessata, e l’uomo deve far di tutto per farla innamorare.
<Ehi, vacanzieri sono le diciotto, venite in spiaggia a ballare con noi > l’altoparlante interruppe i
soliti depressi pensieri sulla mia età.
Avvicinandomi alla spiaggia vidi un gruppo di clienti che si muovevano, non proprio all’unisono, a
ritmo di merengue diretti da un’animatrice. I ballerini, mentre si sforzavano di seguire i passi della
coreografa, non si rendevano conto di rappresentare uno spettacolo seguito da un pubblico
internazionale.
Lungo la battigia c’era la gente del villaggetto con un numeroso gruppo di bambini.Il pubblico
ivoriano osservava e sorrideva divertito, alcuni di loro cercavano di ripetere i passi di merengue,
mentre altri imitavano le buffe movenze dei turisti.
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Osservai, da lontano, la scena che era veramente comica ed anche un po’ assurda..
In una splendida spiaggia equatoriale a poche centinaia di metri da un villaggio di pescatori, alcuni
turisti ballavano un ballo originario di un’isola caraibica lontana mille miglia.Alcuni di loro si
muovevano in modo completamente scoordinato, senza nessuna possibilità di miglioramento,
mentre, solo dopo poche prove, gli ivoriani riuscivano a muoversi in modo quasi perfetto.
Mi voltai verso la piscina e vidi Anna che se ne stava andando con il suo interlocutore.Avevo
pensato che fosse il caposport invece mi ero sbagliato, perché questo aveva i capelli.
I gemelli stavano tornando dalla spiaggia. . Il loro aspetto aveva qualcosa di diverso. Non riuscivo a
mettere a fuoco. Si erano tolti i calzini ed il cappello, ma c’era qualcosa di diverso anche nel modo
di muoversi..
Mi salutarono con entusiasmo
<Diamoci del tu > dissi loro
Non mi ascoltarono nemmeno, avevano una gran voglia di raccontare la loro avventura ed
esclamarono:
<Abbiamo partecipato al torneo di bocce>
<Ok, andiamo a sederci a quel tavolo > dissi
<Abbiamo vinto il torneo.Ecco le medaglie.Un’animatrice ci ha baciato.Ha detto che siamo carini,
consigliando di far vedere di più i nostri occhi.Per questo, abbiamo tolto i cappelli >
<Ed i calzini? > domandai
Ancora una volta non mi risposero ed iniziarono a descrivere la ragazza che li aveva baciati.
I due erano entusiasti e stavano volando al settimo cielo.Il cambiamento di Alfredo e Giovanni, era
incredibile. Il bacio di una donna, a volte, può fare, anche, dei miracoli.Provai a spiegare loro che
l’animatrice li aveva baciati per amicizia, ma fu tutto inutile, loro non mi ascoltavano.Si alzarono,
affermando che sarebbero andati a raccogliere dei fiori ed a comprare un regalo per il loro amore.
Non rimasi solo a lungo, perché Lorenzo occupò il posto dei gemelli.
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<Ciao Paolo. Facciamo due chiacchiere? > disse sedendosi < Sei da solo al villaggio vero?> chiese
ammiccando
<Viaggio spesso da solo > risposi
< Nell’equipe di animazione ci sono molte belle ragazze.Quella ragazza, che mi ha invitato prima al
torneo di bocce, si chiama Angela ed ha ventitré anni. E’ bellissima e il suo fisico è perfetto. Mentre
giocavamo a bocce, mi sono visto e goduto lo spettacolo. Quando si chinava, per raccogliere le
bocce, evidenziava ancor di più le sue forme, specialmente il sedere > disse
Annuivo con lievi movimenti della testa e rimanevo in silenzio.
<Mi piacerebbe farmela > dichiarò senza vergogna, e aggiunse
<Ci proverò, sperando che mia moglie non rompa >
Chissà perché tutti si confidavano con me.Forse ispiravo fiducia per i miei capelli bianchi, e ciò non
mi piaceva assolutamente, o forse perché mi vedevano come una guida delle loro vacanze.
<A me piace la coreografa > dissi adeguandomi, malvolentieri, al suo discorso.
Tiziana di ritorno dal poligono dell’arco, si avvicinò e rivolgendosi al marito disse
<Andiamo a fare la doccia? >
Mi lasciarono, finalmente, da solo.Feci un cenno a Adamo, per avere un aperitivo.Il barista non
avrebbe potuto lasciare il bar per servirmi al tavolo, però il ricordo dei miei regali degli scorsi anni,
lo spinse a servirmi una meravigliosa “pina colada” a base di koutoukou.Sorseggiando il drink,
forse un po’ troppo alcolico, rivolsi la mia attenzione verso spiaggia.
Il sole stava perdendo quota, dando inizio al meraviglioso spettacolo del tramonto ivoriano.
Sull’oceano, all’orizzonte, c’era una zona di cielo un po’ più scura dove il sole, di lì a poco, si
sarebbe tuffato. Era una fascia composta, prevalentemente, da umidità e quando il sole l’attraversò
perse parte della sua forza e apparve con i contorni netti, simile ad una palla di fuoco. Man mano
che il sole tramontava il cielo e l’enorme palla si coloravano sempre di più di rosso.
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Solo pochi turisti erano in spiaggia, mentre molti bambini ivoriani stavano giocando nelle vicinanze
del confine del villaggio. Lo spettacolo era bellissimo: le sagome nere dei bambini si stagliavano su
uno sfondo rossastro.
Il sole era quasi completamente scomparso quando una ragazza si mise a sedere sulla poltrona dove,
prima, era seduto Lorenzo.Mi resi conto che era difficile rimanere solo in quel villaggio.
<Ciao.? Ti stai divertendo ? > mi chiese, era l’hostess dell’ananas.
Risposi di sì, rilevando che si era ricordata di darmi del tu.Era la responsabile delle hostess, si
chiamava Alessandra, aveva venticinque anni ed era originaria di Livorno. Frequentava l’ultimo
anno di scienze politiche all’università di Perugia.Considerava il lavoro nel villaggio, come delle
vacanze da passare in un modo diverso. Aveva notato un ospite solitario e il suo compito era di
instaurare un contatto, magari superficiale, per non farlo sentire solo.
Vidi arrivare i gemelli, che si erano già agghindati per la serata e mi resi conto che l’impressione di
un loro cambiamento, almeno nel modo di vestirsi, era sbagliata.Salutai la capo hostess e
velocemente andai a cambiarmi per la cena.
Quando arrivai al ristorante, in tenuta alquanto sobria, rispetto all’eleganza degli altri, fui accolto da
Alessandra che, dandomi un bacio sulla guancia, mi accompagnò al tavolo dove erano i miei soliti
compagni.
Stavo valutando le reazioni dei miei ormoni al bacio di Alessandra ed ecco che Tiziana mi accolse
dicendomi:
< Sei veramente elegante ed affascinante >
Contraccambiai il complimento, ma non le prestai molta attenzione.Stranamente avevo poca voglia
di parlare. La cena fu un po’ più tranquilla, rispetto al pranzo.Mangiai in silenzio, senza eccedere,
sempre pensando alle mie maniglie.Tenevano banco i gemelli con la loro medaglia al torneo di
bocce e Tiziana e Lorenzo che discutevano sulle escursioni da fare.Lasciai il tavolo dicendo che
non stavo bene e mi diressi al bar.Il caffè mi sembrò ancor più cattivo, improvvisamente avevo
cambiato umore senza una ragione ben precisa.
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Lo spettacolo serale, proposto dall’animazione, prevedeva un cabaret.Il teatro era stracolmo ed il
pubblico era seduto su delle panche particolarmente scomode. Ero alla ricerca di un posto piuttosto
defilato, vidi un piccolo spazio nelle vicinanze del palco e mi c’infilai. Il cabaret non mi piaceva,
perché conoscevo già le battute, che avevo ascoltato nelle mie precedenti vacanze in altri villaggi.
Mi allontanai verso la zona piscina, dove trovai la mia poltrona preferita in cui sprofondai.
Ero stanchissimo, la giornata era stata molto intensa e mi rilassai.Dopo pochi minuti, dormivo
profondamente e rumorosamente.Quando mi svegliai, vidi Lorenzo e Tiziana seduti in alcune
poltrone poco lontane.
< Non riuscirei a dormire se fossi nel tuo stesso letto > disse, sorridendo, Tiziana
Sorrisi, imbarazzato, senza aprire bocca. Non avevo voglia di replicare e poi non c’era niente da
dire.Anche se non mi piaceva, dovevo riconoscere, che stavo russando.
La maggior parte degli ospiti si stava avviando in camera, mentre i più giovani ed i single andavano
in discoteca.
Non più giovane ma single, anch’io mi dirigevo verso la discoteca, percorrendo quel vialetto, già
percorso la notte prima con Anna.Il mio stato d’animo non era dei migliori, non sapevo perché, ma
avevo voglia solo di andare a dormire. Però i miei ormoni mi spingevano e non potevo non andare a
divertirmi, anche se non mi piaceva ballare e non sopportavo la musica ad alto volume. La pista era
affollatissima, gli animatori e gli ospiti si stavano muovendo forsennatamente.Le loro movenze
erano quasi professionali.Notai la differenza rispetto al merengue in spiaggia. Vidi Tiziana che
stava ballando con il suo maestro d’arco, mentre Lorenzo era al bar a parlare allegramente con
Angela, la giocatrice di bocce.
Ricercai invano Anna. Forse aveva superato la fase delle “flessioni”, ma con chi ?
Ebbi pietà per l’hostess, in servizio alla vendita delle palline per le consumazioni, che era seduta
nelle vicinanze del bar.
Alla sua destra c’era Alfredo, mentre Giovanni era a sinistra e stavano parlando come il solito
insieme. I gemelli si erano invaghiti di lei e sicuramente, durante la serata, si pentirà amaramente di
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aver dato quel bacio alla premiazione, considerando che dovrà rimanere seduta a quel tavolo fino
alla chiusura della discoteca, attorniata dai due ammiratori
M’incamminai verso la spiaggia lasciandomi alle spalle quel folto gruppo di persone che, tutte, in
vario modo, stavano facendo le “flessioni “.Sobbalzai perché dal buio uscì una nera figura.Era la
guardia di servizio che mi salutò. I granchi erano numerosissimi e quando mi avvicinavo
fuggivano.Erano migliaia e si agitavano in continuazione.Osservando la spiaggia, sembrava che la
superficie si muovesse.Un esemplare enorme non fuggì e rimase nelle vicinanze della sua tana. Mi
guardava con i suoi occhi telescopici ed io mi fermai ad osservarlo. Chissà come farà le flessioni ?
Dopo quest’assurdo e ridicolo interrogativo, frutto forse della mia stanchezza, decisi che forse era
meglio andare a letto. Mi avviai verso la camera, non immaginandomi nemmeno che la mia nottata
non era ancora finita e che di lì a poco sarei venuto a conoscenza di un fatto che mi avrebbe
stupito.
Incontrai Tiziana e Lorenzo, stranamente senza i loro rispettivi compari, e cosa ancor più strana:
erano abbracciati.
< Buonanotte e sogni d’oro.La giornata è stata fruttuosa > chiesi ironicamente
<Il posto è splendido e ci stiamo divertendo molto > disse Tiziana
<E’ un magnifico luogo per passare questa nostra luna di miele > continuò Lorenzo
Entrambi, preoccupati dei loro segreti, mi lanciarono uno sguardo, implorando il silenzio.
La notizia mi disturbò.Mi sarebbe piaciuto vedere l’espressione della mia faccia, che,
fortunatamente, loro non videro, perché era buio.
<Auguri e figli maschi > fu l’unica cosa che riuscii a dire quando mi ripresi dalla sorpresa.
Sdraiato sul letto pensavo alle cose assurde che mi stavano accadendo durante la vacanza.
Ieri, Anna che mi fece pipì davanti, oggi, questi due alla ricerca di avventure sessuali durante il loro
viaggio di nozze.
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Chissà come Tiziana e Lorenzo giustificheranno il loro modo di agire. Forse neanche ci pensano,
ritenendosi nel giusto. Il loro comportamento era tranquillo e sicuro, come se fosse normale, in
viaggio di nozze, andare in cerca di avventure sessuali.
La sensazione di essere di altra generazione, mi ritornava con forza. Il mio matrimonio ha avuto una
breve vita ed appena mi sono reso conto che era fallito, ho fatto chiarezza.
Mi addormentai pensando all’unica cosa bella del mio matrimonio: mio figlio.
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Capitolo terzo
Il villaggetto-
Erano da poco passate le otto del mattino ed ero già in piedi: l’entusiasmo era ritornato.
Decisi che avrei passato la giornata al villaggetto, lasciando ai turisti la vita di villaggio.
La mia colazione fu molto tranquilla e solitaria, fino al momento in cui arrivò Alessandra, la capo
hostess, che sedendosi disse:
< Ciao Buongiorno. Disturbo ?>
Forse il mio comportamento da lupo solitario la incuriosiva e la intimoriva allo stesso tempo.
<Siediti > risposi sorridendo.
<Sei solo qui al villaggio. Vero?>
Risposi con un sì appena farfugliato.
Ecco di nuovo la solita domanda. Possibile che un single non possa andare in vacanza da solo,
senza sentirsi chiedere se è in compagnia o no. Forse dipende dal fatto che sono in un villaggio
turistico dove, secondo la credenza comune, è tutto compreso anche l’avventura sessuale, pensai.
Osservai la donna cercando di capire, perché mi poneva quella domanda. Non c’era malizia ed era
calma e tranquilla. I miei ormoni mi facevano notare, che, forse, le potevo interessare come uomo.
Scartai subito tale ipotesi, io ero troppo vecchio e lei era troppo bella.
<Avrei da chiederti un favore. Al villaggio c’è una bella signora.Da quando è arrivata, è sempre
sola e non si è integrata nella vita di villaggio.L’ho conosciuta appena scesa dalla pinasse e da allora
mi segue tutto il giorno come un’ombra. Io ho da lavorare e non posso farle compagnia.Mi fa una
gran pena, perché la sua storia è triste e, frequentemente, ha gli occhi lucidi.Sarebbe bello, se tu le
facessi da cicerone > disse Alessandra
<Se è veramente bella come dici, farò questo sacrificio, > risposi e proseguii
<oggi, però, vado al villaggetto, me la presenterai stasera in discoteca >
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Alessandra era fiera di se stessa, perché pensava di aver risolto in modo geniale la storia del lupo
solitario e della signora piangente. Mi salutò e tornò al suo lavoro.
Gli ormoni erano già sul chi vive e provavano ad immaginare la bella signora sola.
Dopo aver messo i regali per Goffredo nel mio zainetto che si chiudeva a stento, m’incamminai
per la strada che portava al villaggetto: era in terra rossa e si snodava sul retro del villaggio fra alte
palme. Ogni volta che percorrevo quella strada polverosa, ricordavo la raccomandazione che mi
fece Goffredo durante uno dei miei primi viaggi: non andare a piedi nudi su questa strada, ci sono
dei vermi nascosti nella polvere che potrebbero penetrarti nei tessuti del piede e dar atto a delle
infezioni fastidiose.
Arrivai alla sbarra di confine, dove fui accolto dalla guardia. Firmai il registro di uscita ed eccomi
fuori del paese dei balocchi e dentro in un mondo più reale.Vidi Goffredo, che mi veniva incontro
con le ampie falcate di un uomo alto circa un metro e novanta.
