pensare a colori singole

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colo theory

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girolamo giannatempo

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guida all’utilizzo consapevole del colore

PENSARE A COLORI

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Tesi di Laurea:“Pensare a colori”guida all’utilizzo consapevole del colore

di Girolamo Giannatempo

Relatore:Prof. Stefano Mosena

a.a 2012/2013

Dipartimento progettazione e arti applicate - scuola di progettazione artistica per l’impresaCorso di diploma accademico di II° livello in grafica e fotografia

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A mio Padre che, forse a sua insaputa,

mi ha insegnato a non lamentarmi mai lavorando sempre a testa bassa.

A mia Madre, che ogni giorno

è la prima a svegliarsi e l’ultima ad addormentarsi.

A mia Sorella, che in questi anni si è

dimostrata un “fratello” maggiore.

A Silvia, che con un sorriso

distoglieva le ansie del futuro.

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In fondo insegnare non è una questione di metodo ma di sentimento. Per questo motivo il fattore più importante è la personalità dell’insegnate. Il suo entusiasmo e la sua sollecitudine per la crescita degli studenti sono più importanti della sua pre-parazione. È risaputo che «l’insegnante ha sempre ragione», ma raramente questo fatto suscita rispetto o simpatia; ancor meno dimostra competenza e autorità. Ma l’insegnante di fatto ha ragione e otterà sempre maggiore fiducia se ammetterà di non sapere, di non poter decidere e, come spesso accade per il colore, di non essere in grado di operare una scelta oppure di dare un consiglio. Inoltre, saper insegnare significa saper porre giuste domande piuttosto che dare risposte errate.

Josef Albers, Interazione del colore.

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13 PREMESSA 15 INTRODU-ZIONE 21 MULTIDISCIPLINA-RIETÀ

QUESTIONI DI COLORE1.1/25 cos’è il colore 1.2/26 il concetto di armonia 1.3/26 creare l’armonia è possibile?

L’ARMONIA PASSA DAL

CERVELLO2.1/33 l’evoluzione 2.2/33 centri di attenzione 2.3/34 ragionare per contrasti 2.4/36 il cervello visivo 2.4.1/36 dall’occhio al cervello 2.4.2/37 i coni e i bastoncelli 2.4.3/38 le aree di interesse: V1 e V4 2.4.4/39 costanza cromatica 2.4.5/40 i neuroni della visione 2.4.6/41 il campo percettivo 2.4.7/42 le due vie: “ventrale e dorsale“

IL CONTRASTO

SIMULTANEO3.1/57 tra misticismo e scienza 3.2/57 cos’è? 3.3/58 il colpevole non cambia 3.4/59 usi creativi 3.4.1/60 virare un’illustrazione senza photoshop 3.4.2/60 contorni vibranti 3.4.3/61 Contorni sfumati 3.5/ 61 l’influenza ambientale 3.6/62 l’immagine postuma

GIALLO VS VIOLA4.1/75 lo spettro visibile 4.2/75 la massima senibilità 4.3/76 effetto purkinje 4.4/78 effetto helmholtz-kohlrausch

PROFONDITA DEL

COLORE 5.1/85 introduzione 5.2/85 il quadrato bianco 5.3/86 i colori caldi sembrano avvicinarsi 5.4/88 sistema nervoso automatico

EQUILIBRI6.1/95 introduzione 6.2/95 la forza di gravità 6.3/96 il peso culturale: la sinistra e la destra 6.4/97 contrasto di qualità

RICONOSCERE UN

COLORE7.1/103 i dodici colori del cerchio 7.2/104 Tinta, saturazione e luminosità 7.3/105 Esercizi pratici

MOdelli colore8.1/111 cmyk, rgb, hsb 8.2/112 mescolanza sottrattiva 8.3/112 mescolanza addittiva

guida colori9.1/119 introduzione 9.2/119 il non cerchio di newton 9.3/120 i colori fuori gamut 94/121 gli schemi colore

I NOMi DEI COLORI10.1/131 milioni di colori 10.2/131 la cultura del colore

ANALISI IMMAGINI11.1/139 introduzione 11.2/139 analisi immagini

147 EPILOGO149 INDICE TEMATICO153 BIBLIOGRAFIA155 SITOGRAFIA

Indice

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COLORE

OCCHIO

FOCUS

STORIA

LUCE

GLOSSARIO

CERVELLO

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OCCHIO

FOCUS

STORIA

LUCE

GLOSSARIO

CERVELLO

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Premessa

Nella vita di tutti i giorni cerco di provvedere a me stesso, riuscendoci nel peggiore dei modi, facendo l’il-lustratore e occupandomi di progettazione grafica. Per dirla con parole tanto amate dai miei colleghi, quindi, sono un illustratore e graphic designer freelance. L’esigenza che mi spinge a scrivere queste pagine nasce innanzitutto dal mio lavoro di illustratore. Nella fatti-specie, dalle difficoltà incontrate nel perfezionare i miei lavori e nell’armonizzare cromaticamente l’immagine. Pertanto, la maggior parte delle considerazioni fatte all’interno di questo mio scritto verteranno proprio sul legame illustrazione - colore, e sulle ripercussioni che quest’ultimo ha nel mondo della grafica.Mi spiego meglio. Prima perdevo molto tempo nella scelta dei colori per le mie illustrazioni - dico perdevo perché non c’era un minimo di cognizione di causa in quel tempo utilizzato, non vi erano motivazioni nelle scelte, selezionavo i colori nella speranza che questi soddisfacessero qualche presunto schema interno – e mi muovevo semplicemente per sentori, per sensazioni. Ero un “artista” nell’accezione del termine di colui che si definisce tale perché non sa spiegare agli altri il motivo di ciò che ha fatto. Mentre cercavo di capire il colore giusto da utilizzare ai miei fini pratici, avevo sempre l’impressione di doverlo fare per compiacere qualcuno. Solo dopo sono riuscito a chiamare questo “qualcuno” con il suo vero nome, Cervello.

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Introduzione

La gente non ha molta familiarità con il colore oppure ne parla ancora come se fosse qualcosa di mistico e ro-mantico con un gusto quasi settecentesco. Il motivo di tale considerazione nasce dal fatto che il colore è sem-pre stato giudicato come qualcosa di ovvio e scontato. Il colore c’è, esiste! La giacca è blu, i fiori sono rossi e il cie-lo è azzurro. Questi concetti venivano considerati come assiomi, e per questo indiscutibili. Hegel, a proposito dell’auto evidenza sostiene che: “ciò che è noto, proprio perché è noto, non si conosce”. Poche persone, infatti, si sono poste il problema di capire le molteplici mutazioni del colore, di comprendere come gestirlo in relazione ai diversi contesti e, ancora meno persone hanno cercato di affrontare la materia dal punto di vista scientifico. Nessuno ha mai cercato di considerare il colore come un’entità a sé, come un’essenza del tutto singolare. Il che non vuol dire sradicare totalmente il colore dal suo contesto, o non associarlo ad esempio ad una forma, ma significa studiarne ciò che vi è alla sua base.Quanto sopra, è accentuato dalle varie dicerie. Faccio un esempio, si crede che i colori siano infiniti, questo può essere vero, ma il tutto andrebbe contestualizzato, e vediamo come. Stiamo parlando dei colori che vedia-mo, o di quelli che possono andare in stampa o ancora di quelli che riusciamo a distinguere con i nostri occhi? Non riuscire bene a discernere queste sottili differenze, potrebbe portare la gente ad una confusione tale da con-

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durla a fare ciò che di più semplice esista, ossia “copiare”. Questo è quanto accade nel mondo dell’illustrazione e, generalizzando nella grafica. Che vuol dire? Ognuno, non avendo una base di cromatologia, non avendo con-sapevolezza dell’utilizzo dei colori, tra “milioni di co-lori”, tra la misticità e l’ inafferrabilità del colore stesso, preferisce scopiazzare le palette altrui, non sapendo che con buone probabilità queste sono state “ispirate”, parola molto in voga in questo periodo, ad altri artisti/illustra-tori/grafici.Altra situazione abbastanza scoraggiante, è affidarsi sen-za cognizione di causa a mezzi automatici; mi riferisco, ad esempio, a siti che offrono servizi di abbinamenti cro-matici, come Kuler, colourlovers o addirittura alla guida colore di illustrator. Vi pongo una domanda. La nascita della calcolatrice viene vista, oggi, come un fattore positivo? O forse “si stava meglio quando si stava peggio”, e i calcoli venivano fatti a mente con uno sforzo maggiore, ma con un minore appiattimento intellettua-le? Oggi molta gente non è più in grado di fare operazio-ni semplici senza la calcolatrice.Ho fatto questo esempio per farvi capire come servizi tipo Kuler, o la guida colore di illustrator, vanno usati con consapevolezza, altrimenti, il mezzo governerà voi e non voi il mezzo. Lo strumento guida colore, ad esempio, dà per scontato diverse terminologie, come complementari divergen-ti, complementari divisi, controsto elevato1, e altre al quale sono associati schemi colore che poche persone conoscono. È, inoltre, molto fuorviante. Provate a selezionare a vostra scelta un rosso. La guida colore vi darà il verde come suo complementare. Ora prendete quel verde e osservate il suo complementare. Il verde sarà cambiato e il suo complementare sarà il viola.

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Perché? L’avete mai notato? Il problema non è utilizzare il software ma farlo senza un minimo di conoscenza o forse proprio di coscienza.Riccardo Falcinelli, a proposito del designer, dice che si tratta piuttosto di «diventare progettisti consapevoli», e continuando afferma che: «è nell’aspetto conoscitivo che sta la vera ricompensa del progettista, più che nel risul-tato impeccabile o nell’approvazione sociale»1. Manca, quindi, la consapevolezza. Questo elaborato vuole aiu-tarvi a recuperarne almeno un po’.Altra costatazione da fare riguarda il metodo, ossia come il colore viene utilizzato nella pratica. Non abbiamo una base scientifica che liberi il colore dalla sua aura di misticità rendendolo più tangibile. Provate a chiedere ad un artista, come io ho fatto, cosa sia per lui il colore o come venga utilizzato. In media la risposta si basa su tre affermazioni fondamentali: “viene dall’interno”, “è qualcosa di spiri-tuale”, e alla domanda: “ma non credi che nel XXI secolo si debbano capire le implicazioni del cervello sul colore, al fine di applicarlo al meglio nella pratica? La risposta è stata: “ Ma io faccio pittura, il colore è un’emozione”. In quel momento ho lasciato l’aula di cromatologia.Ammetto che queste tre righe, seppur vere, avrei potevo non inserirle. Ma l’ho fatto per sottolineare che, come tanti pittori, anche molti illustratori parlano in questi termini o addirittura ammettono di copiare i colori visti in altre illustrazioni, senza capire il perché ne siano attratti. È qui che subentra il concetto di differenza di cui parla Falcinelli: è la consapevolezza che fa la differenza. Qualora un’immagine, nella sua totalità, funzionasse e si decidesse di utilizzare i suoi colori, forse, non converreb-be capire il motivo di questa scelta cromatica piuttosto che copiarli o “ispirarsi” miseramente? Per quello che giornalmente vedo sembrerebbe di no.

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Spezzando una lancia a favore del creativo/artista che risponde “ viene dall’interno”, Semir Zeki, ha sottoli-neato più volte come il primo neuroscienziato sia pro-prio l’artista. Si rifà nel suo libro a Mondrian, il quale ha ribadito più volte come le sue linee rette non erano casuali, ma c’era una configurazione definita serena, «priva di tensione». Zeki continua affermando che : «Quella configurazione, di cui parla Mondrian, era sta-ta ottenuta per tentativi ed errori. Ma chi era il giudice di quella serenità? […]Proprio il suo cervello(riferito a Mondrian) decideva che alla fine era stata ottenuta la configurazione giusta»2. Quindi riuscire, oggi, a capire il funzionamento del cervello o le reazioni dell’occhio alla luce, può fornirci delle basi solide per utilizzare il colore. Non pensate che, ora, ci trasformeremo in neuroscien-ziati o in altre figure con nomi assurdi, ma vedremo praticamente come determinate conoscenze influenzi-no il nostro modo di lavorare e di scegliere i colori. Mi concentrerò su come queste nuove consapevolezze ci porteranno ad avere palette armoniche, ma soprattutto, immagini accattivanti ed equilibrate dal punto di vista cromatico. Arrivati qui saremo solo a metà del percorso.Ci hanno sempre spiegato come la luce sia alla base della percezione dei colori. La fisica, la scienza, la psi-cofisiologia si sono alternate per spiegarci come queste onde elettromagnetiche creassero in noi la sensazione del colore; poche persone però hanno raccontato come proprietà intrinseche ai raggi si riflettessero in caratte-ristiche specifiche di alcuni colori, o come determinate curve di sensibilità dei coni ci portassero a vedere dei colori più grande rispetto ad altri. Spero, che qualcuno ora, si stia ponendo diverse e infinite domande, tranne una: a cosa ci serve sapere tutto questo? Qui ci viene in aiuto una frasi di Itten, scritta sul suo

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libro: «Se lei d’intuito, riesce a creare dei capolavori co-loristici, può procedere ignorando le leggi cromatiche, ma se, ignorandole, non crea dei capolavori, deve impe-gnarsi nel loro studio»3. A questo aggiungo che, Itten non considera l’intuito come una copia delle palette altrui. A tal proposito vedremo come aumentare in noi la consa-pevolezza del colore. Bisogna imparare a vedere! Riusci-re a distinguere chiarezza, saturazione e tinta di base.Terminati tutte queste riflessioni più scientifiche mi è sembrato corretto soffermarsi un attimo sui nomi dei colori. Vi ricordo che quest’anno è l’anno del pantone Radiant Orchid. Questo argomento è una questione soprattutto culturale. Ha senso aver creato un colore, di nome orchidea rag-giante, se per la gente sarà sempre violetto, o nella mi-gliore delle ipotesi, lilla?Spero che queste poche righe facciano nascere in voi delle domande e che le pagine che seguiranno possano rispondere almeno in parte. Ma vi ricordo che, tutte le pagine di questo mondo, non potranno sostituire lo stu-dio dei grandi maestri o dei contemporanei illustratori che hanno posto un accento particolare sul colore.

1. Riccardo Falcinelli, Guardare, pensare, progettare, Stampa al-ternativa e graffiti, 2012.2. Semir Zeki, La visione dall’interno, Bollati Boringhieri, 1999.3. Johannes Itten, Arte del colore, Il Saggiatore, 1979.

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Multidisciplinarietà

Ritengo necessario sottolineare un aspetto cardine del colore, che è alla base di ciò che lo rende così inafferrabile: la multidisciplinarietà.Se dovessimo spiegare a qualcuno un argomento culinario proveremmo a farlo, giustamente, in modo conseguen-ziale, passo dopo passo senza saltare nessun passaggio.Per il colore tale tipo di ragionamento non è applicabile. Questo è una nostra “invenzione” frutto di milioni di anni di evoluzione ed adattamento all’ambiente circo-stante dove si sono mescolati diversi fattori che trattati singolarmente, oggi, non spiegherebbero il loro ruolo all’interno dell’argomento. Parlare di curve di sensibilità, di lunghezze d’onda o di altri temi così vicini al colore ma così distanti da chi lo adopera, porterebbe l’utilizzatore stesso del colore ad al-lontanarsi ancor di più da uno studio critico della materia.Per cui reputo che l’approccio più corretto per capire come tutte queste discipline compongono il problema colore sia analizzarle nel contesto con esempi pratici, rendendosi conto come lo studio di questi temi possa agevolare l’approccio al colore.

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Questione di colore

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1.1 COS’È IL COLORE

Il colore per numerose persone è una componente appartenente agli oggetti, per questo motivo solo poche si sono preoccupate di dare la giusta impor-tanza all’argomento. Se vi chiedessi quale fosse il vostro primo ricordo a colori sapreste risponder-mi? Vi è mai capitato di pensarci? Il colore è parte della nostra vita e proprio per questo motivo è dato per scontato.Per fortuna o sfortuna non siamo in grado di immaginarci un mondo acro-matico perché «così è sempre stato sin dal nostro primo istante di vita», cioè a colori1. Ma, se così fosse stato, saremmo stati in grado di apprezzare ogni piccola sfumature di colore, accorgendoci di come le differenze sostanziali nella nostra vita fossero proprio nelle variazioni cromatiche.Perciò cos’è il colore? Enid Verity lo definisce come «un mistero che sfugge alle definizioni»2, ma benché sia sfuggevole, sui libri e dizionari vi è un’am-pia scelta di definizioni.Ad esempio, l’enciclopedia Treccani scrive: “Sensazione fisiologica che si prova sotto l’effetto di luci di diversa composizione spettrale (c. soggettivo) e la luce stessa (c. oggettivo), costituita da radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d’onda”. Dunque, si parla di colore come una sensa-zione, e di solito le sensazioni non solo non sono oggettive, ma nascono in relazione ad un evento scatenante. Quindi cosa succede quando vediamo una mela rossa? Si innesca un evento: la mela rossa è nel nostro campo visivo. Perché la percepiamo di quel deter-minato colore? La luce, proveniente dai raggi solari, si diffonde in un flusso continuo nello spazio e ogni qualvolta si scontra con gli oggetti, in base a proprietà specifiche della superficie, questi assorbono tutte le lunghezze d’onda meno quelle che riflettono sul nostro occhio/cervello la lunghezza d’onda che ci darà la sensazione del rosso, in questo caso corrisponde a circa 660 nanometri (nm).Pertanto è chiaro che il colore non esiste, tranne che nella nostra testa; siamo noi che abbiamo deciso di “vedere” una lunghezza d’onda fatta di fotoni come una componente cromatica, probabilmente per ragioni evolutive e di sopravvivenza della specie (inserto 2_spettrovisibile). Capiamo ora come, per studiare il colore, non basta capire le mescolanze ad-ditive, sottrattive o i complementari di un dato colore. L’argomento è molto più ampio, potremmo dire quasi scientifico. Beddy Edwards, nel suo libro, afferma: «Sono convinta, tuttavia, che la gioia non finisca con la conoscenza. Ciascuno di noi, in un modo o nell’altro, è tenuto a fare quotidianamente le sue scelte di colore. Naturalmente abbiamo l’intuito a farci da guida ma, in

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linea generale, l’intuito funziona meglio se abbinato alla conoscenza»3.Luce, occhio e cervello sono componenti fondamentali nella percezione del colore, per cui anche se, apparentemente distanti, devono essere considerati parte della stessa famiglia.

1.2 IL CONCETTO DI ARMONIA

Se il nostro argomento fosse la musica, sarebbe ben più semplice definire il concetto di armonia. In musica questa è una materia logica ben definita e studiata. Ma riguardo al colore, diventa argomento assai difficile o perlo-meno approssimativo. Già Johann Wolfgang Goethe, ossessionato dai fon-damenti dell’armonia cromatica, notò che gli artisti non riuscivano a dare delle risposte sufficientemente accettabili.Nel corso degli anni partendo dalle scoperte di Netwon, passando da Goethe per arrivare al cerchio di Itten, si sono definiti armonici alcuni schemi geome-trici individuabili all’interno del cerchio. Ad esempio, il triangolo equilatero che crea una triade equidistante partendo da un qualsiasi punto all’interno del cerchio. Ma questo basta a creare l’armonia in un’illustrazione? È davvero così semplice la questione? La risposta è chiara a voi tutti. Tali schemi, dal mio punto di vista, possono rappresentare una fase iniziale dell’argomento, darci delle basi pratiche da cui partire, ma soprattutto mo-strano le fondamenta di una convenzione culturale che ci ha permesso di ave-re un punto di partenza omogeneo al fine di poterci comprendere ovunque e con chiunque. Ma la differenza tra una illustrazione cromatologicamente per-fetta e la sua controparte non sarà rintracciabile nella scelta giusta o sbagliata dello schema colore ma nella sua applicazione all’interno dell’immagine.

