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«EIKASMOS» XV (2004) Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV I Commentarii in M. Valerium Martialem di Domizio Calderini * I Commentarii in M. Valerium Martialem di Domizio Calderini, venuti alla luce per la prima volta in versione manoscritta il 1 o settembre 1473 (qui L) 1 e a stampa l’anno successivo – l’editio princeps è datata Roma 22 marzo 1474 (qui Rom. 1 ) 2 cui seguirono, sempre nello stesso anno, due edizioni venete 3 – furono pubblicati senza il testo degli epigrammi e anche quando, a partire dalla prima edizione postuma, datata Venezia 1480 4 (concordemente indicata con la lettera greca k), vennero stampati unitamente ad esso, non ci si trova di fronte al testo voluto dal Veronese, bensì a quello dell’edizione curata da Giorgio Merula nel 1475, corretto tutt’al più, ma non sistematicamente, sulla base del commento di Calderini 5 . Il testo degli epigrammi, dunque, è ricostruibile solo sulla base dei termini presi in esame, di quel che si può dedurre dal commento e delle citazioni dei passi di Marziale disseminate qua e là nel corso dell’opera. Risultano subito evidenti le difficoltà di questa operazione di ricostruzione, anzi l’impossibilità di ricostruire il testo per intero, dal momento che, com’è ovvio, non sono commentati tutti i termini, ma in linea di massima solo quelli che, per motivi diversi, creavano * Sono grata alla Prof. Maria Grazia Sassi per le preziose osservazioni e gli utili suggeri- menti, da cui questo lavoro ha tratto notevole profitto. 1 Si tratta del codice Laur. plut. 53,33 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, a proposito del quale vd. soprattutto Dunston 78-81 e 116-123, da cui abbiamo desunto le sigle per indicare le varie edizioni del commento calderiniano a Marziale (vd. ibid. 112s. n. 2). Si vedano anche: Bandini cc. 623s.; Levi 37s.; Perosa 1955, 31-33; Perosa 1973, 599s.; Hausmann 1980, 261s. 2 «Non fuissent tot exemplis editi commentarii nostri, quos superiore estate emiseramus, nisi tu magna ex parte impulisses»: così il testo della lettera di Calderini a Giovan Francesco Gonzaga premessa al commentario. Fondandosi su queste parole Levi 37 n. 3, contro il parere di tutti i bibliografi, deduce, pur ammettendo di non averne trovato una prova, che la prima edizione dell’opera sia uscita nel 1473, ma è stato efficacemente smentito da Mercati 98 n. 1. Il testo del commentario è qui sempre citato, salvo segnalazione contraria, secondo questa edizione (cf. Hain 4235; I.G.I. 2356), a proposito della quale si vedano Giuliari 40s.; Levi 42; Perosa 1973, 603. 3 Per la prima (qui Ven. 1 ) cf. Hain *4236; I.G.I. 2355 e vd. Giuliari 44; Hausmann 1980, 262-264. Per la seconda (qui Ven. 2 ), datata Venezia 13 settembre 1474, cf. Hain 4237; I.G.I. 2357 e vd. Giuliari 44. 4 Cf. Hain *10814; I.G.I. 6222 e vd. Schneidewin, Proleg. XXXIIIs. e Giuliari 95. 5 Vd. Schneidewin, Proleg. XXXIII: «licet autem haec editio expressa sit ex Veneta Merulae a. 1475 […]. Editio a. 1480 passim ad commentarios Domitii, quibus oppleti margines sunt, correcta est». Seguono alcuni esempi.

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«EIKASMOS» XV (2004)

Per la storia del testo di Marziale nel secolo XVI Commentarii in M. Valerium Martialem di Domizio Calderini*

I Commentarii in M. Valerium Martialem di Domizio Calderini, venuti allaluce per la prima volta in versione manoscritta il 1o settembre 1473 (qui L)1 e astampa l’anno successivo – l’editio princeps è datata Roma 22 marzo 1474 (quiRom.1)2 cui seguirono, sempre nello stesso anno, due edizioni venete3 – furonopubblicati senza il testo degli epigrammi e anche quando, a partire dalla primaedizione postuma, datata Venezia 14804 (concordemente indicata con la letteragreca k), vennero stampati unitamente ad esso, non ci si trova di fronte al testovoluto dal Veronese, bensì a quello dell’edizione curata da Giorgio Merula nel1475, corretto tutt’al più, ma non sistematicamente, sulla base del commento diCalderini5. Il testo degli epigrammi, dunque, è ricostruibile solo sulla base deitermini presi in esame, di quel che si può dedurre dal commento e delle citazionidei passi di Marziale disseminate qua e là nel corso dell’opera. Risultano subitoevidenti le difficoltà di questa operazione di ricostruzione, anzi l’impossibilità diricostruire il testo per intero, dal momento che, com’è ovvio, non sono commentatitutti i termini, ma in linea di massima solo quelli che, per motivi diversi, creavano

* Sono grata alla Prof. Maria Grazia Sassi per le preziose osservazioni e gli utili suggeri-menti, da cui questo lavoro ha tratto notevole profitto.

1 Si tratta del codice Laur. plut. 53,33 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, a propositodel quale vd. soprattutto Dunston 78-81 e 116-123, da cui abbiamo desunto le sigle per indicarele varie edizioni del commento calderiniano a Marziale (vd. ibid. 112s. n. 2). Si vedano anche:Bandini cc. 623s.; Levi 37s.; Perosa 1955, 31-33; Perosa 1973, 599s.; Hausmann 1980, 261s.

