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PER COMPIERE GRANDI PASSI NON DOBBIAMO SOLO AGIRE, MA ANCHE SOGNARE, NON SOLO PIANIFICARE, MA ANCHE CREDERE. Anatole France ALL’INTERNO rubriche, editoriali, letture e commenti Inizia le grandi cose quando sono piccole, anche un viaggio di mille miglia deve iniziare da un singolo passo... Lao Tzu OTT 2019 N.4

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PER COMPIEREGRANDI PASSI NONDOBBIAMO SOLOAGIRE, MA ANCHESOGNARE, NON SOLOPIANIFICARE, MAANCHE CREDERE.Anatole France

ALL’INTERNO

rubriche,editoriali, letture

e commenti

Inizia le grandi cosequando sono piccole,anche un viaggio dimille miglia deve iniziareda un singolo passo...Lao Tzu

O T T2019N.4

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INDICE

3. L’editoriale

4. Groin pain in athletes and non-interventional rehabilitative treatment: a systematic review. | Dott. Lorenzo Storari

9. Exercise interventions and patient beliefs for people with hip, knee or hip and knee osteoarthritis: a mixed methods review | Dott.ssa Monica Erbesato

18. La rubrica: Metodologia della ricerca | La cassetta degli attrezzi Misurare i risultati in riabilitazione dei disordini muscoloscheletrici Dott. Andrea Turolla

24. Master IFOMPT: Raccontaci il tuo percorso | Tesi di Master Dolore cronico: Iniziale valutazone dei fattori psicosociali associati all’età evolutiva | Dott.ssa Elisa Scotti

32. Osteochondritis dissecans of the radial head in a young athlete: a case report. | Dott. Alessio Siracusa

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non esitare a contattarci all’indirizzo [email protected]

Responsabile Magazine Filippo Maselli

Responsabile Redazione Andrea Colombi

Comitato di Redazione Direttivo GTM

Elaborazione Grafica Luca Bonetti

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Gruppo di Terapia Manuale | Ottobre 2019

Inizia le grandi cose quando sono piccole, anche un viaggio di mille miglia deve iniziare da un singolo passo... | Lao Tzu

L’EDITORIALE

Per compiere grandi passi non dobbiamo solo agire, ma anche sognare, non solo pianificare, ma anche credere.

Anatole France

a cura di Filippo Maselli

Un attimo, uno sguardo rivolto distrattamente da un’altra parte, una pa-gina letta di un libro, un saluto caloroso alla fine di un evento, un altro treno…e volano 3 anni della tua vita. Volano, per la spensierata follia con la quale sono stati affrontati, volano per la magica atmosfera che si è cre-ata, volano per la passione che li ha contraddistinti, volano perché i sogni viaggiano ad una velocità che non riusciamo a misurare.

Tutto il direttivo ha deciso con me di Agire, Credere, ma soprattutto di non smettere di Sognare. Sognare di compiere grandi passi senza sapere se alla fine il sogno sarebbe diventato realtà. Sognare di mantenere sta-bile la quota dei membri, che nel 2016, quando abbiamo iniziato era di poco più di 200 soci. Poi arrivarono i 300, i 400, e il superamento della mitica soglia dei 500 soci. Allora inizi a pensare che non è più sognare, non è più credere soltanto in un cambiamento, ma che il cambiamento è già in atto, che l’avvio della realizzazione di questa grande impresa ha messo in moto qualcosa che continuerà a crescere e mutare, vivere e sognare. Sognare come fanno i bimbi, che ardentemente vogliono diven-tare da grandi calciatori, scienziati, esploratori, astronauti…NOI continue-remo a sognare, che il GTM cresca, diventi grande e realizzi i sogni che 22 anni fa aveva quando era piccino.

Anche il percorso più lungo inizia da un piccolo passo e noi tutti, insie-me, questo piccolo primo passo lo abbiamo fatto, e siamo certi che per quanto lungo sia il percorso, lo percorreremo fino alla fine e non daremo importanza a passi da fare…perché anch’essi voleranno via veloci, nella spensierata e ostinata follia e la forza del vostro sostegno. Grazie a tutti voi, grazie a miei colleghi del direttivo, grazie a tutti gli autori della rivista, grazie per 3 anni stupendi.

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Groin pain in athletes and non-interventional rehabilitative treatment: a systematic review.Ramazzina I, Bernazzoli B, Braghieri V, Costantino C. Groin pain in athletes and non-interventional rehabilitative treatment: a sy-stematic review. J Sports Med Phys Fitness 2019;59:000-000. DOI: 10.23736/S0022-4707.18.08879-5

AbstractBACKGROUNDGroin pain is a common complaint both in high-performance and recreational athletes. Diagnosis is based on the patient’s history and physical examination. Imaging assessments are often con-sidered to exclude other pathologies. To date there is no strong evidence to support conservative or surgical treatment options.

OBJECTIVEThe purpose of this study is to shed light on the more effecti-ve non-interventional rehabilitative treatments for the manage-ment of groin pain in athletes and, if possible, provide guidelines useful for clinical practice.

METHODSThe following electronic databases were searched: PubMed, physiotherapy evidence database (PEDro), Scopus, Web of Science, Google and Google Scholar. Databases were investiga-ted from January 1997 until March 2017.

RESULTSThe results reported in the randomized clinical trial studies hi-ghlight that active treatment is better than passive treatment to improve clinical signs of groin pain. Comparing the active stra-tegy with multi-modal treatment the latter allows a faster return to sport activity.

Although the evidence remains poor, all the included literatu-re highlights that an integrated strategy which combines active and passive treatment, the assessment of perceived pain, a re-turn to running program and specific-sport exercises is an ef-fective strategy for management of groin pain in athletes.

CONCLUSIONSAlthough we shed some light on common key aspects able to improve the typical signs of groin pain, on the basis of available data we were unable to provide practice guidelines. Further stu-dies are necessary to set the best treatment algorithm for the management of groin pain in athletes.

Dott. LORENZO STORARI

PT BSc, OMPT

Fisioterapista

Orthopaedic Manipulative Physical Therapist

Collaboratore alla didattica Master Riabilitazione dei Disordini Muscolo-scheletrici

Università degli Studi di Genova, Campus di Savona

Libero Professionista

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Gruppo di Terapia Manuale | Ottobre 2019

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KEYWORDSAthletes’injuries;Rehabilitative treatments;Inguinal pain;Multimodal approach;Injuries; Groin; Pain.

SINOSSIIl Groin Pain (GP) è un disturbo localizzato nella regione inguina-le, comune nella popolazione fisicamente attiva e negli atleti, in particolare in quelli il cui sport richiede cambi di direzione rapidi, movimenti pivot e calci1-2-3. Non esiste una definizione formale del termine “Groin”, tuttavia generalmente viene considerata la zona compresa tra il comparto prossimale-mediale della coscia ed il tratto distale della parete addominale, compresa la regio-ne inguinale e la sinfisi pubica4. Attualmente in letteratura sono riportati valori di incidenza per GP tra 3 e 23%1. La prevalenza di GP invece, tra gli atleti, dipende dallo sport praticato, ma an-che dall’età e dal livello di competizione richiesto5. Tuttavia, no-nostante quest’ultima sia alta, la diagnosi ed il trattamento dei processi patologici che determinano l’insorgenza e persistenza del GP rimane una sfida per i professionisti sanitari6. La diagnosi differenziale è complicata, sia a causa della complessità della regione anatomica in questione, sia per l’ampia terminologia uti-lizzata in letteratura per la descrizione del dolore inguinale1-4.

Una revisione sistematica del 2015 ha elencato più di 30 termi-nologie differenti in 72 studi diversi, tra cui Sportsman’s hernia, Gilmore’s groin ed Athletic groin pain1-2, solo per citarne alcu-ni. Hölmich e colleghi hanno riportato che, tra gli atleti, più del 50% del GP è dovuto agli adduttori, ileo-psoas o muscolatura addominale7. Solitamente i pazienti presentano dolore inguinale, esacerbato da esercizio ed attivazione muscolare, il quale può essere irradiato al comparto mediale della coscia, al perineo o allo scroto3-5. I sintomi sono spesso insidiosi all’esordio e pos-sono diventare progressivi od intermittenti3-5. Attualmente in letteratura è ancora in discussione quale sia il più efficace tra l’approccio chirurgico o quello conservativo1-4-5. Tuttavia la chi-rurgia, anche se sembra garantire un ritorno allo sport precoce8, dovrebbe essere considerata per i pazienti che non rispondono positivamente al trattamento riabilitativo conservativo9.

La Revisione Sistematica (RS) in questione si propone di valu-tare le tipologie di trattamento conservativo più efficaci per la gestione del GP tra gli atleti ed il ritorno all’attività sportiva, con l’intenzione di fornire delle linee guida per la pratica clinica, ove possibile. La revisione è stata condotta secondo il protocollo PRISMA statement10.

BIBLIOGRAFIA

1. King E, Ward J, Small L, et al. Br J Sports Med 2015;49:1447–1451

2. Elattar O, Choi HR, Dills VD, Busconi B. Groin Injuries (Athletic Pubalgia) and Return to Play. Sports Health. 2016;8(4):313–323.

3. de SA D,Hölmich P, Phillips M,et al.Br J Spor-ts Med2016;50:1181–1186.

4. Koulouris G. Imaging review of groin pain in elite athletes: an anato-mic approach to imaging findings.Am J Roentge-nol 2008;191(4):962–72.

5. Crockett, Matthew & Aherne, Emily & O’Reilly, Michael & Sugrue, Gavin & Cashman, James & Kavanagh, Eoin. (2015). Groin Pain in Athletes: A Review of Diagnosis and Management. Surgical technology international. 26. 275-82.

6. Serner A, van Eijck CH, Beumer BR, et al. Study quality on groin injury management re-mains low: a systema-tic review on treatment of groin pain in athle-tes. Br J Sports Med 2015;49:813.

7. Hölmich P, Thorborg K, Dehlendorff C, et al. Incidence and clinical presentation of groin injuries in sub-elite Male soccer. Br J Sports Med 2014;48:1245–50.

8. Paajanen H, Brin-ck T, Hermunen H, et al. Laparoscopic surgery for chronic groin pain in

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Lo screening della letteratura è stato eseguito da 3 autori in modo indipendente, mentre le eventuali discrepanze sono sta-te risolte tramite l’intervento di un quarto revisore. In modo da ricercare le più recenti strategie conservative di trattamento è stata creata una stringa di ricerca impostata sul modello PICO. I disegni di studio presi in considerazione sono stati case-report, case-series e studi randomizzati controllati (RCTs), esclusiva-mente pubblicati in lingua inglese. I criteri di esclusione com-prendono interventi chirurgici, infiltrazioni articolari e/o musco-lari, terapie fisiche e strumentali, terapie farmacologiche, utilizzo di ortesi o mesoterapia.

Sono stati indagati 4 motori di ricerca (PubMed, Physiotherapy evidence database (PEDro), Scopus e Web of Science). E’ stata eseguita inoltre una ricerca manuale tramite le “reference lists” degli articoli selezionati al fine di aggiungere altri articoli rilevati. La letteratura grigia è stata indagata tramite Google e Google Scholar.

Il livello di evidenza degli articoli inclusi è stato stratificato in accordo con l’Oxford Centre of Evidence-Based Medicine (OCEBM). Quest’ultimo ha sviluppato degli strumenti per la va-lutazione critica dei livelli di evidenza degli articoli (critical ap-praisal tools), per 6 tipologie di studio [revisioni sistematiche, studi diagnostici, studi prognostici, RCTs, studi qualitativi e in-dividual patient data (IPD) review]. Gli articoli vengono valutati secondo 3 risposte (Yes-No-Unclear) e viene fornito un livello di classificazione da 1 (RS) a 5 (opinione degli esperti). Per gli articoli RCT inoltre è stata valutata la qualità metodologica tra-mite la Pedro Scale Checklist. Nel dettaglio, la scala di PEDro (punteggio massimo 10) viene utilizzata per indagare i singoli aspetti metodologici (validità interna) di conduzione degli RCTs come ad esempio la presenza della randomizzazione, dell’asse-gnazione nascosta o la presenza di cecità dei partecipanti, del personale incaricato e dei valutatori degli outcome. La valuta-zione avviene tramite una risposta dicotomica sì/no.

Gli autori hanno incluso 3 studi randomizzati controllati (RCT), 4 case series, 3 case report e 1 studio longitudinale di coorte, per un totale di 371 partecipanti. La qualità metodologica degli studi si è rivelata essere alta (PEDro Score ≥5/10, OCEBM level 1-2) ri-guardo gli RCTs, mentre la qualità delle evidenze si è dimostrata essere di livello 4 (OCEBM) per i case-series/ case-reports e per lo studio longitudinale di coorte.

Nel complesso sembra che una strategia multimodale, com-prendente anche tecniche di terapia manuale e strategie passi-ve come stretching, educazione, permetta un ritorno all’attività sportiva più veloce se paragonato solamente ad un programma di esercizi attivi. Il focus degli esercizi riguarda il rinforzo musco-lare, il reclutamento del muscolo trasverso dell’addome (TA), il miglioramento di equilibrio e coordinazione, in modo da favorire la stabilità posturale del bacino (core stability).