1.3 CREARE L’ARMONIA È POSSIBILE?

La problematica maggiore è la difficoltà di riuscire a combinare l’equilibrio estetico di una paletta cromatica, di solito fondata su schemi precisi, con il loro reale utilizzo nelle nostre illustrazioni.Ribadisco che, senza una base teorica, arrivare a generare un set di colori cosiddetti armonici, può diventare per i meno esperti un po’ complicato. Da qui, la logica conseguenza, di utilizzare i servizi online o l’ispirazione eccessiva ai lavori altrui. Definita la palette colori, la problematica successiva sarà proprio armo-nizzare gli stessi con gli elementi dell’illustrazione. Infatti, senza una reale consapevolezza di fondo sui meccanismi che sottendono alla creazione ar-monica, ci troveremmo davanti al computer, inerti, contemplando qualcosa interiore che ci possa aiutare.

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Ma il problema è che davvero la soluzione è all’ interno di noi, tuttavia non nel significato romantico del termine, bensì nell’accezione più vicina alle neuroscienze, che considerano «la funzione dell’arte e quella del nostro cer-vello» come se «siano una cosa sola, o almeno che gli obiettivi dell’arte co-stituiscano un’estensione delle funzioni del cervello»4. Per cui lo studio del cervello non ci rende scienziati, ma solo illustratori o grafici consapevoli.

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1. Hermann Helmholtz, Human Vision, 1885 - 2. Enid Verity, Color Observed, 1980 - 3. Betty Edward, L’arte del colore, Longanesi, 2006 - 4. Semir Zeki, La visione dall’interno, Bollati Boringhieri, 1999

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L’ARMONIA PASSA DAL CERVELLO

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2.1 L’EVOLUZIONE

Tutti i contributi scientifici hanno confermato che ci siamo evoluti per acqui-sire conoscenze dal mondo fisico. Dunque, una maggiore complessità e varia-bilità nella scena osservata ci risulterà più consona, come dire biologicamente più familiare, perché ricca di informazioni da interpretare e da apprendere. È bene sottolineare che, l’acquisizione di queste suddette informazioni ad opera del cervello sia il frutto della curiosità che da sempre ha accompagnato l’uo-mo. Curiosità che sin dalle origini è stata necessariamente vitale per l’essere umano, soprattutto perché riconoscere le differenze nella scena poteva essere utile alla sopravvivenza.Nelle prossime pagine capiremo come vengono viste queste differenze e in che misura aiutino ad aumentare la consapevolezza necessaria a favorire un uso più armonico dei colori nelle nostre immagini, nella speranza che l’aumento delle competenze porti una diminuzione dei tempi di lavoro.

2.2 CENTRI DI ATTENZIONE

Quando ci soffermiamo ad esaminare una scena il cervello non è in grado di elaborarla nella sua totalità, ma può analizzarne solo il 5% per volta. Per questo motivo gli occhi sono sempre in movimento dando la possibilità al cervello di esplorare la realtà circostante favorendo la foveazione, ovvero portando il centro della retina, chiamato appunto fovea, al centro del campo visivo, dove insieme all’area circostante, la parafovea, sono le aree più ric-che di cellule per cui, qui, la risoluzione sarà maggiore rispetto alla periferia nella quale le immagini appariranno meno nitide.I movimenti oculari, di cui stiamo parlando, sono chiamati saccadi e la loro conoscenza, dal mio punto di vista, può contribuire ad un migliore uso del colore all’interno delle nostre illustrazioni.Tra tutti gli studi sul movimento oculare quelli più interessanti sono stati condotti nel secondo dopoguerra dal russo Alfred Yarbus, tramite delle lenti a contatto che riflettevano su una superficie sensibile i movimenti oculari lasciandone traccia1. Si vide come queste saccadi tracciassero quasi delle ra-gnatele di esplorazione, soffermandosi su vari centri di attenzione. L’aspet-to più interessante è testimoniato da un esperimento fatto su un gruppo di osservatori che, dinanzi ad un dipinto, Il visitatore inaspettato di Respin, venivano sottoposti ad alcune domande, quali: (1) cosa stava facendo la fa-

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miglia prima dell’arrivo del visitatore? (2) Quanti anni hanno i personaggi? (3) Da quanto il visitatore mancava da casa? (4) Quali sono le condizioni economiche della famiglia? (5) Memorizzate i vestiti dei personaggi. (6) Esplorazione libera (inserto1_saccadi).Dai risultati del test emerse che i centri di attenzione variavano in relazione alle richieste del loro interlocutore. Generalizzando i risultati, si scopre che il percorso visivo che ognuno di noi attua durante la visione di un’immagine non è regolare e dipende, oltre che dalle caratteristiche visive dell’immagine, anche e soprattutto dagli obiettivi di chi guarda. Capiamo, inoltre, come guardare significhi prestare attenzione e che i risultati derivanti da questo esperimento ci dimostrano come non sia possibile prestare attenzione a tutto.Ora qualcuno si chiederà cosa possono avere in comune le saccadi e i colori. Riflettendoci per un istante risulta abbastanza semplice. Il primo si sofferme-rà sui centri di attenzione, il secondo è un centro di attenzione.Sappiamo che il cervello si è evoluto per acquisire conoscenze e ogni imma-gine rappresenta qualcosa di nuovo da indagare. Recenti scoperte, inoltre, hanno notato come il cervello ami particolarmente i cambi netti all’interno della scena, ovvero “al forse” preferisce il “si” o il “no”, il “vero” o il “falso”. Insomma, non è incline all’ambiguità. Anche Arnheim sottolinea più volte come gli oggetti debbano dichiarare in modo chiaro la loro posizione all’in-terno del quadro favorendo il senso narrativo dell’immagine2.Per cui quando il racconto visivo è ben definito, il quadro, l’illustrazione, o comunque qualsiasi immagine, comunica esattamente dove guardare, evi-denziando così i suoi centri di attenzione. In tale modo si favorisco le saccadi, assecondando il lavoro di analisi del cervello (il cervello del fruitore). I colori, dice Itten «hanno proprie dimensioni e luminosità, e naturalmente, danno alle superfici valori del tutto diversi da quelli lineari»3, perciò studiandole potremo essere in grado di guidare noi lo sguardo dell’osservatore favorendo maggiormente l’armonia della scena. A questo punto, è chiaro come il discor-so sull’armonia sia molto più articolato e, come, di base, un’illustrazione cro-maticamente gradevole non sia solo il frutto di una palette colori ben scelta.

2.3 RAGIONARE PER CONTRASTI

Betty Edwards, pittrice e scrittrice, nel suo libro L’arte del colore, mentre spiega l’ultimo step del suo metodo per raggiungere l’armonia in un quadro, dice di passare dal colore percepito al colore pittorico. Ma cosa vuol dire?Lei stessa commenta: «sul piano didattico questo procedimento è piuttosto difficile da spiegare» e continuando afferma «in certa misura potete affidarvi al vostro intuito»4. Il mio intento non è quello di eliminare l’intuito, ma di cercare di diventare progettisti consapevoli, così da poter capire le leggi che sottendono all’ar-monia cromatica.

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Secondo il mio punto di vista, vedendo le immagini (img 2a), il colore pitto-rico rientra in un argomento più ampio alla base della visione. La necessità dei contrasti. Nella nostra retina abbiamo delle cellule, dette gangliari, che sono in stretto contatto con la corteccia visiva perché collegate a questa attraverso il nervo ottico. Nella codifica delle immagini, tali cellule, privilegiano le informazioni relative alle differenze tra chiaro e scuro piuttosto che lo stimolo assoluto5. Perciò esse sono più sensibili alla discontinuità luminosa che alla quantità di luce (o alle sfumature). La discontinuità luminosa che ci interessa non è quella fisica, bensì quella percettiva. Due colori fisicamente diversi, appartenenti cioè a due lunghezze d’onda spettrali differenti, vengono percepiti come uguali sotto una stessa luce. È noto a tutti questo fenomeno come metamerismo.Suddette cellule “vedono” i contorni, cioè la differenza di luminanza tra le aree adiacenti, rimanendo quasi del tutto inattive fino al bordo successivo (questo discorso è il punto di partenza del contrasto simultaneo). Il cervello successivamente integrerà le informazioni creando la percezione di un’area omogenea. Dove questa differenza non è ben accentuata, vengono addirittura create delle barre di rinforzo. Un classico esempio è visibile nelle bande di Mach (img 2b). In una zona graduale di luminanza, fra un area più chiara ed una più scura si percepisce una striscia più brillante nella zona chiara e una linea nera nella zona più scura. Verificando la distribuzione fisica dell’im-magine si osserva che quei picchi non esistono (img 2c). Avrete notato come questo effetto sia visibile anche nelle nostre illustrazioni. Se, talvolta, create due oggetti di ugual tinta ma con scarti di luminosità (nel metodo colore HSB, la luminosità corrisponde alla B=Brightness) non eccessivi, si può osservare come anche qui appaia una barra di rinforzo, che crea quasi una distanza tra i due elementi accentuandone i contrasti. È chiaro allora che ci siamo evoluti per abitare un mondo dove sono cruciali i cambiamenti nella scena. Immaginatevi come, per la sopravvivenza, è stato utile riuscire a distinguere velocemente un oggetto dallo sfondo: questo po-teva essere un predatore, o semplicemente dei frutti nella vasta vegetazione. Il cambiamento è una necessità psico - fisiologica dell’essere umano lega-ta ai suoi mutamenti biologici. La monotonia non è consona alle necessità dell’essere umano6. Monotonia significa anche una sola tonalità di colore. Non è un caso che, chi usa palette monocromatiche nelle proprie illustra-zioni inserisca spesso il complementare della tinta di base. Inoltre molti illustratori aggiungono nelle proprie immagini delle texture. Queste fun-zionano quasi sempre perché non fanno altro che aumentare le differenze di luminanza all’interno dell’area stessa: dove prima c’era un’unica infor-mazione continua ai bordi del colore, ora le cellule si divertono a trasmettere maggiori informazioni proveniente da zone adiacenti all’interno dell’area. Ormai è chiaro come tali variazioni piacciono molto al cervello poiché si è sviluppato in un mondo ricco di dati.Quindi ogni qualvolta ci ritroveremo a scegliere i colori per la nostra palette, anche se risulterà armonica all’inizio, per rimanere tale durante la realizzazio-ne della nostra illustrazione, dovrà rispettare la propensione del cervello nel

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leggere i contrasti. Per tale motivo, non riducendo ovviamente solo a questo il loro talento, immagini come quelle di Olimpia Zanioli o Emiliano Ponzi conquisteranno sempre il lettore (img 2e, img 2d).

2.4 IL CERVELLO VISIVO

È chiara ormai la necessità di riscrivere una teoria del colore che consideri la stretta collaborazione, cresciuta e collaudata durante tutto il corso dell’evolu-zione, della luce, dell’occhio e del cervello. Con questo termine ci riferiamo, nello specifico, alla corteccia striata deputata alla visione.Non credo oggi sia sufficiente ripetere che il colore muti al variare dello sfondo, ma ritengo sia più importante capire il motivo per il quale accada per cercare di utilizzare questa vulnerabilità a nostro favore. Ad esempio, è indispensabile sapere come mai in lontananza in pieno giorno, faremo maggiore fatica a distinguere un maglione azzurro, che tenderà al nero, rispetto ad un maglione arancione che rimarrà sempre tale7. Questo è dovuto alla fisiologia del nostro occhio, alla presenza di coni e bastoncelli che per loro natura sono più sensibili ad uno o ad un altro colore. Il discorso è un pò più articolato e lo vedremo meglio nei prossimi paragrafi, ma con queste poche righe vorrei far emergere come l’aura mistica, che ha avvolto il colore per diverso tempo, potrebbe essere tranquillamente attenua-ta se si studiassero i meccanismi che sottendono la sua visione. Questi stessi meccanismi potranno essere poi applicati alle nostre illustrazione, aumen-tando la consapevolezza di quello che stiamo facendo.

2.4.1 DALL’OCCHIO AL CERVELLO

Affinché il meccanismo della visione si attivi abbiamo bisogno che il fotone, particella che compone la luce, colpisca la nostra retina. Ovviamente già Goethe sottolineava che un colore non esiste se nessuno lo può vedere. La luce può essere vista come un onda che si muove nello spazio composta da particelle, chiamate appunto fotoni, che al contatto con la materia cedono una parte della loro energia. La stessa cosa succede quando i fotoni colpiscono il fondo del nostro occhio. Si sono sviluppati, infatti, dei neuroni che riescono proprio a trasformare questa energia in informazioni da trasmettere. D’altronde, «la luce è ciò che si può vedere»8, per questo abbiamo sviluppato un apparato ottico utile a percepirla. È interessante sapere che ben 40 volte l’occhio si è dovuto formare partendo da zero prima di arrivare alla perfezione, anche se a quanto pare l’occhio meglio progettato, come vedremo, rimane quello del calamaro.

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Sul fondo del nostro occhio ritroviamo la retina, una sottile membrana ner-vosa propaggine del cervello, nella quale sono presenti tre strati di cellule di cui l’ultimo, il più conosciuto, è composto da fotorecettori, coni e bastoncelli. Questi sono collegati ad altri due strati di cellule più interni all’occhio, le cellule bipolari e le cellule gangliari. Da qui partono le fibre nervose che si congiungono nel nervo ottico e che portano l’informazione visiva verso le aree dedicate del cervello. Vedendo l’immagine (inserto 2_retina) capiamo come il nostro occhio sia co-struito al rovescio, e che quindi il fascio ottico “buchi” il fondo dell’occhio. Il calamaro invece ce l’ha costruito dritto.

2.4.2 I CONI E I BASTONCELLI

Il primo a ritenere che la nostra retina non possa avere infiniti recettori quan-te erano le lunghezze d’onda dello spettro visibile, fu Thomas Young che nel 1801 propose la teoria del tricromatismo della visione (a livello retinico) cau-sato dalla fisiologia del sistema visivo e non dalla composizione della luce.Parlare di questi fotorecettori in un libro che tratti di colore può essere im-portante, non semplicemente perché questi sono alla base della visione, ma perché la loro natura biologica influenza la brillantezza dei colori.Già Goethe notò che alcuni colori, a parità di valori, erano più luminosi di altri, e ne stabilì in modo approssimato una scala numerica di rapporti per le coppie di complementari (pagina 60). Itten nel suo Arte del colore accennerà a questi valori realizzando un cerchio cromatico che rispetta le qualità del colore secondo Goethe9 (img 2f).I coni e i bastoncelli hanno ruoli diversi nel processo della visione. I primi si occupano della visione fotopica (visione diurna) e del colore, dividendosi in tre classi in relazione alle tre diverse varietà di opsina, il pigmento fotosen-sibile che li caratterizza. Le curve di sensibilità di ogni singola classe, nello spettro visibile, ha i picchi nelle aree che noi chiamiamo blu, verde e rosso in relazione agli spettri di assorbimento dei tre tipi di opsina. I coni sono concentrati soprattutto nella fovea, qui ogni cono è legato ad una cellula bipolare e questa ad una cellula gangliare, perciò qui la vista è più aguzza. Mentre, superando il centro e andando oltre la parafovea, la periferia inizia a farsi ricca di bastoncelli, attivi nella visione scotopica (visione notturna), e aumentano il numero di cellule bipolari e gangliari per singolo fotorecetto-re. Questo comporta che la qualità della visione venga ridotta, ma in com-penso la loro sensibilità alla luminosità sarà altissima. È stato studiato che basta addirittura un solo fotone per “eccitarli”. Il pigmento fotosensibile dei bastoncelli in questo caso è unico, la rodopsina, ecco perché non riusciamo a percepire il colore nella visione notturna. In realtà anche i bastoncelli hanno una loro preferenza cromatica. Il loro picco di sensibilità è tra il blu e il verde a differenza dei coni che sono più

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sensibili ai rossi e ai verdi. Questo è dovuto al fatto che la quantità dei coni blu è circa un decimo della popolazione totale dei coni e quindi non sono in grado di concorrere con gli altri a fornire la sensazione di luminosità10. Il viola ci apparirà sempre più scuro di un giallo equiluminoso. Per lo stesso motivo, in pieno giorno, un maglione azzurro, da lontano tenderà al nero rispetto ad un maglione arancione che rimarrà sempre come tale.Quindi, come vedremo meglio nelle prossime pagine, non saremo mai in grado di discriminare le lunghezze d’onda nello stesso modo. Per cui è lecito porsi questa domanda: in una illustrazione in cui uso due soli colori, i diversi valori che sceglierò per definire le zone più chiare o più scure potranno avere gli stessi parametri?

2.4.3 LE AREE DI INTERESSE: V1 E V4

Qui non ci interessa capire nel dettaglio la composizione del nostro cervello (inserto 2_cervello), ma è necessario parlare delle aree che intervengono nel processo della visione, e nello specifico, della visione dei colori; perché, come già ho detto più volte in precedenza, l’armonia è un discorso più ampio che si può avere solo quando sappiamo come gestire tutte le proprietà del colore. Per far questo è necessario sfatare, per quanto sia possibile, l’aura di misticità che da sempre avvolge questa materia.In breve, il segnale proveniente dai fotorecettori arriva, alle cellule gangliari; queste sono collegate al nervo ottico che, incrociandosi con gli altri fasci di nervi dell’altro occhio nel chiasma, si dirigono alla corteccia visiva passando per il nucleo genicolato laterale. La corteccia visiva, detta anche corteccia striata o cervello visivo, è composta dall’area principale V1, che lavora in parallelo con le aree adiacenti, V2, V3, V4 e V5. Le loro sigle non identificano una gerarchia, tranne per V1 e V2. Si è scoperta la modularità del cervello attraverso lo studio di pazienti affetti da alcune patologie particolari. Ad esempio l’acromatopsia, ovvero la cecità completa al colore. Questa patologia dipende da una lesione nell’area V4, spe-cializzata nel riconoscimento dei colori.Mentre una lesione nell’area V5 causa l’achinetopsia che non permette di per-cepire più i movimenti.È affascinante rendersi conto di come il cervello riesca ad unire, in frazioni di tempo millesimali, tutte queste informazioni, in ciò che noi chiamiamo visione.Quindi, nella percezione del colore è chiaro che V4 gioca un ruolo fondamen-tale, ma in questa partita contribuirà al risultato anche l’area V1. Chiariamo meglio quanto detto. La precisa registrazione della composizione spettrale della luce di ogni singola parte del campo visivo avviene grazie alle cellule selettive alle lunghezza d’onda in V1. Qui le cellule rispondono ad una precisa lunghezza d’onda perché i loro campi recettivi sono ristretti e abbastanza indipendenti da ciò che

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succede nelle zone circostanti. Quindi è chiaro che non si occupano realmente della percezione del colore per come lo intendiamo noi. Si è scoperto che queste cellule “vedono” il colore reale, la lunghezza d’onda riflessa. Quindi se una cellula è selettiva per la lunghezza d’onda definita come rosso, que-sta si attiverà sempre, purché la luce riflessa corrisponda a tale lunghezza e non al colore che realmente un occhio medio percepirebbe. V1, perciò, ha il compito di avviare una raccolta di informazioni per la costruzione del colore che verrà poi in V4. Qui le cellule reagiscono soltanto al colore nella zona, anche se le altre aree, collocate nel suo campo recettivo, riflettono la stessa quantità di luce rossa, verde e blu. La cellula V4 è quindi legata in maggior misura al colore e in misura minore ad una precisa composizione spettrale della luce riflessa11.Studi clinici hanno dimostrato la possibilità di vedere il colore anche solo attraverso l’area V1, ovviamente si perderebbe una parte importante della nostra visione, quella che noi chiamiamo costanza cromatica e che Helmholz definiva «sottrarre illuminante». Vedere solo attraverso V1 corrisponderebbe ad affidarsi completamente e solo alla luce riflessa dalla superficie colorata. Questo comporta che, al cambio dell’illuminante, ciò che per noi rimarrebbe dello stesso colore, per chi ha una lesione totale in V4, cambierebbe colore. Inoltre, se fosse riflessa una quantità più o meno uguale di luce di tutte le bande spettrali, i soggetti in questione avrebbero descritto la superficie come bianca, allo stesso modo di un osservatore normale vedendola nel nulla, cioè isolata. Insomma, è chiaro: le cellule V4 giocano un ruolo chiave. Sono alla base dei meccanismi di confronto che ci permettono di «sottrarre l’illuminante»12 e di poter percepire il colore come confronto tra le parti.