2 «Non fuissent tot exemplis editi commentarii nostri, quos superiore estate emiseramus,nisi tu magna ex parte impulisses»: così il testo della lettera di Calderini a Giovan FrancescoGonzaga premessa al commentario. Fondandosi su queste parole Levi 37 n. 3, contro il parere ditutti i bibliografi, deduce, pur ammettendo di non averne trovato una prova, che la prima edizionedell’opera sia uscita nel 1473, ma è stato efficacemente smentito da Mercati 98 n. 1. Il testo delcommentario è qui sempre citato, salvo segnalazione contraria, secondo questa edizione (cf. Hain4235; I.G.I. 2356), a proposito della quale si vedano Giuliari 40s.; Levi 42; Perosa 1973, 603.

3 Per la prima (qui Ven.1) cf. Hain *4236; I.G.I. 2355 e vd. Giuliari 44; Hausmann 1980,262-264. Per la seconda (qui Ven.2), datata Venezia 13 settembre 1474, cf. Hain 4237; I.G.I. 2357e vd. Giuliari 44.

4 Cf. Hain *10814; I.G.I. 6222 e vd. Schneidewin, Proleg. XXXIIIs. e Giuliari 95.5 Vd. Schneidewin, Proleg. XXXIII: «licet autem haec editio expressa sit ex Veneta Merulae

a. 1475 […]. Editio a. 1480 passim ad commentarios Domitii, quibus oppleti margines sunt,correcta est». Seguono alcuni esempi.

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maggiori problemi od offrivano a Calderini lo spunto per dar sfoggio della propriapolumaqiva6. La ricostruzione precisa del testo è resa ancora più problematica dalcriterio di lemmatizzazione che l’umanista spesso – ma non sistematicamente –segue: i termini commentati, infatti, possono trovarsi al nominativo (cf., ad es., adVII 20,10 mala Punica per Punicorum malorum), al plurale anziché al singolare oviceversa (cf., ad es., ad VI 52,1 rapti per raptus); lo stesso si può dire per i verbi,che talvolta vengono ripresi all’indicativo presente o all’infinito (cf., ad es., ad VI44,3 arridere per adrides). Spesso non viene rispettato né l’ordine dei terminiall’interno di un verso (cf., ad es., ad III 5,2 an unus multis satis erit per multis, ansatis unus erit)7, né l’ordine dei versi stessi (cf., ad es., ad V 2 dove ore non rubentidel v. 7 è commentato dopo puella Cecropia del v. 8), così come non viene rispet-tata neppure l’ortografia, per cui uno stesso termine può presentarsi con variantigrafiche a distanza di poche righe o da un epigramma all’altro (cf., ad es., ad IV78,8 dove si alternano le grafie Sigeriosque e Sigereosque). Non minori difficoltàcreano le citazioni dei passi di Marziale: lo stesso passo, citato più volte nel corsodel commentario, è presentato spesso in forma diversa8.

Pari imprecisione rivela Calderini nell’offrire notizie a riguardo dei manoscrit-ti usati: in perfetta linea con i tempi, si limita a citarli con espressioni generichequali «nonnulli / aliqui / alii codices habent», segnalando tutt’al più quando si basasu codici «antiqui» (o «vetusti») o «antiquissimi» (o «vetustissimi») per contrap-

6 Se infatti, come emerge chiaramente sin dalle prime pagine del commentario, Calderiniriserva un’attenzione secondaria ai fenomeni linguistici (fatta eccezione per le etimologie), stilisticie metrici, e non si dilunga spesso su questioni testuali – condizioni sufficienti a precludergli larealizzazione di un commento filologico in senso stretto – è invece profondamente interessato aduna esegesi di tipo erudito. In questo senso il testo di Marziale gli offre molto materiale, dati icontinui accenni del poeta a persone, usanze e avvenimenti del suo tempo, e l’umanista nontralascia occasione per spingersi in digressioni che, con il supporto di numerose fonti, spazianonei più svariati campi del sapere, da quello storico-antiquario a quello mitologico, da quellogeografico a quello scientifico a quello giuridico, affastellando notizie non sempre necessarie onon essenziali all’esegesi del testo. Bisogna tuttavia tener presente – come giustamente fa notareCoppini 1128 – che per Calderini e i suoi contemporanei le conoscenze mitologiche e storico-geografiche del mondo antico erano in effetti limitate, per cui passi che a noi non sembranodifficiliora potevano oggettivamente costituire una difficoltà interpretativa. Così anche CesariniMartinelli 78.

7 Per questo motivo in casi come Epigr. 2,11 in cui il lemma commentato è reddita sibiRoma est resta sempre il dubbio se Calderini segua effettivamente Vindob. 3 (per cui vd. infra,p. 404) che presenta tale ordine dei termini, oppure W (per cui vd. ibid.) e le vetustiores editionesche hanno, invece, reddita Roma sibi est.

8 Cf., ad es., VI 42,21 che nel commento ad l. si presenta, come si può dedurre dai lemmiligdon vacuam e nitere ligdon, nella forma vacuam nitere lygdon, mentre ad VI 13,3 (candidaligdos) è citato come totam nitere ligdon; oppure VI 61,10 citato ad VII 12,10 (genius) comevicturum genium debet habere liber e ad VII 78, invece, come victurus genium debet habereliber.

