patristica siglo v

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INSTITUTUM PATRISTICUM AUGUSTINIANUM ANNO ACCADEMICO 1993/4 PROF. ROBERT DODARO OSA II° SEMESTRE PATROLOGIA FONDAMENTALE (SECOLO QUINTO). O. LA TEMATICA DEL CORSO. Lo scopo del corso richiede di essere precisato. La sua intitolazione, infatti, non è del tutto chiara. Comunque, dato il fatto che i quattro professori non hanno gli stessi interessi personali e comprendono forse diversamente la finalità della Patrologia Fondamentale, bisogna che io precisi come intendo io lo scopo di questo corso. A. L'IMPOSTAZIONE GENERALE DEL CORSO. 1. Descrizione. Si tratta di presentare il contesto storico della letteratura cristiana del secolo quinto, di definire l'orizzonte entro il quale si devono studiare gli autori cristiani di questo periodo, di sensibilizzarsi nei confronti dei loro problemi e delle loro preoccupazioni teologiche e pastorali. Sapere cos'è il "mondo patristico". Il "Sitz im Leben". Le questioni biografiche sono meno importanti. Forse bisognerà fare qualche riferimento all'uno o all'altro caso, come a modello: Cirillo, Agostino. 1 N.B.: I presenti fogli costituiscono il frutto della sistemazione e rielaborazione degli appunti presi durante le lezioni tenute dal prof. Dodaro, che sono stati inseriti nelle dispense fornite durante l'anno 1992/3 dal prof. Basil Studer. La completezza delle parti aggiunte (evidenziate mediante l'uso del carattere diverso), perciò, è solo presumibile e comunque non garantita, in quanto questo elaborato non è stato rivisto dal Professor Dodaro. Si declina pertanto ogni responsabilità in proposito. L'utilizzo di questi fogli è consentito gratuitamente a chiunque (tra gli studenti dell'Augustinianum) ne faccia richiesta ed unicamente con lo scopo di favorire lo studio personale. Ogni loro eventuale altro impiego va concordato con il redattore. Don Francesco Braschi, Pont. Seminario Lombardo, Roma. febbraio-giugno 1994

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Para estudiar los escritos de los santos padres en el siglo V, el autor hace un recorrido historico y teologico de las obras de los santos padres de la epoca.

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Page 1: Patristica Siglo V

INSTITUTUM PATRISTICUM AUGUSTINIANUM

ANNO ACCADEMICO 1993/4PROF. ROBERT DODARO OSAII° SEMESTRE

PATROLOGIA FONDAMENTALE (SECOLO QUINTO).

O. LA TEMATICA DEL CORSO.

Lo scopo del corso richiede di essere precisato. La sua intitolazione, infatti, non è del tutto chiara. Comunque, dato il fatto che i quattro professori non hanno gli stessi interessi personali e comprendono forse diversamente la finalità della Patrologia Fondamentale, bisogna che io precisi come intendo io lo scopo di questo corso.

A. L'IMPOSTAZIONE GENERALE DEL CORSO.

1. Descrizione.

Si tratta di presentare il contesto storico della letteratura cristiana del secolo quinto, di definire l'orizzonte entro il quale si devono studiare gli autori cristiani di questo periodo, di sensibilizzarsi nei confronti dei loro problemi e delle loro preoccupazioni teologiche e pastorali. Sapere cos'è il "mondo patristico". Il "Sitz im Leben". Le questioni biografiche sono meno importanti. Forse bisognerà fare qualche riferimento all'uno o all'altro caso, come a modello: Cirillo, Agostino.

2. Divisione o presentazione analitica dei temi principali.

1) La vita esteriore della Chiesa Imperiale nella prima metà del secolo quinto. Rapporti fra Chiesa e Stato.

2) La vita interiore della Chiesa : organizzazione - legami - liturgia - ministero - spiritualità.

3) Le preoccupazioni dogmatiche e teologiche degli autori cristiani, prendendo in considerazione soprattutto i fatti nuovi : ortodossia - concili - argomentazione patristica.

4) Gli influssi della civiltà greco-romana di quel tempo: influssi linguistici - retorica - filosofia - arte.

3. Il carattere ausiliare del corso: iniziazione allo studio degli autori cristiani del secolo quinto.

1

N.B.: I presenti fogli costituiscono il frutto della sistemazione e rielaborazione degli appunti presi durante le lezioni tenute dal prof. Dodaro, che sono stati inseriti nelle dispense fornite durante l'anno 1992/3 dal prof. Basil Studer. La completezza delle parti aggiunte (evidenziate mediante l'uso del carattere diverso), perciò, è solo presumibile e comunque non garantita, in quanto questo elaborato non è stato rivisto dal Professor Dodaro. Si declina pertanto ogni responsabilità in proposito. L'utilizzo di questi fogli è consentito gratuitamente a chiunque (tra gli studenti dell'Augustinianum) ne faccia richiesta ed unicamente con lo scopo di favorire lo studio personale. Ogni loro eventuale altro impiego va concordato con il redattore.

Don Francesco Braschi,Pont. Seminario Lombardo, Roma.febbraio-giugno 1994

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1) Sensibilizzare ai problemi: non si tratta di presentare informazioni complete e definitive sulle singole questioni.

2) Indirizzo metodologico: Principi ermeneutici - consigli pratici - bibliografia.Questo indirizzo pratico sarà perseguito soprattutto nei SEMINARI che

completeranno i CORSI. Si farà l'applicazione allo studio di un autore del tempo: Leone Magno, appunto per motivi pratici.

B. L'articolazione del corso rispetto ad altre discipline (ad modum exclusionis).

1) Storia della Chiesa.

C'è una uguaglianza nella documentazione. La Storia della Chiesa è fondata anzitutto sui testi patristici, su Eusebio e sui suoi successori.

C'è anche una uguaglianza nell'argomento, in quanto l'attività letteraria fa parte della vita della Chiesa, ed essa viene studiata nella storiografia ecclesiastica ed ha dei suoi manuali.

Ci sono però delle differenze :primo: la Patrologia riguarda una parte sola della vita ecclesiale, cioè il suo aspetto

prevalentemente letterario. secondo: il metodo è diverso. E' meno teologico. La Storia della Chiesa comporta una

ecclesiologia.terzo: Non si tratta di capire cosa sia la Chiesa, ma cosa la letteratura cristiana e le

testimonianze della vita ecclesiale dicono nella luce della Storia della Chiesa. E' un corso propedeutico, ausiliare.

2) Storia delle dottrine cristiane.

Ci sono tre tipi di presentazione delle dottrine cristiane:il metodo positivo-scolastico, con le argomentazioni "ex Scriptura", "ex Traditione",

"ex Ratione";la presentazione genetica delle dottrine cristiane, metodo proposto dal Vaticano II;la reinterpretazione continua del Vangelo e della fede battesimale (ved. l'introduzione

al mio "Dio salvatore nei Padri della Chiesa, Roma 1986).La differenza consiste nel fatto che la Patrologia fondamentale non espone in primo

luogo le dottrine, ma le testimonianze letterarie. Più esattamente si tratta in essa del contesto della letteratura cristiana, il quale costituisce senz'altro la testimonianza più importante dell'evoluzione dogmatica. Non si tratta pertanto di dottrine, ma di documenti nel loro contesto.

3) Storia della teologia.

La storia della teologia è la storia del lavoro o del metodo teologico, non è la storia delle dottrine stesse. La differenza con la Patrologia fondamentale consiste nel fatto che questa non studia le caratteristiche della teologia dei padri, ma le condizioni del loro lavoro teologico, come ce le fa capire la letteratura cristiana antica. Non è in questione la formazione dell'intellectus fidei, ma il contesto della letteratura, la quale attesta, fra l'altro, la formazione della teologia. Ved. il mio "La riflessione teologica nella Chiesa Imperiale, Roma 1989.

4) Storia della letteratura antica.

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La storia della letteratura antica è la storia della letteratura greco-latina, compresa quella profana, o, se si vuole, solo cristiana. La differenza con la Patrologia fondamentale consiste nel fatto che questa non riguarda 'tutta' la letteratura antica del periodo. D'altra parte, fa molta attenzione al il contesto ecclesiale. Anzitutto possiede un oggetto formale diverso che è il suo orientamento teologico. E' una preparazione alla teologia sistematica. Sceglie pertanto i suoi temi per interesse teologico.

C. I limiti cronologici e geografici.

1. Cronologia : dal 400 al 450.L'anno 450 è fissato per convenienza come la fine dell'età patristica. - Altri fissano la

data altrimenti. 2. Estensione geografica : l' Oikoumene. Le Chiese orientali non bizantine però non

vengono considerate. Per queste ultime si veda:W.HAAG, Armenien: TRE 4(1979)40ss; C.MÜLLER - G.DETLEF, Geschichte der

Orientalischer National-Kirchen: Die Kirche in ihrer Geschichte I/D,2, Göttingen, 1981; J.COMAN, Efforts et réalisations des Pères Arméniens aux IVe et Ve siècles: Stud. Buc. 25 (1975) 5-11.

PARTE PRIMA: LA SITUAZIONE "ESTERNA" DELLE CHIESE NEL SECOLO QUINTO

1. Introduzione

Non si tratta di presentare in questa sede tutta la situazione storica delle Chiese cristiane nella prima metà del secolo quinto. Dobbiamo lasciare questo compito alla storiografia ecclesiastica. E' importante piuttosto rilevare i punti più emergenti di quel periodo storico in vista di uno studio approfondito della letteratura cristiana di quel tempo e d'indicare nello stesso tempo come si portrebbe approfondire ulteriormente questi aspetti fondamentali di quel periodo.

Per far capire ancora meglio lo scopo di questa prima parte, conviene premettere qualche osservazione preliminare sui diversi approcci possibili nel presentare la letteratura cristiana di questo periodo.

Questi approcci diversi saranno indicati nella bibliografia immediatamente seguente, con studi dedicati all'epoca storica, affrontata con criteri diversi, e con studi dedicati al problema dei criteri stessi con cui chiamare l'epoca.

Tali studi sono da raccomandare in modo speciale per una ricerca ulteriore.

1. I diversi approcci possibili.

Una presentazione del contesto della letteratura cristiana che ci interessa, può mettere l'accento

1) sugli sviluppi storici dell'Impero Romano, compresi gli aspetti culturali ed economici.

2) Inoltre si può prendere in considerazione particolare la civiltà greco-romana, con gli aspetti politico-militari che l'accompagnano.

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3) Infine si può guardare in primo luogo l'evoluzione della Chiesa in quanto condizionata dai fatti politici e culturali dell'epoca, facendo magari più attenzione allo sviluppo della Chiesa Romana, ossia al Papato.

2. Osservazioni preliminari sull'Antichità tardiva.

a) Il concetto di "SPÄTANTIKE" o di "Basso Impero".

Il periodo che va dal 400 al 500 appartiene ad un'epoca che viene spesso circoscritta come tempo del declino di Roma, come tempo in cui l'Impero Romano, arrivato alla sua fine, si è spento, ed in cui il Medio Evo ha preso il suo inizio. Questo concetto richiede però qualche riserva, perchè sembra troppo preoccupato da considerazioni determinate dalla situazione politica.

1) Considerazioni troppo determinate dalle condizioni politiche.Si fa attenzione soprattutto ai fenomeni seguenti: declino del potere politico

dell'Impero Romano, disorganizzazione dell' amministrazione statale, barbarizzazione. - Il criterio che sottostà a questa presentazione è l'unità politica del primo e secondo secolo, cioè il criterio della scissione in due parti dell'Impero, della fine della monarchia occidentale e l'apparizione dei Regni Germanici.

Tuttavia in questo periodo ci sono aspetti positivi che possono essere presi in considerazione, se non usati come criteri: il terzo periodo della letteratura latina (Brown); l'arte figurativa di Roma, Ravenna, Costantinopoli e Gerusalemme; la liturgia (Marrou NHE 485-488).

Il giudizio storico su questo periodo risente di un radicato pregiudizio negativo (da Gibbon, nel 1700). Dal punto di vista degli studi classici-storici, dopo il 1300 si parla di un periodo di declino. La teologia patristica ha invece sempre considerato questo come un periodo di grande interesse, diversamente dalle facoltà di lettere classiche e storia. Negli anni 60-70 si assiste ad una rinascita di interesse da parte di queste ultime. Per un riassunto della problematica vedi: CRACCO RUGGINI (bibl.); S. D'ELIA, Il problema della periodizzazione fra tardoantico e alto medio evo, in: La cultura in Italia fra tardoantico ed alto medio evo, Roma, Herder 1981. D'Elia discute la letteratura degli anni 60-70 sul tema della rinascita di interesse per il nostro periodo. Nella storiografia moderna si studia soprattutto la socioeconomia: dopo il III secolo scompare la schiavitù, si afferma una forma prefeudale, abbiamo moti insurrezionali dal basso. Un altro filone di studi (MOMMSEN et al.) si occupa del rinnovamento del quadro delle provincie tra i secc. 2°-3°: i rapporti tra romanizzazione e resistenze locali, il mondo degli indigeni e delle loro culture, la crisi dell'impero vista come risultato delle lotte di classe dei contadini contro l'aristocrazia.

Noi oggi possiamo guardare il V secolo senza pregiudizi, oservando lo sviluppo dei vari gruppi etnici e l'arrivo dei Germani. Parimenti assistiamo ad un interesse maggiore degli studiosi "laici" per la letteratura cristiana del periodo, per il metodo dell'allegoria teso a "sovvertire" il modo tradizionale di leggere un testo. I Padri vengono considerati personaggi eccezionali non soltanto per l'aspetto religioso, ma anche per quello culturale e letterario: è il periodo aureo della patristica, che vede la nascita di nuovi generi letterari (catechismo, confessiones), mentre declinano la politica e la cultura convenzionali. La controversia donatista non viene più vista solo a partire dagli aspetti sociali, ma anche da quelli culturali ed ambientali.

2) Considerazione troppo influenzata dal punto di vista occidentale.Infatti si possono vedere le cose da punti di vista differenti che non l'occidente. Per

l'Occidente e' la fine dell'Impero (l'ultimo Imperatore e' deposto nel 476) e l'inizio dei

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Regni Germanici indipendenti. Ved. il Mommsen, che parla anche di inizio del Medio Evo, per questa eta'.

Per l'Oriente e' l'inizio dell'Impero Bizantino, o meglio e' il passaggio organico dell'Impero Romano a questo. Ved. il Beck. Ma non c'e' nessuna cesura. L'unita' politico-culturale continua fino al 1453. Ved. K.Christ, 253, ed anche J. Meyendorff, Byzanz: TRE 7 (1980) 500-531.

3) Dal punto di vista ecclesiastico si parla addirittura di età d'oro.Perciò vi sono, per questo periodo, altre denominazioni meno negative, da preferire,

come: Spätantike, Bas Empire (Basso Impero), Antichita' tarda. L'origine di questi concetti si deve riconoscere nella storia dell'arte e nel punto di vista ecclesiastico (vedi più sotto). Troviamo però ancora oggi le parole di "declino" e di "tramonto", ad esempio in Mazzarino e in Vogt.

Queste spiegazioni sono fondamentali per la valutazione della storiografia rispettiva, specialmente di quelle opere che intendono spiegare il "declino" di Roma con l'influsso "nefasto" del Cristianesimo. Ved. specialmente GIBBON, History of the decline and fall of the Roman Empire" (1776-1780).

b) I limiti cronologici divergenti dei fenomeni storici.Nell'introduzione generale abbiamo già detto che ogni ripartizione cronologica deve

essere necessariamente elastica. Questo vale anche nel senso che i fenomeni storici che caratterizzano un periodo, né cominciano né finiscono con lo stesso periodo storico. Nel caso nostro: separazione ufficiale fra Oriente e Occidente: 395 (dopo la morte di Teodosio) - ultima reazione politica dei pagani, almeno a Roma: 390 - l'età patristica grande : prima del 400 - lo Stato Bizantino : tempo di Giustiniano oppure tempo di Costantino - distinzione fra Stato e Religione: Papa Gelasio (+ 496).

2. Le condizioni politiche.

I. La divisione dell'Impero Romano

Il fatto politico più emergente è la divisione definitiva dell'Impero, accaduta dopo la morte di Teodosio I (395).

La divisione giuridica sotto Diocleziano (riforma dell'Impero), e le divisioni che durante il quarto secolo si sono susseguite per ragioni diverse, con le amministrazioni e politiche diverse, con sviluppi economici diversi (l'Oriente con i suoi centri commerciali e portuali, più forte che l'Occidente con la sua economia agricola), avevano certamente preparato da molto tempo questa scissione. Però dal 395 in poi si è sviluppata una opposizione crescente tra le due parti.

Ved. H.I. Marrou, NHE 373: "... de 395 à 408 les deux moitiés apparaissent non plus seulement séparées, mais antagonistes, voire en conflit ouvert. Après eux l'unité ne sera jamais plus rétablie que de facon toute provisoire ou fictive". E sono da tenere presenti le rivendicazioni del potere da parte dei Bizantini fino al settimo secolo.

II. Le invasioni germaniche

Il fatto della divisione è da vedere in stretta connessione con le invasioni germaniche del quarto e del quinto secolo.

Da una parte la divisione politica in se stessa ha condotto ad un comportamento divergente nei riguardi dei popoli invasori. A Costantinopoli, ad esempio, non si

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prendeva soltanto una posizione ostile verso i mercenari stranieri, dopo averli tollerati, se non desiderati, ma si cercava pure di deviare verso l'occidente i popoli che stavano per invadere il proprio territorio (Ved. Marrou 374; Christ, Untergang 5). Così l'Oriente si è in qualche modo rifatto della sconfitta di Adrianopoli (378), che aveva iniziato una nuova politica verso i Goti, poiché essi poterono occupare le regioni tra il Danubio e le montagne balcaniche come federati dell'Impero.

Se da una parte le invasioni (o immigrazioni) sono avvenute in conseguenza della divisione dell'Impero, d'altra parte hanno confermato la sua divisione come una scissione, creando situazioni politiche diverse soprattutto in Occidente (Ved. Grant: inizio di una collaborazione; maggioranza però antigermanica).

Prima di tutto è avvenuta l'occupazione di tante città occidentali, come è avvenuto per la stessa "Urbe" nel 410. Poi è seguita la distruzione del potere politico, con la deposizione dell'ultimo Imperatore Romano, nel 476, da parte di Odoacre, ed insieme la crezione di Stati indipendenti, sempre nelle regioni occidentali.

In Oriente l'Impero diventa "Bizantino", mentre la parte occidentale dell'Impero sparisce completamente, cedendo ai nuovi Stati, che iniziano l'ordine politico tipico del Medio Evo occidentale.

III. Le conseguenze culturali ed ecclesiastiche

1.La separazione culturale, iniziata già nel quarto secolo, si rinforza.I Greci, che non avevano mai tenuto in gran conto la cultura latina, eccetto che per i

campi giuridici, militari e tecnici, e non imparavano quindi la lingua latina se non eccezionalmente, si distaccano ancora di più.

I Latini dal canto loro creano una letteratura sempre più indipendente. Non imparano più il greco (vedi i casi Ambrogio, Agostino, Leone, nonché la testimonianza di Orosius sulla necessità d'interpreti: Lib.Apol.6,1). Esiste però in qualche parte un classicismo fino al s.VI. In Oriente invece il latino come lingua ufficiale viene abolito nel 438.

Del resto è da notare che in Occidente la civiltà classica soffre, in genere, sotto le invasioni germaniche, anche se con qualche diversità a seconda delle regioni e comunque non ancora tanto gravemente come dopo il 450 (Marrou NHE 461-471).

2. Sul piano ecclesiastico la separazione crescente delle due parti dell'Impero favorisce, in vari campi, sviluppi diversi, già divergenti per altre ragioni:

- liturgia: sviluppo delle grandi liturgie, secondo le sedi principali- teologia: orientamento teologico diverso, secondo la diversa mentalità, come ad

esempio per la Cristologia o per l'antropologia, con Pelagio- gerarchia: l'organizzazione è diversa a seconda della posizione diversa delle capitali

di Roma e di Costantinopoli; per il primato, vedi il Sinodo "Endemousa" ("residente") , ma anche il ruolo dei vescovi è diverso, perché gli occidentali sono costretti ad occuparsi, in misura ben maggiore, di problemi civili (cfr. Bibl. par 3; il caso dell'audientia episcopalis).

3. Le condizioni sociali e culturali.

Introduzione.

La situazione esterna delle Chiese del secolo quinto si distingue anche per il fatto che le comunità cristiane costituiscono ormai un fattore sociale e culturale importantissimo, e che d'altra parte esse stesse sono più aperte agli influssi esteriori. La simbiosi della

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vita ecclesiastica e di quella sociale e culturale è quasi completa. In questo senso, malgrado la divisione dell'Impero Romano, possiamo parlare a maggior ragione della "Chiesa Imperiale". Diventa difficile determinare quale sia la frontiera Chiesa/Società. Per noi moderni è assai difficile capire come, in questo secolo, per un semplice uomo (ma anche per un vescovo!) fosse impossibile pensarsi al di fuori dell'impero romano (cfr. la difficoltà nell'abbandono totale dei riti pagani). La Chiesa imperiale non è ancora completamente formata (cfr. Aug., epp. 54-55), e la teologia politica è assai povera rispetto all'ideologia della Roma aeterna: mancano anche i gesti ed i simboli liturgici per esprimere cristianamente il concetto della salus patriae.

I. La propagazione della fede cristiana

Nel quarto secolo la libertà ufficialmente concessa alla religione cristiana ("religio licita" sotto Galerio e poi sotto Costantino) ha indotto, come è ben noto, ad una propagazione più diffusa della fede. Questa evoluzione non si è effettuata nello stesso modo in tutte le parti dell'impero:

In Occidente: l'attività missionaria inizia generalmente più tardi e si estende di meno. Con Martino di Tours si ha la missione anche nella campagna. Da notare la parola "paganus". A Roma l'aristocrazia si converte solo verso la fine del secolo quarto1

(Dodaro non accetta in pieno questa affermazione, ed invita a distinguere tra la cristianizzazione della città di Roma e quella della classe senatoria).

In Oriente: l'attività missionaria avviene più presto ed è più generale. La Chiesa diventa più popolare, specialmente a Costantinopoli.2, e comprende pure molti centri di campagna. Da tenere presente che l'Oriente è molto più popolato.3.

Comunque, verso il 450, i cristiani sono in maggioranza in tutte le regioni dell'Impero. Fuori dell'Impero non constatiamo nessuna attività missionaria da parte dei cristiani romani, eccetto che da parte dei Goti cristiani e delle chiese orientali 4.

Questa mancanza si spiega con due fatti: i Romani consideravano i non-romani come barbari ed eretici, e le possibilità delle Chiese locali erano relativamente limitate.

Ugualmente è da notare che non si fa nessun tentativo per convertire gli Ebrei. Si polemizza piuttosto fortemente contro di loro, come fanno Crisostomo, Agostino, eccetera. Tuttavia non è sempre facile distinguere se la polemica è diretta contro ebrei o contro giudeo-cristiani. Da parte dei giudei stessi c'è una attività missionaria fino al quinto secolo.

II. La reazione pagana

Il passaggio della Chiesa cattolica allo stato di religione statale (si veda anzitutto il decreto dei tre Imperatori del 380), non è avvenuto senza resistenza da parte dei pagani. Questa reazione è stata meno forte in Oriente: vedi Libanios ( + 393), Eunapios ( + 420), la scuola di Atene (chiusa nel 529).

In Occidente invece incontriamo, prima del 400, una reazione assai forte da parte dell'aristocrazia romana (famiglie senatoriali). In un primo momento si ebbe una azione politica, il caso della statua della Vittoria nella Curia Romana e il contrasto fra Simmaco ed Ambrogio. Dopo il 394 (sconfitta di Eugenio al Frigidus) si ebbe un atteggiamento più riservato, di "emigrazione spirituale", con la difesa dei valori

1 Vedi PIETRI2 Vedi BROWN3 Vedi Mc SHANE, 12.4 Vedi BAUS, 232 ss; PODSKALSKY

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tradizionali soprattutto attraverso la letteratura5, con l'"Historia Augusta" e con la critica culturale dei cristiani6. Questa reazione si spiega con motivi diversi:

1. i pagani perdono i loro privilegi ("Collegia sacerdotalia" eccetera), anzi vengono proprio perseguitati da parte del potere ed anzitutto da parte dell'opinione pubblica7;

2. ostilità aperta da parte dei cristiani: vedi la distruzione dei templi e l'uccisione di Ipazia, filosofa ad Alessandria, nel 415;

3. mancanza di interesse politico-militare di certi ceti cristiani, che si fanno vescovi o monaci per sfuggire ai compiti civili, del resto spesso molto pesanti8;

4. il tradizionalismo pagano: Roma aeterna. In Prudenzio continua questo locus communis: vuole convertire l'ideologia politica, e questo avrà conseguenze anche per la teologia (Introduzione della festa dei SS. Pietro e Paolo, che offre lo spunto, ad es. in Aug., per parlare in chiave cristiana della grandezza di Roma, presente anche nelle este dei martiri romani).

III. La cristianizzazione della vita sociale

La cristianizzazione del mondo romano è stato un processo lungo e complesso. Tra le strutture della vita sociale constatiamo la formazione di gruppi sociali nuovi, di una certa importanza:

- il clero, specialmente i vescovi, ai quali viene concessa la "audientia", la capacità giuridica di far da arbitri in certe cause, e che ottengono nelle difficoltà causate dalle invasioni una posizione civile piuttosto elevata; non arrivano però ad essere "defensores civitatis" (vedi più sotto);

- i monaci, poiché i monasteri divengono un fattore economico (vedi le polemiche pagane contro il monachesimo, sostenute qualche volta da certi ambienti ecclesiastici).

Tuttavia, nell'insieme, le strutture sociali rimangono le stesse, compresa la schiavitù, con gli "ordines" e i "collegia". Gli influssi sulla legislazione in proposito sono poco importanti.

Più grandi invece sono gli influssi da parte della predicazione e del ministero pastorale, sul matrimonio9, sul rapporto fra ricchi e poveri10 sulla frequenza al teatro.11

Lettura di un testo di Agostino (de civ. dei 5,25)

Il tema di questo testo riguarda la responsabilità dei cristiani nel declino politico dell'Impero. Il de civitate Dei viene scritto dopo che Agostino ha ricevuto la notizia del sacco di Roma da parte di Alarico (410), in risposta alle critiche pagane che accusavano i cristiani di aver indebolito il patriottismo romano.

V,24: Agostino presenta l'immagine dell'imperatore cristiano ideale, in un testo che sarà famoso per tutto il medioevo.

V,26: chiude la I parte con l'esempio di Teodosio, facendo uso del genere letterario del panegirico. Per BROWN-MARCUS gli ultimi capitoli del V libro sarebbero tra i brani più scadenti del de civitate Dei, un panegirico abbozzato e superficiale, se paragonato ai testi di Ambrogio e Prudenzio riguardanti il medesimo imperatore. Non possiamo accettare la loro tesi, perché non si spiegherebbe come Agostino abbia potuto

5 Vedi MACROBIO6 Vedi l'Epistula Volusiani ad Augustinum, e Rutilus.7 Vedi BAUS 225 ss.8 Vedi GRANT, 223: sul servizio militare ,e 190-200: i monaci i monaci.9 Vedi BAUS, 411-418; Vedi PIETRI10 Vedi BAUS, 424 ss.: organizzazione della carità lasciata alla Chiesa, anche PIETRI11 Vedi BAUS, 423 ss.

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inserire brani tanto scadenti alla fine del V libro, che è di importanza fondamentale. Cerchiamo dunque di porre le domande giuste al testo in questione.

Alla fine del suo panegirico, Agostino menziona la strage di Tessalonica del 390: "E che cosa è più ammirevole della sua religiosa umiltà? da alcuni a lui vicini era stato spinto a punire Tessalonica, nonostante avesse promesso ai vescovi di essere clemente. Colpito da censura ecclesiastica, fece penitenza con tale impegno, che il popolo ebbe più dispiacere per l'umiliazione della maestà imperiale che timore per la sua ira..."

Agostino ridimensona l'ideale politico cristiano e rompe con quello rmano più di quanto sia stato finora notato. Egli include la penitenza fra le res gestae dell'imperatore, anzi, la dichiara mirabilius delle alte sue imprese. La sensibilità classica qui si sente subito a disagio: la penitenza non è una virtù imperiale. Agostino rompe con la forma letteraria del panegirico classico: da questo punto di vista l'elogio non è solo un'esaltazione del vescovo cristiano a discapito dell'imperatore cristiano (quesa è invece la motivazione di Ambrogio, secondo BOWERSOCK, From Emperor to Bishop: The Self-Conscious Transformation of Political Power in the Fourth Century A.D., "Classical Philology" 81 (1986) 298-307), bensì costituisce un forte richiamo ad un ideale politico alternativo a quello dell'epoca. La penitenza pubblica rivela la religiosa humilitas dell'imperatore: così Agostino rompe sia con l'ideale imperiale classico sia con quello pelagiano.

Il testo va dunque letto: - nel contesto dei panegirici classici- nel contesto degli altri AA. classici (Prudenzio, Orosio,

Ambrogio, Quodvultdeus)In seguito il testo va considerato dal punto di vista dell'antropologia pelagiana.

L'opera di cui stiamo analizzando un brano fu scritta tra il 411(12) ed il 428. Il libro V è databile al 415 ca., e sarebbe quindi contemporaneo alle prime opere antipelagiane: va dunque analizzato insieme a tali scritti. Il rifiuto della gloria umana per Agostino è in vista della gloria Dei, mentre Pelagio insisteva sulla capacità dell'uomo di fare il bene ed evitare il male, avendo così il possesso ed il dominio delle virtù cristiane e politiche.

Agostino accusa i pelagiani di autoesaltazione, ed anche nel de civ. Dei notiamo il tema del rifiuto della gloria umana. Probabilmente, data la vasta diffusione degli scritti pelagiani, egli intende opporsi anche ad un esplicito appoggio che l'etica pelagiana offriva alla teologia imperiale.

La letteratura panegirica su Teodosio è posteriore al fatto di Tessalonica. Prudenzio ed Orosio mostrano una chiara tendenza a dimenticare la strage, per presentare Teodosio come optimus princeps dell'ideologia politica romana (cfr. Cicerone). Agostino critica questa visione, come pure le tesi di Cicerone, che ne è l'ispiratore. Anche Ambrogio, fonte di Agostino, si conforma alla tendenza a presentare Teodosio come exemplum virtutum secondo lo schema della laudatio funebre. Per Agostino la penitenza indica una mancanza di virtù: imperatore cristiano ideale è colui che si riconosce peccatore e prega il Signore per ottenere il perdono dei propri peccati.

4. La chiesa e l'impero romano.

Introduzione.Il rapporto tra la Chiesa e l'Impero Romano (Stato o potere politico), costituisce

senz'altro la caratteristica più emergente della situazione esterna del Cristianesimo nel secolo quinto. Ma è forse anche la realtà più complessa. Non è facile presentare in poche pagine in quale misura la cosiddetta "età costantiniana" si sia sviluppata nelle intrecciate vicende del nostro periodo. Per la prima volta dei vescovi romani, come Leone e Gelasio, prendono posizioni di principio che annunciano già il Medio Evo

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occidentale. La nozione di stato non appartiene al mondo antico, ed in questo senso non si può parlare di un rapporto Chiesa/Stato: ci manca un vocabolario preciso per esprimere le relazioni tra la res publica e l'ecclesia. Il concetto di res publica è difficile da spiegare: possiamo definirlo come sfera degli affari pubblici (cfr. studio di FRASCHETTI nella bibliog. di Dodaro). Fraschetti sottolinea che tra il 4 ed il 5 sec. gli spazi politici sono spesso uniti a quelli sacrali, e tende a respingere la tesi di Pietri che parla di una roma cristiana. Per i pagani una cerimonia religiosa doveva avere anche un carattere pubblico, e viceversa. Prima del sacco di Roma vi fu il tentativo di compiere dei riti pagani (come già avvenuto in Tuscia) per scongiurare il pericolo. Non abbiamo prove che papa Innocezo accolse questa richiesta, e normalemnte si adduce l'argomento della proibizione (380) di ogni rito pagano da parte di Teodosio. Ma in realtà la situazione era più complessa. Papa Innocenzo avrebbe permesso che i riti pagani si svolgessero in segreto perché voleva anteporre alla sua fede personale la salvezza di Roma: non era pagano, ma poteva riconoscere la validità di uno spazio per il paganesimo. Secondo Fraschetti, il fatto che s. Giovanni in Laterano fosse costruito fuori dal recinto sacro delle mura significa che i cristiani riconoscevano una certà validità allo spazio civile/sacrale pagano, e non volevano forzare la mano in questo senso. Non avrebbe dunque senso dire che il cristiaesimo divenne religione ufficiale dell'Impero. Nella lettera 107 (403), Girolamo, lontano da Roma da 20 anni, celebra come un trionfo del cristianesimo il fatto che i luoghi più rappresentativi della Roma pagana (Campidoglio, templi) venissero trascurati, e che il centro dell'attenzione si spostasse sulle tombe dei martiri, ma per il Fraschetti il Campidoglio ebbe ancora per molto tempo un'importanza rilevante, dato che la prima chiesa romana costruita nel recinto sacro si ebbe solo alla fine del VI sec.

La posizione di Fraschetti va accostata all'episodio dell'ara della Vittoria: rimossa da Graziano, ne venne richiesta la ricollocazione a Valentiniano II, e si ebbe (382-4) l'intervento di Ambrogio contro Simmaco. Questo episodio non permetterebbe allora di parlare di una Roma cristianizzata: nell'Urbe i valori e le espressioni della vita e della cultura romano-pagana hanno sempre interagito. Secondo Dodaro è dunque importante la tendenza attuale a riesaminare la questione della Roma cristiana, accettando una visione della storia più problematica di quanto si è ritenuto finora (cfr. anche gli studi sul XVI libro del Codex Theodosianus).

In de civ. Dei I-X il tema del Christus sacerdos risponde e corrisponde all'idea del sacerdote pagano, inseparabile dagli ambiti politico e religioso. l'opera di Aug vuole rispodere alla concezione religiosa del tardo impero, ben diversa da quella dell'epoca classica. Aug rifiuta il paganesimo classico, e non quello della sua epoca: il culto pagano ha infatti continuato a sopravvivere nella mente delle persone, idealisticamente. La polemica di Aug si rivolge allora al tentativo di retaurazione del paganesimo classico, compiuto nel V secolo dai pagani più colti.

I. La "Chiesa Imperiale"12

Sotto Teodosio (+ 395), la Chiesa cattolica, cioè quella di Damaso di Roma e di Pietro di Alessandria, diventa religione ufficiale. Questo è il risultato della evoluzione avvenuta durante il quarto secolo13. Tale sviluppo si spiega, da una parte con la credenza nell'ordine divino, passato ormai dalla 'devotio' verso le divinità dell'Impero alla 'fides' nel Dio dei cristiani; d'altra parte la Chiesa è una organizzazione attraente, un fatto sociale cui gli stessi imperatori non possono non prestare attenzione14. Ma questo passaggio dalla plebs romana alla plebs Dei non è così totale come dice l'approccio

12 Per il concetto e la sua problematica , vedi: BAUS, II., 91 ss. MARTIN, J., "Reichskirche": LThK 8 (1963)13 Vedi Mc SHANE, 61-68 o ancora meglio PIETRI14 Vedi CHRIST, 252; Vedi KRAFT, H., "Vita Constantini".

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convenzionale a questo periodo (fino circa al 1980). la situazione non è così ben delineata.

La convivenza stretta fra Chiesa ed Impero, che s'impone ormai nel quarto secolo, significa concretamente che l'imperatore, rappresentante dello Stato, professa la fede cattolica, convinto che il suo impegno cristiano gli assicura pure il successo sul piano politico e militare. Privilegi ed aiuti sono prestati alle attività ecclesiastiche, come edifici di culto e di rappresentanza (cfr. l'esclusione delle confessioni non cattoliche nel codex Theodosianus. Ma le attività religiose dei non cattolici continueranno ascostamente per tutto il V secolo, e l'epigrafia mostra tracce pagane fino al Vi secolo, periodo nel quale in Africa il Donatismo continua anche sotto i Visigoti). Ciò anzitutto nel secolo quarto. Nel secolo quinto avverrà a Ravenna. San Paolo di Roma. Sono escluse le confessioni non-cattoliche, come i pagani, gli eretici, specialmente ariani e manichei, ebrei15. La Chiesa, dal canto suo, riconosce lo Stato concreto come il suo ambiente sociale, voluto da Dio. Offre la preghiera, il sostegno morale e riceve una certa direzione nella legislazione e nei "sinodi".