2.4.4 COSTANZA CROMATICA

La costanza di colore è l’unico modo che il nostro cervello ha adottato per districarsi tra le innumerevoli informazioni che si hanno giornalmente sul colore delle cose. È stato dimostrato che le lunghezze d’onda riflesse da una superficie blu sotto una luce ad incandescenza possono essere identiche a quelle riflesse da una superficie gialla sotto la luce del sole. Se la nostra visione dei colori dipendesse unicamente dalla lunghezza d’on-da che gli oggetti riflettono, il mondo ci apparirebbe abbastanza strano. Il colore è il frutto di un confronto tra la superficie e ciò che lo circonda, per cui «la conclusione è che al variare dell’illuminazione il contrasto locale, inteso come rapporto spettrale, resta invariato»13. Si parla, quindi, come dice Hermann von Helmholtz di «sottrarre l’illuminante», perché gli studi con-fermano che la costanza cromatica è il prodotto del confronto tra il contrasto locale e l’informazione luminosa proveniente dall’intera scena. Attraverso il risultato di questi dati la nostra sensazione di colore rimarrà invariata al mutare dell’illuminante.

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2.4.5 I NEURONI DELLA VISIONE

La visione dei colori non è frutto semplicemente del lavoro dei coni. Questo fatto fu già notato nell’ottocento, quando era in atto una movimentata discus-sione tra la teoria tricromatica di Young-Helmholtz e la teoria dei colori basata su segnali opponenti di Ewald Hering.I primi sostenevano che esistessero solo tre tipi di fotorecettori con tre picchi di sensibilità che mandavano le informazioni direttamente al cervello. Il secondo invece criticava il fatto che il giallo venisse fuori dalla somma di rosso e verde, poiché secondo lui il giallo era una sensazione elementare, non scomponibile. A tale scopo propose la teoria dei segnali antagonisti, affascinato dall’idea dell’inesistenza di un giallo che dava sul blu. Oggi, grazie alle recenti scoperte possiamo confermare che entrambe le teorie sono vere. Nella prima fase della visione i tre pigmenti presenti nei coni danno ragione alla teoria tricromatica di Young-Helmholtz, ma queste informazioni poi vengono “catalogate” in modo differente prima di arrivare al cervello. Que-sta catalogazione è alla base del concetto di complementarità del colore, del contrasto simultaneo e di tante dicerie sul colore.Le cellule gangliari della retina, che ricevono l’informazione dai coni, si sud-dividono in due popolazioni in relazione alla loro funzione. Un primo gruppo riceve segnali dello stesso segno dai coni verdi e rossi, per cui si occupano della chiarezza, ovvero dello stimolo chiaro-scuro, non contribuendo all’infor-mazione cromatica. Questa è affidata all’altra popolazione, che rappresenta il numero maggiore di cellule gangliari. A loro volta, quest’ultime si suddi-vidono in altre due classi: «le cellule della prima classe vengono eccitate dai coni rossi e inibite dai coni verdi (o viceversa), quelle della seconda classe vengono eccitate dai coni blu e inibite sia dai coni rossi sia dai coni verdi»14. Quanto detto conferma l’idea dei segnali antagonisti. Per cui abbiamo tre coppie di segnali: Bianco-Nero, Rosso-Verde e Giallo-Blu, che si cancellano reciprocamente e, per questo, chiamate segnali opponenti dando ragione alla teoria di Ewald Hering. Questi tre segnali così codificati dalle cellule gangliari viaggiano dalla retina fino alla corteccia visiva separate. Qui ci sono cellule con proprietà simili e altre ancora più selettive, dette doppie opponenti. Il loro campo recettivo, è due volte opponente per lo stesso segnale ma invertito. Ad esempio se il centro è eccitato dal rosso e inibito dal verde, la periferia sarà eccitata dal verde ed inibita dal rosso. Queste cellule impazziscono per i dischi rossi su sfondo verde. Per il cervello, quindi, come ben sottolinea Riccardo falcinelli «non esiste il giallo ma il segnale giallo-blu, il giallo è percepito in relazione al suo oppo-nente così che è impossibile vedere un giallo che dà sul blu o un rosso che da sul verde»15. Per cui i colori percettivi sono sei: giallo, blu, rosso, verde, bianco e nero (ora è chiaro il perché delle coppie colori nel metodo Lab, che è appunto un metodo percettivo). Dal mio punto di vista, è molto interessante, sottolineare come il cervello riesca a generare la sensazione del giallo o del bianco e nero, partendo sempre dai tre tipi di segnali provenienti dai coni, blu, rosso e verde.

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Perciò le spiegazioni sul significato di complementare o, l’analisi dei vari cerchi cromatici, risultano al quanto inopportuni, senza aver prima capito il perché oggi possiamo ragionare secondo determinate convenzioni basate su i nostri schemi cromatici.Inoltre queste conoscenze, come vedremo nel capitolo sul contrasto simulta-neo, ci permettono di prevedere in parte gli effetti di colori e usarli a proprio vantaggio o per scopi creativi.

2.4.6 IL CAMPO RECETTIVO

Il concetto di campo recettivo venne introdotto nel 1953, grazie alla sco-perta del dottor Stephan kuffler che, riuscendo ad attivare singole cellule gangliari, attraverso macchie luminose, notò che l’attività di queste cellule diminuiva all’aumentare della grandezza del segnale. In generale per campo recettivo si intende, quindi, quell’area che dà luogo ad una reazione da parte del neurone. Immaginando il campo di una cellula come una ciambella, ciò che ricade all’interno del buco l’attiva, mentre ciò che finisce sull’anello la inibisce. Queste cellule sono chiamate a centro on. Ovviamente è possibile trovare altre che “ragionano” esattamente al contra-rio, chiamate a centro off, eccitate dal segnale alla periferia e inibite quando questo colpisce il centro. Tale tipologia, per quel che ci riguarda, è soprattutto presente nelle cellule gangliari retiniche. Tutte queste cellule, come abbiamo già detto, sono più sensibili alle discontinuità luminose che alle sfumature. Ogni cellula ha il proprio campo recettivo per “osservare” la scena. Questi campi non sono posti uno accanto all’altro sulla retina ma, si sovrappon-gono con dimensioni diverse, essendo così una delle cause principali della vulnerabilità del colore.Nella fovea, i campi recettivi sono più piccoli, riuscendo meglio a distinguere i dettagli fini, cosa che andrà scemando con l’avvicinarsi alla periferia della retina dove, qui i campi, saranno più grandi. Quanto detto è alla base della risoluzione visiva, spiegando così la frequenza spaziale, ossia la possibilità di poter distinguere particolari dettagli fini solo a distanze ravvicinate. Questo principio è stato sfruttato da artisti del passato, citiamo ad esem-pio impressionisti e divisionisti, i quali hanno saputo ben adoperare il concetto di frequenza spaziale ma al contrario. Osservando un quadro impressionista, comprendiamo bene quanto la distanza sia fondamentale per osservarlo nella sua totalità: più l’osservatore è distante, più riuscirà ad apprezzare le pennellate di colore che si fonderanno nei nostri occhi formando l’immagine. È chiaro, quindi, come l’occhio non sia in grado di identificare dettagli fini ad elevata distanza. Questo principio è alla base della cosiddetta integrazione cromatica. Vi sarà spesso capitato di notare, almeno spero, un bordo, o come dice Betty Edwards «un riverbero» tra un’area colorata e il suo sfondo16. Un

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esempio eclatante possiamo osservarlo nel dipinto di Ellsworth Kelly, Red Blue Green (img 2g). Questo effetto è dovuto alla nostra bassa acuità, che si accentua quando le aree colorate hanno un forte contrasto tra di loro. Il riverbero, inoltre, si evidenzia ancor di più quando gli elementi delle aree adiacenti sono piccole, fondendosi assieme maggiormente. Questo è ciò che accade nella sintesi additiva, generando un riverbero luminoso che è frutto della sommatoria dei due colori.È ormai chiaro quanto sia complicato scegliere i colori per le nostre palette. Bisogna aver bene in mente l’effetto finale, poiché anche un problema come il riverbero, potrebbe essere usato in modo creativo. O perlomeno, ora che ne siamo a conoscenza, eviteremo di realizzare aree troppo piccole con forti contrasti giacché la fatica nel leggere un’immagine o parte di questa è considerata dal nostro cervello come uno spreco di energie, come dire, un disturbo. Questo secondo voi, non è un elemento che rientra nella tanto cercata armonia?

2.4.7 LE DUE VIE: VENTRALE E DORSALE

Abbiamo già chiarito come il cervello sia diviso in moduli e come le informa-zioni dalla retina arrivino alla corteccia celebrale e da questa all’area V1 che poi smista, come in un centro postale, i dati alle altre aree. Questa trasmissio-ne avviene attraverso due vie, chiamate una ventrale e l’altra dorsale, rispet-tivamente via del “cosa” e via del “dove”. Ritengo fondamentali conoscere le loro funzioni, perché influiscono non poco nella percezione del colore. La via del cosa trasmette informazioni riguardo al colore, al riconoscimento delle forme e degli oggetti; la via del dove è associata al movimento, all’ela-borazione spaziale e al controllo di occhi e braccia. Si è notato come tutti i mammiferi siano in grado di elaborare la luminosità, quindi vi è necessariamente un sistema dedicato a questo, ma solo i primati hanno un area dedicata al colore.La via del dove, più antica, è cieca al colore, perciò le aree che ricevono in-formazioni da questa, come la V5 che si occupa del movimento, sono cieche al colore e ragionano solo in termini di luminosità. Una volta capito come avvengono le trasmissioni dei dati, riusciamo forse a capire il motivo per il quale, quando poniamo su uno sfondo un elemento equiluminoso, quest’ultimo “sfarfalla” (img 2h).La via del “cosa” riesce a vedere due oggetti separati, ma la via del “dove”, cieca al colore, vede una superficie omogenea della stessa tonalità di grigio.Non credo che un effetto di questo tipo possa essere considerato necessaria-mente un errore in una illustrazione. Ciò che fa la differenza è la consapevolezza di saper ricreare tale effetto, fa-cendo di un “errore” un elemento a nostro vantaggio e usandolo, talune volte, anche in modo creativo (img 2i). Gli artisti che hanno fatto di questo effetto il

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frutto della loro produzione sono i cosiddetti artisti dell’optical art. A questi ultimi si aggiungono alcuni quadri realizzati da grandi artisti, come Claude Monet con il suo Impression, soleil levant del 1872 (img2m).

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1. Riccardo Falcinelli, Guardare, pensare, progettare, Stampa Alternativa e Graffiti, 2012 - 2. Rudolf Arnheim, Il potere del centro, Abscondita, 2011 - 3. Johannes Itten, Arte del colore, Il Saggiatore, 1979 - 4. Betty Edward, L’arte del colore, Longanesi, 2006 - 5. Lanberto Maffei, Adriana Fiorentini, Arte e cervello, Saggi Zanichelli, 2008 - 6. Giulio Bertagna, Aldo Bottoli, Scienza del colore per il design, Maggioli Editore, 2013 - 7. Riccardo Falcinelli, Guardare, pensare, progettare, Stam-pa Alternativa e Graffiti, 2012 - 8. Ibidem - 9. Johannes Itten, Arte del colore, Il Saggiatore, 1979 - 10. Giulio Bertagna, Aldo Bottoli, Scienza del colore per il design, Maggioli Editore, 2013 - 11. Semir Zeki, La visione dall’interno, Bollati Boringhieri, 1999 - 12. Mauro Boscarol Web, Storia della scienza del colore, Helmholtz: esperimenti di base sulla visione del colore - 13. Paola Bressan, Il colore della luna, Editori Laterza, 2007 - 14. Lanberto Maffei, Adriana Fiorentini, Arte e cervello, Saggi Zanichelli, 2008 - 15. Riccardo Falcinelli, Guardare, pensare, progettare, Stampa Alternativa e Graffiti, 2012 - 16. Betty Edward, L’arte del colore, Longanesi, 2006.

Img 2a - Colore percepito, colore pittorico.

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Ewald Hering

È stato un fisiologo tedesco che fece importanti ricerche nel campo della visione a colori. Nasce il 5 agosto 1834 a Alt-Gersdorf un villaggio germanico in Sassonia ai confini con l’allora Boemia (ora Repubblica Ceca) di cui il padre era pastore. Frequenta l’università a Lipsia, studiando con Ernst Heinrich Weber (1795-1878) e Gustav Theodor Fechner (1801-1887). Si laurea nel 1860 e nel 1862 viene abilitato come docente di fisiologia. Da questo momento comincia i suoi studi sulla visione del colore.

Hermann von Helmholtz

Hermann Helmholtz nasce a Potsdam il 31 agosto 1821 da una famiglia borghese. Si laurea in medicina nel 1842, ed è dapprima chirurgo militare nella sua città natale. Nel 1848 diventa professore di anatomia all’Accademia Berlinese di Belle Arti, nel 1849 è chiamato a Königsberg come professore di fisiologia umana e nel 1855 alla cattedra di anatomia e fisiologia dell’università di Bonn. In questi anni si occupa inizialmente di fisiologia muscolare per poi passare gradualmente alla fisiologia sensoriale. Nel 1856 pubblica il primo volume del classico Handbuch der physiologischen Optik (Manuale di ottica fisiologica). Nel 1858 passa alla cattedra di fisiologia dell’università di Heidelberg, dove rimarrà fino al 1870. Questi sono gli anni di massima notorietà per Helmholtz, che gradualmente assume il ruolo di decano delle scienze naturali in Germania. È suo il merito di aver raccolto e sinte-tizzato tutte le conoscenze del tempo sulla fisiologia e psicologia del colore e aver definiti-vamente chiarito alcune questioni di base della scienza del colore.

Img 2b - Le bande di Mach, dal nome del suo postulatore Ernst Waldfried Josef Wen-zel Mach è un effetto ottico. È dovuto alla tendenza dell’occhio umano di vedere ban-de di rinforzo luminose o scure, nere, tra zone con valori di luminanza differenti ( in maniera approssimativa possiamo dire che la luminanza è la luminosità di una supeficie misurata da uno strumento fisi-co). Il confronto tra la distribuzione fisica (img 2c-1) e quella percepita (img 2c-2) chiarifica meglio il fenomeno.

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inan

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spazio

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Img 2c-1. Img 2c-2.

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46Img 2d - Illustrazione di Emiliano Ponzi.

Divisionismo

Fu uno stile derivato dal Neo-Impressio-nismo e caratterizzato dalla separazione dei colori in singoli punti o linee che in-teragiscono fra di loro in senso ottico; per tali motivi può essere definito come una variante specifica del Puntinismo. In Italia si sviluppò a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo rimanendo attivo per un periodo piuttosto lungo. I suoi espo-nenti principali furono Pellizza da Volpedo e Giovanni Segantini.

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Img 2e - Illustrazione di Olimpia Zagnoli.

Brightness

Il termine luminosità (Brightness) non è un termine della colorimetria né della foto-metria, ma del linguaggio comune. Avendo un significato ambiguo, la CIE ha deciso di non definirlo come vocabolo tecnico/scientifico. Si può però parlare di “luminosità” quando non si vuole (o non è necessario) specificare se ci si riferisce alla luminanza, al fattore di luminanza, alla brillanza o alla chiarezza. Quindi è un termine generico che può significare una qualunque di queste quattro grandezze. Qui consideriamo luminosità sinonimo di brillanza. Quando osserviamo un oggetto illuminato, la brillanza è la percezione della quantità di luce che l’oggetto illuminato riflette e che arriva ai nostri occhi.

Impressionismo

L’impressionismo è un movimento pitto-rico francese che nasce intorno al 1860 a Parigi. È un movimento che deriva diretta-mente dal realismo, in quanto come questo si interessa soprattutto alla rappresenta-zione della realtà quotidiana. Ma, rispetto al realismo, non ne condivide l’impegno ideologico o politico: non si occupa dei problemi ma solo dei lati gradevoli della società del tempo.La grande rivoluzione dell’impressionismo è soprattutto la tecnica, anche se molta del-la sua fortuna presso il grande pubblico deriva dalla sua poetica.La tecnica impressionista nasce dalla scelta di rappresentare solo e soltanto la realtà sensibile. Evita qualsiasi riferimento alla costruzione ideale della realtà, per occupar-si solo dei fenomeni ottici della visione. E per far ciò cerca di riprodurre la sensazione ottica con la maggior fedeltà possibile.Dal punto di vista della poetica l’impres-sionismo sembra indifferente ai soggetti. In realtà, proprio perché può rendere pia-cevole qualsiasi cosa rappresenti, l’impres-sionismo divenne lo stile della dolce vita parigina di quegli anni. I protagonisti dell’impressionismo furono soprattutto pittori francesi. Tra essi, il più impressionista di tutti, fu Claude Monet. Gli altri grandi protagonisti furono: Augu-ste Renoir, Alfred Sisley, Camille Pissarro e, seppure con qualche originalità, Edgar Degas. Un posto separato lo occupano, tra la schiera dei pittori definiti impressionisti, Edouard Manet, che fu in realtà il precur-sore del movimento, e Paul Cézanne.

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Img 2f - Cerchio Cromatico (rapporti di quantità).

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Img 2h - Contrasto tra tinte equilu-minose e non, e loro analogo tonale.

Img 2h - Contrasto tra tinte equilumi-nose e non, e loro analogo tonale.

Img 2g - Ellsworth Kelly, Red Blue Gre-en. Si consiglia la visione dell’immagine direttamente dal libro di Betty Edwards, L’arte del colore (pag. 105).

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Img 2m - In scala di grigio il sole equi-luminoso non è visibile: per la via del “cosa” semplicemente non esiste.

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Img 2m - Claude Monet, Impression soleil levant, 1872. Il sole arancione su fondo azzurro-grigio è dipinto con tinta satura equiluminosa rispetto al cielo, pur non essendo la tinta più luminosa del dipinto, il sole brilla di un impalpabile tremolio.

Img 2h, Img 2m - Guardare, pensare, progettare, Riccardo Falcinelli, pag 231.

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Img 2i - Le nuvole equiluminose con il cielo acquistano una maggiore luce.

