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Educare.it PEDAGOGIA E PSICOLOGIA © Educare.it (rivista on line - ISSN: 2039-943X) - Vol. 15, n. 8 Agosto 2015 116 Dai giochi dei bambini ai giochi degli adulti. Per una teoria transgene- razionale dell’attività ludica Vincenzo Amendolagine Medico, psicoterapeuta, psicopedagogista. Insegna, come docente incaricato, Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Psicologia delle Diverse Abilità, Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Nell’articolo si prende in considerazione l’attitudine al gioco presente in ogni essere umano. Dapprima è descritta l’attività ludica che caratteri zza l’età evolutiva, successivamente è analizzata la ludicità degli adulti. Si espli- cita, poi, la funzione dell’attività ludica infantile e, in ultimo, si delinea il concetto di ludismo, inteso come istinto innato che conduce gli esseri umani allo sviluppo della ludicità nell’intero arco di vita. Ludicità ed età evolutiva Il luogo cronologico dove la ludicità, attri- buendo a tale neologismo il significato di at- titudine al gioco come habitus, ha dimora consueta, per tradizione storica e culturale, è l’età evolutiva. Relativamente all’habitus, in questa sede, ci si vuol riferire al concetto e- spresso da Bourdieu [1] che lo definisce co- me un archetipo, situato all’interno dell’individuo, capace di generare pratiche- condotte e rappresentazioni cognitive della realtà. Da subito il bambino gioca, comprenden- do con tale termine, secondo De Mauro e Moroni [2], «(una) attività piacevole a cui si dedicano (i) bambini […] per ricreazione o passatempo»; o ancora, secondo Devoto e Oli [3], «qualsiasi esercizio, singolo o collet- tivo, cui si dedichino (i) bambini […] per passatempo o svago o per ritemprare le e- nergie fisiche e spirituali». Le prime forme di gioco che il bambino mette in atto sono le reazioni circolari, come evidenziato da Piaget [4]. Esse sono distinte in primarie, secondarie e terziarie e com- paiono abbastanza precocemente nel primo periodo di vita. In pratica nelle reazioni cir- colari gli schemi motori che l’infante acqui- sisce diventano oggetto di attività ludica, in- tendendo con tale termine la loro ripetizione non finalizzata con apporto di modifiche.

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Educare.it – PEDAGOGIA E PSICOLOGIA

© Educare.it (rivista on line - ISSN: 2039-943X) - Vol. 15, n. 8 – Agosto 2015 116

Dai giochi dei bambini ai giochi degli adulti. Per una teoria transgene-razionale dell’attività ludica

Vincenzo Amendolagine

Medico, psicoterapeuta, psicopedagogista. Insegna, come docente incaricato, Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Psicologia delle Diverse Abilità, Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.

Nell’articolo si prende in considerazione l’attitudine al gioco presente in

ogni essere umano. Dapprima è descritta l’attività ludica che caratterizza

l’età evolutiva, successivamente è analizzata la ludicità degli adulti. Si espli-

cita, poi, la funzione dell’attività ludica infantile e, in ultimo, si delinea il

concetto di ludismo, inteso come istinto innato che conduce gli esseri umani

allo sviluppo della ludicità nell’intero arco di vita.

Ludicità ed età evolutiva

Il luogo cronologico dove la ludicità, attri-

buendo a tale neologismo il significato di at-

titudine al gioco come habitus, ha dimora

consueta, per tradizione storica e culturale, è

l’età evolutiva. Relativamente all’habitus, in

questa sede, ci si vuol riferire al concetto e-

spresso da Bourdieu [1] che lo definisce co-

me un archetipo, situato all’interno

dell’individuo, capace di generare pratiche-

condotte e rappresentazioni cognitive della

realtà.

Da subito il bambino gioca, comprenden-

do con tale termine, secondo De Mauro e

Moroni [2], «(una) attività piacevole a cui si

dedicano (i) bambini […] per ricreazione o

passatempo»; o ancora, secondo Devoto e

Oli [3], «qualsiasi esercizio, singolo o collet-

tivo, cui si dedichino (i) bambini […] per

passatempo o svago o per ritemprare le e-

nergie fisiche e spirituali».

Le prime forme di gioco che il bambino

mette in atto sono le reazioni circolari, come

evidenziato da Piaget [4]. Esse sono distinte

in primarie, secondarie e terziarie e com-

paiono abbastanza precocemente nel primo

periodo di vita. In pratica nelle reazioni cir-

colari gli schemi motori che l’infante acqui-

sisce diventano oggetto di attività ludica, in-

tendendo con tale termine la loro ripetizione

non finalizzata con apporto di modifiche.