Rischi in questa coesistenza, ce ne sono e si vedono subito nei contrasti e nei confronti:

nell'Occidente: Ambrogio16, prima del 400; Gelasio17, dopo il 450; nel nostro periodo Papa Leone riconosce il potere statale, il diritto dell'imperatore di convocare il Concilio, anzi cerca la collaborazione del potere civile nella lotta contro l'eresia (i manichei)18; Agostino è più riservato nei confronti dell'Impero (gli Dei non assicurano né i beni materiali né i beni spirituali), e non mancano critiche nel suo "De Civitate Dei", nondimeno cerca l'appoggio dello Stato contro i Donatisti (dopo qualche esitazione19), e poi contro i Pelagiani.20 Come Aug ha inteso il confine autorità politica/autorità religiosa? Mai egli chiese l'aiuto dello stato contro ebrei e pagani, ma non è chiaro il suo atteggiamento. Forse egli chiese l'intervento civile quando si trattava di discordie intraecclesiali, ma allora quale era lo status delle autorità civili all'interno della Chiesa? Per Aug anche il magistrato cristiano aveva una vocazione ecclesiale: il suo intervento era allora inteso come intervento statale? La teoria della Chiesa imperiale andrebbe allora ridimensionata: può servire come modello, ma i testi possono offrirci nuove letture della situazione storica concreta.

nell'Oriente: il potere imperiale prende un posto molto più importante: si veda la vicenda del Sinodo "endemousa", nei pressi della Corte; anche qui però ci sono le reazioni, come nella vita di Giovanni Crisostomo.

II. La legislazione civile e canonicaNel nostro periodo (429-438) avviene la codificazione del diritto civile, sotto

Teodosio II (fine del 438)21. Da notare che questa codificazione comprende anche leggi di carattere religioso22. Nello stesso tempo sono avvenuti degli sviluppi importantissimi nel diritto canonico:

15 Vedi il "Codice Teodosiano" in: KIRCH, 828.16 Vedi PALANQUE17 Vedi WINKELMANN, Gelasius I, Stuttgart 1982.18 Vedi Mc Shane; Vedi STOCKMEIER e, per i Papi precedenti, PIETRI19 Vedi FREND20 Vedi O.Wermelinger, Rom und Pelagius, Stuttgart 1975.21 Vedi CHRIST, 265 ss; Buon riassunto anche in Mc SHANE, 243 ss.22 Vedi KIRCH ,280 ss; Vedi MIRBT; Vedi ALAND; Vedi DE GIOVANNI

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Diritto sinodale, dal Concilio di Calcedonia23, dal Concilio di Orange I e II, con lettere di vescovi riconosciute come canoniche, tipo quelle di Atanasio e di altri. Iniziano così le collezioni di diritto sinodale24.

Diritto decretale (=papale): da Damaso in poi, o, come tutti riconoscono, da Siricio in poi, avviene uno sviluppo del diritto papale o decretale25. 333-337 collezioni fine secolo V. 334: due raccolte prima di Leone, come è detto nell'epistola 4,5.

In tutto questo sviluppo del diritto ecclesiastico, sia sinodale che decretale, gli influssi del diritto civile e della giurisprudenza civile sono ovvii. Lo si nota nei procedimenti dei sinodi, nella composizione e nella diffusione degli atti sinodali, nella corrispondenza fra Papa e Vescovi, nel modo di procedere, nella terminologia, nella struttura delle lettere, eccetera. L'influsso del diritto romano sulla teologia dei PP andrebbe più studiato (ad e. termini come disciplina ecclesiastica, iuris peritus...). La teologia assume alcune caratteristiche dell'ideologia imperiale, del tradizionalismo e del formalismo romano. Notare anche il titolo cristologico Christus imperator.

III. L' ideologia politica della 'Roma aeterna'Difendendosi contro gli influssi crescenti del Cristianesimo, l'arisrtocrazia romana,

molto conservatrice, sviluppa , verso la fine del quarto secolo, gli ideali del patriottismo romano, la "Traditio maiorum", ed esalta anzitutto la grandezza di Roma, punto culminante di ogni cultura, "Urbs sacra et aeterna".

Dopo l'estinzione del paganesimo i cristiani riprendono questo ideale, parlando della "Roma Christiana", della gloria di Roma, garantita dalla presenza di Pietro e di Paolo, anzi della "Roma recreata" (così Papa Leone)26. Incontriamo questo patriottismo romano in Ambrogio, Prudenzio, anche in Gerolamo, con certe riserve in Agostino ("Theodosii tempora christiana"), e finalmente in Leone Magno. Da notare che i cristiani riprendono, assieme a questo ideale, anche l'antigermanesimo del tempo27: la "barbariae", la "gotonia".

Nell'Oriente incontriamo uno sviluppo simile. Costantinopoli diventa la "Nuova Roma". Tuttavia due differenze considerevoli ci sono:

- la partecipazione stretta del popolo a tutta la vita della Corte28,- la presenza dell'Imperatore, considerato come "vicario di Cristo"29.Dodaro condivide l'importanza del motivo della Roma aeterna nei PP occid., ma

sottolinea le differenze. Agostino (de Civ. Dei V,26) pone l'accento sulla penitenza pubblica e la religiosa humilitas di Teodosio: cerca di distanziarsi da Ambrogio e Prudenzio nell'esaltazione della figura del principe cristiano, ma nello stesso tempo insiste sul patriottismo romano cristianizzato (Pietro e Paolo). Prudenzio, invece, esagera quando parla di Teodosio come di un novello san Lorenzo, perché ambedue hanno scacciato i demoni e gli idoli da Roma. Si rischia dnque di utilizzare acriticamente l'ideologia della Roma aeterna per motivi apologetici: convincere pagani e cristiani della continuità tra la Roma pagana e quella cristiana, per ricercare sicurezza e salus patriae contro i barbari. Dalla corrispondenza tra Agostino e Volusiano si evince che i pagani non erano convinti della capacità dei cristiani di governare l'impero; questi ultimi ribadivano invece la loro possibilità di esprimere governanti in grado di curare la salvezza dell'impero.

23 Vedi KIRCH,941 ss.24 Vedi ALTANER, paragrafo 63, su Marius Mercator, i canoni africani e gallicani, eccetera. E le edizioni del MUNIER: CCL25 Vedi PIETRI; Mc SHANE; nonché QUASTEN, III, 564 ss. ...: Letter26 Vedi Mc SHANE ,105/7.27 Vedi Mc SHANE, 27 ss.28 Vedi BROWN29 Vedi HAELING: pagani, tradizione più religione spirituale.

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CONCLUSIONI GENERALI DELLA PRIMA PARTE(Conseguenze per lo studio della letteratura cristiana) Alla fine di questa presentazione molto schematica della situazione esterna della

Chiesa del secolo quinto, conviene rilevare brevemente l'importanza di questi fatti storici per la letteratura cristiana di quel periodo in genere e per certi suoi campi particolari. In gran parte queste conclusioni saranno da approfondire nei paragrafi rispettivi della nostra iniziazione alla letteratura cristiana del secolo quinto, però non sarà inutile mettere già adesso in evidenza le cause politiche, culturali e sociali di certi suoi aspetti, che così si possono suddividere:

1. Necessità di una apologetica anti-pagana.Davanti alla resistenza del paganesimo morente, gli autori cristiani saranno costretti a

difendere la fede cristiana e a controbattere le accuse degli ambienti intellettuali pagani, accuse in parte vecchie, riprese da Profirio e da altri, in parte nuove o sempre attuali (sulla incarnazione e sulla resurrezione). Questo sarà necessario anzitutto dopo il sacco di Roma del 410, considerato dai pagani come castigo da parte degli Dei traditi.

Fra gli apologeti sono da ritenere in primo luogo Agostino, con il "De Civitate Dei", e la lettera 137; Cirillo con il suo "Adversus libros athei Juliani"; Teodoreto con il suo "Graecarum affectionum curatio", ma anche Orosio e Salviano, con le loro opere storiche

2. Necessità di una predicazione morale.La fine del paganesimo ufficiale, ed anzitutto la trasformazione cristiana della vita

culturale e sociale, si sono realizzate con un processo lento e lungo. In questo contesto incontriamo la predicazione morale dei Padri contro il teatro, i giochi (legati strettamente al culto dell'imperatore), l'immoralità pagana, la superstizione, eccetera.

3. Necessità di fornire una educazione cristiana.E' ovvio che i pastori d'anime sono preoccupati anche della cultura cristiana dei fedeli.

Tuttavia le comunità cristiane non istituiscono scuole cristiane. Si fa resistenza contro gli influssi dell'ambiente ancora pagano piuttosto con il catecumenato, con la predicazione, e anche con circoli privati. Tutto ciò è da studiare nel tema: scuola e cultura.

4. L'impregnazione culturale ed ideologica.Tutta la vita cristiana, la letteratura cristiana, ed in particolare la legislazione

ecclesiastica, sono impregnate dalle ideologie culturali e politiche dell'Impero Romano. Basta riferire i fatti seguenti:

Il messaggio cristiano viene reinterpretato in chiave politica. Così anzitutto la Cristologia: "Christus Imperator"; e la soteriologia: "Salus perpetua"30; così dicasi per la ecclesiologia31.

I documenti dogmatici e disciplinari vengono composti secondo le usanze politiche e civili: "edicta", "canone", "dogma", "constitutiones", "decretales"32. E i termini: "auctoritas", "hereditas", "principatus", "consuetudo".

Il comportamento dei vescovi e dei cristiani è in gran parte determinato da criteri e da idee politiche:

1) il patriottismo romano impedisce l'attività missionaria, ed induce ad un certo razzismo33.

30 Vedi STUDER, B., La soteriologia dei Padri, par.14 e 17.31 Vedi PIETRI, Papa e principe; Vedi Mc SHANE32 Vedi Mc SHANE, op.cit., 313 ss.: "La Chancellerie papale".33 Vedi BROWN, che considera questo fatto come causa principale del declino di Roma.

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2) Idee politiche stanno dietro le pretese delle grandi sedi episcopali, e hanno quindi un grande influsso anche sulle controversie dogmatiche. - Questo vale in particolare per la Chiesa di Roma, che, pur insistendo sul carattere apostolico del suo ruolo, s'ispira nondimeno anche ad idee politiche, come "Roma aeterna", "principatus"34.

3) L'atteggiamento politico spiega anche la grande intolleranza verso le religioni e confessioni non allineate35.

5. I contatti ridotti fra Oriente e Occidente.La necessità crescente di traduzioni (vedi più avanti), la difficoltà sempre più grande

nelle intese teologiche ed ecclesiali (vedi più avanti la cristologia e il pelagianesimo ), dicono tuttavia che ci sono ancora contatti molteplici, dovuti ai viaggi (Gerolamo, Cassiano), ai rapporti che i monaci intrattenevano fra di loro, al commercio (ad esempio tra Alessandria e Roma), ai sinodi comuni e alla corrispondenza fra vescovi (come fra Leone ed Agostino), alla delegazione romana a Costantinopoli, eccetera.

PARTE SECONDA: LA SITUAZIONE "INTERNA" DELLE CHIESE NEL SECOLO QUINTO

L'organizzazione della Chiesa locale (_ 5)I rapporti tra le Chiese (_ 6)La vita liturgica (_ 7)La predicazione (_ 8)La spiritualità (_ 9)Conclusioni

IntroduzioneDopo aver visto come le Chiese si sono inserite nel contesto politico, sociale e

culturale del secolo quinto, come cioè sono diventate fattore sociale dell'Impero Romano ed hanno nello stesso tempo subìto gli influssi dell'ambito storico, dobbiamo prendere in considerazione la situazione interna delle comunità cristiane, diventate la "Chiesa Imperiale", dobbiamo cioè studiare: la loro organizzazione locale, i legami fra di loro, la loro liturgia, il ministero pastorale, gli ideali cristiani di quel tempo.

5. L'ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA LOCALE NEL SECOLO QUINTO

I. LA CHIESA DEL VESCOVO.A. Il principio dell'unico vescovo

Il principio dell'unico vescovo in una città (principio che si è imposto anzitutto durante il secolo terzo1) viene sempre mantenuto. Un solo vescovo è responsabile per le ordinazioni, per l'ammissione di nuovi membri alla comunità, per la scomunica e la

34 Vedi PIETRI; Mc SHANE, con la bibliografia, nonché gli articoli sulle grandi città in:RAC, TRE, DHGE ed in altri dizionari.35 Vedi Oekumenische Kirchengeschichte, 145 ss.1 Per Roma, vedi DS 108 , ep... di Ce.... Per l'Occidente, vedi Cipriano.

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riconciliazione, per la vita liturgica, l'amministrazione dei beni materiali. In una parola, il vescovo è il capo autocratico della Chiesa2.

Nel secolo quinto tale principio viene contrastato da due fatti: Da una parte, l'aumento dei fedeli, nonché la fondazione di chiese e di oratori secondari, sia in città che in campagna, il che conduce ad una certa "decentralizzazione"; tuttavia, come si vede nel caso di Roma, i "tituli" dipendono sempre, sia materialmente che liturgicamente, dal vescovo, come dimostra, ad esempio, la consacrazione di Santa Sabina, fatta costruire da un presbitero ma consacrata da Celestino I, ossia l'uso del "fermentum sacrum" 3. Dall`altra, si incontra una certa contestazione teologica della differenza tra l'Ordine episcopale e l'Ordine presbiterale; così si legge in Ambrosiaster e in Gerolamo4. Il fatto è stato importante anche per lo sviluppo ulteriore della dottrina sul carattere sacramentale dell'episcopato, questione ancora discussa e poi risolta durante il Vaticano II.

B. La conferma della legislazione canonicaLa legislazione canonica, concernente il governo della comunità, risale al Concilio di

Nicea (325), il quale ha sancito le consuetudini esistenti: consacrazione episcopale da effettuare da almeno tre vescovi della Provincia (canone 4 5 ), rapporto del vescovo con il metropolita e con il sinodo provinciale (da celebrare due volte all'anno: canone 4 e seguenti), il rapporto con il vescovo di Alessandria secondo il modello di Roma (canone 6).

Nel nostro periodo questa legislazione concernente la Chiesa locale viene ulteriormente precisata: condizioni necessarie per la fondazione di una nuova diocesi; obbligo della residenza per il vescovo; divieto di trasferimento;, deposizione di un vescovo. Si può seguire questa evoluzione anzitutto attraverso gli atti dei sinodi (diritto sinodale), specialmente quelli di Calcedonia (del 451; si vedano i canoni 2, 5, 5, 8, 9, 12, 22, 25, 28, 29), ma anche - e questo è un fatto nuovo - nelle lettere papali (diritto decretale). Si veda quanto dice Papa Leone riguardo all'elezione da parte della comunità6.

A proposito di questa legislazione, si notino quattro dettagli significativi: l'idea assai diffusa del matrimonio tra vescovo e comunità7; l'istituzione del "corepiscopo" (vescovo per la campagna) viene messa fuori uso o almeno molto ridotta8; la cosiddetta "audientia episcopalis", privilegio dato da Costantino, viene modificata (vedi Mounier su DPAC e l'Augustinus-Lexicon)9. Il 23.6.318 Costantino istituisce e poi (323) precisa l'audientia episcopalis come un ricorso al vescovo senza appello. Ma in Africa, nel V secolo, sembra che i vescovi abbiano usato di questo diritto solo quando nella causa era coinvolta la Chiesa. In effetti l'utilizzo della audientia episcopalis diminuisce ovunque dopo il 350. Nel 376 Graziano riserva i casi criminali ai tribunali ordinari, lasciando al vescovo solo i reati religiosi. Questo avviene anche in occidente (399). Con Arcadio (398) in oriente ed Onorio (408) in occidente il ricorso al vescovo è possibile solo su richiesta delle parti.

2 Vedi JONES, II., 874 ss. Per Roma, vedi PIETRI, "La liturgie de l'éveque", "Gouvernement épiscopal et constitution du clergé", "La société des clercs". Per l'amministrazione, vedi ... 302. Per le grandi proprietà, i delegati ...3 Per la Cresima, si veda Innocenzo I, epistola 25, 5, 8. Per i particolari si veda PIETRI.4 Vedi BAUS, 281 ss. GAUDEMET, 322 ss. ALTANER, 403.5 Vedi HERMANN, ... : 7, almeo 3; Nicea: ... Per l'assistenza di tutti i vescovi della provincia Presenza "almeno" di "tre": MANSI, II, 679.6 Per le qualità che si richiedono in un vescovo, si veda HERMANN, 291 ff; "Ecclesia in Re Publica". HERMANN, 347f tendenze di adattamento.7 Vedi BAUS, 241.8 Vedi JONES, II.,879. BAUS, 241 ss.9 Vedi GAUDEMET, 230-240

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Tuttavia il prestigio sociale del vescovo locale non è stato molto diminuito, anzi, nelle zone nelle quali le invasioni germaniche avevano compromesso l'autorità dei magistrati civili, esso è piuttosto cresciuto10. Titoli onorifici come "Pater populi", "Pater civitatis", "Pater urbis", "Pater patriae", eccetera, sono frequenti11; i vescovi provenivano in maggior parte dalle famiglie dei "Curiales" (notabili locali, privilegiati, ma anche caricati di obblighi sociali assai pesanti). Non provenivano cioè né dall'aristocrazia alta (senatoriale), né da classi basse, ma, come diremmo oggi, dalla borghesia media, dai "curiales" (era questo anche un modo per fuggire gli obblighi civili)12.

Un solo vescovo garantisce l'unità della fede, soprattutto nella difesa di Nicea e contro gli ariani. Nella lettea 125 di Gerolamo a Rustico si parla dei presbiteri sottomessi a dei vescovi sempre più autocrati. Gerolamo difende l'uguaglianza dei due gradi, tranne che per alcune funzioni. Nell'ep. 52 si chiede che all'obbedienza dei presbiteri corrisponda il rispetto dei vescovi.

Nello stesso periodo si cerca di limitare il numero delle Diocesi e dei vescovi. Il can. 17 di Calcedonia permette la fondazione di una nuova Diocesi solo nel caso si abbia una nuova città. Geograficamente, notiamo che le Diocesi sono molte nell'Italia centro-meridionale e nell'Africa (rispettivamente nel 430 circa 116 e 430). Al contrario, le diocesi sono poche nel nord Italia, in Gallia, Spagna, nella zona del Danubio...

Non c'è una procedura stretta per la scelta del vescovo: si può avere la presentazione dei candidati al clero locale ed ai fedeli, oppure la scelta tra tre candidati proposti dai vescovi viciniori. Già dal 314 (can. 14 di Ancira e 18 di Antiochia) si insiste perché tutti si esprimano nella scelta. Cfr. anche l'ep. 4 di Celestino I (422-432) e l'ep. 14 di Leone Magno. Secondo GAUDEMET la partecipazione dei laici diminuisce verso la prima metà del sec. V, ed è difficile cogliere l'effettivo ruolo svolto dal popolo.

Il Papa è il Metropolita d'Italia, ma non è chiaro il suo ruolo nelle elezioni episcopali fuori dalla penisola. Secondo BARTHELINK (in Concilium) l'assenso all'elezione dato dal popolo riflette usanze pagane precedenti. Dall'epoca di Agostino in poi, anche l'Imperatore ha un ruolo sempre più importante, a volte decisivo, nelle elezioni, soprattutto in Oriente (cfr. l'elezione di Nettario a Costantinopoli nel 381, con l'appoggio determinante dell'Imperatore).

II. IL CLERO DELLA CHIESA LOCALECome ben noto, la distinzione fra clero e popolo ("plebs") risale ai primi tempi della

Chiesa. Così infatti è in "1 Clementis" e in Ignazio. La ripartizione ulteriore del clero è ugualmente molto antica. Nella prima metà del secolo terzo incontriamo a Roma pure gli Ordini minori13.

Nel nostro periodo però gli sviluppi concernenti le condizioni dell'ordinazione sono considerevoli. Si insiste molto sulle richieste morali ed intellettuali14. A questo proposito due fatti sono da notare:

La formazione del clero si faceva nelle parrocchie. I casi di Vercelli e di Ippona, dove Eusebio ed Agostino se ne occupavano, sono piuttosto eccezionali. Dal quinto secolo in poi certi monasteri, come Lérins, sono diventati "seminari" per futuri vescovi.

Per l'Occidente era d'obbligo la continenza per i chierici sposati15.

10 Però non sembra giustificato voler equiparare i vescovi ai notabili dell'Impero: vedi BAUS, 295 ss., diversamente da KLAUSER e ANDRESEN11 Vedi BAUS, 296.12 Vedi JONES, II., 920 ss. Per le funzioni civili vedi HERMANN, 306.13 DS 109.14 Vedi GAUDEMET, 128-136.15 Vedasi GAUDEMET, 156-153;JONES, II.,927 ss., ital. 394. BAUS, 287 ss., si riferisce al ruolo dei Papi, da Damaso in poi, e dei sinodi, e sottolinea il motivo della purità cultica. Vedi anche le notizie interessanti in proposto in PIETRI circa le "iscrizioni".

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Sul piano giuridico è da notare che nella Chiesa africana si insiste sulla non-reiterazione degli Ordini. In Occidente, sotto l'influsso dei Papi, si impone il "Cursus Ordinum", la carriera clericale secondo i modelli civili16. Tuttavia fa eccezione l'ordinazione episcopale nella Chiesa romana. Infatti i vescovi provengono sia dall'Ordine dei diaconi (di grande influsso per tutta la vita ecclesiastica), sia dall'Ordine dei presbiteri, incaricati del ministero sia nei "titoli" sia nei cimiteri17.

Nella vita sociale il clero gode di un certo prestigio. Nonostante le classi siano piuttosto chiuse, l'accesso agli Ordini è libero18. La legislazione civile stessa ha aumentato tale prestigio: si ha l'esenzione dalle tasse (soppressa da Valentiniano III); gli schiavi non possono entrarvi (vedi anche il Papa Leone); sono annoverati tra gli elettori del "Defensor civitatis"19.

Fonti sulla vita clericale (vd. anche LECUYER in DPAC Ministeri-Ministri ordinati): - AMBROGIO, De officiis ministrorum (389-390)- GEROLAMO, ep. 52 ad Nepotianum- CRISOSTOMO, De sacerdotio e Homilia 1- TEODORETO DI CIRO, alcuni passi dei suoi commenti alle lettere pastorali- AGOSTINO, epp. 21, 22, 29, 142, 208, 288; sermones 339, 340- SULPICIO SEVERO, vita di S. Martino- LEONE MAGNO, Sermoni 1-5Si insiste soprattutto su una vita modesta (nella seconda metà del IV sec. in oriente, e

un secolo dopo in occidente appare la tonsura). Vasta è la letteratura sulle virtù clericali (aggiungi all'elenco AMBROGIO, de fuga saeculi). La necessità di una formazione intellettuali origina scritti come il de doctrina christiana di Agostino. Costui incoraggia la lettura dei classici per imitarne la metodologia (ma la sua posizione non è da tutti condivisa). Sul celibato e sulla continenza vedi Crouzel in DPAC e Gaudemet. Crouzel (contro Schillebeecx) afferma che il celibato era diffuso nella Chiesa antica, e ne fornisce le motivazioni. Lo status della legislazione sul celibato è il seguente:

- Ancira, 310, can. 10: permette il matrimonio di un diacono celibe solo se ne è stata dichiarata l'intenzione prima dell'ordinazione.

- Neocesarea, 314-325, can 1: esclude dal clero il sacerdote uxorato.- Elvira (300-303-307?): i membri del clero superiore sposati prima dell'ordinazione

devono osservare la continenza. Tale regola viene imposta a tutto l'occidente alla fine del IV sec. con le decretali dei papi Siricio e Innocenzo, riprese poi dai Concilii. Ci sono diversità circa il problema della coabitazione con le mogli. In alcuni casi si decise per la chiusura della sposa in monastero.

A proposito degli ordini minori: all'età della pbertà i candidati devono scegliere per il matrimonio o per la continenza: conc. di Cartagine (397, can. 19; poi ripetuto nel 419, can. 16); Leone Magno: ep. 14,4 (446): celibato obbligatorio per i suddiaconi.

In Oriente la situazione è meno rigida: chi si sposa prima dell'ordinazione può esercitare il ministero presbiterale, ma è costretto alla continenza assoluta.

- Cartagine (390, can. 2; 401, can. 3): continenza assoluta per tutti i preti sposati.A Roma la continenza assoluta è richiesta per tutti i preti sposati. Tale norma si

diffonde in tutto l'occidente.I PP. appoggiarono la legislazione: Ambrosiaster, Ambrogio (de officiis 1,50),

Gerolamo (epp. 22;52; Contra Iovinianum 1,13 del 392-93).

SCHILLEBEECKS16 Vedi BAUS, 279-282; JONES, II., 912.17 Vedi PIETRI, 696 ss.: "La société des clercs". Per quanto riguarda l'età si veda Zosimo in: BAUS, 283.18 Vedi GAUDEMET, 136-140.19 Vedi GAUDEMET, 315-320: "Les honneurs". JONES, II., 910 ss. HERMANN, 306.

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III. IL POPOLO DEI FEDELIDall'inizio della Chiesa incontriamo una certa distinzione fra dirigenti e fedeli. Nella

"I Clementis" questa distinzione appare esplicita: "presbiteri"-"laos" (più tardi "plebs")20.

Nel nostro periodo la "plebs-populus Dei" comprende laici, vergini, vedove, monaci.Il modo di ammissione alla comunità è stato già regolato nei dettagli durante il quarto

secolo. Per il nostro periodo sono da tenere in considerazione - ad esempio, nelle lettere di Papa Leone - le nuove prescrizioni rese necessarie dalle condizioni create dalle invasioni, tipo quelle relative al "baptismus incertus", eccetera.

Si constata anche una clericalizzazione sempre maggiore delle comunità. Da una parte c'è l'esclusione dei chierici dagli affari secolari: "Qui militat Deo, saeculo militare non potest"; dall'altra avviene la riduzione dei diritti del popolo di Dio perché l'elezione del vescovo è riservata sempre di più al clero, cioè all'aristocrazia21.

Per la condizione dei laici nel V sec. bisogna riferirsi agli studi degli storici; ma bisogna pure studiare i discorsi dei vescovi, gli scritti dei laici, la loro partecipazione alla missione della Chiesa. FAIVRE (Statuta ecclesiae antiquae) riporta il divieto per i laici di insegnare senza l'approvazione dei chierici o in loro presenza. Vi è una tendenza delle autorità civili a lomitare la presenza dei laici ai sinodi del V sec. (Marcellino a Cartagine nel 411). Cfr. le lettere di Teodosio II e Valentiniano III sulla procedura dei Concilii di Efeso (431) e di Calcedonia (451) che limitano il ruolo dei laici. GUANIERI fa notare la presenza dei laici a Riez (439, can. 8), a Roma (495, sotto papa Gelasio I), a Tarragona (516), Orange (529). Si tratta di laici esperti in diritto, la cui presenza, occasionale ed episodica, è legata a circostanze particolari.

IV. LA PROPRIETA' MATERIALE DELLE COMUNITA' LOCALI22

Il tema è piuttosto difficile, a causa della documentazione scarsa23. Bisogna evitare le generalizzazioni. I generi di entrate erano:

le offerte libere; si veda l'importanza delle offerte fin dai primi tempi, come testimoniano Paolo e Giustino. Si tengano presenti anche i mosaici di Ravenna, per il significato dei sette alberi e San Pietro24.

le donazioni imperiali, che sono però meno frequenti nel quinto secolo25;le donazioni del clero e dei fedeli per testamento: "titulum";i diritti di proprietà: proprietario dei beni ecclesiastici era il "corpus christianorum",

rappresentato dal vescovo26.L'uso dei beni ecclesiastici:erano destinati a mantenere il vescovo ed il clero, alla costruzione e manutenzione

degli edifici del culto e dei cimiteri, al sostegno dei poveri e dei bisognosi27

Così i diritti dell'amministratore principale, cioè del vescovo e dei suoi collaboratori, erano assai bene circoscritti. Questi diritti sono ancor più limitati nelle fondazioni

20 Secondo una organizzazione sinagogale. Vedi SCHILLEBEECKS21 LThK 8 (1968) 60; JONES, II., 961 ss.BAUS, 291. Vedi anche gli studi recenti in proposito. Per le elezioni: HERMANN, 298ff, con un cenno al campo civile e la differenza tra canoni e prassi.22 Si veda, in genere, JONES, II., 834 ss.,e per la situazione romana in particolare, PIETRI, II., 558 ss. II., cap.VII/3: "L'établissement chrétien", che riguarda i donatori e le donazioni, le collette e le donazioni clericali, le ricchezze romane, il potere economico del vescovo. Per Antiochia, HERMANN, 302ff.23 Vedasi quanto dice JONES, II., 898 904.24 Vedi PIETRI.25 Vedi PIETRI.26 Vedi SAUMAGNE, C., "Corpus Christianorum" in: RevIntDroits 7 (1960) 437-478 e 8 (1961) 35-82.EHRHARDT, A., "Das 'Corpus Christi' und die Korporationen im spätromischen Recht", ZSRG.R 70 (1953) 299-347.LEPELLEY, C.27 Vedi JONES, PIETRI.

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particolari che cominciano a diventare più numerose, come le chiese secondarie, gli ospedali, eccetera.

Le Chiese locali erano, in parte, assai ricche. Abbiamo informazioni sullo stato economico della Chiesa di Roma, che possedeva case e terreni in quasi tutto l'Impero28. Tuttavia, come ha fatto vedere Pietri29, le famiglie senatoriali avevano entrate di gran lunga superiori a quelle della Chiesa di Roma.30

CONCLUSIONI1) Considerato il ruolo dominante dei vescovi nella vita ecclesiale, si comprende

facilmente che la letteratura del secolo quinto si presenta soprattutto come "letteratura dei vescovi"31, infatti riflette in primo luogo le loro preoccupazioni pastorali, le controversie dogmatiche, il ministero sacerdotale, l'azione sociale delle loro comunità. Anche la predicazione era riservata ai vescovi. Uno studio di questa letteratura richiede dunque una conoscenza approfondita della vita dei vescovi, della quale ci informano le "Vite" di quel tempo (vedremo la "agiografia"), ed in modo speciale le loro lettere e prediche.

2) Numerosi scritti, sia "Tractatus" che lettere, di quella letteratura , hanno a che fare con l'ideale sacerdotale di quel tempo, e specialmente con la verginità religiosa. Da notare gli scritti su questo tema di Gregorio di Nissa, Ambrogio, Crisostomo, Girolamo, Agostino, eccetera32. Si tornerà in parte su questo argomento nel _ 9.

3) Risalta quanto sia importante conoscere il livello culturale della gente, chi siano i lettori e gli uditori dei Padri33.

6. I RAPPORTI TRA LE CHIESE

I. I nuovi fatti del secolo quintoFin dall 'inizio della storia della Chiesa, incontriamo nella cristianità la coscienza

crescente di una comunione universale fra tutti i credenti e con tutte le comunità cristiane. Lo attestano gli scritti dello stesso Nuovo Testamento, utilizzando il termine di Ecclesia in un senso universale 34, e riferendosi alle azioni caritative dei primi cristiani (1 Corinti e Atti). Nel secolo secondo, questa coscienza universale ci appare notevolmente sviluppata: si vedano le corrispondenze fra le comunità o fra i vescovi, nonché i viaggi di certe personalità, specialmente verso Roma, centro dell'Impero 35. Dalla fine del secondo secolo in poi, le riunioni sinodali e l'uso di consacrare in modo collegiale i nuovi vescovi dimostrano quanto vivo è stato il senso di comunione e di solidarietà reciproca 36.

28 Vedi JONES, 904 ss. 387-394.29 PIETRI, pp.567 ss.30 HERMANN, 302 f, e 319 f, per quanto riguarda le ricchezze al di fuori della città: le mura, gli acquedotti, i ponti, i castelli.31 Vedi MARROU, NHE, 346 ss.32 Si vedano i paragrafi rispettivi in: ALTANER o in un'altra Patrologia, nonché gli studi recenti e numerosi che riguardano il celibato: CROUZEL, GRYSON eccetera.33 Si veda VAN DER MEER e anche l'introduzione alle edizioni delle prediche.34 Vedi in proposito: ThWNT e CERFAUX.35 G.BARDY, La théologie de l'Eglise de Saint Clément de Roma à Saint Irénée; 55-124: L'Eglise universelle.36 G.BARDY, op.cit., vol. II; G.D'ERCOLE Communio-collegialità-primato ..., Roma 1964; J.A.FISCHER, studi diversi sui sinodi nei primi secoli.

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Tuttavia non c'è nessun dubbio che i legami fra le Chiese locali ed anzitutto fra le Chiese regionali sono diventati più manifesti e più efficaci durante i secoli quarto e quinto, cioè da quando il cristianesimo è diventato Chiesa Imperiale. Prima del 400 i sinodi di Arles (314), Nicea (325), Serdica (342) e Costantinopoli (381) si sono già pronunciati nei loro canoni sull'organizzazione giuridica della Chiesa sia dell'Occidente sia dell'Oriente. Nella prima metà del secolo quinto, che ci interessa particolarmente, la comunione delle Chiese si è ulteriormente sviluppata, come vedremo nei fatti seguenti:

A. La formazione dei cinque "Patriarcati" o delle Chiese regionali 37 Durante il secolo quarto, appaiono le Chiese metropolitane, con confini che

corrispondono in gran parte a quelli delle Provincie dell'Impero secondo la riforma di Diocleziano. E' da notare che le sedi di Roma e di Alessandria fanno eccezione, essendo nello stesso tempo sedi metropolitane e sedi sopraprovinciali (Roma ha influenza sull'Italia e sull'Africa del nord).

Altrettanto è da considerare che questo ordine s'impone molto più lentamente in Occidente. In Gallia, ad esempio, solo verso la fine del secolo. Ved. il sinodo di Torino nel 398.

Questi sviluppi dell'organizzazione gerarchica vengono attestati dai canoni 4 e 6 di Nicea 38. Oltre che Roma ed Alessandria, si impongono quindi gradatamente anche Antiochia, Efeso, Costantinopoli, Cartagine, Milano, Aquileia, come sedi sopraprovinciali. Per Gerusalemme si veda il canone 7 di Nicea 39.

Nel secolo quinto invece cinque sedi ottengono una superiorità che si esprimerà più tardi con il titolo di PATRIARCATO 40, e sono, nell'ordine, Roma, Costantinopoli (con Tracia, Ponto, Asia), Alessandria, Antiochia, Gerusalemme. Bisogna ricordare però che in questo tempo si formano pure Chiese indipendenti come quelle di Cipro e dell'Armenia. Il Concilio di Efeso (431)41, e specialmente quello di Calcedonia (451) riflettono in modo chiaro questa evoluzione di fatto, come nel secolo quarto i sinodi sopra menzionati avevano già cominciato a manifestare42.

B. Lo sviluppo del diritto sinodaleIl concilio di Nicea aveva già legiferato sulla prassi sinodale. Seguendo la volontà di

quella legislazione, le riunioni regolari dei vescovi si sono molto sviluppate, benché non abbiano preso dappertutto la stessa importanza.

Il Sinodo Romano e il cosiddetto "Synodus endemousa" (permanente) di Costantinopoli acquisiscono una importanza particolare43. Ora questi sinodi sono diventati la fonte principale del diritto ecclesiastico scritto, che si aggiunge alla consuetudo. Come già dimostra il Concilio di Nicea, questo diritto comprende tutti i campi della disciplina ecclesiastica, ed avrà poi sviluppi posteriori nei Concili di Serdica, Costantinopoli, Efeso, Calcedonia. Se consideriamo, ad es., gli atti dei concilii cartaginesi, notiamo che i vescovi avevano una forte formazione giuridica, risultante anche dalla frequentazione delle scuole occidentali di retorica. Il dibattito con i Donatisti ebbe infatti un forte carattere giuridico. il diritto romano diventa così una fonte importante per la teologia occidentale e per la formazione dei vescovi.

37 Si vedano nella Bibliografia per questo paragrafo gli studi sui "Patriarcati": GROTZ, BECK, e il Convegno del 1967 riportato in: OChP 181, sui Patriarcati nel primo Millennio.38 Vedi SPEIGL, e la letteratura connessa, già citata, sul primato; JONES, II, 883 ss. (in italiano 379 ss.) per i rapporti fra le Chiese.39 Vedi RENOUX, citato.40 Il termine risale a Giustiniano. Vedi gli studi già citati sui Patriarcati, e quelli sulla "PENTARCHIA".41 Vedi il canone 8 Cipro ...42 Vedi canoni 12, 25, e specialmente 28.43 Vedi H.MAROT, H., Les conciles romains des IVème et Vème siècles et le développement de la primauté: Istina 4 (1957) 435-462. Per il "Synodus endemousa" vedi JONES, "Visiting council"; J.HAJJAR, J., Le synode permanent dans l'Eglise byzantine, Roma 1962.