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iL cOntrasto simultaneo

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iL cOntrasto simultaneo

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3.1 TRA MISTICISMO E SCIENZA

Se il cervello non acquisisse informazioni tramite il confronto tra locale e globa-le, probabilmente tutte le storie e i dibattiti attorno al colore sarebbero stati, se non eliminati, sicuramente dimezzati.Uno dei maggiori fenomeni sul quale si è discusso, nel corso del tempo, è stato il cosiddetto contrasto simultaneo. Sono convinto che questo effetto, alla base della vulnerabilità del colore, abbia su tutti amplificato l’aura di misticità che vi è oggi attorno a quest’ultimo. Studiare i fenomeni dal punto di vista pratico, mediante forme colorate su sfondi variegati, da un lato ci ha permesso di avere subito un riscontro visi-vo, dall’altro però, non ci ha permesso di indagare circa le regole alla base del contrasto simultaneo. Per cui, non sarebbe meglio, nella realtà odierna, cercare di capire le regole, semmai ci fossero, come primo approccio allo studio del contrasto simultaneo?Insegnare ai ragazzi questa manifestazione, mostrando come muta in relazione a ciò che è attorno, ritengo possa scoraggiarli ad avvicinarsi con spirito criti-co alla materia. Se solo si pensa alla varietà di colori che è possibile utilizzare con software, come illustrator o photoshop, si possono immaginare le infinite combinazioni tra colori (inteso come opposizione figura sfondo). È chiaro come questo possa spaventare. Si crede che per studiare il colore, per capire come usarlo, sia necessario imparare tutti i suoi mutamenti. Sarebbe davvero compli-cato. In primo luogo perché non abbiamo una memoria visiva tale da permet-terci di ricordare infinite variazioni cromatiche; e poi perché una base teorica può aiutare a prevedere ciò che accadrà nella pratica, senza dover sforzare nes-suna memoria, ma semplicemente aiutandoci con quello che di certo abbiamo.

3.2 COS’È?

Dobbiamo le prime ricerche riguardo a ciò che poi sarà chiamato contra-sto simultaneo alla curiosità del chimico francese Michel Eugène Chevreul. Nominato direttore del reparto tinture di un’importante fabbrica parigina di tappezzeria, ad un certo punto, dovette fronteggiare il problema della variazione di colore da un punto all’altro del tessuto, presumibilmente della stessa colorazione. I reclami, giunti direttamente dai committenti, si riferivano all’osservazione che il nero dei disegni stampati su stoffa in tinta uniforme non era sempre

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lo stesso: sul porpora tendeva al verdastro e su sfondo azzurro virava verso il giallo. Chevreul capì molto presto che la questione non era rintracciabile nella qualità dei coloranti, ma nel modo in cui si vedevano i colori. Già con questo esempio, non vi sembra di rivedere la composizione delle cellule a doppia opponenza che abbiamo nel cervello visivo? «La ragione per cui questo accade è che, percettivamente, ogni colore acquista una componente complementare al colore adiacente» così spiega il fenomeno Paola Bressan e continuando afferma: «il risultato è che due colori comple-mentari diventano più saturi, e due colori non complementari assumono una tinta leggermente diversa»1. Questo rappresenta solo una parte del contrasto simultaneo. Rudolf Arnheim parla anche di eguagliamento legato, ovviamente, alla sintesi addittiva: «Quando le tinte sono abbastanza simili o quando le aree che le contengono sono abbastanza piccole, i colori si avvicinano invece di accentuarne il contrasto»2.Tale concetto rappresenta la struttura portante della pittura divisionista.Per cui, ad esempio, un elemento rosso vicino ad un’area verde e ad una blu, quando saranno distribuiti in piccole zone adiacenti, non tenderanno ad accentuarsi a vicenda ma a fondersi. Il rosso, affiancato al verde, si avvicinerà al giallo, mentre vicino al viola tenderà al blu (img 3c).Anche Josef Albers, che dedicò tutta la sua vita allo studio del colore, af-frontò questo argomento nelle sue classi. Riuscì a generalizzare il concetto di eguagliamento dando modo a chiunque di poter usare tale effetto: «Ogni differenza di tonalità fra i colori e anche ogni differenza rispetto al chiaro-scuro può essere ridotta, se non visivamente cancellata, per mezzo di sfondi di uguale qualità»3 .

3.3 Il COLPEVOLE NON CAMBIA

Già nel paragrafo precedente abbiamo notato un’affinità tra le parole di Pa-ola Bressan e l’organizzazione che vi è nel nostro cervello ad opera delle cellule a doppia opponenza. Quindi abbiamo la conferma della necessità di rimodernare le nostre teorie sul colore perché hanno, dal mio punto di vista, un sapore troppo romantico. Ribadisco che oggi, si debba confidare mag-giormente nella scienza. Essa non esclude minimamente ciò che noi chia-miamo intuito, anzi probabilmente, grazie alla scienza, potremmo riuscire a concretizzare al meglio le nostre intuizioni poiché saremmo in grado di prevederne il risultato.Il contrasto simultaneo è frutto di milioni di anni di evoluzione del nostro cervello. Come già detto, si è sviluppato considerando più importanti per la sopravvivenza la discontinuità luminosa piuttosto che le sfumature o le aree uniformi. Cerchiamo di capire meglio, a livello pratico, cosa succede.Analizziamo la situazione in cui abbiamo un oggetto verde su sfondo blu (img 3a). Innanzitutto sappiamo che si attivano solo le cellule che si trovano

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al confine con i due colori e specificamente quelle del verde/rosso-rosso/verde e quelle giallo/blu-blu/giallo. Guardando l’ingrandimento (img 3b), può essere più chiaro il motivo per il quale percepiremo l’effetto del contrasto simultaneo. Le cellule doppio opponenti giallo/blu-blu/giallo si attiveranno per identificare l’area blu, mentre le doppio opponenti rosso/verde-verde/rosso per identificare quella verde. Ma “lavorando” ai bordi, le cellule si ri-trovano ad influenzare le aree contigue: le giallo/blu-blu/giallo ci faranno percepire più giallastro il verde, mentre le rosso/verde-verde/rosso ci indur-ranno la sensazione di un blu più violaceo4 .Questo esempio, semplificando un po’ le cose, ci permette di capire il ra-gionamento che è alla base del contrasto simultaneo, ricordando che un’il-lustrazione è il frutto di una molteplicità di situazioni simili alla nostra di-mostrazione, ma sicuramente amplificate per via degli innumerevoli oggetti presenti nell’immagine. Ma se abbiamo ben chiaro che ciò che percepiamo è il frutto di un meccani-smo che ha regole ben precise, probabilmente ci verrà più semplice avvici-narci al colore con spirito critico.

3.4 USI CREATIVI

Uno dei libri che dovrebbe accompagnarci in ogni nostro lavoro è Iterazio-ne del colore di Josef Albers. È stato uno dei maggiori studiosi del colore e dei suoi innumerevoli mutamenti. Leggendo il suo libro si possono capire le diverse situazioni in cui il colore muta. L’unico problema che ho riscontrato, in quanto non rientrava nella volontà di Albers, che aveva come obiettivo «imparare a vedere», è la mancanza di una trasposizione pratica. Con ciò non voglio alludere alla mancanza di un “fare pratico”, ma nel mancato ten-tativo di versare queste osservazioni su immagini più verosimili, come dire reali invece di terminare lo studio con l’uso dei quadrati colorati. Ovvia-mente questa non è una critica. Albers ha soddisfatto in pieno il suo obiet-tivo: dimostrare i fenomeni percettivi. La soluzione migliore da lui scovata per raggiungere il suo obiettivo rimarrà sempre infallibile. La passione e dedizione di Albers allo studio della materia è ancora oggi uno dei maggiori contributi alla cromatologia moderna. Chiarite le basi percettive e biologiche del contrasto simultaneo, credo sia interessante cercare di capire come sfruttare, a nostro vantaggio, le variazio-ni di tale fenomeno. In molti lavori di Emiliano Ponzi come di Shout (aka Alessandro Gottardo) gli effetti del contrasto simultaneo sono sfruttati a loro favore creando quasi sempre atmosfere surreali, o “illustrazioni virate”, come si faceva un tempo con la fotografia (img 3e). Dunque, è questo è il motivo per il quale tutti si ispirano alle palette colori di Ponzi o di Shout? Avranno forse scoperto il segreto dell’armonia cromatica?

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3.4.1 VIRARE UN’ILLUSTRAZIONE SENZA PHOTOSHOP

Mi sono sempre lasciato affascinare da alcune illustrazioni (img 3e) in cui si percepisce una sensazione cromatica uniforme, in quanto ricordano molto le fo-tografie virate in camera oscura o le odierne manipolazioni fatte in photoshop. Non è difficile ottenere effetti di questo tipo: alla base c ‘è sempre il contrasto simultaneo con quanto detto in precedenza accennando alle aree V1 e V4. Con le conoscenze che abbiamo acquisito ora, forse ci verrà più semplice riuscire a capire come raggiungere questo risultato. Sappiamo che la percezione del colore è frutto del confronto tra locale e globale. In una illustrazione significa che, il cervello confronterà le singole aree con quelle adiacenti, per poi unire tutte le informazioni, generando la sensazione del colore percepito. Quindi, se i colori sono simili tra di loro, verrà aumentata la sensazione complessiva della tonalità principale percependo una velatura cromatica che avvolge ogni singolo elemento presente nella scena. Per cui, in generale, portando i colori della palette cromatica verso la tinta dominante, per effetto del contrasto simultaneo, tutti risulteranno più simili alla tonalità principale che alla loro “reale” colorazione su sfondo neutro. Ricordiamo che, di solito, il colore più luminoso è anche visto come la tinta predominante (qui entrano in gioco anche i discorsi di quantità e qualità che vedremo meglio dopo).L’“influenza simultanea”, inoltre, può essere maggiormente accentuata, o smorzata, aggiungendo una cornice attorno all’illustrazione (img 3d). Un classico esempio, che rientra nel concetto di “influenza cromatica simultanea”, è l’effetto di Bezold (img 3f). Wilhelm von Bezold, meteorologo tedesco, con la passione per i disegni di tappezzeria, scoprì che certi colori forti, se distribuiti equamente, cambiavano interamente l’effetto dei suoi disegni. Durante gli studi affrontati da Albers, uno dei suoi studenti mostrò questo effetto disegnando dei mattoni posati con la calcina bianca e poi con la calcina nera5. L’esito fu che i primi mattoni risultarono molto più chiari rispetto a come si presentavano con la calcina nera, addirittura sembravano più saturi, e la per-cezione di tale differenza veniva incrementata con l’aumentare della distanza dalla quale si osservavano i blocchi di mattoni.

3.4.2 CONTORNI VIBRANTI

Albers trattò già nei sui studi tale fenomeno così interessante. Questo effetto percettivo è una conseguenza biologica della nostra evoluzione. Riuscite a ricordare le “vie del dove” e “del cosa” trattate nei precedenti pa-ragrafi, la prima cieca al colore, che “vede” solo la luminosità, mentre l’altra, più giovane, riesce a “riconoscere” i colori? Le condizioni fondamentali per ottenere questi contorni vibranti rispecchiano il lavoro opposto delle due vie. Di base per ottenere tali effetti è necessario che i colori siano contrastanti nella

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tinta ma vicini o simili per intensità luminosa. Per cui, la “via del cosa” riuscirà a distinguere i due oggetti, mentre la “via del dove”, cieca al colore, percepirà un unico oggetto equiluminoso. Detto ciò, queste informazioni in disaccordo tra loro, saranno percepite da noi sotto forma di contorni vibranti.

3.4.2 CONTORNI SFUMATI

Risulta molto interessante la possibilità di poter far “risuonare” il colore, oltre i confini delimitati dalla forma, fermandoli nell’attimo prima che si possano disperdere nell’area colorata adiacente, come nelle nuvole disegnate nell’illustrazione (img 2i). Ovviamente la possibilità di avere i contorni sfumati è frutto sempre del contrasto simultaneo. Conoscendo come raggiungere questo risultato si può arrivare ad utilizzarlo nelle no-stre illustrazioni per accentuare l’enfasi del racconto visivo.«Quest’effetto è l’opposto del fenomeno dei contorni vibranti e non è possi-bile ottenerlo per mezzo di tinte molto contrastanti. Si limita ai colori adia-centi, vicini, e soprattutto dipende dalla stessa “intensità della luce”. Solo una reale uguaglianza della luminosità oppure un’equivalente uguaglianza dell’oscurità produce l’effetto desiderato»6. Così, Josef Albers spiegava il metodo per creare i contorni sfumati durante le lezioni ai propri allievi.

3.5 L’INFLUENZA AMBIENTALE

Stiamo cercando di capire come sfruttare, a nostro vantaggio, il fenomeno percettivo del contrasto simultaneo. L’unico modo che abbiamo è quello di conoscerlo e sviscerarlo il più possibile nella sua essenza primaria. Questo fenomeno, ovviamente, non finisce quando salviamo il file e siamo pronti per la stampa. Se così fosse, sarebbe una fortuna per coloro i quali de-cidano di fare l’illustratore o lavorare nell’ambito creativo. Avere almeno il dubbio circa il cambiamento dei colori in relazione a ciò che li circonda, e la caducità degli stessi colori dinnanzi alla luce che li colpisce, basterebbe a porsi o a porre alcune domande all’art director o a noi stessi. Quale sarà la destinazione della nostra immagine? Un quotidiano? Una gal-leria? Una commissione avuta da un gestore di un pub, col locale in un posto buio, quindi, poco illuminato? Basterebbe porsi questi semplici quesiti per poi scegliere nel modo più corretto la palette cromatica da utilizzare. Anche se, come ho già detto, definire prima i colori potrebbe aiutare a mantenere invariato il nostro racconto visivo.Sotto un’illuminazione forte i rossi ci appariranno più chiari, perché il la-voro maggiore è svolto dai coni retinici che sono, più sensibili alle maggiori

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lunghezze d’onda. Una luce bassa porta in primo piano i verdi e i blu, facen-doli sembrare anche più chiari, poiché i bastoncelli, anche se non contribui-scono alla visione dei colori, sono molto più sensibili alla luce di lunghezza d’onda corta, per cui percepiremo i colori corrispettivi più biancastri. Per tutte queste ragioni, i colori scelti dall’illustratore o dall’artista non sa-ranno mai quelli che noi vedremo, poiché influenzati sempre dal fattore am-biente. Ricordiamo il caso di molti affreschi medievali, dipinti nel tempo in cui le finestre erano traslucide e avevano una tinta giallastra o verdastra. I colori di suddetti affreschi furono influenzati, in questo caso, dal cambio della tinta della finestra da giallastra ad incolore. Infatti, «quando si guarda sotto il colore di una lampada al tungsteno un dipinto di Monet o di Van Gogh, eseguito in pieno giorno, non si può pretendere di percepire le tinte scelte dall’artista» afferma Rudolf Armhein e continuando dice: «gli artisti del no-stro tempo, i quali affermano che i loro dipinti, eseguiti alla luce elettrica, si possono vedere senza danno alla luce del giorno, implicano che le qualità e i rapporti cromatici non hanno nella loro opera che un’importanza estrema-mente generica»7. Non credo sia il caso di aggiungere altro.Non possiamo disegnare, dipingere o progettare senza tener conto di alcu-ne caratteristiche oggettive legate alla percezione del colore. Questo va ben oltre l’illustrazione. Se un macellaio chiedesse un consiglio ad un amico su quale colore utilizzare per ridipingere le pareti del proprio locale, i presupposti e le regole da tener presente non muterebbero. Se l’amico del macellaio foste proprio voi, quale colore consigliereste? Io un verde chiaro o azzurro chiaro (con luce adeguata). Una disciplina interessante da studiare, utile a noi tutti, è chiamata cromoam-biente, che da circa 30 anni ricerca i nessi tra esperienza di benessere, stress o altro con il colore nell’ambiente. Ciò che vi è alla base di questi studi sono le lunghezze d’onda che influiscono su apparati differenti del nostro corpo. Questo lo vedremo nei prossimi capitoli quando parlerò, ad esempio, del si-stema automatico simpatico e parasimpatico in relazione al rosso e al blu.

3.6 L’IMMAGINE POSTUMA

Ormai siamo tutti consapevoli che, fissando un colore per oltre trenta secondi e spostando la testa altrove, meglio se su sfondo neutro, vedremo un nuo-va immagine, di solito complementare al colore osservato. Questa immagine prende il nome di postuma.È chiaro che anche qui possiamo trovare la causa “dentro di noi”. Questo ef-fetto è semplicemente una reazione fisiologica che avviene nel nostro occhio. I tre tipi di coni, come ben sappiamo, ci permettono di distinguere una infi-nità di colori. Questi coni, infatti, sono sempre attivi, anche quando non ri-cevono alcun segnale (inserto 2_ sensasionecromatica). Essi rimangono sempre come un motore al minimo, pronti a scaricare non appena arrivi un nuovo

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segnale luminoso della giusta ampiezza, per poi ricaricarsi di iodospina.Fissando un’immagine per più di trenta secondi, costringiamo i coni di una certa area retinica, ad emettere sempre lo stesso segnale, senza aver dato loro tempo di rigenerare la iodospina. Fissando subito dopo un altro punto, pro-vochiamo un picco di risposta per tutti e tre i tipi di coni. Ora i gruppi che sono stati interessati di meno all’immagine precedente scaricheranno più vi-vacemente il segnale rispetto ai coni stressati. Questo messaggio sbilanciato inganna le cellule superiori, fornendo una visione di forme e colori dove non c’è proprio nulla di nuovo da vedere8.

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1. Paola Bressan, Il colore della luna, Editori Laterza, 2007 - 2. Rudolf Arnheim, Il potere del centro, Abscondita, 2011 - 3. Josef Albers, Iterazione del colore, Il Saggiatore, 1963 - 4. Giulio Bertagna, Aldo Bottoli, Scienza del colore per il design, Maggioli Editore, 2013 - 5. Josef Albers, Iterazione del colore, Il Saggiatore, 1963 - 6. Ibidem - 7. Rudolf Arnheim, Il potere del centro, Abscondita, 2011 - 8. Giulio Bertagna, Aldo Bottoli, Scienza del colore per il design, Maggioli Editore, 2013

Img 3a.

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Img 3b - “Ingrandimento” dell’imma-gine accanto. Lettura dei confini delle cellule a doppia opponenza.

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Josef Albers

Nacque il 19 marzo 1888 a Bottrop. Dopo aver studiato pittura a Berlino, Essen e Mo-naco di Baviera, nel 1920 entrò nel Bauhaus a Weimar. Nel 1925, quando il Bauhaus si trasferì a Dessau, divenne professore. In quegli anni le sue opere cercano di sovvertire il carattere statico della pittura per mettere in evidenza l’instabilità delle forme; per fare questo Albers ripete modelli geometrici astratti, facendo uso quasi esclusivamente dei colori primari. Nel 1933 il Bauhaus fu costretto a chiudere per cui Albers emigrò negli Stati Uniti, di cui divenne cittadino nel 1939, dove insegnò in Carolina del Nord fino al 1949. Nel 1950 si trasferì a New Haven per insegnare all’Università Yale, ritirandosi dall’insegnamento nel 1958. In questi anni Albers si concentrò su diverse serie di pitture, fatte da disegni geometrici tra loro simili che danno effetti di ambiguità, il cui scopo è di esplorare sistematicamente gli effetti della percezione (la sua serie più nota è “Omaggio al quadrato”). Morì il 26 marzo 1976 lasciando numerosi scritti per i suoi allievi.

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Rudolf Arnheim

Nato a Berlino il 1904 è stato uno scrittore, storico dell’arte e psicologo tedesco. Formatosi alla scuola della Psicologia della Gestalt fondata da Max Wertheimer, Rudolf Arnheim cominciò la propria carriera applicando gli assunti della psicologia sperimentale al cinema. A soli ventitré anni collaborava con il famoso settimanale culturale tedesco «Die Weltbühne». La fuga dai nazisti a causa della sua origine ebraica lo portò, nell’e-state del 1933, a Roma, dove visse per qualche tempo, ma nel 1938 la fuga fu di nuovo obbligata, in seguito all’approvazione delle leggi razziali fasciste. Si rifugiò dapprima a Londra e, nel 1940, a New York, dove incontrò nuovamente il suo maestro Werthei-mer e altri ebrei intellettuali fuggiti dalla Germania nazista. Dopo aver lavorato per la fondazioni Rockefeller e Guggenheim e come ricercatore per l’Office of Radio Research della Columbia University, diventò professore di psicologia dell’arte al Sarah Lawrence College, alla School for Social Research e alla Columbia. Nel 1946 ottenne la cittadi-nanza americana e nel 1954 pubblicò il suo libro più famoso, Arte e percezione visiva (Art and visual perception). Arnheim lasciò New York solo nel 1968 per trasferirsi alla Harvard University. Raggiunta l’età della pensione, nel 1974, sceglierà l’University of Michigan per insegnare psicologia dell’arte per altri dieci anni. Nonostante l’età, sarà questo il suo periodo più produttivo e saranno molti i libri e gli articoli dati alle stampe.Mori nel 2007 a Ann Arbor (Michigan) a 103 anni.