< Nel pomeriggio voglio organizzare una festa alla scuola con i bambini del villaggio.>gli dissi,
dopo averlo salutato
<Oggi è la vigilia di Natale e i bambini sono in vacanza.> rispose
<OK. Andiamo a scuola a parlare con il preside> replicai, avviandomi verso i negozi.
Camminavamo nel centro della polverosa strada ed ai lati vi erano alcune capanne trasformate in
negozi di mercato.
Tutti i commercianti mi salutavano con calore, si ricordavano dei buoni affari che avevano fatto con
o tramite, me.Avevo fatto affari con tutti, scambiando le mie magliette, le scarpe, gli orologi, gli
occhiali con le loro merci. Loro erano attratti dalle cose occidentali soprattutto da quelle di marca,
che scambiavo con i loro oggetti come maschere intagliate in ebano, pantaloni e casacche
confezionati in stoffa ivoriana, batik ecc.Spesso, io stesso facevo il lavoro di Goffredo,
accompagnavo i turisti al villaggetto proponendomi come guida e tranquillizzandoli. La voce si
spargeva velocemente nel villaggio e verso fine della settimana, grazie a me, molti turisti facevano
acquisti dai negozianti ivoriani.
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Arrivando davanti al negozio di “Gianni Agnelli Nero “ cercai il mio amico dei sandali. Negli
ultimi anni, gli avevo sempre lasciato i sandali al momento della mia partenza. Al mio arrivo mi
correva incontro, sorridendo con i pochi denti rimasti ed indossando ciò che restava dei sandali
dell’anno precedente.
<Gianni Agnelli nero è morto di aids la scorsa estate > disse Goffredo
La notizia mi turbò. Mi ero dimenticato, che in questa zona d’Africa equatoriale l’aids è molto
diffusa e la libertà sessuale degli ivoriani contribuisce notevolmente al contagio. I sieropositivi sono
numerosissimi e le statistiche riportano dati come un ammalato ogni quattro abitanti.
<Ehi Paolo. Capo di villaggio > Urlò un ivoriano dall’interno di un negozio.
<Ciao Karim > risposi andandogli incontro
Il negozio di Karim era una sartoria, chiamata “ la belle Epoque”.C’erano tre sarti intenti a lavorare
su delle macchine per cucire e le pareti erano completamente ricoperte di pezzi di stoffa africana.
L’insieme di colori e della fantasia rendevano lo spettacolo veramente unico. L’unico prezzo da
pagare per vedere tale spettacolo era l’elevata temperatura che vi era all’interno. Strinsi la mano al
mio amico sarto, che mi salutò nella sua lingua, un misto fra il francese e l’italiano. Lui era uno dei
pochi commercianti del villaggetto, che non parlava l’italiano. Non n’aveva bisogno, perché era il
proprietario di diversi negozi, dove i suoi numerosi figli, che parlavano perfettamente italiano,
lavoravano. Come tutti gli anni precedenti, estrasse dal portafoglio il certificato del figlio nato
nell’anno appena trascorso.
<Quanti figli hai? >
Lui non capì, ma, aiutato da Goffredo, mi rispose
<Diciassette, compreso l’ultimo nato un mese fa>
Dicendo delle frasi, per me incomprensibili, m’indicò due donne sedute in un angolo del negozio.
<Ti sta presentando la sua prima e la sua seconda moglie> disse Goffredo
Erano due enormi matrone, che, data la loro mole, si muovevano faticosamente.
<Qual è la mamma del tuo ultimo figlio?>
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<E’ a casa con il bambino >tradusse Goffredo e, sorridendo, aggiunse.<E’ più giovane e più
magra>
Salutai Karim e mi diressi verso la scuola del villaggio.
Dopo aver lasciato la parte turistico-commerciale del villaggetto, ci addentrammo in un dedalo di
viuzze circondate da baracche. Attraversammo una zona dove i turisti si avventurano raramente e
sbucammo nella radura della scuola.Le aule, ricavate da edifici in muratura, sembravano dei pollai
perché le finestre erano costruite senza infissi a mo’ di colombaia.
<Andiamo dal preside > disse Goffredo indicando una casa poco lontana.
Vidi una figura imponente uscire dalla baracca con in braccio un bambino di pochi mesi.
<Bonjour Monsieur > salutò riconoscendomi.
Il preside non parlava l’italiano, così Goffredo fece da interprete.Gli comunicai la mia intenzione di
organizzare una festa di Natale nelle aule della scuola, da tenersi quello stesso pomeriggio.
Gli diedi, anche, venti scatole di matite e dei blocchi di carta da disegno., da dare ad alcuni bambini,
che avrebbero dovuto fare un disegno a loro piacere.Gli chiesi, inoltre, di invitare bambini del
villaggio alla festa, durante la quale gli autori dei migliori disegni sarebbero stati premiati e vi
sarebbero stati regali e biscotti per tutti gli altri.
Il preside era entusiasta della mia idea e mi comunicò che non ci sarebbero stati dei problemi.
Lo salutai e dissi a Goffredo che dovevamo comprare dei dolci e delle caramelle per la festa.
<C’è un supermercato in zona? > chiesi
<L’unico grande negozio è a Bounuà, una cittadina a venti chilometri da qui> rispose
<Possiamo noleggiare un’auto >
<Ci vorranno circa trentamila CFA > mi fece presente
<Ok. Dov’è questa auto? > dissi con tono deciso
L’auto apparteneva a Karim e l’autista era uno dei suoi figli. Era difficile trovare qualcosa al
villaggetto, il cui proprietario non fosse il mio amico sarto. L’auto era una vecchissima Peugeot
familiare, il motore era rumoroso ed ogni tanto emetteva delle piccole nuvole nerastre. L’autista
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guidava in modo prudente e silenzioso, lungo la strada costeggiata di immense piantagioni di
banane e di ananas.
<Mi piacerebbe andare a visitare una piantagione di ananas >Pensai a voce alta.
<Se vuoi ci possiamo fermare.Poco più avanti c’è quella enorme di Assinie > disse Goffredo
Risposi di sì con entusiasmo e lui dette disposizioni all’autista.
Quando scesi dell’auto fui circondato da un branco di donne, che volevano vendermi degli ananas.
Si spingevano e si strattonavano per farmi vedere i loro ananas contenuti in catini di alluminio.
Nella confusione tutte mi toccavano, mi spingevano ed urlavano parole incomprensibili.
<Goffredo !Fermale > gridai
Lui, urlando, intervenne in modo abbastanza rude, le donne si allontanarono ed io lo ringraziai di
cuore.
Ero completamente sudato e il battito del mio cuore era alterato.
<Allora, andiamo al campo di ananas? > dissi, quando mi fui tranquillizzato
Insieme all’autista andammo verso il campo, seguiti a breve distanza dal corteo delle donne.Si
erano calmate, ma volevano, ancora, vendermi i loro prodotti.
<Ecco siamo arrivati > disse Goffredo
Guardavo in alto, stavo cercando invano gli alberi da frutto. Fino allora avevo sempre pensato che
gli ananas nascessero sugli alberi. Invece le piante sono basse, simili ai nostri carciofi, ognuna
produce un frutto che nasce al centro.
Goffredo e l’autista si aggiravano nel campo alla ricerca dell’ananas più maturo. Stavano facendo a
gara a chi sceglieva il frutto più saporito. All’improvviso il cielo si riempì di nuvole minacciose ed
un tuono mi fece sobbalzare. Mi diressi verso l’auto, ma il temporale fu più veloce ed in poco
tempo ero completamente bagnato. La pioggia non era fredda e mi resi conto che la situazione era
abbastanza piacevole. Allora tornai nuovamente verso Goffredo che stava arrivando, anche lui
completamente fradicio, con il suo ananas. Il cielo stava scaricando delle enormi quantità di acqua e
capii cosa significava il modo di dire “pioggia a catinelle”. Dopo averlo pulito, mi offrì un pezzo di
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polpa di ananas che grondava di succo e di pioggia. Così fece anche l’autista ed eccomi in un posto
sperduto della Costa D’Avorio, sotto un forte temporale equatoriale, bagnato come un pulcino, con
due pezzi di ananas in mano con un unico dubbio: quale assaggio per primo?
Forse era questo un altro motivo delle mie undici vacanze in quel posto.
L’ananas mi si sciolse in bocca e il sapore era indescrivibile.Non penso che, nella mia vita, mangerò
nuovamente un frutto buono come quello.
La pioggia continuava a cadere copiosa ed io iniziai a correre dentro delle enormi pozzanghere,
urlando a più non posso frasi senza senso. Quando mi fermai con il respiro affannato, mi sono
sentito veramente e completamente vivo.
Quando smise di piovere riapparvero le donne con gli ananas.
<Comprane un po’> Dissi a Goffredo
Lo vidi contrattare con le donne e dopo poco nel portabagagli della Peugeot c’erano circa trenta
ananas.
<Ne hai comprati troppi.Quanto hai speso? >
<Mi devi circa un euro > rispose
Com’è possibile che con un euro abbia comprato trenta ananas ?
Le donne erano felici di avermeli venduti, sicuramente, i grossisti glieli pagavano meno.
Quella gente era veramente povera ed il sistema li sfruttava senza nessun ritegno. Un loro frutto, al
supermercato sotto casa mia, valeva circa tre euro, mentre a loro era pagato al massimo tre
centesimi.
Riprendemmo il viaggio verso Bounuà e l'atmosfera all'interno dell'auto era ancor più ivoriana,
completata dall’odore molto intenso emesso dagli ananas. Il negozio dove mi condusse Goffredo
era una grossa baracca di legno con le inferriate alle finestre. Comprai i biscotti, le caramelle e la
cioccolata per la festa, utilizzando un’esigua parte dei fondi, che avevo raccolto fra i miei clienti e
colleghi.Prima della partenza avevo inviato una e-mail ai miei conoscenti, dove spiegavo le ragioni
del mio viaggio richiedendo un piccolo contributo per i bambini della scuola e dell’orfanotrofio.
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Nel programmare il viaggio avevo pensato che, al mio ritorno, avrei potuto dare, come ricordo, i
disegni dei bambini della scuola a coloro che avevano contribuito.
Il viaggio di ritorno verso il villaggetto fu molto più breve, perché l’autista ebbe improvvisamente
fretta.
<Andiamo a casa mia > disse Goffredo
<Ok. Devo darti anche i miei regali >
I suoi occhi brillarono, quando pronunciai quelle parole.
<Vieni dentro> disse avvicinandosi ad una porta di legno
Entrammo in un recinto il cui pavimento era la nuda terra.Al centro c’era un braciere con sopra un
enorme pentola, dalla quale usciva un odore non proprio gradevole.Una donna alimentava il fuoco
con foglie di palma secca.
<Lei è mia moglie> disse Goffredo
La donna non mi degnò neanche di uno sguardo e continuò a lavorare.
Al confine sinistro del recinto c’era la camera ricavata in una capanna di legno.
Non mi fece entrare in camera ed io, curioso, provavo a sbirciare all’interno.Riuscii solo a vedere
che sulla terra c’era un tappeto di colore rosso.
Ci sedemmo su una panca nelle vicinanze del tavolo, dove troneggiava un enorme radioregistratore
dal quale usciva, a tutto volume, musica da discoteca ivoriana.
<Ecco, questo è lo swatch che ti avevo promesso> e, porgendogli anche il mio zainetto, continuai.
<E qui dentro ci sono dei vestiti e delle scarpe da ginnastica >.
Goffredo era felicissimo e ringraziò abbracciandomi.
<Vuoi mangiare con noi?Oggi il menù prevede minestrone e pesce affumicato >
Mi guardò e dopo una breve pausa, sorridendo, aggiunse
<Dai !Sto scherzando >
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Lui sapeva che, per amicizia, sarei potuto anche rimanere a pranzo, ma sarebbe stato a dir poco
traumatico per il mio palato. Senza poi pensare a ciò che ricordavo del mio esame di igiene
all’università.
< Avrei un po’ di sete, perché non vai a comprare tre coca cola? >.
Lui, in modo abbastanza brusco, parlò alla moglie e lei, con calma ed in silenzio, venne da me a
ritirare i soldi ed uscì.
<Vado a provarmi le scarpe ed i pantaloni > disse dirigendosi in camera.
Mentre aspettavo, incominciai a giocare con cinque o sei mosche veramente aggressive che mi
s’incollavano di continuo sulle gambe. Erano furbe e veloci e, nonostante gli stratagemmi che con
le mosche di casa mia risultavano vincenti, non riuscii a prenderne alcuna.
Le bottiglie di coca cola, che la donna appoggiò sul tavolo, avevano un aspetto un po’
preoccupante. Goffredo, conoscendo le manie igieniche, così lui le definiva, degli italiani, stappò le
bottigliette e ne pulì accuratamente il collo, nel punto dove il tappo a corona aveva concentrato lo
sporco. Brindammo scambiandoci gli auguri di Natale in anticipo.Lo salutati e gli ricordai che ci
saremmo rivisti subito dopo pranzo per la festa a scuola.
Tornato al villaggio dopo una rapida doccia mi diressi verso il mio pranzo. Il ristorante era quasi
deserto, i turisti avevano già mangiato e stavano, come il solito, assistendo alla chitarrata. Mi
avvicinai al fornello della pasta: il cuoco non c’era, ma c’era una bellissima pasta alla carbonara
ancora calda. Ne presi una bella porzione che mangiai velocemente e con gusto. Solo quando nel
piatto erano rimasti pochi fili di pasta, pensai al pranzo di Goffredo e della moglie. Abbandonai
quei pensieri velocemente e mi tuffai in un piatto d’aragosta e maionese. Infine, mi gustai della
macedonia di frutta, condita con dello yogurt al naturale.
Mentre andavo velocemente in camera, perché non volevo incontrare Alessandra con la sua signora
piangente, gli ormoni mi domandarono.
<Perché non vai al bar a prendere il caffè? > Loro speravano di incontrarla.
Riuscii a controllarli facilmente e dopo poco ero sul letto.
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Dopo un breve sonnellino preparai i giocattoli ed i regali per i bambini ed uscii dalla camera..
Vado al villaggetto attraverso la spiaggia, pensai.
Volevo assistere allo spettacolo quotidiano del rientro delle barche dei pescatori.
Appena attraversato il confine, immaginario, del villaggio, fui circondato da un nugolo di bambini
che urlavano.
<Cadeau! >
Mi divincolai da quella morsa, urlando
<Doucement !>
E ripresi a camminare velocemente.Mi seguirono soltanto in tre ed allora rallentai il passo.Uno dei
miei piccoli compagni di passeggiata, era una bambina che mi osservava in modo strano. Si
avvicinò tendendomi entrambe le mani. Mi aveva riconosciuto e si ricordava il gioco che le avevo
insegnato lo scorso anno.Ero felice perché quella bambina, di cui ovviamente non potevo ricordare
il nome, si ricordava di me a distanza di un anno.La salutai affettuosamente e le domandai il nome.
Odette mi tese, ancora, le mani, perché voleva giocare.Allungai le mie braccia con le palme delle
mani rivolte verso l’alto, dove lei appoggiò delicatamente le proprie.Quelle nere e piccole mani si
agitavano ed erano pronte a fuggire al momento in cui io, nel tentativo di colpirle, avrei fatto una
mossa.