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C. Il Primato del Vescovo di Roma.Il Concilio di Nicea aveva già riconosciuto il fatto di una certa preminenza della sede

romana rispetto all'Occidente. Da Papa Damaso in poi invece incontriamo una pretesa sempre più netta di una moderatio episcopalis sedis apostolicae.

Questa sopraintendenza - che comprende il diritto d'appello, l'approvazione degli atti sinodali per quanto riguarda le causae maiores, il regolamento delle elezioni dei vescovi - si estende de facto, oltre che sulle diocesi suburbicarie, sull'Italia settentrionale, sulla Gallia, la Spagna, l'Illyricum, ma non ancora - prima del 450 - sull'Africa settentrionale. In quanto alla communio fidei la Sede Apostolica comincia a rivendicare il diritto della prima sentenza 44.

La moderatio episcopalis sedis apostolicae appare anche in una legislazione che passa oltre i limiti delle provincie suburbicarie: la legislazione decretale. Nei documenti rispettivi constatiamo il fatto che Damaso e i suoi successori intervengono in virtù dell'autorità apostolica, confermandola però con l'autorità dei canoni di Nicea, cioè con la legislazione come è stata ripresa dal Sinodo di Serdica (corpus romanum). Questo riferimento al diritto sinodale ha almeno in parte il significato di dare alle decisioni romane il carattere del diritto imperiale, cioè del riconoscimento da parte dello Stato45. I papi fanno appello al diritto romano, che riconosceva diritti speciali ai pontifices maximi pagani. Tali diritti vengono rivendicati dal papa e dai vescovi per quanto riguarda la chiesa cattolica.

II. La riflessione teologica sulla communio fideiAi principi antichissimi di comunione ecclesiale (un battesimo, una fede, una

tradizione apostolica), si è aggiunto nel secolo terzo il principio della collegialità episcopale, in cui la missione universale della Chiesa è sentita innanzitutto come solidarietà di tutti i vescovi. (ved.Cipriano).

Verso il 400 l'ecclesiologia della comunione, cioè il principio di una comunione in cui tutti i vescovi hanno quasi gli stessi diritti (ved. Basilio), viene completata da una ecclesiologia del primato di certe Chiese, specialmente di quella romana, ma pure di altre. Si potrebbe parlare di una ecclesiologia del principio di rappresentazione.

In questa evoluzione teologica ulteriore notiamo due orientamenti principali:1) L'orientamento politico:Il primato di Roma, ma anche di Costantinopoli, corrisponde alla situazione politica

delle sedi rispettive entro l'Impero Romano. Così il canone 28 di Calcedonia: è il concetto della "Nuova Roma"46.

2) L'orientamento apostolico ossia petrino:Lo incontriamo anzitutto nei documenti papali, ma anche altrove. I Papi stessi si

appoggiano a questo proposito in primo luogo sulla presenza di Pietro e di Paolo. Da Siricio in poi la tendenza è di riferirsi solo a Pietro. - Questo principio si annuncia già nei primi secoli: Prima Clementis, 1 Pt, 2 Pt, Ignazio, Dionigi di Corinto, eccetera, però viene sviluppato molto nel quarto secolo, con la venerazione degli Apostoli e delle loro reliquie. - I Papi, da Damaso in poi, giustificano la teologia papale con Mt 16,18 ss., ed anche con Gv 21 e Lc 2247.

44 Leo I: "Custodia fidei et disciplinae". Ved.QUASTEN, III, 576.45 Vedi SPEIGL, per gli interventi in Gallia: Epistola ad Gallos episcopos. In proposito vedi anche JONES, II, 887 (ital. 381); ANDRESEN, 595 ss, e soprattutto PIETRI e Mc SHANE. - Per l'origine dell'Archivio Pontificio (scrinium), vedi PIETRI, 673-677.46 A questo proposito vedi GAUDEMET, 427 ss., PIETRI, I.,857 ss.47 Vedi J.LUDWIG, Die Primatworte Mt 16,18 ss. in der altkirchlichen Exegese, Münster 1952; G.G.BLUM, Apostel, Apostolat: TRE 3 (1978) 445-466; R.PESCH, Petrus, Stuttgart, 1988.

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Questo orientamento prevalentemente teologico è stato tuttavia rafforzato da una ideologia che è altrettanto politica48. Il ruolo di Pietro e dei suoi successori è stato infatti reinterpretato con concetti giuridici, come cura, auctoritas, principatus, successio, haereditas, eccetera. Soprattutto la sollicitudo omnium ecclesiarum (2 Cor 11,28, da Siricio in poi), alla quale pretendevano i Papi, è stata compresa nel quadro ideologico della Roma aeterna.

La teologia di Leone Magno costituisce senz'altro il punto culminante: il vescovo di Roma è successor ed haeres di Pietro, così come lui lo è stato in modo singolare di Cristo49.

Aggiungiamo che la teoria della sedes apostolica e delle "sedi petrine" 50 è stata ripresa in un certo senso anche dalle Chiese orientali. Costantinopoli si richiamerà al principio apostolico, presentandosi come la Sede di Andrea.51 52

III. La valutazione storicaConviene aggiungere una valutazione storica sui nuovi fatti della comunione

interecclesiale e sulla riflessione teologico-politica concernente questa comunione.A. Un certo "patriottismo romano" 53

Per capire pienamente gli sviluppi dei rapporti fra le Chiese locali, si deve anzitutto tenere conto della nuova situazione entro l'Impero Romano. Tale situazione include, da parte dei cristiani, una certa identificazione tra destino della Chiesa e destino dell'Impero Romano.

Incontriamo tale atteggiamento, positivo nei confronti di Roma, non soltanto a Roma, ma anche a Costantinopoli e pure ad Alessandria, città greco-romana. Non mancano neppure testimonianze di una identificazione esagerata della storia del cristianesimo con la storia di Roma, cioè della "Chiesa" con l'"Oikoumene". Si è visto in occasione della presa di Roma nel 410. Soltanto la critica di Agostino poteva mettere a posto tali idee. E' però prevalente la linea eusebiana, seguita anche da Orosio.

Il fenomeno si riflette in modo particolare nelle espressioni molto diffuse di pax romana, urbs aeterna, romania (difesa della civiltà romana contro la barbarie), nonché nel confronto tra orbis terrarum ed ecclesia una et catholica.

B. La ricerca di un appoggio esterno.Lo sviluppo dei rapporti intraecclesiali si spiega inoltre, in gran parte, per il bisogno

delle singole sedi di essere sostenute nelle loro rivendicazioni in opposizione ad altre sedi. Notiamo soprattutto il fatto seguente: che la Chiesa romana si trova a far da arbitro tra le Chiese rivali di Alessandria e di Costantinopoli. Ciò avviene sia nei rapporti tra Crisostomo, Teofilo, Innocenzo I, che successivamente tra Cirillo, Nestorio e Celestino. La stessa necessità di un aiuto esterno ha determinato pure i rapporti fra il potere civile e le Chiese, e questo è un fattore importante per l'evoluzione anche interna della comunione ecclesiale 54. Roma si riserva il diritto di appello ed il giudizio sulle elezioni episcopali controverse.

C. L'influsso delle grandi personalità.

48 Vedi ULLMANN, cit., per il legame fra Bibbia e ideologia49 Vedi Mc SHANE e anche QUASTEN, III.50 Vedi BATIFFOL; Mc SHANE, 267 ss.51 Ved. BAUS, 248 ss. Inoltre PIETRI; Mc SHANE; STOCKMEIER; e anzitutto J.FELLERMAYR, Tradition und Sukzession im Lichte des römisch-antiken Erbdenkens. Untersuchungen zu den lateinischen Vätern bis zu Leo dem Grossen.", München 1979, con bibliografia; K.S.FRANK, Vita apostolica: Festschrift H.TÜCHLE, Paderborn 1975, 20-41, specialmente 33 ss., su Leone Magno; H.J.SIEBEN, Sanctissimi Petri apostoli memoriam honoremus. Die sardicenischen Kanones im Wandel der Geschichte: ThPh 58 (1983) 501-534; BRENNECKE, ZRGK 100 (1983) 15-45.52 53 Ved. GAUDEMET, 21 ss; PIETRI.54 Ved. JONES, II., 934.

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Considerando l'evoluzione della comunione interecclesiale, non dobbiamo mai trascurare il ruolo delle personalità che hanno dato una impronta caratteristica alla posizione delle grandi sedi episcopali.

Ciò vale naturalmente in primo luogo per i Papi che dalla fine del secolo quarto in poi hanno determinato la politica ecclesiastica della Sede Apostolica: Damaso, Innocenzo, Leone Magno, Gelasio 55.

Lo stesso fenomeno si ritrova però anche nelle altre sedi. Notiamo Crisostomo e Nestorio per Costantinopoli. Teofilo, Cirillo e Dioscoro per Alessandria. Giovenale per Gerusalemme 56.

D. La questione particolare del Primato RomanoE' ovvio che la valutazione dell'evoluzione storica del Primato universale del vescovo

di Roma è particolarmente delicata 57. Per il nostro periodo si devono avere presenti specialmente i criteri seguenti:

1. La distinzione delle sfere d'influsso.L'affermazione della sollicitudo omnium ecclesiarum" e del principatus della Sede

Romana, sembra a prima vista riguardare sempre tutta la Chiesa universale. In realtà viene spesso fatta solo per giustificare o rivendicare i diritti di Roma nei confronti di certe Chiese locali o certe regioni ecclesiastiche.

Bisogna avere presente, in ogni caso, che l'esercizio del Primato si effettua in una maniera graduale, secondo le zone che sono in questione:

- l'Italia suburbicaria (nel senso politico di allora);- l'Occidente, con l'Italia settentrionale, la Gallia, la Spagna da una parte e l'Africa

settentrionale dall'altra, con in più il caso speciale dell'Illyricum;- le Chiese Orientali, con la loro communio fidei universalis 58.2. La distinzione fra rivendicazione e riconoscimento.Non basta riferirsi alle affermazioni del Primato Romano da parte dei Papi. Bisogna

pure prendere in considerazione la receptio da parte delle altre Chiese, specialmente di quelle Orientali, nonché da parte dello Stato 59.

3. La sparizione delle contestazioni interne.Nell'evoluzione del Primato Romano durante il secolo quinto, ma anche prima e dopo,

c'è da considerare anche il fatto che le contestazioni cessano, perché le Chiese rispettive perdono d'importanza: Milano, Cartagine (fatto più importante), Ravenna. D'altra parte le rivalità fra Roma e le Chiese Orientali si riducono a quella fra la sede della Roma antica e quella della Roma nuova, dato che la capitale imperiale dell'Oriente s'impone alle altre sedi orientali. Si veda la storia del canone 28 di Calcedonia.

4. La prospettiva biblica.Sotto l'aspetto propriamente teologico: gli sviluppi storici del papato sono da valutare

nella prospettiva (prolungamento) del Nuovo Testamento , come norma normans.

CONCLUSIONI

55 GAUDEMET, 408 ss. e PIETRI, il quale si interessa particolarmente dell'origine sociale dei Papi e parla, fra l'altro, di una "svolta damasiana".56 Vedi JONES, II., 882-891.57 Vedi B.STUDER, Papato: DPAC II,2638-2658. Inoltre le Storie del Papato, come C.FALCONI, Storia dei Papi e del Papato. I. La nascita del papato nel declino dell'Impero, Roma 1967, ed anche il saggio di P.GRELOT, Pierre et Paul, fondateurs de la primauté romaine: Istina 27 (1982) 226-268..58 Ved. P.BATIFFOL, Siège Apostolique. Cathedra Petri, e Léon le Grand: DThC 9 (1926) 218-301; GAUDEMET, 445-451; QUASTEN, III: Leone Magno; MC SHANE (non assai critico).59 Oltre a JONES, II., 882, e gli altri studi citati sopra di DE VRIES e di LANGGÄRTNER. Inoltre W.MARSCHALL, Karthago und Rom, Stuttgart 1971 (per i casi di appello); O.WERMELINGER, Rom und Pelagius. Die theologische Position der römischen Bischöfe im pelagianischen Streit in den Jahren 411-432, Stuttgart 1975 (ved. la mia recens. Augustinianum e quella di DE VEER in REtA); P.JOANNOU, Die Ostkirche und die Cathedra Petri im 4. Jh., Stuttgart 1972 (con documenti in traduzione tedesca).

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1) L'evoluzione della communio universalis che incontriamo nel quarto secolo e poi specialmente nel quinto, si riflette, oltre che nella storiografia ecclesiastica di cui parleremo più tardi, in una documentazione monumentale di carattere giuridico. Anche se questi documenti canonici, sia di origine sinodale, sia di origine papale oppure imperiale, non si può proprio dire che siano di letteratura cristiana, è ormai consuetudine parlarne anche in Patrologia60. Del resto, anche per conoscere meglio la letteratura in senso stretto, conviene spesso studiare questa documentazione canonica61.

2) Un'altra documentazione è ugualmente legata allo sviluppo della communio fidei, ed è la corrispondenza teologica o polemica dei vescovi, comprese le lettere pasquali di Alessandria. Perciò non si studieranno mai queste testimonianze di carattere forse nettamente dogmatico, senza prendere in considerazione la politica ecclesiastica, cioè tutte le imprese in favore dell'unica Chiesa di cui si è trattato in questo paragrafo. Del resto si noterà bene la differenza fra le lettere dei primi secoli, ispirate dal tipo di lettera di comunità giudea, e le lettere posteriori influenzate sia dalla letteratura antica, sia dalle usanze della cancelleria imperiale.

3) Lo sviluppo dei rapporti fra le Chiese, nonchè la nascita della legislazione canonica, sinodale e decretale, costituisce finalmente anche un aspetto che distingue la teologia del secolo quinto. Essa insiste tanto sull'unica fede ortodossa, fondata sul consensus e sulla receptio da parte di tutte le Chiese del mondo62 63.

7. LA VITA LITURGICA DELLE CHIESE DEL SECOLO QUINTO

A. Lo sviluppo delle liturgie dei " Patriarcati" 64

Secondo Botte65, i primi quattro secoli della storia della liturgia cristiana possono essere caratterizzati come "période d'improvisation liturgique". A quel periodo, nel quale non si trova nessuna unoformità delle preghiere ma piuttosto una grande diversità, succede il periodo della creazione di formulari. Ciò avviene circa tra la metà del secolo IV e la fine del secolo VI.

In questo secondo periodo si ha la tendenza alla "codificazione": l'uso di composizioni liturgiche scritte diventa generale. Agostino esprime apertamente il bisogno di escludere preghiere mal composte, anzi, eretiche, e di non ammettere più altro che preghiere approvate dalle autorità competenti66. Oltre che alla preoccupazione per la retta fede, si può attribuire questa tendenza unificatrice anche all'influsso delle Sedi principali, le quali si imponevano anche nel campo liturgico 67.

Comunque sia, incontriamo, nella seconda metà del secolo quarto, e poi soprattutto nel secolo quinto, un "raggruppamento regionale" delle liturgie, che corrisponde grosso modo alle sfere d'influsso dei cinque "Patriarcati" e delle Chiese regionali:

60 Vedi ALTANER _ 63; GAUDEMET, IV/V, 37 ss; STUDER, Letteratura papale: DPAC II,2664-2666.61 Vedi ANDRESEN, 585: "Il diritto decretale è una espressione giuridica dell'ecclesiologia papale".62 Ved. A.GRILLMEIER, Konzil und Rezeption: TheolPhil 45 (1970) 321-352; A.LUMPE, Zur Geschichte der Wörter 'concilium' und 'synodos' in der antiken christlichen Latinität: AHC 2 (1970) 1-21, e lo stesso, Zu 'recipere' als gültig annehmen, anerkennen im Sprachgebrauch des römischen und kanonischen Rechts: AHC 7 (1975)118-135.63 Ved. A. DE HALLEUX, "Le Dècret chalcédonien sur les prérogatives de la Nouvelle Rome" EThL 64 (1988) 288-323, sul canone 28 di Calcedonia e sull'intervento di Leone Magno circa la distinzione dei poteri .64 Vedi ANDRESEN, 449 ss.65 Citato in MARTIMORT, 5-33.66 MARTIMORT, 36; DEKKERS67 PIETRI trascura questo aspetto.

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- Liturgie di Antiochia, del tipo siro-orientale (Chiese separate dal secolo quinto in poi) del tipo siro-occidentale (Antiochia, Costantinopoli, Gerusalemme, ecc.) 68

- Liturgie di Alessandria (copta/etiopica)- Liturgie di Roma (romana69/gallicana; poi ispano-celtica e vecchio-gallicana

milanese con influssi dall'oriente) Queste liturgie si distinguono per le caratteristiche seguenti70: anafore eucaristiche

diverse; uso diverso della Bibbia (2 o 3 letture) e degli inni; lingua71. Non manca però una certa unità: l'uso generico dell'anafora; l'idea generale del culto misterico72; la rappresentazione del sacerdozio di Cristo; gli influssi del cerimoniale di corte.

Aggiungiamo che proprio gli autori del nostro periodo ci hanno lasciato le testimonianze più importanti su questo sviluppo della liturgia cristiana: Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia, Agostino, Leone Magno, Pietro di Ravenna.

I testi liturgici stessi però, anche se risalgono, come quelli romani, a questo periodo, sono stati raccolti da compilatori posteriori. Il più antico dei cosiddetti "sacramentari" è infatti quello "Veronense", che comprende le preghiere del tempo di Leone, ma è del sesto o settimo secolo 73.

B.Gli influssi sociali sulla liturgiaLa nuova situazione delle comunità cristiane, diventate "Chiesa Imperiale", è stata

decisiva anche per lo sviluppo della vita liturgica. Tale situazione è caratterizzata da: 1) la conversione delle masse che ha richiesto la riorganizzazione del catecumenato74

e della penitenza pubblica, l'adattamento delle assemblee liturgiche che si facevano ormai in edifici molto più vasti, anzi rappresentativi, e nella piena libertà75;

2) la trasformazione anche sociale della comunità con il bisogno di una rappresentazione più solenne della Chiesa anche in campo liturgico, specialmente nelle città imperiali come Roma, Costantinopoli, Milano, Ravenna, ma anche Gerusalemme. Con ciò è promossa l'arte musiva, la retorica ufficiale, la musica, il cerimoniale della corte. Il culto cristiano diventa dimostrazione sociale, "Spectaculum".

3) una certa intenzione apologetica: perché di fatto si sostituisce con le cerimonie liturgiche il fasto delle società pagana, del suo culto, del teatro, delle processioni.

4) l'introduzione delle feste stabili come la Domenica, la festa del 25 Dicembre, "Natale", del 22 Febbraio, la "cattedra di San Pietro", eccetera76. Due nuovi fatti in particolare vanno ricordati:

a) l'altare diventa più importante. Diviene fisso e unito sempre più frequentemente a una tomba di martiri. Diventa il centro dell'edificio. L'Eucarestia appare così sempre più nettamente come "Sacrificio", come "atto del sacerdote" che rappresenta Cristo e che compie un "mistero", e tutto ciò con le forme del cerimoniale della corte: i ceri, l'incenso, il baldacchino, eccetera77.

68 Diventerà la liturgia "bizantina".69 Vedi PIETRI, articolo citato, in: "Concilium", con il riassunto:1) i luoghi sacri, 2) i tempi sacri, 3) lingua e gesti.70 Vedi KRETSCHMAR.71 Per la lingua liturgica, latina, dal 380 in poi, vedi PIETRI, cit., in "Concilium" cit., 72/75.KLAUSER, Th., "Der Uberg..."72 Vedi l'uso di 'mysterion' in senso cultuale: HOG IV, MySal73 Vedi MARTIMORT, 281 ss.ALTANER _ 92/11, con la letteratura.BAUS 341.74 Sul catecumenato: Werm 106475 Vedi ANDRESEN, PIETRI, "Concilium"76 Cfr PIETRI.STRASSLE, E., "Die Sonntags...", in: "Heilige..." 6 (1952) 49-52.RORDORF, W., "Sabbat et Dimanche dans l'Eglise ancienne", Neuchatel 1972.77 Vedi ANDRESEN, LThK 6 1087.

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b) gli influssi della società e specialmente della ideologia politica si affermano anche nella lingua liturgica, sia nel "cursus" della liturgia romana78, sia nel vocabolario79.

C. La liturgia e la cristianizzazione della vita quotidiana.La conversione alla fede cristiana, benché favorita da un ambiente ufficialmente

cristiano, è stata una processo molto lungo. Le feste pagane di una volta, le usanze religiose, i costumi morali e le pratiche superstiziose non si lasciavano sopprimere o trasformare da un giorno all'altro80. E' ovvio che in questa conversione lenta e difficile un posto eminente conveniva alla liturgia cristiana, i cui riti e feste sono destinati a santificare tutta la vita umana.

1) L'istituzione del catecumenato, riformato con una nuova iniziazione cristiana. 81 Durante il secolo quarto la nuova situazione delle Chiese ha condotto fra l'altro

all'abuso di rimandare il Battesimo, di contentarsi cioè di essere "iscritto" al Cristianesimo, senza impegnarsi pienamente. I vescovi non mancavano di lamentarsi di questi "cristiani di nome". Nello stesso tempo però cercavano di rimediare a questa mancanza di zelo, riformando la modalità della incorporazione alla comunità. Si istituì un catecumenato in senso stretto, in cui i "competentes" o "electi", durante un periodo di tre anni, o anche di una sola quaresima, venivano preparati al Battesimo, conferito nella notte di Pasqua (cfr. anche con i motivi della contr. pelagiana).

Questa preparazione comprendeva qualche rito, una vita ascetica, e soprattutto un insegnamento sulla storia della salvezza, sugli impegni morali, sul simbolo, sulla preghiera, e finalmente, dopo il Battesimo, sui Sacramenti. Si veda per questo la storia della liturgia battesimale82.

Anche in questo campo, i grandi autori del nostro tempo, Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia (prima del 400), Agostino, Leone ed altri ci danno le testimonianze più eloquenti del loro insegnamento, con le "catechesi"83.

Da notare che la catechesi ufficiale si indirizzava esclusivamente agli adulti. Possedeva dunque un carattere molto apologetico84. Si veda su questo tema la teoria sulla catechesi che aveva Agostino, espressa nel suo "De catechizandis rudibus". Esisteva però anche una catechesi familiare, data a casa ai bambini85. Questa catechesi si venne imponendo sempre di più, poiché diventava sempre più frequente l'uso di battezzare i bambini86.

2) La penitenza canonica 87 Si ha anche per questo Sacramento una situazione simile. La penitenza si svolgeva

assieme alla preparazione battesimale, durante la quaresima. Divenne ben presto

78 MARTIMORT, 341, specialmente V s.79 Vedi: DURIG, W., "Pietas liturgica", Regensburg 1958MOHRMANN, "Etudes", III, Roma 1965PIETRI, "Concilium""Festschrift KOTTING", "Pietas", Münster 1980.80 Vedi BAUS, 342 ss.81 ANDRESEN, 470 ff; Wermel, 10682 Ad esempio in: STENZEL, A., e KRETSCHMAR, G., dove si trovano commenti sui "Sacramentari"83 VediDANIELOU, J., "La catechesi nei primi secoli", Torino 1969.ANDRESEN84 Risurrezione85 BAUS, 319 4; Wermel, 10886 ANDRESEN, 476;GRAMAGLIA, P., "Il battesimo dei bambini nei primi 4 secoli", Brescia 1973.DIDIER87 BAUS, 309.Cfr AA.VV., "Catechesi battesimale e riconciliazione nei Padri del IV secolo", Roma 1984.GROSSI V.CERESA - GASTALDI

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problematica anch'essa. Nonostante il lassismo crescente, le comunità mantennero il principio rigido dell'unica penitenza. Di conseguenza si tendeva a rimandare anch'essa il più possibile, spesso fino alla fine della vita. Da notare che allora c'erano degli oneri molto gravosi.

Con tutto ciò non si era ancora passati alla soluzione della confessione "privata". Tutta questa problematica si riflette nella predicazione quaresimale. Così in Agostino, in Leone, anche in Crisostomo come inizio88. Mancano degli studi sulla teologia della penitenza nel IV secolo, durante il quale assistiamo ad una rivoluzione nella sua concezione. Per Ambrogio la penitenza è un atto quasi legale dopo il quale si riceve il perdono divino; per Agostino diventa invece il modo di vivere il perdono divino già ricevuto, ovvero un atteggiamento fondamentale di tutta la vita cristiana.

3) La cristianizzazione delle nozze. 89 In questo campo i costumi pagani erano particolarmente persistenti. Erano legati alle

cerimonie di fecondità. Si cercò di dare anche ad esse un quadro liturgico. La benedizione del matrimonio però non era di obbligo, eccetto che per il clero minore90.

4) Il culto dei morti. 91 Si dovette dare il senso cristiano alla fine della vita, andare contro gli abusi dei

"refrigeria", e spiegare il significato della preghiera. Di tutto ciò è testimone anche letterario Sant'Agostino, soprattutto nel "De cura mortuorum".

5) L' introduzione e l'evoluzione delle feste. 92 Nascono in questo periodo le feste di Natale, dell'Epifania, dei Santi, i periodi liturgici

dell'Avvento e delle Quattro Tempora, e viene istituita la Domenica. Contemporaneamente vengono criticati i costumi del Capodanno, come fa, ad esempio, Massimo di Torino93.

8. LA PREDICAZIONE ED IL MINISTERO PASTORALE

I.La grande retoricaNel secolo quarto e poi nella prima metà del secolo quinto incontriamo i grandi

predicatori della antichità cristiana. Si tratta di vescovi colti, formati per la maggior parte nelle grandi scuole di retorica di allora, come Crisostomo - il 'Demostene cristiano', discepolo di Libanios di Antiochia - e come Agostino, che, prima della conversione era professore di retorica a Roma e a Milano. Si aggiungano a loro Asterio di Amasea, Massimo di Torino, Leone Magno, Pietro di Ravenna. Insieme con gli altri del quarto secolo, Gregorio Nazianzeno ed Ambrogio, tutti questi rappresentano la grande tradizione omiletica della Chiesa antica94.

Questi predicatori però non riprendono semplicemente la retorica classica, ma la trasformano95. Esempio significativo di una tale trasformazione è Ambrogio. Egli, nel suo discorso funebre per l'Imperatore Teodosio, pur seguendo il genere classico

88 BAUS, 312.89 ANDRESEN, 482 ff90 Vedi PIETRI, C., "Le mariage chrétien dans l'antiquité", dove però non tocca la questione dell'obbligo.DE LUMEAU, J. (ed.), "Histoire" 1979.DACQUINO, P., "Storia del matrimonio cristiano", Torino 1984, in: STUDER, B., ... ... 93 (1986).91 ANDRESEN, 485 ff.FEVRIER, P.A., "La mort chrétienne aux premiers siècles", cit.92 ANDRESEN, 360-372, BAUS, 312; PIETRI.9362 BAUS, 343.94 Così in: MARROU, 343 ss., ANDRESEN, 469, dove si trova l'elenco di tutti i predicatori, KLOCK, 123-134.95 Soprattutto oggi si insiste sull'idea della loro cultura cristiana. Così ad esempio KLOCK, quando parla di Gregorio di Nissa e di Melezio.

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dell'elogio, esalta, fra le virtù imperiali, l'umiltà del defunto96. Altri esempi: i modelli esegetici di Agostino e di Leone97.

Comunque il contenuto principale di queste prediche obbligava di per sè ad una "cristianizzazione" del discorso. Infatti, quando non commentavano proprio i testi della Bibbia, inserivano almeno tante citazioni bibliche. Infatti, cercavano d'introdurre i loro fedeli nella fede cristiana, attestata anzitutto dai Libri sacri.

L'ultima osservazione ci conduce a distinguere certi generi nella predicazione patristica98: le OMELIE o "Tractatus" che sono commenti alla Bibbia da una parte, i SERMONI, di ispirazione più o meno biblica dall'altra 99.

Tra i Sermoni distinguiamo un gruppo speciale: le CATECHESI, delle quali abbiamo già parlato, e che comprendono spiegazioni del simbolo, del Pater e dei riti sacramentali.

I Sermoni variano anche secondo l'occasione in cui venivano pronunciati: feste dell'anno liturgico, con l'accento sui misteri della vita di Gesù; feste dei santi, con l'accento sulle virtù e sulla imitazione di Cristo; altre occasioni, secondo le quali prendono un carattere apologetico ("adversus paganos", "adversus judaeos", "adversus haereticos") o dogmatico o morale.

II. Le collezioni delle predicheSe noi possediamo ancora un numero tanto elevato di prediche del quarto e del quinto

secolo, lo dobbiamo, per la maggior parte, ai "notarii" o "stenografi" che, ascoltando in Chiesa le prediche, ne hanno preso nota. Esistono anche omelie delle quali non siamo sicuri se sono state pronunciate o semplicemente composte dagli autori stessi100. Però la maggior parte delle prediche, sia di Crisostomo, sia di Agostino, sia di altri, è stata conservata grazie alle fatiche di quegli ascoltatori assidui.

Da questo fatto nasce un problema: astraendo dal fatto che non abbiamo la possibilità di sentire le voci dei predicatori, come se fossero "registrate", e che solo con molta difficoltà possiamo immaginare l'ambiente in cui parlavano, non siamo certi di avere sotto gli occhi proprio le parole dei predicatori. E' a causa di questo problema che si trovano differenze stilistiche non piccole in certi sermoni di Ambrogio101 e di Agostino. Tuttavia abbiamo la certezza dell'autenticità e della integrità dei testi conservati, quando gli autori stessi avevano la premura di far raccogliere le loro prediche.

Così le prediche di Sant'Agostino sono state conservate nell'Archivio di Ippona102. Non meno famoso è il caso di Leone Magno. Questo Papa ha fatto pubblicare una parte delle sue prediche, in due serie: la prima con una intenzione antimanichea, prima dell'anno 449; la seconda con una intenzione anti-eutichiana, dopo il 454103.

In genere però le collezioni delle prediche non sono state curate dagli autori stessi, ma compilate da redattori posteriori, ad esempio i sermoni di Pietro di Ravenna, compilati

96 Così ANDRESEN, 468.97 DE LUIS VIZCAINO, P., "Los hechos de Jésus en la predicacion de San Agustin", Roma 1983.STUDER, B., "Die Einflüsse der Exegese Augustins auf die Predigten Leos des Grossen", in: "Forma futuri", Torino 1975, 915-930.FONTAINE J., Naissance de la poésie dans l'Occidnet chrétien, Paris 1981 (creazione di un nuovo stile unico).Auerbach, E., Literatursprache und Publikum in der lateinischen Spätantike und im Mittelalter, Bern 1958.98 Tenendo presente che tale suddivisione è soltanto moderna.99 Vedi la spiegazione del termine "Tractatus" nella introduzione all'articolo omonimo in: BAug 71, 25-29, con bibliografia. Il Sermone è un insegnamento fatto nella Chiesa e edificante.100 Ad esempio i "Tractatus in Joannem" 55-124 di Sant'Agostino, composti come scritti o come conferenze spirituali.101 "De sacramentis": sono le prediche stenografate senza revisione; "de mysteriis": sono le prediche riviste dall'autore stesso.102 Ci sono in merito le indicazioni di Possidius, per la vita di Agostino. Si veda quanto dice ALTANER 102,11: Possidius enumera nel suo "indiculus" 279 Sermoni, ma in realtà il numero delle prediche autentiche sembra essere il doppio. Vedi anche VERBRAKEN, P., "Etudes critiques sur les sermons authentiques de Saint Augustin", in: "Instrum. Patr:", 12, Steenbrugge 1976, pagg.17 ss: i sermoni considerati autentici sono 544.103 Vedi CHAVASSE, introduzione ai "Tractatus", ed. critica in CCL 138.

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dal suo successore Felice104. Famoso è pure il caso di Cesario di Arles che ha raccolto sermoni di Agostino all`uso dei suoi sacerdoti.

Altri problemi di critica sono legati al fatto di queste collezioni, quello della intenzione particolare che aveva il compilatore quando "componeva" l'omiliario o lo scritto dogmatico-canonico, e quello della autenticità, poiché spesso le prediche venivano fatte passare sotto nomi di predicatori famosi, come di Agostino o di Crisostomo o di altri105.

III. Le attività non liturgiche dei vescoviQuello che conosciamo meglio è senz'altro la predicazione, ivi compreso

l'insegnamento catechistico, dei vescovi. Questa attività era strettamente legata alla liturgia. E' un fatto da notare, anche nel senso che il ministero della parola ha permesso ai predicatori di prendere contatto con i fedeli, preservandoli dal rischio dell'isolamento che comportava forse la sacralità del rito. Comunque la predicazione non è stata l'unica occasione per entrare in contatto con la comunità. C'era anche l'amministrazione economica e soprattutto la "audientia episcopalis" (vedi sopra). Le biografie dei vescovi sono assai eloquenti in proposito106.

Inoltre più di un vescovo aveva a che fare con le comunità monastiche che avevano fondate presso il vescovado, e naturalmente anche con il proprio clero107.

Finalmente, e questo ci interessa di più, c'era anche lo studio della Bibbia e dei Padri. Ad esempio Agostino ci parla della lettura assidua che Ambrogio faceva; lo stesso Agostino fece un ritiro di studio prima della sua ordinazione sacerdotale108, e ci parla dei suoi studi d'archivio durante la controversia donatista.

Non è possibile esporre in questa sede tutti i particolari di tale aspetto dell'attività pastorale dei nostri autori. E' chiaro però che chiunque desideri studiare il contributo teologico o pastorale di un Padre della Chiesa non potrà rinunciare a prendere in particolare considerazione tutti gli aspetti della loro vita sacerdotale109.

9. LA SPIRITUALITA' CRISTIANA

I. La vita monasticaGli inizi della vita monastica risalgono ai primi secoli della storia cristiana. Tuttavia è

ben noto che lo sviluppo decisivo delle forme diverse della vita ascetica coincide in gran parte con la storia della Chiesa Imperiale, cioè con il quarto secolo per l'Oriente e con il quinto e sesto secolo per l'Occidente. Durante il quarto secolo infatti la vita monastica si impone ovunque110: appaiono celle di eremiti, laure, monasteri, in tutte le parti dell'Impero Romano.

E' risaputo che tale sviluppo di vita religiosa molto intensa caratterizza in modo particolare la storia della Chiesa di Egitto, ma non si può dire che questa regione sia stato il solo paese di origine del monachesimo. Nel nostro periodo, il secolo quinto, l'evoluzione rapida, iniziata nel secolo IV, continua. Ritroviamo dappertutto le tre forme di vita monastica: gli eremiti, le colonie di eremiti (Laure), i monasteri cenobitici.

104 "Collezione Feliciana", dell'anno 715. Vedi ANDRESEN, 559.105 Vedi ALTANER, BAUS, 318 e ClPatr. - Delle 3000 prediche trasmesse la metà appartiene a Crisostomo e Agostino.106 Vedi VAN DER MEER, cit., il capitolo sul ministero quotidiano.107 Idem, il capitolo sul clero e sugli asceti.108 Epistola 21.109 Vedi ad esempio la "Vita di Agostino" scritta da Possidius, in: ALTANER, 419, e QUASTEN, III., 328, dove sono indicate le edizioni, e si vedano anche i diversi studi di PELLEGRINO su questa "Vita".110 Per il tempo prima del 300 vedi la testimonianza di Eusebio, Demonstr.Evangl.I,8.

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In parte si tratta di fondazioni anteriori, che non cessano di fiorire, come il monastero bianco di SCHENUTE in Egitto, le Laure di Eutimio in Palestina, i Conventi latini di Gerusalemme o il monastero degli AKOIMETI a Costantinopoli111.

In parte non piccola però incontriamo nuove fondazioni, specialmente in Occidente: i monasteri di Marsiglia e di Lérins in Gallia, che sono centri importanti di vita ecclesiastica e "seminari" di vescovi112; i monasteri del Giura113; - qualche fondazione papale a Roma, eccetera.