Img 3c.

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Img 3d - Variante dell’originale (imma-gine accanto). Da notare come la cornicie muta la sensazione cromatica generale all’interno della scena.

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Img 3e - Illutrazione di Emiliano Ponzi.

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Img 3f - Effetto di Bezold. L’immagine fu realizzata da uno studente di Josef Albers.

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GIALLO VS VIOLA

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4.1 LO SPETTRO VISIBILE

Lo spettro elettromagnetico comprende tutte le diverse forme di energia elettromagnetica dove, l’unica differenza è la lunghezza d’onda. La misura con la quale viene espressa questa lunghezza è il miliardesimo di metro o il nanometro (nm). Lo spettro visibile è quella parte dello spettro elettroma-gnetico che cade tra i 380 nm e i 700 nm e che induce in noi la sensazione di colore dal violetto al rosso (inserto 2_spettro visibile). Questo è valido per l’essere umano ma non per le altre specie. Le api, ad esempio, sono sensibili solo a quattro colori: Giallo, Verde bluastro, Blu e l’ultravioletto. La perce-zione dei colori delle api è strettamente legata all’impollinazione delle piante con fiori: questi ultimi attirano, con la produzione del nettare, gli insetti che trasportano il polline. Per questo, a differenza dell’essere umano, vedono l’ultravioletto, perché è alla base della loro sopravvivenza. Il nostro motivo, invece, trae origini dai primi antenati. I primi occhi si sono evoluti in animali che vivevano in acque melmose e le radiazioni emesse da quello che noi oggi chiamiamo spettro visibile erano le sole in grado di penetrare nell’acqua1. Nell’epoca odierna, dopo più di cinque miliardi di anni, nonostante la nostra evoluzione, non siamo riusciti ad adattare il nostro apparato visivo ad uno spettro più ampio.

4.2 LA MASSIMA SENSIBILITÀ

Data la grandezza dello spettro elettromagnetico, abbiamo capito di essere quasi ciechi alla luce, vista la piccolissima porzione dello spettro visibile al quale noi siamo sensibili. Diversi studi, inoltre, hanno confermato che non siamo sensibili allo stesso modo a tutte le frequenze dello spettro. Nello sviluppo dei nostri progenitori sono stati fondamentali l’adattamento all’ambiente circostante, per cui per svariati milioni di anni, i nostri primati essendo stati sempre esposti alla luce solare filtrata dalla vegetazione delle fo-reste, sono diventati più sensibili a quel tipo di luce riflessa. È stato osservato che questa luce ha la componente spettrale massima a circa 550 nm2; guarda caso proprio in corrispondenza della massima sensibilità della nostra curva di efficienza visiva (inserto 3_ massimasensibilitàocchio). Questo è un verde, non giallastro, ma potremmo definirlo un verde con particolare attenzione al giallo.Perciò ora siamo a conoscenza della tonalità a cui siamo più sensibili, dove per sensibilità, intendiamo la facoltà di discriminare un numero minore o maggiore di sfumature di un dato colore. Ora dovrebbe sorgervi spontaneo

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un dubbio: i colori sono realmente percepiti allo stesso modo? Le sfumature che scegliamo per diversificare piani, oggetti o soggetti nella scena, sono viste in egual maniera? Un verde e un blu possono essere visti allo stesso modo? Credo che tutti, con assoluta convinzione, possiate rispondere di no. Tale problema fu già affrontato all’inizio del novecento da Albert Munsell, il quale notò che per formare varie sfumature di verde servissero meno gocce rispetto a quelle utilizzate per il rosso. Quanto detto ci inizia a far capire come ciò che Johannes Itten diceva riguardo al giallo e al viola non era un parere soggettivo, ma una considerazione ogget-tiva. Prendendo in esame un giallo, quest’ultimo sarà sempre più luminoso di un viola anche se sono equiluminosi, poiché noi siamo più sensibili alle lunghezze d’onda centrali rispetto agli estremi dello spettro.A queste considerazioni oggettive è importante aggiungere un particolare fe-nomeno percettivo, la legge di Weber-Fechnerche che prende il nome appun-to dai loro scopritori: Ernst Heinrich Weber e Gustav Theodor Fechner. Questi ultimi, con la loro scoperta, aprirono le porte alla psicofisica. Effettuan-do degli esperimenti si poté osservare che, aumentando di una certa quantità il peso di un oggetto tenuto in mano da un uomo, la percezione dell’incre-mento del peso era tanto meno accentuata quanto più pesante era l’oggetto.Per cui se devo tenere in mano cinque chili, l’aggiunta di un altro chilo si fa sentire, ma se devo tenerne cento di chili, l’aggiunta di un altro chilo è molto meno rilevante. Si spiega così anche il perché di giorno non si vedano le stelle. Di notte la luce delle stelle rappresenta un rilevante incremento di intensità su quella del cielo. Di giorno lo stesso incremento, si aggiunge ad una intensità del cielo molto più grande3. Traducendo la Legge, per quel che ci riguarda, la domanda che ci poniamo è: come è possibile produrre una progressione visivamente regolare? La risposta a questo quesito, formulata mediante la Legge Weber-Fechner, è: la percezione visiva di una progressione aritmetica è prodotta da una progressione geometrica fisica. La variazione di luminosità, saturazione o tinta deve esser data, infatti, secondo una progressione geome-trica. Se i primi due livelli misurano rispettivamente di una e due unità, allora il terzo livello non avrà solo un’unità in più (cioè tre in una proporzione arit-metica), ma sarà due volte tanto (cioè quattro in una proporzione geometrica)4. Con questa progressione, ora, riusciremo a percepire le variazioni cromatiche degli elementi, in modo tale che il rapporto tra un elemento ed il suo preceden-te sarà sempre costante. Vedendo lo schema ( img 4a) tutto risulta più chiaro.

4.3 EFFETTO DI PURKINJE

La consapevolezza di ciò che stiamo facendo non è cosa da poco, soprattutto quando ci ritroviamo di fronte un cliente e non possiamo commettere errori.Con i paragrafi precedenti ho cercato di farvi capire che la scelta del colore non è una questione puramente artistica. Non può bastare l’intuito. Il bello è

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ciò che viene dopo il funzionale, come direbbe qualcuno, per cui dobbiamo cercare di avere una visione più oggettiva possibile del colore così da raggiun-gere il bello, o meglio ancora, l’armonia in ogni occasione. Cosa cerco di dire? Precedentemente ho parlato di quanto sia importante, ai fini di un buon lavoro, fare delle scelte in relazione al destinatario finale, al supporto dove verrà stampata l’illustrazione e alla location di esposizione. Questo perché i colori interagiscono con ciò che sta attorno ad essi, ad esempio, con la luce che li illumina. Per chiarire ancor meglio questo concetto faccio un esempio. Se un lavoro, ipoteticamente, dovesse essere visto maggiormente con forte illuminazione, dovrò sapere che i rossi saranno sempre più intensi, rispet-to ai blu. Questo ci spingerà ad adoperare nell’illustrazione maggiormente tonalità tendenti al rosso. Al contrario, al diminuire dell’intensità luminosa, quando iniziano a far il loro ingresso i bastoncelli, la situazione si inverte: i blu, come i verdi, saranno più luminosi del rosso che, con forte illuminazio-ne, è stato più intenso. Ritengo che queste conoscenze siano indispensabili in un mondo in cui si lavora solo con l’intuito. L’armonia parte anche da qui. Ogni situazione ha il colore più appropriato e dovremmo essere in grado di saperlo scegliere in ogni occasione.Questo effetto percettivo, conosciuto come effetto Purkinje, prende il nome dal suo scopritore, l’anatomista e fisiologo Jan Evangelista Purkyn ě che nel 1919 descrisse per la prima volta questo effetto. Cerchiamo di capire meglio cosa succede.La curva di sensibilità dei bastoncelli, che si attivano nella visione scotopica, ha il suo picco di sensibilità spettrale intorno ai 510 nm. La sua curva è anche più ristretta rispetto a quella dei coni; per lunghezze maggiori a 610 nm e in-feriori a 400 nm l’efficacia è circa pari a zero. Ragion per cui, il viola, il giallo-arancio, l’arancione e il rosso verranno percepiti più scuri tendenti al nero. Mentre per i coni, nella visione fotopica, la situazione è diversa. Innanzitutto la curva di sensibilità è più ampia, va dai 400 nm circa, fino ad arrivare intor-no ai 660 nm con il picco di sensibilità massima intorno alla lunghezza d’on-da di 555 nm. Per cui i coni hanno la massima sensibilità nel verde giallastro, infatti questa è per noi il colore più chiaro (inserto 3_ massimasensibilitàocchio), mentre i bastoncelli hanno il loro massimo nel verde bluastro. Questa tinta è quella che di notte noi percepiamo come grigio più chiaro. L’effetto di Purkyne esiste proprio perché vi è uno scarto differenziale di sensibilità tra le due curve. Per cui nel passaggio dal giorno alla notte, o al tramonto, quando siamo cioè nella visione mesoscopica (passaggio dalla visione fotopica alla visione scotopica), man mano che la quantità di luce diminuisce i coni contribuiscono sempre meno al segnale visivo mentre i ba-stoncelli sempre di più. La curva di sensibilità, così, si sposterà lentamente da quella dei coni a quella dei bastoncelli (inserto 3_sensibilitàconibastoncelli).Lo spostarsi della curva di sensibilità porta con sé un continuo mutamen-to nella percezione dei colori. I colori che di giorno risultano molto chiari (tutta la gamma dei gialli e arancioni) lentamente diventano scuri e quelli che percepiamo scuri (verdi freddi e azzurri) diventano più chiari.5 Ecco perché quel maglione arancione, di cui abbiamo parlato nelle prime pagine,

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al mattino sarà sempre riconosciuto come tale a qualsiasi distanza, rispetto a un maglione azzurro, che dopo una determinata distanza ci sembrerà nero.La scelta dei colori deve essere necessariamente funzionale anche a ciò che viene dopo la stampa del file, per cui, conoscendo le caratteristiche fisiolo-giche del nostro occhio, ora, potremmo capire quando escludere un colore dalla nostra palette, quando conviene aumentarne la luminosità di alcuni colori o addirittura riuscire a creare situazioni in cui i colori dal mattino alla sera siano in continuo mutamento. Immaginate di avere dinnanzi a voi un illustrazione di un prato di papaveri incorniciata vicino alla finestra in una casa di campagna. Al mattino i papa-veri brilleranno di un rosso molto intenso e il prato sarà di un verde scuro, ma poi con il calar della sera (al tramonto/visione mesoscopica), il prato diventerà verde bluastro più chiaro di quei tulipani diventati di un rosso bluastro scuro, quasi violaceo. Poi terminato il tramonto, alla sera, ciò che all’inizio era chiaro sarà diventato scuro e ciò che era scuro sarà diventato chiaro, e vedremo il prato di un grigio chiaro mentre i petali di un grigio scuro quasi nero.Forse in un corso di cromatologia la necessità di un ammodernamento dei concetti, oggi, è d’obbligo.

4.4 EFFETTO HELMHOLTZ-KOHLRAUSCH

Si sa che i colori che percepiamo sono infiniti rispetto a quelli che possiamo vedere a monitor, e ancora meno saranno i colori stampabili. Ci capita spesso che, volendo aumentare la luminosità di alcuni colori, que-sti risultino fuori gamut, e siamo costretti a riposizionare i parametri ai va-lori di partenza. Ma c’è una soluzione a questo problema, ciò che è stato chiamato effetto Helmholtz-Kohlrausch (comunemente chiamato effetto HK) dal nome dei suoi scopritori. È stato studiato che, a parità di luce riflessa di un oggetto, uno stimolo apparirà più luminoso quanto più questo sarà saturo6 (img 4b). Le tinte più colpite da questo effetto sono il blu, il viola, il magenta e il rosso, mentre le meno soggette a questo effetto, sono le tinte del verde, giallo e arancio.

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1. Paola Bressan, Il colore della luna, Editori Laterza, 2007 - 2. Giulio Bertagna, Aldo Bottoli, Scienza del colore per il design, Maggioli Editore, 2013 - 3. Mauro Boscarol Web, Storia della scienza del colore, Ernst Heinrich Weber - 4. Josef Albers, Iterazione del colore, Il Saggiatore, 1963 - 5. www.ncscolour.it/pdf/icoloridelcrepuscolo.pdf - 6. Mauro Boscarol Web, Fenomeni della percezione di colore, Effetto Helmholtz-Kohlrausch.

Img 4a - Rapporto geometrico, fenome-no psichico.

Img 4a - Rapporto artitmetico, feno-meno fisico.

Img 4a - Rapporto artitmetico, fenome-no psichico.

Img 4a - Rapporto geometrico, fenome-no fisico.

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Johannes Itten

Nato a Südernlinden, nel 1888 fu un pittore svizzero, fra le massime personalità della storia dell’arte moderna per l’importanza dell’opera didattica e dell’attività pittorica svolte in piena sintonia col Bauhaus. I suoi insegnamenti sull’educazione della fantasia individuale, sulla conoscenza della forma e del colore sono alla base di nuove possibilità tecniche espressive e di nuovi valori estetici da esse scaturiti. Inoltre la sua opera fu tesa alla ricerca dei rapporti e delle leggi comuni che governano pittura e musica.Allievo di Adolf Hölzel all’accademia di Stoccarda, nel 1919 fu invitato da W. Gropius a insegnare al Bauhaus, dove rimase fino al 1923 come docente nei settori della grafica, del mobilio, della pittura murale, della decorazione tessile. Fu anche autore di testi teorici, tra cui si ricordano Kunst der Farbe (L’arte del colore, 1961) e Mein Vorkurs am Bauhaus (Il mio corso preparatorio al Bauhaus, 1963). Morì a Zurigo 1967.

Img 4b.

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PROFONDITa DEL COLORE

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5.1 INTRODUZIONE

Stiamo cercando in queste pagine di eliminare quello che è, dal mio punto di vista, il problema più grande dell’approccio al colore, ovvero la sua vulnera-bilità, le troppe variabili da gestire senza avere delle certezze a cui aggrap-parsi. Come abbiamo visto la realtà è ben diversa, se le affianchiamo alcune considerazioni che le recenti scoperte in campo neuroscientifico, psicofisico e di altre materie scientifiche hanno fatto durante il corso di questi ultimi anni. Avendo consapevolezza delle proprietà del colore si darà dignità al nostro lavoro. Sarà, infatti, possibile motivare le nostre scelte cromatiche e definire il motivo di determinate palette colori rispetto ad altre. Lo studio del colore non è solo materia dello spirito ma è in primis materia scientifica. La creatività non significa non avere regole. Se alcuni di noi, infatti, si de-finiscono “creativi” questo non vuol dire non avere metodo, ma coniugare la creatività al sapere scientifico. Lo stesso Munari diceva: «Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo»1.

5.2 IL QUADRATO BIANCO

«Un oggetto scuro appare più piccolo di uno chiaro della stessa grandezza»così Goethe introduce, nella sua Teoria dei colori, l’argomento delle immagini bianche rispetto ad altre nere. Continuando afferma: «Si osservino contem-poraneamente, da una certa distanza, un cerchio bianco su sfondo nero, e un cerchio nero su fondo bianco – ritagliati seguendo il segno del compas-so – e si riterrà il secondo di circa un quinto più piccolo rispetto al primo. Ingrandendo l’immagine nera di altrettanto, le due immagini appariranno uguali». Quindi già Goethe aveva ben chiaro questo effetto percettivo e in un certo senso, con la sua vena romantica, era riuscito ad avvicinarsi alla base del fenomeno fisiologico: «Il nero, come rappresentante dell’oscurità, lascia l’occhio in condizione di quiete; mentre il bianco, come rappresentante del-la luce, lo pone in attività»2. Tralasciando gli altri discorsi successivi, quanto affermato da Goethe, può essere considerato come vero. L’analisi delle curve di sensibilità dei coni in relazione a diversi stimoli ci permette di confermare scientificamente quanto detto sopra (inserto 3_sensibilitàconibastoncelli). Ma ca-piamo meglio il fenomeno.Generalizzando, un oggetto bianco, o più chiaro, ci sembra più vicino di un oggetto nero, o più scuro, di pari dimensioni e a pari distanza, per cui biso-

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gna ingrandirlo leggermente per percepirlo di ugual grandezza. Ma perché, percettivamente, è riscontrabile questo fenomeno?Sappiamo che la sensazione di bianco viene fuori quando tutti i tre tipi di coni vengono attivati, mentre se percepiamo il nero i coni rimangono, come già detto, al minimo, quasi silenti (inserto 3_sensibilitàconibastoncelli).Durante la nostra evoluzione ci siamo sviluppati secondo il principio per cui maggiore è lo stimolo visivo, maggiori saranno le possibilità che dato stimolo sia più vicino a noi. La grandezza di uno stimolo viene misurata dal nostro cervello in base alla quantità di neuroni che vengono attivati e alla loro ampiezza di attivazione. Per cui probabilmente il cervello tramite queste operazioni arriva alla definizione spaziale. Quindi, osservando due oggetti di pari dimensione, uno bianco e uno nero, il primo ci sembrerà più grande del secondo. Questo perché, non avendo altre informazioni per de-finire la reale dimensioni degli oggetti, il cervello considera di dimensioni maggiori ciò che sembra più vicino in quanto induce maggiori attivazioni.Nella spiegazione di questo fenomeno, risulta quindi chiaro come mai per gli spazi piccoli si consigliano colori chiari e luminosi, proprio perché ven-gono percepiti come più grandi.Tali informazioni possono essere generalizzate, in quanto il principio fonda-mentale non cambia. Per cui un illustratore, un progettista o pittore che sia, può tranquillamente, conoscendo le regole che sottendono questo fenome-no, utilizzarlo a proprio piacimento diventando lui padrone di una costante che inizialmente veniva considerata una variabile. Vedremo nei prossimi paragrafi il perché un rosso è sempre più grande di un blu e il perché Kan-dinskij, grande mastro del colore, aveva ragione affermando: «il colore cal-do muove verso lo spettatore quello freddo se ne allontana»3.