La prima volta la colpii leggermente, mentre la seconda feci finta di sbagliare e così cambiammo i
ruoli. Gli altri bambini ci osservavano e dopo aver compreso il gioco, tutti tendevano le mani per
giocare con me. Eccomi di nuovo circondato dai bambini, però questa volta erano abbastanza
tranquilli.
Diressi lo sguardo verso l’oceano e vidi una enorme piroga, che si stava avvicinando.
Le pagaie la spingevano velocemente e si muovevano con perfetta coordinazione tanto da fare
invidia ai nostri campioni di canottaggio. Il timoniere dava il tempo della pagaiata e dirigeva in
modo naturale una imbarcazione davvero fuori dell’usuale. La piroga si fermò di fronte alla
spiaggia del villaggio, dove si era radunato un gruppo di donne ivoriane. Puntando la prua verso la
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spiaggia, le pagaie iniziarono a muoversi velocemente, mentre si stava formando una grande onda.
Come avevano fatto i bagnini, quando mi avevano salvato dalle correnti oceaniche. L’enorme
piroga stava facendo surf ed i pescatori controllavano la direzione pagaiando. All’improvviso una
onda più grossa della prima prese in grembo la piroga e, nonostante il gran prodigarsi dei pescatori,
la fece girare di novanta gradi, rovesciandola. Combattere contro la forza dell’oceano è difficile per
chiunque. Forse anche tutto il pescato era andato perduto.
I pescatori, dopo quel bagno imprevisto, diressero tranquillamente la piroga verso la spiaggia. Le
donne, in attesa, non si erano scomposte più di tanto. Mi avvicinai e fui colpito dalla mole della
piroga. Chissà come avrebbero fatto a portarla a riva? Sarà pesata più di una tonnellata !
Alcuni giovani portarono dei grossi tronchi che posizionarono davanti alla prua della piroga.
Il timoniere lanciò verso terra due funi enormi e all’improvviso la spiaggia si riempì di uomini che,
in silenzio, presero la loro posizione. I loro gesti erano sicuri e tranquilli: tutti sapevano qual era il
proprio ruolo. Il timoniere-capitano forniva le indicazioni e solo con la forza delle loro braccia
posteggiarono sulla spiaggia quell’enorme imbarcazione. I muscoli di quegli uomini erano ben
modellati e sprizzavano potenza.Senza bisogno di andare in palestra e assumere steroidi
anabolizzanti.Pensai ai muscoli gonfiati di alcuni miei conoscenti ed ai miei numerosi pomeriggi
passati in palestra con scarsi risultati.
Ero curioso di sapere che fine avesse fatto il pescato, mi avvicinai e vidi che il pesce era racchiuso
in una rete ben ancorata al fondo della piroga.Forse le rovesciate non sono proprio impreviste e
sono più frequenti di quello che pensassi.
Ecco il capitano che iniziò a dividere il pescato fra le donne, che si avvicinavano con i loro catini.
Osservai che le quantità dei pesci erano diverse da un catino all’altro, forse ciò dipendeva dal ruolo
svolto dal marito, sia durante la pesca in mare che durante il posteggio.
Davanti a me, vidi un bambino che trascinava sulla spiaggia un enorme catino con dei pesci, mi
avvicinai per aiutarlo, ma più lesto di me fu un uomo che bruscamente mi allontanò. L’uomo mi
guardò minacciosamente ed io alzando le mani, mi allontanai.
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Non tentai di spiegarmi, perché loro parlavano solo il dialetto. I pescatori ed i loro figli non
frequentano la scuola, non parlano francese e fra gli abitanti del villaggetto sono i più poveri ed
ignoranti.
Goffredo, che aveva visto la scena da lontano, corse verso di me.
<Tutto bene? > mi domandò
<Si.Ho sbagliato. Loro mi tolleravano finché osservavo.Non dovevo intervenire, io che sono uno
straniero >
<Sono molto strani > cercò di giustificare Goffredo
Andammo a scuola attraversando la parte del villaggetto, in cui abitavano i pescatori.
Goffredo si raccomandò di non prestare attenzione ai bambini, che avrebbero chiesto da mangiare
e di non soffermarmi. Dalle capanne fuoriuscivano degli odori incredibili mentre dei bambini
piangevano e le donne urlavano. Vidi anche una capra sgozzata, o meglio ciò che ne restava,
appesa nelle vicinanze di un braciere: il sangue grondava e centinaia di mosche stavano
banchettando. Affrettai il passo cercando di non osservare ciò che mi scorreva in intorno, anche se
era difficile non percepire i rumori e gli odori.
Nella radura della scuola non c'era nessuno, mi diressi verso un’aula, mentre Goffredo andò a
chiamare il preside.
Entrando mi mancò quasi il respiro.Ci saranno stati quaranta gradi, considerai.Mi sedetti nel posto
del maestro e vidi un mucchio di fogli sulla cattedra. Quei fogli, dove erano evidenti delle impronte
di piccoli polpastrelli, erano i disegni, che avevo richiesto al preside.
Osservavo i lavori dei bambini , gli oggetti raffigurati erano vari, in prevalenza vi era una casa con
molte finestre ed una bella antenna della TV. Anche qui la televisione imperava. In altri disegni i
piccoli pittori avevano raffigurato delle enormi auto moderne, mentre solo pochi avevano disegnato
delle scene della loro vita quotidiana.
Un disegno con un enorme cuore rosso nel centro del foglio, attirò la mia attenzione. All’interno
del cuore l’autrice, che si chiamava Nogbou Elisee Landry, aveva scritto Joyeux Noel.Nella parte
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bassa del disegno c’era una sagoma che sembrava una tartaruga ninja la protagonista dei cartoni
animati.
Sembra, dunque, che anche in Costa d’Avorio ci siano i cartoni. . Ciò mi sollevò, perché alcuni dei
regali che avevo portato erano dei Puffi e delle figurine dei Pokemon: se conoscevano le tartarughe
ninja, potevano apprezzare anche i miei regali.
Goffredo ed il preside entrarono nell’aula insieme ad una decina di bambini.
Sistemai i regali su due tavoli, uno per quelli destinati ai bambini, l'altro per delle bambine.
Rimuginai sulla suddivisione e mi domandai perché ad una bambina si regala una bambola mentre
al bambino il pallone. Potrebbe essere tranquillamente il contrario e non ci sarebbe niente di strano.
<Merci, Monsiuer Paolo > dissero in coro un nugolo di bambini entrando in aula.
<Fà accomodare loro nei banchi > dissi a Goffredo, mentre su un altro tavolo sistemavo i dolci.
Quando ebbi finito i miei preparativi, alzai lo sguardo e nell'aula c'erano circa cinquanta bambini,
che stavano “mangiando con gli occhi” tutti gli oggetti esposti
La festa ebbe inizio con la premiazione degli autori dei disegni. Facevo vedere il disegno e dopo
averne identificato l'autore gli consegnavo un regalo, da lui scelto, e qualcosa da mangiare. Dopo le
prime premiazioni, la situazione incominciò a diventare caotica, non riuscivo a controllare i
bambini. Chiesi a Goffredo di far fare una fila indiana formata dai disegnatori ed io, velocemente,
distribuivo i premi.La situazione migliorò, ma non per molto perché un altro gruppo di bambini
entrò in aula.Erano eccitatissimi dalla vista di tutto quel ben di Dio disposto sui tavoli. Il gruppo si
avvicinava sempre più minacciosamente, io indietreggiavo urlando. Iniziai a distribuire, oltre ai
regali, delle sonore botte su quelle mani, che mi strattonavano e che prendevano i giocattoli dai
tavoli.
Più forte picchiavo.Più forte urlavo. Più i bambini si eccitavano.
Tutti urlavano e si muovevano ondeggiando da destra a sinistra, all'improvviso si gettarono tutti
insieme sui miei tavoli, che con cura avevo sistemato così bene, e mi travolsero, gettandomi in terra.
In pochi secondi i tavoli furono completamente ripuliti.
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Quell'attacco mi ricordò la scena dei documentari televisivi sui pirana che, attaccando in gruppo,
spolpano in pochi secondi la loro vittima.
Quando i “pirana” lasciarono l'aula, mi sedetti su una sedia.Ero completamente bagnato di sudore
ed ero distrutto dalla stanchezza. In mano avevo un grande puffo, tutto ciò che era rimasto dei
giocattoli, e lo sguardo era fisso nel vuoto. Avrei voluto fare una bella festa di Natale e distribuire
qualcosa a tutti. Non ci ero riuscito
Che cosa avevo sbagliato?
Forse non avrei dovuto mettere tutte quelle cose in bella vista.
Avevo capito, pagando di persona, quanto fosse difficile dare a quella gente.
Goffredo si avvicinò e disse
<Mi dispiace, non è andata come volevi, vero? Vedi, noi siamo un popolo fatto di fame. E la fame
stimola la violenza che sta dentro di noi. Fin da bambini c'è stato insegnato ad utilizzarla per
conquistare qualcosa >
Lo osservai mentre parlava, lui era dispiaciuto di quanto era accaduto, ma nello stesso tempo stava
dalla parte del suo popolo e lo giustificava.
In silenzio mi alzai e mi diressi, seguito da Goffredo, verso il mio rifugio nel villaggio turistico.
Nel momento in cui attraversai la sbarra di confine, percepii una sensazione piacevole: ero di nuovo
al sicuro, nel mio mondo.
Quella sera la mia doccia durò un'eternità e non pensai, assolutamente, al risparmio della risorsa
acqua come facevo di solito.
Mi riposo un po’, pensai, e mi distesi nel letto.
Al mio risveglio, mi accorsi di aver dormito due ore e che ero in ritardo per la cena.Arrivando al
ristorante, mi resi conto che era la vigilia di Natale, e mi trovai di fronte una scenografia veramente
ad effetto. I tavoli del ristorante era stati sistemati sul bordo piscina e l'apparecchiatura era quella
delle grandi occasioni. Un albero di natale, costruito con rami di palma ed adornato di ananas
colorati di rosso, troneggiava in spiaggia, dove era sistemato, anche, un altare.
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Avevo una sete incredibile e, sedendomi sulla mia poltrona preferita, feci un cenno a Adamo.
Lui comprese e mi servì il solito aperitivo.Mentre lo stavo sorseggiando, gli ormoni si svegliarono e
mi fecero notare le sagome di due donne provenienti dalla spiaggia.
Vidi Alessandra, vestita elegantemente, che si dirigeva verso me in compagnia di una donna
altrettanto elegante. Forse il mio abbigliamento composto di pantaloni ivoriani di stoffa variopinta
e completato da un gilet nero non era intonato con la serata.
<Ciao Paolo > disse Alessandra sedendosi alla mia destra e facendo accomodare la sua compagna a
sinistra.
Eccomi nel mezzo di due belle donne. Mentre ero rivolto verso Alessandra, i miei ormoni erano
completamente occupati ad osservare la donna di sinistra.
< Lei è Antonella e questo è Paolo > disse la capo hostess
Tesi la mano e lei me la strinse in modo leggero e si ritirò immediatamente.
<Scusate, ma il dovere mi chiama> disse Alessandra e si allontanò velocemente.
Senza dire una parola guardai Antonella negli occhi e lei abbassò lo sguardo.
E ora ?
Valutai la situazione, se le chiedevo di raccontarmi la sua storia avrebbe potuto non sbottonarsi più
di tanto, considerandomi un estraneo. Decisi di parlare per primo raccontandole la mia storia,
magari rivista e corretta. Le parlai in dettaglio del mio matrimonio e di mia moglie, a differenza di
ciò che avevo fatto con Anna, perché supponevo, che tali argomenti avrebbero suscitato in lei i
migliori sentimenti.
<Il mio matrimonio è finito molto presto Io e mia moglie eravamo troppo giovani. Quando siamo
cresciuti e maturati, ci siamo resi conto che eravamo molto diversi.La nascita del figlio fu un
incidente, ma adesso sono felicissimo di essere padre. E' un bravo ragazzo ed io ne sono fiero >
Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime, feci finta di non essermene accorto, e dissi:
<Andiamo a cena >
I turisti si stavano accomodando a tavola.
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<Dai, facciamo una corsa per arrivare primi > la presi per mano e la trascinai verso i tavoli ridendo.
Le cena fu degna di una vigilia di Natale e mangiammo tutto con gusto. Parlai, quasi sempre io e
le raccontai le mie peripezie al villaggetto. Lei si era tranquillizzata e rideva delle mie avventure.
Gli ormoni mi fecero notare che Antonella era una bella donna, anche se dalle lacrime facili. Il suo
fisico non era prorompente come quello di Anna, mentre il suo aspetto era di una donna di classe.
Aveva dei bellissimi occhi celesti, che risaltavano in un grazioso viso.
<Ehi ti stai dimenticando il sedere! > esclamarono gli ormoni.
Era vero. Il sedere di Antonella era qualcosa di speciale. Sporgeva con grazia dalla sua silhouette ed
era ben proporzionato, dandomi l’impressione d’essere solido e compatto.
<Tra poco inizierà la messa in spiaggia > la voce del capovillaggio risuonò intorno alla piscina.
<Non ho voglia di andare a messa > affermai
<Neanche io > rispose
<Perché non andiamo al villaggetto? >
< Ok, ma non sarà pericoloso?> chiese
<Non ci sono pericoli e vedrai delle cose molto interessanti >
Ci stavamo avviando nel buio verso il villaggetto, guidati dalla luce di fari posti ai lati del vialetto.
Valutai che quello fosse il momento opportuno per chiederle la sua storia.
Aveva trentotto anni, era una donna di casa, era sposata ed aveva tre figli. L’ultima era, una
bambina di appena tre mesi, mentre i due maschietti avevano uno dodici anni e l’altro dieci.
Fino alla settimana prima, era innamoratissima del marito, un manager d’azienda vetraria di
Sassuolo.
<Quel porco mi ha tradito con la segretaria durante la mia ultima gravidanza > disse iniziando a
singhiozzare, <Quando l’ho scoperto, ho prenotato questo viaggio e sono fuggita > continuò,
aumentando le lacrime.
L’abbracciai con affetto e lei pianse di gusto sul mio gilet.
<Dai, approfittane! > gridavano gli ormoni
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L’accarezzai con affetto, non seguendo i consigli degli ormoni.Lentamente i singhiozzi rallentarono
e si calmò.Non parlava e tirava su con il naso come una bambina.
Dal buio apparve un ivoriano, che si stava recando a lavoro.
Lei si controllò e schiarendosi la voce disse:
<Allora, andiamo al villaggetto >
Il buio dominava tutto e solo qua e là vedevamo delle fievoli luci che provenivano dalle
capanne.La strada era silenziosa, tranquilla e molto diversa da come appariva durante il giorno. Gli
ivoriani non mi chiamavano per fare affari ed avevano chiuso e trasformato i loro negozi: i banchi
di esposizione, privati della mercanzia, era divenuti letti. Davanti al negozio di Gianni Agnelli Nero
c’erano quattro uomini che giocavano a carte. Le figure delle carte erano strane e, nonostante il mio
impegno, non riuscii a capire le regole del gioco. Goffredo stava giocando in coppia con Roberto
Baggio e mi salutò a stento.