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porli ai «recentiores», solitamente respinti come «mali» o «mendosi» o «deprava-ti»9. Certo, come ha messo in evidenza anche Saggese10, egli sente l’esigenza, nonsempre condivisa da tutti gli umanisti, della ricerca del codex antiquus – sebbenenon supportata da una collazione sistematica – e questo è sicuramente da annove-rare tra i meriti di Calderini, il quale anche nella Defensio cum recriminatione postain appendice all’opera non manca di sottolineare che «antiqua […] in codice manusnon parvam fidem optineat necesse est, constans presertim et ubique [in quocumquecodice antiquo L] eadem». D’altra parte, il fatto che Calderini avverta quando sibasa su un codice antiquus o antiquissimus può sì servire a stabilire approssimati-vamente l’età del codice in questione11 – età che oscilla tra i secoli IX e XII per gliantiqui o vetusti12, tra i secoli IX e XI per gli antiquissimi o vetustissimi13 – ma èun’indicazione troppo generica per poter individuare di che manoscritto si tratti.

Come è noto i codici di Marziale si dividono in tre famiglie indipendenti l’una dall’al-tra, i cui capostipiti sono da Lindsay indicati con le sigle AA BA CA14. Gli Spectacula ci sonostati tramandati unicamente dai codici della prima famiglia (i florilegi H T R); le altre due

9 Sarà Poliziano il primo a citare in maniera accurata i codici di cui si serve, dandone unaclassificazione (scrittura, età, aspetto, contenuto, etc.) e indicando il luogo in cui si trovano el’eventuale possessore: vd. Branca 212s. e Grafton 165s. Sull’uso dei manoscritti antichi da partedi Calderini vd. Campanelli 2001, 57ss.

10 Vd. Saggese 1993, 189s.11 Vd. Sabbadini 1967a, 169s. e Rizzo 150s.12 Ma vd. anche Sabbadini 1967a, 216: «nulla di strano che alla fine del sec. XV fosse

chiamato antiquus un codice del XIV».13 I codici antiquissimi o vetustissimi possono risalire anche ai secoli IV, V o VI, ma non

riteniamo che questo sia il caso dei codici di Calderini.14 Tali sigle, in verità, sono state da tempo abbandonate a favore di a b g e, più recente-

mente, di A B C; ciò nonostante nel corso del nostro lavoro continueremo a servirci delle sigledi Lindsay, in quanto si è tenuta come costante punto di riferimento la sua edizione. La divisionedei codici di Marziale in tre famiglie risale, come è noto, a Schneidewin – cui si deve la primaedizione del poeta spagnolo fondata su un ampio esame della tradizione manoscritta e costituitacon moderni criteri filologici – ed è stata sempre confermata dalle ricerche successive. Per unadocumentazione più completa ed esauriente sulla storia del testo di Marziale si vedano in parti-colare il datato, ma ancora importante saggio di Lindsay 1903 e, in tempi più recenti, il fonda-mentale quadro fornito da Citroni nella sua edizione del libro I di Marziale (vd. Introd. XLV-LXXIII); eccellente resoconto anche in Canobbio, Introd. 65-73 e 82-92 (con la ricca bibliografiaivi citata). Inoltre: Schneidewin, Proleg. C-CXXVII; Friedlaender, Einl. 67-108; Lindsay 1901;Lindsay 1902; Simar; Lindsay 19292, Praef.; Lehmann; Pasquali 415-425; Reeve 1983; Mastandrea,in particolare 280-290; Zurli 1997, 170-176 (che nega la dipendenza diretta di T da H); Zurli2001 (che discute del rapporto tra i codici T e R concludendo, contrariamente a quanto sostenutoda Carratello e altri, per la seriorità di R, che il copista di T avrebbe intenzionalmente integrato);Carratello 2001, 83-85 (sui rapporti tra H e T, codici indipendenti che deriverebbero da uncomune originale). Per la storia del testo degli Spectacula si vedano, oltre a Schneidewin, Proleg.CXXVII-CXXXII, soprattutto Carratello 1981a, Introd. 20-30 e i suoi numerosi studi al riguardocitati nel corso del presente lavoro.