Le cause della evoluzione sono da ricercarsi in primo luogo nella attrazione della vita monastica stessa. In essa sopravviveva l'ideale primitivo della vita battesimale pura, dell'imitazione di Cristo nel martirio - martirio di coscienza114, e della "sanctitas Ecclesiae"115, cioè della santità che non è più di tutti i fedeli, e neppure dei vescovi, ma dei monaci. Tuttavia la crescita del fenomeno è dovuta anche all'importanza di certi personaggi, specialmente di grandi vescovi che si impegnavano a propagare e a difendere questo ideale o che si mostravano almeno favorevoli ai monaci:

Schenute, Crisostomo, Sulpicio Severo (il biografo di San Martino), Girolamo, Rufino, sono propagatori della vita monastica in Oriente, e così Agostino, chiamato talvolta "Padre del monachesimo latino", Giovanni Cassiano, che è il teoretico della vita monastica latina116.

Non mancavano però le resistenze contro la vita monastica e contro i monaci. Pagani, cristiani, e persino vescovi, mettevano in questione una simile vita, incomprensibile per molti, ridicola per altri, scandalosa o pretenziosa per altri.

Infatti, verso il 400, e anche dopo, autori cristiani come Girolamo, Ambrogio ed altri, difendono la vita ascetica. Altri, come Agostino stesso, reagiscono contro le idee false che gli stessi monaci117 potevano avere. Inoltre la campagna contro il Priscillianismo in Spagna e Gallia non è ancora finita118. La controversia origenista, che ha preso origine in Egitto verso la fine del quarto secolo119 , continua ancora ad agitare le menti. Esiste anche il "Messalianismo"120.

Nel quinto secolo comincia anche la legislazione canonica e civile concernente i monasteri ed i monaci.

II. Il culto dei martiri e dei santi121

Il fenomeno del culto dei martiri e dei santi è molto complesso. Ci sono dei fatti storici, come la venerazione che si aveva per quei cristiani che avevano seguito Cristo fino alla morte, o anche la stima per i "confessores", dai quali i "lapsi", dopo la persecuzione, chiedevano la riconciliazione122. C'era la convinzione cristiana della solidarietà di tutti coloro che hanno professato e professano ancora la fede123. C'era il nesso con il culto degli antenati, come lo troviamo nelle famiglie dei nobili a Roma, e con il culto dei defunti come lo coltivavano tutti, pure i poveri.

111 Vedi BAUS .112 Vedi BARDY, G., "Les origines des écoles monastiques en occident", in: SE 5(1953)86-104.113 Vedi SChr, 142: "Vies des Pères du Jura", e anche SChr, 297.114 Il primo esempio è la "Vita Antonii".115 Vedi ANDRESEN, 445.116 Vedi H.I.MARROU, Nouvelle Histoire de l'Eglise, 345: sui Padri dell'"età d'oro".117 "De opere monachorum", contro gli Euchiti.118 Vedi PIETRI, VOLLMANN.119 Vedi GUILLAUMONT, A., "Les 'Kefalaia Gnostica' d'Evagre le Pontique", Paris 1962.120 BAUS, 386 ss; Per tutte queste controversie vediANDRESEN, 441 ss., BAUS, 385, e PIETRI.121 ANDRESEN, 490 ff.122 Vedi Tertulliano, Cipriano.123 ORIGENE parla della "intercessione" o "parresia".

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Avviene però una estensione di tale culto verso il 400: il culto per quelli che vivono in Cristo comincia a comprendere, oltre ai martiri, anche altri santi, i Padri del deserto, i santi vescovi (Martino, ad esempio). Nello stesso tempo appare anche il culto per la Madonna124, e per gli angeli, specialmente Gabriele125. Nuove idee sono introdotte: i santi vengono ormai considerati come "advocati" e "patroni", come intercessori nel cielo. Non sono più i vescovi o i "confessores", ma i santi, quelli che stanno come gli angeli davanti al trono di Dio e vengono interpellati. Forse a questo periodo risale il "Communicantes" del Canone Romano della Messa. Notiamo ancora l'uso, cominciato nel quarto secolo, di seppellire i morti "ad sanctos"126, o anche quello di riunirsi "ad sanctum Petrum", per i sinodi e le assemblee liturgiche.

Sarebbe falso considerare il culto dei martiri o dei santi come devozione popolare, non ufficiale, della Chiesa. Faceva invece parte della pastorale dei vescovi127. Anche i grandi vescovi di quel tempo manifestano la loro venerazione per questi eroi cristiani. Ne abbiamo testimonianza, prima del 400, nei Cappadoci e in altri; dopo il 400, in Crisostomo, in Paolino di Nola e nello stesso Agostino.

I vescovi predicano sui santi e ne propagano il culto in parte per sopprimere - sostituendoli - i culti pagani128. Ormai i fedeli andavano da questi santi medici, per cercare la guarigione delle loro malattie e sofferenze. Altrove andavano da Cosma e Damiano, i nuovi "salvatores", "anargyroi", che, come una volta Asklepios, davano gratuitamente la salute129.

Lettura dai sermoni di Agostino.Note metodologiche.Nella NBA si trova una tavola cronologica per la datazione, il luogo e le edizioni

esistenti. Prendiamo in considerazione i sermoni sui santi Pietro e Paolo.Sermo 296 per la festa di Pt e Plo forse tenuto nel 411 (dopo il sacco di Roma).

L'occasione liturgica offre lo spunto per opporsi alla visione della Roma aeterna come esaltazione della fede cristiana. Agostino medita sulla vita dei due apostoli per opporsi alla visione teologico-politica del tempo. Il vangelo della festa è Gv 21.

Pietro è il primo tra gli apostoli, ma è anche il debole che ha rinnegato Cristo: tam amator quam negator. Contro la struttura del panegirico classico descrive come prima delle res gestae la sua debolezza, contro i Pelagiani. Assistiamo ad un cambiamento radicale rispetto al tema dell'imitatio Christi da parte dei martiri: il martire mostra anche la paura della morte come conseguenza del P.O. Questa interpretazione si applica anche alla città di Roma, simbolo della società umana: l'Urbe fu saccheggiata in segno di partecipazione alla debolezza ed alla sofferenza dei martiri.

Par. 6ss: Roma fu saccheggiata nonostante la presenza in essa delle tombe dei martiri. Ma Alarico non osò toccare coloro che si rifugiavano su quei sepolcri. Nel rispondere alla domanda sul perché Dio abbia permesso tutto questo, Agostino evita i luoghi comuni, e supera il concetto di salus populi romani. Afferma che le memorie degli apostoli non sono ancora nel cuore dei cristiani, che non si deve osare chiedere a Dio perché abbia permesso tutto questo, e porta l'esempio di Cristo sofferente che obbedisce al Padre (cristianizzazione del panegirico classico). Il passo di Gv 21, 18 viene preso da Aug (dopo il 410) per esplicitare il tema della paura della morte in Pietro: ciò è anche conseguenza della controversia pelagiana.

124 Legato ad Efeso ?125 BAUS, 337 ss.126 BAUS, 336 ss.127 ANDRESEN, 494.128 Cirillo di Alessandria trasforma il luogo della "Kyra - Isis", in un santuario dei martiri Ciro e Giovanni.129 ANDRESEN, 497 ss.

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[III. Il culto delle reliquie e specialmente della Croce130

Insieme con il culto dei martiri e dei santi, si sviluppa il culto delle reliquie. E' un fatto caratteristico proprio della Chiesa Imperiale. Dal secolo IV fino al secolo VI si distinguono tre fasi di evoluzione:

culto privato delle reliqwuie a Roma, dalla seconda metà del secolo quarto in poi, seguendo la venerazione di certi martiri, che si faceva in circoli ristretti o in cappelle private;

periodo delle "inventiones", del trasloco delle ossa di un martire dal cimitero in una chiesa della città. Sono famosi i traslochi di Gervaso e Protaso sotto Ambrogio a Milano; e non meno famosa la "inventio Stephani" a Roma, nel 415;

il periodo della moltiplicazione quando il desiderio di avere qualche reliquia conduce alla loro moltiplicazione; si ha la divisione del corpo, o, più spesso, si ha la reliquia "per contatto"131.

I Papi mantengono un atteggiamento riservato su questo tema.La venerazione della croce e delle sue reliquie risale al quarto secolo. Sono famose le

testimonianze di Cirillo di Gerusalemme (circa il 350) e di Ambrogio (fine del secolo), nonché di Egeria, della fine del secolo. Nel secolo quinto il Papa Leone, come un po' prima di lui l'Imperatore Teodosio II, riceve una particella della Croce, per tramite dello "Staurophilax", un ufficiale di Gerusalemme che aveva il compito della "custodia della Croce"132.

Da ritenere ancora l'osservazione di Andresen, secondo la quale il culto delle reliquie manifesta che la Chiesa Imperiale è diventata una Chiesa del Popolo, ma che ciò includeva pure il pericolo di degenerare in devozioni nazionali. I santuari possono essere centri di nazionalismo.

IV. I pellegrinaggiNel quarto e poi nel quinto secolo incontriamo un altro fenomeno anch'esso collegato,

almeno in parte, con il culto dei martiri e dei santi, cioè i pellegrinaggi.I luoghi più famosi sono i santuari di quei "sancti-salvatores", come anzitutto il

santuario immenso di San Menna in Libia133, e poi le tombe dei Santi martiri e specialmente dei "Principes Apostolorum" a Roma134, e finalmente i luoghi santi di Gerusalemme e della Terra Santa. Questi ultimi, insieme a certi monasteri orientali, attiravano grandi folle. Sull'argomento esiste una letteratura speciale, detta delle "Pelegrinationes", o racconti di viaggio, e simili testimonianze. Non mancavano, anche a questa espressione di religiosità popolare, certe critiche, come quella di Gregorio di Nissa135.

CONCLUSIONI (per i paragrafi 7 e 9)Le considerazioni sulla vita liturgica, la predicazione ed il ministero pastorale, nonchè

sulla spiritualità e le devozioni del secolo V , ci conducono a certe conclusioni più o meno comuni:

1)GENERI LETTERARI NUOVI

130 BROWN, Praesentia sulle traslazioni.131 Per Roma, vedi PIETRI, e ancheMAC CULLOH, J.M., "From antiquity to the Middle Ages", in: "Pietas", Miscellanea Kötting, 313-324, soprattutto per il sesto secolo in poi.132 ANDRESEN; si veda in proposito anche STUDER, B., "Soteriologia", paragrafo 17, e specialmenteSTOCKMEIER, P., "Theologie und Kult des Kreuzes bei Johannes Chrysostomus. Ein Beitrag zum Verständnis des Kreuzes im 4 Jh.", Leiden 1967; THÉLAMON, F., "Paiens et Chrétiens au 4ème siècle", Paris 1981.13341 ANDRESEN134 Vedi PIETRI, con letteratura ulteriore.FASOLA, U., "Pietro e Paolo a Roma", Roma 1980.135 Epistola 2 e 3. Vedi QUASTEN, II. (italiano), 284 ss, con commento ed estratti.

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I fenomeni segnalati in proposito vengono testimoniati in documenti numerosi, i quali costituiscono rispettivamente parti speciali della letteratura cristiana antica, con generi letterari nuovi:

- i Libri liturgici, cioè le collezioni di preghiere, che, giunte a noi in redazione più tarda, risalgono però al nostro periodo136;

- collezioni di prediche137;- la letteratura monastica, che comprende lettere, regole, biografie di santi monaci,

collezioni di "Apoftegmata" (parole e aneddoti dei Padri del deserto)138;- la letteratura agiografica, oltre a quella monastica, come la "Vita Martini" di

Sulpicio Severo, o quelle scritte su Agostino e Ambrogio139;- gli "Itineraria", specialmente quello di Eteria140, ma anche il "Peristephanon" di

Prudenzio141 e certe lettere di Paolino di Nola, di Agostino, di Gerolamo142 e di altri.2) L' INTERESSE PER LA VITA MONASTICAè una caratteristica specifica di gran parte della letteratura patristica - anche se non

strettamente monastica - di questo periodo. Ciò è dovuto al fatto che dappertutto l'ideale della perfezione cristiana è presente, non solo nelle prediche e nei "tractatus spirituales", ma pure negli scritti dogmatici e filosofici143.

3) LA PREDICAZIONE LITURGICA (BIBBIA E LITURGIA)Una gran parte della letteratura esegetica dei Padri è da considerare come

predicazione liturgica. E' chiaro che questa parte non può essere studiata senza una buona conoscenza della liturgia stessa. Si veda la predicazione di Agostino sui Salmi, sul Vangelo di Giovanni, sulla "Prima Joannis"144.

4) LA PASTORALEDato che la letteratura cristiana riflette in gran parte le preoccupazioni pastorali di

autori che erano vescovi, uno studio di questa letteratura suppone una buona conoscenza dei metodi e dei problemi pastorali di quel tempo: catecumenato, catechesi, cristianizzazione della vita quotidiana, eccetera.

5) I RAPPORTI FRA REGIONI DIVERSEE' anch'esso un aspetto caratteristico di questo periodo - anche se non solo di questo -

perchè ha avuto le sue espressioni nel fatto nuovo dei pellegrini e dei monaci viaggianti e ha favorito in particolare i rapporti con la Terra Santa.]

PARTE TERZA: LA TEOLOGIA DELLE CHIESE NEL SECOLO QUINTO

INTRODUZIONE

136 Vedi ALTANER, par. 64.137 ALTANER nei paragrafi rispettivi per i singoli autori, come Crisostomo, Agostino, Leone, Crisologo, Massimo, eccetera.Vedi anche ClPatrum, CPG II su Crisostomo.138 ALTANER, par. 66, sui monaci dell'Egitto; par. 68,18, la "Vita Antonii"; par. 102,13, la Regola di Agostino ; par. 61,1, la "Historia Lausiaca", "Historia Monachorum", "Apophtegmata Patrum"; par. 104,1, su Cassiano, eccetera.Si vedano anche i "Tratatus de Virginitate", e altri autori come DESPREL, DE VOGUE.139 ALTANER, par. 61 e par. 59,8.; RAC.140 ALTANER, par. 62.141 ALTANER e QUASTEN III.142 Girolamo, lettera 108, in traduzione tedesca in OONNER, 146, 6-14.143 MARROU, NHE I., 346 ss: i Padri dell'"età d'oro"; "Vedere Dio"144 Si vedano le rispettive "Introduzioni" in SChr, 116 o in BAug 71 oer il "Tractatus in Johannem"; POQUE; ZWINGGI.

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E' ovvio che una iniziazione alla lettaratura cristiana antica deve considerare con attenzione particolare la teologia nelle comunità cristiane dei primi secoli, poiché la teologia, intesa come approfondimento intellettuale del Vangelo di Gesù Cristo, costituisce senz'altro l' argomento principale degli scritti patristici. Infatti, quando i Padri della Chiesa si mettevano a scrivere, lo facevano in primo luogo per commentare la Bibbia, poi per difendere la "Regula fidei", trasmessa dalla tradizione apostolica, e infine per rilevare il senso più profondo delle verità cristiane, cioè per fare teologia.

I patrologi si sono concentrati sulla teologia e cristologia dei PP trascurando altri testi che ci danno i motivi nascosti di queste controversie, quale lo studio della teologia cristiana della famiglia (nei sermoni...). I PP insistono sull'ortodossia cristologica nicena nei discorsi al popolo sulla morte, sulla cura dei malati, sui discorsi spirituali ecc. In quest'ottica vanno dunque lette le controversie dottrinali.

Tuttavia non si tratta qui di esporre la storia delle dottrine cristiane, né dei dogmi nel senso stretto della parola, né delle posizioni teologiche sviluppate nel nostro periodo. Intendiamo piuttosto mettere in evidenza i principi teologici che in quel tempo sono stati elaborati, o che almeno caratterizzano il lavoro teologico di allora1. Neppure sotto questo aspetto prevalentemente metodologico la nostra esposizione sarà completa. Fermeremo la nostra attenzione su quegli aspetti che emergono più degli altri, nel senso che forse essi hanno pure condotto alla creazione di nuovi generi letterari nella letteratura patristica.

Considerando dunque l'orizzonte teologico del secolo quinto, riguarderemo in modo speciale

il principio di "Ortodossia"l'autorità teologica dei Concilil'argomentazione patristical'origine dei florilegi patristici.Completeremo finalmente questo studio del metodo teologico con qualche riferimento

all'esegesi del tempo, riguardando più da vicino l'ermeneutica biblica di Cirillo di Alessandria e di Agostino di Ippona.

10. LA PREOCCUPAZIONE FONDAMENTALE DELL' ORTODOSSIA.IntroduzioneBibliografiaA. Le controversie dogmatiche principali: cristologica, pelagianaB. Dogmi e anatematismi:formulazione del dogma, esclusione degli errori

[IntroduzioneLa teologia cristiana della prima metà del secolo quinto è caratterizzata soprattutto dal

fatto di essere tanto preoccupata della fede ortodossa. Anche se la sollecitudine di mantenere la purità della fede non era nuova - si ricordino le lettere pastorali di Ignazio di Antiochia, e Ireneo, Tertulliano - ed anche se d'altra parte non è ancora arrivata all'integralismo della Chiesa sotto Giustiniano, nel secolo VI, non si può non vedere quanta premura gli autori del nostro periodo avevano nel formulare con esattezza la giusta fede e nell' eliminare ogni eresia.

Questi due fatti non ci sorprendono, se consideriamo quanto i Padri siano stati impegnati a spiegare sia il mistero dell' Incarnazione, sia quello della libertà umana nella grazia divina.

1 Vedi quanto già detto nella Introduzione a proposito della differenza rispetto alla Storia della Teologia.

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A. Le principali controversie dogmatiche1. Le controversie cristologiche

Come è ben noto, il problema dell'unico Cristo, Dio vero e uomo vero, domina, specialmente in Oriente, le discussioni teologiche della prima metà del secolo quinto. Vi si distinguono due fasi principali: la controversia nestoriana (428-433), e la controversia eutichiana (448-451).

In tutte e due le fasi si tratta in primo luogo di un antagonismo fra le due sedi di Alessandria e di Costantinopoli, più esattamente fra due correnti teologiche, l'alessandrina e l'antiochena, con le rispettive implicazioni politiche e spirituali. Anche altre Chiese si trovano impegnate in questa lotta secolare.

La Chiesa di Roma rappresentante delle Chiese latine, vi esercita continuamente un ruolo di mediazione, anzi di un certo primato. Non ci sorprende dunque il fatto che al Concilio di Calcedonia venga discussa anzitutto la proposta romana di una soluzione difisita del problema cristologico, ed accettata finalmente una formula di fede che riflette le tradizioni cristologiche principali di allora2.

Più importante di queste considerazioni sulle correnti teologiche e sulle posizioni politiche, è il fatto che tali controversie teologiche non sono altro che la seconda parte delle controversie ariane3.

Infatti la questione fondamentale della presenza di Dio in Gesù, sollevata durante il secolo III, e poi soprattutto all'inizio del secolo IV, non è stata risolta con le discussioni pure lunghe fra i sostenitori e gli avversari della fede nicena. Essendo l'impassibilità divina supposta da tutte le parti, gli uni avevano insistito di più sull'unità di Cristo, secondo lo schema "logos-sarx", mentre gli altri avevano messo in evidenza la dualità divino-umana in Cristo, secondo lo schema "logos-anthropos". In fondo però nessuna di questa tendenze - anche oltre la presentazione fatta in modo da semplificare il più possibile - ha spiegato in che senso il Verbo di Dio si fosse incarnato. Proprio questa domanda invece richiedeva una risposta, se si voleva ammettere che quello che ci ha salvati per mezzo della morte, sia stato veramente Dio4. Comprendiamo dunque l'importanza dei testi pastorali e soteriologici dei PP. L'argomentazione non era spinta solo dalla speculazione, ed è importante ricercare la base filosofica dei vari autori. Anche oggi c'è il rischio che la teologia cattolica perda il senso dell'importanza di queste dottrine e della loro urgenza pastorale. Viene qui coinvolto anche l'elemento politico, che non si limita alle lotte fra le varie sedi. L'argomento è bensì di tipo antropologico-politico: capire come il Verbo si è fatto uomo è importante per capire come l'uomo può reggersi. In questo senso, la controversia pelagiana è strettamente legata alle controversie cristologiche del tempo.

La problematica propriamente cristologica inclusa nelle discussioni trinitarie del secolo IV appare specialmente nella distinzione fra "Filius Dei" e "Filius Hominis". Precisando il rapporto tra Dio-Padre e Dio-Verbo per mezzo della categoria della generazione, si cominciava ad opporre la generazione divina a quella umana, o la "natura divina" alla "natura umana"5.

2 Vedi GRILLMEIER, A., "Jesus Christus", cit., 753-759, con le fonti della fede di Calcedonia.3 Vedi PELIKAN, cit., I., 228.4 Vedi GRILLMEIER, A., "Jesus Christus", cit., 382-385.LORENZ R., "Arius judaizans ?", Göttingen 1980.SIMONETTI, M., "La crisi ariana...", con recensione di STUDER, B., in: FZThPh 24 (1977) 485 ss.STUDER, B., "Una persona in Cristo": "Augustinianum" 25 (1985) 453-487.KANNENGIESSER, Ch., "Athanase d'Alexandrie, évêque et écrivain" (Paris 1983) 338 ss.: "L'unité de sujet dans el Christ par l'assomption de la chair dansl le Verbe".5 Vedi l'esegesi di Isaia 53,8.

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Si sentiva però subito che non si può parlare di due figli, del Figlio di Dio e del Figlio di Maria. Cristo è senz'altro nato due volte, ma senza che in lui ci siano due figli, o, come si diceva verso la fine del secolo IV, due "persone"6. Prima della controversia ariana si era andati appena oltre la semplice esclusione di due figli o di due persone, eccetto Teodoro di Mopsuestia7.

Quanto le discussioni cristologiche del secolo quinto siano state una continuazione delle controversie ariane, appare anche nel fatto che portavano anzitutto alla trasposizione della terminologia trinitaria al problema cristologico.

Infatti, da quando Apollinare di Laodicea aveva cominciato ad applicare al Verbo Incarnato termini tecnici come "Homousios", "Physis", "Hypostasis", i teologi greci sentivano il bisogno di chiarire l'uso cristologico di questo linguaggio ormai tradizionale in campo trinitario. La loro discussione terminologica non sarebbe cessata prima che il Concilio di Calcedonia non avesse sanzionato la distinzione cristologica fra "physis" e "hypostasis"8. L'ipotesi di un nesso intimo fra la problematica anti-ariana del secolo IV e le controversie cristologiche del secolo quinto viene confermata anche da due fatti registrabili nell'ambito della teologia latina.

Da una parte anche gli autori occidentali, come Ilario, Ambrogio e Girolamo sono stati costretti ad escludere ogni malinteso sorto a causa delle obiezione dei due figli o delle due persone9, anzi, questa evoluzione ha condotto la teologia latina ad accettare senza difficoltà la doppia consustanzialità elaborata dai Greci10.

D'altra parte in Occidente le questioni lasciate aperte nelle discussioni ariane hanno posto i teologi davanti al problema dell'unità di Cristo, come dimostra il caso di Leporio, considerato nestoriano "ante litteram"11.

Proprio considerando bene il nesso fra le controversie trinitarie e quelle cristologiche afferriamo meglio una delle caratteristiche più notevoli della teologia del secolo quinto, cioè l'insistenza crescente sulla formulazione esatta del dogma.

Come vedremo meglio in seguito, la fede di Nicea viene riconosciuta da tutti i teologi di quel tempo come misura di ogni ortodossia, sia per il contenuto delle affermazioni teologiche, sia per la formulazione del "consostanziale". Ma nonostante le riserve contro ogni nuova formulazione della fede, le discussioni - spesso acerbe - continuano, e conducono ad una circoscrizione esatta della fede in Cristo. Il "simbolo d'unione", del 433, base della definizione che sarà di Calcedonia, è da valutare anzitutto come compromesso terminologico che Cirillo ha accettato non senza sacrificare la propria terminologia alla causa della pace12.

1bis. La controversia nestoriana.1.Il primo Cirillo di Alessandria.Secondo GRILLMEIER Cirillo, nella sua prima fase, sembra ignorare del tutto la

controversia cristologica che esistette da Atanasio fino ai soi giorni. La cristologia del primo Cirillo è nella linea Logos-sarx, i cui due esponenti classici sono Atanasio ed Apolinare. Del primo, Cirillo modifica l'argomentazione, nel tentativo di renderla più accettabile, ma non la sostanza. Fino alla controversia nestoriana, dunque, Cirillo non attribuisce importanza teologica all'anima di Cristo, non considerando in lui lo sviluppo

6 Vedi GRILLMEIER, "Jesus Christus", cit., 380 ss.: su Eudoxius, amico di Eunomio; e 538 ss.: su Gregorio di Nazianzo.7 Vedi "Unigenitum", "Primogenitum".8 Vedi GRILLMEIER, "Jesus Christus", cit., 679-682.9 GRILLMEIER, cit., 577-594 .10 Si veda l'articolo di STUDER in: REtAug 18 (1972) 87-115.11 Vedi GRILLMEIER, cit., 661-665.12 GRILLMEIER, cit., 682; H.J.VOGT, "Das gespaltene Konzil von Ephesus und der Glaube an deneinen Christus: TrierThZ 90 (1981) 89-105; V.FERNANDEZ, , in EphemMarian 31 (1981) 349-364. (theotokos).

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di una intelligenza umana. Il Logos è la potenza spirituale dell'uomo Gesù, ed il progresso dell'uomo è solo la graduale rivelazione della presenza del Logos in lui. Cirillo non pensa di confutare le obiezioni ariane contro l'immutabilità del Logos riferendosi all'anima di Cristo: riconosce le reali sofferenze della carne ma non quelle dell'anima; perciò è la carne di Gesù a ricevere santità e gloria. Cirillo dunque non attacca mai il principio fondamentale degli Ariani, che facevano del logos l'anima di Cristo: solo ne contesta le conseguenze che essi traggono a proposito della natura del logos stesso.

2. Teodoro di Mopsuestia (392-428): la cristologia antiochena classica.E' indispensabile prestare attenzione all'atteggiamento di Teodoro verso la fede ed il

culto cristiano. Il quadro gnerale della sua fede ci aiuta a capire le sue idee specifiche in campo cristologico.

Teodoro si basa soprattutto sulla tipologia, seguendo il suo schema delle due katastaseis (presente e futura): l'opera di Cristo dice come tutta l'economia divina sia orientata all'immortalità, dal momento che in lui Dio ci mostra i primi futti di essa. I misteri della vita di Cristo ci mostrano la vita futura della Chiesa; nel Battesimo il cristiano partecipa alla morte e resurrezione di Cristo, e con la filiazione adottiva partecipa alla filiazione di Cristo. La filiazione per gli uomini ci viene proclamata in modo unico da Cristo uomo, e la distinzione delle due nature ci permette di applicare a noi i misteri della vita di Cristo.

Tutta l'economia divina è resente nella celebrazione eucaistica, e ci fa partecipare al mondo delle realtà celesti, così che la redenzione non è solo una speranza futura, ma la partecipazione attuale e interiore allo Spirito divino. Teodoro mira dunque, con la sua dottrina sul Battesimo, a salvaguardare la trascendenza di Dio, parlando a proposito dell'uomo non di una divinizzazione, ma di una congiunzione-obbedienza morale a Cristo.

Per Teodoro la misura della nostra partecipazione alla vita divina realizzata nel Battesimo è Cristo, in cui l'Homo adsmptus si congiunge al Logos ed alla sua natura divina. Il Logos fa partecipare l'Homo susceptus alla vita divina per mezzo della synapheia (congiunzione), con la quale partecipa del Padre e dello Spirio perché il Logos è ad essi consustanziale. L'homo adsumptus ha gloria perché è accettato come Figlio: così saremo anche noi, ma non come Cristo. Nell'eternità l'umanità di Cristo acquista molta importanza, perché media questa unione.

Teodoreto ha una sola preoccupazione: impedire agli ariani di violare la trascendenza divina, anche se egli ammette l'immanenza di Dio nella storia. Ma Teodoro sta molto attento ad evitare qualunque confusione tra Dio e la natura: da qui il suo grande probleme, ovvero la distinzione delle due nature in Cristo.

Un concetto centrale per lui è quello della pericoresi, ovvero la metafisica del mutuo scambio di doni tra le due nature.

In Teodoro, dunque, la profondità dell'unione tra Dio e l'uomo (sia in Cristo che in noi) può apparire un po' diminuita, ma tale diminuzione non preoccupa il nostro autore: egli cerca piuttosto una spiegazione della partecipazione dell'uomo alle realtà divine che permetta una sintesi tra la trascendenza e l'immanenza di Dio, e nello stesso tempo salvi, in Cristo, la divinità del Logos e la reale umanità di Gesù.

Teodoro non è uno speculativo, ma soprattutto un esegeta. Come liturgo fa esperienza della presenza di Cristo nella Chiesa, e la sua teologia speculativa è sussidiaria, lasciando pure la filosofia nello sfondo. Interpreta così l'unità Dio/uomo in Cristo secondo le linee dell'unità corpo/anima. A differenza degli alessandrini, nega che l'immagine di Dio sia nell'anima e possa essere migliorata per mezzo della conoscenza. Dio e le creature sono due forme di essere diverse, e la loro unione si fa soprattutto con la volontà e l'amore. La redenzione si attua con l'unione delle volontà divina e umana in

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Cristo, che toglie la disobbedienza di Adamo. Il Logos si unisce all'umanità di un uomo preciso, la cui obbedienza vince il peccato. Fin dal concepimento Gesù fu unito da un atto della volontà divina al Logos, che gli conferisce una particloare sensibilità morale, capace di permettere a Cristo una totale e volontaria obbedienza che mantiene l'unità con il Logos.

Punto di realizzazione perfetta dell'umanità è la croce, e come premio di essa Dio dà a Cristo l'immortalità del corpo e l'immutabilità dell'anima, rendendolo causa e primizia della salvezza.

Benché Teodoro condivida l'ortodossia nicena e sostenga il principo della guida divina dell'uomo assunto, tuttavia spiega che l'azione umana è costitutiva della redenzione di Cristo e della partecipazione cristiana alla salvezza.

La cristologia di Teodoro si trova espressa soprattutto nelle sue omelie catechistiche. Egli nega che si possa parlare di due Signori e di due Figli: le due nature sono unite ineffabilmente ed inseparabilmente in un solo prosopon (= figura). L'unione non distrugge la distinzione, e la distinzione non impedisce l'unità. Teodoro si sforza di salvaguardare l'unità senza parlare di una integrità umana, ma ad un alessandrino la sua terminologia e la spiegazione non chiara dell'unione appaiono insufficienti: lo stesso termine prosopon si presenta meno impegnativo di "ipostasi".

Nel commento a Giovanni, Teodoro parla di Cristo uomo e Dio come di due soggetti: la distinzione va ricercata nella physis-hypostasis, mentre l'unità è garantita da un unico prosopon. Certo l'impiego ed il contenuto di persona e natura sono ancora poco delineati, ma il contributo di Teodoro è importante: la discussione sull'interpretazione della figura di Cristo data dagli Ariani e dagli apollinaristi trova in lui un grande interlocutore, che oppone la cristologia Logos/anthropos a quella Logos/sarx. Si tratta, in ultima analisi, dell'interpretazione del rapporto tra Dio ed il mondo.

Fin dai tempi di Giustino la teologia si era impegnata sul rapporto Logos/sarx; ora l'umanità di Cristo viene presa in considerazione nella sua pienezza.

3. Nestorio.Lo scontro decisivo tra le teorie dell'unione volontaria e dell'unione naturale arriva

con Nestorio (patriarca di Costantinopoli nel 428-431), che disapprova pubblicamente l'uso dell'appellativo mariano di Theotokos. La cristologia antiochena vedeva in Maria solo la madre dell'uomo Gesù, ovvero la Christotokos. Cirillo interviene nella questione per motivi politici e dottrinali: la rivalità tra Alessandria ed Antiochia, in base alla quale Cirillo non voleva che un antiocheno sedesse sulla cattedra di Costantinopoli.

La seconda lettera di Cirillo a Nestorio e la risposta di quest'ultimo puntualizzano le differenze tra le due cristologie. Della controversia entrambi avevano informato papa Celestino, che senza approfondire la questione decide di appoggiare Cirillo (Concilio di Roma dell'agosto 430), invitandolo ad esigere la ritrattazione di Nestorio. Cirillo informa Nestorio della decisione papale solo in novembre, accompagnando la sua lettera con 12 anatematismi rispecchianti la tradizione alessandrina più radicale: in essi si parla dell'unità delle nature. Ma nello stesso tempo Nestorio chiede all'Imperatore di convocare un concilio, che si apre ad Efeso il 12.6.431. Lo svolgimento dei lavori è irregolare, non senza colpa di Cirillo: i suoi sostenitori depongono Nestorio, e i partigiani di questo rispondono sullo stesso tono. Teodosio approva le due deposizioni, e Nestorio si ritira in un convento mentre Cirillo resta saldamente sulla cattedra di Alessandria.

Nestorio fu accusato di distinguere due Cristi e di concepire come solo esteriore l'unione divinoumana; egli negò le accuse ed accusò Cirillo di apollinarismo, ma delle sue opere ci resta assai poco, impedendoci di comprendere se davvero la posizione di Nestorio fosse eretica.

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Nestorio si preoccupa di salvare l'integrità e la libertà umana di Cristo, che era ridotta dagli alessandrini a mero strumento passivo del Logos, e così tiene distinti gli appellativi delle due nature.

Per parlare dell'unione delle due nature Nestorio afferma una unità ineffabile, ma preferisce il termine synapheia per evitare la mescolanza: si ripropone così il problema della pericoresi, ma Nestorio non può accettare quella formulata da Cirillo. Egli usa la terminologia antiochena, che sottolinea soprattutto la distinzione: uomo assunto dal Logos, Tempio e dimora di Dio.

In base a questo interesse prioritario, Nestorio non può accettare l'unione delle due nature e delle ipostasi: per lui una natura non ha sussistenza reale se non è anche una ipostasi (ovvero una determinata persona). L'unione di nature ed ipostasi gli appariva come una confusione dal sapore apollinarista: preferisce così parlare di una unione per condiscendenza (kat'eudokia), ed afferma ripetutamente un solo prosopon in cui si uniscono le due nature, non precisando però il significato del primo termine.

Nel libro di Rachide, Nestorio parla di uno scambio di prosopon, per cui una delle due nature siserve del prosopon dell'altra: alcuni interpretano questo concetto come l'accettazione della communicatio idiomatum, rifiutata invece nella risposta alla II lettera di CIrillo. E' comunque chiaro che Nestorio non riesce ad ovviare al rischio antiocheno di separare le due nature.

4. Il secondo Cirillo.Non soffre meno di Nestorio, ma non cerca di rispondere al problema distinguendo il

piano dell'unione da quello della distinzione. Afferma una sola natura del Logos incarnato, ed è dominato da un'intuizione su Gv 1,14 ed il Simbolo niceno, che eserciterà un forte influsso anche in futuro. Nestorio accentua la distinzione senza negare l'unità, mentre Cirillo mette al primo posto l'unità, senza saper interpretare la distinzione. Calcedonia sarà la via media, che prende da Cirillo il fermo riconoscimento di un solo Cristo, ma accentua più nettamente in lui la distinzione. Il Concilio segue la via richiesta dagli sviluppi, senza però esserne pienamente cosciente. Era necessario che a Calcedonia si prendesse una decisione, ma ciò non avvenne con sufficiente deliberazione: vi fu una certa confusione fino alla controversia monotelita.

Questi sono i punti fondamentali della cristologia di Cirillo:- le hypostaseis/physeis di Cristo non possono essere divise dopo l'unione;- gli idiomata non possono essere divisi tra due persone, nature, ipostasi, ma devono

riferirsi all'unica ipostasi del Logos incarnato;- il Logos è unito alla carne assunta kath'hypostaseos: la natura del Logos è un solo

Cristo, poiché il Logos si è unitp realmente ad una natura umana senza alcuna alterazione o confusione.

5. Efeso (431)(cfr la voce del DPAC)I PP del sinodo non stabilirono né discussero alcuna nuova formula di fede. Il centro

dell'attenzione si rivelò come un'idea dogmatica già conosciuta e minacciata da Nestorio. Per questa idea il concilio acquistò importanza, eppure si può parlare di un Credo di Efeso, ovvero di una formula di fede (presentata in assenza di Cirillo) che doveva poi modificarsi e diventare la formula di unione del 433, influenzando poi direttamente Calcedonia. QUesta idea dogmatica è la seguente: unico e il medesimo è il Figlio eterno del Padre ed il Figlio della Vergine Maria, nato nel tempo secondo la carne, perciò essa può giustamente essere chiamata Madre di Dio.

Su questo punto si svolgeva la discussione contro Nestorio, più che sul contenuto del simbolo niceno. La formula del 433 insisterà su "unico e il medesimo", poi incluso nella definizione di Calcedonia. Per i PP la seconda lettera di Cirillo a Nestorio era l'espressione ufficiale dell'insegnamento niceno, e l'espressione ivi contenuta "enosis

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kath'hypostasin" creò un precedente per l'accettazione a Calcedonia del termine nella fede cristiana.