Continuammo a camminare nel buio, da dove sbucarono delle sagome nere. Antonella ebbe paura e
mi si avvicinò stringendomi il braccio. Quando furono di fronte a noi, i quattro uomini si separano,
in modo tale che passammo nel mezzo di loro. Karim mi salutò appena e continuò la passeggiata
con i suoi amici.Che differenza rispetto al giorno! .Nessuno mi considerava.
Vedemmo una luce un po’ più forte e ci avvicinammo. Il mio autista, figlio di Karim, si era
trasformato in un croupier ed era intento a far girare un’asta di metallo. Su una tavola vi era
disegnato un cerchio, suddiviso in otto settori numerati. Intorno alla tavola c’erano molti ragazzi
che puntavano dei centesimi di CFA nei vari settori. Quando l’asta si fermava, il banco incassava le
puntate dei sette settori non indicati dalla punta, mentre pagava, alla pari, le puntate sul settore
indicato.
Giocai qualche CFA anch’io, fra la meraviglia degli ivoriani. Era abbastanza strano che un turista
uscisse di notte dal villaggio, ancor più strano era che giocasse con loro. Antonella fu molto più
fortunata di me, perché vinse ben cinquecento centesimi di CFA. Rideva allegramente, felice della
sua vincita, sembrava un'altra persona rispetto a quella che, poco fa, mi aveva bagnato il gilet.
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Si stava divertendo e non voleva lasciare il tavolo da gioco.
Proseguii la mia passeggiata, lasciandola sola, ma quando si rese conto che mi ero allontanato, corse
verso di me raggiungendomi in pochi balzi.
Mi prese sottobraccio e disse:
<Avevi ragione, il villaggetto è molto più interessante di notte che di giorno>
<Andiamo in quel locale > disse indicandomi una specie di bar illuminato da luci soffuse.
Era una discoteca, dove ancora nessuno ballava.
Anche qui la gente esce molto tardi per andare a ballare, come i” discotecari “di casa mia.
Antonella era entusiasta della situazione e mi trascinò in pista a ballare. L'ingresso della discoteca si
era popolato velocemente e tutti ci stavano osservando con curiosità. Era strano, per loro, che dei
bianchi andassero in quel locale. I bianchi ivoriani sono in prevalenza di origine libanese e tengono
ad una stretta separazione razziale.
<Dai, offrimi da bere> disse Antonella afferrandomi la mano e portandomi verso il bar.
Quel contatto di mano nella mano, seppur casto, risvegliò i miei ormoni. La sua mano era piccola e
scompariva completamente nella mia, mentre la stretta era sicura. Percepii la morbidezza della sua
pelle e gli ormoni già ballavano immaginando il dopo.
Le bottiglie di coca cola, che ci furono servite, avevano lo stesso problema di quelle di Goffredo.
Pulii il collo della bottiglia con attenzione e bevemmo dalla bottiglia, non fidandoci della pulizia dei
bicchieri del bar.
<Rientriamo? > chiese e continuò < Sono stanca, oggi è stata una giornata molto intensa>
A passi veloci raggiungemmo il villaggio e ci avviammo verso la piscina.Non c'era quasi nessuno,
la maggior parte dei turisti era in discoteca.
Andammo verso la zona delle camere. I miei ormoni si stavano fregando le mani e si stavano
preparando, come se dovessero partecipare ad un evento indimenticabile.
Si fermò davanti alla sua camera, evitando di guardarmi negli occhi.
<Ed ora che faccio? > mi interrogavo
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Quando piangeva sul mio gilet era completamente indifesa e aveva inspirato una grande tenerezza.
La conosco da poche ore e non mi sembra giusto approfittare della situazione.
<Dai! Stupido abbracciala > gridavano gli ormoni
<Ho passato una bellissima serata. Grazie > disse
Mi avvicinai per darle un bacio sulla guancia.
Mi sembrò che stesse offrendo le labbra, ma la baciai delicatamente sulla guancia e salutai.
Non sapevo, che cosa mi impauriva, ma ero quasi terrorizzato e fuggii.
Gli ormoni stavano imprecando e urlavano:
<Sei il solito stupido e ti lasci sfuggire, sempre, le occasioni migliori! Non pensi a noi che abbiamo
bisogno di moto >
Il soffitto della mia stanza mi sembrò più basso del solito, mentre rimuginavo sulla mia giornata.
Mi addormentai con un peso enorme sullo stomaco e con gli ormoni in silenzio stampa.
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Capitolo quarto
La laguna e Antonella
Mi svegliò il valletto che bussò leggermente alla mia porta.Mi alzai di scatto perché mi resi conto
che erano quasi le dieci del mattino. Nonostante il peso sullo stomaco, avevo dormito
profondamente e mi sentivo perfettamente rilassato.
Che facciamo oggi? Mi domandai usando il plurale. Comprendendo anche la mia compagna.
Poi fui assalito dal dubbio: dopo la mia fuga di ieri notte, mi considererà sempre il suo cicerone?
Mi vestii velocemente e mi diressi a far colazione. Antonella era seduta in una poltrona nelle
vicinanze dell’ingresso del ristorante, quando mi vide, si alzò e mi corse incontro.
<Ciao Paolo. Ti stavo aspettando, così facciamo colazione insieme > disse dandomi un delicato
bacio sulla guancia.
I miei dubbi si dissolsero velocemente e gli ormoni, pur in silenzio stampa, drizzarono le orecchie.
Mentre facevamo colazione, io con le mie solite brioches e lei con dei cereali nel latte, venne al
nostro tavolo Picciotto, che ci invitò al pic-nic.
<Che cos’è il pic-nic ?> mi chiese Antonella
< E’ una bellissima escursione in pinasse, fino al punto in cui l’oceano penetra nella laguna >
<Mi piace. Allora, andiamo ? > esclamò con entusiasmo.
Salimmo, per primi, sul tetto della pinasse e ci sistemammo verso il fondo dove distendemmo i
nostri asciugamani. Molti altri turisti ebbero la nostra stessa idea.
Ecco i gemelli che, salutandomi allegramente, salirono sotto coperta. Anna salì di sopra in
compagnia di un bel ragazzo e si sedette, salutandomi, vicino a me. Una coppia di belle ragazze si
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sistemarono, con gli asciugamani, vicino ai miei piedi. Infine anche Lorenzo e Tiziana si distesero
sul tetto della pinasse, che, così, fu completamente occupato.
Il motore cominciò a scoppiettare, emise una grande nuvola di fumo nerastro e la nostra crociera
iniziò. Il barcone si inoltrava, lentamente, nella laguna, mentre degli enormi nuvoloni stavano
coprendo il sole.
<Non preoccupatevi, il sole uscirà e vi abbronzerà anche troppo > rassicurò Picciotto.
Osservavo il cielo, che non prometteva niente di buono. Quei nuvoloni mi ricordavano quelli del
campo di ananas, infatti, dopo poco, ecco un bellissimo temporale equatoriale.
Solo Lorenzo e Tiziana si ripararono sotto coperta, mentre tutti gli altri rimasero ai loro posti.
Il temporale passò in fretta ed il sole allontanò le nuvole e asciugò velocemente i nostri corpi.
La vista era incredibile: sulla destra c’era la spiaggia oceanica con una lunga fila di palme mentre
sulla sinistra si stendeva la savana ivoriana. Nel cielo c’erano molti falchi, che volteggiavano
tranquillamente. La laguna di Aby, che si estende per molti chilometri fin quasi in Ghana, è un
habitat ottimale per il falco della Costa D’Avorio.
Gli ormoni ruppero il silenzio stampa e mentre osservavo il panorama dissero
< Osserva un altro panorama.Guarda intorno, qui sulla barca >
La forza del sole era enorme, tanto da stimolare la voglia di tintarella, soprattutto delle ragazze
distese nelle mie vicinanze. Il reggiseno fu il primo pezzo ad essere allontanato e lo slip, quando
non era già un tanga, fu ridotto fino al punto di lasciare liberi i glutei. Subito dopo iniziò
l’operazione di spalmatura delle creme abbronzanti. Gli odori delle varie creme e la vicinanza di
tutti quei corpi nudi stimolarono ancor di più la fantasia ormonale. Tutto intorno a me c’era un
festival di tette e di sederi. Lo spettacolo era incredibile e sembrava di vedere un panorama
collinare adornato dai colori variopinti dei costumi. Notai con piacere anche dei piccoli
particolari messi in evidenza dalla riduzione al minimo degli slip.
<Mi spalmi un po’ di crema nella schiena? > chiese Antonella
<Con piacere > risposi e versai una bella dose di crema sulle spalle.
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<Se vuoi, ti massaggio un po’? >
<Si. Grazie >
Iniziai a massaggiarle i muscoli del collo con delicatezza. La sentii rilassarsi completamente,
mentre le mie mani, con fermezza, le esploravano tutti i muscoli della schiena.
<E' molto bello.Continua ti prego > parlò con voce un po’ esitante.
Spostandomi in avanti, le osservai il viso. Aveva gli occhi chiusi e un’espressione beata.
Lei si rilassò fin quasi a addormentarsi, mentre i miei ormoni erano molto più che svegli.
Quando terminai il massaggio, si alzò e guardandomi languidamente , disse:
< Le tue mani sono meravigliose, sembrano quelle di un pianista quando accarezzano i tasti del
pianoforte >
Mamma mia! Forse ho fatto un miracolo, riflettei. Ho trasformato la signora piangente in una donna
molto attraente e sensuale. In quel momento i figli, il marito traditore, le lacrime erano dei ricordi
molto sfumati.
<Ecco laggiù un allevamento di coccodrilli > urlò Picciotto, indicando una costruzione colorata alla
nostra sinistra.
Quando guardammo verso il luogo, che ci aveva indicato, vedemmo anche una grande piroga,
sovraccarica di ivoriani, che stava attraversando la laguna diretta ad un villaggio, posto sulle rive
dell'oceano. Gli ivoriani salutarono sorridendo e tutti noi, in vario modo, rispondemmo.
Con l'avvicinarsi verso la nostra meta, la laguna si restringeva e le rive erano molto più vicine. La
pinasse procedeva lentamente e si potevano vedere distintamente scene di vita quotidiana degli
insediamenti posti sulla riva. Quattro baracche erano lì davanti, nelle cui vicinanze c'erano degli
uomini che riempivano di noci di cocco degli enormi bidoni posti su dei bracieri. Forse stavano
estraendo a caldo i grassi del cocco.
All'improvviso la riva della laguna si gremì di bambini che salutarono e gridarono
< Oh lega. Oh lega. > tutti noi non sapevamo cosa significasse, ma lo ripetemmo in coro.
< Ecco laggiù degli aironi > urlò Lorenzo
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Lo spettacolo era bellissimo: un gruppo di aironi stava decollando. Seguii in cielo la perfetta
formazione che si allontanò.
<Fra poco arriviamo all'isola dei pipistrelli> disse Picciotto
Il barcone si fermò davanti ad un‘isola con della vegetazione molto fitta. Cercavo, invano, di
vedere i pipistrelli. Il comandante della pinasse indossò degli stivali, scese dalla barca e si
incamminò, nell’acqua bassa, verso l’isola. Batté le mani un paio di volte ed ecco che dalla cima
degli alberi si alzarono in volo un numero immenso di pipistrelli, che oscurarono quasi il cielo.
Erano enormi e l’apertura alare era di sessanta-settanta cm.
<Niente paura, sono vegetariani > urlò Picciotto.
Antonella, impaurita, si avvicinò e mi strinse il braccio.
Quando ripartimmo i pipistrelli ripresero, lentamente, la loro posizione di riposo sugli alberi, la
mimetizzazione era perfetta.
Il barcone stava procedendo lentamente ed il comandante saggiava, continuamente, il fondo con
una lunga canna.
<Il fondale è molto basso: c’è il rischio di incagliarci > disse Picciotto
All’improvviso la pinasse sobbalzò. Eravamo incagliati.
<Niente paura > Rassicurò Picciotto e continuò:
<Dobbiamo alleggerire il carico. Qualcuno di voi dovrebbe scendere in laguna. Indossate i sandali
perché il fondo è costellato da conchiglie che hanno bordi taglienti.>
Decidemmo che sarebbero scesi solo gli uomini. Ed eccomi, con l’acqua fino al ginocchio in un
posto sperduto di una laguna sperduta, che spingevo un enorme barcone.
Come accade in città, quando la batteria della macchina va in tilt.
La manovra di attracco fu abbastanza brusca ed il barcone sbatté violentemente contro il pontile.
Appena messo piede a terra, un gruppo di bambini ci circondò. Volevano vendere le loro solite
cianfrusaglie. Chiedevano anche in regalo tutto ciò che avevamo indosso. Intervenne bruscamente
la guardia, che per tutto il viaggio aveva sonnecchiato sottocoperta. I bambini furono allontanati e
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così potemmo rinfrescarci ed andare al bagno. La doccia era rudimentale ed era composta di un
recipiente posto in alto su un’impalcatura, dal quale fuoriusciva acqua salata della laguna. Il
bagno era alla turca ed era all’interno di in un recinto di lamiera con la porta di ingresso di legno,
senza possibilità di chiusura.Sotto una tettoia, poco più in là in spiaggia ed in mezzo a delle palme
altissime, c’erano dei tavoli dove avremmo mangiato. Un ivoriano stava accendendo il braciere
della griglia ed un altro stava tagliando dell’ananas, che mangiammo con gusto.
<Andiamo a fare il bagno nell’oceano > urlò Picciotto
Il corteo di turisti, guidato dalla guardia, si avviò verso una spiaggia, nelle vicinanze nel luogo in
cui l’oceano penetrava in laguna, dopo aver corroso una fragile diga.
Un altro corteo, formato dai ragazzi ivoriani, seguiva il primo a breve distanza. La guardia si fermò
e disegnò un quadrato, con il manganello, sulla spiaggia.I turisti dovevano starne all’interno, mentre
ai bambini ivoriani era vietato entrarvi.
Lasciai Antonella ed i turisti dentro il quadrato e andai a fare una passeggiata lungo la riva
dell’oceano.Cinque bambini mi seguirono chiedendomi i regali. Avevo portato con me delle penne
e dei giocattoli. Dovevo scovare il modo di distribuirli, senza essere aggredito come a scuola.
La comunicazione con i bambini era un problema, ma la mimica mi aiutò. Raccolsi dalla spiaggia
un bastone e lo utilizzai come penna per scrivere sul bagnasciuga. Scrissi sulla sabbia umida come
su una lavagna ed impostai un’operazione di somma molto facile. Loro capirono al volo ed alzarono
le mani per farmi sapere che conoscevano la soluzione, come fanno tutti i bambini a scuola. Ne
scelsi uno e gli detti il penna-bastone. La soluzione era esatta e lo ricompensai con un giocattolo. A
quel punto arrivarono altri bambini, che volevano giocare. Proseguii quel gioco, aumentando le
difficoltà delle operazioni, fin tanto che non terminai le penne ed i regali.
<Paolo vieni a fare il bagno > gridò Antonella
<Pronti. Via > urlai e partii a corsa verso i turisti. Naturalmente i bambini mi raggiunsero ed
arrivarono per primi. Io rimediai soltanto un bel respiro affannoso.
<Cosa stavi facendo con quei bambini? > chiese Antonella
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<Stavo giocando >
<Allora.Andiamo a fare il bagno > dissi iniziando a correre verso l’oceano senza aspettarla ed
anche questa volta fui raggiunto e sorpassato.