Riguardo i trattamenti passivi, la terapia manuale può ridurre il carico sul cingolo pubico, migliorare la mobilità lombare e

athletes is more effective than nonoperative treat-ment: a randomized cli-nical trial with magnetic resonance imaging of 60 patients with spor-tsman’s hernia (athle-tic pubalgia). Surgery 2011;150(1):99–107.

9. Lloyd DM, Sutton CD, Altafa A, et al. Laparo-scopic inguinal ligament tenotomy and mesh reinforcement of the an-terior abdominal wall: a new approach for the management of chronic groin pain. Surg Laparo-sc Endosc Percutan Tech 2008;18(4):363–8.

10. Moher, D., et al., Preferred reporting items for systema-tic reviews and me-ta-a-nalyses: the PRI-SMA statement. BMJ, 2009. 339: p. b2535

11. Burns, P.B., R.J. Rohrich, and K.C. Chung, The levels of evidence and their role in evidence-ba-sed medicine. Plast Recon-str Surg, 2011. 128(1): p. 305-10

12. Shea BJ, Reeves BC, Wells G, Thuku M, Ha-mel C, Moran J, Moher D, Tugwell P, Welch V, Kri-stjansson E, Henry DA. AMSTAR 2: a critical ap-praisal tool for systema-tic reviews that include randomised or non-ran-domised studies of he-althcare interventions, or both. BMJ. 2017 Sep 21;358:j4008.

13. Charlton, P.C., Drew, M.K., Mentiplay, B.F. et al. Sports Med (2017) 47: 2011.

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dell’anca. Le rigidità a carico di anca e muscolatura dell’arto in-feriore (adduttori e flessori d’anca in primis), risultano avere un ruolo importante nel trattamento conservativo. I programmi di intervento esaminati tuttavia comprendevano numerose tipolo-gie di esercizio e terapia manuale, quindi è difficile valutare la maggior efficacia di una rispetto all’altra. Da questa revisione è emerso inoltre che il percorso riabilitativo dovrebbe includere un programma dedicato alla corsa e un training specifico per il ritorno allo sport. Infine, l’educazione dell’atleta alla percezione del proprio dolore e all’aumento del carico solo quando esso risulta “pain-free”, è fondamentale, ed è una competenza del fi-sioterapista.

Gli autori hanno quindi concluso che, nonostante le evidenze siano scarse, i programmi riabilitativi dovrebbero includere eser-cizi di reclutamento del TA, esercizi di core stability, stretching e terapia manuale per migliorare la mobilità articolare e ridurre la rigidità muscolare. Sulla base di questi risultati tuttavia è risul-tato impossibile definire delle linee guida per la pratica clinica.

COMMENTOL’obiettivo della revisione sistematica è stato quello di far luce sul trattamento conservativo del GP negli atleti e ove possibile fornire delle linee guida cliniche.

Il disegno di studio costituisce sicuramente un punto di forza della pubblicazione, trattandosi di una RS, tuttavia solamente 3 RCTs, i quali rappresentano il “gold standard” per rispondere a quesiti clinici riguardo l’efficacia di intervento11 sono stati inclusi. Gli altri studi inclusi invece, essendo prevalentemente case-re-port e case series, abbassano la qualità delle evidenze riportate. Entrando nel merito infatti, valutando l’articolo con la strumento “AMSTAR 2”12 per la valutazione critica delle revisioni sistemati-che di studi randomizzati e non randomizzati, la qualità dell’arti-colo risulta bassa. Questo risultato è dovuto al fatto che gli studi primari pubblicati in letteratura riguardo questo particolare am-bito di interesse sono pochi1, per questo motivo gli autori non hanno potuto effettuare una RS di soli RCT. Gli studi inclusi inol-tre sono altamente eterogenei riguardo alla strategia, alla durata ed alla frequenza di intervento, all’età ed al sesso dei partecipan-ti, ed infine rispetto allo sport ed al livello di competizione. Per questo motivo non è stato possibile condurre una metanalisi. In letteratura comunque, attualmente la qualità degli studi riguar-do il management delle “Groin injuries” risulta bassa6.

In merito ai risultati riportati in questa revisione va considerato che l’indicazione riguardo alla maggior efficacia del trattamento multimodale rispetto ad un programma di soli esercizi attivi è debole. Solamente 1 RCT ha ottenuto questo risultato, mentre gli altri 2 non hanno giustificato una maggior efficacia di interven-to tra quelli valutati. Riguardo l’indicazione di includere invece esercizi di reclutamento del TA, stretching, terapia manuale per migliorare il ROM e ridurre la rigidità muscolare, educazione alla percezione del dolore ed infine gestione del carico, va specifica-to che questi risultati derivano da disegni si studio che stanno alla base delle evidenze scientifiche11.

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Tuttavia sono in linea e consistenti con quelli ottenuti dalle pre-cedenti pubblicazioni sull’argomento6-13. La RS in questione ha permesso di far luce riguardo il trattamento conservativo del GP, la cui patogenesi è ancora difficile da inquadrare a causa della complessità delle strutture che vi prendono parte1-2-4-5, e che troppo spesso viene trattata in modalità non supportate da evidenza scientifica6. Per ottenere prove di efficacia solide sarà quindi necessario un numero maggiore di RCT per valutare al meglio l’efficacia di intervento riguardo in questo ambito.

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Exercise interventions and patient beliefs for people with hip, knee or hip and knee osteoarthritis: a mixed methods review

Hurley M, Dickson K, Hallett R, Grant R, Hauari H, Walsh N, Stansfield C, Oliver S. Cochrane Database Syst Rev. 2018 Apr 17;4:CD010842. doi: 10.1002/14651858.CD010842.pub2.

AbstractBACKGROUNDChronic peripheral joint pain due to osteoarthritis (OA) is extre-mely prevalent and a major cause of physical dysfunction and psychosocial distress. Exercise is recommended to reduce joint pain and improve physical function, but the effect of exercise on psychosocial function (health beliefs, depression, anxiety and quality of life) in this population is unknown.

OBJECTIVESTo improve our understanding of the complex inter-relationship between pain, psychosocial effects, physical function and exer-cise.

SEARCH METHODSReview authors searched 23 clinical, public health, psychology and social care databases and 25 other relevant resources in-cluding trials registers up to March 2016. We checked reference lists of included studies for relevant studies. We contacted key experts about unpublished studies.

SELECTION CRITERIATo be included in the quantitative synthesis, studies had to be randomised controlled trials of land- or water-based exercise programmes compared with a control group consisting of no treatment or non-exercise intervention (such as medication, patient education) that measured either pain or function and at least one psychosocial outcome (self-efficacy, depression, anxiety, quality of life). Participants had to be aged 45 years or older, with a clinical diagnosis of OA (as defined by the study) or self-reported chronic hip or knee (or both) pain (defined as more than six months’ duration). To be included in the qualitati-ve synthesis, studies had to have reported people’s opinions and experiences of exercise-based programmes (e.g. their views, un-derstanding, experiences and beliefs about the utility of exercise

Dott.ssa MONICA ERBESATO

PT BSc, OMPT

Fisioterapista

Orthopaedic Manipulative Physical Therapist

Master Riabilitazione dei Disordini Muscolo-scheletrici

Università degli Studi di Genova, Campus di Savona

Libero Professionista

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in the management of chronic pain/OA).

DATA COLLECTION AND ANALYSISWe used standard methodology recommended by Cochrane for the quantitative analysis. For the qualitative analysis, we ex-tracted verbatim quotes from study participants and synthesi-sed studies of patients’ views using framework synthesis. We then conducted an integrative review, synthesising the quantita-tive and qualitative data together.

MAIN RESULTSTwenty-one trials (2372 participants) met the inclusion crite-ria for quantitative synthesis. There were large variations in the exercise programme’s content, mode of delivery, frequency and duration, participant’s symptoms, duration of symptoms, outco-mes measured, methodological quality and reporting. Compa-rator groups were varied and included normal care; education; and attention controls such as home visits, sham gel and wait list controls. Risk of bias was high in one and unclear risk in five stu-dies regarding the randomisation process, high for 11 studies re-garding allocation concealment, high for all 21 studies regarding blinding, and high for three studies and unclear for five studies regarding attrition. Studies did not provide information on ad-verse effects.There was moderate quality evidence that exercise reduced pain by an absolute percent reduction of 6% (95% con-fidence interval (CI) -9% to -4%, (9 studies, 1058 participants), equivalent to reducing (improving) pain by 1.25 points from 6.5 to 5.3 on a 0 to 20 scale and moderate quality evidence that exercise improved physical function by an absolute percent of 5.6% (95% CI -7.6% to 2.0%; standardised mean difference (SMD) -0.27, 95% CI -0.37 to -0.17, equivalent to reducing (improving) WOMAC (Western Ontario and McMaster Universities Osteoar-thritis Index) function on a 0 to 100 scale from 49.9 to 44.3) (13 studies, 1599 participants)). Self-efficacy was increased by an absolute percent of 1.66% (95% CI 1.08% to 2.20%), although evidence was low quality (SMD 0.46, 95% CI 0.34 to 0.58, equi-valent to improving the ExBeliefs score on a 17 to 85 scale from 64.3 to 65.4), with small benefits for depression from modera-te quality evidence indicating an absolute percent reduction of 2.4% (95% CI -0.47% to 0.5%) (SMD -0.16, 95% CI -0.29 to -0.02, equivalent to improving depression measured using HADS (Ho-spital Anxiety and Depression Scale) on a 0 to 21 scale from 3.5 to 3.0) but no clinically or statistically significant effect on anxiety (SMD -0.11, 95% CI -0.26 to 0.05, 2% absolute improve-ment, 95% CI -5% to 1% equivalent to improving HADS anxiety on a 0 to 21 scale from 5.8 to 5.4; moderate quality evidence). Five studies measured the effect of exercise on health-related quality of life using the 36-item Short Form (SF-36) with stati-stically significant benefits for social function, increasing it by an absolute percent of 7.9% (95% CI 4.1% to 11.6%), equivalent to increasing SF-36 social function on a 0 to 100 scale from 73.6 to 81.5, although the evidence was low quality. Evidence was downgraded due to heterogeneity of measures, limitations with blinding and lack of detail regarding interventions. For 20/21

BIBLIOGRAFIA

1. “Development of criteria for the classifi-cation and reporting of osteoarthritis. Classifi-cation of osteoarthritis of the knee. Diagnostic and Therapeutic Crite-ria Committee of the American Rheumatism Association”. Altman R, Asch E, Bloch D, Bole G, Borenstein D, Brandt K, Christy W, Cooke TD, Greenwald R, Hochberg M., 1986

2 “An update on the pathogenesis and epi-demiology of osteoar-thritis”, David T Felson, 2004

3 “The symptoms of OA and the genesis of pain”, David J. Hunter, Jason J. McDougall, and Francis J. Keefe, 2008

4 “Years lived with di-sability (YLDs) for 1160 sequelae of 289 diseases and injuries 1990e2010: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study”, Vos T, Flaxman AD, Naghavi M, Lozano R, Michaud C, Ezzati M, et al. 2010.

5 “The epidemiology and impact of pain in osteoarthritis”, T.Neogi, 2013

6 “A systematic re-view of the association between radiographic and clinical osteoar-thritis of hip and knee” M.B.Kinds, P.M.J.Welsing E.P.Vignon, J.W.J.Bijlsma, M.A.Viergever, A.C.A.Ma-rijnissen, F.P.J.G.Lafeber.

7 “Centers for Disease

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studies, there was a high risk of bias with blinding as participan-ts self-reported and were not blinded to their participation in an exercise intervention.Twelve studies (with 6 to 29 participants) met inclusion criteria for qualitative synthesis. Their methodolo-gical rigour and quality was generally good. From the patients’ perspectives, ways to improve the delivery of exercise interven-tions included: provide better information and advice about the safety and value of exercise; provide exercise tailored to indivi-dual’s preferences, abilities and needs; challenge inappropriate health beliefs and provide better support.An integrative review, which compared the findings from quantitative trials with low risk of bias and the implications derived from the high-quality studies in the qualitative synthesis, confirmed the importance of these implications.

AUTHORS’ CONCLUSIONSChronic hip and knee pain affects all domains of people’s lives. People’s beliefs about chronic pain shape their attitudes and behaviours about how to manage their pain. People are confu-sed about the cause of their pain, and bewildered by its variabi-lity and randomness. Without adequate information and advice from healthcare professionals, people do not know what they should and should not do, and, as a consequence, avoid activity for fear of causing harm. Participation in exercise programmes may slightly improve physical function, depression and pain. It may slightly improve self-efficacy and social function, although there is probably little or no difference in anxiety. Providing re-assurance and clear advice about the value of exercise in con-trolling symptoms, and opportunities to participate in exercise programmes that people regard as enjoyable and relevant, may encourage greater exercise participation, which brings a range of health benefits to a large population of people.

SINOSSIL’osteoartrosi (OA) è definita come “Un gruppo eterogeneo di condizioni che portano a sintomi e segni articolari associati a integrità difettosa della cartilagine, oltre a modifiche a livel-lo dell’osso subcondrale e del margine articolare”1. In tutto il mondo, l’artrosi o “patologia degenerativa articolare” è la più comune malattia reumatica esistente e, secondo alcune stime, diventerà probabilmente la quarta principale causa di disabilità mondiale nel 20202-3. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 2010, tra 289 malattie, l’OA è diventata l’undi-cesima causa di anni vissuti con disabilità, con una risalita dal sedicesimo all’undicesimo posto in soli 10 anni4.