Noi non dobbiamo cercare una definizione filosofica di questo termine: la formula vuole solo esprimere la realtà dell'unione in Cristo, rifiutando un'unione solo morale od accidentale (contro l'unione "kath'eudokian")

6. Dopo Efeso.Il periodo della cristologia che va da Efeso a Calcedonia ha vari contrassegni:a. Non si considera più la cosa più importante l'insistenza sulla completezza delle

realtà divina ed umana nella persona di Cristo (IV sec.). Viene in primo piano la discussione sull'unione ed il rapporto tra di esse.

b. Si cerca, da parte dei teologi più "progressisti", di distinguere i livelli in cui cercare realtà e distinzione, ma questo movimento viene contenuto e deviato da Cirillo e dai suoi.

c. Negli sforzi degli antiocheni essi vedono solo un rischio, cui contrappongono una cristologia unitiva accentuata sull'unità del Logos; ma in tale cristologia gli avversari scorgono un pericoloso ritorno dell'apollinarismo e dell'arianesimo.

d. Due modi distinti di porre il problema, uno moderno ed uno arcaico, stanno quindi di fronte, ma difficilmente si scorge la differenza di impostazione necessaria per avviare il dialogo. La formula di Calcedonia soddisfa le due esigenze, mentre Cirillo accentuava solo il fatto dell'unità. Viene così a precisarsi il contrasto cristologico antiocheno/alessandrino.

e. Il kerigma viene così imprigionato in un dogma di tipo ellenistico. Sembra che ci si sia allontanati dalla Bibbia, ma il significato di "hypostasis" è determinato da Eb 2,3.

1ter. La reazione antiochena a Efeso. La cristologia fino a Calcedonia.1. Teodoreto di Ciro.Nel novembre 430 gli inviati di Cirillo consegnarono a Nestorio le lettere di Celestio

(datate 11 agosto), accompagnate dai 12 anatematismi scritti dal patriarca alessandrino, perché le firmasse. Secondo KELLY i 12 anatematismi riassumono la cristologia di Cirillo, ed il loro contenuto si può così riassumere:

1. Maria è Theotokos.2. Il Verbo è unito kath'hypostasin alla carne.3. Rifiuta ogni separazione delle ipostasi dopo l'unione, e rifiuta ogni "associazione"

per dignità: sono insieme per un'unione naturale (enosis physikè) tra Logos e carne. Per gli Antiocheni questa affermazione era apollinarista, dacché avrebbe negato la distinzione tra le due nature.

4. Non si possono distinguere le affermazioni su Cristo tra il Verbo e l'uomo.5. Rifiuta la definizione di theoforos anthropos (uomo ispirato da Dio): Cristo è vero

Dio perché la Parola è diventata carne.6. E' errato affermare che la Parola divina è Dio o Signore di Cristo, che dopo

l'incarnazione è simultaneamente Dio e uomo.7. Nega che Gesù-uomo fosse mosso dal Verbo o rivestito dalla gloria, come ci fosse

una distinzione.8. Non si può parlare di homo adsumptus che meriterebbe il culto insieme al Verbo

(Nestorio aveva affermato che "Dio è accanto a lui"), perché così si suggerirebbe una separazione.

9. Lo Spirito Santo è proprio di Cristo, e non un potere estraneo a lui, che gli permette di operare miracoli.

10. Il nostro Sommo Sacerdote non è un uomo distinto dal Verbo, ma il Verbo incarnato stesso.

11. La carne del Signore è la stessa carne del Verbo, e può dare la vita.12. Il Verbo realmente soffrì, fu crocifisso e morì nella sua carne.

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L'iniziativa di Cirillo fu assai criticata, poiché il papa non aveva richiesto una nuova definizione, e li aniocheni moderati (Teodoreto di Ciro, Andrea di Samosata) si allontanarono.

Nestorio inviò i 12 anatematismi a Giovanni di Antiochia, ed essi si rivelarono problematici anche per chi aveva accettato gli esiti del Concilio di Efeso. Si innesca così una discussione fondamentale per la cristologia successiva. Giovanni d Antiochia affida a Teodoreto di Ciro (vescovo dal 423) e ad Andrea di Samosata il compito di confutare i 12 anatematismi. La loro opera ci è giunta parzialmente, con un terzo documento (in traduzione latina) di autore ignoto, vicino a Teodoreto.

Teodoreto considera hypostasis e physis come sinonimi (= sostanza - natura), e la mescolanza delle nature come monofisismo. Nella sua critica al terzo anatematisma Teodoreto dà l'impressione di accettare l'esistenza di due nature, e mostra che cirillo deve accettare come complete e intatte le due ipostasi di Cristo. Cirillo condanna la divisione delle ipostasi, ed allora Teodoreto parla di unione delle nature. C'è un progresso terminologico nel III° Dialogo dell'"Eranistes seu Polymorphos" (437, vs. Eutiche), dove prosopon e hypostasis sono virtualmente identici, ma Teodoreto non osa riconoscere una sola ipostasi in Cristo, come voleva Cirillo. Eppure, alla luce del suo linguaggio trinitario, Teodoreto non avrebbe dovuto avere difficoltà a riconoscere in Cristo l'identità di prosopon ed ipostasi, distinguendole da ousia e physis. Solo dopo il 430 Teodoreto applicherà alla cristologia il linguaggio trinitario, e solo a Calcedonia il termine hypostasis acquisterà anche per lui un significato positivo, in base al contenuto di una sua lettera in cui porta prove scritturistiche per l'uso del termine (anche se dagli scritti più tardi tale accettazione non risulta, fino a far dubitare dell'autenticità della lettera di cui sopra).

Teodoreto fece un grande sforzo per chiarire il significato di hypostasis, e per creare un legame tra Calcedonia e la teologia trinitaria; non ebbe però alcuna difficoltà con i termini physis ed ousia, che impiega per dire la costituzione in due realtà di Cristo, favorendo l'evoluzione teologica che porterà a Calcedonia.

Nel simbolo antiocheno del 433, dovuto in buona parte a Teodoreto, vengono respinte la enosis physikè ed il mia physis di Cirillo. In una unione naturale, infatti, gli antiocheni vedono una congiunzione necessaria di parti che sono sullo stesso piano ontologico. Ma in Cristo c'è una unità che è completamente soggetta alla Grazia, e quindi alla libertà ma non alla necessità. Per Teodoreto, cioè, con natura si intende qualcosa di necessario ed indipendente dalla volontà, mentre una unione di beneplacito non è per lui immediatamente da condannare perché solo "accidentale", poiché Teodoreto non si sottrae all'effettiva considerazione della realtà dell'Incarnazione.

Ma Teodoreto non ha altri termini oltre a prosopon per dire l'unità: nel De Trinitate et Incarnatione appare per la prima volta il concetto di un "prosopon misto" di Gesù Cristo. L'idea cristologica di Teodoreto rivela qualche insufficienza, ma non possiamo cercare nei suoi scritti il significato ontologico che noi diamo a prosopon: per lui significa ancora figura, aspetto. La debolezza della cristologia di Teodoreto si rivela allorquando egli si sforza di arrivare ad una interpretazione interiore di Cristo: il suo concetto di prosopon non gli permette di rilevare l'unicità dell'ipostasi del Logos, e lo spinge a dare uno statuto ontologico quasi uguale al Logos ed all'umanità; da ciò scaturisce un ritratto del Cristo troppo simmetrico, e non imperniato sul Logos, che in Teodoreto non diventa mai il soggetto comune di attribuzione delle asserzioni divinoumane. Fino al 448/49 ha difficoltà ad accettare il titolo Theotokos, e non arriva a distinguere l'unità personale da quella naturale ,non vedendo il Logos come unico soggetto del Dio-Cristo.

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Sembra comunque che la cristologia di Teodoreto si sia evoluta ancora; la lettera 46 del 449 mostra una sua interpretazione di prosoon come di unità del soggetto e della persona in Cristo.

2. Sviluppi dopo il Concilio Efesino del 430.Con la consegna degli anatematismi crilliani a Nestorio, e le conseguenti reazioni,

l'abisso tra le due parti può sembrare incolmabile. Vi sono però dei segni di avvicinamento.

Il 16.7.432 muore papa Celestino, e gli succede Sisto III, che cerca una riconciliazione partendo dal riconoscimento pieno di Efeso. Gli ostacoli da superare sno i 12 anatematismi di Cirillo e la condanna di Nestorio. Si giunge alla fine ad un accordo: Acacio di Berea ha un ruolo importante in questa fase. Cirillo dette una spiegazione del suo insegnamento che escludeva la confusione delle due nature, ed allora da parte antiochenafu inviata a Cirillo una lettera contenente affermazioni di Teodoreto che erano state approvate ad Efeso nel 431. Questo acordo è il simbolo di unione, nella lettera 38 di Giovanni di Antiochia a Cirillo. Vi si dichiara che Cristo è Dio ed uomo perfetto, dotato di anima razionale e corpo, frutto di due generazioni, consustanziale al Padre nella divinità ed alla Madre nell'umanità. Dall'unione delle due nature abbiamo un solo Cristo, Figlio e Signore, in un'unione senza conusione che permette di chiamare Maria Theotokos. Le affermazioni dei Vangeli e di Ap si usano indifferentemente nei confronti dell'unità della persona, o anche divise per le nature.

Con la lettera Laetentur coeli, Cirillo saluta queste formulazioni, ma sembra che faccia concessioni agli antiocheni, lasciando in secondo piano gli anatematismi.

Cirillo accetta così il linguaggio antiocheno (un solo prosopon), e vengono affermate l'unità delle due nature dopo l'unione; il termine Theotokos, ma anche la definizione come Tempio dell'umanità di Cristo.

Si convenne anche sulla condanna di Nestorio, e scomparve l'uso del termine synapheia (congiunzione) in favore di enosis.

Tra il 433 e la crisi eutichiana del 448 non vi sono grandi sviluppi dottrinali in cristologia, ma nessuno dei due partiti era totalmente soddisfatto del simbolo di unione.

Gli alleati estremisti di Cirillo non accettarono la dottrina delle due nature, e Cirillo fu costretto a dimostrare che nonostante il linguaggio criticabile, perché antiocheneggiante, la sua dottrina era rimasta immutata. Da parte antiochena, invece, gli estremisti della Cilicia affermano che Cirillo è eretico, mentre gli antiocheni moderati si pentivano per aver accettato la condanna di Nestorio.

Nel Tomus ad Armenios del 435, troviamo un elenco di estratti di Teodoro di Mopsuestia definiti eretici, il che prova l'intensificarsi della tensione. Alla morte di Cirillo (434), che aveva tenuto a freno i suoi partigiani più estremisti, si era fatto più forte, infatti, l'attacco alessandrino alla dottrina delle due nature. Il successore di Cirillo, Dioscuro, si mise a capo del dissenso e volle riaffermare la dottrina della "mia physis", secondo lui compromessa da Cirillo. Proclo, patriarca di Costantinopoli, sceglie una posizione intermedia tra la terminologia alessandrina e quella antiochena, e attua una importante decisione terminologica: in una omelia, afferma che c'è un solo Figlio, e che le due nature sono in una sola ipostasi. Proclo eredita l'uso di hypostasis forse da Cirillo, ma da questi si allontana affermando la dualità delle nature.

Così, quando nel 435 giunge un'ambasceria armena che chiede informazioni su Teodoro di Mopsuestia, Proclo risponde con un documento moderato che evita gli estremismi. E' ora comune l'accettazione di un solo Figlio, unica ipostasi del Verbo incarnato. Non si parla più di "mia physis tou logou sesarkomene", ma di "mia hypostasis tou logou ensarkothentos. L'aggettivo "incarnato" non è più riferito alla natura, bensì al Logos, e Proclo chiarisce in senso ipostatico un termine (hypostasis, appunto), che Cirillo usava più in senso di "sostanza".

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3. Eutiche.Il successore di Proclo (+446), Flaviano, vide il riaprirsi delle dispute con Eutiche, che

divenne il punto di concentrazione di tutti gli oppositori dell'accordo del 433. L'8.11.448 Eutiche, archimandrita, fu denunciato come eretico da Eusebio di Dorileo. La discussione formule cominciò il 12 novembre, sotto la presidenza di Flaviano, il patriarca locale, e dobbiamo notare che questi colse l'occasione per leggere una professione di fede che conteneva una formulazione importante: «Confessiamo che Cristo consiste di due nature (ek dyo physeon) dopo l'incarnazione, confessando un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore in una sola ipostasi e un solo prosopon». Quantunque l'espressione «da due nature» fosse sul punto di diventare il cavallo di battaglia del monofisismo, è chiaro che Flaviano l'usava per affermare che l'Incarnato aveva due nature. La sua identificazione tra ipostasi e prosopon segnava un importante passo avanti verso Calcedonia. Eutiche rifiutò di comparire in questa sessione e quando lo fece, il 22 novembre, fu per udire la sua condanna. Il verdetto dei presenti, tutti sostenitori del «Simbolo di unione», fu che egli era un seguace di Valentino e di Apollinare e fu perciò deposto. Storicamente, è considerato il fondatore di una forma estrema e virtualmente docetica di monofisismo, poiché insegnava che l'umanità del Signore era totalmente assorbita dalla sua divinità. E' chiaro che tali idee erano allora in circolazione. Teodoreto, I'anno prima, aveva rivolto il suo Eranistes contro coloro i quali, ritenendo che la divinità e l'umanità di Cristo formassero una sola natura, insegnavano che la prima non era realmerre derivata dalla Vergine e che era la seconda che aveva sofferto. Sembra che secondo la loro teoria la natura divina rimane mentre l'umanità è da essa assorbita. La natura cosí assunta non era annientata, ma piuttosto trasformata nella sostanza della divinità. Per quanto non facesse nomi, è quasi certo che Teodoreto si riferisse a Eutiche.

Quale fosse la vera dottrina di Eutiche non è mai stato facile definirlo. A un primo esame, di fronte agli inviati del Sinodo, egli dichiarò «che dopo la nascita del nostro Signore Gesú Cristo io adoro una sola natura, cioè quella di Dio fatto carne e divenuto uomo». Egli rifiutava nettamente l'ipotesi delle due nature nell'Incarnato, considerandola non scritturale e contraria all insegnamento dei Padri. Tuttavia, riconosceva apertamente che Gesù era nato dalla Vergine ed era insieme Dio perfetto ed uomo perfetto. Negava di aver detto che la sua carne era venuta dal cielo, ma rifiutava l'idea che fosse consustanziale con noi. Interrogato davanti al Sinodo, ammise il punto che Cristo era «di due nature», però sostenne che lo era soltanto prima dell'unione: «dopo l'unione, io confesso una sola natura». Egli insisté che Cristo aveva preso la sua carne dalla Vergine e aggiunse che fu una incarnazione completa e che la Vergine era consustanziale con noi. Allora Flaviano lo spinse ad ammettere che il Signore era consustanziale con noi. Eutiche accettò di ammetterlo, se il Sinodo insisteva. Tuttavia, spiegava che la sua riluttanza era dovuta al fatto che considerava il corpo di Cristo come il corpo di Dio; ed esitava a chiamare il corpo di Dio «il corpo di un uomo» (evidentemente, intendeva consustanziale con noi riferito a un uomo singolo), ma avrebbe preferito parlarne come «di un corpo umano» e dire che il Signore divenne incarnato nella Vergine. Questa tuttavia era una osservazione marginale: egli tornò presto all'affermazione monotona delle due nature prima dell'incarnazione e di una sola natura dopo l'incarnazione.

E' chiaro che l'immagine tradizionale della dottrina di Eutiche si è formata raccogliendo alcune sue affermazioni e conducendole alla loro conclusione logica. Dal momento che rifiutava il «consustanziale con noi», se ne deduceva che l'umanità di Cristo era per lui pura apparenza; perciò doveva essere un docetista. Dalla sua affermazione delle due nature prima e una sola natura dopo l'unione, si deduceva che le due nature dovevano essere state fuse in un tertium quid oppure che l'umanità era stata

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assorbita dalla Divinità. Sembra in effetti che Eutiche fosse un pensatore confuso e poco abile (multum imprudens et nimis imperitus disse di lui papa Leone), impegnato ciecamente a difendere l'unità di Cristo contro ogni tentativo di divisione. Non era però docetista, né apollinariano: nulla era piú esplicito della sua affermazione della realtà e concretezza dell'umanità di Cristo. Le sue esitazioni a proposito del «consustanziale con noi» nascevano dal suo sospetto esagerato di poter essere costretto ad accettare la concezione nestoriana dell'umanità come quella di un uomo singolo assunto dalla Divinità. Se rifuggiva dalla espressione «due nature» era perché, come molti alessandrini, intendeva physis, o natura, nel senso di esistenza concreta. Ancor piú dello stesso Cirillo (del quale gli mancava la profondità di pensiero e di intuizione), si era abbeverato alla letteratura di provenienza apollinariana, che credeva pateticamente ortodossa, e si era afferrato alla formula di Cirillo «una sola natura», trascurandone la qualificazione essenziale: fatta carne. Se la sua condanna deve essere giustificata, si deve farlo alla luce di considerazioni piú ampie: la Chiesa della sua epoca stava cercando a tentoni la sua strada verso una cristologia equi-librata. Il tipo di pensiero rappresentato da Eutiche era in certa misura unilaterale; benché fosse possibile intenderlo in senso ortodosso, sforzandolo in quella direzione si capovolgeva il necessario equilibrio: se non si insisteva sopra l'altro aspetto implicito nella dottrina delle due nature, la cristologia poteva scivolare negli errori che le attribuivano i suoi avversari.

Quantunque Eutiche fosse scomunicato e deposto, il tempo in cui rimase in disgrazia non fu lungo. Scrisse al papa, ma la sua lettera non portò il risultato sperato. Flaviano aveva già informato Leone della sua condanna e ora scrisse con maggiori particolari definendo la sua eresia. Il risultato fu che il 13 giugno 449 Leone spedì la sua famosa Epistula dogmatica o Tomus a Flaviano, dimostrando chiaramente la sua ostilità per la dottrina di una sola natura. Eutiche ebbe maggior successo con Dioscoro, che fin dal principio aveva rifiutato di riconoscere la sua scomunica e con il suo aiuto convinse Teodosio II a convocare un Concilio ecumenico. Il Concilio si riunì ad Efeso nell'agosto del 449 e fu dominato dalla rude efficienza di Dioscoro. Quantunque il papa avesse mandato tre legati, essi non ebbero la possibilità di leggere il suo Tomus. Eutiche fu immediatamente riabilitato e la sua ortodossia riaffermata. Il Simbolo di unione fu formalmente abrogato, in quanto andava al di là delle decisioni del Sinodo di Efeso del 431, e l'affermazione delle «due nature» dopo l'unione fu anatemizzata. Flaviano ed Eusebio di Dorileo, e insieme a loro Teodoreto e tutti gli esponenti della dottrina delle due nature, furono condannati e deposti. Finito a questo modo, il Concilio rimase noto come il Sinodo dei ladroni o «Latrocinio efesino».

4. Leone Magno.La cristologia del Tomus ad Flavianum non è originale, ma riproduce e specifica le

idee dei predecessori:a. La persona del Dio/uomo è la stessa della Persona Divina. Descrive l'Incarnazione

come svuotamento, ma senza diminuzione della potenza del Verbo: non cede la gloria del Padre.

b. Le nature umana e divina coesistono senza mescolanza nè confusione, unendosi per formare una sola persona, ciascuna conservando le proprie qualità naturali della sostanza. La forma servi non diminuisce Dio e viceversa, e l'unico mediatore doveva poter morire come uomo.

c. Le nature sono principi di operazioni separate, ma sempre in accordo tra loro: il Verbo compie ciò che è del Verbo e la carne ciò che è della carne.

d. L'unità della persona rende legittima la communicatio idiomatum: il Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto; il Figlio dell'uomo discese dal cielo.

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Qui gli antiocheni potevano riconoscersi nell'unità ed indipendenza delle due nature, mentre gli alessandrini nell'identificazione tra l'identità della persona dell'incarnato e quella del Verbo eterno: nelle due nature esiste l'unico e medesimo Figlio di Dio.

1quater. Calcedonia.La morte di Teodosio II, che aveva sostenuto il latrocinio efesino, fu vista dagli

ortodossi come provvidenziale. Il successore Marcello simpatizza per la teoria delle due nature, e propone un Concilio generale, che il Papa avrebbe voluto in Italia. Dopo varie incertezze, fu scelta la sede di Calcedonia, ove si riunirono più di 500 vescovi ed i legati papali l'8.10.459.

L'imperatore premeva perché dal Sinodo scaturisse un'unica fede, ma i PP non volevano un altro credo. I legati imperiali agirono per proporre una formula che tutti sottoscrivessero.

Con la definizione di Calcedonia:- si riafferma il Credo di Costantinopoli;- si canonizzano le due lettere di Cirillo come condanne di Nestorio, e si canonizza il

Tomus Leonis ad Flavianum come condanna di Eutiche.- si stabilisce una formale confessione di fede.Tre passi del Tomus Leonis inquietavano i vescovi di Illiria e Palestina, ed i legati

papali dovettero convincerli che il papa non intendeva dividere Cristo, ma riconosceva le conseguenze pratiche della divisione in nature. Il primo abbozzo del testo approvato mancava di estratti del Tomus, e leggeva "ek dyo physeon" invece di "en dyo physein", non affermando la sussistenza di due nature dopo l'unione.

Furono fatti al testo gli emendamenti necessari, e si discusse lungamente su ogni paragrafo.

Nella sua forma definitiva, la definizione è un mosaico dalle due lettere di Cirillo, dal Tomus ad Flavianum, dal Tomus unionis e dalla professione di fede di Flaviano. In esso si riconoscono parimenti unità e dualità di Cristo. Vediamo affermata l'identità con la monotona ripetizione di "ton auton", e con l'insistenza sulla indivisibilità ed inseparabilità di Gesù Cristo, non costituito di due prosopa. Non si usa il termine "unione ipostatica", ma si ammette il Theotokos.

Il lungo dibattito aveva provato che questa unità non poteva stare senza un riconoscimento esplicito dell'umanità di Cristo, pena il rischio di monofisismo; si afferma così che il Verbo incarnato esiste in due nature complete e peculiarmente operanti, rifiutando il concetto di unione naturale (alessandrini), e scegliendo i termini prosopon ed hypostasis.

2. La controversia pelagiana.Benché le Chiese occidentali fossero state anch'esse impegnate nella controversia

cristologica, soprattutto durante la seconda fase, cioè prima e dopo il Concilio di Calcedonia, le discussioni sull'unico Cristo, Dio e uomo, sono state vicenda principalmente orientale. Tuttavia anche l'Occidente ha avuto le sue controversie teologiche.

All'inizio del secolo quinto, infatti, la Chiesa africana veniva disturbata dai disordini suscitati dal donatismo. Soltanto con grandi sforzi, teologici, e politici, Agostino è finalmente riuscito a superare questo scisma. Durante un intero secolo le comunità africane erano state divise13. Meno importanti sono state le controversie anti-manichee alle quali i contemporanei univano anche la questione priscillianista, che disturbava le regioni iberiche.

13 Vedi FREND, W.H., "The Donatist Church", London 1952; lo stesso, Donatismo: DizPatr I,1014-1025; Bibl.Aug. 28-32: "Traités anti-donatistes", con introduzioni e note.CRESPIN, R., "Ministère et sainteté", Paris 1965.

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Tuttavia anche queste controversie sono da considerare, se vogliamo capire la situazione politica della Chiesa. Essa cercava di risolvere questi problemi con l'aiuto del potere civile, e cercava di conoscere pure le condizioni interne di certe comunità, come soprattutto fece Leone Magno per quella di Roma, nei primi anni del suo pontificato14.

Priscilliano.Fu vescovo di Avila negli anni 381-385 (sec. Chadwick), dopo essere stato monaco in

Spagna ed Africa. Invita la Chiesa all'austerità ed alla disciplina penitenziale, dando una grande importanza ai carismi dei laici e studiandi gli apocrifi altrimenti considerati eretici. Già da laico (370-5) predica un ascetismo rigido, che suscita l'ostilita di alcuni vescovi. Nel 380 si celebra a Saragozza un concilio contro di lui. Viene accusato di negare la possibilità di salvezza per chi è sposato e di professare dottrine patripassianiste; di avere una nozione doceta dell'Incarnazione (avrebbe negato la realtà delle sofferenze di Gesù), di studiare gli apocrifi eretici e di praticare un miscuglio di manicheismo e magia. Nonostante Priscilliano venga condannato, due vescovi lo ordinano pastore della Chiesa di Avila. Nel frattempo i vescovi Idazio ed Itacio ottengono da Graziano un decreto contro i manichei, che comprende anche i priscilliani pr non nominandoli direttamente (Agostino, allora a Milano, sente parlare di quello che lui considera n provvedimento unicamente antimanicheo).

Priscilliano, che era arrivato in Gallia meridionale, cerca in Italia l'appoggio di Ambrogio, e riesce a far annullare il decreto. Dopo la morte di Graziano, Itacio accusa Priscilliano presso Massimo, a Treviri. Ambedue vengono deferiti al concilio di Bordeaux (384), che depone Itacio. Priscilliano allora appella a Massimo, ma Idazio ed Itacio vanno a Treviri (385) e lo fanno condannare per magia, nonostante il parere contrario di Martino di Tour.

Priscilliano viene così decapitato. E' la prima condanna a morte di un eretico, e suscita una enorme impressione fortemente negativa, concretizzata nelle proteste di Ambrogio e Siricio. In ogni caso, i Priscilliani restano attivi nella Spagna del nord per gran parte del V secolo.

La dottrina di Priscilliano (vd. Simonetti in DPAC e Quasten, III vol.). Nel 1889 venne scoperto a Würzburg il cosiddetto "corpus Priscillianum", ovvero una serie di testi raccolti a scopo difensivo, che per Simonetti sono proprio di Priscilliano. Di tale corpus fanno parte: il Liber apologeticus, che condanna le eresie astrologiche; il Liber de fide et apocryphis, che afferma come non tutti i libri ispirati siano contenuti nel canone (vd Chadwick e Crouzel).

La posizione attuale degli studiosi tende a vedere nella condanna di Priscilliano un fatto politico, anche se non sono chiare tutte le fasi della vicenda. La ricerca attuale tenta di rivedere dal punto di vista politico le controversie teologiche, notando come, nella lotta contro i Priscillianisti ed i manichei, la Chiesa abbia cercato di battere gli eretici con l'aiuto del potere civile.

Non c'è dubbio che la controversia più importante sia stata quella che viene chiamata pelagiana. I suoi problemi sono:

battesimo dei bambini "in remissionem peccatorum";peccato originale e redenzione universale;natura e grazia;libertà e predestinazione.Tali problemi non erano soltanto di una portata ben diversa rispetto agli altri, ma di

fatto impegnarono anche le Chiese orientali, che dovettero prendere posizione

14 Vedi VOLLMANN, B., "Studien zum Priszillianismus", St Ottilien 1965, anche in: PWK Suppl. 14 (1974) 485-559. Vedi anche PIETRI, Roma Christiana, Roma 1976. -CHAVASSE, A., in: CChL 138, CLXXVIII ss;; DECRET, F., "L'Afrique manichéenne", Paris 1978, anche in: BAug 17, con bibliografia.

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anch'esse, prima in qualche sinodo palestinese, e poi finalmente al Concilio di Efeso (431)15.

La causa di questa controversia tipicamente occidentale era peraltro un problema vecchio. Quasi dall'inizio i teologi cristiani si vedevano confrontati con i problemi della libertà umana. Avevano sempre preso posizione in favore della possibilità dell'uomo libero. Adesso invece Agostino mette l'accento sulla trascendenza divina, cioè sulla iniziativa gratuita della grazia16.

Questo fatto si spiega anzitutto con la sua esperienza di conversione, con la quale aveva più profondamente compreso la trascendenza divina. Ma anche la fedeltà verso la tradizione ecclesiastica - cioè l'uso di battezzare i bambini -, lo portò a mettere in evidenza la necessità di una redenzione che trasformasse intimamente gli uomini peccatori. Così Sant'Agostino insiste sul bisogno universale di redenzione, sulla gratia praeveniens et interior, e quindi sulla predestinazione divina. Non si dimentichi l'affinità del vescovo di Ippona con l'Apostolo, di cui le lettere avevano ottenuto, durante il secolo quarto, un interesse crescente. Agostino evidenzia la necessità di una redenzione che trasformi intimamente gli uomini peccatori, dacché nessuno può fare il bene ed evitare il male da solo. Il Battesimo è dunque necessario perché la libertà umana possa evitare il male e scegliere il bene.

Al contrario, la vita ascetica, l'ideale antico della "élite", l'influsso della morale antica e della paideia, nonché gli influssi della esegesi orientale, avevano condotto Pelagio ed i suoi seguaci a difendere le possibilità dell'uomo libero17.

Se Giovanni Cassiano ha messo in rapporto le dottrine di Nestorio con il pelagianesimo18, aveva senz'altro torto, dal punto di vista storico. Neppure i rapporti di certi "pelagiani", specialmente Giuliano di Eclana, con Teodoro di Mopsuestia e con altri teologi orientali, giustificano questa interpretazione. Tuttavia non sarebbe neppure giusto voler limitare la problematica agli aspetti antropologici (peccato e giustificazione), poiché nella posizione di Agostino stesso l'aspetto cristologico è veramente centrale. Alcuni studiosi negano che la controversia pelagiana riguardi la cristologia, ma in questo modo lasciano in ombra la riflessione di Agostino sul rapporto Grazia/natura umana nei cristiani: l'Ipponate cerca di comprendere la differenza tra l'unione ipostatica, in Cristo, e l'influsso della Grazia sulla natura umana.

All'inizio della controversia vi è una lettera di Agostino contro Celestio (discepolo di Pelagio) che nega la necessità del pedobattesimo (lettera 140: de Gratia novi testamenti). Agostino afferma di non ritenere inutile la preoccupazione che l'ha portato a dare una lunga spiegazione della Grazia della nuova Alleanza, poiché essa ha degli avversari che non vogliono attribuire a Dio il merito di essere buoni. Tali avversari non vanno sottovalutati: sono asceti, pregano il vero Cristo, uguale e coeterno al Padre e fatto veramente uomo (riprendono lo schema di Nicea, base dell'ortodossia). Dal punto di vista del Simbolo, i pelagiani sono ortodossi, ma Agostino è ugualmente turbato dalla loro posizione. In effetti, all'inizio del V secolo la fede nicena non confessa più solo Cristo vero Dio coeterno al Padre, ma nelo stesso tempo la sua formulazione non è abbastanza sviluppata per rispondere alle esigenze antropologiche del V secolo. I pelagiani aspettano il ritorno di Cristo, ma ignorano la giustizia di Dio e vogliono stabilire la propria.

15 Vedi WERMELINGER, O., "Rom und Pelagius", Stuttgart 1975; SCIPIONI, L., "Nestorio e il Concilio di Efeso", Milano 1974.16 Vedi PELIKAN, cit., I., 279 ss.17 Vedi BROWN, P., "Religion and Society in the Age of Augustine", London 1972.PIETRI, Ch., in: "Jean Chrysostome et Augustin" (Paris 1975), 283-305.TRAPE, A., in: NBA 17/1 & 2.18 Vedi GRILLMEIER, A., "In ihm und mit ihm" (Freiburg 1975), 245-282.

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Agostino non voleva soltanto spiegare in che senso l'uomo dipendesse totalmente da Dio, ma anche, e non meno, come l'opera di Cristo fosse più che un exemplum: è un adiutorium19. Anche in questo caso la tendenza, allora esistente, a voler arrivare ad una definizione della fede ortodossa, non è da trascurare. E' senz'altro vero che Agostino si dimostra piuttosto riservato rispetto a certi termini tecnici, come consubstantialis, o persona"". Non si possono però non vedere i suoi sforzi per cercare di chiarire le formule trinitarie e cristologiche20.

Allo stesso modo, non possiamo trascurare il fatto che a diverse riprese egli ha cercato di riassumere la dottrina pelagiana in formule brevi21. Questo si deve dire ancor di più dei suoi discepoli, i quali, dopo la sua morte, avevano premura di definire esattamente la sua dottrina, come lo attestano le Sententiae ex operibus Sancti Augustini delibatae, e poi soprattutto i Capitula Caelestini (Indiculus")22. Del resto si ricordi anche la famosa formula Roma locuta, causa finita"23, che dice la preoccupazione di possedere la fede in formule ben precise.

3. L'autorità teologica dei Concili.Secondo Eusebio, la chiesa antica si aspettava dai Concili la conservazione della fede,

l'espulsione degli errori e la disciplina ecclesiastica. Nicea, promulgando un simbolo, esprime positivamente la fede ecclesiale. Questo fatto segna per più di un secolo la storia della teologia, e Atanasio ritiene il Simbolo ispirato al pari della Scrittura, dacché dopo Nicea non c'è bisogno di altre formulazioni. Dal 350 si parla così, in Oriente, di "autarchia della fede nicena", e verso il 400 iniziano ad apparire dei commenti al Simbolo. Ad Efeso ambo le parti si appoggiano al Simbolo niceno, che costituisce il criterio di discernimento. Da ricordare anche il can. 7 di Nicea, che proibiva ogni ulteriore formulazione della fede.

Ma a Calcedonia, oltre al ripetersi iniziale del rifiuto di comporre altri simboli, il riferimento è il Simbolo niceno-costantinopolitano, ed il tomus Leonis appare sufficiente per esprimere il consenso della fede secondo Nicea. Su insistenza della corte imperiale si arriva ad una nuova formula, considerata però solo un'aggiunta al Simbolo niceno. Inizia così il pluralismo conciliare, che elimina il monopolio del simbolo preesistente. Nel secolo VI il niceno-costantinopolitano acquista nella liturgia una posizione singolare, che avrà conseguenze a proposito del Filioque.

Il Concilio deve anche regolare la disciplina ecclesiastica ed il rapporto tra le grandi sedi: si continua a rispettare l'autorità di Nicea, ma le condizioni disciplinari-organizzative mutate fanno sì che le novità in campo disciplinare si ammettano più facilmente delle novità. I legati romani, appoggiandosi sul canone 6 di Nicea, si oppongono al ca. 28 di Calcedonia.

I vescovi latini (Ilario ed Ambrogio in testa), riconoscevano Nicea come base di ogni discussione teologica, pur relativizzandone l'importanza. Agostino si atteneva più al criterio dell'universalitas che a quello dell'antiquitas, ed era interessato più ai contenuti della fede che alle sue formulazioni. Contro Eutiche, Leone non si riferisce immediatamente a Nicea, ma nel Tomus ad Flavianus ricorda il Simbolo Apostolico, accorgendosi solo successivamente dell'importanza che gli Orientali attribuivano a Nicea.

19 Vedi MARROU, H.I., "Les attaches orientales du pelagianisme"; B.STUDER, in: RchAug 10 (1975) 87-141; GEERLINGS, W., "Christus exemplum", Mainz 1978, con recensione di STUDER, B., in: "Augustinianum" 19 (1979) 539-546. B.Studer, Grazia: DizPatr II,1678-1688.20 "De Trinitate", 5-7. B.Studer, "La foi de Nicée chez Saint Augustin": RchAug 19 (1984) 133-154; B.Studer, "Una persona in Cristo": "Augustinianum" 25 (1985) 453-487.21 Vedi WERMELINGER, cit., 278-282.22 DS 238-249.23 Nel "Sermo" 131,10, in espressione un po' diversa.

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I canoni niceni formarono il fondamento della legislazione sinodale.

Si approda così alla consapevolezza della necessità di completare il simbolo di Nicea, a fronte di nuovi problemi. Dimostrazione di quanto affermato fu il disastro efesino del 449, che aveva cercato di attenersi strettamente alla lettera di Nicea.

Calcedonia prende una decisione di principio, componendo una nuova fede ma appoggiandola alla fede nicena(-costantinopolitana), e dopo questo sinodo si afferma il principio secondo cui ogni Concilio Ecumenico può definire dogmi e formulazioni della fede a fronte di nuove esigenze. In ogni caso, soprattutto in Oriente, Nicea mantiene un posto privilegiato, soprattutto dopo il sec. IX.