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famiglie, infatti, laddove li contengono15, li hanno accolti per contaminazione da un mano-scritto della prima. Tuttavia, dato che H T ed R furono noti solo dopo il secolo XV16, nelsecolo XIV e nel seguente gli Spectacula vennero diffusi da un codice vetustissimus17 poiscomparso, appartenente alla prima famiglia o contaminato, proveniente dalla Francia. Talecodice, chiamato K da Sabbadini18, è quello da cui derivarono il Marziale di Boccaccio19 el’Epigrammaton liber in numerosi codici, quasi tutti del secolo XV, della seconda e dellaterza famiglia. Per molto tempo si è creduto che, per quanto riguarda gli Spectacula, il piùantico discendente di K a noi giunto risalisse al XIV secolo e fosse il codice Bononiensis2221 della Biblioteca Universitaria di Bologna (Bonon.)20, in cui, per la caduta del primofoglio, l’Epigrammaton liber inizia con 7,10; strettamente legato ad esso, ma non sua copiadiretta21, è il codice Vindobonensis lat. 316 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna(Vindob. 3), del secolo XV. Studi recenti, invece, hanno dimostrato che il più antico apografodi K è il codice 15 della Biblioteca dell’Abbazia di Westminster (W)22, ivi rinvenuto daLindsay all’inizio del secolo23, ma valorizzato solo nel 1980 da Reeve, che ne ha determi-nato l’epoca (secolo XIII) e ne ha esaminato il testo24. Come sembrano dimostrare le con-cordanze con alcuni codici italiani del secolo XV, in questo periodo dovette giungere inItalia un codice copiato da W o simile ad esso; è dunque lecito affermare che i discendentiitaliani di K non derivarono tutti, come si pensava in passato, da un unico esemplare, quelloscoperto da Boccaccio nel secolo XIV25. Il legame tra W, Bonon. e Vindob. 3, da una parte,e di questi manoscritti con i codici del secolo XV e gli incunaboli di Marziale, dall’altra,è provato senza ombra di dubbio dalla comune esclusione di Epigr. 21b, 29, 3026 e soprat-tutto dal testo, al punto che molte lezioni già ritenute umanistiche si rivelano in realtàpreumanistiche27. Va notato, infine, che la mancanza nei discendenti di K di Epigr. 31 e 32,come in H T R, fa supporre che K fosse più affine a questi ultimi che ai florilegi p n e a

15 Il Liber de spectaculis è riportato da Q e f della seconda famiglia e da V della terza.16 H e T furono portati in Italia dalla Francia da Sannazzaro agli inizi del secolo XVI: vd.

Sabbadini 1967a, 140 e 165; Sabbadini 1967b, 235.17 Così almeno stando alla subscriptio che si trova al f. 1v del codice 2221 dell’Università

di Bologna, per la quale vd. Carratello 1974a, 3s. e n. 14.18 Vd. Sabbadini 1967a, 216. A proposito di questo codice si veda soprattutto l’articolo di

Carratello citato alla nota precedente.19 A questo proposito vd. Hausmann 1976, 182s.20 A proposito di questo codice vd. Sabbadini 1995a, 339s.21 Vd. Carratello 1974a, 7; Reeve 1980, 198; Carratello 1981b, 244s.; Carratello 1989, 273-

275.22 Il codice consta di due manoscritti inglesi, il primo dei quali comprende, tra l’altro, i libri

I-XIV di Marziale ai ff. 1-39r e gli Spectacula ai ff. 47r-48v.23 Vd. Sabbadini 1967a, 217.24 Vd. Reeve 1980 e Carratello 1981b.25 Vd. Reeve 1980, 195ss. e, sulla sua scia, Carratello 1981b, 242.26 Pur non ignorando la rivoluzionaria numerazione proposta da Carratello (per cui vd.

Carratello 1981a, Introd. 30-33 e Carratello 1997, 237ss.), per esigenze di uniformità, anche perl’Epigrammaton liber, come per gli altri libri, si rinvia agli epigrammi secondo l’edizione diLindsay.

27 Si vedano gli esempi addotti da Carratello 1974a, 10 e da Carratello 1981b, 242ss.

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che li hanno tramandati, il cui capostipite, quindi, doveva appartenere a un ramo diversodella prima famiglia28.

I Commentarii di Calderini relativi al Liber de spectaculis, alla luce dellericerche da noi condotte sui lemmi, sulla numerazione e sul testo degli spectaculapresenti nel commentario, dimostrano che il codice o i codici da cui Calderini li hadesunti facevano capo al ramo di K e ai suoi discendenti.

Per quanto riguarda i lemmi29, Carratello sottolinea che è lecito postulare unanotevole antichità solo relativamente a quelli di H T R, mentre i discendenti di Ke i florilegi p n e a presentano titoli recenti di nessuna importanza30. È questo ilcaso anche dei lemmi di Calderini31, molti dei quali si trovano negli incunaboli diMarziale32 e rispondono alla definizione «vulgo» usata da Schneidewin nella suaedizione33. E anche se in tre casi i lemmi sono gli stessi di H T R (cf. Epigr. 8: DeDaedalo [T]; 25: De Leandro [H R]; 26: De natatoribus [H T]), si tratta di lemmitroppo generici per essere significativi.

Anche per quanto riguarda gli spectacula presenti nel commentario e la lorosuddivisione, le affinità con i discendenti di K sono notevoli. Calderini commentaEpigr. 1; 2; 3; 4; 5; 6-6b; 7; 8; 9; 10; 11; 12; 13; 14; 15; 16-16b; 17; 18; 19; 20;21; 22,1-6; 22,7-12 [23]; 24; 25; 2634; 27; 28: come negli apografi di K, nei codiciumanistici e negli incunaboli, mancano Epigr. 21b, 29, 30, presenti, invece, il primoin H T e gli altri due in H R, ed Epigr. 31 e 32, assenti anche in H T R e traman-datici unicamente da p n e a e da b (Berolinensis Diez. B Sant. 60, del secolo XIV)e, nel caso di Epigr. 32, anche dagli excerpta Erfordana (Berolinensis Theol. lat.381, del secolo XV)35. Va inoltre notata la mancanza di Epigr. 25b che, tuttavia, non

28 Di scarsa utilità per la costituzione del testo di Marziale, si tratta di florilegi dei secoliXII-XIV, tutti derivanti da un unico florilegio francese perduto e riproducenti in linea di massimail testo della terza famiglia, ma con vari casi di contaminazione, soprattutto dalla prima famigliada cui hanno desunto anche il Liber de spectaculis. Per una più ampia documentazione si vedain particolare Carratello 1974b.