Antonella si tuffava e nuotava come un pesce, mentre io ero un po’ più tranquillo con i piedi ben
piantati in terra a causa della mia scarsa “acquaticità”.
<Dai, facciamo una bella nuotata >
<E’ tardi, è l’ora del pranzo > dissi
Infatti, rivolgendo il nostro sguardo verso la spiaggia, vedemmo il corteo dei turisti che si era
ricomposto e che stava dirigendo verso il ristorante.
Picciotto ci venne incontro e, porgendoci due bicchieri di plastica, disse:
<E’ Sangria.L’aperitivo >
I bicchieri erano anche ricolmi di pezzi di frutta tropicale e l’aspetto era veramente invitante.
<Aspettate a bere.Facciamo un brindisi, tutti insieme.> si raccomandò
Ci avvicinammo al gruppo dei turisti e conoscemmo Jack, colui che aveva preparato l’aperitivo.
Jack era ivoriano ed era responsabile del pranzo del pic-nic. La sua organizzazione era perfetta ed
era basata su mano d’opera a basso costo: i cuochi, i camerieri e i lava piatti, erano tutti suoi figli.
Il menù del giorno prevedeva spaghetti con il pomodoro per primo, mentre il secondo era composto
di carne e pesce alla griglia.La fame era grande, la bontà della pasta era incredibile ed anche la mia
porzione di spaghetti fu molto più abbondante del solito.
Oltre alla bontà del condimento, prodotto con i pomodori dell’orto coltivato dall’ennesimo figlio di
Jack, quello che mi colpì fu il giusto punto di cottura della pasta. Ecco il solito italiano all’estero,
che giudica se la pasta è troppo cotta! Mi alzai dal tavolo e mi diressi verso il braciere dove erano
stati cucinati gli spaghetti: in terra c’erano quattro scatole vuote di “Barilla”. La situazione era
veramente assurda. E mi sembrò ancor di più quando mi resi conto che lo spettacolo dei turisti, che
stavano divorando quei meravigliosi spaghetti in un posto sperduto dell’Africa nera, era seguito da
un numeroso pubblico. I giovani ivoriani erano schierati all’ombra dei cespugli e stavano
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“mangiando con gli occhi”. Restavano a distanza di venti metri perché costretti dalla presenza della
guardia e di alcuni figli di Jack.
Vidi Antonella che lasciò il tavolo, dirigendosi verso di loro con in mano un piatto di spaghetti.
<Aspetta > le urlai e le corsi incontro preoccupato.
Si fermò, mentre i ragazzi le si avvicinarono.
< Perché non dovrei dar loro un po’ di spaghetti >
<Potrebbe essere pericoloso > dissi e le presi il piatto.<Ritorna al tavolo.Glieli porto io >
Mi avvicinai ai ragazzi, porsi il piatto ai primi e mi allontanai velocemente.
Ripulirono tutto in un battibaleno, sia per la fame, sia per non dividere con gli altri. Le mani furono
velocissime e riempirono le bocche fino a rendere difficoltosa la deglutizione.
Picciotto arrivò correndo e disse:
<Sarebbe opportuno non dare niente.Potrebbero aggredirvi e si potrebbero battere fra di loro per
conquistare un po’ di mangiare.Quando ripartiremo, i nostri avanzi, in ogni caso, saranno comunque
distribuiti.>
La partenza fu alquanto caotica.Mentre i turisti prendevano posto sulla pinasse i ragazzi erano
eccitati e chiedevano, urlando, i regali. La barca stava manovrando, loro si aggrappavano ai bordi
ed allungavano la mano per chiedere ed eventualmente prendere.Quando la guardia si avvicinava
per scacciarli, si lasciavano cadere nelle acque della laguna, per poi risalire nuovamente.
Dopo un po’ la calma e la tranquillità ritornarono sulla barca e Picciotto ci offrì un po’ di koutoukou
come digestivo.
Il gran caldo, il sole a picco, gli spaghetti nello stomaco, l’alcool del koutoukou e il rumore
ripetitivo del motore della pinasse si trasformarono in potente sonnifero. Infatti, dopo poco, tutti i
turisti stavano dormendo. Non riuscivo a dormire, perché la testa di Antonella era adagiata sul mio
addome. Dolcemente e lentamente spostai la testa su l’asciugamano e mi alzai per sgranchirmi le
gambe. Lo spettacolo della laguna era bellissimo e lo stavo godendo, come se fosse stata la prima
volta. Un coloratissimo martin pescatore sfrecciò dalla riva e si tuffò in cerca di prede. Nel cielo i
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falchi volteggiavano numerosi. Una piroga, spinta dalle pagaiate di un ivoriano, costeggiava la riva.
La pinasse rallentò ancor di più il suo lento passo, per non creare onde che avrebbero disturbato la
navigazione della piroga. Allora c’è qualcuno che non dorme, pensai.
Evitando i corpi nudi ed addormentati dei miei compagni di viaggio, camminai sul tetto del barcone
dirigendomi verso la scaletta per scendere sotto coperta.
I gemelli stavano dormendo sulle scomodissime panche. Uno dei due era in posizione molto
precaria e frequentemente la testa gli scivolava giù dalla panca.
Picciotto e la guardia distesi nelle altre panche, invece, dormivano tranquillamente.
Il capitano era al timone, mentre il suo assistente dormiva nelle vicinanze.
Bevvi un bicchiere di acqua minerale, che trovai nel frigo portatile di Picciotto.Mentre bevevo,
notai un movimento alla mia destra. L’assistente del capitano si era svegliato ed aveva le mani sul
ventre. Non completamente sveglio, non si rese conto di cosa stesse per fare e si diresse verso il
fondo della barca.Si liberò di pantaloni e mutande e, sporgendo il sedere dalla barca, la fece in
laguna. Poi ritornò a dormire tranquillamente. L’azione fu così veloce che il capitano, intento alla
navigazione, non poté intervenire. Il capitano mi guardò sperando che io, l’unico turista testimone
del fatto, non avrei raccontato l’episodio.Era cosciente che l’episodio avrebbe potuto significare il
licenziamento per il suo assistente.
Sorrisi, lo salutai e ritornai da Antonella, le presi la testa e l’adagiai nuovamente sul mio grembo.
<Sveglia, signori.Stiamo arrivando al villaggio > urlò Picciotto e offrì dell’acqua minerale fresca.
<Ho fatto una bella dormita. La tua pancia è più soffice e morbida del mio cuscino > disse
Antonella sorridendo.
<Non è carino che tu mi ricordi la poca tonicità dei miei muscoli addominali.>
<Non te la prendere, perché a me piaci così morbidone > disse sorridendo maliziosamente.
<Fermi voi.Non è il momento > ordinai agli ormoni.
La scuola di sci nautico del villaggio accolse il nostro ritorno con un’esibizione dei suoi maestri. I
motoscafi sfrecciavano a destra ed a sinistra, mentre i maestri dirigevano gli sci in modo tale da
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spruzzare l’acqua della laguna nella nostra direzione.Sorridevo e salutavo, ma dentro di me morivo
di invidia, perché non sapevo sciare.
Lo scorso anno avevo provato a calzare gli sci, ma l’esperienza non fu proprio edificante.
Incontrai le prime difficoltà, quando dovevo stare in equilibrio con ai piedi gli sci ed in mano il
bilancino trainante. Il mio maestro era Paco che, urlando, si raccomandava di non tirare il
bilancino e di lasciarsi trainare.Percorrevo una decina di metri e poi, lasciando il bilancino, mi
schiantavo a bocca aperta nella laguna.Riprendevo, poi, la linea di galleggiamento in attesa del
ritorno del motoscafo. Ciò avvenne per tre volte consecutive e poi gettai la spugna facendomi
riportare al pontile. Il rientro a terra fu inglorioso: ero attaccato al bilancino ed il motoscafo mi
trainava lentamente, come un cocomero, verso il pontile gremito di turisti sorridenti. Quando vi
salii, avevo dolori muscolari dappertutto, ma riuscii a fuggire velocemente verso il bar della piscina.
Giurai a me stesso che non avrei mai più provato.
<Andiamo a fare una doccia?> chiese Antonella appena messo piede a terra.
<Certo. Sono completamente distrutto >
Ci dirigemmo verso le camere. Ad un certo punto mi fermai e dissi:
<Vai tu.Devo tornare un attimo alla pinasse.Ci vediamo prima di cena al bar> senza darle tempo di
replicare, feci dietro front e tornai al pontile.
Seconda fuga, pensai.
Il capitano e il suo assistente stavano riordinando la barca.Avvicinai il capitano e gli regalai il mio
cappello. Ringraziò sorridendo e comprese, dal mio sguardo, che non avrei raccontato l’episodio del
suo assistente.
Assaporai completamente tutte le splendide sensazioni della mia lunghissima doccia.
Ero veramente stanco e mi distesi sul letto.
<Devi riposarti >.Mi ordinai.Considerando la mia non più giovane età ed il probabile programma
notturno piuttosto intenso.
L’ordine fu completamente inutile, perché mi addormentai immediatamente.
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Antonella era al bar e stava parlando con i gemelli, Alfredo a destra e Giovanni a sinistra.
Mi soffermai ad osservare la scena da lontano o meglio osservavo la donna.
Era elegante, indossava un vestito nero da sera, che evidenziava nel miglior modo il suo corpo.
Lo scollo posteriore era molto più ampio di quello anteriore e lasciava completamente libera la
schiena fin quasi al sedere.Il trucco del viso era leggero, mentre i capelli erano pettinati in modo
asimmetrico con notevole quantità di gel.
Mi piaceva quella donna, aveva una certa classe, però ne avevo paura senza sapere il perché.
Salutai il gruppo e dissi :
<Sei splendida > rivolgendomi ad Antonella e le baciai la mano.
Il baciamano forse non si usa più fra i giovani, temetti di sembrarle vecchio.Nel tentativo di
rimediare, le baciai dolcemente anche il palmo della mano, soffermando le labbra.
Percepii un suo sussulto e il sguardo cambiò.
<Ti è piaciuto il pic-nic ?> Domandò ad alta voce Alfredo e mi dette una pacca sulla spalla che mi
fece barcollare. L’avrei ucciso.La spalla era indolenzita e tenendomela sorrisi a malincuore e
risposi:
<Certo. E’ stato molto divertente >
Antonella cercava di trattenersi per non ridere.Le sussurrai <Stronza! >
Allora, iniziò a ridere senza ritegno e dovette allontanarsi dal gruppo.Lasciai il gruppo e la seguii
dietro il bar in spiaggia. Ridemmo veramente di gusto fino ad avere le lacrime agli occhi. Prima di
tornare in pubblico, le detti un bellissimo e dolcissimo bacio. Gli ormoni lo valutarono da otto e
mezzo.
La cena e il dopocena si svolsero con i riti di sempre: gran buffet, solite chiacchiere sul pic-nic e
cattivo caffè gustato in un posto da sogno.
L’animazione serale propose una sfilata di moda ivoriana lungo i bordi della piscina: il gruppo degli
animatori composto di belle ragazze ed altrettanto i ragazzi, sfilò lungo il bordo piscina indossando
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i costumi ivoriani, in vendita presso la boutique del villaggio. La scenografia era molto curata e le
musiche completavano uno spettacolo di buon livello.
Dopo la cena percorsi, con Antonella, il solito vialetto in direzione discoteca.La pista era straripante
di gente, che si muoveva forsennatamente a ritmo di musica emessa a volume incredibile.
<Andiamo a quel tavolo > dissi, indicandone uno abbastanza lontano dalle casse acustiche.
<Cosa vuoi da bere? > le chiesi
<Quel koutoukou che abbiamo bevuto oggi al pic-nic è buono >
Andai al bar dove incontrai Alessandra, la capo hostess.
<Mi sembra che il sacrificio non sia proprio male > disse ammiccando
<E’ una bella donna ed anche una persona interessante.Ti devo ringraziare per avermela fatta
conoscere >
La salutai velocemente e tornai da Antonella.Non la volevo lasciare sola a lungo.
< Ecco il tuo drink. Al bar ho incontrato Alessandra.Ti invia i suoi saluti >
<Che cosa facciamo?Andiamo a fare quattro salti? > chiese
Non avevo assolutamente voglia di ballare e poi, in pista, mi sentivo fuori posto.
<Sei sempre il solito vecchio > urlarono gli ormoni stimolando la mia reazione
<Andiamo a scatenarci > risposi e come un ragazzino, piombai in pista.
Lei mi ballava di fronte in modo sensuale e il suo sguardo era altamente provocante.
Mi sentivo come un pesce fuor d’acqua e, secondo me, ero ridicolo nelle mie movenze. Pensavo che
tutti mi osservassero, mentre in realtà guardavano Antonella.
Il solito temporale equatoriale mi salvò. Ci fu un fuggi-fuggi generale.La musica però non cessò ed
alcune coppie rimasero con noi a ballare sotto la pioggia scrosciante.
Apprezzai la situazione e dimenticai tutte le mie fobie del ballo.Eravamo completamente bagnati.
La temperatura della pioggia era gradevole. La musica mi stordiva.Gli occhi di Antonella erano
sempre più espressivi. Il suo vestito, completamente bagnato, aderiva ed evidenziava le forme del
suo corpo.
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< Andiamo a fare una corsa in spiaggia > urlò un animatore
<Siiiiiii.Dai Andiamo > urlò lei e mi trascinò verso il buio
La situazione era veramente frizzante, correvamo in quella buia spiaggia, senza curarci della
pioggia e dei granchi. Forse per caso, la prima coppia cadde nella sabbia e le altre vi si gettarono
sopra. Il mucchio dei corpi era enorme.Ebbi la fortuna o la sfortuna, secondo i punti vista, di essere
in cima al groviglio. Ridemmo e ci rotolammo a lungo nella sabbia. Le sensazioni erano veramente
piacevoli. Avvertivo le mani di Antonella che perlustravano il mio corpo, come d’altra parte
facevano le mie sul suo .
<Andiamo a fare il bagno in piscina > urlò il solito animatore, dotato di fervida fantasia.
Il tuffo fu generale, poi il gruppo si divise. Ogni coppia si appartò in un angolo della piscina.
I miei ormoni erano ormai incontenibili. La bocca di Antonella era dolcissima e morbidissima.
Non c’era zona del corpo di Antonella che non avevo visitato, o con le mani o con le labbra, almeno
una volta.
<Andiamo in camera > dissi
Lei si avviò alla scaletta ed io mi soffermai in acqua.
Volevo far raffreddare un po’ gli ormoni e il” presidente “ che faceva capolino dai pantaloni.
Il “presidente” era il primo rappresentante ed il braccio operativo dei miei ormoni
<Mi fa freddo. Dai corriamo > disse, correndo velocemente verso la sua camera.
Entrò in camera e in un lampo si liberò degli indumenti bagnati.
Quando entrai, me la trovai davanti completamente nuda.
Mentre mi baciava mi tolse, quasi strappandoli, i pantaloni e gli slip. La camicia la tolsi da solo.
Mi spinse sul letto, dove rimasi immobile. Andò alla porta e la chiuse con il chiavistello.La mia,
eventuale, terza fuga sarebbe stata difficile.