In realtà lo stesso Agostino fu spinto a sviluppare la dottrina delle due nature in Cristo solo perché questa cristologia poteva rispondere alle esigenze antropologiche della controversia pelagiana: la fede nicena, infatti, non bastava a a chiarire le differenze tra l'azione della Grazia in Cristo e negli uomini. Dal 457 in poi, Leone mette sullo stesso piano Nicea e Calcedonia, e precisa il rapporto giuridico fra sede Apostolica e Concilii Ecumenici: a Roma tocca garantire a custodia fidei et canonum dei Concilii ecumenici, ed un concilio non deve trovare nuove verità, ma solo rendere più manifesta la verità predicata dalla Sede Apostolica.

Leone suppone che la Chies di Roma possiede veramente la fede apostolica, e che un Concilio può solo confermareciò ce Romaha sempre predicato. Così Leone tradisce una fiducia troppo grande nelle formule ed una non comprensione dello sviuppo delle dottrine.

Agostino non ha la stessa posizione di Leone sul rapporto tra sede romana e concilio ecumenico; per lui la pratica sinodale è importante, e si dedica a studiare la storia dei concilii, mantenendo però una certa libertà nei confronti dei decreti disciplinari e della lettera delle formule di fede.

Nel contesto della controversia donatista troviamo la concezione dei concilii di Agostino. Egli afferma la superiorità della Bibbia rispetto ai Sinodi, pochè i decreti conciliari non sono mai definitivi come i testi biblici. Distingue poi tra sinodi generali e locali, ed attribuisce una grande importanza al consensu omnium ecclesiarum, più che non all'antiquitas. Stabilisce che i sinodi precedenti particolari possono essere corretti da quelli posteriori, locali o generali, e pare ammettere anche una possibiltà di correzione per i Sinodi generali.

Secondo Aug, l'auctoritas del Vescovo si concepisce sulla scia di Cipriano, ma con una differenza importante: il legame stretto del'auctoritas con la potestas officii, e non con la persona del vescovo (cfr. Ambrogio). Agostino riconosce una gerarchia delle auctoritates, e si stacca dalla concezione ciprianea dell'autorità assoluta del vescovo nella propria diocesi. Riconosce un valore indiscutibile alle tradizioni osservate in tutto il mondo (ep. 54), utilissime per la salvezza e stabilite dagli Apostoli e dai concilii plenari.

Il concilio può ridurre o superare l'autorità del singolo vescovo, così come quella di un conclio regionale, ma Agostino non pose mai il tema della supremazia della Sede Apostolica sul Concilio ecumenico. Egli si riferì spesso a questi ultimi nei testi antidonatisti, ma contro i pelagiani preferì appellarsi alla Sede Apostolica. Dopo aver avuto risposta da papa Vincenzo circa i canoni del Concilio di Cartagine del 416, egli afferma che la causa è finita con i pronunciamenti sia sinodali che romano. La nozione di concordia è poi alla base della riflessione sul rapporto auctoritas/ratio.

4. Lettura del de Baptismo, III, 4.Ai donatisti, che si appellavano a Cipriano per negare la validità del Battesimo

conferito dagli eretici, Agostino replica che l'autorità della Bibbia è maggiore di quella

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dei vescovi, e che le opinioni di questi ultimi possono essere confutate dalle autorità superiori e persino dalla maggiore sapienza e capacità di altri vescovi.

Chi sono questi vescovi più saggi? Sono coloro che nei Concilii esprimono pareri più solidi in base alle regole dell'argomentazione retorica allora vigenti.

5. L'organizzazione dei Sinodi.I sinodi non derivano semplicemente dai Concilii provinciali civli, ma hanno con essi

forti analogie (senentiae, acclamationes, verbali sottoposti all'approvazione dell'autorità superiore). Tecnicamente, il Concilium è la riunione di cives romani per qualunque motivo. Nel concetto è insita una componente religiosa e sacrale, dacché si parla di un'attività pubblica. I concilii civili eleggevano ogni anno il sacerdos provinciae, con il compito di organizzare il culto imperiale, ed erano diffusi in tutte le provincie tranne l'Egitto. Avevano anche il compito di mediare un leame diretto tra le provincie e l'imperatore, che a volte aveva anche compiti di controllo sui governatori. Quodvultdeus (vescovo di Cartagine verso il 440) parla della seduta di un concilium provinciae del suo tempo.

Ma tali concilii non ebbero mai poteri legislativi o fiscali, anche se il loro ruolo nel promuovere il culto imperiale (depurato in seguito degli elementi più propriamente pagani) sopravvisse anche nel V secolo.

Si parla spesso dello stabilirsi di una chiesa imperiale nel IV secolo, ma lo studio di CLAWBERT contesta tale dato, preferendo parlare di un inizio di cristianizzazione solo all'inizio del V secolo. In ogni caso, l'uso dei Concilii provinciarum ne dimostra la continuità, e tali concilii divengono una fonte di amministrazione per la Chiesa, anche se l'imperatore ne è sempre il capo formale. Secondo SILBEN (fonte di Studer), Leone avrebe trovato nel rapporto tra imperatore e concilium un paradigma per il collegamento dei vari Sinodi ecclesiastici al Papato: la figura del successore di Pietro viene così ad assumere connotato imperali (400-450). Alla base della disciplina conciliare troviamo i principi della retorica forense.

Lo sfondo ideologico.Due idee della teologia conciliare del IV secolo (consenso dei sinodali ed ispirazione

divina dei PP.) vengono riprese ed approfondite nel secolo V, come pure si sviluppa il tema del "vox populi, vox Dei". I risultati dei Sinodi fissano per iscritto la Tradizione: non sono sviluppo della verità, bensì manifestazione dell'auctoritas e della veritas divine.

Il concetto di Padre nel contesto polemico.Ha origine dalla vita fisica e spirituale, e si identifica con i maiores antiqui. I vescovi

sono chiamati in tale modo (cfr. trad. ebraica e romana). Dal secolo IV in poi si chiamano Padri i 318 di Nicea, e le loro interpretazioni del Simbolo vengono chiamate "sententiae patrum". Si iniziano a chiamare "beati patres" i grandi teologi passati, ed essi vengono considerati ispirati. I loro argomenti vengono addotti ai Concilii, dove si insiste sulla Tradizione delle Comunità Apostoliche. Il passo decisivo si compie con la controvesia nestoriana: ambo le parti si appoggiano sul simbolo niceno, che va allora interpretato alla luce di PP.

Cirillo ha diverse accezioni del termine Padre: i 318 di Nicea, vescovi distintisi per vita e dottrina morti in pace con il Signore ed in unione intima con la Chiesa.

Il rischio insito nell'uso, generalizzatosi, dell'argomentazione patristica è quello della rigidezza. Ma VESSEY legge il Commonitorium sotto l'ottica del regionalismo che si svilupa nel V secolo. La catholicitas richiede che la verità venga interpretata dalle autorità regionali.

L'auctoritas patrum nella teologia di Agostino.Contro i Donatisti, Agostino deve precisare l'autorità dei Concilii in rapporto alle tesi

di Cipriano nella sua disputa con Roma. Quella di Cipriano, in questo caso, non è

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un'argomentazione patristica in senso stretto, perché Agostino tratta la questione di una singola sede episcopale cui contrappone l'autorità della Sede apostolica.

Solo dal 412 (controv. pelagiana) Aug. usa l'argomentazione patristica, ma manca ancora uno studio esauriente su questo tema.

Con il Commonitorium, invece, abbiamo una vera e propria teoria dell'argomentazione patristica, poiché il criterio di ortodossia viene reperito nel consenso "ecclesiae antiquae et universalis" sintetizzato nei tre avverbi "ubique, semper, ab omnibus".

Giovanni Cassiano, che attacca Giuliano d'Eclano con argomenti scritturistici e patristici, ci mostra l'influsso della mentalità monastica, che considerava i PP maestri di vita.

La letteratura dei Florilegia e delle Catenae.Questi generi letterari nascono proprio dall'adozione del metodo dell'argomentazione

patristica. I Florilegia dogmatica sono raccolte di passi patristici cui vengono aggiunti una breve introduzione ed una conclusione (cfr. il modello delle antologie pagane), ed hanno lo scopo di dimostrare o illustrare una posizione teologica. Non vengono usati solo per l'interpretazione biblica, ma anche per quella del Simbolo o per la dimostrazione, da parte di un autore, della propria ortodossia. I Florilegia più conosciuti sono quelli di Cirillo Alessandrino (di cui il 4°, diretto a papa Celestino, è perduto), poi abbiamo quelli di Teodoreto, di Andrea di Samosata, del monofisita Timoteo; quello antinestoriano di Giovanni Cassiano, le due versioni del Florilegio cristologico di Leone Magno (ca. 450); le Sententiae ex operibus Augustini di Prospero d'Aquitania, gli Excerpta Augustini di Vinc. Lerin., gli estratti da Nestorio e Cirillo di Mario Mercatore; collezioni di sermoni antimanichei ed antieutichiani di Leone M.

Abbiamo anche, dal sec. VII, florilegi spirituali, che riportano autori anche del sec. V, nonché (verso il 500) gli Apophtegmata dei Padri del deserto.

Le catene bibliche sono commenti sui singoli libri formati da estratti dei grandi commentatori (Orig., Eus., Didimo, Cirillo, Teod. Mops....). Si sviluppano nel VI secolo (Procopio di Gaza edita la Catena sul Pentateuco), ma raccolgono molto materiale anteriore. I problemi legati alle catene sono quelli delle false attribuzioni, delle citazioni sommarie, delle indicazioni vaghe, degli estratti da altre catene...

L'origine dei florilegi patristici va cercata nelle controversie teologiche dei secc. IV-V. Non è sufficiente la Bibbia per risolvere i problemi, ed allora ci si appoggia anche alla Tradizione della Chiesa. Abbiamo però anche dei Testimonia (già in Cipriano) composti non per ragioni polemiche, ma per illustrare la vita cristiana, o per commentare le norme morali (Basilio - Moralia). Basilio e Greg. Naz. compongono la Filocalia, antologia spirituale origeniana, e i discepoli di Aug. danno il via al genere dello "speculum" morale.

Già prima di Cristo esistevano raccolte pagane che offrissero spunti per mostrare la propria erudizione, ma il diffondersi delle antologie è anche indizio di un periodo storico segnato dalla mancanza di creatività.

B.Dogmi ed anatematismi.1. La formulazione del dogma.

Non c'è dunque nessun dubbio che le grandi controversie teologiche del secolo quinto hanno provocato, o perlomeno contribuito, a rinforzare molto la tendenza a fissare accuratamente la dottrina dogmatica della Chiesa. La fedeltà ormai rigorosa alla lettera del simbolo niceno24, e la ricerca di una terminologia cristologica esatta, sono fra le caratteristiche principali delle controversie cristologiche.

24 Vedi DOSSETTI, G.L., "Il simbolo di Nicea e di Costantinopoli" (Roma 1967), 283.

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Altrettanto dicasi per la premura di riassumere in poche proposizioni la dottrina sul peccato originale e sulla grazia divina, nello svolgimento delle discussioni antropologiche, nell'ambito della Chiesa latina. Non manca neppure una certa riflessione teorica sulla necessità di fissare "in scriptis" il depositum fidei della tradizione ecclesiastica, come vediamo nel Commonitorium di Vincenzo di Lérins25. Per conoscere pienamente quanto i vescovi e i teologi del secolo quinto si sono sentiti obbligati a definire esattamente la fede ortodossa, converrebbe studiare a fondo la terminologia rispettiva, i termini cioè come: orthodoxia, fides catholica, dogma, definitio, sententia, magisterium, eccetera26.

Agostino, nella ricerca di una definizione del termine iustitia (de Civ. Dei II, 21), ricorre ad una lunga disputatio: è questo il metodo secondo il quale si deve scoprire ciò che non si può immediatamente definire.

In questo studio laborioso si dovrebbero prendere in considerazione gli influssi del linguaggio filosofico e soprattutto di quello politico-giuridico, poiché è chiaro che la maniera di riassumere le opinioni filosofiche in capitula, kefalaia, ed ancor di più la precisione giuridica nella codificazione del diritto, non sono rimaste senza influsso nel campo dogmatico. Qui si trattavano dottrine, e prescrizioni, o meglio dottrine prescritte27.

Comunque è ovvio che nelle discussioni teologiche ed in particolare in quelle sinodali, la formulazione stava in primo piano, come interesse. Non si cercava tanto di capire i principi fondamentali, le visuali assiali delle posizioni avversarie, quanto piuttosto di paragonare formula con formula, di misurare cioè le formule cristologiche sulla base normativa della formula nicena. In occidente, invece, i PP non si rifanno meccanicamente alle formule cristolgiche: Agostino non cita mai il Simbolo niceno nella sua completezza, ma si riferisce ai suoi contenuti per approfondire il significato delle formule. Questo vale in particolare, come sopra ricordato, per il problema cristologico; ma anche il problema antropologico ha Nicea come unica base di discussione

E' vero che grandi teologi, come Cirillo, erano capaci di intuire il senso più profondo delle formule altrui, ed erano anche disposti a rinunciare alla propria terminologia. E' anche vero che certuni, come Vincenzo di Lérin, si sono resi conto dei criteri di discernimento dottrinale: antiquitas, catholicitas, consensus omnium, sono criteri ripresi dalla filosofia e dalla giurisprudenza.

Tuttavia, il discernimento stesso dell'ortodossia è stato ricercato in primo luogo sul livello della formula dogmatica, cioè dell'espressione ben definita della fede. Così, per essere ammessi alla comunione della fede, i nuovi vescovi dovevano dare dichiarazioni soddisfacenti sulla loro ortodossia (i libelli28). Altrettanto dicasi per gli scomunicati o accusati di eresia, che venivano obbligati ad accettare tale o tale formula di confessione o a sottoscrivere tale o tale "libello" (vedi il termine di satisfactio in Leone Magno).

Tutto ciò aveva del resto, in quel tempo, anche conseguenze civili, perché l'unica fede era considerata come base della pubblica sicurezza e del bene comune29. La preoccupazione della formulazione esatta della fede appare senza dubbio già prima del

25 Vedi H.J.SIEBEN, "Konzilsidee", 148-170, specialmente 162. - Si veda l'edizione critica nuova del "Commonitorium" in: CChL 64.26 Si veda in proposito SÖLL, G., "Dogma und Dogmenentwicklung" = HDG I./5 (Freiburg 1971), specialmente 3-12, 23-30;SIEBEN, H.J., "Voces. Eine Bibliographie zu Wörtern und Begriffen aus der Patristik. 1918-1978.", Berlin 1980, sotto le voci rispettive.27 Vedi il termine "Dogma": opinione o editto.28 Vedi il termine nel Dizionario Patristico. "Libellus emendationis": CChL 64.29 Vedi GAUDEMET, cit., IV/V, 393-397; STOCKMEIER, P., "Leo der Grosse", 93-100.

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400, e sarà ancora più esplicita nel secolo VI. E' però ben identificabile il modo con cui le Chiese della prima metà del secolo V si sono sentite obbligate alla fede ortodossa30.

2. L' esclusione degli errori.Più che la formulazione della fede, la sollecitudine dell'ortodossia richiede l'esclusione

di ogni errore. Ci si aspettava infatti dai sinodi non tanto nuove formule dogmatiche, ma piuttosto la condanna delle eresie, e questo soprattutto perché si considerava la fede nicena come espressione sufficiente. La difesa della ortodossia, ormai accettata da tutti, poteva rendere necessario e naturale l'esclusione di dottrine o opinioni contrarie alla fede.

Tale atteggiamento 'difensivo' caratterizza in modo particolare il Concilio di Efeso (431), nel quale i padri sinodali ricusavano di presentare un nuovo simbolo, accontentandosi della condanna di Nestorio31.

La presa di posizione negativa di fronte agli errori si esprime spesso in forma di "anatema". Tale formula, di origine giudaica32, era stata adoperata già nel Concilio niceno33, e poi da altri sinodi del secolo IV (Laodicea, Gangra, eccetera). La formula, minacciando di scomunica o condannando pure coloro che non accettano la fede comune, costituisce una espressione negativa del dogma, è la definizione per esclusione del quadro dottrinale entro cui si deve fare l'esegesi o la riflessione teologica.

Famosi gli "anatematismi" di Cirillo. Composti nel 430 per riassumere le dottrine nestoriane da condannare, benché non proprio approvati dal Concilio efesino, vi hanno ottenuto valore canonico34.

Il modo negativo di formulazione della retta fede si trova pure nella predicazione e nei trattati teologici. In queste occasioni gli autori mettono insieme tutta una serie di eresie, insistendo sul fatto che l'ultima sarebbe la più pericolosa, o paragonando certe eresie fra loro, non senza forzare a volte un po' troppo questi raggruppamenti35. In simile contesto sono da vedere anche gli scritti De haeresibus", che trovano ghrande interesse anche nel nostro periodo. L'esempio più conosciuto è il 'catalogo' di Agostino, composto nel 428, seguendo modelli anteriori (Epifanio, Filastrio)36.

Aggiungiamo che nel secolo V esiste anche una legislazione civile assai ampia contro gli eretici e le eresie. Le misure repressive, in parte assai severe (esclusa però la condanna a morte), testimoniano non soltanto la portata sociale e politica dell'ortodossia, ma anche l'importanza che le discussioni sulla fede avevano, specialmente in Oriente, nella vita quotidiana37. Le autorità ecclesiastiche approvavano in gran parte questi procedimenti, anzi, come Agostino e Leone, chiamavano l'aiuto civile, persuasi che ogni autorità, sia ecclesiastica, sia civile, deve reprimere l'errore in campo religioso38.

14. L'esegesi di Cirillo di Alessandria.

30 Vedi HANSON, R.P.C., "Dogma and Formula in the Fathers", specialmente 169-184.31 DS 264 ss.32 Vedi Diz. Patr.: Anatema e Benedizione.33 DS 126.34 Vedi JOUASSARD, G., "Anathematismen": LThK 1 (1957) 495 ss., e anche altri articoli di Dizionari su questa voce.35 Vedi Leone Magno, Sermones 24,5, 30,2; confronta con S.M.KLEHR, Leo der grosse in der Auseinandersetzung mit der Häresie, Diss. Walberberg 1963, 60 ss; Agostino, Serm. 183; Cassiano, "Adversus Nestorium"; Arnobio Il Giovane, "Conflictus cum Serapione".36 Vedi ALTANER, _ 59,7c; RAHNER, K., "Ketzerkataloge": LThK 6 (1961) 130 ss; C.Gianotto, Eresiologi: Diz.Patr. I, 1194-1197.37 Vedi GAUDEMET, IV/V, 597-623.38 Vedi gli studi sul "coge intrare" in Agostino, da parte di BROWN ed altri. Vedi anche BAUS II./1, cap. 11, sul donatismo, con la bibliografia.

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Bibliografia

Introduzione.L'esegesi delle sacre Scritture sta al centro della teologia degli autori cristiani del

secolo V, come per tutti i Padri della Chiesa. Lo confermano i due scrittori più eminenti di quel tempo, Cirillo di Alessandria e Agostino, tutt'e due grandi esegeti. Forse sorprende che abbia scelto come rappresentante dell'esegesi orientale Cirillo e non Teodoro di Mopsuestia. Quest'ultimo ha meritato di essere chiamato addirittura "l'interprete", ed è stato realmente l'esegeta più famoso della scuola antiochena. Ho preferito il primo perché sul piano teologico ha avuto un'importanza più grande, e perché il suo influsso ha segnato di più la Chiesa latina e bizantina39.

D'altra parte, trattando l'esegesi di Cirillo non si potrà trascurare l'esegesi dei suoi coetanei, quella degli antiocheni, ai quali viene opposta di solito la sua interpretazione della Bibbia (si vedrà invece che il suo lavoro esegetico non è in realtà tanto lontano quanto certuni pensano da quello degli antiocheni).

I. Il contesto storico in cui è vissuto Cirillo.A. La città di Alessandria.

Era il centro anche ecclesiastico dell'Egitto. Aveva una tradizione di scuola teologica. Era un centro ellenistico e verso il 400 quasi tutta la città era cristiana. Sotto i vescovi Teofilo e poi anche Cirillo si trovavano ancora resistenze pagane.40

B. La scuola alessandrina e la scuola antiochena.Il problema è posto di sovente in termini sbagliati, cioè come opposizione di metodi

esegetici, di impostazine antropologica, di cristologia, di filosofia. In realtà, senza voler escludere sfumature diverse (lo sfondo forse piuttosto greco da una parte e piuttosto semitico dall'altra), è da considerare bene l'orizzonte comune della formazione retorica e letteraria di quel tempo. E' un problema da approfondire.

C. Le condizioni generali dell' esegesi cristiana verso il 400.1. Il testo base.Il testo di base usato allora era la versione detta dei LXX. Bisogna tenere in

considerazione la probabile presenza di altre versioni greche e forse del significato particolare che avevano i nomi ebraici, spiegati da Origene e Eusebio.

Il testo greco della LXX viene considerato come ispirato, come parola di Dio41.In Occidente la situazione era diversa. Con Girolamo si aveva una attenzione

maggiore al problema della traduzione e della "veritas hebraica". Agostino però contesta in parte la posizione di Girolamo.

2. Lo scopo dell' interpretazione.Nell'antichità si praticava l'interpretazione dei testi poetici, filosofici e storici con una

doppia prospettiva:intenzione estetica , "delectare",intenzione morale , "prodesse"42.Ciò secondo l'adagio antico, "delectare et prodesse", che rispondeva ai canoni della

retorica. Tale scopo appare chiaramente nell'uso e nel concetto di "allegoria", che serviva sia per difendere la religione mitica come base della vita morale, sia per attrarre la curiosità e l'ammirazione43.

39 Vedi TRE, 259.40 Si vedano gli articoli rispettivi per tutti questi nomi nei Dizionari: RAC; DGHE; TRE; DPatr.41 Vedi.SCHAUBLIN, cit., 123 ss; WILES, cit.: Cambr.Hist.Bibl. 492 ss. Vedi gli articoli sulla LXX, in particolare: BARTHELEMY, D., in: "Mélanges Daniélou", Paris 1972, 247-261, e la traduzione francese dei LXX.42 Vedi SCHAUBLIN, cit., 163.43 Per la tematica del "delectare et prodesse" ved. il mio art. "Delectare et prodesse. Zu einem Schlüsselwort der patristischen Exegese: Mémorial Dom J.Gribomont (Roma 1988), 555-581.

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Alla doppia intenzione comune all'area pagana, corrisponde, in campo cristiano, almeno in qualche modo, l'interesse dogmatico e morale. L'esegeta cerca di far scoprire nei testi sacri il mistero divino, le bellezze del "Logos", la "ratio sacramenti", e nello stesso tempo di ricavarne un esempio di vita. In altre parole anche l'esegesi cristiana vuole "consolare" ed "edificare". Secondo DODARO, una più profonda comprensione dei termini delectare et prodesse è necessaria, e deve attingere al concetto di allegoria. L'allegoria sarebbe un modo di criticare la cultura che va oltre la lettura culturalmente dominante di un testo. Nelle epp. 54-55, Agostino parla del simbolismo contenuto anche nella sacra liturgia, che deve essere in grado di attirare l'attenzione troppo sbilanciata sugli spettacoli profani. Lo scopo è quello di superare l'attrazione puramente visuale (cfr. le idee neoplatoniche).

Comunque si tratta sempre di interpretazioni molto interessate. Si cerca di difendere e di chiarire la fede in Dio, il quale aveva parlato nei profeti, negli apostoli, e soprattutto in Cristo. Anche l'aspirazione alla salvezza per mezzo della gnosi, era uno degli stimoli più importanti che spingeva alla meditazione della Bibbia.

E bisogna tenere presente anche il fatto pur banale che ogni lettura di libro, specialmente religioso e sacro, è "interessata", consiste almeno in parte in un voler "attualizzare" il testo. Da questo punto di vista si capisce meglio anche la parentela fra l'esegesi di ispirazione ellenistica e quella di ispirazione giudaica. Le tre forme pricipali di esegesi giudaica, Haggadah, Halakah, Pescher,includono ultimamente le due intenzioni di cui sopra, si facevano come attualizzazione del testo per una situazione concreta in cui vivevano i fedeli, la comunità.

3. Il metodo di interpretazioneAnche nel nostro periodo lo schema fondamentale d'interpretazione è rimasto quello

della filologia antica:"emendatio", "lectio", "interpretatio-enarratio", "iudicium"44.Poiché l'interpretazione dei testi deve arrivare al giudizio sia estetico sia morale, essa

non può fermarsi alla lettera. Fatta per "attualizzare" il testo, cioè per rilevare il suo "pro nobis" ("propter nostram salutem", ovvero il motivo soteriologico sotteso alla lettura di un testo, come dichiara espressamente Agostino nelle Enarrationes in Psalmos), si estende naturalmente ad un senso "più profondo", o, diciamo, almeno ulteriore, non necessariamente inteso dall'autore umano dei libri sacri.

A questo scopo, nei primi secoli i "maestri" avevano applicato metodi diversi, metodi che ritroviamo ancora, più o meno, anche nel nostro periodo:

il metodo sinagogale dei "Testimonia" (la dimostrazione fatta grazie alle testimonianze di persone autorevoli, le "auctoritates" o i "martyria" - in senso letterale - dell'ambiente antico);

il metodo tipologico (il paragone tra due avvenimenti dei quali il secondo ripete in qualche modo il primo)

il metodo di dimostrazione profetica (la ricerca del compimento ulteriore di una predizione)

il metodo allegorico (la ricerca di verità generali sulla vita, sull'anima, sulla cosmologia, dietro le affermazioni storiche o mitiche).

Non è facile raggruppare sinteticamente questi metodi diversi. In Origene ad esempio, troviamo il senso storico, il senso mistico, il senso morale come metodi di interpretazione della Sacra Scrittura. Così anche in Ambrogio. I moderni oppongono pertanto la lettera ai sensi cristologico e antropologico. Comunque possiamo sempre distinguere in qualche modo fra la lettera (il senso ovvio o inteso dall'autore umano), e

44 SCHÄUBLIN ha studiato lo schema quadripartito in Teodoro di Mopsuestia, dunque in un antiocheno. Schäublin si appoggia su MARROU, che nei suoi studi sulla cultura antica si è riferito invece piuttosto ad Agostino e ai latini.

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lo spirito (il senso nascosto, più profondo, ulteriore), e quest'ultimo costituisce propriamente l'"attualizzazione" del testo.

4. I generi letterari di esegesiSotto l'influsso della filologia classica, gli esegeti cristiani hanno sviluppato generi

letterari diversi, che ritroviamo anche nella prima metà del secolo quinto: "Quaestiones et responsiones", "Scholia", "Commenti" o "Hypomneumata".

a. "Quaestiones et responsiones".Sono le risposte alle difficoltà dei testi, rilevate forse da avversari della fede cristiana,

come è avvenuto da parte di Celso e di Porfirio. Si trovano procedimenti e anche tematiche simili sia in Origene sia nell'Occidente45.

b. "Scholia".Sono spiegazioni brevi, non continue, scritte a margine delle colonne o delle pagine.

Cicerone testimonia per primo questo significatao di "scholion", come "osservazione", "spiegazione".

c. "Commenti" o "Hipomneumata".Sono invece le spiegazioni continuate, trasmesse in libri separati. Nell'età imperiale si

cominciava a fare estratti dai commenti antichi su poeti e filosofi, componendo così nuovi commenti.

Gli esegeti cristiani, da Origene in poi avevano ripreso questo genere letterario per la spiegazione della Bibbia. Seguendo gli antichi, fanno precedere ai commenti qualche introduzione, in cui, secondo le regole comuni, trattano del titolo dell'opera, dell'argomento, dello scopo che aveva l'autore, del numero dei libri, dell'ordine in cui la materia era disposta, della sua utilità46.

Poi spiegano, frase per frase, anzi, parola per parola47. Tuttavia queste interpretazioni molto analitiche vengono ogni tanto interrotte da qualche "excursus"48, di carattere storico, letterario e soprattutto dogmatico-apologetico. Avviene anche la "ripresa" di spiegazioni fatte già in tempi precedenti (così Girolamo e Cirillo), che diventeranno, più tardi (come abbiamo già visto), le "Catenae".

d. Trattati metodologici.Da Origene in poi, incontriamo pure opere di carattere teorico, come le introduzioni

all'esegesi, o discussioni sull'uno o sull'altro aspetto dell'ermeneutica.Da autori greci del nostro periodo conosciamo i titoli di qualche scritto perduto:DIODORO, "Sulla differenza fra theoria ed allegoria"49;TEODORO di M., "Contro gli allegoristi" (contro Origene)50.Riferimenti come questi servono per confermare la distinzione fra scuola alessandrina

e scuola antiochena. Ci è pervenuto il testo di un trattato ermeneutico:ADRIANOS, "Introduzione alle Scritture Sacre"51, che probabilmente risale alla prima

metà del secolo V52. Adriano è un esegeta di scuola antiochena, monaco e vescovo, di cui ci dà notizia Cassiodoro definendolo "introduttore alla parola divina. Costui parla delle figure di pensiero e degli antropomorfismi, dell'uso delle parole e dei costrutti. La sua opera (PG98, 1273-1312) è molto originale, in quanto si presenta come un manuale di retorica intessuto di esempi biblici. Nelle ultime tre colonne del testo troviamo una

45 Vedi SCHÄUBLIN, cit., 51-55 , ove fa un paragone fra Agostino e Diodoro/Teodoreto. Vedi anche BARDY, in RBib 41/2 (1932/3).46 Vedi SCHÄUBLIN, cit., 66-72 .47 Fanno così la "collana di perle", come dice MARROU.48 "Akolouthia", o "coerenza logica" del testo.49 SUIDAS50 QUASTEN, II., 561-581.51 MG 98, 1273-1312 .52 SCHÄUBLIN, cit., 138-222; BARDENHEWER, cit., IV., 254 ss.

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interessante discussione a proposito della disciplina dell'esegesi, che secondo Adrianos deve dare molta importanza allo studio dell'"aptum". E' un'operetta assai poco studiata.

e. Subsidia.Come accadeva agli autori profani, già da molti secoli, anche gli scrittori cristiani

avevano a disposizione dei lessici, cioè dei glossari e dizionari di "realia". Ricorrendo a questi dizionari, spiegavano le parole, i nomi di persone o di luoghi, la geografia, le piante, gli animali, eccetera. Per la storia, ricorrevano alle opere di Josephus Flavius o di Erodoto o di altri.

Al nostro periodo risale il cosiddetto "Glossario di Cirillo", ripreso poi in gran parte dal dizionario di Esichio53.

II. La vita e le opere di Cirillo di AlessadriaPurtroppo non esiste una biografia di Cirillo che risponda alle esigenze della cristica

storica moderna54. Non si tratta qui di riempire tale lacuna. Ricordiamo soltanto gli aspetti della sua vita che sarebbero da trattare, così come dobbiamo fare per le altre biografie dei Padri della Chiesa.

A. Le fonti della biografia cirilliana.Innanzitutto vi sono le sue stesse opere: Homiliae Paschales, che sono datate e attuali;

la corrispondenza, in particolare le lettere 4, 17, 39, che sono lettere canoniche o ecumeniche. Poi le "Historiae Ecclesiae Antiquae", di Socrate-Teodoreto-Sozomeno ed altri55.

B. Gli avvenimenti maggiori della vita di Cirillo.1. Ci sono poche notizie sulla giovinezza. Nato ad Alessandria, nipote di Teofilo,

dunque con una formazione solida. Partecipò alla campagna dello zio contro Crisostomo. Conobbe la vita monastica.

2. Dal 412 al 429 è successore dello zio Teofilo. Lotta in favore dell'ortodossia. Combatte i pagani e i giudei: per questo ebbe difficoltà con le autorità civili, in occasione della espulsione degli ebrei nel 414 e dell'assassinio di Ipazia nel 415. Le sue attività politiche sono limitate all'Egitto. Invece la sua attività letteraria è ben più importante, soprattutto dall'anno 418 in poi: le sue opere esegetiche risalgono a questo periodo (vedi dopo).

3. Dal 429 al 444 svolge un'attività politico-religiosa universale, legata soprattutto alle questioni cristologiche sollevate da Nestorio.

429: epistola 1 "ad monachos Aegypti"; omelia di Pasqua n.17. In questi testi tratta dell'unità di Cristo, senza nominare Nestorio. Nestorio reagisce fortemente: epistola 2 a Nestorio. Scrive anche a Roma, e manda i 12 anatematismi, che sono la condanna di Nestorio.

431: Il Concilio di Efeso. Scrive molte lettere.433: Accordo con gli antiocheni ("formula unionis").Si giustifica di fronte ai propri seguaci, non senza difficoltà, soprattutto nel 437/8 , quando Proclo richiese la condanna di Diodoro e di Teodoro. Cirillo,

interpellato da Giovanni di Antiochia, rifiutò la condanna: Così finì la sua vita nella tranquillità.

Anche durante tutto questo periodo di controversie acerbe, Cirillo svolgeva una grande attività letteraria: scriveva lettere dogmatiche e trattati cristologici. Scrisse anche un'opera apologetica in grande stile, il "Contra Julianum", che è una difesa della fede cristiana contro i pagani, nella quale adopera anche molto materiale dell'antichità56.

53 Vedi Lexikon der Alten Welt, 1722-1726.54 Vedi però gli articoli in RAC e TRE55 QUASTEN, III (ed.francese), 745 ss: Socrate, parziale, a. 440.56 MALLEY, Contra Julianum. - Per la cronologia delle opere esegetiche, vedi DUPRE LA TOUR, A., "La 'Doxa' du Christ dans les oeuvres exégétiques de S. Cyrille d'A.", Diss. Greg., Roma 1960, 25.

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C. La cultura di CirilloCome nipote di Teofilo, vescovo di Alessandria, Cirillo ricevette una educazione

molto ampia. Il fatto è confermato dalle sue opere, specialmente quelle composte prima del 429 e dal "Contra Julianum".

1. Formazione retorica.Egli ebbe una formazione classica solida e completa. Conosceva il latino. Dominava

molto bene la lingua greca, specialmente il vocabolario, meno lo stile.57 Nei suoi scritti si trovano molte citazioni classiche. Fa uso del genere letterario del dialogo. Solo tenendo conto di questi fatti si possono valutare le sue invettive contro l'arte retorica.

2. Formazione filosofica.Certi suoi giudizi negativi contro la filosofia, sono da considerare nel loro contesto

polemico: contro gli eretici e contro il fatalismo pagano. In parte si tratta di luoghi comuni, ripresi dall'antichità stessa, ad esempio contro Epicuro o contro Aristotele.

D'altra parte in lui c'è pure l'esaltazione della filosofia: Agar, come tipo di ancella; il tema dei tesori riportati dall'Egitto. Ci sono dunque in lui posizioni simili a quelle nei confronti della retorica. Dipendentemente dalle esigenze teologiche, fa uso più frequente della filosofia prima del 429 (nella polemica anti-eunomiana). Bisogna dunque dire che Cirillo nell'uso della filosofia ha seguito Origene ed i suoi discepoli: ha attuato una integrazione della filosofia, per principio. Nella pratica però l'ha usata solo per necessità polemica.

3. Formazione teologica.Ha ricevuto pochi influssi da Didimo, benché questo fosse il grande teologo di allora,

in Alessandria. Forse fu a causa dell'anti-origenismo di Teofilo, che aveva un'altra mentalità. Ricevette un indirizzo monastico. I suoi interessi biblici sono rivolti soprattutto a Paolo e a Giovanni; studiò dei commenti biblici, che però non nomina.

Dopo il 429, studiò intensamente i Padri, anche i non alessandrini. Non ebbe critica sufficiente per riconoscere le falsificazioni apollinariste. Bisogna concludere che ebbe una formazione teologica relativamente universale.

III. L'esegesi di CirilloCirillo è stato innanzitutto un teologo. Come tale sapeva adoperare tutti i mezzi tel suo

tempo: l'argomentazione scritturistica, filosofica, patristica. In questo fu un iniziatore. Non ricorreva solo alla Bibbia per dimostrare le sue tesi teologiche, anche se, come tutti i Padri, aveva premura di studiare la Bibbia come Parola di Dio. Così fu anche esegeta del Vecchio e del Nuovo Testamento.

A. Opere esegetiche di CirilloVi sono tre serie di opere.Prima serie:"De adoratione et cultu in spiritu et veritate", libri 17. E' una interpretazione

allegorico-tipologica di testi del Vecchio Testamento. E' moraleggiante. Si tratta di prefigurazioni della vera adorazione.

"Glaphyra", o 'commenti eleganti'. Sono interpretazioni tipologiche di passi scelti del VT (secondo l'ordine dei libri). Si potrebbe chiamare: il mistero di Cristo prefigurato58.

Seconda serie:"Commenti su Isaia e sui Profeti Minori". Vi si trova la prefazione del commento su

Isaia, con lo scopo, la interpretazione secondo la storia e secondo lo spirito, e ciò seguendo le spiegazioni anteriori. Vi si trovano anche frammenti di altri commenti ...