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Che sia un’attività piacevole, lo suggerisce il

bambino, accompagnando tali gesti con

l’espressione sorridente del viso [5].

Dai diciotto mesi in poi compaiono i gio-

chi di finzione o simbolici, ovvero delle atti-

vità ludiche in cui oggetti del gioco diven-

gono le fisiologiche routine quotidiane, qua-

li il mangiare, il bere, il dormire, il lavarsi

[6].

Con la crescita si incrementa l’interesse

dei bambini per i giochi simbolici. Secondo

la McCune [7] il gioco di finzione si sviluppa

attraverso una sequenza stadiale. Questi

stadi sono:

lo stadio presimbolico, in cui il piccolo imi-

ta le cose che fa o che vede fare dagli al-

tri. Per esempio, fa finta di bere da un

bicchiere vuoto;

lo stadio autosimbolico, nel quale l’infante

è cosciente della finzione e questa consa-

pevolezza la manifesta amplificando la

funzione. Per esempio, beve rumorosa-

mente da un bicchiere vuoto;

lo stadio decentrato nel corso del quale il

piccolo sperimenta su altri il gioco di fin-

zione. Per esempio, fa bere il fratellino

da un bicchiere vuoto;

lo stadio combinatorio-gerarchico, nel quale

oggetto del gioco simbolico diventano

sequenze comportamentali complete, che

investono l’imitazione di intere routine

quotidiane, come possono essere le ritua-

lità del pranzo (il piccolo fa finta di ap-

parecchiare la tavola, serve il pranzo

ecc.).

Solitamente il bambino consegue l’ultimo

stadio nel periodo della scuola dell’infanzia,

ovvero dai tre anni in poi.

Lo stadio combinatorio-gerarchico divie-

ne la base del gioco sociodrammatico [8]. In

questo gioco è come se i bambini recitassero,

insieme, un canovaccio scritto al momento,

in cui ognuno svolge una parte che è com-

plementare a quella dell’altro. Per esempio,

una bambina recita il ruolo della mamma,

mentre un’altra veste i panni della figlia. In

altre parole, nel gioco sociodrammatico di-

vengono oggetto dell’attività ludica i ruoli

che i bambini vedono svolgere dagli adulti

con le loro caratteristiche comportamentali.

Nello stesso periodo continua ancora

l’interesse dei piccoli per il gioco di esercizio

[9], ovvero per tutti quei giochi che non

hanno un fine, ma sono fatti solo per il pia-

cere di farli. Infatti il bambino continua ad

amare attività come, per esempio, l’andare

in bicicletta.

Nel periodo della prima fanciullezza, os-

sia quello che va dai tre ai cinque anni,

l’attività ludica diviene il paradigma fon-

dante di ogni intervento educativo e di ap-

prendimento nella scuola dell’infanzia,

tant’è che a questo riguardo le Indicazioni

Ministeriali del 2012 sono fortemente espli-

cative. In esse si può leggere:

L’apprendimento avviene attraverso

l’esplorazione, il contatto con gli oggetti, la na-

tura, l’arte, il territorio, in una dimensione lu-

dica, da intendersi come forma tipica di rela-

zione e di conoscenza. Nel gioco […] i bambini

si esprimono, raccontano, rielaborano in modo

creativo le esperienze personali e sociali [10].

Nell’ambito della scuola dell’infanzia si

possono riconoscere, relativamente alle atti-

vità ludiche, tre situazioni:

il gioco parallelo;

il gioco associativo;

il gioco cooperativo [11].

Nel gioco parallelo i bambini giocano o-

gnuno per conto proprio, utilizzando gli

stessi giocattoli. Nel gioco associativo i piccoli

giocano individualmente, usando lo stesso

gioco; per esempio, si servono dei mattonci-

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ni della stessa costruzione. La comunanza si

rivela a livello verbale: in pratica, i bambini

parlano fra di loro di quello che stanno co-

struendo. Nel gioco cooperativo i minori gio-

cano insieme e svolgono ciascuno un’attività

che è funzionale alla riuscita del gioco stes-

so.

Nel periodo fra i tre e i cinque anni il pic-

colo sperimenta la presenza dell’amico im-

maginario, come compagno dei giochi che fa

da solo a casa.

Nella media fanciullezza, cioè il periodo

che va dai sei agli undici anni, il minore co-

mincia a prediligere i giochi che prevedono

una forma di competizione fra i coetanei

[12] e obbediscono a delle regole strutturate

e codificate. Sono prevalentemente giochi di

gruppo o giochi a squadre, che i bambini

praticano nei contesti scolastici o al di fuori

di essi.