L’osteoartrosi, condizione che viene più frequentemente svi-luppata gli arti inferiori, è riconosciuta, soprattutto a causa del dolore che la caratterizza, come una delle principali cause di disabilità, perdita di autonomia e di disturbo della mobilità nell’adulto e nell’anziano5. Si stima che circa 27 milioni di adulti negli Stati Uniti e 8,5 milioni di adulti nel Regno Unito soffrano di OA clinica, definito sulla base dei sintomi e dei segni fisici. A differenza dell’OA clinica, l’OA radiografica viene definita tale

Control and Prevention. Osteoarthritis. (Acces-sed January 4, 2013, at: http://www.cdc.gov/arthritis/basics/osteoar-thritis.htm.)

8 “The epidemiology of osteoarthritis.”, John-son VL, Hunter DJ., 2014

9 “State of the eviden-ce”, Allen KD, Golightly YM, 2015

10 “Epidemiology of osteoarthritis.”, Neogi T, Zhang Y, 2013

11 Radiological asses-sment of osteo-arthro-sis, Kellgren JH, Lawren-ce JS, 1957

12 Guideline on clinical investigation of medi-cinal products used in the treatment of oste-oarthritis” committee for medicinal products for human use (chmp), 2010.

13 Health economics in the field of osteoar-thritis: an expert’s con-sensus paper from the European Society for Clinical and Economic Aspects of Osteoporo-sis and Osteoarthritis (ESCEO), Hiligsmann M1, Cooper C, Arden N, Boers M, Branco JC, Lu-isa Brandi M, Bruyère O, Guillemin F, Hochberg MC, Hunter DJ, Kanis JA, Kvien TK, Laslop A, Pelletier JP, Pinto D, Rei-ter-Niesert S, Rizzoli R, Rovati LC, Severens JL, Silverman S, Tsouderos Y, Tugwell P, Reginster JY, 2013

14 “Economic impact of lower-limb osteo-arthritis worldwide: a systematic review of cost-of-illness studies”, J.H. Salmon, A.C. Rat, J. Sellam, M. Michel, J.P. Eschard, F. Guillemin, D. Jolly, B. Fautrel, 2013

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tramite la classificazione di Kellgren e Lawrence (KL) e, negli ultimi anni, anche tramite la misura effettiva della larghezza del-lo spazio articolare (JSW). La principale limitazione è che, fatta eccezione per il tessuto osseo, i tessuti coinvolti nell’osteoartosi, come cartilagine e sinovia, sono valutati solo parzialmente o non sono valutati. L’OA clinica, invece, viene definita tale sulla base di scale di valutazione validate e ampiamente utilizzate come la VAS per il dolore e la WOMAC. In letteratura, ad oggi, sono note-volmente ridotti gli studi che dimostrano una correlazione negli outcome tra l’OA clinica e quella radiografica6. La prevalenza di OA sembra aumentare con l’età; viene stimato che il 13,9% degli adulti di età pari o superiore a 25 anni sia affetto da OA clinica ad almeno un’articolazione e che il 33,6% degli adulti di età pari o superiore a 65 anni soffra di OA6. Tuttavia, i dati sulla prevalenza e l’incidenza di OA sembrano variare a seconda della definizione di OA, delle articolazioni interessate e della popola-zione studiata8-9-10.

Solitamente, negli studi epidemiologici, l’OA è però spesso diagnosticata solamente sulla base di valutazioni radiografi-che standard, per esempio tramite la gradazione di Kellgren e Lawrence11, senza tener conto dell’OA clinica. Approcci più re-centi propongono di fare diagnosi di osteoartrosi basandosi sul-la combinazione di caratteristiche cliniche e, dove necessario, conferma radiografica (riferita ad una OA sintomatica)12. Pertan-to, i dati in nostro possesso potrebbero essere sottostimati.

Il peso economico dell’artrosi è elevato, sia in termini di costi sanitari diretti che indiretti13. Con l’invecchiamento della popola-zione e la crescente prevalenza dell’obesità e della sedentarietà in molti paesi sviluppati, l’onere economico dell’OA potrebbe es-sere ancora più elevato nei prossimi anni14.

Al momento sembra non esistano cure specifiche per questa pa-tologia, così la ricerca e le recenti linee guida15 raccomandano che ai pazienti, subito dopo la diagnosi, vengano prescritti eser-cizi fisici adattati, informazioni sulle cause e sul decorso della patologia, sull’autogestione e, se necessario, raccomandazioni sulla perdita di peso come nucleo di trattamento per prevenire la disabilità e la compromissione della salute. Queste indicazio-ni di base sembrano portare ad un miglioramento dei sintomi dell’OA riducendo il dolore e aumentando la funzionalità e ha il potenziale di ritardare l’intervento chirurgico di sostituzione protesica16. A tale scopo, le linee guida britanniche del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) raccomandano di adottare un approccio multimodale comprendente rinfor-zo muscolare dell’area interessata dall’OA, esercizio aerobico, stretching e terapia manuale sulla base della valutazione inizia-le, degli impairment fisici e funzionali, degli obiettivi prefissati e concordati col paziente e alle preferenze del paziente15. É sta-to dimostrato , infatti, che sia gli esercizi a domicilio, sia quelli supervisionati portano a riduzioni dell’intensità del dolore simili e che sono più efficaci della sola educazione. Inoltre, sembra che le persone con OA del ginocchio beneficiano maggiormente dell’esercizio rispetto a quelle con OA d’anca17.

15 “ O s t e o a r t h r i t i s : care and management”, NICE, 2014

16 “EULAR recom-mendations for the non-pharmacological coremanagement of hip and knee osteoarthritis”, Fernandes L, Hagen KB, Bijlsma JW, Andreassen O, Christensen P, Cona-ghan PG, et al., 2013

17 “Education, home exercise and supervi-sed exercise for people with hip and knee oste-oarthritis as part of a nationwide implemen-tation programme: data from the BOA registry” A Dell’Isola, T Jönsson, J Ranstam, L E Dahlberg, E Hansson, 2019

18 “The Cochrane Col-laboration’s tool for as-sessing risk of bias in randomised trials.” BMJ, Higgins, J.P., et al., 2011

19 “Applying syste-matic review methods to studies of people’s views: an example from public health research”, Harden A, Garcia J, Oli-ver S, Rees R, Shepherd J, BruntonG, et al., 2004

20 “The effect of sit ’n’ fit chair yoga among community-dwelling ol-der adults with osteoar-thritis” Park J, McCaffrey R, Newman D, Cheung C, Hagen D., 2014

21 “The effects of a healtheducational and exercise program for older adults withoste-oarthritis for the hip or knee”, Hopman-Rock M, Westhoff MH., 2000

22 The effectiveness of a self-management pro-gram on qualityof life for knee osteoarthritis (OA) Kao MJ, Wu MP, Tsai MW, Chang WW, Wu SF, 2012

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Inizia le grandi cose quando sono piccole, anche un viaggio di mille miglia deve iniziare da un singolo passo... | Lao Tzu

L’educazione rappresenta un altro pilastro nella gestione del pa-ziente con OA15: agire attivamente su credenze e opinioni poco favorevoli (ad esempio che l’esercizio fisico può aggravare la loro situazione), affrontare assieme al paziente fattori come i comportamenti di evitamento, la paura del dolore e del movi-mento, rientrano in una visione e un approccio biopsicosociale, il quale viene ormai fortemente raccomandato per la gestione dell’OA, ma non solo . In letteratura troviamo diversi studi che dimostrano la relazione tra esercizio fisico e riduzione del dolo-re e della disabilità in persone con OA16-17 mentre difficilmente troviamo evidenze del rapporto tra fattori psicosociali e utilità dell’esercizio. L’importanza di questa interrelazione rimane an-cora incerta e le potenziali opzioni di trattamento sottoutilizza-te. Sono altresì poco chiare le modalità più idonee ed efficaci per la somministrazione dell’esercizio fisico (consigli ed infor-mazioni, modalità di esecuzione, posologia, intensità, volume, etc.). Mossi da questa lacuna, gli autori della presente revisio-ne si sono prefissati di condurre una revisione sistematica (RS) qualitativa e quantitativa con lo scopo di:

• migliorare la comprensione della complessa relazione esi-stente tra dolore, fattori psicosociali, disabilità ed esercizio fisico per le persone che soffrono di dolore cronico dovuto all’OA di anca e/o ginocchio;

• comprendere quali siano le esperienze, le opinioni, le prefe-renze, le credenze e i consigli ricevuti dai professionisti sanitari delle persone affette da OA riguardo i programmi di riabilitazio-ne basati sull’esercizio;

• identificare le modalità più efficaci per educare i pazienti sull’importanza dell’esercizio e su come somministrarlo;

• sviluppare modelli di cura più efficienti.

Per quanto concerne la revisione quantitativa sono stati ricercati studi randomizzati controllati (RCT) che indagassero l’efficacia di un intervento basato sull’esercizio fisico per pazienti con OA di anca e/o ginocchio. Sono stati inclusi studi clinici aventi come soggetti uomini e donne di età pari o superiore a 45 anni con diagnosi clinica di OA e che riportassero dolore cronico (da più di 6 mesi) all’anca e/o ginocchio. Sono stati inclusi programmi di riabilitazione basati sull’esercizio terrestre o acquatico, singolo o di gruppo, domiciliari o supervisionati; il gruppo di controllo consiste nel non ricevere alcun trattamento o essere in lista di attesa o altro trattamento (ad esempio farmacologico). I princi-pali outcome sono: dolore, disabilità, autoefficacia, depressione, ansia, qualità della vita ed effetti avversi dell’esercizio. Per quan-to riguarda la revisione qualitativa sono stati selezionati articoli riportanti opinioni dei partecipanti in merito ai programmi basati sull’esercizio e alle modalità di somministrazione ricevute e le loro credenze, sentimenti, esperienze o aspettative sull’esercizio fisico usato come trattamento per l’osteoartrosi (ad es. Le loro opinioni e convinzioni sull’utilità dell’esercizio nella gestione del dolore cronico o gli ostacoli all’adesione al programma).

23 “Effects of spou-se-assisted coping skil-ls training and exercise training in patients with osteoarthritic knee pain: a randomized controlled study” Keefe FJ, Blu-menthal J, Baucom D, Affleck G, Waugh R,Cal-dwell DS, et al,.2004.

24 “The effectiveness of an aquarobic exerci-se program for patients with osteoarthritis.” Kim IS, Chung HS, Park YJ, Kang HY, 2012

25 “Improving physical activity and function in overweight and obese older adults with oste-oarthritis of the knee: a feasibility study”, Sch-lenk EA, Lias JL, Sereika SM, Dunbar-Jacob J, KwohCK. 2011

26 “Exercise, self-effi-cacy, and mobility per-formance in overweight and obese older adults with knee osteoarthri-tis”, Focht BA, Rejeski WJ, Ambrosius WT, Katula JA, Messier SP, 2005

27 “Effects of strength training on the incidence and progression of knee osteoarthritis.” Mikesky AE, Mazzuca SA, Brandt KD, Perkins SM, Damush T, Lane KA., 2006

28 ”Effects of a cross-training exercise program in persons wi-thosteoarthritis of the knee a randomized con-trolled trial”, Péloquin L, Bravo G, Gauthier P, Lacombe G, Billiard JS., 1999

29 “One-year followup of patients with oste-oarthritis of the knee who participated in a program of supervi-sed fitness walking and supportive patient edu-cation”, Sullivan T, Alle-

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Prove di qualità moderata mostrano che l’esercizio fisico dimi-nuisce il dolore di una riduzione percentuale assoluta del 6% (in-tervallo di confidenza al 95% (IC) da -9% a -4%, (9 studi, 1058 partecipanti)), equivalente a ridurre il dolore di 1,25 punti da 6,5 a 5,3 su una scala da 0 a 20 e che migliora la funzione fisica di una percentuale assoluta del 5,6% (IC 95% da -7,6% a 2,0%) nella scala WOMAC (indice di osteoartrosi delle università dell’Ontario occidentale e McMaster) su una scala da 0 a 100 da 49,9 a 44,3) . L’autoefficacia è stata aumentata di una percentuale assoluta dell’1,66% (IC 95% da 1,08% a 2,20%), sebbene le prove fossero di bassa qualità, con piccoli benefici per la depressione da prove di qualità moderata che indicano una riduzione percentuale as-soluta del 2,4%, misurata usando l’HADS (Hospital Anxiety and Depression Scale). Solamente uno studio ha valutato la qualità del sonno ma non è stata riscontrata alcuna differenza significa-tiva. Non è stato riscontrato alcun effetto clinicamente o stati-sticamente significativo sull’ansia. Cinque studi hanno misurato l’effetto dell’esercizio fisico sulla qualità della vita correlata alla salute usando la Short Form-36 (SF-36) con benefici statistica-mente significativi per la funzione sociale, sebbene l’evidenza fosse di bassa qualità. Le prove sono state ridimensionate a cau-sa dell’eterogeneità delle misure, dei limiti di cecità e della man-canza di dettagli relativi agli interventi. Nessun effetto avverso è stato riscontrato.