Terza serie:"Sulla Trinità", due scritti.

57 Giudizi a volte troppo negativi, ad es., in: TRE.58 MG 69, 1317.

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"Commento su Giovanni", di tendenza dogmatica, con confutazione di eretici ariani. La cronologia dello scritto è discussa. Forse è del 425. Comunque è di prima del 429.

Le opere esegetiche di C. appartengono dunque al primo periodo dell'attività letteraria, caratterizzata dalle polemiche contro ebrei, pagani ed ariani. Vi si trova quindi la difesa del mistero di Cristo, così come appare a partire dal VT; c'è la confutazione delle obiezioni contro il VT e la insistenza sulla vera divinità di Cristo, escludendo però la teoria dei "due figli".

Due osservazioni particolari. L'esegesi di C. è più vicina a quella degli antiocheni che non a quella di Didimo. Composte in una delle metropoli dell'Impero Romano, le opere esegetiche attestano lo spirito "ecumenico" dell'autore. Come Eusebio e come Girolamo, anche Cirillo si riferisce alle profezie compiute nella "Pax Romana"59.

B. I principi esegetici di Cirillo.Alla base dell'esegesi di C. si trova la distinzione "historia" e "theoria". Essa

corrisponde alla distinzione tra interpretazione letterale e interpretazione spirituale.A questo proposito C. utilizza una terminologia molto ricca: per la "historia" usa

espressioni come: terrestre, materiale, che dicono una qualità inferiore; per la "theoria" invece usa espressioni come: vera, spirituale, che sottolineano la sua qualità superiore.

Alla base di questa distinzione stanno due modi di conoscere le cose, secondo lo schema platonico: le cose sensibili e le cose intellettuali. L'interpretazione fatta secondo la storia è quella che corrisponde alla conoscenza sensibile, visibile, uditiva, ed è l'esperienza quotidiana. L'interpretazione spirituale è quella riservata ai perfetti, agli intellettuali, ed è la conoscenza del mistero di Cristo60. Anche se insiste sulla "theoria" come senso superiore, Cirillo esige però che si ritenga il senso storico61. C'è per lui una necessità del senso storico. Il modo con cui egli giustifica il senso spirituale, dimostra che ha capito meglio dei precedenti alessandrini il valore della storia. Così ricorda l'evoluzione della storia di Israele e la spiritualizzazione progressiva della sua fede 62.

Per lui il senso letterale include anche il modo metaforico di parlare, cioè le parabole, gli enigmi, eccetera. Cirillo rileva pure lo scopo dell'autore, come ad esempio l'intenzione religiosa del Pentateuco e dei singoli profeti63.

C. Le fonti dell' esegesi cirillianaInterpretando le Sacri Scritture, Cirillo segue spesso altri esegeti. Secondo l'uso degli

antichi, non indica però i loro nomi. Ignoriamo quindi in gran parte le sue fonti. Tuttavia in certi testi non è troppo difficile rintracciare gli autori adoperati: Eusebio, Basilio, Girolamo, Teodoreto. Non Didimo, che cita solo per rifiutarlo. Mette pure insieme opinioni diverse64.

L'origine della "theoria" è più difficile da stabilire. L'ermeneutica di Cirillo è infatti molto complessa. Come nella visione "alessandrina" del mondo, il duplice senso della Bibbia è fondato per lui sulla distinzione fra le cose sensibili e le cose intellettuali, delle quali le prime sono i segni. Vedi in questo Didimo. Con gli altri alessandrini, Cirillo riferisce le istituzioni e gli eventi del Vecchio Testamento al mistero di Cristo, non però intendendo i fatti singoli della vita di Gesù. Diversamente da Origene, non considera tutti i particolari del Vecchio Testamento come prefigurazioni. Con Clemente di Alessandria, vede nel modo metaforico di parlare il frutto di una educazione specifica del popolo di Israele.

59 Vedi BARDY, cit.,: RHE 49 (1950) 5-24.60 Vedi KERRIGAN, cit., 131.61 Vedi EnchPatr 2094, 2096.62 Vedi KERRIGAN, cit, 134 , e MG 68, 521A ss.; 69, 452D.63 Vedi KERRIGAN, cit., 95, 108.64 KERRIGAN, cit., 351-361.

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Nella esegesi di C. si ritrovano però pure elementi non tipicamente alessandrini. Così insiste sullo scopo inteso dall'autore65. Anzi ci sono alcuni elementi che Cirillo condivide con Girolamo, come certe varianti del testo, il senso figurato della lettera, certe conoscenze storiche, geografiche, rabbiniche. Forse queste rassomiglianze indicano piuttosto lo stesso ambiente esegetico, che non una dipendenza diretta di Cirillo da Girolamo, benché questa non possa essere esclusa.

IV. Valutazione della esegesi di CirilloA. Un alessandrino "progressista" 66 .

Cirillo ha il modo tradizionalmente alessandrino di vedere, con l'insistenza sull'esegesi spirituale e il senso del mistero del Logos. Diversamente dagli alessandrini però non considera tutti i particolari del Vecchio Testamento come prefigurazioni di Cristo o della Chiesa. La "theoria" è anche una visione profetica delle cose future (però non come per gli antiocheni, per Girolamo e per Giuliano di Eclana). Ha più interesse per lo scopo avuto dall'autore e per le cose storiche. E' più vicino agli antiocheni che non agli alessandrini che lo hanno precedeuto. Dopo il 400 quindi, c'è un grande accordo sul metodo esegetico.

B. Il valore dell'interpretazione letterale 67 . Riconosce la necessità del senso storico. In realtà ha interpretazioni spesso poco felici,

ed è troppo eclettico nei confronti delle spiegazioni altrui. E' però da giudicare secondo lo stato della esegesi di quel tempo. Certamente è meno critico di Girolamo e di Teodoreto. Non ha la "veritas hebraica" come Girolamo. Usa molto l'allegorismo nella spiegazione dei Profeti.

C. Il valore della interpretazione spirituale 68 E' ancora troppo allegorizzante. Però è più interessato che non gli alessandrini a lui

precedenti alla tipologia tradizionale, alla storia di Israele (per la spiritualizzazione progressiva, per l'educazione), alla profezia.

Cirillo si distingue più per la profondità della sua teologia che non per la sue esegesi. Si veda il senso della maestà divina nel suo commento ad Isaia, l'unità di Cristo nel commento a Giovanni. E' nel campo teologico che Cirillo si è aggiudicato i meriti più grandi (Vedi FATICA).

15. L' ESEGESI DI AGOSTINO.

BIBLIOGRAFIA

INTRODUZIONENon è qui il luogo di mettere in evidenza quanto sia importante Agostino per la storia

del pensiero teologico e della spiritualità cristiana dell'Occidente. Conviene forse però ricordare i due fatti che, oltre l'ingegno straordinario del vescovo di Ippona, ci spiegano in modo particolare il suo posto eminente nella storia della Chiesa latina.

Il primo fatto è che, erede della teologia africana e nello stesso tempo figlio spirituale di Ambrogio, mediatore fra l'Occidente e l'Oriente greco, Agostino era in grado di riunire in sé due mondi di esperienze umane diverse, ma altrettanto profonde.

Il secondo è che, collocato in un momento cruciale della Chiesa d'Occidente, tra la fine dell'antichità e la nascita della civiltà medievale, ha esercitato un influsso immenso

65 KERRIGAN, cit., 87-108: paragona Teodoro di Mopsuestia a Giamblico.66 KERRIGAN, cit., 439.67 KERRIGAN, cit., 444 ss.68 KERRIGAN, cit., 446-461.

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sulla vita e sulla teologia della Chiesa cattolica romana, anzi su tutte le Chiese occidentali.

Tutto ciò va detto specialmente per l'esegesi latina del Medioevo, la quale ha ricevuto i suoi impulsi più decisivi da Agostino. E' quanto ci interessa, in questa sede, più che gli altri aspetti della sua teologia. Pur limitandoci al campo esegetico dell'opera agostiniana, non ci è però possibile esaurire questo argomento tanto vasto e del resto non ancora studiato sufficientemente dalla pur ampia ricerca moderna. Infatti, per comprendere solo le grandi linee dell'esegesi di Agostino, dovremmo prendere in considerazione tanti aspetti della sua vita, tante opere non strettamente esegetiche, tanti punti della sua teologia e del suo ministero pastorale, tanti problemi della cronologia delle sue opere, che, nonostante le indicazioni preziose delle "retractationes", e delle lettere, rimangono aperti. Quindi, pur limitandoci alla sola esegesi di Agostino, dobbiamo accontentarci degli aspetti che sembrano essere i più essenziali.

I. Il contesto storico della esegesi di AgostinoNel "Sermo II" dell'"Enarrationes in Psalmos. 90" (EnPs), come in altri luoghi,

Agostino espone la sua dottrina sul "Christus totus", cioè su Cristo e sulla Chiesa in tutta la storia della salvezza. Dice fra l'altro

"Et de illa civitate unde peregrinamur, litterae nobis venerunt: ipsae sunt scripturae quae nos hortantur ut bene vivamus"69.

Secondo questo testo, la Scrittura, insieme con l'Incarnazione, è la via per la quale i pellegrini del Signore tornano nella fede alla Città eterna, anche attraverso le sofferenze presenti nella storia. Con l'Incarnazione, la Scrittura è l'esortazione a quella vita per la quale Cristo riconduce gli uomini credenti all'unione con gli angeli di Dio. Da questo passo famoso risulta quindi quanto Agostino tiene alla lettura ed all'intelligenza della Bibbia, ma anche quanto il suo modo di leggere e di interpretare gli scritti sacri dipende dalla sua intera visuale teologica.

La Bibbia domina tutta la teologia agostiniana.Certamente, essa non è assolutamente necessaria "ad salutem", poiché appartiene allo

stato "post-lapsario". Senza il peccato di Adamo l'uomo avrebbe avuto, pure senza scrittura, una visione diretta del Verbo, così come l'avrà una volta in cielo.

Anzi, neppure nella vita terrestre dei peccatori la Bibbia è indispensabile, poiché quello che conta è la fede, la speranza e la carità70. Nondimeno abbiamo bisogno della Bibbia, perché susciti in noi quelle virtù per le quali perveniamo alla visione beata di Dio. Tuttavia si vede subito, e questa è una seconda conseguenza derivante dalla lettura attenta di quel testo, che l'idea della necessità della Bibbia è strettamente legata alla prospettiva storica della teologia agostiniana.

Secondo Agostino, gli uomini che credono in Cristo, insieme con gli angeli, costituiscono la Città di Dio. Mentre quelli, godendo della verità eterna, stanno aspettando il ritorno degli uomini, questi sono ancora pellegrini e si affaticano sulla terra. Non rimangono però senza consolazione, poiché appunto la Scrittura li invita a cercare Dio, anzi, la Parola di Dio si è fatta carne per essere la loro via verso l'eternità.

Tutto ciò ben considerato, è chiaro che non basta spiegare cosa Agostino abbia insegnato sulla Bibbia, e come abbia cercato di interpretarla. Dobbiamo piuttosto studiare la sua esegesi nel quadro di tutta la sua teologia, anzi, nell'insieme di tutte le sue esperienze umane, cristiane e sacerdotali. Di questo parleremo dunque, almeno brevemente, nel contesto storico dell'esegesi agostiniana.

Le esperienze di vita

69 ML, 37, 1159; EP 1479.70 "De Doctrina Christiana", I,39,43.

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Come per pochi autori cristiani, l'opera letteraria di Agostino è intimamente inserita nelle vicende della sua vita. Quasi tutti i suoi scritti riflettono le sue ansie e preoccupazioni, le sue lotte continue e le sue conquiste. Anzi, si direbbe che la fase cruciale della sua vita, la sua conversione alla fede in Cristo, Verbo Incarnato, fosse rimasta efficace in tutta la sua opera71. Ciò vale in particolare per il suo lavoro esegetico.

1. La crisiDalla lettura dell'"Hortensius" di Cicerone Agostino trasse l'esortazione a ricercare la

saggezza, che si trova nella "beatitudo" della "veritas", non nella "voluptas". Ma in questa opera Agostino trova delineata la separazione tra eloquentia et sapientia (dal momento che Cicerone non conosce Cristo), la cui composizione vedrà soltanto nell'eloquenza di Ambrogio. La ricerca non è fatta in Cristo, ma piuttosto nello studio della filosofia di Aristotele. Viene deluso dalla troppa semplicità della Bibbia.

Avviene la sua "conversione" al manicheismo, caratterizzato dall'amore per Cristo, da ideali spirituali ed umani, come la ricerca di una verità certa. Riceve ancora delusione dagli antropomorfismi e dall'immoralismo presenti nella Bibbia. In fondo, rifiuta l'autorità. Vive nel razionalismo manicheo e poi nello scetticismo72.

2. La conversioneL'incontro con il neo-platonismo milanese, la retorica e l'esegesi allegorica di

Ambrogio, la lettura di Paolo e di Giovanni, sono gli elementi che hanno contribuito alla soluzione della crisi. Come risultato ne ebbe:

la "auctoritas fidei", come via di salvezza per tutti;il valore dell'esegesi del Vecchio Testamento;necessità della purificazione morale per mezzo di Cristo, secondo

l'esempio di Paolo73.3. Il ministero sacerdotale

Dopo la conversione, avviene un approfondimento della filosofia della fede, nonché degli scritti anti-manichei, ma anche lo studio della Bibbia e dei commentari biblici. Dal 388 in poi, Agostino usa citazioni bibliche. Un orientamento decisamente biblico tuttavia si ha solo dopo la vocazione al sacerdozio74. Allora si dà allo studio intenso della Bibbia e forse anche dei commentari biblici di Ambrogio. C'è comunque l'influsso di Ambrogio sull'esegesi agostiniana75.

4. Il ministero episcopaleDurante l'episcopato, perfezionò doppiamente lo studio biblico, con la predicazione

continua, con l'esegesi pratica e kerigmatica76. Si dà anche alla ricerca teologica per rispondere alle esigenze della polemica, in particolare contro i pelagiani, che lo impegnavano di più. Compie però anche una ricerca non polemica, come ad esempio la composizione del "De Trinitate" (Dodaro non è del tutto d'accordo su quest'ultima affermazione). E' il tempo della maturità.

II. Le fontiA. Formazione retorica

Dopo aver studiato la grammatica e la retorica, Agostino è rimasto retore fino alla sua conversione. Anzi, la sua formazione retorica (letteraria) caratterizza tutta la sua attività

71 LexAltWelt, 404.72 Vedi LORENZ, cit., 56; FELDMANN, E., "Der Einfluss", cit.73 Vedi SCHINDLER, A., cit.: TRE 4 (1979) 660 ss., con un "Exkurs" sulla ricerca moderna circa la conversione di Agostino, questione risolta anzitutto da P.COURCELLE.Nella BAug 13,161 ff., si leggono questi risultati della conversione: 1) Esegesi spirituale; 2) Simpatia per la fede 3) ... 4) Necessità della salvezza per la fede; 5) Necessità della purificazione morale, "per Christum", secondo Paolo.74 Epistola 21, 3-4.75 Vedi ROLLERO, cit.; PINCHERLE.76 Vedi il capitolo di VAN DER MEER, cit., sulla predicazione.

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posteriore. Anche se, un anno prima del Battesimo, egli aveva rinunziato alla cattedra di retorica di Milano, non ha mai cessato di essere un retore romano. E' un fatto che non può essere sottovalutato quando si studia l'esegesi agostiniana77.

Agostino applica continuamente metodi e procedimenti dei grammatici e retori latini nella interpretazione della Bibbia. Anzi, nel "De Doctrina christiana", ne presenta proprio una teoria cristiana. Quest'opera costituisce addirittura un trattato sulla cultura cristiana, orientata ormai non più ai classici antichi, ma alle Scritture Sacre78.

La pratica e la teoria dell'esegesi agostiniana comprendono i seguenti elementi:1. Il campo di preparazionePer l'interpretazione dei testi sacri sono utili: la filosofia (la dialettica), le artes ,

comprese le scienze, in particolare la conoscenza delle lingue, della storia, della geografia. La retorica, nel senso di "ars dicendi", serve meno all'interpretazione che all'esposizione di questa, nelle omelie e nei commenti.

2. La terminologia esegeticaLa scienza biblica di Agostino è piena di termini ripresi dalla retorica latina:

"historia", "ordo rerum", "gesta", "facta et dicta", "exemplum", "auctoritas", "persona", eccetera79.

Anche in questo caso però non è stato il primo ad introdurre questa terminologia nell'esegesi cristiana, non tralasciando di ricordare che anche l'esegesi latina profana dipende da quella greca, e che da quest'ultima dipendeva già l'esegesi cristiana greca.

3. Il metodo di interpretazioneSegue lo schema di interpretazione classico:"lectio", "emendatio", "enarratio", "iudicium"80.L'attenzione ad ogni frase, anzi, ad ogni parola81, è del resto un metodo che

caratterizza anche l'esegesi giudaica, con il suo letteralismo.4. La conoscenza storicaNell'interpretazione dei testi biblici A. ricerca sia la "cognitio verborum" sia la

"Cognitio rerum". Quest'ultima concerne in particolare le cose storiche. Questo fatto è da vedere nell'ambito dell'interesse dei romani, ma anche degli autori biblici per gli "exempla". Altrettanto è da notare che l'interesse storico comprende pure una certa critica.

5. L'idea generale della BibbiaConvinto come tutti i cristiani che la Bibbia è la Parola di Dio, Agostino comprende

questa in senso retorico, come "discorso", che si svolge secondo le regole retoriche. Torneremo sulle conseguenze di questo modo fondamentale di intendere la Scrittura. Aug. presta grande attenzione all'aptum, notando come la Bibbia presenti la legge morale in modo adatto agli interlocutori cui si rivolge. Con Gesù, in particolare, viene elevata la capacità morale delle persone.

A1. Esame del testo di Agostino dall'ep.140,25,62.Questo testo ci aiuta a comprendere la dialettica terminologica di sacramentum

ed exemplum, che sarà importate anche per Leone Magno e per la tradizione esegetica latina posteriore.

La lettera 140 ha il titolo De gratia Novi Testamenti, ed è uno dei primi scritti contro i pelagiani, dei quali Agostino ha appena avuto notizia e che già si trovano a Cartagine. Agostino cerca qui di parlare dell'esegesi in rapporto alla polemica sulla dialettica natura/grazia. Per noi esegesi e teologia sono campi assai differenti, entra

77 Vedi la dissertazione di DE LUIS , cit.78 Vedi MARROU, cit.79 Vedi DE LUIS , cit.80 Già visto sopra. SCHÄUBLIN, cit.; MARROU, cit., 422 ss.81 Già visto, in: MARROU, cit., la "collana di perle".

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Agostino non lidistingue, come pure non contrappone filosofia e teologia. Quando fa esegesi, dunque, Agostino parla anche di antropologia e di cristologia.

Il testo che prendiamo in esame ci mostra una chiave di interpretazione di Agostino che riguarda sia l'esegesi che l'antropologia. Agostino inizia il suo esame dandoci una figura della Croce che applica alla carità nelle opere dell'uomo. Le opere buone sono compiute tramite la Grazia che viene da Dio, e che viene indicata con il termine profonditas. L'uomo può vedere e capire le sue opere buone, fissate sulla croce trasversalmente, che si estendono in tutte le direzioni (caritas). La natura longanime che sopporta è la lunghezza della verità , ovvero la fede (parte mediana della croce che va dal terreno fino all'intersezione con la parte trasversale), mentre l'altitudo (parte dela croce che va dall'intersezione con l'asse trasversale fino al culmine superiore), con l'immagine di Cristo che guarda in alto, è la speranza. La Grazia che aiuta a compiere le opere buone ed a perseverare in esse, è la parte invisibile dell'altitudo, ovvero la profonditas (la parte interrata dell'asta verticale della croce). La radice della salvezza non sono dunque le opere buone, ma la Grazia che ci viene da Dio, la sua volontà salvifica che è nascosta, non investigabile. Nel testo sacro di Ef, allora, con la figura della croce Cristo ci dà un exemplum che è anche sacramentum (= mysterium), nel quale comprendiamo come in noi fede speranza e carità possono sorgere perché si fondano sulla radice profonda e nascosta della carità.

A questo punto, sul discorso antropologico Aug inserisce una riflessione esegetica: tutto quanto vediamo della Croce è exemplum (la parte visibile della croce), ma tutto il testo della Bibbia è mysterium. Noi possiamo capire bene l'exemplum, ciò che vediamo, ma ci sfugge il sensum Domini (la parte interrata della Croce). I pelagiani pensavano che lìuomo potesse leggere la Bibbia e sapere cosa fare concretamente senza bisogno di un maestro interiore, di un intervento della Grazia: applicavano così rigidamente lo schema retorico classico, che permetteva ogni manipolazione del testo per cogliervi un senso.

Agostino è invece stato capace di problematizzare la propria formazione retorica, e quindi anche tutto un metodo di educazione.

In seguito, Agostino svilupperà maggiormente il rapporto tra sacramentum et exemplum sulla scorta delle sue teorie circa l'unità delle nature nella persona di Cristo: approfondirà cioè il suo metodo ermeneutico in rapporto allo schema cristologico.B. Lo sfondo neoplatonico

La visione neoplatonica del mondo, che aveva senz'altro favorito la conversione di Agostino, è rimasta fondamentale lungo tutto il corso della sua opera teologica, e specialmente nella esegesi. Infatti dietro di questa troviamo quel modo di pensare che si è espresso più chiaramente nei primi scritti, senza del quale però non comprendiamo neppure le opere posteriori.

Nel Paradiso, l'uomo, creato ad immagine di Dio, godeva di una illuminazione immediata di Dio. Aveva Dio come amico82. Il peccato della superbia tuttavia alienò l'uomo da Dio. Separato dal Verbo divino, egli si mise a cercare il proprio bene egoistico, invece del bene comune ("corruptio naturae"), ed esercitava l'"extravisione" invece dell'introspezione ("corruptio intellectus"), desiderava le cose inferiori invece di quelle superiori ("corruptio voluntatis")83. L'uomo quindi non era più in grado di guardare in alto. L'occhio del suo cuore abbassava lo sguardo verso la terra. Il ritorno al Paradiso, al mondo intellettuale, era pertanto chiuso a quest'uomo che si trovava ormai

82 Gen Man II, 4,5.83 Vedi HOLTE, cit., 335. Cfr anche DOUCET, cit., nell' ordine invertito.

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fuori dell'illuminazione. Era necessario che l'autorità di Dio lo richiamasse all'intelligenza, sotto una forma esteriore, cioè per tramite dell'autorità di Criasto, della Scrittura e della Chiesa (immagine della "nubes").

Oltre al Verbo Incarnato - segno più alto delle cose divine -, l'autorità della Bibbia e della predicazione della Chiesa, invitano dunque l'uomo a convertirsi versio se stesso, per ritrovare, nel proprio cuore, la verità eterna. La Scrittura e la predicazione che la propone e la spiega, generano e nutrono la fede, che, dal canto suo, operando la carità, conduce la mente all'intelligenza.

Tale ascesa però, pur facendo progredire in una purificazione continua della mente, non raggiunge mai su questa terra la sua meta. Soltanto in cielo, in unione con gli angeli, l'uomo godrà della visione della verità eterna. L'uomo dunque non perviene che per mezzo della scienza alla sapienza, fino a che non sia purificato ed unito pienamente a Cristo-Dio, verso il quale si avvia anche durante questa vita, per il tramite di Cristo-Uomo.

La visione agostiniana della perfezione cristiana include pure una prospettiva sociale. Non si tratta solo di una ascesa individuale. I singoli cristiani costituiscono piuttosto tutto l'uomo, che viene ricondotto da Cristo-Uomo alla Città di Dio, per unirsi agli angeli e per formare l'unico popolo dei santi che adorano Dio.

La salita verso Dio non si fa però soltanto "per viam fidei" cioè attraverso la fede nutrita dalla Bibbia, ma anche "per viam rationis", cioè per mezzo della ragione che scopre la verità nelle tracce della creazione84. Agostino presenta dunque un doppio ideale: "studium sapientiae, doctrina christiana"85

Ora, tutta questa visione della salvezza può essere considerata come neoplatonismo cristiano. Essa contiene elementi sia cristiani sia neoplatonici, o meglio elementi neoplatonici "battezzati". Fra questi riteniamo i seguenti: introspezione o conversione a se stesso; illuminazione della mente e del cuore; purificazione della mente o guarigione degli occhi; ascesa verso la vita beata.

Invece gli elementi provenienti dalla tradizione cristiana:Cristo che suscita l'ammirazione ed illumina la mente; Cristo unico maestro, sia

interno che esterno, nell'autorità della Chiesa, oppure nelle bellezze della creazione; Cristo che aiuta con la grazia e che mostra la via dando l'esempio86.

Del resto è chiaro che gli elementi platonici non sono stati ripresi da Agostino necessariamente da fonti filosofiche. Erano presenti forse già da molto tempo nella tradizione cristiana (vedi i contatti con lo gnosticismo, l'anti-gnosticismo, Origene, Ambrogio, eccetera).

C. La Tradizione cristianaParlando delle esperienze della sua vita, nonché delle sue fonti filosofiche e retoriche,

abbiamo già compreso in che misura inestimabile Agostino è obbligato verso la tradizione cristiana. Conviene però precisare il suo rapporto con questa, per quanto riguarda l'esegesi. Vedremo il suo rapporto con Ambrogio, con Girolamo, Ticonio, i Padri, il "paolinismo" del secolo quarto, la Bibbia stessa.

Gli influssi di Ambrogio e dell'ambiente milanese. E' stata la scoperta del senso spirituale della Bibbia, ed il superamento dell'avversione nei confronti del Vecchio Testamento. E' cominciata per lui l'interpretazione della Bibbia secondo le esigenze dell'ermeneutica scientifica di allora, con il passaggio del testo da exemplum a mysterium. Ha voluto dire anche l'entrare di più nella visione neoplatonica del mondo,

84 Vedi "De Trinitate", IX ss.85 Vedi HOLTE, cit., 354 ss.86 Vedi HOLTE, cit., 329-333.Vedi "De Trinitate", IV., 3.

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ed il contatto con l'esegesi greca di Basilio, di Origene, di Didimo e altri87. Temi più particolari in cui si è imbattuto: il Sermone della montagna, i Salmi, il Cantico, Giovanni88.

Gli influssi di Girolamo:Nonostante i contrasti fra Agostino e Girolamo, dovuti all'essere uno filosofo

d'ingegno e pastore d'anime e l'altro filologo erudito e monaco, si sviluppò tra di loro la comprensione della Bibbia, ciascuno da punti diversi: la storicità (il caso dell'incidente di Antiochia); la "veritas hebraica" (la LXX non ispirata). Così Agostino ha imparato molto da Girolamo, per le questioni filologiche e storiche, per la traduzione e per i nomi biblici89.

Gli influssi di Ticonio:Nel "De Doctrina christiana" Agostino si riferisce al "liber regularum" di Ticonio,

donatista, laico molto colto90. Ne riprende anzitutto le regole ermeneutiche, secondo le quali, nei testi del Vecchio Testamento, soprattutto nei Salmi, si distinguono le persone che parlano, a seconda se si tratta di Cristo-capo o di Cristo-corpo. E l'idea delle "duae civitates".

Il "paolinismo" del secolo quarto: Mario Vittorino, L'Ambrosiaster, Pelagio:L'idea patristica fondamentale: "Deus auctor Scripturarum". Agostino stesso afferma e

difende ovunque questa dottrina, che la tradizione cristiana aveva ripresa dal giudaismo e dalla tradizione apostolica, in particolare lo fa contro i manichei. Le conseguenze di questa idea sono considerevoli pure per Agostino:

l'inerranza della Bibbia, per cui l'esegeta deve spiegare le difficoltà e le contraddizioni apparenti;

il "mistero" inscrutabile, per il quale bisogna"pulsare, et aperietur vobis", come un principio universale, anzi, tutto quello che serve all'edificazione della carità è stato previsto da Dio, unico autore della Bibbia e della creazione91; non si può dunque formulare una volta per tutte un significato determinato per la Scrittura. La comprensione dei testi sacri è possibile solo se vi è da parte dell'interprete una vita sinceramente cristiana, con la coscienza della mediazione di Cristo. Tutto quanto dipende dala caritas, invece, è un mistero. La nostra comprensione è affidabile per quanto già abbiamo capito, e questa affermazione va contro il fondamentalismo degli eretici, che pretendono di aver compreso totalmente la Scrittura.

l'unità di tutta la Bibbia, per cui bisogna interpretare gli uni con gli altri testi. La mancanza di senso storico è compensata in Agostino da una conoscenza ammirevole dei testi paralleli;

la Bibbia è Parola di Dio, quindi è esortazione alla fede ("auctoritas"), e via alla conoscenza religiosa ("pistis", "gnosis", "agape").

III. Le linee direttrici dell' esegesi agostinianaFra i fattori che hanno determinato in modo decisivo l'esegesi di Agostino c'è un fatto

che non caratterizza solo la sua formazione culturale, ma tutta l'evoluzione della cultura antica, cioè l'incontro fra cultura filosofica e cultura retorica. Infatti, se prendiamo in considerazione che Agostino è stato retore di formazione, ma filosofo d'ingegno92, che cioè ha fatto pure lui dentro di sé un confronto continuo fra le sue aspirazioni

87 Vedi PRETE, cit.; PONTET, e altri.88 Vedi ROLLERO; TAJA; BAug.89 Vedi ALTANER e KELLY sui rapporti tra Girolamo ed Agostino.90 Vedi BAug.91 Vedi SINISCALCO, cit.92 Così MARROU.

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filosofiche (suscitate dalla lettura dell'"Hortensius") e le impronte della sua cultura retorica, allora capiamo in gran parte l'origine e lo sviluppo della sua esegesi.

Il riflesso di questo confronto quasi secolare e tanto fecondo in Agostino stesso, si trova in primo luogo nel "De Doctrina christiana", ma anche nel "De utilitate credendi", nel "De catechizandis rudibus", nei commenti sulla Genesi, nel "De Trinitate"93, nonché in certe lettere94. Si capisce pertanto che gli studiosi i quali si sono specialmente interessati a questi scritti, forniscano le informazioni più pertinenti su questa problematica e quindi sul senso stesso dell'esegesi agostiniana95. Da queste ricerche risultano le linee direttrici seguenti:

1. Il senso storico e il senso figuratoNel "De Genesi ad litteram", il quinto tentativo di spiegare i primi capitolo della

Bibbia, Agostino, precisando le sue intenzioni, dichiara:"In libris autem omnibus sanctis intueri oportet quae ibi aeterna

intimentur, quae facta narrentur, quae futura paenuntientur, quae agenda praecipientur vel admoneantur. In narratione ergo rerum factarum quaeritur utrum omnia secundum figurarum tantummodo intellectum accipianturan etiam secumdum fidem rerum gestarum adserenda et defendenda sint" (GenLit , I., 1,1)96.

Secondo questa dichiarazione di principio, e secondo altri testi del GenLit, nella "narratio rerum" (nei racconti storici cioè, non nei testi allegorici, come ad es. il Cantico), si distinguono due significati: quello "secundum rerum gestarum proprietatem"97, e quello "secundum figurarum intellectum", che può essere "misterico" ("mysterium Christi et Ecclesiae") o "spirituale" (un insegnamento morale). Con questa distinzione Agostino s'inserisce senz'altro nella tradizione patristica dei sensi della Scrittura. Tuttavia, specialmente nel GenLit, Agostino fa vedere, forse più chiaramente dei suoi predecessori, che la "narratio rerum" possiede , sullo stesso piano della storicità, un significatao più profondo, quando si tratta di un "racconto di azioni divine".

Quando l'autore racconta un fatto divino, non si deve quindi comprendere in modo umano, antropomorfico, questo fatto. Il principio vale in particolare per il primo racconto della creazione, in cui, secondo Agostino, si tratta della prima creazione, per la quale Dio ha creato tutte le cose in un solo istante, si tratta cioè della creazione ideale98.

D'altra parte, Agostino pone il senso misterico in una prospettiva di "storia della salvezza", in modo più ampio di quanto non fosse stato fatto nella tradizione anteriore. Egli comprende il "mysterium Christi" nel quadro della sua dottrina sul "Christus totus", e delle "duae Civitates". La testimonianza più eloquente di questa interpretazione si trova nelle "Enarrationes in Psalmos".

2. res et signaIl rapporto delle "res narratae" con la realtà divina, ossia con il mistero di Cristo, è

fondamentalmente un rapporto dal "signum" alla "res". Lo stesso passaggio dai "signa" alle "res" costituisce la sostanza dell'interpretazione biblica. La rivelazione di Dio nella storia, infatti, comprende "facta" e "dicta", ed è consegnata nei "verba" della Scrittura. "Facta"/"Dicta" sono in un certo senso una cosa sola con i "verba", per i quali vengono espressi. Ora, poiché quest'unica cosa è "signum" che riferisce alla "res", tutta l'interpretazione della Bibbia consiste nel passaggio dai "signa" alle "res": dobbiamo quindi cercare il senso che parole e fatti della storia hanno, in quanto vengono espressi

93 Trin. XII/XIII.94 Ad esempio epistola 55.95 Vedi MARROU, STRAUSS, MAYER, ma anche LORENZ, SIEBEN, SINISCALCO, DE LUIS eccetera.96 Vedi BAug 48, 32-50.97 Vedi "Retractationes", II, 24,1.98 Vedi BAug 48,45. "Deus creat, loquitur, ornat", eccetera.

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dalla parola del racconto biblico. Le "res" si identificano con il binomio "gratia/charitas" nel testo di Ef. che abbiamo visto. Ci si avvicina dunque alla res comprendendo i signa, ma la comprensione della res non esaurisce la comprensione dei signa, come invece pretendevano i Pelagiani. Non si può dunque ridurre Dio ed il sensum Domini ai signa/verba della Scrittura, ma il testo resta comunque l'unico modo per avvicinarsi a Dio. Aug. mantiene dunque la tensione ermeneutica di derivazione neoplatonica tra signum et res che si rivela per lui ineliminabile.

I concetti di figura e metafora, ripresi dalla tradizione retorica, hanno poi il significato di permettere all'uomo di comprendere Dio che si rivela agli uomini nei verba, non direttamente bensì in figura, dal momento che Dio è ineffabile. La figura retorica dell'aenigma è quella che si avvicina di più al sacramentum del testo, ovvero alla forma più perfetta nella quale Dio si rivela agli uomini.

Questo è un passaggio facile nel caso dei "signa aperta". Così negli articoli della "regula fidei", che non è nient'altro che un riassunto delle verità chiaramente espresse nella Bibbia e che dunque può servire ad interpretare i testi meno chiari.

Il passaggio è difficile nel caso dei "signa obscura", che sono "ignota" come nelle lingue straniere, oppure "ambigua" come nel linguaggio metaforico. Nel primo caso si deve stiduare le lingue; nel secondo caso si devono studiare i metodi dei grammatici e dei retori. Ultimo criterio: la fede che deve operare per la carità99.

3. "Mundus sensibilis et mundus intellectualis"Il rapporto letterario fra "signum" e "res", fra espressione e contenuto, con il quale

Agostino approfondisce la dottrina tradizionale sui significati della Bibbia, si capisce ulteriormente sullo sfondo filosofico (neoplatonico) del contrasto fra "mundus sensibilis", al quale i "signa" appartengono, ed il "mundus intellectualis" del quale le "res perfectae" fanno parte. In campo esegetico questo contrasto include due problematiche.

La prima concerne l'impossibilità generale dell'uomo di raggiungere, con la sola "ratio", Dio, il mondo intellettuale. C'è una sola via per l'uomo, quella della "fides", che si affida all'autorità divina, fede che include come fiducia l'amore, e fede che ha bisogno di essere purificata in una vita di amore. Di fronte a questa difficoltà generale della conoscenza religiosa, Agostino indirizza tutto il lavoro esegetico verso l'amore di Dio e del prossimo. L'esegesi deve essere "utilis", trovare quelle cose di cui sole dobbiamo godere ("frui"). Nessun criterio è dunque più importante che l'edificazione dell'amore100.