Gli ormoni erano già in campo, pronti a giocare una bella partita del campionato mondiale. Quando
ritornò, mi assaltò e cominciò a baciare il mio “presidente”.
<Oh.Che bello! Non così > dissi con voce affannata
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<Non così > ripetei, ma non mi ascoltava e continuava con passione il suo gioco.Provavo a
fermarle, senza riuscirvi, la testa.
<Lasciala fare > urlò autoritariamente il “presidente” in persona.
Obbedendo all’ordine presidenziale, mi rilassai e la lasciai fare.
Il “presidente “era in campo e stava dando il meglio di se stesso ed ecco che l’arbitro decreta un
rigore al novantesimo.
Il pallone era sul dischetto, il” presidente” prese la rincorsa fissando negli occhi il portiere.
Il tiro, pieno di esuberanza nonostante la mia non più giovane età, si insaccò proprio nel centro della
porta.
<Gooooool > urlarono in coro gli ormoni ed iniziarono ad esultare facendo il trenino in mezzo al
campo.
< Non è stato un po’ troppo breve? > Chiesi loro, quando si calmarono.
<Eravamo a corto di allenamento > si giustificarono e continuarono: <Sei tu che non ci fai allenare
con le tue fughe e paure >
Mi addormentai, come un angioletto, fra le braccia di Antonella.
Il valletto che voleva riordinare la camera, bussò alla porta.Mi alzai, gli dissi di ritornare più tardi e
andai in bagno. Non la vidi sul letto, quando ritornai in camera. Si era nascosta dietro l’armadio e
mi dette nuovamente l’assalto mirando con precisione al “ presidente”. Non mi ricordo quanti rigori
calciai quella volta, ma furono sicuramente superiori alle mie normali prestazioni.
Lei dormiva profondamente e riuscii, finalmente, a fuggire. Saltai dalla finestra perché non volevo
rischiare di svegliarla, aprendo la porta.Ero completamente nudo ed in mano avevo i vestiti bagnati
della sera prima. Intorno alla vita avevo indossato un asciugamano del bagno. Mi resi conto che era
pieno giorno e che avrei dovuto attraversare, in quelle condizioni, il villaggio per arrivare nella mia
stanza. Scelsi la via più lunga, ma meno frequentata e rientrai finalmente in camera.
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Capitolo quinto
L’orfanotrofio
Mi svegliai dopo una bella e rilassante dormita . Sedendomi sul letto rimuginai.
Che cosa faccio adesso ?
Se vado al ristorante, incontro, sicuramente, Antonella, che la prossima notte vorrà continuare la
partita.
Il “presidente”, dolorante e con una bella escoriazione sulla testa, non intervenne e rimase
tranquillamente in silenzio.
Potrei mangiare e poi, eventualmente, fuggire di nuovo, conclusi.
Salutai Adamo e chiesi il solito aperitivo, che mi sembrò migliore del solito.
Sprofondato nella mia poltrona preferita, osservavo un marguia, che saltava come un grillo per
cacciare una mosca. Il lucertolone falliva i suoi attacchi perché la mosca aspettava fino all’ultimo
momento prima di volare via.Dopo vari tentativi il marguia mangiò la mosca in un sol
boccone.
Non mi resi conto che Antonella si stava avvicinando.Improvvisamente mi ritrovai la sua bocca
stampata sulla mia.Il bacio fu talmente appassionato, che rimasi senza fiato ed un po’ stordito.
< Sei fuggito ? > disse guardandomi con aria maliziosa.
Non sapevo cosa rispondere ed ero alla ricerca di una scusa, plausibile, al mio comportamento.
< Ciao, piccioncini. Vi state divertendo, non è vero? > disse Alessandra ammiccando e si sedette
vicino ad Antonella
Mi aveva salvato ed ora le due donne stavano parlando del loro abbigliamento serale.
Non ero assolutamente interessato alla discussione e mi guardai intorno.Vidi molti occhi curiosi
rivolti verso di noi.Nel villaggio è difficile nascondere le storie.E’ come in un piccolo paese dove
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tutti gli abitanti si conoscono e vogliono conoscere i fatti degli altri. La mia storia con Antonella
era ormai sulla bocca di tutto il villaggio ed era l’argomento preferito delle chiacchiere di spiaggia.
< Il ristorante è aperto > annunciò il capo villaggio
<Andiamo a cena ? > dissi alzandomi dalla poltrona.
Si alzò e mi prese sottobraccio. Mentre ci dirigevamo verso il ristorante, proseguì a parlare con
Alessandra. I nostri compagni di tavolo erano i gemelli, Tiziana e suo marito
<Vi state divertendo, non è vero? > disse Tiziana, rivolgendosi a me con intonazione maliziosa.
Solita domanda.La gente non ha proprio fantasia.
<Noi ci stiamo divertendo moltissimo > dissero in coro i gemelli, gli unici al tavolo che non
avevano compreso la situazione.
Vidi Anna, in compagnia del caposport, che si stavano dirigendo verso il nostro tavolo.Scommisi
con me stesso che anche loro avrebbero pronunciato la stessa domanda o qualcosa di simile.
<Come va questa vacanza? Vi state divertendo? > disse Anna ammiccando e facendomi vincere la
scommessa.
Quanta bella gente c’era al mio tavolo! Dunque ricapitoliamo. Alla mia destra, una bella coppia in
viaggio di nozze ed in cerca di avventure sessuali con altri partner. Alla mia sinistra, Anna, la
single milanese, che voleva conoscere sessualmente tutti gli animatori del villaggio. Stefano, il
caposport, che sosteneva brillantemente la sua parte di stallone.
Anche la mia situazione non era proprio esemplare. Io, single incallito, che nonostante le mie
dichiarazioni di principio, mi facevo guidare dal “presidente”. Antonella, madre di tre figli, che si
vendicava, con tanta passione, delle corna del marito.
Davanti a me i gemelli, una coppia di ingenui, ma forse le persone più genuine del gruppo.
Rimasi in silenzio senza partecipare attivamente alle solite discussioni durante la cena.
Stavo pensando come fuggire, non solo da Antonella, ma anche da quell’ambiente insulso e
superficiale.Avevo programmato il mio ennesimo viaggio in Costa D’Avorio per far qualcosa per i
bambini, invece, fin ad ora, avevo fallito con i bambini ed avevo fatto felice solo il “presidente”.
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<Che cosa c’è? Perché sei così silenzioso? > chiese Antonella
Non sapevo come rispondere. Improvvisamente trovai la risposta che sarebbe stata utile per
fuggire da tutto e tutti.
<Non sto bene. L’antimalarico infastidisce il mio intestino. Scusa ma devo andare in bagno >
Salutai i miei compagni di tavolo e mi diressi in camera. Chiudendo la porta, ero felice perché
nessuno, nemmeno Antonella, conosceva il numero di camera mia.
Sdraiato sul letto, fissando il solito soffitto sempre più incombente, pensavo alle mie avventure,
piuttosto grottesche, di questi ultimi giorni. Nel bianco del soffitto vidi la sagoma nera di una
zanzara. Il pericolo malaria distolse i miei pensieri ed eccomi in caccia di zanzare. Salii sul letto
pronto a colpire la zanzara con una maglietta sporca arrotolata. Il lancio non fu preciso e l’insetto
volò tranquillamente verso la tenda. Pur avendolo attentamente seguito non riuscivo più a
localizzarlo, perché si mimetizzava perfettamente con il colore scuro della tenda.
La caccia mi aveva preso completamente. Ero in mutande, con in mano una maglietta, e fissavo
la tenda. La mossi ed eccolo là il mio nemico. La zanzara svolazzava tranquillamente verso il
soffitto, lo sfondo bianco me la rese visibile. Salii sul letto e slanciandomi verso l’alto allungai le
mani che ghermirono l’insetto. Osservai con soddisfazione la mia mano destra dove il cadavere
della zanzara giaceva completamente schiacciato. Mi addormentai tranquillamente pensando alla
fine della povera zanzara.
Mi svegliai quasi all’alba e preparai con calma le cose che avrei portato ai bambini
dell’orfanotrofio. Il ristorante era aperto da poco e non c’era traccia di turisti. La mia colazione fu
più rapida del solito e mi diressi verso il villaggetto.
Goffredo era seduto nelle vicinanze della sbarra di confine.
<Oggi andiamo all’orfanotrofio a Adiakè. Noleggia la solita auto > dissi dopo averlo salutato
<Quando torniamo ?> chiese
<Saremo di ritorno nel pomeriggio >
Goffredo si allontanò, lasciandomi in compagnia dei soliti bambini del villaggetto.
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Riapparve dopo poco, insieme all’autista, a bordo della vecchia Peugeot.Si era vestito a festa:
indossava i miei pantaloni bianchi dello scorso anno con la mia camicia a righe bianche e blu.
<Il noleggio costa quarantamila CFA > disse
<Ok.Andiamo >
Dopo circa mezz’ora di viaggio incontrammo un posto di blocco della polizia.Un poliziotto fece
cenno di accostare.
<Ho lasciato il passaporto in albergo > dissi con voce preoccupata a Goffredo
<Non ci sono problemi.> rispose
Vidi l’enorme pancia del poliziotto che si avvicinava. Dopo aver scrutato all’interno dell’auto si
rivolse a Goffredo.Il dialogo fu molto breve. Goffredo parlava con tono sicuro ma rispettoso
dell’autorità.Il poliziotto annui e fece cenno che potevano proseguire. Adiakè è una piccola
cittadina incredibilmente popolata. La strada che porta all’orfanotrofio attraversa un tipico mercato
ivoriano.
Chiesi a Goffredo di far fermare l’auto perché volevo far due passi al mercato.La fantasia dei colori
si mescolava con odori acuti e sgradevoli. I negozi erano delle capanne dove le finestre e le porte
erano dotate di inferriate. Il numero delle persone che si aggiravano nel mercato era enorme. Tutti
parlavano e urlavano. L’igiene sia della merce in vendita che dell’ambiente era notevolmente
carente. Mi soffermai ad osservare una donna che, con in braccio una bambina con dei magnifici
occhi, stava friggendo delle banane. L’olio della padella bolliva violentemente. Le banane appena
fritte erano appoggiate su un banchetto alla mercé delle numerose mosche, che la donna scacciava
con frequenza. Vedendomi fissare il suo lavoro, mi offrì la banana più grande. Rifiutai sorridendo e
la salutai.
<Ecco l’orfanotrofio > disse Goffredo indicandomi un grande cancello in fondo la strada.
<Vado a piedi. Seguitemi con l’auto >
Feci suonare una piccola campana, collocata sull’alto muro di recinzione.Dopo qualche minuto
apparve una donna ivoriana che avvicinandosi al cancello parlò con Goffredo.
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<Suor Franca è uscita, da poco, per fare la spesa > disse Goffredo.
<Chiedile se possiamo entrare >
La donna mi osservò attentamente e poi aprì il cancello.
< Io aspetto le suore. Voi, che cosa volete fare? > domandai a Goffredo
<Andiamo al mercato > rispose dopo aver consultato l’autista.
I due ivoriani si avviarono verso l’uscita, mentre la donna ritornò al suo lavoro.
Rimasi solo all’interno del recinto dell’orfanotrofio.
Mi colpì immediatamente la pulizia e l’ordine che regnava nell’immenso giardino. Le piante
tropicali erano incredibilmente belle e rigogliose. L’erba delle aiuole era stata tagliata da poco.Ebbi
l’impressione che anche i sassi del vialetto fossero stati puliti ed ordinati uno ad uno. Ripensando al
caos e alla sporcizia che regnava a poche centinaia di metri dal cancello, mi sembrò di essere in un
posto irreale. Passeggiavo osservando con attenzione tutto ciò che mi circondava. In quel giardino
vi era una pace ed una tranquillità incredibile, che mi sorprese e mi impressionò.
Vagando, mi ritrovai sul retro dell’edificio principale e vidi un bellissimo albero completamente
fiorito. Avvicinandomi percepii il profumo acuto dei suoi fiori e ne ammirai la bellezza ed i colori.
Subito dietro l’albero c’erano tre stendibiancheria colmi fino all’inverosimile di bavaglini da
bambini.
<Mamma mia, quanti sono! > esclamai
Mi avvicinai per osservare i disegni stampati sulle pettorine. Le sagome di Paperino e Topolino
raffigurati in blu sulla spugna bianca, mi ricordarono quelli che usavo tanto tempo fa per mio figlio.
La mia attenzione fu attratta, poi, da un rumore sordo e ripetitivo che proveniva da una piccola
costruzione davanti a me :due enormi lavatrici erano in funzione .
<Bonjour > Disse un ivoriano che uscì con in mano un enorme catino con degli asciugamani.
<Salve > risposi e lo seguii.
Lo zona per stendere i panni era enorme ed era protetta da una tettoia di plastica, che doveva essere
stata costruita per salvaguardare la biancheria dai frequenti temporali equatoriali.
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Avvicinandomi allo stenditoio, dove una quantità incredibile di biancheria era asciugare, vidi
qualcosa che mi ricordò, ancora una volta, mio figlio: un numero enorme di fasce per pannolini
come quelli che avevo usato circa venti anni fa per il mio bambino. Oggigiorno in Italia, il sistema
di fascia e pannolino è ormai passato di moda. Al supermercato sono disponibili numerosi tipi di
assorbi pipì che non necessitano di fasce e che sono gettati dopo l’uso. I papà di oggi, molto più
fortunati di me, non devono così lavare come facevo tanto tempo fa.
La mia attenzione fu attirata poi da una costruzione poco lontana dallo stenditoio.Una tettoia
proteggeva uno spiazzato pavimentato, ben pulito, dove c’erano dei bambini sdraiati in terra.
Mi avvicinai incuriosito e vidi i bambini, che stavano distesi in terra in modo scomposto.
<Ehi Che cosa succede qui? Perché state cosi distesi a terra?> dissi sorridendo e avvicinandomi ad
un bambino: <Su Forza.In Piedi > dissi afferrandolo per le spalle.
Rimasi impietrito perché mi resi conto che il bambino era handicappato e non aveva l’uso delle
gambe. Mi fissava con i suoi occhi inespressivi. Lo appoggiai, dolcemente, in terra e mi sedetti
vicino a lui. Osservai anche gli altri quattro bambini: era tutti nelle stesse condizioni. Mi resi
conto, inoltre, che l’handicap dei bambini non si limitava alle gambe.
<Ehi Gente! La vita è dura > dissi rivolgendomi ai cinque corpi quasi inerti.
Subito dopo, un groppo in gola arrestò il mio insulso parlare, in quel momento avrei voluto essere
lontano mille miglia da quel posto. Rimasi immobile ed in silenzio, evitando accuratamente, di
guardare negli occhi i bambini.
<Vedo che ha già conosciuto i nostri ospiti più grandicelli > disse suor Franca arrivandomi alle
spalle.
Non mi voltai immediatamente e tentai di asciugarmi gli occhi.
<Salve sorella.Si ricorda di me?>
< Certo che ricordo, però non ricordo il suo nome. > rispose e proseguì:
<All’orfanotrofio viene molta gente ed è difficile, alla mia età, ricordarmi i nomi di tutti >
< Sono Paolo. Ci possiamo dare del tu? >
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<Certo.Vieni andiamo a sederci sotto quel pergolato laggiù > rispose.
<Mi ricordo che lo scorso anno mi parlasti di alcuni tuoi problemi > disse facendomi accomodare in
una poltrona davanti a lei.