I risultati della sintesi qualitativa sono stati riassunti in 4 macro-categorie:

• sintomi (dolore e disabilità, impatto dell’esercizio sull’OA);

• credenze sulla salute sulla gestione della patologia (eziologia e prognosi dell’OA, consigli e informazioni da parte di altri pro-fessionisti sanitari);

• fattori psicologici (autoefficacia, benefici psicologici dell’e-sercizio);

• fattori sociali e ambientali che possono influenzare l’adesio-ne al programma terapeutico (supporto familiare, barriere ed ostacoli all’esercizio, identità sociale).

La descrizione del dolore variava molto in base agli studi presi in considerazione anche se spesso è stato descritto come inspie-gabilmente incostante, incoerente, difficilmente prevedibile con un importante impatto sulle attività della vita quotidiana e sulla partecipazione sociale. Spesso l’attività fisica veniva diminuita o interrotta per paura con conseguente aumento della disabi-lità. Dal punto di vista dei pazienti, strategie per migliorare la somministrazione degli interventi di allenamento includono: for-nire migliori informazioni e consigli sulla sicurezza e sul valore dell’esercizio fisico e del mantenimento di uno stile di vita attivo; esercizi su misura in base alle preferenze, capacità e esigenze dell’individuo; spiegazioni chiare e semplici in merito a eziologia e prognosi dell’OA; cambiare le convinzioni sanitarie inadeguate e fornire un migliore supporto sociale e familiare.

grante JP, Peterson MG, Kovar PA, MacKenzie CR., 1998

30 “Effects of a self-management arthri-tis programme with an added exercise compo-nent for osteoarthritic knee: randomized con-trolled trial” Yip YB, Sit JW, Fung KK, Wong DY, Chong SY, ChungLH, et al., 2005

31 “The effect of a 12-week supervised mul-ti-component exercise program on knee OA in Turkish women.” Agla-mis B, Toraman NF, Ya-manc H., 2008

32 “The efficacy of home based progressive strength training in older adults with knee osteo-arthritis: a randomized controlled trial.” Baker KR, Nelson ME, Felson DT, Layne J, Sarno R, Roubenoff R., 2001

33 “Effect of physical therapy on pain and function in patients with hip osteoarthritis: a ran-domized clinical trial.” Bennell KL, Egerton T, Martin J, Abbott JH, Metcalf B, McManus F, et al., 2014

34 “Physical thera-pist-delivered pain co-ping skills training and exercise for knee oste-oarthritis: randomized controlled trial.”, Bennell KL, Ahamed Y, Jull G, Bryant C, Hunt MA, For-bes AB, et al., 2016

35 “Yoga for mana-ging knee osteoarthritis in older women: a pilot randomized controlled trial.” Cheung C, Wyman JF, Resnick B, Savik K., 2014

36 “Efficacy of pa-tient education and supervised exercise vs

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Infine la sintesi dei risultati qualitativi e quantitativi è stata divisa in due parti:

• sono state identificate componenti di programmi di allena-mento efficaci confrontando le implicazioni derivate dalla sinte-si qualitativa con i programmi di esercizio valutati da RCT con basso rischio di bias33-34-35-36-37-38-39, che hanno favorito l’esercizio anche se non tutti erano statisticamente significativi: esercizi individualizzati, basati sulle preferenze e possibilità del singolo individuo e somministrati con adeguate informazioni e incorag-giamenti da parte del professionista sanitario comportano mag-giore adesione al trattamento e migliori outcome;

• confronto dei programmi di esercizi degli RCT con un rischio medio/alto di bias20-21-22-23-24-25-26-27-28-29-30-31-32-40 con le implicazio-ni della sintesi qualitativa: alcuni programmi prevedono attività che incontrano le preferenze dell’individuo permettendogli di decidere se eseguire gli esercizi a casa o in palestra; è utile il supporto della famiglia e degli amici.

Alla luce dei risultati gli autori hanno concluso che partecipare ad un programma di esercizi possa diminuire la disabilità, il do-lore e la depressione nelle persone che soffrono di dolore cro-nico derivante dall’OA. Potrebbe anche migliorare leggermente l’autoefficacia e la partecipazione sociale anche se non è sta-ta riscontrata alcuna differenza nell’ansia. Fornire informazioni e consigli chiari riguardo il ruolo dell’esercizio nel controllo dei sintomi, il decorso e l’eziologia della patologia e garantire op-portunità concrete e piacevoli di partecipare a programmi di ri-abilitazione può aumentare l’adesione al trattamento e portare un notevole beneficio alla salute.

COMMENTOLa revisione in questione è stata condotta con lo scopo di inda-gare la relazione tra il dolore, la disabilità, i fattori psicosociali e l’esercizio fisico nelle persone che soffrono di dolore croni-co derivante da OA di anca e/o ginocchio. Per soddisfare tale obiettivo è stata quindi eseguita una RS quantitativa di RCTs (che rappresenta il gold standard per rispondere a quesiti cli-nici legati all’efficacia di un intervento41) e qualitativa. Questa scelta rappresenta un punto di forza dello studio dal momento che permette di indagare sia l’effettiva efficacia di un intervento, ovvero se l’esercizio fisico sia una strategia vincente nel tratta-mento dell’OA, anche se già ampiamente riscontrato in diversi studi16-17 e nelle linee guida15, sia le credenze e le opinioni dei pazienti in merito all’argomento. Anche la scelta degli outcome, primari e secondari, è coerente con la rilevanza clinica che essi stessi possiedono nei pazienti con OA. Un altro punto di forza di questa revisione sistematica è costituito dal rigore metodologi-co con la quale è costruita, avendo seguito nella sua realizzazio-ne quanto previsto dalla Cochrane Collaboration. Un altro punto di forza è la scelta delle numerose banche dati coadiuvata dalla ricerca manuale, che ha garantito l’analisi di un ampio numero di studi scientifici.

patient education alo-ne in patients with hip osteoarthritis: a single blind randomized clini-cal trial.”, Fernandes L, Storheimyz K, Sandvik L, Nordsletten L, Risberg MA., 2010

37 “Physical activity for osteoarthritis mana-gement: a randomized controlled clinical trial evaluating hydrotherapy or Tai Chi classes.”, Fran-sen M, Nairn L, Winstan-ley J, Lam P, Edmonds J., 2007

38 “Exercise and Ma-nual Physiotherapy Ar-thritis Research Trial (EMPART) for osteo-arthritis of the hip: a multicenter randomized controlled trial”, French H, Cusack T, Brennan A, Caffrey A, ConroyR, Cuddy V, et al., 2013

39 . “Clinical effective-ness of a rehabilitation program integrating exercise, self-manage-ment, and active coping strategies for chronic knee pain: a cluster ran-domized trial.”, Hurley MV, Walsh NE, Mitchell HL, Pimm TJ, Patel A, Williamson E, et al, 2007

40 “Tai Chi is effective in treating kneeosteo-arthritis: a randomized controlled trial”, Wang C, Schmid CH, Hibberd PL, Kalish R, Roubenoff, R, Rones R, et al., 2009

41 “The levels of evi-dence and their role in evidence-based medi-cine.” Burns, P.B., R.J. Rohrich, and K.C. Chung, 2011

42 “ P s y c h o l o g i c a l aspects of pain.”, Main C, Watson P., 2002

43 “Biopsychosocial perspectives on chronic pain”, Turk DC., 1996

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Per quanto riguarda le differenze tra i vari studi clinici presi in esame, non vi è omogeneità nella tipologia, posologia e moda-lità di esercizio somministrato. Disomogenei risultano altresì le misure di outcome, la maggior parte dei quali sono self-reported ed esposti quindi ad un alto rischio di recall bias, e i tempi per il follow-up. Questo aspetto contribuisce a rendere più difficile un paragone tra le varie metodiche utilizzate rendendo lecito il quesito se esista un esercizio migliore di un altro. La maggior parte degli studi inclusi, inoltre, presentano una ridotta dimen-sione campionaria (meno di 50 partecipanti). Un ultimo limite è l’inclusione nella RS di RCTs di qualità da bassa a moderata, alcuni dei quali esposti ad alto rischio di bias. Dal punto di vista metodologico, i bias a cui risultano essere maggiormente espo-sti gli studi riguardano il blinding (performance e detection bias) e allocation bias.

Il tema affrontato dalla RS è estremamente attuale e dibattuto: se da un lato risulta ormai ampiamente riconosciuto in lettera-tura il valore dell’esercizio fisico nel trattamento dell’OA di anca e ginocchio, questo difficilmente viene trasmesso al paziente16 e ancora incerte sono le modalità con cui questo valore dovrebbe essere trasmesso. Il dolore cronico articolare è il sintomo princi-pale e maggiormente disabilitante dell’osteoartrosi e le reazioni delle persone al dolore sono molto variabili e influenzate dalle credenze, dai significati e dalle spiegazioni che vi attribuiscono. Le convinzioni sulla causa, la prognosi e l’efficacia del tratta-mento sono fattori chiave del comportamento di malattia e della risposta al trattamento42-43. Le persone credono comunemente che il dolore articolare sia una conseguenza inevitabile dell’in-vecchiamento, causato o esacerbato dall’attività, che evoca sen-timenti di impotenza, ansia, depressione e comportamento di “paura e evitamento”, e di conseguenza evitano l’attività fisica per paura di causare ulteriori dolore e danno. Tuttavia, evitare le attività sembra comportare una maggiore debolezza muscolare, instabilità e rigidità articolari, dolore esacerbato, disabilità44. Il nostro ruolo, da professionisti sanitari, è quello di aiutare i pa-zienti a riconcettualizzare la relazione tra esercizio e dolore ed educarli sulle caratteristiche di questo disturbo. Dobbiamo es-sere consapevoli del ruolo chiave che il fisioterapista può avere nel trasmettere il valore dell’esercizio fisico a questo tipo di pa-zienti e nell’aiutarli a modificare, grazie ad esperienze positive dirette, credenze e comportamenti poco idonei. Fondamentale è altresì far capire al nostro paziente che un approccio attivo come l’esercizio fisico è una strategia sicura ed efficace che può anche migliorare il senso di autoefficacia, facendo sì che siano autosufficienti nel gestire il disturbo, ridurre le disabilità a lungo termine, ma anche limitare l’ansia, il senso di impotenza, la cata-strofizzazione e i livelli di depressione42-43-45. Lo scopo è quello di attuare un cambiamento comportamentale, ovvero incoraggiare le persone a esercitarsi regolarmente, ma il modo più efficace per fornire consigli sull’allenamento non è ancora chiaro. Sono necessari ulteriori studi in merito all’argomento. I programmi di-dattici, che spiegano i benefici dell’esercizio fisico per la gestio-ne del dolore articolare utilizzando informazioni verbali o scritte,

44 “Pain and disability in osteoarthritis: a re-view of biobehavioral mechanisms,”, Dekker J, Bott B, van der Woude LH, Bijlsma JW., 1992

45 “Evidence-based recommendations for the role of exercise in the management of osteoarthritis of the hip or knee--the MOVE consensus.”, Roddy E., Zhang W, Doherty M, Ar-den NK, Barlow J, Birrell F, Carr A, Chakravarty K, Dickson J, Hay E, Hosie G, Hurley M, Jordan KM, McCarthy C, McMurdo M, Mockett S, O’Reilly S, Peat G, Pendleton A, Ri-chards S, 2005.

46 “ U n d e r s t a n d i n g knee osteoarthritis from the patients’ per-spective: a qualitative study.”, Carmona-Terés V, Moix-Queraltó J, Pujol-Ribera E, Lumil-lo-Gutiérrez I, Mas X, Batlle-Gualda E, Gob-bo-Montoya M, Jo-dar-Fernández L, Beren-guera, 2017

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come ad esempio opuscoli informativi o programmi televisivi, possono illuminare le persone, ma non descrivono in dettaglio come iniziare l’esercizio, cosa fare e cosa non fare, quando, come o quanto, e non riescono a convincere le persone che hanno spe-rimentato molti anni di dolore correlato all’attività che l’esercizio fisico di intensità moderata non aggraverà la loro condizione. Di conseguenza, i programmi didattici possono avere una capaci-tà limitata di migliorare le convinzioni sulla salute, la fiducia in se stessi, l’autoefficacia, la capacità di affrontare e influenzare il cambiamento comportamentale. Per le persone con dolori arti-colari, l’esercizio fisico rimane un compito oneroso, che richiede tempo e fatica e che può aggravare il loro dolore.

Grazie alla raccolta delle opinioni dei pazienti derivante dall’ana-lisi qualitativa, inoltre, viene indagato anche lo stato emotivo del paziente che soffre di dolore cronico derivante da osteoartrosi. Diverse opinioni fanno emergere la necessità, da parte del pa-ziente, di conoscere meglio la propria patologia: qual è l’eziolo-gia, la prognosi, la progressione della patologia e l’andamento del dolore. Abbiamo un ruolo importante nel fornire spiegazioni valide, chiare e semplici al fine di poter migliorare la loro con-sapevolezza, rassicurarli e indirizzarli verso la migliore opzione terapeutica in nostro possesso.