5.3 I COLORI CALDI SEMBRANO AVVICINARSI

Molte delle riflessioni oggetto delle nostre discussioni sono state già argo-mentate in passato dai grandi maestri che si sono occupati del colore. Le loro osservazioni si soffermavano, ovviamente, solo su considerazioni fatte in base a ciò che vedevano, ma questo non è certo poco. Ciò ha permesso ai professionisti di partire da casi pratici per arrivare a capire i fenomeni che chiariscono la visione del colore, dando modo a chiunque, di poter accedere a dei concetti applicabili nei diversi settori. E’ chiaro ormai che, alcune delle mie considerazioni si riferiscono soprattut-to a chi nella vita vorrebbe fare l’illustratore; ma il colore è un argomento così ampio, che abbraccia tantissime categorie, dando modo così di poter applicare le nostre considerazioni a qualsiasi progetto che ci ritroveremo ad affrontare giornalmente.Kandinskij, spesso, ha sottolineato come i colori caldi tendevano ad avvici-narsi all’osservatore rispetto ai colori freddi. La sua non era una considera-

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zione soggettiva, anzi ha forti basi solide nella fisica della luce e nella fisio-logia dell’occhio. Questo conferma quanto detto dal neuroscienziato Semir Zeki, il quale considerava gli artisti come i primi neuroscienziati che, spinti da moti interiori, rispondevano semplicemente alle direttive del cervello4.In parte, per spiegare questo fenomeno, ci riferiamo al capitolo precedente: più il colore di un oggetto è chiaro e luminoso (ricordando che le curve di sensibilità dei coni e bastoncelli influiscono in questo discorso, attivando maggiormente il lavoro neuronale da parte del cervello), maggiore saranno le probabilità che questo venga visto come più vicino e quindi di conseguen-za più grande. A tale fenomeno si aggiunge la diversa rifrazione delle onde elettromagne-tiche. La rifrazione è la deviazione subita da un’onda quando questa passa da un mezzo ad un altro nel quale la sua velocità di propagazione cambia5. Le radiazioni di lunghezza d’onda lunga, come quelle che danno la sensa-zione del rosso, e più in generale la sensazione dei colori caldi, vengono rifratte diversamente dal sistema ottico dell’occhio, rispetto alle radiazioni di lunghezza d’onda corta (i blu e i colori freddi). Le seconde vengono mag-giormente rifratte rispetto alle prime, per cui si crea «un effetto prismatico» per cui le immagini, nei nostri occhi, si formeranno con «disparità diverse». Per dirla in altre parole, nel flusso continuo dell’onda elettromagnetica, le onde che inducono in noi la sensazione dei rossi verranno viste un momen-to prima, perché colpiranno prima la retina, per cui il cervello percepirà questo “difetto di fabbrica” come un’informazione spaziale, traducendo il segnale della percezione dell’oggetto rosso come più vicino e di conseguen-za più grande di uno blu. Quindi come nelle più rispettose reflex, anche il nostro apparato ottico ha problemi di abberrazione cromatica. Si tratta di un vero effetto «stereoscopico binoculare», dicono gli studiosi Lamberto Maffei e Adriana Fiorentini «per cui oggetti rossi possono apparire più vicini di una superficie blu»6. Queste scoperte sono importantissime per chi giornal-mente fa scelte cromatiche per i propri lavori, sono utili a definire meglio le profondità spaziali nella scena, il racconto visivo e a dire al lettore su quale parte della scena focalizzarsi. Ricordate quando all’inizio parlavamo di as-secondare le saccadi?Secondo voi, nel quadro di Andrè Derain, Barche nel porto di Collioure (img 5a) il pittore sceglie casualmente il rapporto cromatico dell’arancio in primo piano e del giallo/bianco sullo sfondo? Io credo sia la scelta più coerente a supporto delle riflessioni fatte in questi paragrafi. L’arancio, in primo piano è fortemente preponderante e ci spinge quasi fuori dall’immagine, per cui sullo sfondo subentra la necessità di avere un colore che riporti l’attenzione su tutta la scena, che quindi ancori il quadro al centro. Come dire, neuro-logicamente parlando, vi è il bisogno di aggiungere un elemento cromatico al fine di aumentare l’attività dei coni, in modo da riequilibrare la scena visiva. Sappiamo che il giallo è fortemente luminoso, tenendo conto che sarà influenzato dalle macchie bianche, sicuramente più dell’arancio in primo piano; per cui il giallo sullo sfondo, riuscirà da solo a bilanciare la mac-chia arancione. Centrando l’attenzione sul giallo, il pittore, inoltre, riesce ad

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accrescere la grandezza del lago, proprio perché i due piani, sfondo giallo e soggetto arancione, sono stati ben scelti.Capiamo bene come lo studio delle caratteristiche fisiche e fisiologiche della luce e del nostro occhio, sia necessario per riuscire a prevedere le sensazioni percettive che, da alcune scelte cromatiche, potranno scaturire nel nostro fruitore. È la consapevolezza di questi attributi oggettivi che ci permette di creare nell’in-sieme una scena equilibrata, dove tutti i tasselli sono al loro posto, dove nulla rimane in sospeso e dove tutto è ben definito. Scegliere una palette colori da Ku-ler, cosiddetta armonica, senza conoscere le caratteristiche di base che i colori si portano dietro, non ci aiuta di sicuro, né a crescere professionalmente, né a rispar-miare tempo nella fase di colorazione e né a ricreare la tanto sperata armonia.

5.4 Il SISTEMA NERVOSO AUTOMATICO

Nel nostro viaggio, alla ricerca del perché alcuni colori rispetto ad altri ci sem-brano più grandi e/o più vicini, risulta necessario capire il ruolo del sistema nervoso automatico (SNA) e delle sue implicazioni in questi fenomeni.Questo si occupa del controllo delle funzioni vegetative, ossia quelle fun-zioni che sono di solito al di fuori del controllo volontario. Questo sistema è composto da 3 diverse parti che lavorano in modo sinergico: il sistema nervoso enterico, il sistema nervoso simpatico e il sistema nervoso parasim-patico. È stato visto come gli ultimi due sistemi abbiano probabilmente un ruolo all’interno della percezione della profondità del colore.Studi recenti hanno notato come colori a bassa frequenza come il rosso e l’arancione, attivando maggiormente il sottosistema simpatico, inducano una situazione neurovegetativa generale di attenzione, prontezza di allar-me e preallarme. I colori ad alta frequenza, invece, attivando il sottosistema parasimpatico abbassano i livelli di guardia, inducendo una sensazione di tranquillità fisiologica. Per cui il cervello, per lo stesso motivo del quadrato bianco più grande del quadrato nero, di un oggetto rosso (o di frequenza più bassa/colori più caldi) più vicino di uno blu (o di frequenza più alta/colori freddi), in mancanza di altri dati, nel suo lavoro di confronto tra i due oggetti, considera più vicino l’elemento che attiva maggiormente i meccani-smi di difesa. E’ chiaro come questo metodo, nel percorso dell’evoluzione, abbia permesso ai nostri antenati di sopravvivere e proteggere la specie.A conferma della teoria del cervello si aggiunge un altro elemento fisiologi-co: l’accomodazione del nostro occhio. Questa ci permette di vedere sempre a fuoco gli oggetti che abbiamo dinanzi a noi e a meno di sei metri il cristal-lino deve aumentare la propria convessità affinché tali elementi rimangano sempre a fuoco.Come in tutte le lenti semplici, le lunghezze d’onda lunghe, come abbiamo già detto, saranno rifratte di meno rispetto alle lunghezze d’onda corte, per cui occorre una maggiore accomodazione per mettere a fuoco un oggetto

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rosso rispetto ad uno blu. Mentre, sempre a distanze inferiori a sei metri, un oggetto verde, data la sua modesta richiesta di accomodazione, risulta il più riposante dato il minor sforzo dei muscoli ciliari.Per cui l’attivazione dei meccanismi di difesa, sommata alla forte accomo-dazione del cristallino, porta il nostro cervello a credere che quell’oggetto rosso sia più vicino dell’oggetto blu, confermando ancora una volta il pen-siero di Kandinskij: «il colore caldo muove verso lo spettatore quello freddo se ne allontana».

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1. Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, Editori Laterza, 1996 - 2. Johann Wolfgang Goethe, La teoria diei colori, Il Sag-giatore, 1993 - 3. Wassily KandinskyLo spirituale nell’arte, Se, 2005 - 4. Semir Zeki, La visione dall’interno, Bollati Boringhieri, 1999 - 5. it.wikipedia.org/wiki/Rifrazione - 6. Lanberto Maffei, Adriana Fiorentini, Arte e cervello, Saggi Zanichelli, 2008.

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Img 5a - Andrè Derain, Barche nel porto di Collioure.

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Equilibri

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Equilibri

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6.1 INTRODUZIONE

Stiamo cercando di capire, entrando sempre di più in argomenti specifici, come il frutto dell’armonia cromatica all’interno della scena non sia solo il risultato di una palette accattivante. Tutti i servizi online che offrono la possibilità di avere palette perfette, già pronte per l’uso, risultano inutili, poiché manca la base teorica con la quale in seguito poter applicare quei colori all’interno della scena. Non considerando il fatto che, uno studio ap-profondito della materia, ci possa dare tutte le competenze per realizzare da sé una palette cromatica interessante.Chi crede di riuscire a utilizzare il colore liberandolo dalla forma, deve tornare su i suoi passi. Finché il nostro cervello continuerà a ragionare per contrasti, e quindi tramite l’integrazione dei bordi, tutti gli sforzi fatti, e quelli che si faranno, comunque risulteranno inutili, a meno che il cervello non trovi un altro modo per raggiungere la visione del mondo circostante. Tuttavia, pur non essendo un esperto della materia, lo ritengo impossibile almeno per i prossimi seimila anni.Per cui è opportuno studiare alcuni principi generali legati alla forma e all’ambiente in cui siamo cresciuti, utili sicuramente a gestire meglio le mac-chie di colore all’interno delle nostre immagini.

6.2 LA FORZA DI GRAVITÀ

Ogni elemento all’interno della scena è in relazione al centro della scena stessa, e in relazione ad esso, può tendere verso l’alto o verso il basso.Un tale effetto, che il cervello ritiene spiacevole, è prodotto quando l’oggetto colorato si trova in una posizione ambigua, non definita chiaramente, quan-do “sembra stare poco più in alto o poco più in basso”. Abbiamo già spiegato come il cervello non ami il forse o il quasi, ovvero le mezze misure; la sua organizzazione si avvicina maggiormente al concetto di vero o falso. Insomma, il cervello non ammette l’incertezza.Questi elementi, quando osserviamo la scena, hanno un’importanza fonda-mentale favorendo il concetto di armonia e dando modo all’osservatore di sentirsi più a suo agio durante la visione dell’immagine.Per il fisico, un oggetto è in equilibrio quando tutte le forze che agiscono su di esso si bilanciano; per un illustratore o un grafico sussiste lo stesso ragio-namento, ma percettivamente il risultato è differente.

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A conferma di ciò lo psicologo tedesco Rudolf Armhein afferma che: «noi, per equilibrio intendiamo la condizione distributiva nella quale ogni cosa raggiunge l’immobilità»1. Bisogna arrivare, come dice lo stesso psicologo, alla condizione di necessità dove ogni oggetto presente è indispensabile alla scena.Due elementi che ci aiutano a raggiungere l’equilibrio all’interno dell’imma-gine sono il peso e la direzione.Per quanto riguarda il peso, noi viviamo in uno spazio anisotropo, per la presenza della forza di gravità. Uno spazio anisotropo in fisica è uno spazio non omogeneo dovuto alla forza di gravità, che da sempre, ci attira verso il basso, per cui questo fa sì che la verticale sia una direzione privilegiata nelle nostre percezioni.Ad esempio, due linee equidistanti dal centro, che partendo da esso si dirigo-no in senso opposto, verso l’alto e verso il basso, saranno percepite di misura diversa. Perciò, avendo conoscenza di questo effetto, andremo a ridimensio-nare l’altezza della linea superiore per bilanciare percettivamente le due linee. In fisica, quindi, gravità e peso coincidono, mentre dal punto di vista per-cettivo divergono. Dal punto di vista percettivo noi imputiamo il peso all’oggetto non alla forza di gravità, per cui è l’oggetto che, attratto verso il basso, impiegherà una forza maggiore per arrivare nella parte superiore della scena. Questo perché dal punto di vista fisico, allontanarsi dal centro significa mettere in moto una forza maggiore, un’energia superiore. Dato che, percettivamente, un oggetto in alto avrà un peso maggiore rispetto ad uno collocato in basso, la conseguenza sarà che, in verticale, un elemento nella parte superiore dell’immagine, per essere bilanciato col suo avversario in basso, dovrà essere più leggero. Ovviamente ci stiamo riferendo ad oggetti che hanno stessa forma, colore e dimensione, perché è chiaro che ognuno di questi elementi può incidere e variare la situazione di equilibrio.Ad esempio una macchia rossa, avrà un peso maggiore rispetto ad una blu e generalizzando i colori chiari hanno peso maggiore di quelli scuri; il motivo è stato largamente spiegato nelle pagine precedenti. Quindi ogni minima variazione implica un peso diverso nella scena e nuovi elementi da bilanciare.

6.3 IL PESO CULTURALE: LA SINISTRA E LA DESTRA

A sbilanciare la scena, oltre all’anisotropia spaziale dovuta alla forza di gra-vità, contribuisce anche l’asimmetria laterale, che questa volta, non è dovuta ad una forza fisica, ma più ad una deformazione culturale. L’asimmetria laterale si manifesta nella distribuzione irregolare del peso sull’asse verticale da destra a sinistra. Lo storico dell’arte Heinrich Wölf-flin notò che i dipinti, nella loro visione speculare, perdevano di significato. Questo perché le immagini vengono lette da sinistra verso destra, proprio come da sempre siamo abituati a leggere. Inoltre notò come la direzione

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della diagonale che va dal basso a sinistra in alto a destra è vista come ascen-dente, mentre la sua opposta come discendente. Qualsiasi oggetto sulla destra della scena ha un peso visivo maggiore; risul-tando, dunque, più appariscente. Ne abbiamo conferma osservando due oggetti di ugual forma, misura e peso, posti a sinistra e a destra del campo visivo: quello di destra appare più grande, per cui per bilanciare la scena, e far apparire l’altro elemento uguale a quello di destra, l’oggetto a sinistra andrebbe ingrandito. Inoltre, poiché l’immagine si legge da sinistra a destra, il movimento di un oggetto verso destra si percepisce più agiato, mentre al contrario un elemento che attraversa la scena da destra verso sinistra ci apparirà come una persona che attraversa una strada con forte vento contrario. Sembra debba superare una resistenza maggiore per cui procede più lentamente2.

6.4 CONTRASTO DI QUANTITÀ

Johannes Itten, uomo che dedicò un’intera vita allo studio del colore, nel suo libro Arte del colore parlerà di contrasti tra colori. Precisamente di sette tipi: contrasto di colori puri, contrasto di chiaro e scuro, contrasto di freddo e cal-do, contrasto di simultaneità, contrasto di qualità e contrasto di quantità3. Vorrei soffermarmi proprio su quest’ultimo, perché lo ritengo il primo dei contrasti che andrebbe studiato alla base dell’equilibrio nella scena e di conse-guenza della nostra armonia.Ci riferiamo alla reale quantità di colore all’interno della scena, immaginando di considerare ogni elemento, non nel suo aspetto formale, ma come macchie all’interno di un quadro astratto di Pollock. Due sono i fattori che determinano l’effetto di tale contrasto: l’intensità del colore e la dimensione della macchia colorata. Questo ragionamento sul contrasto di quantità (img 2f), dal quale Itten ha ri-preso gran parte delle considerazioni, venne avviato da Goethe che ne stabilì una scala numerica di valori di luminosità4. Questa si basava sulla percezione dell’occhio e sulla pratica del lavoro giornaliero e, seppure nessuno ci può confermare le quantità precise, anche gli studi di fisiologia e fisica che ab-biamo visto nelle pagine precedenti confermano in parte i rapporti teorici di Goethe (schema 6a). Per trasformare tali valori numerici in valori armonici, bisognerà infine invertire i rapporti numerici. Si confermano così tutti i ra-gionamenti fatti nelle pagine precedenti (schema 6b). La visione dei colori è unica e risponde alle leggi con cui l’apparato occhio/cervello si è evoluto. Questi rapporti risultano confermati solo quando si lavora con colori al loro massimo grado di intensità.

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1. Rudolf Arnheim, Il potere del centro, Abscondita, 2011 - 2. Ibidem - 3. Johannes Itten, Arte del colore, Il Saggiatore, 1979 - 4. Johann Wolfgang Goethe, La teoria diei colori, Il Saggiatore, 1993.

Johann Wolfgang von Goethe

Poeta e scrittore tedesco, nasce a Francoforte Sul Meno il 28 agosto 1749 da un’agiata famiglia borghese di un consigliere imperiale. Il padre era un giurista e Johann Wolfgang studia giusrisprudenza prima all’Università di Lipsia e poi a quella di Strasburgo. Qui frequenta anche gli ambienti medici e segue lezioni di anatomia e di chimica. Nel 1774 pubblica Die Leiden des jungen Werthers (I dolori del giovane Werther) che gli porta grande fama come scrittore. È stato un gigante della letteratura tedesca e mondiale ma è noto anche per le sue ricerche nel campo della morfologia botanica e anatomica, basate sull’idea della natura unica e indivisibile. Una concezione idealistica che applicò ad alcune indagini, la scoperta dell’osso intermascellare nell’uomo, la teoria vertebrale del cranio, la metamorfosi delle piante e infine la Farbenlehre, la teoria dei colori.Sul colore, la posizione di Goethe e dei suoi “discepoli” Runge e Schopenhauer è ispirata dall’ellenismo classico e dal romanticismo. Si può dire che, da un punto di vista scientifico, sia una posizione reazionaria. Era il momento in cui nei paesi di lingua tedesca le idee della rivoluzione scientifica venivano rifiutate e si preferiva la celebrazione dell’antica Grecia e delle proprie origini mitiche.Goethe era convinto che la teoria dei colori fosse il suo maggior contributo alla scienza e la più importante delle proprie opere, ma secondo il giudizio degli scienziati, di oggi ma già del suo tempo (per esempio Helmholtz), anche se conteneva idee e spunti inte-ressanti, nella sua parte principale la teoria è errata. Mori a Weimar, il 22 marzo 1832.

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rosso

rosso

arancio

arancio

giallo

giallo

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viola

viola

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blu

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verde

verde

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6

schema 6a.

schema 6b.

giallo:viola arancio:blurosso:verde

giallo:viola arancio:blurosso:verde

= 9:3 = 3:1 = 3/4:1/4= 8:4 = 2:1 = 2/3:1/3= 6:6 = 1:1 = 1/2:1/2

1/4:3/41/3:2/31/2:1/2

(rapporti inverti)

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RICONOSCERE UN COLORE

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RICONOSCERE UN COLORE

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7.1 I DODICI COLORI DEL CERCHIO

Diventa sempre più chiaro come il discorso sull’armonia sia più complicato di quello ad esempio musicale, dove ci sono delle regole precise da seguire. Il colore ha bisogno di uno studio ramificato per avere in mano più stru-menti possibili che ci permettano di capire dove possa essere il problema mentre ci ritroviamo ad osservare una nostra illustrazione. In un corso di cromatologia per l’illustrazione è fondamentale capire come imparare a riconoscere un colore, anche se questo metodo è più affine, forse, al mondo della pittura. Imbattendoci nell’osservazione di un’immagine, dobbiamo essere subito in grado di capire le tinte di base, gli schemi utilizzati e di riuscire a leggere i valori dei colori, nel senso più pittorico del termine. Questo sarà il metodo più giusto da seguire, dal mio punto di vista, per accrescere in noi lo spirito critico che ci permetterà di non ispirarci più a nessuno.Abbiamo più volte parlato dell’infinità dei colori, ma questo è corretto solo in parte. In realtà, i colori identificabili sono dodici, e da questi, attraver-so le loro diverse proprietà, quali la tinta, la saturazione e la luminosità, si diversificano in una quantità infinità di colori. Se ci fate caso, infatti, ogni colore che osservate è riconducibile a uno dei dodici all’interno del cerchio cromatico. Per cui l’infinità di colori di cui parlavamo non è attribuibile al mondo reale. Tale considerazione, ora, ci permette di avvicinarci allo studio della materia con più facilità, poiché i grandi numeri spaventano chiunque. Altra considerazione riguarda il perché il cerchio cromatico abbia quei co-lori e non altri. Se guardate lo spettro visibile, e riuscite a immaginarlo racchiuso in una forma circolare, non rispecchia il cerchio cromatico? Inoltre spiegare che il complementare di un colore è quello diametralmente opposto all’interno del cerchio non vi sembra troppo riduttivo? Dopo esser arrivati fin qui con la lettura, è chiaro il motivo per cui viviamo in un mondo che ragiona in quest’ottica; l’organizzazione complementare è parte dal nostro cervello. Ci rendiamo conto, così, che i nostri schemi cro-matici, le divisioni complementari, sono valide solo per noi e per nessun altro, perché essendo frutto dell’organizzazione del nostro cervello, questi varieranno a seconda dell’essere vivente. Il cerchio cromatico di un’ape sarà sicuramente diverso dal nostro, non vi pare? Per cui spiegare il concetto di complementarietà diventa molto riduttivo, se si escludono i meccanismi a doppia opponenza che vi sono alla base della percezione del colore, come sottolinea anche lo stesso Riccardo Falcinelli nel suo libro1.