La seconda problematica, più specificamente esegetica, riguarda il rapporto fra verità eterna e parola scritta. Si pone cioè la domanda di come la verità eterna e immutabile possa esprimersi nei fatti e nelle parole della rivelazione temporale, e quindi nella parola mutabile della Bibbia. Tentando di rispondere a questo problema, cruciale per la sua impostazione platonica dell'esegesi, anzi per la impostazione platonica di tutta la sua teologia, Agostino sviluppa la sua dottrina della "dispensatio temporalis":

l'autorità divina si è resa presente in questo tempo, nella storia di Israele, nell'Incarnazione, nella Bibbia, nella Chiesa (nella sua predicazione e nella sua liturgia), cioè si è resa presente nel Cristo annunciato, incarnato e sempre presente. Poiché Cristo, che è sapienza eterna, si è fatto scienza, noi possediamo in lui la via sicura ed universale per andare alla verità eterna101.

99 Vedi STRAUSS, cit., 80 ss.; SIEBEN, cit.: la carità sulla base della fede ortodossa.100 Vedi Cat.rud., 4,8; Doctr.christ. I,35ss., con i commenti di STRAUSS, SIEBEN, SINISCALCO.101 Vedi FLASCH, cit., 125 f., 156-158: la svolta verso la storia; 264 f., 305-314: Bibbia, base della fede cristiana.Vedi Gen.Litt., I., 1,1: "aeterna - facta - futura - agendo".

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Se prendiamo ad esempio il Tractatus in Iohannem, 33 (episodio della donna adultera), troviamo che Agostino commenta la frase di Gesù (chi è senza peccato...) come la chiave ermeneutica per interpretare i testi del VT sulla lapidazione. La domanda del Salvatore interpella tutti gli interlocutori, e li apre (quasi con un procedimento platonico-socratico), per mezzo della caritas/iustitia Dei che rivela, ad una comprensione più profonda dell'AT, non negandolo ma facendoci meglio cogliere come ià in esso fosse presente la carias/iustitia di Dio. Ogni tentativo di chiudere il senso della Bibbia deve dunque essere confrontato con Cristo, che ne è la definitiva chiave ermeneutica. Gesù, dunque, non permette l'adulterio, ma nello steso tempo fa comprendere più profondamente le norme al riguardo contenute della Legge.

In questo contesto del Verbo fatto Scrittura (autorità temporale), comprendiamo pure il modo con cui Agostino parla della inerranza della Bibbia, dell'accordo fra Vecchio e Nuovo Testamento, del nesso intimo fra Bibbia e Tradizione ecclesiastica, e soprattutto di come vede Cristo in tutta la Bibbia.

Poiché Dio stesso ha parlato per mezzo del suo Verbo nella storia, possediamo un punto sicuro di partenza. Non siamo privi di una base immutabile per raggiungere le cose immutabili. Dio stesso, fattosi via, ci conduce alla Patria. Appoggiandosi sulla sua autorità presente in questo tempo, cioè attualmente, nella Scrittura spiegata dalla Chiesa, siamo in grado di passare dalla mutabilità all'immutabilità.

Inoltre capiamo perché ci sono oscurità nella Bibbia. Da buon retore, Dio ha mescolato la "perspicacitas", la chiarezza delle parole e dello stile, con gli "ornamenta", con le metafore ed i "tropoi", per suscitare la nostra curiosità e per farci piacere, per condurci alla "exercitatio mentis", per la quale viene purificata la nostra fede. Nello stesso tempo comprendiamo la "velatio" per quelli che non sono predestinati, cioè duri di cuore.

Infine, l'eloquenza singolare di Dio ci invita ad interpretare la Bibbia alla maniera dei grammatici e dei retori. Come interpreti ben istruiti nelle regole ermeneutiche, non dobbiamo cercare nient'altro che capire e far capire il discorso di Dio, nei suoi particolari e nell'insieme. Dobbiamo passare dai "signa" alle "res", dalla parola scritta alla parola eterna.

4. Quaedam eloquentiaTutto ciò si comprende ancora meglio se consideriamo che per Agostino la Bibbia è

un discorso di Dio, "quaedam eloquentia" del più grande retore. Infatti, l'idea del Dio che, rivelandosi nella storia e consegnando la sua manifestazione alla testimonianza della Bibbia, ha composto un discorso grandioso ed armonioso, questa idea ha aiutato Agostino non soltanto a superare, almeno in qualche modo, il contrasto fra "mundus sensibilis" e "mundus intellectualis", ma anche a spiegare tante caratteristiche particolari della Bibbia.

IV. Valutazione conclusiva dell' esegesi agostiniana1. L'orientamento pastorale.Nell'insieme, l'opera esegetica di Agostino si è svolta in una prospettiva pastorale. La

sua ricerca era in funzione della predica liturgica, del trovare risposte alle difficoltà dei fratelli, dell'andare incontro alla ricerca religiosa. Così Agostino si è lasciato condurre anzitutto e ancora dai due principi: "delectare" e "prodesse": niente che sia indegno di Dio ("delectare"), e tutto per l'edificazione della carità ("prodesse").

2. DifettiDifetti nella teoria:sono le difficoltà della visione platonica, non superata completamente dalle insistenze

retoriche e bibliche sulla presenza di Dio nella storia.Difetti nella pratica:

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sono le mancanze linguistiche, l'ignoranza dell'ebraico e la conoscenza insufficiente del greco (mentre invece aveva una padronanza ammirabile della propria lingua), e troppe concessioni al'allegorismo.

3. I valoriAgostino ha una teoria abbastanza completa sulla interpretazione.Ha anche regole precise sul canone della Bibbia.Ha operato la trasmissione della ermeneutica antica, con un senso considerevole per la

filosofia della lingua. Ha una visione grandiosa dell'unità della storia della salvezza, dell'unità della Bibbia, dell'unità dei due Testamenti.

[16. LA STORIOGRAFIA CRISTIANA

IntroduzioneNella letteratura cristiana antica c'è una parte che viene a volte trascurata, benché sia

di importanza considerevole: la storiografia cristiana. Essa comprende le cronache, le Storie della Chiesa, le presentazioni cristiane della storia, l'agiografia, e gli "itineraria".

Questo campo della letteratura cristiana merita il nostro interesse per quattro motivi:1. Il grande numero degli scritti conservati.2. La testimonianza singolare sulla vita della Chiesa che tale letteratura

rappresenta; è dunque una testimonianza anche sulla vita e sul'ambiente degli autori cristiani oggetto del nostro studio; è una fonte quasi unica per i primi tre secoli (ved. Eusebio, H.E.).

3. E`una caratteristica del secolo che stiamo studiando, il quinto secolo; eccetto Eusebio di Cesarea, che è il padre della storiografia ecclesiastica, tutti i grandi storiografi dell'antichità cristiana appartengono al nostro periodo.

4. C'è un nesso fra l'esegesi e la storiografia, a causa del modo di pensare la Bibbia come una "narratio"102.

I. Le cronache cristiane della storia del mondo.La prima forma della storiografia cristiana è quella della "Cronaca". E' una

presentazione annalistica (per anni) degli avvenimenti e dei personaggi più importanti dei popoli. Spesso è ordinata in colonne sinottiche. Tale genere letterario fu messo in opera per la prima volta da autori cristiani all'inizio del III secolo. Il primo fu Giulio Africano103; poi Ippolito Romano104.

In una situazione storica in cui non si aspettava più la parusia imminente del Signore, questi due autori furono preoccupati di dimostrare per messo delle cronache, la antichità della religione cristiana. Anche la cronaca aveva uno scopo apologetico.

Stesso intento apologetico si ritrova anche nella "Cronaca" di Eusebio di Cesarea, che è diventato il modello della storiografia cristiana105. Secondo quest'opera, conservata per intero solo in una traduzione armena (ed anche in latino per la seconda parte), la storia giudeo-cristiana è superiore a quella degli altri popoli, e i suoi documenti - la Bibbia - superano la storiografia antica106.

La versione latina della seconda parte della "cronaca" di Eusebio, dovuta a Girolamo, non è una semplice traduzione, ma è una rielaborazione ed un completamento.

102 Ved. B.Studer, Delectare - prodesse: Mémorial J.GRIBOMONT (Roma 1988), 555-581.103 ALTANER, paragr. 56,1.104 Ibid., paragr. 45,2.105 QUASTEN, II., (it.) 315 ss.106 Vedi MEINHOLD, cit., 84 ss., per la considerazione cristiana della storia.

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Girolamo l'ha completata giungendo fino al 378, e l'ha anche modificata, introducendo il sistema propriamente annalistico, al posto di quello "per Olimpiadi", ed aggiungendo notizie romane. Composta verso il 380, a Costantinopoli, l'opera possiede un valore più propriamente legato al quarto secolo, specialmente del tempo dopo il 325, e si basa su scritti romani107.

Un po' più di vent'anni dopo, Sulpicio Severo pubblicò un'altra cronaca. In essa intendeva correggere gli errori annalistici delle copie della "cronaca" eusebiana, e la completò fino all'anno 403. Pur distinguendosi per il senso critico e per lo stile classico (voleva imitare Sallustio e Tacito), Sulpicio Severo perseguiva anche uno scopo teologico: voleva dimostrare l'azione della provvidenza divina nella storia e ricondurre così tutto alla fonte principale, cioè alla Bibbia. Secondo tale criterio, riconosce l'esistenza di dieci persecuzioni, delle quali l'ultima, quella dell'Anticristo, sarebbe ancora da aspettare. In tempo della pace, iniziato sotto Costantino, sarebbe quindi un peirodo di prova della fede, prima dell'ultima persecuzione108.

Mentre da parte greca possediamo solo le notizie posteriori tramandateci da due cronache composte all'inizio del secolo V, ci sono state conservate due cronache latine. La prima di Prospero di Aquitania, cronaca che si presenta come un riassunto superficiale di Girolamo e di altri, fino al 412. Dal 412 al 455 ha invece un valore diverso. La seconda di Idacio, vescovo della Spagna, cronaca che completa anch'essa qiella di Girolamo, dal 428 al 468109.

II. La storiografia ecclesiastica

Più che nel campo della cronaca storiografica, l'iniziativa di Eusebio è stata importante la sua Historia Ecclesiastica (HE) inizio esemplare di tutta la storiografia ecclesiastica.

Egli riprese la documentazione ampia sulla storia sia profana che cristiana, adoperata già nella "Cronaca", e compose una "storia" dei primi tre secoli del tempo di Cristo, fino alla "Pax Ecclesiae" (Libri I-VII, fino all'anno 303), e poi la storia da Diocleziano fino al 324 (Libri VIII-X). Eusebio interpreta la propagazione del Cristianesimo ed il suo progresso verso l'Occidente, cioè verso Roma, come la vittoria della causa buona sul male. I suoi criteri sono quindi apologetici: Incarnazione e "Pax romana" - educazione del Verbo - giudizio divino - vittoria della verità; realizzati però con principi storici precisi: documentazione ampia - conferma con altri (Josephus) - critica delle fonti - compimento delle profezie - norma apostolica.

Questa presentazione della Storia della Chiesa farà scuola durante i secoli, specialmente nel secolo quinto. Subito infatti Eusebio trovò dei continuatori.

Gelasio dei Cesarea ( + 395)Egli continuò sicuramente l'opera del maestro, ma non è sicuro quanto di lui resti

ancora negli ultimi due libri della versione latina della HE operata da Rufino, così come a noi è pervenuta110.

Rufino di Aquileia (+410).Seguendo il desiderio di Cromazio, egli tradusse l'opera di Eusebio in latino, dopo

l'anno 402. Nel suo lavoro di traduzione fece però anche una contrazione dei dieci libri

107 Vedi QUASTEN, III., 216 ss.108 Vedi MEINHOLD, cit., 90 ss., e anche QUASTEN, III., 510 ss.109 QUASTEN, III., 525 ss.; 311-317.110 Rufino di Aquileia: molti critici hanno lavorato per tentare di ricostruire le fonti di Rufino. Vedi THELAMON, cit., 18-21.

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dell'opera in nove, e fece invece un'aggiunta di altri due libri per arrivare da Costantino fino a Teodosio111.

Rufino fu più riservato, davanti alla figura di Costantino, di quanto non lo fosse stato Eusebio, e in genere i suoi criteri erano ben diversi: intendeva scrivere una storia che fosse di consolazione, in un tempo difficile come quello delle invasioni gotiche. Inoltre, pur avendo una certa premura di appoggiarsi su una buona documentazione storica e non soltanto su riflessioni teologiche, Rufino non ha raggiunto la qualità dell'opera eusebiana112. Tuttavia ci ha lasciato una testimonianza storica ugualmente preziosa, concernente la cristianizzazione dell'Etiopia, della Georgia, sui Saraceni e sullo stato del paganesimo alessandrino, come sulla polemica anti-pagana del suo tempo. Il suo concetto di storia è: Historia sacra et magistra113

Da parte greca, tre grandi storiografi, tutti del secolo V, Socrate, Sozomeno, Teodoreto, hanno continuato a modo loro l'opera di Eusebio114.

Socrate.Ci ha lasciato la continuazione migliore (dal 305 al 439), con una buona

documentazione, composta con oggettività. Egli distingue la storia profana dalla storia ecclesiastica, nel senso che quest'ultima ha come oggetto le lotte interne della Chiesa. Egli non considera più - come Eusebio - la Chiesa come perseguitata e vittoriosa, ma la Chiesa provata dai dissidi tra i vescovi, dissidi provocati specialmente dalle ambizioni di Alessandria e di Roma (non di Costantinopoli). Per lui l'esposizione critica di questa difficoltà interne deve servire a valutare le controversie presenti al suo tempo, circa la fede apostolica115.

Sozomeno.Scrisse fra il 439 e il 450. Continuò la storia del tempo post-Costantiniano,

dipendendo da Socrate, ma in modo critico. Egli porta nuovi documenti, in particolare sulla legislazione religiosa. Considera la posizione di parzialità in cui erano composti i documenti, la debolezza degli uomini, le aspirazioni politiche del clero o dei gruppi. Così Sozomeno arriva ad una presentazione dei fatti esteriori, ma non delle discussioni teologiche. Parla anche delle Chiese non-Imperiali, e si interessa alla vita monastica116.

Teodoreto.Pubblicata anch'essa fra il 449 e il 450, ripercorre pure circa gli stessi anni (323-428).

Egli ha una chiara tendenza apologetica: mostrare la vittoria sulle eresie, specialmente sull'arianesimo. Usa molte fonti, ma la sua presentazione è meno esatta. Parla della vita monastica. Scopo della storia, per lui, è quello di servire all'utilità ed al piacere, come una pittura del passato117.

Cassiodoro.Dopo il 540, pubblicò la Historia tripartia che comprende tutt'e tre le opere di

Socrate, Sozomeno e Teodoreto, tradotte e fuse in una sola opera da Epifanio Scolastico, che sarà la base di tutta la storiografia medievale118.

III. La storiografia profana dei cristiani

111 Secondo THELAMON (21-25) lo scopo di Rufino è di mostrare la potenza di Dio, per consolare il popolo. Vedi anche la ratio sacramenti in Leone.112 Vedi MEINHOLD, cit., 111 ss.113 THELAMON, cit., 465-472.114 SINISCALCO, cit., 3322, nota inoltre Filippo di Side (434/9) e Filostorgio (arianizante), HE, che, composta nel 433, comprende la storia fino al 425.115 QUASTEN, II., 537 ss.116 MEINHOLD, cit., 120 ss.; QUASTEN, II., 539-541.117 MEINHOLD, cit., 123 ss., con riferimento all' introduzione, e QUASTEN, II., 554-557, con riferimento ad altri tre scritti: la "Historia religiosa", la "Storia delle eresie", e "Sul Concilio di Calcedonia".118 MEINHOLD, cit., 125 ss; SINISCALCO, Diz.Patr. 3323.

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Le opere storiografiche di Eusebio hanno per molto tempo orientato la storiografia cristiana, dandole un indirizzo sia nel senso della cronaca sia nel senso di un interesse per la storia della Chiesa119. Troviamo però anche l'inizio di una nuova storiografia profana, che deve il suo orientamento ad Agostino e al suo discepolo Orosio120.

Agostino aveva trovato il suo modo particolare di vedere la storia umana nello studio dei primi capitoli della Genesi, dove gli era necessario affrontare il concetto di tempo, dell'origine del mondo, del peccato, eccetera. Elaborò la sua interpretazione dei destini dell'umanità prima di tutto nel "De Civitate Dei", opera eminentemente apologetica. Come è noto, l'occasione di questo scritto fu il sacco di Roma del 410, che provocò nuove e più forti obiezioni da parte dei pagani contro il cristianesimo. Tale avvenimento disastroso non fu che l'occasione esteriore per Agostino di realizzare una già precedente intenzione, quella di spiegare cosa fossero i "tempora christiana"121.

Non è questo il luogo per entrare in una discussione approfondita di quest'opera di Agostino. Ne ricordiamo solo tre idee principali:

- la lotta fra i duo amores (fede e infedeltà)- il significato sociale di ogni azione storica- le sei età del mondo.

Qui Agostino non è propriamente storiografo. Rifiuta il paganesimo e la filosofia platonica. Espone lo sviluppo e la fine delle due città. Suppone dovunque una storia umana, ma non fa proprio lo storiografo. Seguendo Varrone, descrive, nel quaddro della Theologia tripartita,la storia e la religione dei romani. Ugualmente parla della propagazione della religione cristiana dagli inizi, in Palestina, fino ai tempi di Costantino e di Teodosio, in tutto il mondo conosciuto. Tuttavia non si interessa della presentazione critica dei documenti, e neppure di una descrizione dettagliata ed oggettiva dei fatti. Quello che importa a lui è la interpretazione teologica della storia (122).

In quanto alla storia della Chiesa stessa, il suo contenuto si riassume in una sola frase: la vita terrestre della Chiesa è la rappresentazione storica della società dei santi che vivono l'amore di Dio. La storia della Chiesa è un pellegrinaggio continuo sotto le persecuzioni del mondo e sotto le consolazioni di Dio. Questa storia ha, da tutti i punti di vista, un solo ed unico contenuto nuovo: è una lotta fra la città celeste e la città terrena, fino all'ultimo giorno123. Tale visione teologica della storia, del mondo e della Chiesa, non sarà fondamentale soltanto per la storiografia del medioevo e poi anche per la teologia e la filosofia della storia dei tempi moderni. Ebbe un seguito immediato.

Indotto dallo stesso Agostino, Orosio, scrittore spagnolo, nel 417/18, scrisse i sette libri delle Historiae adversus paganos 124, opera apologetica anch'essa, nella quale l'autore intende completare il De Civitate Dei, e dimostrare così nei particolari che il mondo precristiano aveva sofferto ancor di più di quanto non soffrisse l'umanità di allora sotto le guerre e la miseria. Quindi la religione cristiana non poteva essere incolpata delle tribolazioni che i contemporanei soffrivano.

119 ANDRESEN , cit., 351 ss.120 Ibidem. SINISCALCO, Diz.Patr. 3319, riferisce anche a Lattanzio, De mortibus persecutorum, come inizio di una storiagrafia profana.121 Vedi GUY, MARROU, MADEC, VAN OORT, STUDER.122 Secondo l`opinione del Van Oort, condivisa da Madec, Agostino intendeva fare nel civ. una catechesi, cioè promuovere la conversione degli intellettuali pagani del suo tempo.123 MEINHOLD, cit., 159-163.124 QUASTEN, III., 469.

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A questo scopo Orosio riassume la storia del mondo da Adamo fino al 417, dividendola, sullo schema di Daniele 7, in quattro periodi.

L'opera ha valore proprio e soltanto per gli ultimi quarant'anni. Nonostante il suo carattere retorico, rappresenta una storiografia considerevole, tanto apprezzata durante tutto il Medioevo.

Con uno spirito simile, Salviano di Marsiglia (+ dopo il 480) scrisse verso il 440 gli otto libri del De gubernatione Dei, opera importante per la conoscenza dei tempi delle invasioni barbariche. Per provare che Dio non ha abbandonato il mondo, Salviano mette in evidenza che la giustizia punitiva di Dio non è limitata al giudizzio finale, ma si dimostra in tutta la storia. Descrive perciò le condizioni miserabili dei cattolici e scusa nello stesso tempo i barbari. Il declino dell'Impero appare dunque come giudizio divino ben meritato, prova della Provvidenza di Dio. Salviano, con tutto ciò, mostra di aver indovinato l'importanza storica del mondo germanico125.

IV. La Agiografia cristiana.

IntroduzioneCome dimostrano Sozomeno e Teodoreto, ma anche Sulpicio Severo ed altri, gli

autori del secolo V erano consapevoli della necessità di completare la storiografia ecclesiastica con l'agiografia. Questa rappresenta comunque una parte singolare della storiografia ecclesiastica antica (126).

Pur essendo scritta per l'edificazione spirituale, essa costituisce nondimeno una fonte storica insostituibile per la nostra conoscenza della vita interiore delle comunità cristiane di allora. Proprio avendo lo scopo di suscitare l'imitazione dei santi, di incoraggiare i fedeli alla perseveranza per mezzo dell'esempio dei martiri e dei monaci, di condurre forse anche ad un esame di coscienza, l'agiografia di quel tempo deve essere considerata come espressione letteraria di quello che la Chiesa intendeva essere, non meno che tutta la storiografia ecclesiastica.

Questa parte della storiografia cristiana merita pure un interesse speciale, poiché in essa appare nettamente in che misura la letteratura cristiana antica sia stata influenzata dalla letteratura profana contemporanea. In essa infatti ritroviamo i generi biografici degli antichi: l'Enkomion, il Bios, e anche gli ideali, come del Theios anèr, o del saggio, cioè le aspirazioni antiche si riflettono chiaramente in questo campo storiografico.

A. La testimonianza dei martiriGià nei primi tempi della Chiesa, dal 150 fino al 350, sono stati composti gli Acta

Martyrum o Martyria 127. Questi scritti riferiscono generalmente in modo oggettivo e documentato sulla fine dei martiri. Non si interessano della loro vita precedente, ma sono della loro testimonianza suprema, forse anche in vista del culto al luogo e alla data tradizionali.

Dal secolo IV in poi, appaiono le Leggende dei Martiri (passiones). Si tratta di una letteratura simile a quella degli apocrifi del NT. Questi altri scritti, nei quali a volte neppure i personaggi descritti e i loro nomi hanno valore storico, danno molta importanza ai miracoli, alla descrizione della crudeltà della morte, alle visioni, eccetera.

Di questo genere piuttosto leggendario sono anche gli scritti e le omelie sul martirio che risalgono alla prima metà del secolo V. Ricordiamo come esempio la Passio

125 Ibidem, 503 ss.126 Vedi la bibliografia speciale, in particolare l'art. Heiligenverehrung II nel RAC.127 ALTANER, paragr. 26.

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Agauniensium martyrum composta da Eucherio di Lione (+ 450/455)128, o le forme diverse della leggenda di San Giorgio129.

Notiamo pure fra i cosiddetti martirologi, i cataloghi delle feste dei martiri. Ve ne sono due famosi: il Martirologium Syriacum, scritto prima del 400 da un ariano greco, e conservato solo in un manoscritto siriaco del 411/12, e il Martyrologium Hieronymianum, composto verso il 450, sulla base di cataloghi romani ed italiani precedenti130.

B. La vita dei monaci e dei santi 131 L'esperienza storica delle comunità cristiane non si riferisce solo alla testimonianza

dei martiri, ma anche alla vita della fede quotidiana, dapprima dei monaci, poi di uomini e di donne eminenti. La biografia cristiana si è sviluppata seguendo gli influssi della biografia antica. Tuttavia deve la sua origine piuttosto all'esperienza propria dei cristiani.

Se si interessa in un primo momento dei monaci, ciò avviene poiché questi venivano considerati come i successori dei martiri, come martiri senza sangue o martiri della coscienza, come quelli che secondo l'esempio degli apostoli avevano condotto la lotta contro i demoni e le eresie. Più tardi, l'interesse della biografia cristiana si è esteso a tutti i cristiani esemplari, uomini o donne.

Le biografie intendono meno presentare gli avvenimenti storici, quanto piuttosto di edificarecon gli esempi dei santi. Così la biografia cristiana insiste su certi motivi: la lotta ascetica, la comunione con gli angeli, la fede ortodossa, e prende pertanto facilmente i tratti della leggenda. Modello della biografia cristiana è la Vita Antonii.

Nel nostro periodo questa letteratura biografica è stata molto fiorente. Ricordiamo gli scritti monastici: Historia Lausiaca, pubblicata verso il 420 da Palladius e Historia monachorum", anonima, tradotta in latino da Rufino (132).

Anche autori rinomati ci hanno lasciato biografie di santi: Girolamo (scritti pubblicati in parte ancora nel secolo IV), Paolino di Nola (sotto forma di lettere), Sulpicio Severo (la Vita Martini), Teodoreto ("Storia dell'amore di Dio") 133.

C. La vita dei santi vescoviNella biografia cristiana la presentazine dei santi vescovi prende un posto eminente.

Sono biografie che naturalmente hanno molto in comune con la Vita dei martiri e dei santi: lo scopo parenetico, i tratti leggendari, la caratteristiche letterarie antiche, eccetera. Meritano interesse perché presentano i vescovi come uomini della Chiesa e della retta fede.

Sono anch'esse una fonte privilegiata per la storia della letteratura cristiana antica. Non ci forniscono molte notizie sugli autori cristiani, ma ci danno qualche idea di quello che gli stessi coetanei pensavano dei loro vescovi e dottori. Questo tipo di biografia risale al III secolo, con le biografie di Cipriano e di Gregorio il Taumaturgo.

Nel secolo V una serie di biografie famose ha visto la luce: la vita di Crisostomo, scritta nel 408 da Palladio134; la vita di Ambrogio, scritta da Paolino di Milano135; la vita di Agostino , redatta da Possidonius, con un elenco delle sue opere136.

128 Ibidem, paragr. 104, 3.129 Vedi BAUMEISTER, cit., 1.130 Vedi ALTANER, paragr. 60.131 Ibidem, paragr. 61.132) Ed. critica a cura di E.Schulz-Flügel, Berlin 1990.133 Vedi MEINHOLD, cit., 143 ss.134 QUASTEN, II., 181 ss.135 ALTANER, paragr. 97.136 Ibidem, paragr. 102.

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Da aggiungere a queste vite il De viris illustribus di Girolamo137.D. La poesia agiografica

L'agiografia cristiana ha trovato anche una espressione poetica, riuscita bene particolarmente nella prima metà del secolo V138. Dal punto di vista biografico le opere in questione si distinguono poco dagli altri generi della biografia cristiana, poiché condivide con loro gli ideali spirituali e i tratti leggendari. Sotto l'aspetto di espressione letteraria attestano in modo particolarmente eloquente la simbiosi avvenuta nel nostro periodo fra cristianesimo e antichità.

Il rappresentante più noto di questa agiografia poetica è Prudenzio139. Morto dopo il 405 a Roma, compose otto libri di poesie. Quello sulle "Corone" (Peristephanon) esalta la morte vittoriosa dei martiri spagnoli e romani (Vincenzo, Ippolito, Lorenzo e anche Cirpirano). Ha avuto un grande influsso sull'agiografia e sulla iconografia posteriore.

Paolino da Nola dedicò a San Felice i Carmina natalitia140.E. Racconti di viaggi ( itineraria )

In un certo senso anche i racconti di viaggi ed i pellegrinaggi fanno parte dell'agiografia, poiché riguardano anche il culto dei martiri e dei santi, pur partecipando di altri temi svariati, come la liturgia, i monasteri, eccetera. Peraltro anche la Historia monachorum potrebbe essere considerata come un racconto di viaggi, a causa della visita a diversi monasteri di cui parla.

Quasi fin dall'inizio della vita della Chiesa incontriamo cristiani che visitano altre comunità, interessandosi soprattutto a certi luoghi della Palestina, o anche di Roma. Nel secolo IV però tali pellegrinaggi, specialmente quelli in "Terra Santa", hanno acquistato più importanza. Alcuni viaggiatori hanno descritto il proprio viaggio. I due Itineraria più famosi sono: Itinerarium di Bordeaux dell'anno 333; quello di Egeria (o Eteria) della fine del secolo IV141. Si possono considerare Itineraria alcune lettere di San Girolamo, come l'epistola 108,6-14 (Epitaphium S. Paulae). Altrettanto è da notare Eucherio, ep. ad Faustum presbyterum142

CONCLUSIONI

1) Uno studio della letteratura storiografica cristiana è utile, anzi necessario, per la conoscenza della storia della letteratura cristiana antica. E' una documentazione importantissima.

2) Questo vale specialmente per la prima metà del secolo V, poichè per un verso tale tipo di letteratura è molto fiorente in questo periodo, e quindi proprio con esso abbiamo modo di conoscere di più la mentalità e la spiritualità della Chiesa Imperiale, cioè di quella simbiosi fra cristianesimo ed antichità, tanto caratteristica dell'inizio del secolo V.

23. L' ARTE MONUMENTALE E RAPPRESENTATIVA DELLA CHIESA DEL QUINTO SECOLO

137 Ibidem, paragr. 2.138 Vedi ALTANER, paragr. 101; QUASTEN, III., 243-321.139 QUASTEN, III., 267-281. Vedi anchePILLINGER, R., Die 'Tituli Historiarum', Wien 1980.140 Vedi QUASTEN, III., 285-289.141 Vedi QUASTEN, III., 529-532, con bibliografia ampia. Da completare con WILKINSON, J., Egeria's Travels, London 1971; STAOWIEYSKI, M., Bibliografia egeriana: Aug 19 (1979) 297-318; ALW, 23 (1981)10-15; MARAVAL, P., Egérie. Journal de voyage = SChr 298, Paris 1982.142 Vedi H.DORNER; Pilgerfahrt ins Heilige Land. Die ältesten Berichte christlicher Palästinapilger (1.-7.Jh.), Stuttgart 1979.

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SOMMARIO

O. LA TEMATICA DEL CORSO.......................................................1A. L'IMPOSTAZIONE GENERALE DEL CORSO.................1

1. Descrizione................................................................12. Divisione o presentazione analitica dei temi principali.13. Il carattere ausiliare del corso: iniziazione allo studio degli autori cristiani del secolo quinto............................1

B. L'articolazione del corso rispetto ad altre discipline (ad modum exclusionis)...................................................................1C. I limiti cronologici e geografici.............................................2

PARTE PRIMA: LA SITUAZIONE "ESTERNA" DELLE CHIESE NEL SECOLO QUINTO.......................................................................................... 2

1. Introduzione......................................................................................21. I diversi approcci possibili.....................................................22. Osservazioni preliminari sull'Antichità tardiva......................2

2. Le condizioni politiche......................................................................3I. La divisione dell'Impero Romano...........................................3II. Le invasioni germaniche.......................................................3III. Le conseguenze culturali ed ecclesiastiche...........................3

3. Le condizioni sociali e culturali........................................................4Introduzione..............................................................................4I. La propagazione della fede cristiana.......................................4II. La reazione pagana...............................................................4III. La cristianizzazione della vita sociale..................................5Lettura di un testo di Agostino (de civ. dei 5,25).......................5

4. La chiesa e l'impero romano..............................................................6Introduzione..............................................................................6I. La "Chiesa Imperiale"............................................................6II. La legislazione civile e canonica...........................................7III. L' ideologia politica della 'Roma aeterna'.............................7CONCLUSIONI GENERALI DELLA PRIMA PARTE...........7

1. Necessità di una apologetica anti-pagana....................82. Necessità di una predicazione morale.........................83. Necessità di fornire una educazione cristiana.............84. L'impregnazione culturale ed ideologica....................85. I contatti ridotti fra Oriente e Occidente.....................8

PARTE SECONDA: LA SITUAZIONE "INTERNA" DELLE CHIESE NEL SECOLO QUINTO.......................................................................................... 8

Introduzione.......................................................................................... 85. L'ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA LOCALE NEL SECOLO QUINTO............................................................................................... 8

I. LA CHIESA DEL VESCOVO...............................................9A. Il principio dell'unico vescovo...................................9B. La conferma della legislazione canonica....................9

II. IL CLERO DELLA CHIESA LOCALE.............................10III. IL POPOLO DEI FEDELI................................................11

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IV. LA PROPRIETA' MATERIALE DELLE COMUNITA' LOCALI..................................................................................11CONCLUSIONI......................................................................11

6. I RAPPORTI TRA LE CHIESE.....................................................12I. I nuovi fatti del secolo quinto...............................................12

A. La formazione dei cinque "Patriarcati" o delle Chiese regionali ......................................................................12B. Lo sviluppo del diritto sinodale...............................12C. Il Primato del Vescovo di Roma..............................12

II. La riflessione teologica sulla communio fidei.....................13III. La valutazione storica........................................................13

A. Un certo "patriottismo romano" ..............................13B. La ricerca di un appoggio esterno............................13C. L'influsso delle grandi personalità............................14D. La questione particolare del Primato Romano.........14

CONCLUSIONI......................................................................147. LA VITA LITURGICA DELLE CHIESE DEL SECOLO QUINTO15

A. Lo sviluppo delle liturgie dei " Patriarcati" ........................15B.Gli influssi sociali sulla liturgia............................................15C. La liturgia e la cristianizzazione della vita quotidiana.........16

1) L'istituzione del catecumenato, riformato con una nuova iniziazione cristiana...........................................162) La penitenza canonica..............................................163) La cristianizzazione delle nozze...............................164) Il culto dei morti......................................................165) L' introduzione e l'evoluzione delle feste..................16

8. LA PREDICAZIONE ED IL MINISTERO PASTORALE.............17I.La grande retorica.................................................................17II. Le collezioni delle prediche................................................17III. Le attività non liturgiche dei vescovi.................................18

9. LA SPIRITUALITA' CRISTIANA.................................................18I. La vita monastica.................................................................18II. Il culto dei martiri e dei santi..............................................19[III. Il culto delle reliquie e specialmente della Croce..............19IV. I pellegrinaggi...................................................................20CONCLUSIONI (per i paragrafi 7 e 9)....................................20

PARTE TERZA: LA TEOLOGIA DELLE CHIESE NEL SECOLO QUINTO20INTRODUZIONE...............................................................................2110. LA PREOCCUPAZIONE FONDAMENTALE DELL' ORTODOSSIA...................................................................................21

A. Le principali controversie dogmatiche................................211. Le controversie cristologiche....................................211bis. La controversia nestoriana...................................221ter. La reazione antiochena a Efeso. La cristologia fino a Calcedonia.................................................................251quater. Calcedonia......................................................272. La controversia pelagiana.........................................28

Priscilliano........................................................283. L'autorità teologica dei Concili.................................294. Lettura del de Baptismo, III, 4..................................305. L'organizzazione dei Sinodi.....................................31

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B.Dogmi ed anatematismi........................................................321. La formulazione del dogma......................................322. L' esclusione degli errori..........................................32

14. L'esegesi di Cirillo di Alessandria.................................................33Bibliografia..................................................................33

Introduzione............................................................................33I. Il contesto storico in cui è vissuto Cirillo..............................33

A. La città di Alessandria.............................................33B. La scuola alessandrina e la scuola antiochena..........33C. Le condizioni generali dell' esegesi cristiana verso il 400...............................................................................33

II. La vita e le opere di Cirillo di Alessadria............................35A. Le fonti della biografia cirilliana.............................35B. Gli avvenimenti maggiori della vita di Cirillo..........35C. La cultura di Cirillo.................................................35

III. L'esegesi di Cirillo.............................................................36IV. Valutazione della esegesi di Cirillo....................................37

A. Un alessandrino "progressista"................................37B. Il valore dell'interpretazione letterale.......................37C. Il valore della interpretazione spirituale...................37

15. L' ESEGESI DI AGOSTINO........................................................37BIBLIOGRAFIA.........................................................37

INTRODUZIONE...................................................................37I. Il contesto storico della esegesi di Agostino.........................37

1. La crisi.....................................................................382. La conversione.........................................................383. Il ministero sacerdotale............................................384. Il ministero episcopale..............................................38

II. Le fonti...............................................................................38A. Formazione retorica.................................................38

A1. Esame del testo di Agostino dall'ep.140,25,62...............................................39

B. Lo sfondo neoplatonico...........................................39C. La Tradizione cristiana............................................40

III. Le linee direttrici dell' esegesi agostiniana.........................41IV. Valutazione conclusiva dell' esegesi agostiniana................42

[16. LA STORIOGRAFIA CRISTIANA............................................43Introduzione............................................................................43I. Le cronache cristiane della storia del mondo........................43II. La storiografia ecclesiastica................................................43III. La storiografia profana dei cristiani...................................44IV. La Agiografia cristiana......................................................45

A. La testimonianza dei martiri....................................45B. La vita dei monaci e dei santi..................................46C. La vita dei santi vescovi...........................................46D. La poesia agiografica...............................................46E. Racconti di viaggi (itineraria)..................................46

CONCLUSIONI......................................................................4723. L' ARTE MONUMENTALE E RAPPRESENTATIVA DELLA CHIESA DEL QUINTO SECOLO.....................................................47

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