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La rubrica: Metodologia della ricerca LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI

Misurare i risultati in riabilitazione dei disordini muscoloscheletriciDefinizione degli obiettiviUn corretto inquadramento clinico del paziente consente di definire gli obiettivi del progetto riabilitativo individua-le, che dal momento della presa in carico riabilitativa fino al termine del percorso di cura saranno utilizzati come indicatori “oggettivi” per la valutazione dell’efficacia del trattamento. Il raggiungimento di tali obiettivi può essere anche inteso come un punto di arrivo (“end-point”) del trattamento.

È essenziale che gli obiettivi siano raggiungibili, oltre che condivisi con il paziente ed i familiari, pertanto è necessa-rio poter misurare il cambiamento del quadro clinico, per definire se l’obiettivo sia stato raggiunto o meno. La capa-cità di misurare un fenomeno è una caratteristica comune alle discipline di carattere scientifico, infatti solo in questo modo sarà possibile verificare i risultati conseguiti.

In ambito clinico, la misurazione dovrebbe essere pro-grammata in almeno tre momenti differenti del program-ma riabilitativo, ovvero: prima di iniziare il trattamento (baseline), con lo scopo di definire l’inventario degli im-pairment, stabilire gli end-point e stimare le risorse neces-sarie al loro perseguimento; in itinere per verificare l’an-damento dell’intervento ed eventualmente ridefinire ed aggiornare gli end-point; al termine per verificarne l’effet-tivo raggiungimento. Per completezza, sarebbe opportu-no fissare ulteriori misurazioni da eseguire dopo il termine del progetto riabilitativo (follow-up), allo scopo di monito-rare l’evoluzione dei risultati raggiunti.A seconda delle caratteristiche della patologia di base (e.g. traumatica, degenerativa) e della fase di malattia (e.g. acuta, cronica), l’intervento riabilitativo si dovrà por-re obiettivi differenti a seconda che si voglia:

a) recuperare una competenza funzionale temporaneamente persa;b) promuovere il miglioramento una competenza residua;

Dott. ANDREA TUROLLA

PT BSc, MSc, OMPT, PhDFisioterapistaOrthopaedic Manipulative Physical TherapistCoordinatore Nazionale, Comitato Scientifico AIFIDottorato di Ricerca in Neu-roscienzeDocente Master in Riabilita-zione dei Disordini Muscoloscheletrici, Università degli Studi di GenovaDocente Corso di Laurea in Fisioterapia, Università degli Studi di PadovaDocente Corso di Laurea in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie, Università degli Studi di VeronaDocente Corso di Laurea in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie, Università Vita-Salute San Raffaele. MilanoMovement Neuroscience Research Group. San Camil-lo IRCCS. Venezia

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Gruppo di Terapia Manuale | Ottobre 2019

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c) limitare la perdita di funzione nel caso di malattie ad andamento cronico-degenerativo, sia riducendo l’impatto dei fattori di rischio, che rallentando la progressione;d) individuare strategie compensative.

Come regola clinica generale, è consigliabile porre obiettivi più facilmente raggiungibili all’inizio del trattamento, per migliorare la motivazione e l’adesione al trattamento del paziente, evitando così esperienze frustranti di insuccesso. Inoltre, è raccomanda-bile suddividere gli obiettivi a lungo termine più difficili da rag-giungere, in sequenze di sotto-obiettivi specifici, così da costru-ire un percorso gratificante per il paziente. In caso di mancato raggiungimento di un obiettivo, oltre ad un’analisi delle cause e ad un’eventuale ridefinizione degli obiettivi stessi, è importante amplificare ciò che il paziente è riuscito comunque ad ottenere. Mettere in luce gli aspetti positivi e mostrare di apprezzare gli sforzi fatti ed i risultati anche parziali che sono stati raggiunti, rende infatti più facile per la persona accettare modifiche al pia-no di trattamento e la ridefinizione di nuovi obiettivi.

A livello generale, l’obiettivo finale di qualsiasi intervento riabili-tativo è quello di ricondurre la persona al pieno stato di salute. Ovvero, secondo il modello bio-psico-sociale proposto dall’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità (OMS) con l’International Classification of Functioning, Disabilities and Health (ICF), la ria-bilitazione ha come obiettivi:

• la riduzione delle menomazioni (impairment) nei domini delle strutture e delle funzioni del corpo,• il miglioramento delle attività• la riduzione delle restrizioni nella partecipazione sociale.

Pertanto, il risultato complessivo del progetto riabilitativo indivi-duale dovrebbe tenere conto di tutti gli interventi clinici, psico-logici e sociali messi in atto durante il percorso di recupero. La misurazione di tale risultato deve tenere conto sia di valutazioni registrate dall’operatore (clinician reported outcome measure – CROM), che dal paziente stesso (patient reported outcome me-asure – PROM). Nella pratica clinica, non sarà sempre possibile ri-pristinare il livello di funzionamento del paziente precedente alla patologia ed ottenere così un totale e completo reintegro nella vita di relazione; in questi casi sarà essenziale valutare il grado di autonomia raggiunto, la possibilità di individuare strategie alter-native di compenso, come ad esempio l’eventuale necessità di assistenza e/o supervisione da parte della rete familiare/sociale di supporto.

Scelta dell’outcomeValutare un outcome significa identificare una qualunque misura che sia rilevabile longitudinalmente nel tempo. Tale misura può essere riferita sia al paziente, che al contesto di vita del pazien-te (e.g. famiglia o comunità). Perché possa essere attribuito un significato a tale misura, questa deve cambiare nel tempo per effetto di un intervento clinico. Si parla di misura di outcome

BIBLIOGRAFIA

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quando una o più sequenze di operazioni valutative vengono strutturate in protocolli standardizzati, in modo da restituire un punteggio, con lo scopo di quantificare la perfomance o lo stato di salute della persona. La scelta di un outcome e della sua even-tuale misura standardizzata è uno dei momenti fondamentali del lavoro clinico, poiché la sua misurazione può assumere il signi-ficato di risultato (intermedio o finale) dell’attività riabilitativa. Pertanto, a seconda del dominio scelto e del costrutto che la misura di outcome è in grado di misurare, potrà esserci una mag-giore o minore congruenza con il giudizio della persona e con la sua soddisfazione rispetto alla proposta terapeutica. Per rendere più lineare il processo di scelta dell’outcome, è necessario clas-sificare gli outcome in riferimento ad un modello dello stato di salute della persona.

• Controllo motorio• Vista• Udito• Umore• Linguaggio• Funzioni esecutive• Memoria• Fluenza verbale• Forza• Passo• Postura• Presa• Problem Solving• Attenzione• Consapevolezza• Eloquio

STRUTTURE EFUNZIONI DEL CORPO

Costruttimisurabili

DOMINIO

• Supporto sociale familiare/amici• Tecnologie assistive• Politiche• Facilitazioni sul luogo di lavoro• Accettazione comunitaria• Accesso ai servizi informativi• Ambiente naturale• Abitazione• Attitudini

FATTORIAMBIENTALI

• Fisica• Psicologica• Sociale• Spirituale• Benessere generale

QUALITÀDELLA VITA

• Stare in piedi• Salire le scale• Camminare• Mobilità• Sollevare• Stare seduti• Vestirsi• Mangiare• Igiene personale• Gestione della continenza• Gestione finanziaria• Cucinare• Fare il bucato• Pulire• Guidare

ATTIVITÀ

• Gestione della casa• Educazione• Lavoro• Attività ricreative• Religione• Ruolo sociale• Ruolo parentale• Cura dei figli• Ruolo comunitario

PARTECIPAZIONE

Figura 1. Outcome rilevanti per la riabilitazione divisi per dominio di appartenenza, secondo la classificazione ICF.

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In figura 1 sono riportati alcuni esempi dei possibili costrutti mi-surabili come outcome, in riferimento al dominio ICF di apparte-nenza.

A fini scientifici, la scelta della misura di outcome permette di distinguere la variabile dipendente scelta per falsificare l’ipotesi sperimentale (outcome primario), da tutte le altre (outcome se-condari) (Tabella 1).

Tipo di outcome Definizione e ambito di applicazione

Robusto Variabile clinica rilevante per la valutazione del problema di salute del paziente.

Surrogato Ogni variabile fisiologica che fornisca una misura indiretta dell’e�etto clinico dovuto ad un intervento

Primario Target per misurare l’e�etto clinico di un intervento in ambito sperimentale. Misura di outcome utilizzata per il calcolo della dimensione campionaria.

Secondario Tutte le misure di outcome associate all’e�etto clinico di un intervento (studio sperimentale)

Tabella 1. Classificazione di un outcome in riferimento al suo ambito di applicazione.

L’utilizzo delle misure di outcome ha diverse ricadute utili sia in ambito clinico, che di ricerca ed organizzazione dei servizi.

Ad esempio, l’utilizzo sistematico di misure di outcome permet-te una compilazione condivisa ed interpretabile della documen-tazione clinica, permette lo sviluppo di una conoscenza clinica condivisa e di una migliore cultura inter-professionale, oltre a permettere una migliore organizzazione e rendicontazione delle risorse disponibili (i.e. umane, infrastrutturali), sulla base dell’a-nalisi dei bisogni e degli obiettivi strategici.

Tuttavia, benché siano numerosi i vantaggi nell’utilizzo sistema-tico delle misure di outcome, spesso sono altrettanto numerose le barriere che ancora ne limitano la loro diffusione (Tabella 2).

Individuale Gruppo/OrganizzazioneVANTAGGIClinico Decisione clinica; Rendicontazione competenza

Comunicazione Comunicazione; E�cienza(operatori) interazione

Comunicazione Comunicazione; E�cacia(paziente) coinvolgimento

Finanziatori Comunicazione; Valorizzazione processi decisionali

Scientifico E�etto di un intervento E�cacia clinica (Studi clinici)

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Individuale Gruppo/OrganizzazioneLIMITITempo Tempo e costi(somministrazione, interpretazione) Assenza di rimborso

Conoscenza Politiche(di coltà nella selezione di misure globali) mancanza di legislazione

Risorse Cultura(carenza di operatori, eccessiva conflitti organizzativi disponibilità di strumenti, materiali) professionali/politici

Competenze Mancanza di consenso(formazione, prassi, esperienza) mancanza di linee guida applicative

Attitudine(scetticismo, poca confidenza, necessità)

Tabella 2. Vantaggi e limiti nell’utilizzo delle misure di outcome.

Interpretazione delle misure di outcomeIl risultato numerico che si ottiene dall’applicazione di una misura di outcome necessita di essere trasformato in una informazione clinicamente rilevante. Tale informazione clinica è la base per il processo circolare dell’adattamento della terapia all’evoluzione del singolo paziente, sia in riferimento ad un preciso istante, che prospetticamente nel tempo. L’interpretazione del punteggio che si ottiene dall’applicazione di una misura di outcome rap-presenta un momento clinico fondamentale, pertanto una cor-retta conoscenza delle proprietà quantitative della misura scel-ta permetterà di assegnare il giusto significato al risultato e di comprendere il cambiamento osservato. Infatti, l’interpretazione quantitativa di un cambiamento permette di discriminare stati clinici diversi del paziente, ovvero:

• predire eventi e condizioni di salute future (prognosi)• osservare il cambiamento del quadro clinico nel tempo (effetto clinico)

Il processo decisionale nella selezione di una misura di outco-me, sia a fini prognostici che terapeutici, dovrebbe partire dalla scelta del dominio ICF da valutare, per arrivare alla classifica-zione del suo utilizzo, tenuto conto delle proprietà clinimetriche note (Figura 2); tale processo decisionale permette di ricostruire in qualunque momento una corretta interpretazione clinica del percorso riabilitativo.

PrimarioSecondario

Dominio ICF Costrutto Misura di outcome(clinimetrics)

RobustoSurrogato

Figura 2. Flusso decisionale per la scelta di una misura di outcome.

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Proprietà delle misura di outcomeLe proprietà di una misura di outcome rappresentano l’insieme delle caratteristiche quantitative (clinimetrics), che derivano da specifici disegni sperimentali, finalizzati alla validazione della mi-sura stessa. Tali proprietà permettono al clinico di conoscere, con una data confidenza, quale potrà essere il margine di errore in cui sicuramente incorrerà nella valutazione del singolo paziente. Infatti, anche la misurazione clinica, come qualunque altro tipo di misurazione quantitativa, risente di problemi di precisione, dati sia dalla distorsione che l’operatore introduce quando effettua la misura, sia dalla variabilità dei fenomeni che si vogliono quantifi-care. Pertanto, il clinico che effettui una misura quantitativa non potrà mai considerare il punteggio grezzo quale il vero valore che descrive lo stato del paziente, ma al meglio potrà conoscere l’intervallo in cui probabilmente cade il vero punteggio (interval-lo di confidenza). Nella tabella 3 sono riportati le proprietà più comuni delle misure di outcome, con i relativi indici interpretativi. L’interpretazione di tali proprietà permettono al clinico di deci-dere se la misura di outcome scelta sia adeguata al costrutto che intende misurare, prima della sua somministrazione.