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7.2 TINTA, SATURAZIONE E LUMINOSITÀ

Hermann Günther Grassmann nel 1853, in pieno fermento storico per le nuove ricerche sulla colorimetria moderna, pubblica un famoso articolo sul-la teoria della mescolanza dei colori. Per spiegare rigorosamente, all’interno della sua teoria, che le coppie di complementari potessero essere infinite formula quattro postulati. La prima legge, che ci interessa maggiormente sottolineare, recitava così: «Una sensazione di colore è completamente specificata da tre grandezze: la tinta, la brillanza del colore e la brillanza del bianco»2.Questa osservazione è puramente percettiva e, come vedremo nel prossimo capitolo, è alla base del sistema HSB presente in illustrator. Grassmann con questo postulato afferma che, quando ognuno di noi osserva un colore rie-sce a definirne tre attributi: la tinta, ciò che è per noi il colore di un oggetto, la brillanza del colore, chiamata comunemente saturazione o pienezza, (l’at-tributo della percezione di colore secondo il quale un’area appare esibire una quantità maggiore o minore di tinta), e infine, la brillanza del bianco, ovvero la chiarezza, l’attributo di una sensazione visiva secondo la quale un’area appare esibire più o meno luce3. Per cui, ogni colore che vediamo è frutto di questi tre valori e per riconoscer-lo bisogna riuscire a distinguere i suoi tre attributi. Primo step: riconoscere la tinta. Per identificare la tinta risulta indispensa-bile avere come ausilio il cerchio cromatico. Come abbiamo già detto, non esistono infiniti colori, ma al massimo diverse sfumature dello stesso. Per cui, ora, è necessario ricondurre la tinta presa in esame a quella del cerchio. Betty Edwars, pittrice, scrittrice e insegnante, consiglia di trasformare il vo-stro cerchio cromatico in un orologio, così da avere in mente uno schema più familiare in modo da ricordare la disposizione dei colori, affinché il sud-detto cerchio ci aiuti a districarci tra i vari schemi colore4. Successivamente abbandoneremo questi mezzi perché il tutto diventerà più naturale.Definita la tinta di base all’interno del cerchio cromatico, si passerà alla fase più complessa, ossia identificare luminosità e saturazione. Dico complessa poiché siamo meno abituati a soffermarci sulle differenze di grado più che di genere. Ovviamente con un po’ di allenamento si può migliorare il nostro grado di discriminazione. Secondo step: riconoscere la luminosità. Se per i colori abbiamo il nostro bel cerchio cromatico, per la luminosità ci servirà qualcosa di simile.Il modo migliore per stabilire, esattamente, quanto chiaro o scuro sia il no-stro colore è costruire un rettangolo di luminosità (img 7b). Si consiglia di non andare oltre i sette livelli di luminosità, dal bianco al nero, perché supe-rata questa soglia, la ricerca scientifica ha dimostrato che, la memoria visua-le dell’uomo, ha difficolta nel ricordare. Per cui definita la tinta, prendete il rettangolo e cercate di capire il livello di luminosità di quel colore. L’aumen-to delle capacità di discriminazione della luminosità tra colori ci permetterà di capire, con l’esercizio, se in una scena è rispettata la regola principale per l’armonia, ovvero i contrasti di chiarezza tanto amati dal nostro cervello.

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Terzo step: riconoscere la Saturazione. Il terzo attributo è il grado di pie-nezza di un colore. Bisogna capire quanto sia vivace o opaco in relazione ad una nuova scala che realizzeremo, chiamandola questa volta, rettango-lo di saturazione (img 7a). Per realizzare questo rettangolo si parte da un qualsiasi colore puro, col massimo grado di vivacità (saturazione), per ar-rivare al massimo grado di opacità, dove non è più possibile distinguere la presenza di nessuna tinta (desaturazione). Vi ricordate l’effetto Helmholtz-Kohlrausch che, a parità di luminosità, l’elemento più saturo risulta più lu-minoso? Allenare gli occhi ad individuare i diversi livelli di saturazione po-trebbe aiutarci a non cadere in inganno dinanzi a un tale effetto.

7.3 ESERCIZI PRATICI

Dopo aver realizzato il vostro cerchio cromatico e i due rettangoli, di lumi-nosità e saturazione, cercate ora, di riconoscere i valori dei tre attributi di ogni colore (img 7c).

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1. Riccardo Falcinelli, Guardare, pensare, progettare, Stampa Alternativa e Graffiti, 2012 - 2. Mauro Boscarol Web, Storia della scienza del colore, Grassmann: le leggi empiriche della visione del colore - 3. Mauro Boscarol Web, Sensazione e percezione del colore, La tinta, la chiarezza, la pienezza - 4. Betty Edward, L’arte del colore, Longanesi, 2006 .

Img 7a - rettangolo di saturazione (1-7, da molto saturo a molto opaco)

Img 7b - rettangolo di luminosità (1-7, da molto luminoso a nero)

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Identificare la tinta, il grado di lumino-sità e di saturazione di ciascun colore. Si faccia riferimento al cerchio cromatico in allegato e ai rettangoli guida qui di fian-co. Terminata l’esercitazione troverete le soluzioni a pagina 116.

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Img 7c.

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MODELLI COLORE

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MODELLI COLORE

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8.1 CMYK, RGB, HSB

Ci sono diversi modelli colori all’interno di software come illustrator e pho-toshop da poter utilizzare quando lavoriamo su una nostra immagine. Quelli che vedremo di seguito, sono il modello RGB, CMYK e HSB. I modelli colori descrivono i colori usati e visualizzati nelle nostre immagini. Questi modelli rappresentano tre metodi diversi di descrivere e classificare il colore. I primi due modelli, RGB e CMYK, vengono definiti modelli pratici, mentre il modello HSB è un modello percettivo. Se qualcuno ricorda, ho già parlato di questo ultimo modello citando il primo postulato di Hermann Günther Grassmann. Tale modello è chiamato percettivo proprio perché è stato creato secondo gli attributi che noi percepiamo del colore. È il modello più “reale” che abbiamo, come il lab in photoshop. Gli altri due modelli sono finalizzati alla periferica finale, per questo sono chiamati pratici. RGB descrive i colori usati e visualizzati a monitor, mentre CMYK per la periferica di stampa. Qual è il modello migliore, qualcuno potrebbe chiedersi. In realtà non c’è un modello migliore, secondo me, ma piuttosto potremmo parlare del più ade-guato in relazione alla situazione che stiamo affrontando.Per cui se il file sarà destinato a girare solo sul web si opterà per un profilo rgb, mentre se il nostro file, sarà stampato, la soluzione corretta sarà l’utilizzo del profilo cmyk. E allora il modello HSB a cosa ci serve? Abbiamo già spiegato che questo è un modello percettivo, quindi non ha funzionalità pratiche, ma dal mio punto di vista svolge una funzione logistica.Partendo dal presupposto che il file finale potrà essere salvato solo col profilo rgb o cmyk, in illustrator come in tutti i programmi di grafica, vi è il pannello di visualizzazione del colore secondo i singoli attribuiti di ogni modello colo-re disponibile. Qui, ritengo debba entrare in ballo il modello HSB, o meglio la visualizzazione degli attributi secondo il modello HSB. Essendo questo il mo-dello con cui noi percepiamo il colore ci risulterà più facile lavorare e generare i colori per le nostre palette. Non abbiamo bisogno di dover ricordare neces-sariamente come comporre un colore a livello di sintesi sottrattiva o additiva, qui la visualizzazione è diversa; abbiamo appunto gli attributi percettivi del colore: tinta, saturazione e la luminosità. Quanto detto diventa inopportuno, se ad esempio dobbiamo stampare in due colori. In questo caso la visualizza-zione più adeguata risulta quella in cmyk, perché avrò un maggiore controllo dei colori che realmente saranno utilizzati per stampare il mio lavoro.I due modelli pratici, lavorando per periferiche diverse, interagiscono con la luce in modo differente, per cui noi percepiamo il colore in maniera diversa, in relazione al mezzo con cui si relazione la luce.

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Per quanto riguarda le periferiche di stampa, non mescolando delle luci, ma pigmenti, la sensazione del colore avviene attraverso sintesi sottrattiva, chia-mata anche mescolanza sottrattiva. Mentre gli apparecchi luminosi, che ripro-ducono immagini, lavorando direttamente con la luce, generano la sensazio-ne del colore attraverso la sintesi additiva, detta anche mescolanza additiva.

8.2 MESCOLANZA SOTTRATTIVA

La luce naturale contiene tutte le lunghezze d’onda, come abbiamo già det-to, durante il suo percorso interagisce con la materia, in questo caso con i pigmenti da stampa. Ipotizzando di aver stampato un bel verde, come fa la mescolanza sottrat-tiva a far sì che il giallo e il ciano, nella quadricromia (o il giallo e blu in pittura) ci diano il verde? Per far questo bisogna capire come la luce bianca interagisca con il pigmento giallo e ciano. Siamo a conoscenza del fatto che le sensazioni dei colori che percepiamo sono il frutto delle lunghezze d’onda che vengono riflesse dalla materia. Per cui, il pigmento giallo riflette le lunghezze d’onda corrispondenti al gial-lo, ma anche una parte di quelle corrispondenti al verde mentre assorbe (sottrae) tutte le altre. Il pigmento blu, invece, riflette le lunghezza d’onda corrispondenti al blu e una parte di quelle verdi, mentre sottrae tutte le altre. Quando i due pigmenti vengono mescolati, entrambi continueranno ad as-sorbire le stesse lunghezze d’onda, per cui reciprocamente il giallo assorbirà il blu e il blu il giallo. Le uniche lunghezze d’onda che continueranno ad essere riflesse saranno quelle corrispondenti al verde, poiché già entrambe le riflettevano1.

8.3 MESCOLANZA ADDITTIVA

La sintesi additiva è possibile perché il nostro occhio non è in grado di di-stinguere due piccoli punti oltre una certa distanza. Un classico esempio di mescolanza additiva è la televisione a colori. Qui lo schermo è pieno di pun-tini, rossi, blu e verdi, talmente vicini, che l’occhio li vede sovrapposti se non visti da una distanza fortemente ravvicinata. Il colore risultante è quindi il prodotto di una sommatoria (ecco perché additiva) delle singole lunghezze d’onda che nell’occhio vengono fuse, producendo in noi la sensazione del colore. Poiché in base alla variazione di intensità delle tre luci, la mescolanza cambia, potremo avere una molteplicità di colori2.

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1. Paola Bressan, Il colore della luna, Editori Laterza, 2007 - 2. Ibidem.

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Soluzione dell’eserzio di pagina 109.

RossoL4S2

Rosso - ArancioL4S2

Giallo - verdeL4S2

Blu-verdeL3S3

Blu-verdeL4S5

RossoL1S5

BluL3S4

GialloL1S1

RossoL4S6

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GUIDA COLORE

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GUIDA COLORE

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9.1 INTRODUZIONE

Lo strumento che alcuni illustratori, o creativi, usano più spesso in illustrator per la scelta delle palette cromatiche è lo strumento Guida Colore. Ma siamo sicuri di esser in grado di utilizzarla? Abbiamo pieno controllo dei suoi strumenti? Cos’è un complementare divergente? Avete chiaro gli schemi colore con i quali la guida genera le vostre palette? Queste sono alcune delle domande da porvi quando vi troverete ad aprire questo pannello. Ogni strumento moderno è stato realizzato per facilitare il lavoro quotidiano, ma quando è lo strumento a dominarci, questo comporta casualità, fortuna e tanti tentativi; mentre solo la conoscenza del mezzo può permettervi di gestire con sapienza il mezzo.

9.2 IL NON CERCHIO DI NEWTON

Probabilmente già all’asilo, ma sicuramente alle elementari, ci hanno spiegato cosa fossero i colori mostrandoci una ruota, divisa in dodici parti, ognuna con-tenente un colore diverso. Si insegna sin dall’infanzia che, i colori vicini stanno bene insieme, ma anche quelli opposti, chiamati colori complementari. Arrivando alla scuola secondaria di primo grado, la professoressa di educazio-ne artistica continuerà a mostrarci il cerchio cromatico, citando il maestro del colore Johannes Itten raccomandando di fare riferimento al suo cerchio perché utile per i nostri abbinamenti. Ma proseguendo poi gli studi in campo artistico, la situazione rimarrà invariata e il riferimento all’immagine del cerchio conti-nuerà ad accompagnarci.In realtà l’idea di cerchio cromatico è solo teorica. Come ho già detto nelle pri-me pagine, è un accordo culturale che si è preferito mantenere fin dai tempi di Newton, perché più facile per l’apprendimento. Ma la vera forma dell’odierno cerchio cromatico è più riconducibile ad una for-ma triangolare, piuttosto che ad un vero cerchio (img 9d). In origine Newton, dopo la scoperta dei colori prismatici racchiuse questi in un modello matematico di forma circolare secondo la regola di costruzione del ba-ricentro. Al bordo del cerchio vi erano i colori spettrali, vale a dire i componenti identificabili dello spettro cromatico in cui l’interposizione di un prisma scom-pone la luce bianca. I colori generati dalla mescolanza di due o più colori spet-trali, ad esempio il rosa e il marrone, invece, sono chiamati colori non spettrali.

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Successivamente, Helmholtz, sempre impegnato negli sviluppi che hanno con-dotto all’odierna colorimetria, nei primi anni della metà dell’Ottocento, dedi-cò molto del suo tempo allo studio e alla ricerca dei complementari spettra-li, ovvero cercò quelle tinte che all’interno dello spettro visibile si annullano reciprocamente in una tinta acromatica, riuscendo a trovare inizialmente solo la coppia giallo-blu. Gli studi di Gressman, invece, sottolinearono il contrario, ossia la possibilità di avere infinite coppie di complementari spettrali. Scoperto ciò, Helmholtz, affinata la tecnica, si rimise al lavoro, confermando la teoria di Gressman, ma aggiungendo un fondamentale tassello. I colori, compresi tra il giallo e il verde, non hanno complementari spettrali per cui, per neutralizzare tali colori, Helmholtz utilizzò mescolanze di rosso e vio-letto in diverse proporzioni (ovvero con vari valori di viola). Questi formano una linea retta dal violetto al rosso, detta linea dei porpora, che viene fuori da colori non spettrali.Si tratta di una fondamentale scoperta che ha rotto la lunga tradizione del cer-chio di Newton che comprendeva anche il colore viola. Se ogni colore spettrale deve avere un complementare, come richiesto da Gras-smann, allora bisognava ridefinire il cerchio di Newton, iniziando a non consi-derarlo più un vero e proprio cerchio, in quanto ora alla base vi era un segmen-to rettilineo dal rosso al viola1. Proseguendo con le ricerche, Helmholtz, arrivò ad un’altra considerazione im-portante che ha ridefinito maggiormente l’ormai vecchia forma circolare del modello di Newton: le varie coppie di colori complementari non hanno delle quantità fisse per produrre la luce acromatica. Per cui, se deve valere la regola del baricentro, sostenuta da Newton, i colori spettrali non sono equidistanti dal punto di bianco (il punto centrale all’interno del modello definito inizialmente da Newton) comportando una differenza di saturazione tra i colori.Tale scoperta, muta del tutto la forma iniziale del modello di Newton dato che nemmeno la curva è un cerchio. Perciò Helmholtz, ammettendo la provviso-rietà dello schema, disegnò nuovamente il diagramma dei colori di Newton, aggiungendo le recenti scoperte. Nel 1869 Helmholtz, insieme ad un suo col-laboratore affinano le ricerche portando il diagramma alla sua forma quasi definitiva (img 9a), che verrà soprannominato “diagramma delle cromaticità” presentato nel 1931 dalla CIE (Commission Internationale de l’Éclairage) nella sua forma ufficiale (img 9d)2. Con l’introduzione di questo nuovo diagramma, si affermeranno nuovi concetti, tra cui quello di gamut.

9.3 I COLORI FUORI GAMUT

Quando si parla di gamut, si parla di solito le periferiche. Può sembrare un argomento troppo tecnico, ma in realtà è molto vicino alla guida colori, poiché questo pannello è fortemente legato all’output finale per il quale abbiamo rea-lizzato la nostra immagine.

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Partiamo da un esempio. Create dei quadratini colorati (img 9b). Una volta re-alizzati, seguendo i parametri che vi ho indicato, ricontrollate gli stessi inseriti. Sono cambiati? A quanto pare sì. Ora disegnate un quadrato rosso. Dopo aver creato un altro quadrato, scegliete il colore complementare rispetto al primo colore dalla guida colori (img 9c). Fatto questo, copiate e incollate il quadrato verde (il complementare del vostro quadrato rosso) e rifate la stessa procedura al contrario. Ragionando secondo il cerchio cromatico che tutti conosciamo, al rosso corrisponde un determinato verde, e a quel verde corrisponderebbe lo stesso rosso, giusto? Invece nel nostro caso, notiamo che il verde ora ha come complementare un viola. Per quale motivo?Questi due esempi spiegano come giornalmente abbiamo a che fare con i colori fuori gamut e di come la guida colori e, in generale il software, riporti la tinta all’interno del gamut della periferica scelta. Ovviamente questo accade perché il gamut delle periferiche è più ristretto ri-spetto a ciò che noi vediamo, per cui il software ogni volta che scegliamo un colore fuori gamut lo riporta all’interno del suo spazio. Per fortuna, quando selezioniamo un colore fuori gamut il programma avvisa l’utente attraverso un triangolino giallo, mentre non accade nulla quando sele-zioniamo un colore dal pannello guida colori. Per cui ci risulta strano vedere quel verde, complementare del nostro rosso, avere il viola come complementa-re quando è lui il colore principe. Questo succede perché ogni colore presente nel pannello guida colori, se fuori gamut, viene riportato all’interno del gamut di riferimento. In tal caso, il nostro rosso avrebbe un altro verde più luminoso come complementare, ma essendo fuori gamut il software lo sostituisce con il prossimo all’interno del gamut di riferimento. Ovviamente la guida colori ricalcolerà il complementare partendo da quel colore verde e non considerando quello come il colore più vicino al nostro rosso di partenza.

9.4 SCHEMI COLORI

Il pannello guida colori ha diversi nomi per identificare gli schemi colori. Que-sti provengono dal mondo pittorico, ma sono utili in tutte le discipline artistiche e progettuali dove si ricerca la tanto amata armonia.Credo sia indispensabile capire le regole compositive di questi schemi, così da poterli studiare per poi riconoscerli nelle immagini che vedremo. Ovviamente questo è solo il secondo step nell’analisi di un’immagine, in quanto dovremmo prima capire i colori di base utilizzati e per far questo dobbiamo “imparare a vedere”, educando gli occhi. Dopo di ciò si può passare, quindi, all’analisi degli schemi cromatici. Ritengo che questo sia lo studio consapevole e coscienzioso che ognuno di noi debba fare. Tale metodo deve essere la nostra fonte di ispirazione, perchè non è nella copia la soluzione ai nostri problemi, ma è nel capire perché quell’imma-gine venga considerata da tutti così armoniosa.