Durante l’adolescenza il gioco si struttura

ancora come gioco di squadra, soprattutto

per gli adolescenti che frequentano gruppi

sociali formali, come le associazioni sporti-

ve. Oppure può assumere la sembianza, già

presente nella media fanciullezza, del video-

gioco.

I videogiochi, malgrado le polemiche svi-

luppate riguardo alla loro utilità e fruizione,

come Antinucci [13] fa notare, sviluppano le

competenze cognitive del minore. Si distin-

guono tre tipi di giochi elettronici.

Quelli che incentivano la prontezza di riflessi

del giocatore, come il tiro a bersaglio o la guida

di auto e moto.

Quelli di simulazione, come costruire una cit-

tà, partendo da alcuni materiali, forniti come

bagaglio iniziale dal videogioco. Questo tipo di

attività ludica fa sviluppare alcune peculiarità,

quali la capacità di fare previsioni, di pianifica-

re, di ragionare in termini concreti.

Quelli avventurosi, in cui il bambino deve de-

streggiarsi per uscire da situazioni complicate,

come venir fuori da un labirinto, liberare dei

prigionieri, portare in salvo delle persone in un

contesto di guerra. Tali giochi accrescono la

capacità di problem solving, l’intuizione, la

fantasia, la capacità di affrontare l’imprevisto

[14].

La funzione delle attività ludiche infan-tili

Diversi autori si sono occupati della ludi-

cità infantile con la finalità di comprendere

quale sia la funzione del gioco. Nel corso

degli ultimi due secoli sono state elaborate

diverse ipotesi al riguardo [15].

Per Spencer il gioco svolge l’importante

funzione di eliminare l’eccesso di energia

che i bambini possiedono.

Lazarus vede l’attività ludica come

un’occupazione in grado di rilassare.

Groos è stato un sostenitore dell’idea che

il gioco infantile sia un luogo dove poter e-

sercitare quelle competenze che serviranno,

nel futuro, a svolgere il ruolo sociale

dell’adulto.

Per Mead l’attività ludica è una condizio-

ne essenziale perché il bambino possa assi-

milare la figura dell’altro, come soggetto so-

ciale con cui si rapporta.

Vigotskij intende il gioco come uno spa-

zio, dove il piccolo può realizzare i desideri

inattuabili.

Winnicot è dell’avviso che l’attività ludica

rappresenti uno strumento per emanciparsi

dal rapporto simbiotico con la propria ma-

dre, al fine di strutturare la personalità.

Per Piaget il gioco ha la finalità di aiutare

il bambino a controllare la realtà, debellando

le paure che il rapporto con essa suscita.

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Per Bateson «l’evoluzione del gioco può

essere stata una tappa importante

nell’evoluzione della comunicazione» [16].

Ludicità ed età adulta

Che il gioco non sia paradigmatico di un

ciclo della vita (infanzia) è ormai un fatto

acclarato. Più che il gioco in sé quello che

contraddistingue l’intero arco di vita è «la

disposizione ludica dell’individuo, che gioca

sul piano dell’illusione cosciente,

dell’illusione mai del tutto sganciata dalla

realtà» [17].

Il gioco a qualsiasi età è sinonimo di crea-

tività e di incremento della comunicazione.

A questo riguardo Winnicot [18] sostiene

che

è nel giocare e soltanto mentre gioca che

l’individuo […] è in grado di essere creativo e

di far uso dell’intera personalità ed è solo

nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé.

Legato a questo è il fatto che solo nel giocare è

possibile la comunicazione.

Secondo lo stesso autore il luogo dove si

svolgono maggiormente le attività ludiche

fra adulti sono i contesti di psicoterapia. A

questo riguardo, egli ribadisce che

La psicoterapia ha luogo laddove si sovrappon-

gono due aree di gioco, quella del paziente e

quella del terapeuta. La psicoterapia ha a che

fare con due persone che giocano insieme [19].

Perché il gioco sia divertente per chi lo

compie deve avere, come elemento caratte-

rizzante, il trascendere le abitudini consuete,

il far vacillare le certezze acquisite.

In tal senso Rovatti [20] afferma che

“Il gioco è divertente […] solo quando arriva

alla soglia di sicurezza delle abitudini e riesce

ad attraversare […] questa soglia di sicurezza,

che è costituita dalle cornici abituali in cui fac-

ciamo normalmente scorrere la nostra esisten-

za […]. La realtà del gioco non è la conferma o

la ripetizione della propria identità acquisita,

ma consiste ogni volta in uno smottamento di

questa identità […].