Indice Definizione Valori di riferimento

Errore standard della misura (SEM) Quantità di errore che può essere considerato come errore di misura

Calcolato in unità di misura della scala (i.e. corrisponde ad una certa quantità di punti)

Minimal Detectable Change (MDC) Quantità minima di punteggio che si deve misurare come cambiamen-to (i.e. almeno 2 misure nel tempo) per essere sicuri che la differenza non sia all’interno del SEM

Calcolato come intervallo di con-fidenza (e.g. 90%, 95%). Se non esplicitato: IC=95%

Minimal Clinical Important Differen-ce (MCID)

Cambiamento minimo richiesto, perché il paziente percepisca una differenza nel suo stato di salute

Calcolato in unità di misura della scala (i.e. corrisponde ad una certa quantità di punti)

Affidabilità test-retest Capacità di uno strumen-to di misurare la variabile de-siderata con consistenza. Intra Class Correlation (ICC).

Scelta clinica su sin-golo paziente: ICC>0.9 Cambiamento in gruppi di pazienti: ICC>0.7

Affidabilità inter-operatore (inter-rater)

Variazione nei punteggi misurati da 2 o più valutatori, sullo stesso grup-po di soggetti

Eccellente: ICC>0.75Adeguata: 0.40<ICC<0.74Scarsa: ICC<0.40

Affidabilità intra-operatore (intra-rater)

Stabilità del punteggio nella misura ripetuta dallo stesso operatore

Eccellente: ICC>0.75Adeguata: 0.40<ICC<0.74Scarsa: ICC<0.40

Consistenza interna (internal con-sistency)

Quanto le componenti di una mi-sura di outcome misurano lo stesso costrutto.Cronbach’s alpha (α)

Eccellente: Cronbach’s α>0.8Adeguata: 0.7< Cronbach’s α <0.8Scarsa: Cronbach’s α <0.7Cronbach’s α>0.9 indicano presen-za di voci ridondanti nella misura di outcome.

Effetto pavimento (floor effect) Il valore più basso della misura di outcome che non riesce a valutare il costrutto nel paziente

Eccellente: assenza di floor effectAdeguata: floor effect<20%Scarsa : floor effect>20%

Effetto soffitto (ceiling effect) Il valore più alto della misura di outcome che non riesce a valutare il costrutto nel paziente

Eccellente: assenza di ceiling effectAdeguata: ceiling effect<20%Scarsa : ceiling effect>20%

Cut-off Un punteggio di cut-off permette di trasformare una scala continua in dicotomica, trasformando quindi la misura di outcome in un test e de-finendone la positività o negatività. Permette di classificare i pazienti in gruppi.

Tabella 3. Indici clinimetrici delle misure di outcome più comunemente utilizzati.

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Master IFOMPT: Raccontaci il tuo percorso TESI DI MASTER

DOLORE CRONICO:INIZIALE VALUTAZONE DEI FATTORI PSICOSOCIALI ASSOCIATI ALL’ETÀ EVOLUTIVACandidato: Elisa ScottiRelatore: Michele Margelli

Abstract

OBIETTIVOquesto studio è nato con lo scopo di creare uno strumento che permetta di indagare la correlazione tra le esperienze di dolore in età giovanile e lo sviluppo di sindromi doloro-se croniche attribuibili al sistema neuro-muscolo-schele-trico in età adulta.

METODIbasandoci su studi presenti in letteratura sono state co-struite le bozze di due questionari da somministrare ri-spettivamente ai pazienti con problematiche croniche e ai loro genitori. Tali bozze sono state implementate attraver-so 3 focus group, uno formato dai figli con dolore cronico, uno dai figli senza dolore cronico e uno dai genitori dei figli con dolore cronico. Tali focus group avevano l’obiet-tivo di individuare se le informazioni già presenti fossero appropriate e se ci fossero altri ambiti da includere nei questionari.

RISULTATIdei 18 soggetti contattati e che soddisfacevano i criteri di inclusione, soltanto 12 hanno acconsentito a partecipare allo studio, 6 dei quali appartenevano al gruppo dei pa-zienti senza dolore cronico e 6 appartenenti al gruppo dei pazienti con dolore cronico; per quanto riguarda i geni-tori, solo 4 si sono resi disponibili a partecipare all’incon-tro. In base a ciò che è emerso dai focus group, trovano conferma rispetto a quello che già esiste in letteratura i seguenti ambiti: l’ospedalizzazione, la carenza di ferro, la presenza di eventi avversi in famiglia, la presenza di epi-sodi di dolore durante lo sviluppo e le esperienze trau-matiche personali. Altri elementi interessanti che sono

Dott.ssa ELISA SCOTTI

PT BSc, OMPT

Fisioterapista

Orthopaedic Manipulative Physical Therapist

Master in Terapia Manuale Applicata alla Fisioterapia

Università degli Studi “Tor Vergata” di Roma

Libero Professionista

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emersi dalla discussione sono: le limitazioni funzionali e le restrizioni alla partecipazione secondarie al dolore, le esperienze ravvici-nate con la morte, la paura e l’evitamento di attività sportive e i deficit funzionali stabili secondari a traumi. Infine, dall’incontro con i genitori si sono evidenziate le seguenti te-matiche: esperienze di traumi personali che hanno inciso sui figli e atteggiamenti di ap-prensione nei confronti delle problematiche di dolore dei figli.

CONCLUSIONIdai focus group sono emersi elementi inte-ressanti ai fini della nostra indagine e che hanno permesso di implementare le bozze dei questionari. In fasi successive di speri-mentazione i questionari sviluppati dovran-no quindi essere sottoposti a processo di validazione.

KEYWORDSChronic pain in adulthood;Childhood pain experience;

Family factors;Family pain beliefs.

BACKGROUNDIl dolore cronico rappresenta un grande pro-blema di sanità pubblica nonché una delle principali cause di disabilità a livello mondia-le con un onere economico e sociale signi-ficativo1. Gli studi condotti negli ultimi anni hanno dimostrato che esso colpisce tra il 10% e il 50% della popolazione adulta dei paesi sviluppati, tuttavia si sta rivelando essere un problema anche per bambini e adolescenti con percentuali tra i giovani che arrivano fino al 25%2-3. Il dolore cronico, come ben sappia-mo, non viene definito tale solo sulla base della sua durata temporale, ma questo termi-

ne porta con se un significato più ampio; si è visto che alla base della cronicizzazione del dolore infatti hanno un ruolo sempre più de-terminante tutta una serie di fattori di rischio psicologici, sociali e occupazionali, ma non solo4-5: negli ultimi anni infatti sta crescen-do sempre più l’idea che tutti questi fattori da soli non siano sufficienti per giustificare la portata di tale fenomeno, per cui diversi autori suggeriscono che il dolore venga ad essere in parte condizionato dalle esperienze che si hanno nella fase dello sviluppo3.

FATTORI LEGATI ALL’INFANZIA EALL’ADOLESCENZANonostante esista ormai la certezza che esperienze traumatiche come ad esempio la perdita di famigliari, l’aver ricevuto abusi fisici e sessuali, l’essere stati sottoposti a chi-rurgia o l’essere stati ricoverati in ospedale, possano essere effettivamente responsa-bili dell’instaurarsi di una condizione algica cronica in età adulta, per altri fattori i dati in letteratura sono pochi e quando presenti, contrastanti6-7-8-9.

Diversi studi hanno sottolineato come il vis-suto di dolore dei genitori influenzi il modo in cui i figli affrontano il dolore stesso10; in particolare è stato visto che i genitori che si sono sottoposti a cure e che hanno riportato un maggior grado di disabilità nelle attività quotidiane, hanno avuto figli che soffrivano più frequentemente di episodi di dolore, che si presentavano con un’intensità maggiore e in sedi multiple, con ripercussioni anche nelle attività quotidiane e scolastiche11. Altri elementi che sono emersi dalla letteratura sono le esperienze legate alla vita neonatale e ai primi giorni di vita12-13-14; si pensa infat-ti che essendo questa una finestra critica di sviluppo del sistema nervoso centrale, venga a crearsi una memoria degli insulti nocivi che si hanno in questa fase, e che questi possa-no portare a modificazioni dei circuiti neu-ronali, con una predisposizione a soffrire di problematiche algiche croniche nelle fasi di successivo sviluppo12. Tra i fattori che sono stati indagati e che si pensa possano essere responsabili ci sono l’aver avuto basso peso alla nascita e l’essere nati prematuri13-14. Di-versi autori tuttavia sottolineano che per la mancanza di uno strumento validato in gra-do di raccogliere i dati in modo omogeneo,

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il rapporto di causalità tra questi elementi e la comparsa di dolore sia ancora nebulo-so3-10-15-16; inoltre, siccome tutti questi fattori appena riportati sono stati studiati in rela-zione allo sviluppo di dolore cronico nei pri-mi anni di vita, viene suggerita la possibilità di studiare l’associazione di questi elementi con le problematiche algiche croniche di tipo muscolo-scheletrico dell’adulto, al fine di ve-rificare se essi comportino effetti anche nel lungo termine17.

EPIGENETICAUn altro modo in cui si è cercato di spiegare la maggiore predisposizione di alcuni soggetti a sviluppare problematiche di dolore cronico è attraverso l’epigenetica, che è quella scien-za che studia l’influenza di fattori ambientali sul DNA, in particolare studia tutti quei pro-cessi che portano a modificazioni stabili ed ereditabili della funzione genica, senza che ci sia un vero e proprio cambiamento nella se-quenza del DNA18-19. A tale proposito è stato visto che sono tre i meccanismi interessati da queste modificazioni epigenetiche e che essi sono i principali responsabili dell’insorgenza e del mantenimento del dolore cronico18. Il primo riguarda l’effetto che l’epigenetica ha sui mediatori dell’infiammazione (citochine, TNFalfa e interleuchine), che sappiamo es-sere importanti nell’instaurarsi di molte con-dizioni di dolore. Secondariamente essa va ad agire sull’espressione dei geni deputati alla nocicezione dei pazienti cronici18. Infine, l’ultimo di questi meccanismi, su cui esiste parecchia letteratura a riguardo, è relativo al coinvolgimento dei processi epigenetici nella regolazione della memoria e della plasticità neuronale18. Le evidenze che effettivamente questi meccanismi possano essere coinvolti nello sviluppo e nel mantenimento della con-dizione di dolore cronico sono solo ai primi albori, ma sicuramente è un campo di indagi-ne che avrà bisogno di essere approfondito e che potrebbe offrire anche l’opportunità di identificare nuove tipologie di trattamenti per questa problematica20.

SINOSSIL’obiettivo della prima fase di questo studio è di costruire due questionari che permetta-no di indagare la correlazione tra esperienze di dolore in età giovanile e lo sviluppo di sin-dromi dolorose croniche attribuibili al siste-

ma neuro-muscolo-scheletrico in età adulta.

Dopo aver escluso tramite una ricerca su Pubmed che esistessero questionari già vali-dati e idonei alla nostra indagine, si è deciso di procedere alla costruzione di due questio-nari ex novo, uno da somministrare ai pa-zienti con problematiche di dolore cronico e il secondo rivolto ai loro genitori. La decisio-ne di crearne due aveva il duplice obiettivo di ottenere informazioni complete in merito all’argomento, e di verificare tramite il con-fronto tra le risposte dei pazienti e quelle dei loro genitori la reale concordanza tra i dati e contenere così i recall bias.

Il processo che ha visto la creazione dei due questionari è passato attraverso diverse fasi; tramite una revisione dei principali studi del-la letteratura condotti sull’argomento e rela-tivi all’insorgenza di problematiche algiche croniche in età giovanile è stato composto un primo scheletro dei questionari. Le bozze dei questionari sono state suddivise in due sezioni, una indagava aspetti relativi ai figli e l’altra indagava aspetti relativi ai genitori nel periodo compreso tra la nascita e il dician-novesimo anno dei figli stessi. Il questionario per i figli comprendeva domande sui seguen-ti ambiti: episodi di dolore, traumi fisici (frat-ture, lussazioni), problemi di salute impor-tanti, eventi avversi in famiglia (lutti, divorzi), ricoveri in ospedale, pratica di attività spor-tiva, episodi di dolore dei genitori, stati di ansia o depressione dei genitori. Per quanto riguarda il questionario dei genitori, invece, nella prima sezione le domande erano relati-ve agli episodi di dolore e al comportamento nei confronti dell’esperienza dolorosa perso-nale, nella seconda parte le domande erano riferite ai figli e riguardavano i seguenti am-biti: eventuale prematurità e basso peso alla nascita, problemi di salute importanti, traumi fisici, ricoveri in ospedale, episodi di dolore.

Una volta individuate le tematiche, le bozze dei questionari sono state sviluppate e im-plementate attraverso degli incontri (focus group) che avevano l’obiettivo di individuare se le informazioni già presenti fossero appro-priate e se ci fossero altri ambiti da indaga-re. Sono stati quindi individuati tre gruppi di soggetti, uno rappresentato dai figli con pro-blemi di dolore cronico, con 9 soggetti con-tattati, uno dai figli senza dolore cronico, per

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cui sono stati contattati sempre 9 elementi, e uno dai genitori dei figli con dolore cronico, uno o entrambi, e per ognuno di questi grup-pi è stato effettuato un focus group.