29 A proposito dei lemmi degli Spectacula vd. Carratello 1981a, Introd. 35-38; e inoltreCarratello 1965, 300-302; Carratello 1975, 218-222; Carratello 1981b, 241s. (per i lemmi di W).

30 Vd. Carratello 1981a, Introd. 35.31 Indicati non sistematicamente in L, assenti in Rom.1, vengono invece premessi ad ognuno

degli spectacula nelle edizioni successive cui qui si fa riferimento.32 Oltre all’analogia dei lemmi di Calderini con quelli di m (= Venezia 1475) e del testo di

k, cf., ad es., Epigr. 11: De urso (f = Ferrara 1471, su cui vd. Carratello 1973); 12: De sue quaeex vulnere peperit (r = Roma 1473); 18: De tigride et leone (f); 23: De Carpophoro (f); 26: Denatatoribus (p = Roma 1470 ca.; f; u = Venezia 1472 ca.).

33 Cf. Epigr. 1: In amphitheatrum Caesaris; 4: Ad Caesarem quod expulerit delatores; 7:Poena Laureoli; 8: De Daedalo; 9: De rhinocerote; 10: De leone qui gubernatorem offendit; 11:De urso; 12: De sue quae ex vulnere peperit; 13: De eadem; 17: De supplice elephante; 18: Detigride et leone; 23: De Carpophoro; 25: De Leandro; 26: De natatoribus; 27: Blanditur Caesari.

34 È commentato tra Epigr. 27 ed Epigr. 28.35 Vd. Carratello 1991, 320s. e Carratello 1998, 244s.

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era sconosciuto a Calderini, dal momento che esso (oltre che in H R) è presentetanto nei discendenti di K, dove costituisce epigramma a sé, quanto nelle vetustioreseditiones, dove invece (tranne che nell’edizione romana del 1473) è unito al 25come in H R: la ragione di questa mancanza va forse cercata in un’annotazione delcodice Vat. lat. 282336, che Calderini ebbe tra le mani, dove in margine al f. 4r silegge: «sunt versus adulterini» e i relativi versi sono cancellati. La stessa spiegazio-ne mi pare possa valere anche per l’omissione dei vv. 7-10 di Epigr. 737 – assentinell’edizione romana del 1473, che Calderini poté visionare – che in Vat. lat. 2823sono cancellati e definiti a margine del f. 2r «adulterini»38. Anche i vv. 8s. di Epigr.27, presenti in H T, vengono omessi come in W, Bonon., Vindob. 3 e nelle vetustioreseditiones, mentre per il v. 2, anch’esso presente solo in H T, Calderini accoglie,come si deduce dal lemma nullum opus e dal relativo commento («id est nullus laborfuisset hominibus in monstris»), il verso creato da un umanista e riportato conqualche variante dagli editori fino al 183739. Per quanto riguarda poi la suddivisionedegli spectacula nel commentario, va notato che Epigr. 6 e 6b costituiscono ununico componimento come in W (ma non in Vindob. 3) e nelle vetustiores editiones(tranne che nell’edizione romana del 1470 ca.); che Epigr. 14, unito al 13 in T, èdistinto, invece, dal precedente sulla scia di W (in Bonon. e Vindob. 3 manca) edelle vetustiores editiones; che Epigr. 16b, distinto dal 16 in T, è unito ad esso comein W, Bonon., Vindob. 3 e nelle vetustiores editiones, vale a dire in K; che, infine,Epigr. 22,7-12, costituente un unico componimento con 22,1-6 tanto in H T quantoin Bonon. e Vindob. 3, è diviso da esso come in W e nelle vetustiores editiones40.

Ad ulteriore dimostrazione della parentela intercorrente, sempre per quantoriguarda l’Epigrammaton liber, tra il commentario di Calderini e la tradizione di K,forniamo qui di séguito l’elenco delle lezioni del commento risalenti a K, a con-fronto con quelle corrispondenti di H T R41:

36 Su questo codice si veda infra, pp. 413-416.37 Che Calderini li ometta si deduce dal fatto che nessun termine di questi versi viene

commentato; in verità, questo avviene anche per i vv. 11s., ma essi trapelano comunque dallaparte introduttiva all’epigramma.

38 Anche Gruterus e Scriverius ritengono spuri tali versi. D’altra parte il v. 7 si presentaincompleto in T W Vindob. 3 e le vetustiores editiones integrano in vari modi.

39 Vd. Carratello 1974a, 12s. e Carratello 1981a, Introd. 54s.40 Vd. Carratello 1991, 316.41 L’apparato critico dell’edizione curata da Lindsay, che seguiamo per gli altri libri di

Marziale, per quanto riguarda gli Spectacula è scarsamente attendibile, in quanto, essendo igno-rato K, tutte le varianti di questo codice vetustissimus rispetto a H T R sono attribuite agli Itali;teniamo, quindi, come principale punto di riferimento, l’apparato dell’edizione curata da Carratello,integrandolo, per quanto concerne W (che abbiamo potuto visionare anche personalmente tramiteriproduzione fotografica), con Carratello 1981b, 237-241, dove lo studioso confronta W con iltesto della sua edizione, con Bonon. e con Vindob. 3. Per questo motivo abbiamo ritenuto oppor-tuno riportare tra parentesi, nell’elenco delle varianti, la numerazione di Carratello (per cui vd.supra, p. 404 n. 26) laddove non coincide con quella di Lindsay.