Rimasi sconcertato.Si ricordava dei miei problemi esistenziali che le avevo, scioccamente,
illustrato lo scorso anno. Lei vive tutti i giorni a contatto con problemi molto più importanti delle
mie stronzate. Il mio essere, perennemente, insoddisfatto di tutto quello che faccio ed ottengo è un
problema irrisorio rispetto alla mancanza delle carrozzine per i bambini handicappati di prima.
< Non ne vorrei parlare almeno per ora > risposi e proseguii: < Parlami un po’ dell’orfanotrofio >
Suor Franca parlò con pacatezza dimostrando una serenità incredibile.
<L’orfanotrofio è stato fondato circa venti anni fa ed aveva lo scopo di salvare i decimi figli.Negli
anni passati, in alcune tribù della Costa D’Avorio, vi era una credenza veramente crudele. Il decimo
figlio di una donna generava sfortuna per la famiglia e pertanto andava ucciso. L’uccisione
avveniva senza pietà da parte del padre. Le nostre consorelle, pochi giorni prima del parto,
persuadevano le future mamme ad allontanarsi dal villaggio. Dopo il parto la donna tornava al
villaggio senza il figlio, mentre il bambino era ricoverato e nascosto nell’orfanotrofio. In alcuni
casi, i membri della famiglia hanno tentato di riprendersi, con la forza, il piccolo per ucciderlo.Oggi
nell’orfanotrofio ci sono i bambini, non solo orfani, che provengono da tutte le zone del paese. Nei
villaggi molte donne muoiono durante il parto per varie complicazioni dovute a scarsa igiene, aids e
più che altro a causa delle carenze delle strutture ospedaliere. A volte, eccezionalmente, accettiamo,
anche, i bambini di famiglie indigenti. Attualmente i miei figli sono quaranta > dichiarò la suora
con fierezza e proseguì:
<I più piccoli, una coppia di gemelli, hanno appena venti giorni, mentre i più grandi sono quelli che
hai già conosciuto. I bambini, non handicappati, rimangono in orfanotrofio fino al compimento dei
due anni, quando tramite una nostra organizzazione in Italia, cerchiamo una famiglia adottiva. Nel
caso in cui non riusciamo a farli adottare siamo costretti a rimandarli nel villaggio di origine presso
i parenti.>
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Osservavo e ascoltavo con attenzione suor Franca e percepii la sua grande determinazione nella
gestione dell’orfanotrofio.E’ veramente una suora con le” palle “, pensai in modo, quasi, blasfemo.
Non è facile far funzionare in modo perfetto quella struttura in un paese come la Costa D’Avorio.
Non so quanti manager di mia conoscenza riuscirebbero a fare altrettanto.
Da cosa deriva questa immensa forza? Mi domandai
La fede in Dio.Poteva essere una risposta. Non credevo, però, che la spinta derivasse soltanto dalla
fede, ci doveva essere qualcosa d’altro.
< Suor Franca, si è fermata la solita lavatrice > urlò con tono allarmato l’uomo della lavanderia.
<Devo comprarne una nuova, ma il bilancio non lo permette > disse la suora
<Potrei tentare di ripararla, se vuoi >
<Va bene.Se hai bisogno di attrezzi, rivolgiti a Bartolomeo > rispose e andò verso la cappella
< Ciao Bartolomeo, io sono Paolo. Allora, racconta che cosa è successo a questa lavatrice > dissi
entrando nel locale lavanderia.
<Stava prelevando acqua e si è bloccata senza motivo > rispose.
<Hai degli attrezzi ? >
Mi porse una vecchia cassetta di ferro quasi completamente arrugginita. Gli attrezzi erano, quasi,
dei pezzi da museo, ma soprattutto erano tutti difficilmente utilizzabili a causa della ruggine.
Ispezionando il retro della lavatrice, localizzai lo sportellino, che racchiudeva il filtro, e lo aprii.
Anche qui la ruggine imperava e la vite, che bloccava il filtro, ne era completamente ricoperta.
Non riuscivo a vedere neanche il taglio sulla testa della vite: iniziai a togliere la ruggine e dopo aver
completamente bagnato di sudore la mia maglietta, riuscii a inserire il tagliente del cacciavite.
Utilizzai tutta la mia forza, che non era poi molta, nel tentativo di svitare quella maledetta vite.
Stavo espellendo litri di sudore e lei, la vite, era immobile nel suo posto.
<Mi potresti aiutare.Dovresti svitare questa vite > dissi rivolgendomi a Bartolomeo.
Lui forzò a tal punto che il cacciavite si ruppe.
<Maremma maiala !> Imprecai sottovoce per non farmi udire dalla suora.
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Anche Bartolomeo imprecò con rabbia, perché si era ferito leggermente la mano sinistra.Non
compresi l’imprecazione, ma il significato doveva essere forte, considerando l’espressione del suo
viso.
Utilizzando un altro cacciavite continuai a tentare di liberare la vite dalla ruggine. Ad un certo
punto esasperato, le detti anche una bella martellata, dicendo sottovoce e con rabbia
< Prendi questa. Stronza di una vite >
Stavo per abbandonare e feci l’ultimo tentativo. La vite si mosse ed allora aumentai il mio impegno.
<Dai gira !! > urlai e seppur lentamente riuscii a svitarla.
Il filtro era impastato dal calcare, che rimossi completamente.L’acqua doveva essere molto dura,
sarebbe stato necessario un addolcitore
< Riattiva la lavatrice > dissi a Bartolomeo, dopo aver montato nuovamente il filtro.
La macchina iniziò senza intoppi il suo normale ciclo di lavaggio.
<Eh Dai! > esclamai felice
La mia soddisfazione fu enorme. Non mi ricordavo di aver provato niente di simile nella mia vita.
Nemmeno quando con un unico movimento di borsa guadagnai circa dieci milioni di vecchie lire.
Corsi come un pazzo in cerca di suor Franca. Lei mi vide arrivare e, quando le fui davanti, sorrise.
<Ce l’ho fatta.La lavatrice funziona!> dissi sprizzando gioia da tutti i pori, < ma perché sorridi?>
<Vai al bagno e guardati allo specchio >
Avevo il viso impastato dallo sporco e dal sudore.Mi osservai attentamente ed invece di lavarmi,
completai l’opera e mi annerii completamente il viso utilizzando lo sporco delle mani. Sembravo
Goffredo, ridevo veramente di gusto e in quel momento, dentro di me, non vi era più traccia di
alcuna tensione esistenziale.
< Vieni, che ti faccio conoscere gli altri miei figli > disse suor Franca da dietro la porta del bagno.
<Ecco, questi sono i più piccoli > disse indicando un lettino da bambini
Mi affacciai alla sponda e vidi cinque piccoli messi uno accanto all’altro.
< Cinque in solo letto? > domandai alla suora che mi rispose solo con uno sguardo.
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<Questi due, sono gemelli ed hanno appena un mese di vita > disse indicando due batuffoli neri
vestiti in modo identico. Il bavaglino blu risaltava su una magliettina bianca. Mentre i pantaloncini,
di colore verde, era rigonfi per la presenza del pannolino.
<Non hanno il ciuccio ? >
Anche questa volta la suora rispose solo con uno sguardo.
Mi colpì il profumo di pulito che si sentiva in tutto l’ambiente. Anche i bambini erano profumati e
non avvertivo assolutamente i normali odori che emettono i bambini di tutto il mondo.
Non mi ero reso conto, che nella stessa stanza vi erano anche i bambini un po’ più grandi.
<Ecco questi, sono il gruppo fino a sei mesi di età > disse suor Franca indicando verso un angolo
della stanza nelle vicinanze del giardino.
Sparsi, sopra a dei teli gommati stesi sul pavimento, vi erano un decina di bambini. Osservando
,senza attenzione, sembrava un pavimento formato da mattonelle bianche decorate con fregi neri.
Erano tranquilli e nessuno di loro piangeva. Quando mi avvicinai, il più vicino alzò la testa e mi
guardò con i suoi grandi occhi.Avvicinai dolcemente il mio dito indice e lui lo strinse
incredibilmente.
<Si chiama Francis ed ha quattro mesi > disse la suora, <La responsabile di questo gruppo è
Maria.Una volontaria di Bergamo che lavora qui da circa un mese e resterà per altri cinque > disse
indicandomi un ragazza seduta in un angolo con in braccio un bambino
<Piacere io sono Paolo > dissi porgendole la mano
Maria sorrise e dopo aver appena stretto la mia mano tornò dai suoi bambini.
< Qual è il modo per essere assunti come volontari ? > chiesi a suor Franca
< Si compila un modulo di domanda presso la nostra organizzazione in Italia > rispose la suora e
proseguì: <Ecco, laggiù il gruppo dei più grandi, pronti per essere adottati o rispediti al proprio
villaggio >
Un gruppo di bambini stavano giocando tranquillamente su un prato dove c’era una casetta di
plastica colorata.
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< Questa è il mio regalo del Natale scorso > disse indicando la casetta.
Mi avvicinai al gruppo ed un bambino fra i più grandi mi si avvinghiò alle gambe facendomi quasi
cadere.
<Lui, è Noel.Ha due anni e mezzo e non parla italiano.Avrebbe dovuto essere già in Italia, ma ci
sono stati problemi con la famiglia adottiva > interviene una suora seduta poco distante
<Questa è la mia aiutante, suor Angela.Vive in Costa d’Avorio da dieci anni> disse suor Franca.
Prendendo in braccio Noel, porsi la mano a suor Angela.
< Salve, io sono Paolo > mi presentai sorridendo.
Noel, dopo avermi esplorato con le mani, tutto il viso, si strinse a me con le sue forze. Appoggiava
la sua piccola testa sulla mia spalla e rideva allegramente. La sua mano guidava la mia mentre gli
accarezzavo la testa. Aveva una incredibile voglia di contatto umano e lo dimostrava molto bene.
<E’ molto affettuoso > disse suor Angela.
Mi distesi sul prato , con Noel sempre ben attaccato al collo. Si avvicinarono altri bambini e mi
assaltarono. Le suore risero di gusto nel vedermi quasi ricoperto da cinque bambini. Noel era geloso
e cercava di allontanare gli altri.
<Su alzati, ho da farti vedere anche la dependance > mi sollecitò suor Franca
Mi alzai, ma Noel rimase ben avvinghiato al mio collo.
<Lui non può venire > E suor Angela prese Noel, che resisteva con tutte le sue forze stretto al mio
corpo.
Il bambino iniziò a piangere e distendeva le braccia verso me.
<Lo hai già conquistato >
<Andiamo e torniamo velocemente > dissi evitando di osservare Noel, che sempre più disperato, si
allontanava fra le braccia di suor Angela.
Varcammo una piccola porta nel recinto dell’orfanotrofio ed arrivammo in una radura dove vi era
una piccola costruzione.
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<Qui ospitiamo alcune famiglie che hanno dei bambini ammalati.Attualmente non c’è nessuno e la
usiamo come ufficio esterno, dove riceviamo i rappresentanti delle famiglie protette > disse suor
Franca.
< Che cosa sono le famiglie protette ? > chiesi
< Vieni con me e capirai >
Entrai in una grande stanza poco arredata dove vi erano tre donne ed un uomo.
Suor Franca si rivolse, in francese, alla donna in prima fila chiedendole notizie della famiglia e dei
suoi figli. La donna rispose a fatica ed allungò la mano. Appena la suora le dette il denaro, uscì
velocemente dalla stanza. Anche per gli altri fu la stessa scena.
<L’orfanotrofio aiuta economicamente un certo numero di nuclei familiari per far crescere i
bambini all’interno della famiglia > disse suor Franca
<Quanti CFA erano ? > domandai
< Diamo il corrispondente di circa tre euro a settimana per famiglia >
< Circa cinque mila lire. Ma riescono a viverci ?> chiesi
< Certo, qui il costo della vita non è molto elevato e non c’è l’inflazione > rispose sorridendo
< In Italia, con quello che tu hai dato a quelle gente per una settimana, io faccio solo colazione tutte
le mattine al bar.>
< Torniamo all’orfanotrofio è l’ora del pranzo dei bambini > disse la suora
Appena rientrato nel giardino vidi una piccola freccia nera che puntava dritto su me. Era Noel che,
avendomi visto da lontano, correva come un razzo.Si attaccò alle mie gambe e strinse finché non lo
presi fra le braccia.
< Forza Bambini, andiamo a pranzo. > gridò la suora e aggiunse: <Pranzi con noi?>
<Ho poche scelte, poi la mia partenza sarebbe difficile da far accettare a Noel. > risposi
Il refettorio era in stanza linda ed ordinata. Vi erano tre piccoli tavoli con sedie di plastica di vari
colori. Mi sembrò di vedere la stanza da pranzo dei sette nani. Mi sedetti, vicino a Noel che
tenendomi per mano, dimostrava ancor di più la sua voglia di contatto umano.
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Non ero molto comodo seduto in quella piccola sedia, ma mi sentivo veramente bene.
Al tavolo c’erano otto commensali come accadeva al villaggio turistico. La differenza, però, era
enorme e non solo nel menù. Mi guardai intorno e vidi un gruppo di bambini che tranquillamente
mangiavano un semplice pasto dimostrando una enorme serenità, nonostante la situazione.
< Vieni nel mio studio, ti offro un caffè > disse suor Franca
Mi alzai stirandomi le gambe indolenzite e Noel distese le braccia verso di me.
Lo presi in collo e seguii la suora nel suo studio dove le consegnai il denaro raccolto fra i miei amici
e clienti prima della partenza.. Muovendomi con difficoltà a causa del peso di Noel, le consegnai
anche una grande quantità di vestiti da bambini. I pantaloncini e le magliette erano di mia nipote
Simona, mentre avevo acquistato le scarpe alla svendita di un grande magazzino.
Noel si divincolò e volle scendere, si diresse verso un paio di scarpe rosse.
< Dai, proviamole > dissi
La fortuna mi aiutò, perché era il suo numero e gli calzavano alla perfezione.
Noel era contentissimo e, con le scarpe nuove, corse dai suoi compagni.
< Allora, mi vuoi parlare dei tuoi problemi >
< I miei problemi sembrano insignificanti rispetto a quelli che devi affrontare tutti i giorni nella
gestione di quest’orfanotrofio.Sto attraversando la crisi dell’uomo di mezza età. Non sto vivendo,
sto solo vivacchiando. La sera, quando vado a letto, valuto la mia giornata e quasi mai sono felice,
come lo sono stato in queste poche ore passate in casa tua.Potrei rimanere come volontario ? >
Pronunciai l’ultima frase d’impeto, senza valutare le conseguenze.
Suor Franca sorrise:
<Sei sicuro? Tuo figlio che ne pensa? >
<Mio figlio ormai è adulto, ed è in grado di vivere la sua vita, senza aver sempre vicino la figura
paterna. Potrei provare, soltanto, per sei mesi. >
<Non hai una donna che ti aspetta? > mi incalzò
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<Dopo l’esperienza matrimoniale non sono riuscito a ricostruire un rapporto con una donna e sono
essenzialmente solo >
<Il tuo lavoro ne risentirebbe ? >
<In qualche modo sì, ma potrei continuare a lavorare attraverso internet, mentre ti aiuto. Potrei
attrezzare la mia sala operativa con i pc in una stanza della dependance >
< Non hai degli amici ?> proseguì
< Certo la partita di calcetto il sabato sera e quella di tennis la domenica mattina, ma niente di più >
<Qui la vita è dura e non vi è nessun tipo di divertimento di sera > continuò
<Le mie serate mondane al “Porfirio Rubirosa”, bar frequentato da bella gente, non sono poi così
divertenti >
Vidi Goffredo e l’autista che si stavano avvicinando.