Tra i criteri di inclusione dei pazienti con do-lore cronico ci sono: la temporalità del di-sturbo, che doveva quindi essere presente da minimo tre mesi, la presenza di almeno uno dei due genitori in vita e l’età maggiore di 19 anni. Per i soggetti senza dolore cronico, tra i criteri di inclusione utilizzati, oltre a quello relativo all’età che doveva essere superiore ai 19 anni, c’erano l’assenza di dolore al mo-mento dell’indagine e l’assenza di episodi algici della durata superiore ai 3 mesi negli ultimi 6 mesi. I genitori dei pazienti cronici, avevano come unico parametro l’essere co-gnitivamente integri.

I soggetti dello studio sono stati individuati tra i pazienti di un poliambulatorio della pro-vincia di Parma; il primo contatto è avvenuto per via telefonica o direttamente nella sala d’attesa del reparto di fisioterapia. Sempre per via telefonica sono stati contattati i geni-tori dei pazienti con dolore cronico.

In relazione ad alcuni ambiti ritenuti impor-tanti da approfondire e agli spunti provenien-ti da studi della letteratura183-9-10-11-16-21 sono state sviluppate domande aperte utilizzate come traccia generale per la discussione; tali domande erano le stesse per i due gruppi dei figli con e senza dolore cronico, mentre dif-ferivano da quelle per i genitori [Tabella 2].

Domande per i FIGLI con/senza dolore croni-co Domande per i GENITORI dei figli con do-lore cronico.

DOMANDE PER I FIGLI CON/SENZADOLORE CRONICO

• Descrivere la prima esperienza di dolore.• Descrivere le esperienze e i vissuti personali di dolore relativi alla fascia di età 0-19 anni.• Descrivere le esperienze e i vissuti di dolore dei genitori/altri membri della famiglia relativi alla fascia di età 0-19 anni.• Descrivere altre situazioni che si ritiene abbiano influito sullo sviluppo di eventuali dolori.• Descrivere il comportamento dei

genitori in relazione al dolore del figlio.• Descrivere il comportamento dei genitori in relazione al loro dolore/esperienze “dolorose”.• Descrivere occasioni in cui si parlava di dolore in casa.

DOMANDE PER I GENITORI DEI FIGLICON DOLORE CRONICO

• Descrivere le esperienze e i vissuti personali di dolore relativi alla fascia di età 0-19 anni del figlio.• Descrivere le esperienze e i vissuti di dolore del figlio relativamente alla fascia di età 0-19 anni.• Descrivere altre situazioni che si ritiene abbiano influito sulla comparsa del dolore del figlio.• Descrivere il proprio comportamento in relazione al dolore/esperienze “dolorose” del figlio.• Descrivere il comportamento del figlio in relazione ai suoi dolori/esperienze “dolorose”.• Descrivere occasioni in cui si parlava di dolore in casa.

Il focus group è stato condotto e supervisio-nato da due fisioterapiste che rappresenta-vano rispettivamente il moderatore e l’os-servatore. La prima figura aveva l’obiettivo di guidare l’incontro e di stimolare la discus-sione tra i partecipanti, mentre l’osservato-re doveva trascrivere i dati che emergevano dalla discussione. L’incontro è stato inoltre audio registrato previo consenso informato dei partecipanti.

Le domande guida sono state poste in modo generale al fine di incoraggiare la discussio-ne tra i partecipanti e l’interazione di gruppo. Questa modalità di raccolta delle informazio-ni ha permesso ai partecipanti di esprimer-si liberamente e di condividere i loro vissuti senza subire influenze da parte del modera-tore; ogni sessione aveva la durata di circa 60 minuti.

I dati emersi dalle registrazioni dei tre focus group, sono stati trascritti e valutati dall’os-servatore, dal moderatore e da un valutato-re esterno non presente durante gli incontri. Queste tre figure hanno letto i tre report

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separatamente e hanno identificato gli ele-menti salienti che emergevano da essi e i principali temi verso cui si sono indirizzati i dibattiti in risposta alle domande e agli spun-ti del moderatore.

Sono stati in seguito organizzati dei meeting in cui ogni figura ha riportato gli elementi che ha ritenuto più interessanti, per poi discuter-ne con gli altri membri; alla fine è stato rag-giunto un consenso tra le tre figure riguardo agli ambiti principali emersi da ciascun focus group. L’importanza del dato dipendeva da diverse variabili: dal numero di volte in cui un elemento veniva ripetuto durante l’incontro, dall’attinenza rispetto al tema trattato e dalle differenze/uguaglianze nei concetti tra i di-versi focus group.

Dei 18 soggetti contattati e che soddisface-vano i criteri di inclusione, soltanto 12 hanno acconsentito a partecipare allo studio, 6 dei quali appartenevano al gruppo dei pazien-ti senza dolore cronico e 6 appartenenti al gruppo dei pazienti con problematiche cro-niche; parallelamente, per quanto riguarda i genitori, solo 4 si sono resi disponibili a par-tecipare al focus group, due dei quali erano genitori dello stesso paziente.

L’età e la distribuzione uomo/donna tra i gruppi era simile: la media delle età dei sog-getti del gruppo dei pazienti senza dolore cronico era 26.8, mentre la media delle età dei pazienti con dolore cronico era 27,1 anni; per quanto riguarda il sesso, nel gruppo di sani la percentuale degli uomini e delle don-ne era la stessa, mentre nel gruppo dei pa-zienti cronici la percentuale degli uomini era del 66,7% mentre quella delle donne 33,3%.

Dall’analisi dei focus group sono emersi elementi interessanti ai fini della nostra in-dagine: nel gruppo dei sani alla richiesta di descrivere le esperienze e i ricordi relati-vi al dolore dell’infanzia e dell’adolescenza, da tutti i soggetti del gruppo dei sani sono emersi dolori “comuni”, “provati da tutti” e che “non condizionano la vita”. Un’altra esperienza comune a più membri del grup-po è stata quella del dolore durante lo sport, vissuto come qualcosa con cui “potevano convivere” e che “passava da solo”. Riguardo ai vissuti di dolore della famiglia, nel gruppo dei sani i genitori “non hanno mai fatto pe-

sare nulla ai figli”, e gli hanno insegnato “a superare i dolori”.

A questi primi elementi che hanno caratteriz-zato i racconti del gruppo dei pazienti sani, si contrappongono quelli dei pazienti cronici le cui esperienze di dolore sono state più in-validanti.

I termini per riferirsi a queste circostanze sono stati forti: “ricordo il dolore, quindi deve essere stato forte e ogni tanto mi capita di risentirlo”, “il dolore del trauma che ho avuto è stato l’inizio del declino e da quello sono iniziati tutti i dolori”, “avevo tanta rabbia per-ché non potevo fare nulla”, “il dolore che ave-vo al ginocchio oltre ad essere costante era anche una preoccupazione continua, per cui ho dovuto rinunciare alle attività quotidiane e al calcio”; e anche lo sport veniva vissuto diversamente come “qualcosa che tanto so che mi darà dolore” e “se quando gioco ho male, è meglio se sto fermo”.

Due soggetti hanno riportato esperienze di traumi muscolo-scheletrici di entità impor-tante (caduta sui pattini con trauma cervica-le e impatto con bici contro balla di fieno) che hanno determinato conseguenze rile-vanti con limitazioni nelle loro attività quoti-diane e nelle relazioni sociali; da tre soggetti sono stati riportati episodi di ospedalizzazio-ne (per una meningite, un appendicite e una colica renale) e due di questi hanno descritto la propria esperienza con “sono andato vici-no alla morte”.

Altro elemento rilevante è relativo alle con-seguenze che questi traumi hanno lasciato, non solo a livello psicologico, ma anche fisi-co, per cui un caso ha riportato deficit fun-zionali stabili anche in età adulta. In due casi sono stati riportati eventi traumatici di terzi che hanno lasciato conseguenze psicologi-che importanti condizionando l’agire succes-sivo di questi soggetti.

Riguardo ai vissuti di dolore della famiglia, nel gruppo dei cronici, tra gli elementi più importanti che sono emersi c’era l’ansia trasmessa da un genitore che vedeva ogni esperienza dolorosa vissuta dal figlio come qualcosa di grave che necessitasse di ulterio-ri controlli. Sono state riportare anche frasi che hanno caratterizzato l’infanzia di questi

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soggetti come ad esempio “stai attenta a non farti male”. Altro elemento interessan-te sono le visite specialistiche che venivano svolte con una frequenza maggiore per le loro problematiche come nel caso del trau-ma cervicale e della Oschgott-Schlatter.

Da un caso è stata riportata la separazione dei genitori durante la prima infanzia. Dall’in-contro con i genitori dei pazienti cronici si sono riconfermati elementi già riportati dai figli e ne sono emersi di nuovi. Tre sogget-ti hanno riportato il problema di salute dei fratelli come una cosa di cui i figli “hanno ri-sentito molto”; in due casi si trattava di una patologia importante (neoplasia) nell’altro di un problema muscolo-scheletrico. Un al-tro soggetto ha riportato atteggiamenti in-sistenti durante tutta l’infanzia nei confronti del figlio affinché stesse “dritto” da seduto e affinché facesse “fisioterapia per migliorare la postura”.

Per il caso con il trauma cervicale è stato sot-tolineato diverse volte dai genitori l’impatto psicologico che tale problematica ha avuto sul figlio sia per i problemi emersi nel rappor-to con i compagni di scuola sia per le conse-guenze che ha avuto sui suoi dolori successi-vi, sull’apprensione e sulla paura di farsi male.

Infine due soggetti hanno riferito la consa-pevolezza da parte dei figli delle problema-tiche muscolo-scheletriche dei genitori che praticavano attività sportiva: essi infatti ave-vano esperienze dirette all’interno del nucleo famigliare delle lesioni che si procuravano giocando.

COMMENTARYDa una prima analisi dei dati raccolti si sono delineate differenze importanti tra il gruppo dei pazienti sani e il gruppo dei pazienti cro-nici, che hanno permesso di estrarre elemen-ti chiave per la composizione dei questionari. In accordo con quanto riportato da articoli della letteratura3-21, per alcuni elementi che sono emersi dai focus group era già stata individuata un’associazione con il dolore in età adolescenziale; questi sono: l’ospeda-lizzazione e la presenza di eventi avversi in famiglia, come la separazione dei genitori o i casi di neoplasia a membri del nucleo fami-gliare. Le esperienze traumatiche personali, il cui ruolo nell’insorgenza del dolore in età

giovanile era già stato individuato in uno stu-dio del 201418, sono state invalidanti non solo per l’entità del trauma e per l’intensità del dolore provato, ma anche per le limitazioni funzionali che hanno comportato nelle atti-vità quotidiane e sportive e per le restrizioni nella partecipazione alla vita sociale21.

Un altro ambito da approfondire riguarda le conseguenze dei traumi, in quanto un caso ha riferito deficit funzionali stabili nella mo-bilità di alcuni segmenti corporei, e questa condizione è stata riportata come invalidan-te anche se non interferiva nelle ADL. Altro aspetto interessante ai fini del nostro studio è l’esperienza che due casi hanno avuto ri-spetto all’essere andati vicino alla morte, con le conseguenze psicologiche che tale avve-nimento ha avuto su di loro e con gli atteg-giamenti apprensivi da parte dei genitori nei confronti di qualsiasi problematica successi-va; questa preoccupazione oltre misura da parte dei famigliari è inoltre emersa anche nei casi di patologie algiche più comuni e meno invalidanti, con la conseguente richie-sta di consulenze specialistiche. Rispetto allo pratica di attività sportiva, essa veniva vista non come qualcosa che potesse aiutare que-sti soggetti a stare meglio, ma al contrario come qualcosa che peggiorava la loro sin-tomatologia, talvolta in modo così netto da indurli ad evitarla o ad interromperla21.

Per quanto riguarda il focus group dei geni-tori, si ritiene che a causa del campione esi-guo di soggetti e dell’imbarazzo nel riporta-re certe esperienze, i dati raccolti non siano stati completi. Ciò nonostante sono emersi elementi interessanti che hanno confermato quello che è stato riscontrato in letteratu-ra3-10; in particolare, visto che due casi han-no riportato di avere avuto lesioni durante la pratica di attività sportiva, si ritiene che i figli abbiano avuto un esperienza diretta di questi traumi di cui probabilmente si è anche parlato all’interno del nucleo famigliare.

In merito a questo ambito di indagine, dai focus group sono scaturiti anche elementi “nuovi” inerenti al quesito di ricerca che si pensa abbiano influenzato il vissuto di do-lore di questi soggetti; tre soggetti hanno riportato atteggiamenti di apprensione da parte dei genitori come ad esempio l’asso-ciare qualsiasi dolore del figlio ad una pato-

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logia seria o il portarli a fare numerose visite specialisti-che per lo stesso problema. Anche il fatto di sottolineare l’importanza di tenere una posizione corretta e di fare fisioterapia per prevenire pro-blemi muscolo-scheletrici, si ritiene possa aver inciso sulle credenze relative al dolore di questi soggetti.