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1,4 [deum]42 W Vindob. 3 deion T2,3 feri W Vindob. 3 fieri T2,11 sibi W Vindob. 3 om. T3,6 suprem(a)e W Vindob. 3 suprema T3,7 Arabs W Vindob. 3 araps T3,8 maduere43 W Vindob. 3 manduere T3,9 tortis44 W Vindob. 3 torti T4,6 (= 5,2) vitam W Vindob. 3 haec licet T5,4 (= 6,4) donat W Vindob. 3 praestat T6,2 (= 7,2) s(a)evit45 Vindob. 3 servit T7,3 (= 9,3) Calidonio (Calydonio) W Vindob. 3 Caledonio T9,1 (= 11,1) pr(a)estitit W Bonon. Vindob. 3 praestetit T10,4 (= 12,4) tulit46 W Vindob. 3 tulerat R11,2 (= 13,2) implicitam (inplicitam) W Bonon. Vindob. 3 inplicita T11,3 (= 13,3) venabula W Bonon. Vindob. 3 vanabula T12,3 (= 14,3) exiliit W Bonon. Vindob. 3 exiluit T12,4 (= 14,4) Lucina W Bonon. Vindob. 3 Lacina T13,6 (= 15,6) soluta W Bonon. Vindob. 3 salute T15,1 (= 17,1) tu(a)e47 Bonon. tua T16b,3 (= 19,3) confer48 W conferre T16b,3 (= 19,3) stem(m)a49 W50 Bonon. stama T17,1 (= 20,1) [elephas] W Bonon. Vindob. 3 elephans T22,7 (= 26,7) Dorica51 W Norica H T24,3 (= 27,3) Enio52 W Bonon. enuo H T27,3 (= 32,3) Marat(h)on W Bonon. Vindob. 3 amarathon H T27,4 (= 32,4) Arc(h)as W Bonon. Vindob. 3 acas H T27,7 (= 32,7) Colchide W Bonon. Vindob. 3 caholcide H chaolcide T27,10 (= 32,10) Andromeden53 W Bonon. Vindob. 3 Andromedan H T28,3 (= 34,3) quota54 Bonon. Vindob. 3 aota H cata T

42 Poniamo, qui e in séguito, tra parentesi quadre le lezioni che non costituiscono lemma,ma che si possono dedurre dal commento.

43 Cit. ad XIV 112.44 Cit. ad V 37,8 (nitella).45 servit W.46 tulerat Bonon. vett.47 tyre W : tua Vindob. 3.48 confert Bonon. Vindob. 3.49 Così Ven.1, Ven.2 e k (grafia stema); l’edizione manoscritta e Rom.1 hanno, invece, stegma,

per cui vd. l’apparato di Lindsay 19292, ad l.: «stegma (vel stemma vel schema) Ital.».50 Carratello 1981b, 239 legge scema; noi propendiamo, invece, per stema. Vindob. 3 omette.51 Norica Bonon. : Horica Vindob. 3.52 hemo Vindob. 3.53 In verità Calderini nel lemma relativo pone il sostantivo al nominativo (Andromede) che,

comunque, testimonia come egli legga Andromeden (o -em) e non Andromedan.54 et W.

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408 VITI

28,6 (= 34,6) domini55 W domi H T28,8 (= 34,8) ire W Bonon. Vindob. 3 om. H T28,11 (= 34,11) pigri56 W Bonon. Vindob. 3 tigri H T

Sulla base di tali risultati, che documentano la derivazione degli spectacula dicui disponeva Calderini dalla famiglia di K, ci sembra che si possa procedereulteriormente per verificare se essi siano più affini al ramo di W o a quello diBonon. e Vindob. 3.

Innanzitutto va notato che, per il numero degli epigrammi presenti e per la lorosuddivisione, 1) Epigr. 6 e 6b non si presentano divisi come in Vindob. 3, macostituiscono un unico epigramma come in W; 2) è presente Epigr. 14 che si trovain W e non in Bonon. e Vindob. 3; 3) Epigr. 22,1-6 e 22,7-12 non costituiscono ununico componimento come in Bonon. e Vindob. 3, ma sono divisi come in W; 4)solo nel caso di Epigr. 9 si segue l’accordo di Bonon. e Vindob. 3, in cui esso èdistinto dal precedente, contro W, in cui, invece, è congiunto ad Epigr. 8. Se poisi guarda al testo – relativamente a quello ricostruibile dal commentario – risultanopiù numerosi i casi in cui viene seguita la lezione di W contro quella di Bonon. eVindob. 3:

10,2 (= 12,2) contemerare W contaminare Bonon. Vindob. 315,6 (= 17,6) decuisse W docuisse Bonon. Vindob. 316b,3 (= 19,3) confer W confert Bonon. Vindob. 322,7 (= 26,7) Dorica W Norica Bonon. Horica Vindob. 327,4 (= 32,4) timuisset W tenuisset Bonon. Vindob. 328,6 (= 34,6) domini W deum Bonon. Vindob. 328,7 (= 34,7) s(a)evis W saevus Bonon. scaevus Vindob. 3

rispetto a quelli in cui viene seguita la lezione di Bonon. e/o Vindob. 3 contro quelladi W:

6,2 (= 7,2) s(a)evit Vindob. 3 servit W13,1 (= 15,1) icta Bonon. Vindob. 3 iacta W15,1 (= 17,1) tu(a)e Bonon. tyre W28,3 (= 34,3) quota Bonon. Vindob. 3 et W

Nel rapporto con Bonon. e Vindob. 3, i Commentarii presentano sicuramentemaggiori affinità con il primo che con il secondo. Infatti per quel che concerne lasuddivisione degli epigrammi va notato che Epigr. 10 e 17, in Vindob. 3 congiuntirispettivamente ad Epigr. 9 e ad Epigr. 16 e 16b, sono qui un componimento a sé

55 deum Bonon. Vindob. 3.56 Per il problema testuale relativo a questo passo di Marziale vd. Carratello 1965, 322-324;

Carratello 1981a, Introd. 62-64; Carratello 1997, 241.

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409Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

come in Bonon. (e in W); e quanto al testo sono decisamente più numerosi i casidi concordanza con Bonon. (talora in coincidenza con W) contro Vindob. 3:

13,5 (= 15,5) utriusque W Bonon. vivusque Vindob. 313,6 (= 15,6) quaque […] quaque W Bonon. quamque […] quamque Vindob. 315,1 (= 17,1) tu(a)e Bonon. tua Vindob. 316b,3 (= 19,3) stemma57 Bonon. om. Vindob. 324,3 (= 27,3) Enio W Bonon. hemo Vindob. 325,1 (= 28,1) nocturna W Bonon. nocitura Vindob. 328,4 (= 34,4) feras W Bonon. om. Vindob. 3

rispetto a quelli in cui avviene il contrario:

10,4 (= 12,4) tulit W Vindob. 3 tulerat Bonon.

Interessanti anche i casi in cui è evidente l’influsso delle vetustiores editionese delle congetture umanistiche:

15,8 (= 17,8) poterat58

19,3 (= 22,3) cornuto ardore potitus59

24,5 (= 27,5) laxent26,6 (= 30,6) conspicuo27,2 (= 32,2) nullum […] opus60

27,5 (= 32,5) nec (pro haec) armata manus hydr(a)e61

27,7 (= 32,7) ignipedes62

27,10 (= 32,10) Hesionen (Hesionem)28,1 (= 34,1) laudes […] fuerant28,8 (= 34,8) pedester28,11 (= 34,11) Fucinus

A queste lezioni ne vanno aggiunte alcune che si trovano anche in H o in T,ma che Calderini, non potendo disporre dei codici di AA63, avrà desunto dai codicie dalle edizioni umanistiche:

57 Vd. supra, p. 407 n. 49.58 Per il problema testuale relativo a questo passo di Marziale vd. Carratello 1965, 314-317;

Carratello 1981a, Introd. 58-60; Carratello 1991, 322s.59 Ardore è una delle emendazioni del Panormita, a proposito delle quali vd. Carratello

1975, 222-224. Per il problema testuale relativo a questo passo di Marziale vd. Carratello 1965,317-319; Carratello 1981a, Introd. 48s.; Carratello 1998, 247s.

60 Vd. supra, p. 406.61 È emendazione del Panormita.62 Si tratta di un’altra emendazione del Panormita.63 Come si è già detto (vd. supra, p. 404 e n. 16), i codici della prima famiglia H T R furono

noti solo dopo il secolo XV.

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410 VITI

15,4 (= 17,4) in Arctoi64[…] arce poli T vett.22,10 (= 26,10) bison H vett.26,1 (= 30,1) Nereidum H vett.

La situazione per il testo degli altri libri degli epigrammi si presenta altrettantoproblematica: si è già avuto modo di sottolineare come l’individuazione dei mano-scritti su cui Calderini lavorava sia resa difficoltosa dal fatto che l’umanista èsempre molto vago al riguardo. Da quanto si può dedurre dalle sue parole, egli ebbea disposizione diversi codici di Marziale: sicuramente alcuni recentiores65, codicidel XV secolo i quali presentavano un testo fortemente interpolato dalle congettureumanistiche – che, come si vedrà meglio in séguito66, hanno lasciato una pesantetraccia anche nel commentario – e almeno cinque codici antichi. Nell’epistola didedica a Lorenzo de’ Medici, infatti, Calderini dichiara: «quinque habui codicesvetustissimos et eos quidem admodum emendatos. Sed quedam occurrebant aliquandoadeo vel ambigua vel remota ut una tantum dictio per complures dies sepe mesuspensum habuerit».

Tuttavia, sino ad oggi è stato possibile individuare con un buon margine disicurezza, grazie alla testimonianza di Poliziano, soltanto due di questi cinquecodices vetustissimi 67.

Il primo è il codice Langobardis litteris della biblioteca di S. Marco68, a pro-posito del quale Poliziano afferma: «in hac ipsa gentis Mediceae bibliotheca publica,codex habetur vetustissimus Langobardis literis, quem et Domitius olim Florentiaepellegit» (Misc. I 23); e ancora: «nam et qui litteris Langobardorum conscriptus estin divi Marci Florentina bibliotheca, quem etiam ego adulescens Domitio ipsi legendumdedi» (Misc. II 10,7). All’inizio del secolo Lindsay propose di identificare questomanoscritto con il capostipite della seconda famiglia in beneventana oppure con unsuo gemello69, ma questa ipotesi è stata di recente confutata da Saggese70, il qualesottolinea come anche la proposta formulata con cautela da Reeve71, di identificareil capostipite della seconda famiglia con uno dei quattro codici citati da Polizianoin Misc. I 2372, presenti non poche difficoltà73.