<Devo tornare al villaggio turistico. Ti lascio e non vorrei salutare Noel, così evitiamo una
situazione, per me e per lui, difficile. Tornerò in Italia e, se riuscirò a sistemare le cose, ci
rivedremo >
Suor Franca mi abbracciò e mi sussurrò
< Riflettici bene, ma se deciderai di tornare sarai il benvenuto.Che Dio ti aiuti.>
Corsi verso la macchina, con le lacrime agli occhi, mi infilai dentro ed urlai
<Via, Via. Velocemente > con la coda dell’occhio vidi Noel che mi cercava.Abbassai la testa per
non farmi vedere. La macchina si avviò verso l’uscita, alcuni bambini salutavano, mentre qualcuno
piangeva.
Rimasi in silenzio per tutto il viaggio di ritorno. Goffredo, comprendendo la situazione, non mi
rivolse parola. Arrivammo al villaggetto intorno alle sei del pomeriggio. C’era un gran via vai di
turisti italiani che andavano a fare spese. Salutai Goffredo e mi affrettai a raggiungere la mia
camera. Dopo la solita fantastica doccia, mi distesi sul letto per rilassarmi. Mi rilassai così bene,
che dopo pochi minuti, come sempre, stavo dormendo profondamente.
Non avendo mangiato molto mi svegliarono i morsi di fame.
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Non avevo nessuna voglia di fare vita di villaggio ma, se volevo mangiare, dovevo andare al
ristorante.
Alessandra, la capo hostess, mi accolse sorridente e mi chiese dove fosse stato durante il giorno.
<Ho fatto una bella escursione all’orfanotrofio di Adiakè. >
<Ne ho sentito parlare, ma il mio lavoro non mi permette nessuna escursione fuori del villaggio.
Pensa che starò chiusa in questa gabbia dorata per quattro mesi, quasi completamente all’oscuro di
ciò che avviene in Italia e nel mondo > rispose con voce velata da qualche preoccupazione.
Vidi Antonella che mi faceva cenno per richiamare la mia attenzione.
<Vado a quel tavolo. Ti racconterò dopo la mia avventura di oggi >
I miei compagni di tavolo erano, come il solito, i gemelli, Andrea e Tiziana ed Anna e Stefano, il
caposport.
<Dove sei stato tutto il giorno? > domandarono quasi in coro i commensali
<Sono andato a Adiakè da Suor Franca all’orfanotrofio >
<Dai, racconta > dissero i gemelli
Descrissi con pacate parole la vita dell’orfanotrofio e la mia avventura con la lavatrice.
Nel mio racconto emerse in modo evidente la figura dominante di suor Franca e la mia ammirazione
per questa suora “con le palle”. La figura di Noel, la piccola freccia nera, risultò molto
dolce.L’esposizione della mia brutta e scioccante esperienza con gli handicappati produsse un
silenzio irreale al tavolo, mentre gli occhi dei gemelli divennero lucidi.
< Andiamo a prendere la pasta > dissi interrompendo il racconto e per sdrammatizzare la situazione.
La cena continuò tranquillamente e Antonella si dimostrò, stranamente, meno aggressiva nei miei
confronti.
< Facciamo una passeggiata in spiaggia, devo parlarti > disse appena terminata la cena
La osservai e mi resi conto che in lei, come in me, c’era qualcosa di diverso rispetto alla sera
precedente.Camminammo per un lungo tratto in silenzio, in quella spiaggia che era stata spettatrice
delle nostre avventure della passata notte.
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< Ieri notte ci siamo lasciati trasportare dai nostri sensi, è stato bello, ma abbiamo sbagliato > disse
senza guardarmi.< Oggi ha telefonato mio marito. Ha chiesto perdono.Mi ha fatto capire che sente
la mia mancanza e che mi ama ancor di più. Ho parlato anche con Riccardo e Claudio, i miei figli, e
mi sono resa conto che il mio comportamento è stato molto superficiale. Ripeto, con te è stato molto
bello, ma ciò che è accaduto è stata solo una reazione al tradimento di mio marito. Tu che ne
pensi?>
Non sapevo cosa risponderle, non potevo, mica, dirle che mi ero fatto guidare dal “ presidente”.
< Non mi hai parlato della tua figlia più piccola > dissi evitando, furbescamente, di risponderle.
< Quando a cena, hai parlato della dolcezza di Noel, mi hai fatto pensare a Federica, la mia piccola.
Ne ho una grande nostalgia e sono veramente felice, perché domani torneremo in Italia. Sei felice di
tornare in Italia e di rivedere tuo figlio ? >
<Certamente, sento la mancanza di mio figlio, ma non so quanto sia contento di ritornare alla mia
vita di tutti i giorni in Italia. Ho conosciuto la realtà dell’orfanotrofio, di Noel e di suor Franca che
mi ha frastornato ed ha messo in dubbio tutto il mio modo di vivere.>
< Accidenti! Che grosse parole - esclamò - Sei sicuro di te stesso ? >
< Questa è una bella domanda, a cui, nei prossimi giorni, dovrò essere in grado di rispondere >
< Mi offri un koutoukou ?> disse avviandosi verso il bar.
<Certo, dai, facciamo una corsa > dissi trascinandola
Arrivammo, con un grande affanno, al bar dove in silenzio, mandammo giù i nostri drink
<Sono Stanca, vado in camera > disse abbracciandomi.
Si allontanò senza guardarmi, poi all’improvviso tornò sui suoi passi.
< Grazie di cuore > disse, dandomi un bellissimo e dolcissimo bacio sulla guancia. Dopo poco,
anche io raggiunsi la mia camera.
Mi distesi sul letto ad osservare il soffitto che mi sembrò molto meno incombente delle altre sere.
Ricercai invano qualche zanzara. Non riuscivo a prender sonno, dentro io c’era una gran
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confusione. Ripassai mentalmente tutti avvenimenti della giornata e l’ultimo pensiero, prima di
addormentarmi, fu per Noel.
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Capitolo sesto
Il ritorno
All’alba ero già sveglio e spalancai la finestra per gustare lo spettacolo. La spiaggia era deserta,
l’oceano Atlantico si agitava come sempre, le prime luci del nuovo giorno illuminavano le poche
nuvole presenti nel cielo.
Stasera ritornerò in Italia, riuscirò a ritornare alla mia routine di tutti i giorni, senza pensare a ciò è
accaduto in questi giorni.
Richiusi la finestra e in attesa dell’ora della colazione, iniziai a preparare la valigia. La capacità
della valigia era notevolmente superiore alla quantità dei miei indumenti. Avevo comprato dei
souvenir, ma il loro volume non era certo pari alle cose che avevo lasciato in Costa d’Avorio.
Dopo colazione mi diressi in spiaggia per fare la mia ultima passeggiata, prima della partenza.
< Buongiorno Paolo. Stai andando a fare la tua solita passeggiata ?> chiese Giovanni
<Possiamo venire anche noi? > chiese Alfredo
<Certo, con piacere >
Osservai i gemelli e mi resi conto che avevano cambiato il loro modo di vestire. Non erano vestiti
uguali e non indossavano i calzini con i sandali.
Questo viaggio, aveva cambiato in parte i gemelli, ma anche me.
<Stanotte torniamo in Italia. Sono felice di ritornare al mio paese > disse Giovanni.
< I nostri amici del bar hanno bisogno di noi per il torneo di briscola.Siamo una coppia imbattibile e
abbiamo vinto il campionato comunale > intervenne Alfredo
Nella notte l’oceano si era agitato più del solito ed i detriti depositati sulla spiaggia erano in
notevole quantità.
<Che cosa c’è laggiù ? > chiese Alfredo
Ci avvicinammo e vedemmo un’enorme massa gelatinosa bianco – violacea.
<Dovrebbe essere una medusa. Forse è meglio non toccarla.> dissi
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< Mamma mia, com’è grande! Mi fa paura.Spero di non incontrarla quando sono in acqua > disse
Giovanni
Sorrisi e ripresi a camminare.
<Attenzione > urlò un turista dietro di noi.
Vidi arrivare lungo la spiaggia a tutta velocità un fuoristrada con quattro persone a bordo.
Ci allontanammo dal bagnasciuga e la jeep ci sfiorò. Gli occupanti dell’auto, che ridevano ed
urlavano, erano bianchi: due uomini e due ragazze.
I gemelli furono colpiti dalla scena.
<Chi sono ? > domandarono
< Sono dei ricchi libanesi di Abjdian. Da qualche tempo, personaggi di origine libanese si sono
trasferiti in Costa D’Avorio e ne sono divenuti, in qualche modo, i padroni > risposi
< I libanesi sono ricchi e sfruttano la gente di colore. Non è vero? > disse Giovanni
< Sono, anche, stronzi > aggiunse Alfredo ricordandosi quelli della Jeep di prima
< Avete perfettamente ragione > affermai
Durante la passeggiata conobbi meglio Alfredo e Giovanni, erano delle persone limpide e semplici.
La loro vita nel paese scorreva felicemente. Non erano mai soli, perché tutti i compaesani erano loro
amici. Parlai, anche a loro, delle mie insoddisfazioni e dei miei problemi esistenziali. Avevo
stressato con i miei problemi, proprio tutti!
Giovanni mi meravigliò perché, dopo avermi ascoltato, disse:
<Tu non hai amici e sei solo. Devi guardarti dentro e capire quello che vuoi >
< Torniamo al villaggio è l’ora di pranzo > dissi, senza replicare a Giovanni, perché aveva colpito
nel segno ed ero rimasto senza parole.
Dopo pranzo iniziarono i saluti, la partenza era prevista nel tardo pomeriggio.
Alessandra, l’hostess, mi dette un bacio e disse: <Mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio >
<Sarà per la prossima volta > risposi e proseguii a trascinare la mia valigia verso l’autobus.
<Ciao Paolo.Ci vediamo l’anno prossimo.Non è vero? > disse Adamo il mio barista preferito.
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Mi ero completamente dimenticato di lui, durante la mia distribuzione dei regali. Gli lanciai il mio
giubbotto di jeans, mentre stavo salendo sull’autobus.Gli abitanti del villaggetto, ci salutavano,
mentre percorrevamo, lentamente, la strada di terra rossa.
Goffredo, che stava davanti alla sua casa, mi salutò urlando e agitando le braccia.
I bambini erano nel cortile della scuola e quando videro l’autobus iniziarono a correre ed a
salutare. I turisti, affacciati ai finestrini, ricambiavano i saluti.
Io rimasi tranquillamente al mio posto ed in quel momento avrei voluto essere già a casa.
Il gruppo, formatosi durante la settimana, si radunò sull’aereo. Alla mia destra c’era Antonella,
mentre Anna era a sinistra. Tiziana e Lorenzo erano seduti davanti a noi, mentre i gemelli
sedevano al nostro fianco.Eravamo in silenzio e nessuno aveva voglia di parlare.
Vidi dei giornali che spuntavano dalla tasca del sedile davanti. Erano la Gazzetta dello sport e la
Repubblica di lunedì.
< La Roma ha vinto? > chiese Lorenzo vedendomi sfogliare i giornali.
< E la Juve ? > urlò Alfredo.
<La Fiorentina ?> disse Giovanni.
Non avevamo avuto notizie dall’Italia per una settimana, non avendo letto nessun giornale.
Per quegli italiani, la fame di notizie si limitava solo a quelle sportive.
Detti i giornali a Lorenzo ed ai gemelli che li sfogliarono avidamente.
Improvvisamente iniziò una discussione accalorata sui risultati di serie A. Sembrava di essere in Tv
alla domenica sportiva, dove gli esperti calcistici si pavoneggiano. Il calcio è un fenomeno che
unisce gli italiani, pensai. Persone, che hanno pochissimo in comune come Lorenzo ed i gemelli,
stanno parlando animatamente e con competenza della difesa a zona od ad uomo.
Gli interventi delle ragazze mi meravigliarono ancor di più, perché furono, anch’essi, molto
pertinenti.Mi estraniai dalla discussione e chiusi gli occhi facendo finta di dormire. I miei pensieri
vagavano disordinatamente da mio figlio a Noel, alla borsa, a Goffredo, a suor Franca.
L’atterraggio fu particolarmente morbido perché il pilota riuscì a prender terra in modo molto
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delicato. Il nostro gruppo si stava avviando al controllo passaporti, mentre i gemelli parlavano del
loro prossimo torneo di briscola e Anna e Antonella discutevano di profumi.
Si stava avvicinando il momento in cui il gruppo si sarebbe sciolto ed ognuno sarebbe rientrato
nella propria vita.
Dopo aver recuperato i bagagli, ci scambiammo i numeri dei cellulari, ripromettendo di incontrarci
nuovamente per una cena a casa mia. Sapevo bene, invece, che quello sarebbe stato un addio,
perché le nostre vite erano per molti aspetti troppo lontane.
Fra le gente in attesa degli arrivi, vidi un signore con una bambina in braccio e due ragazzi a
fianco.Quello dovrebbe essere il marito di Antonella, pensai e mi defilai velocemente fra la folla.
Il ritorno alla vita di tutti i giorni fu molto duro.Non riuscivo a concentrarmi sui video e,
frequentemente, mi ritrovavo a sognare ad occhi aperti.
<Allora, Com’è andata la vacanza? > chiese mio figlio
Il nostro rapporto è splendido ed è come quello fra due fratelli. Frequentemente, andiamo in ferie
nei villaggio turistici e facciamo la gara a chi conquista più donne nella settimana. Peccato, che
vinca sempre lui.
Gli raccontai, immediatamente, la mio notte brava con Antonella, senza menzionare la storia della
spiaggia con Anna. Non approvò il mio comportamento, perché vide in Antonella una madre di tre
figli.
Le immagini di Noel che piangeva disperato e degli handicappati all’orfanotrofio, lo commossero.
Volle conoscere tutti i particolari della mia visita all’orfanotrofio ed i dialoghi con suor Franca.
Comprese al volo e gli fu sufficiente uno sguardo per capire ciò che stavo pensando.
<Perché non ritorni da suor Franca e Noel. Mi piacerebbe avere un fratello nero > disse ridendo e
mi abbracciò.
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Epilogo
Questo dovrebbe essere un doppio minimo, pensai, mentre osservavo il grafico degli ultimi tre mesi
del Nasdaq.
Forse è il momento di comprare un call sul Nasdaq e vendere quel put che ho comprato ieri,
considerai ad alta voce
< Non sciogliermi le scarpe > gridai esasperato a Noel, che negli ultimi giorni, era alla ricerca di
tutti i modi possibili per attirare la mia attenzione, mentre stavo lavorando
< Che cos’è un call ? > mi chiese suor Franca, mentre osservava il video del mercato italiano.
<Un call aumenta il suo valore quando il mercato sale, mentre un put aumenta quando scende >
<Perché non compriamo un call ed un put. Così non sbagliamo > disse suor Angela, mentre era
intenta a rammendare i miei calzini.