Questo studio ha diversi limiti che devono essere considera-ti quando se ne interpretano i risultati. In prima istanza il campione piccolo di soggetti potrebbe avere influito sulla possibilità di evidenziare tut-ti gli elementi importanti da inserire all’interno dei que-stionari, soprattutto quelli che compaiono con meno frequenza. Inoltre, vista la dif-ficoltà emotiva a parlare di particolari temi, alcune cose dovrebbero essere discusse con i singoli soggetti, piutto-sto che in contesti di grup-po. Un altro limite di questo studio è dato dal fatto che le informazioni dei focus group sono state ottenute dal ricor-do di esperienze passate, per cui possono essere soggette a recall bias. Infine, il campio-ne di soggetti che hanno pre-so parte ai focus group non è rappresentativo della popo-lazione, in quanto l’età media era di 27,1 anni.

In conclusione i focus group hanno il vantaggio di far emergere elementi nuovi, personali che con altre meto-diche di raccolta dati potreb-bero perdersi, tuttavia la pos-sibilità di utilizzare strumenti già validati ed evidenze della letteratura ci dispone di dati già sottoposti ad un rigoroso processo di valutazione quin-di sicuramente più utili ed uti-lizzabili21. Negli studi futuri si

dovranno tenere in considera-zione questi aspetti per quan-to riguarda la costruzione dei questionari.

Si auspica che i prossimi studi possano svilupparsi partendo da un campione di soggetti più ampio e inserendo un fo-cus group formato dai genito-ri dei figli sani, inoltre sarebbe interessante anche ridurre le patologie prese in esame a condizioni croniche di tipo muscolo-scheletrico.Per il proseguo di questo stu-dio, le bozze dei questionari sviluppati dovranno essere sottoposte al successivo pro-cesso di validazione.

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Osteochondritis dissecans of the radial head in a young athlete:a case report.

Mourad F, Maselli F, Patuzzo A, Siracusa A1, Di Filippo L,Dunning J, de Las Peñas CF2.

Abstract

BACKGROUND AND PURPOSEElbow pain is common in young gymnasts and is frequently encountered by physical therapists working in direct access outpatient clinics. Most elbow pain is benign; however, non-spe-cific symptoms can mask serious medical pathologies, as is the case with osteochondritis dissecans (OCD). OCD is a joint con-dition in which bone underneath the cartilage of a joint dies due to lack of blood flow. Risk factor analysis, palpable joint tender-ness and swelling, joint locking, and a history of high intensity repetitive activities may inform the clinical reasoning; however, the diagnosis of OCD is best made using magnetic resonance imaging (MRI). The purpose of this case report is to describe the main components of the history and physical examination that led to OCD differential diagnosis.

CASE DESCRIPTIONA 12-year-old female gymnast presented to an outpatient physi-cal therapy clinic with right elbow pain following a compressive trauma. The decision was made to refer the patient for diagno-stic imaging evaluation due to localized joint swelling and point tenderness over the radial head, elbow pain with compressive loading, the presence of demographic risk factors, and a recent worsening in her symptoms after a second trauma. MRI subse-quently revealed OCD associated with external humeral condyle bone marrow edema. The patient underwent surgical repair.

OUTCOMESThe follow-up MRI at five months post-surgically reported a “excellent graft integration”. A post-operative progressive load management program was initiated, with full return to sport achieved at 10 months after surgery.

DISCUSSIONThis case report highlights the central role of primary care cli-nicians, such as physical therapists, in identifying patients with suspected pathologic conditions that may need referral for ima-ging, medical assessment, or surgical intervention. Physical the-

Dott. ALESSIO SIRACUSA

PT BSc, OMPT

Fisioterapista,

Orthopaedic Manipulative Physical Therapist

Libero Professionista

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rapists working in direct access environments should be aware of subtle signs/symptoms and specific risk factors that may be indicative of serious pathologies.

SINOSSI Il case report analizzato descrive gli elementi principali dell’a-namnesi e dell’esame fisico collegati ad una osteocondrite dis-secante (OCD) di gomito con l’obiettivo di fornire al fisiotera-pista informazioni utili nella diagnosi differenziale. Inizialmente viene proposta una breve revisione della letteratura che ci per-mette di inquadrare la patologia e ne descrive i principali fattori di rischio, segni e sintomi riportati in letteratura. Vediamo così che i soggetti più a rischio sono gli atleti adolescenti impegnati in attività che richiedono carico agli arti superiori (sollevamento pesi, ginnastica) e ripetute estensioni del gomito sopra la tesa (baseball, tennis, pallavolo)1-2.

Sappiamo inoltre che gli atleti che hanno iniziato le competi-zioni ad un’età più giovane e che hanno giocato per un periodo più lungo presentano un rischio maggiore di sviluppare OCD di gomito 3. I pazienti con OCD sono generalmente nella seconda decade di vita dagli 11 ai 23 anni, i maschi sono più comune-mente interessati rispetto alle femmine, ed il gomito dell’arto dominante è il più a rischio 4.Fino al 20% dei pazienti possono sviluppare OCD bilaterale4 ed è interessante vedere come que-sta condizione può anche essere asintomatica3. La letteratura ci viene incontro anche per ciò che riguarda gli elementi dell’esa-me fisico a cui dobbiamo porre attenzione.

• Dolore locale nell’area dell’articolazione omero radiale (43% dei casi)1-5-6-7.

• Sintomi infiammatori dopo l’attività sportiva o il carico.8

• Progressivo peggioramento del dolore e della rigidità collegati al carico 98% dei casi1-5-9.

• Riduzione delle performance sportive (58%) dei casi7.

• Gonfiore locale (18% dei casi)7.

• Perdita di circa 15-30° di ROM attivo e passivo1-5-6.

• Blocchi intermittenti del gomito10.

• Crepitio soprattutto durante i movimenti di pronosupinazione1-5-6.

• Dolore locale durante la pronazione e la supinazione attiva a gomito esteso1-5-6.

• Dolore al radiocapitellar compression test1-5-6.

• insufficienza del collaterale ulnare ed instabilità rotatoria radioomerale8.

I ritrovamenti all’esame fisico negli stadi iniziali possono trarre in inganno ma una diagnosi precoce è importante per prevenire l’espansione della lesione e la possibile degenerazione dell’arti-colazione specialmente negli adolescenti che continuano a pra-

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ticare la loro attività nonostante il dolore. In questi casi infatti si possono sviluppare gradi più alti di lesione osteocondrale9. Per quanto riguarda la gestione, vediamo come Il trattamento con-servativo sia generalmente la scelta primaria, mentre la chirur-gia viene raccomandata per le lesioni in fase avanzata, per quel-le in fase iniziale ma con nucleo di accrescimento osseo chiuso e nei casi in cui tra i 3 ed i 6 mesi di trattamento conservativo la lesione è progredita o non si è osservata nuova ossificazione7.

Il soggetto del caso clinico descritto è una ginnasta di 12 anni che si presenta in studio lamentando dolore al gomito destro presente da un mese specialmente durante l’allenamento.

La ragazza racconta che il dolore è iniziato in seguito ad un at-terraggio sul braccio destro a gomito esteso effettuato durante un allenamento. In quell’episodio l‘entità del dolore viene de-scritta come un 8/10 su scala NPRS. In seguito a questo episodio la ragazza viene valutata sia dal medico curante che dall’orto-pedico che le prescrivono 7-10 giorni di riposo escludendo pa-tologie rilevanti. Ad una settimana dal trauma la ragazza non avverte più dolore durante le ADL e riprende gli allenamenti no-nostante il dolore permanga durante le attività in carico sull’arto a gomito esteso. L’intensità del dolore varia da 5/10 a 7/10 in base al tipo di allenamento svolto, si riduce velocemente al ces-sare dell’attività e migliora con il passare dei giorni.

Dopo 2 settimane, la ragazza va incontro ad un secondo episo-dio di dolore trafittivo sempre dovuto ad un atterraggio sull’ar-to interessato. Una settimana dopo il dolore diventa invalidan-te e la ragazza si presenta dal fisioterapista. In questo periodo la ragazza non ha interrotto l’attività ed i suoi genitori non le permettono di assumere FANS ed altri farmaci. La ragazza non riferisce passati e presenti problemi medici. Lei e la sua fami-glia sono preoccupati dalla progressione dei sintomi che ha de-terminato l’interruzione degli allenamenti (si allena 4/5 volte a settimana da quando ha 5 anni). L’esame fisico mostra gonfiore sia all’osservazione che alla palpazione all’aspetto mediale del gomito destro, il ROM attivo e passivo è stato valutato in esten-sione, in flessione ed in prono-supinazione a gomito esteso, non si sono riscontrate limitazioni. La compressione omero-radiale e omero-ulnare non evocavano dolore mentre la palpazione dell’aspetto postero laterale della testa del radio era dolorosa.

Non c’erano differenze tra gli arti nei test di forza effettuati con resistenza manuale in flessione/estensione e pronazione/supi-nazione. Si è evocato fastidio locale con l’estensione resistita di polso. Varo stress e valgo stress test del gomito sono risultati negativi. Il dolore primario della paziente è stato evocato ripro-ducendo il meccanismo traumatico: gomito in iperestensione con sovraccarico. (la paziente poggiando il polso sul lettino ca-ricava il peso del corpo sull’arto a gomito esteso. In questa po-sizione, la sovrappressione esterna rievocava il dolore familiare della paziente). Per concludere è stato effettuato il tuning fork test al fine di valutare l’integrità ossea. Il diapason è stato posi-zionato sul sito della sospetta lesione (testa del radio e condilo laterale) ed il test è risultato negativo.

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A questo punto vengono evidenziati gli elementi dell’anamnesi e dell’esame fisico che hanno portato il fisioterapista alla deci-sione di riferire la paziente all’ortopedico al fine di valutare la possibilità di un approfondimento diagnostico.

Già dall’anamnesi emergono elementi importanti come la pro-gressione dei sintomi, il ritardo nella naturale guarigione tissuta-le, il meccanismo traumatico e la presenza dei fattori di rischio legati al tipo di attività sportiva, all’età della paziente e alla sua anzianità di allenamento; mentre l’esame fisico mostrava gon-fiore e reattività al carico in compressione del gomito. In seguito ad una prima RX l’ortopedico prescrive una risonanza magne-tica che mostra la presenza di un focolaio di osteocondrite dis-secante associato ad edema della spongiosa in corrispondenza dell’epicondilo omerale.

Data la stabilità del frammento osseo l’ortopedico decide di procedere con il trattamento conservativo prescrivendo 3 mesi di completo riposo dalle attività sportive in carico. La risonanza di controllo eseguita 3 mesi dopo, mostra però la progressione della lesione, motivo per cui si decide di procedere con il tratta-mento chirurgico seguito da 3 settimane di immobilizzazione e 4 mesi di riabilitazione fuori carico. A 5 mesi e 20 giorni, dopo RMN di controllo, la paziente ha iniziato una progressiva ripresa del carico fino alla piena ripresa dell’attività sportiva 10 mesi dopo l’intervento.

L’articolo conclude sottolineando il ruolo centrale che hanno i fisioterapisti nell’identificare i pazienti con sospette condizioni patologiche che necessitano di un referral medico per appro-fondimenti di diagnostica per immagini o per un trattamento medico/chirurgico.

COMMENTARYI fisioterapisti che lavorano in un setting di accesso diretto de-vono necessariamente sviluppare la capacità di intercettare i pazienti che necessitano di un referral medico. Come visto il do-lore al gomito è una condizione comune tra gli atleti adolescenti soprattutto lanciatori e ginnasti e generalmente questo tipo di disturbo ha una buona prognosi, in alcuni casi però il dolore al gomito può essere causato da condizioni particolari che richie-dono un approfondimento medico e come nel caso appena de-scritto un trattamento chirurgico.

Compito e responsabilità del fisioterapista è quella di ricono-scere queste condizioni il prima possibile al fine di garantire al paziente la migliore prognosi. L’obiettivo di questo studio è proprio quello di suggerire al fisioterapista degli strumenti utili al riconoscimento di una di queste condizioni descrivendone le caratteristiche ed il ragionamento clinico che ha indotto il fisio-terapista a sospettare la presenza di una red flag.

In questo caso, già in anamnesi sono emersi elementi fonda-mentali, in particolare la presenza di importanti fattori di rischio (tipo di attività, età, anzianità di allenamento) e l’insorgenza traumatica. Raccogliere queste informazioni risulta fondamen-tale in quanto l’esame fisico seguente verrà condotto con l’o-

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biettivo principale di escludere una possibile red flag e di indagare l’integrità strutturale del gomito. I sospetti maturati durante l’a-namnesi sono poi stati confermati dai ri-trovamenti dell’esame fisico. In particolare: dolore al carico con gomito in estensione, gonfiore e dolore alla palpazione; elementi che, come abbiamo visto, sono tipici di un OCD di gomito. Questo case report ci dimo-stra come la conoscenza dei fattori di rischio

rilevanti per una determinata patologia e la attenta valutazione di tutte le informazioni che possiamo raccogliere dal paziente pos-sono essere determinanti per una gestione ottimale. In letteratura sono presenti diversi case report che mostrano la capacità dei fi-sioterapisti di individuare la presenza di red flag in setting di accesso diretto11-25, capacità che ogni professionista sanitario ha il dovere di sviluppare.

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GTM ringraziaper questo quarto numero

Dott. Lorenzo Storari • Dott.ssa Monica ErbesatoDott. Andrea Turolla • Dott.ssa Elisa Scotti • Dott. Alessio Siracusa

e tutti coloro i quali hanno scritto e collaborato allasua realizzazione e pubblicazione