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La nostra analisi degli schemi cromatici si basa sulla visualizzazione del cerchio cromatico della guida colori che rispecchia quello che tutti conosciamo (inser-to_cerchiocromatico):

COMPLEMENTAREI due colori sono diametralmente opposti. “Contrasto elevato 1” possiamo considerarlo una variante sul tema.COMPLEMENTARE DIVISIComposto da tre colori. Scelto il primo si aggiungono a questo i colori a destra e a sinistra del suo complementare.COMPLEMENTARE SINISTRALo schema generale è composto da soli due colori. Scelto il primo si aggiun-ge quello a sinistra del suo complementare. Nella guida colori si associano allo schema di base due variazioni per tinta e vengono variati i paramentri di luminosità e saturazione. “Composti 1” e “Contrasto elevato 4” sono una variante sul tema.COMPLEMENTARE DESTRALo schema generale è composto da soli due colori. Scelto il primo si aggiunge quello a destra del suo complementare. Nella guida colori si associano allo schema di base due variazioni per tinta e vengono variati i paramentri di lu-minosità e saturazione. “Composti 2” è una variante sul tema.ANALOGHISchema di solito composto da tre o cinque colori. Scelto il primo si aggiungo-no, uno o due colori, alla destra e alla sua sinistra. “Analoghi 2” e “Contrasto elevato 3” sono una variante sul tema.MONOCROMATICISchema composto da un’unica tinta. Lasciata invariata la luminosità si modi-fica la saturazione generando così gli altri colori che comporranno la palette. Monocromatici 2 è una variante sul tema.TONALITÀSchema composto da un’unica tinta. Lasciata invariata la saturazione si mo-difica la luminosità generando così gli altri colori che comporranno la palette.TRE TONI / TRIADE EQUIDISTANTESchema composto da tre colori equidistanti tra di loro. “Tre toni 2”, “tre toni 3” e “Contrasto elevato 2” sono varianti sul tema.QUATTRO TONI/COMPLEMENTARI DOPPISchema composto da due coppie di complementari. Ogni colore è equidistan-te dall’altro. “Quattro toni 2” e “Quattro toni 3” sono varianti sul tema.PENTAGRAMMASchema composto da cinque colori. Nasce dall’unione di uno schema “com-plementare divisi” con l’aggiunta di due colori equidistanti dalla tinta di base.

É consigliato verificare le singole variazioni degli attributi di tinta, saturazione e luminosità direttamente nei vari schemi all’interno dello strumento guida co-lori. Per qualsiasi delucidazione, si rimanda all’allegato inserto_cerchiocromatico.

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1. Mauro Boscarol Web, Storia della scienza del colore, Helmholtz: esperimenti di base sulla visione del colore - 2. Diversi estratti di questo paragrafo sono stati presi direttamente dal blog di Mauro Boscarol ( Storia della scienza del colore, Helmholtz: esperimenti di base sulla visione del colore) per cui si ringrazia l’autore e si rimanda a lui per i diritti d’autore.

Baricentro

In geometria, il baricentro (a volte chiamato centroide) di una figura X n-dimensionale in uno spazio euclideo n-dimensionale è l’intersezione di tutti gli iperpiani che dividono X in due parti di misura identica. In modo informale, possiamo dire che è la “media” di tutti i punti di X.

Colorimetria

È la disciplina che si occupa di stan-dardizzare la misurazione del colore attraverso lo studio dei modelli di colore.Il colore è una caratteristica psicofisica soggettiva, cioè esiste solo negli occhi e nel cervello dell’osservatore umano; non essendo una caratteristica propria di un oggetto, si è sentita la necessità di trovare una o più grandezze che potessero renderlo misurabile in modo standardizzato, per poterlo classificare e riprodurre. La colorimetria racchiude tutti questi studi.

Cyanblau

Purpur

Grün

Gelb

Roth

OrangeWeiss

Violett

Indigo

Img 9b.

Img 9a.

H 16S 100B 91

H 123S 41B 73

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Isaac Newton

È stato un matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo e alchimista inglese, nato a Woolsthorpe, Lincolnshire, nel 1642. Isaac Newton contribuì in maniera fon-damentale a più di una branca del sapere. Fu il primo a dimostrare che le leggi della natura governano il movimento della Terra e degli altri corpi celesti. Egli contribuì alla Rivoluzione scientifica e al progresso della teoria eliocentrica. A Newton si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero sul movimento dei pianeti. Newton fu il primo a dare prova che la luce bianca è composta dalla somma (in fre-quenza) di tutti gli altri colori. Egli, infine, avanzò l’ipotesi che la luce fosse composta da particelle da cui nacque la teoria corpuscolare della luce in contrapposizione ai sostenitori della teoria ondulatoria della luce, patrocinata dall’astronomo olandese Christiaan Huygens e dall’inglese Young e corroborata alla fine dell’Ottocento dai lavori di Maxwell e Hertz. La tesi di Newton trovò invece conferme, circa due secoli dopo, con l’intuizione del “quanto d’azione” di Max Planck e i lavori di Einstein sull’interpretazione dell’effetto fotoelettrico e la conseguente introduzione del quanto di radiazione elettromagnetica, il fotone. Queste due interpretazioni saranno risolte nell’ambito della meccanica quantistica con la teoria del dualismo onda-particella.Isaac Newton occupa una posizione di grande rilievo nella storia della scienza e della cultura in generale. Il suo nome è associato a una grande quantità di leggi e teorie ancora oggi insegnate: si parla così di dinamica newtoniana, di leggi newtoniane del moto, di teorie della gravitazione. Più in generale ci si riferisce al newtonianesimo come a una concezione del mondo che ha influenzato la cultura europea per tutto il Seicento. Morì a Kensington, Londra, il 20 marzo 1727 all’età di 84 anni.

Img 9c.

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Img 9d - diagramma delle cromaticità presentato nel 1931 dalla CIE.

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I NOMI DEI COLORI

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I NOMI DEI COLORI

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10.1 MILIONI DI COLORI

Giunti alla fine del nostro discorso, ci troviamo a parlare, più che di un aspetto tecnico o neurale, di un argomento culturale. Nella vita di tutti i giorni ad aumentare la diffidenza nei riguardi di un pos-sibile studio del colore, si aggiungono tutti quei discorsi, che molte persone fanno attorno ai presunti “milioni di colori” dei monitor. Per qualcuno l’idea che un monitor possa visualizzare così tanti colori cor-risponde alla possibilità di poterli utilizzare tutti e di doverseli anche ricor-dare a memoria. Questo non è praticamente possibile per tre motivi fonda-mentali: la limitatezza dei mezzi a stampa, la possibilità di discriminazione dei colori e la loro nomenclatura. Abbiamo già spiegato come ogni periferi-ca abbia un proprio gamut di riferimento, dentro al quale sono circoscritte tutte le tinte che potranno essere, nel nostro caso, stampate; e queste di gran lunga sono inferiori al milione.Detto ciò, è stato studiato che i colori percepibili all’interno dello spettro vi-sibile sono circa 250, anche se a tali colori potranno esser aggiunte le diverse variazioni in saturazione e brillantezza. Tuttavia, nonostante le molteplici variazioni cromatiche sopra citate, noi ricondurremo gli stessi colori alle 12 tinte di base. Al massimo solo gli addetti ai lavori saranno in grado di di-scriminare qualche colore in più, ricordando sempre che la discriminazione, via via più sofisticata può esser fatta solo associando un colore ad un’ogget-to, altrimenti ci risulterà impossibile ricordare, pensare e immaginare quel colore. Anche Rudolf Armhein ha sottolineato più volte la capacità che i nostri occhi hanno di discriminare tantissime sfumature; ma il problema resta quando poi vogliamo riportare alla memoria un colore. Qui si svela-no i nostri limiti. Per noi risulta più facile ricordare le variazioni di genere piuttosto che quelle di grado, ovvero riusciamo a distinguere con maggiore facilità le differenze di classe rispetto alle singole sfumature e questo è do-vuto soprattutto al non riuscire ad associarle ad un nome1.

10.2 LA CULTURA DEL COLORE

Anche se il numero di colori che riusciamo a vedere coi nostri occhi fosse, ipotizzando, inferiore ai 1000, il problema di non riuscire ad identificarli rimarrebbe, legato a motivi culturali. Riflettendo un attimo, di questi 1000 colori ipotizzati, non esiste nel gergo comune una propria denominazione. Sottolineo questo, poiché ci sono gui-

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de con nomi e codici con una vasta gamma di colori, ma queste sono solo per gli addetti ai lavori, i quali senza le loro mazzette sarebbero in grado di nominare solo una manciata di colori.Qui, invece, stiamo parlando della popolazione media, che non si occupa quotidianamente di illustrazione, grafica o molto più in generale di colore.Nel 1969 i due linguisti Berlin e Kay pubblicarono una ricerca sullo studio del vocabolario dei colori in quasi cento lingue diverse. Scoprirono che nel linguaggio primitivo il lessico dei colori era ridotto al bianco e al nero, che corrispondevano piuttosto al chiaro e allo scuro. Poi al lessico “primario” cominciò ad aggiungersi il rosso, poi ancora il verde o il giallo che rappre-sentavano la quarta o la quinta parola inserita, a seconda dell’ordine in cui comparivano nel lessico della popolazione. A queste è stato aggiunto, dopo, il marrone, il rosa, il violetto, l’arancione e il grigio.Per cui è chiaro il divario abissale che abbiamo tra i “milioni di colori” e quelli che realmente riusciamo a nominare.Probabilmente, potremmo estendere maggiormente il nostro lessico croma-tico con uno studio mirato nelle scuole, apprendendo un metodo apposito che ci possa dare la possibilità di sfruttare al massimo la potenza discrimi-natoria dei nostri occhi.

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1. Rudolf Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi Paperbacks Arte/Architettura, 1974.

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ANALISI IMMAGINI

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ANALISI IMMAGINI

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11.1 INTRODUZIONE

Credo che tutto quello che abbiamo scritto si perderebbe se non ci fosse una se-zione dedicata alle considerazioni pratiche sull’immagine, al fine di fissare bene le idee. Per tale ragione, di seguito, analizzeremo alcune illustrazioni o dipinti. Sono convinto che, tutti gli scritti sul colore che ognuno di noi potrà leggere nella vita non basteranno a risolvere l’arcano attorno al concetto di armonia, se questi non fossero affiancati dall’osservazione. Non voglio essere frainteso. L’osservazione non vuol dire “ispirazione/copia”, ma significa capire ciò che funziona, comprendere l’elemento che ci attira verso una determinata imma-gine. È in questo istante che ci tufferemo nella teoria per trovare tutte o quasi le risposte servendoci di un approccio critico. Bisogna diffidare dai libri sul colore che dettano regole precise per realizzare un’immagine armonica, im-prigionando il tutto in dei semplici schemi cromatici. Ritengo più utile cercare di capire come ragionano gli organi deputati alla visione perché lì risiede il segreto. Sapere come “pensano” ci permette di assecondare le loro azioni e reazioni. Qui più che altrove secondo me risiede il concetto di armonia. Ovviamente le immagini analizzate rispecchiano un mio gusto personale, per cui mi perdonerete se non saranno di vostro gradimento, ma l’importante è discuterne i contenuti.

11.2 ANALISI IMMAGINI

František Kupka - “Crimson”, olio su tela (img 11a). La prima considerazione da fare riguarda i valori di chiarezza. Vedendo l’immagine in toni di grigio (basta aprire Photoshop e il gioco è fatto) notiamo come l’artista crea diversi livelli di luminosità rispettando una delle prime analisi che il cervello compie. Successivamente, io mi chiederei se il centro di attenzione fosse ben identi-ficato. Credo che nessuno di noi abbia dei dubbi nell’individuare le labbra rosse della ragazza come il fulcro principale del racconto visivo. Al fine di mantenere la donna come soggetto principale di questo racconto, lo sfondo scelto dall’autore è stato un colore a cui noi siamo meno “sensibili”, ovvero un blu. Provate ad immaginarvi lo sfondo giallo, oppure modificatelo in Photo-shop. Non importa la perfezione del lavoro, l’importante è avere l’idea di uno sfondo giallo. Noterete come la scena cambi. Un giallo, sappiamo, sarà molto più luminoso di un blu, supererà anche la luminosità del soggetto in primo piano, perdendo così l’equilibrio iniziale dove tutti gli elementi avevano il

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ruolo che gli aspettava. La situazione diventa ambigua; il soggetto in primo piano ci sembra il soggetto principale, ma il giallo, come abbiamo visto, ci chiede un’attenzione maggiore, tale per cui non è chiaro dove soffermare il nostro sguardo e siamo consapevoli ormai come tale situazione non sia tanto gradita al nostro cervello. Possiamo affermare che la situazione iniziale si per-cepisce più armonica. Infine, la palette colori utilizzata si basa sullo schema dei complementari doppi (blu-arancio, verde-rosso), dove la coppia comple-mentare verde-rossa è stata sapientemente dosata.Olimpia Zagnoli - “Where We Are Shapes Who We Are”, illustrazione digitale (img 11b). L’illustrazione presenta una palette colori su schema complementare, nella fatti specie questo tipo di schema in guida colori è chiamato “contrasto elevato 4”: al verde si aggiunge il suo complementare (rosso) e quello alla sua sinistra (viola). Credete che la scelta del rosso al centro sia del tutto dovuta al caso? Provate in Photoshop ad invertire il rosso in primo piano con il verde del-lo sfondo/donna. Noterete che anche se il centro è fortemente definito da una struttura che lo mette in risalto, il rosso invertito, sarà così preponderante da sbilanciare la scena rendendola, come nel caso precedente, fortemente ambigua per quanto riguarda il centro d’attenzione. Tale situazione rende meno armoni-ca l’immagine, perché l’occhio non trova una situazione di stallo. Avendo, ora, padronanza delle proprietà dei colori (mi riferisco alle reazioni che le lunghezze d’onda hanno sui nostri apparati interni), saremo in grado di capire se e dove utilizzarli, se e con quale tonalità cambiarli, conoscendo già l’esito finale dell’ef-fetto. A conferma di quanto sopra, se avete provato realmente ad invertire i colori, noterete come l’illustrazione risulterà meno armonica.Alessandro Gottardo a.k.a. Shout - “The day I felt the richest”, illustrazione di-gitale (img 11c). Qui vorrei sottolineare l’effetto ottenibile con l’utilizzo di colori equiluminosi. L’idea di pieno giorno è data perfettamente dai colori selezionati per rappresentare la scena maggiormente accentuati dai loro bordi brillanti. La sensazione di questo sole, fortemente luminoso, deriva dal bordo più chiaro che lo circonda, equiluminoso con l’azzurro del cielo. Quest’ultimo, inoltre, per pro-prieta diverse, permette di far risaltare i fiori rossi in primo piano, amplificando maggiormente la profondità del prato (ovviamente mi riferisco agli effetti che le lunghezza d’onda hanno sul nostro sistema visivo). Infine Grazie al contrasto simultaneo tutte le tinte accentuano la loro componente di giallo creando quasi una velatura giallastra sull’intera scena.

Con questa breve sezione, ho cercato di dimostrarvi come, grazie alle conoscen-ze acquisite, è possibile avere maggiore consapevolezza riguardo le scelte cro-matiche. È chiaro, in questo modo, come lo studio di determinate proprietà del colore, ovvero il frutto degli effetti delle lunghezze d’onda sul nostro apparato occhio/cervello (e non solo), possano esserci d’aiuto nell’individuare veloce-mente le cause di una disarmonia cromatica all’interno dell’immagine.

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Img 11a.

Img 11b.

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Per una migliore visione delle immagini presententi in questa pagina si rimanda ai siti di riferimento degli autori.

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EPILOGO

INDICE TEMATICO

BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA

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Epilogo

Le riflessioni finali ritengo di averle scritte più volte in diverse occasioni tra le varie pagine di questa tesi, ma adesso mi perdonerete se aggiungo quelle di rito.Con la mia piccola ricerca voglio sensibilizzare gli addetti ai lavori, rendendoli ancora più curiosi. Il colore non è roba da poco, non è meno importante di un carattere tipografico o di qualsiasi legge della gestald, ma è parte integrante di un progetto. Ha, per questo, bisogno di uno studio approfondito. Tuttora oggi si è legati a vecchie concezioni; i corsi di cromatologia insegnano ancora ciò che si diceva più di tre secoli fa, ma non volendo sminuire il lavoro fatto in tutto questo tempo, è chiara la necessità di rinnovare la materia. Questo non vuol dire cancellare il passato ma affiancargli il presente, in quanto grazie alle recenti scoperte siamo in grado di migliorare il nostro lavoro. Per chi è sempre alla ricerca dell’armonia qui potrà tro-vare dei consigli, delle basi il più possibile oggettive, perché sul colore vi è sempre stato troppo sentimenta-lismo e questo, secondo me, ha portato a considerare questa splendida materia troppo difficile da studiare. Per cui, il più delle volte, si è preferito arrendersi e affidarsi a quei siti online, che pur non negando la loro utilità, ritengo diminuiscano il livello intellettivo e cul-turale, dando modo al caso di prendere il sopravvento.La differenza tra due progettisti è nella consapevolez-za del proprio lavoro, ricordate?Spero che con questo testo possiate aver più chiare le idee e infinite nuove domande a cui dare risposta.

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INDICE TEMATICO

1.1/25 cos’è il colore 1.2/26 il concetto di armonia2.3/34 ragionare per contrasti3.1/57 tra misticismo e scienza 3.2/57 cos’è?3.4/59 usi creativi 3.4.1/60 virare un’illustrazione senza photoshop 3.4.2/60 contorni vibranti3.4.3/61 Contorni sfumati5.4/88 sistema nervoso automatico*6.4/97 contrasto di qualità7.1/103 i dodici colori del cerchio7.2/104 Tinta, saturazione e luminosità 7.3/105 Esercizi pratici8.1/111 cmyk, rgb, hsb 8.2/112 mescolanza sottrattiva 8.3/112 mescolanza addittiva 9.2/119 il non cerchio di newton 9.3/120 i colori fuori gamut 8.4/121 gli schemi colore10.1/131 milioni di colori 10.2/131 la cultura del colore 11.2/139 analisi immagini

2.2/33 centri di attenzione2.4.2/37 i coni e i bastoncelli2.4.6/41 il campo percettivo3.5/ 61 l’influenza ambientale 3.6/62 l’immagine postuma

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4.2/75 la massima senibilità 4.3/76 effetto purkinje 4.4/78 effetto helmholtz-kohlrausch5.3/86 i colori caldi sembrano avvicinarsi6.2/95 la forza di gravità 6.3/96 il peso culturale: la sinistra e la destra

46 divisionismo**47 impressionismo**67 Rudolf Arnheim**

45 Hermann von Helmholtz**45 Ewald Hering **66 Josef Albers **81 Johannes Itten**98 Johann Wolfgang von Goethe**125 Isaac Newton

2.4.1/36 dall’occhio al cervello4.1/75 lo spettro visibile

45 brightness**124 colorimetria**124 baricentro**

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1.3/26 creare l’armonia è possibile?2.1/33 l’evoluzione2.4/36 il cervello visivo2.4.3/38 le aree di interesse: V1 e V42.4.4/39 costanza cromatica2.4.5/40 i neuroni della visione2.4.7/42 le due vie: “ventrale e dorsale“3.3/58 il colpevole non cambia 5.2/85 il quadrato bianco

*riguarda l’endocrinologia** selezionate da fonti bibliografiche online

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BIBLIOGRAFIA

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