Ampliando l’analisi si potrebbe dire che

l’attività ludica caratterizza l’intera vita

dell’individuo, la quale - come osserva Bate-

son -, ha delle regole di gioco che cambiano

continuamente e probabilmente lo scopo di

ogni vita è proprio quello di ricercare questi

paradigmi di gioco. A tal proposito Bateson,

citato in Rovatti [21], asserisce: «è come la

vita: un gioco il cui scopo è scoprire le rego-

le, regole che cambiano sempre e che non si

possono mai scoprire».

Perché il gioco dell’adulto possa estrinse-

carsi ha bisogno di un suo spazio, che spes-

so deve essere creato attraverso una volontà

specifica. Ancora Rovatti [22] sostiene che

Per giocare occorre costruire uno spazio […]

un simile spazio non è normalmente disponibi-

le e […] per prenderselo occorre un lavoro su

di sé e gli altri […]. Nello spazio di gioco […]

si tratta di giocare […], di sospendere le regole

della realtà.

Ritornando al costrutto sopra delineato, si

può dire che l’intera vita di ogni individuo è

un’apologia del gioco, ovvero di un’attività

ludica che esalta la follia insita nel vivere

stesso.

A questo proposito già nel 1511 Erasmo

da Rotterdam scriveva che «tutta la vita

umana non è altro se non un gioco di follia»

[23], intendendo con il costrutto della follia

un quid che «libera dagli affanni [24] […]

prolunga la giovinezza [25]», ovvero un si-

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nonimo di quel concetto che denominiamo

creatività.

Conclusioni

Alla luce delle argomentazioni esposte, si

può ipotizzare che esista nell’uomo, dalla

nascita alla fine del suo ciclo vitale, una na-

turale tendenza all’attività ludica, riferibile

al dominio del pensiero divergente-creativo.

In pratica, probabilmente, esiste un istinto

innato, che si può definire, con un neologi-

smo, ludismo, che conduce gli esseri umani

ad impegnarsi in attività ludiche, anche ab-

bastanza precocemente, con la funzione di

incrementare:

la conoscenza di sé;

l’apprendimento;

l’adattamento all’ambiente;

le abilità sociali;

le abilità cognitive;

la capacità di problem solving;

il vivere serenamente i compiti evolutivi

connessi alla propria età.

Note bibliografiche 1. Citato in Dubar C., La socializzazione (trad. C. Bertone), Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 81. 2. De Mauro T. e Moroni G. G., DIB Dizionario di base della lingua italiana, Paravia, Torino, 1996, pag. 605. 3. Devoto G. e Oli G. C., Dizionario della Lingua Italiana, Le Monnier, Firenze, 1974, pag. 1008. 4. Citato in Berti A. E. e Bombi A. S., Corso di psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2005, pag. 52 - 53. 5. Berti A. E. e Bombi A. S., op. cit., pag. 58. 6. Ibidem. 7. Citata in Berti A. E. e Bombi A. S., op. cit., pag. 142. 8. Berti A. E. e Bombi A. S., op. cit., pag. 216. 9. Ibidem, pag. 142. 10. Annali della Pubblica Istruzione (numero speciale), Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del

primo ciclo d’istruzione, Le Monnier, Firenze, 2012, pag. 23. 11. Berti A. E. e Bombi A. S., op. cit., pag. 212. 12. Ibidem, pag. 296. 13. Antinucci F., Piaget vive nei videogiochi, in “Psicologia contemporanea”, 110, 18 -26,1992. 14. Amendolagine V., Lineamenti di psicologia infantile. Edizioni Pegasus, Bari - Terlizzi, 2011, pag. 67. 15. Berti A. E. e Bombi A. S., op. cit., pag. 177. 16. Bateson G., Verso un’ecologia della mente (trad. G. Longo), Adelphi Edizioni, Milano, 1988, pag. 220. 17. Chade J. J. e Temporini A., 110 giochi per ridurre l’handicap, Erickson, Trento, 2000, pag. 15. 18. Winnicot D.W., Gioco e realtà (trad. G. Adamo e R. Gaddini), RCS Libri, Milano, 2011, pag. 76 (Ed. orig. 1971). 19. Ibidem, pag. 55. 20. Rovatti P. A., La dimensione ludica, in Guido C. e Vernì G. (a cura), La scuola attraente, Ufficio Scolastico Regionale Puglia,

Bari, 2006, pag. 106 - 107. 21. Ibidem, pag. 112. 22. Ibidem, pag. 114 - 115. 23. Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia (trad. G. D’Anna), Newton Compton Editori, Roma, 2014, pag. 52. 24. Ibidem, pag. 27. 25. Ibidem, pag. 37.