64 È ancora emendazione del Panormita.65 Uno di questi sarà stato certamente il Vat. lat. 2823, a proposito del quale vd. infra, pp.

413-416.66 Vd. infra, pp. 422-425.67 Vd. Schneidewin, Proleg. XXXIs.; Dunston 113s.; Saggese 1993, 189.68 Vd. Ullman-Stadter 236, nr. 947.69 Vd. Lindsay 1901, 417; Lindsay 1903, 5s.; Lindsay 19292, Praef. [VIII].70 Vd. Saggese 1993.71 Vd. Reeve 1983, 240.72 Si tratta del codice Langobardis litteris della biblioteca di S. Marco, delle pagellae

quaepiam di Bernardino Messanello, del codice Langobardis characteribus di Bernardino Vallae del codice semivetus di Pandolfo Rucellai.

73 Vd. Saggese 1993, 194s. Sulla questione si veda anche Campanelli 1998a.

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Il secondo dei due manoscritti identificati è un codice smembrato, forse pro-veniente da Bobbio74, consultato a Verona da Poliziano presso Bernardino Messanello,nipote di Calderini: «sed et Veronae mihi pagellas quaspiam antiquissimi itemvoluminis Bernardinus quidam adulescens, ut tum visus est haud illiberalis, Domitiipropinquus, commodavit» (Misc. I 23). Sulla base di un passo della Defensio cumrecriminatione, in cui, a proposito di Mart. IX 42,1, Calderini cita un codice anti-chissimo di sua proprietà («Martialem meum vetustissimum») che riporta una le-zione della seconda famiglia (murinis), Saggese ritiene probabile che sia da iden-tificare con le pagellae quaepiam, appartenute all’umanista stesso e successiva-mente, dopo la sua morte, ereditate insieme alla sua preziosa biblioteca dal padree dal nipote75.

Dunque, ogni volta che Calderini cita un codex antiquus che riporta una lezio-ne della seconda famiglia è possibile che faccia riferimento a uno di questi duecodici. È questo il caso di:

V 22,7: «mulorum: […] Codex antiquus habet murorum quod non placet ut mandrasmurorum intelligas saxa passim iacentia, quod insequens versus videtur probare»76;

VIII 15,4: «et ditant Latias tertia dona tribus: ita et codex antiquus habet et est legendum».IX 42,1: «sic murinus [ma sic murinis L]: ita scriptum est in antiquissimis codicibus,

sed recentiores depravati semurinis habent». E ancora, come si è appena visto, nella Defensio:«[…] Martialem meum vetustissimum, in quo aperte et luce clarius scriptum erat sic murinis,ut ipse censui emendandum»77;

74 Vd. Perosa 1955, 33.75 Vd. Saggese 1993, 188.76 Nei passi del commentario riportati qui e in séguito, il corsivo dei lemmi commentati e

delle varianti citate è nostro.77 La Defensio cum recriminatione stampata in appendice al commentario, di carattere for-

temente polemico, è dedicata in gran parte alla difesa di questa lezione – annotata dall’umanistaanche in margine al f. 108r del Vat. lat. 2823 (per cui vd. infra, pp. 413-416) – attaccata daNiccolò Perotti, il ben noto avversario di Calderini, in una lettera di cui vengono riportati alcunibrani e in cui si difende, invece, sic Myrinis «a Myrina urbe». La lettera è purtroppo andataperduta, ma che questa fosse la lezione per cui optava Perotti è provato dal codice Vat. lat. 6848(da lui scritto in gioventù e poi glossato negli anni), dove nel testo si legge sic myrinis e inmargine al f. 187r l’annotazione ad l.: «Myrini campi sunt inter Gryneum Myrinorum oppidum etMyrinam urbem Eolicam protendunturque usque ad Hermum flumen». Ulteriore conferma vienedalla nota ad I 70,15 nella Cornucopia: «et Gryneus á Gryneo nemore quod est Apollini consecratum;id autem á Grynia urbe nomen habet, quae est in Aetolia et confinibus Ioniae. Et Myrinus áMyrina urbe, á qua et Myrini campi vocitati sunt, in qua religiosissime colebatur» (citiamo, qui ein séguito, dall’ed. a c. di Charlet-Furno et alii, Sassoferrato 1989-1998). In risposta all’avversa-rio, riprendendo e ampliando la nota del commentario ad l., Calderini cita per esteso, a supportodella propria tesi, Strab. XIII 1,48 (in traduzione latina ad opera di Gregorio Tifernate) e chiamain causa anche Eust. ad Hom. Il. I 39 e Plin. NH XXII 135 (hordeum murinum) per dimostrare chel’aggettivo murinus potrebbe essere il corrispondente latino del greco Sminqeuv", epiteto di Apollocosì detto «a muribus»; per di più, prosegue Calderini, la lezione sic murinis ha dalla sua parte

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412 VITI

XIV 58,2: «Grecus es? aphronitrum: ita codex antiquus habet ut dicat Grecus esinterrogantis, id est si scis Grecas litteras»;

XIV 167,1: «pulsulam legi posse et dictionis ratio et antiqui codicis scriptura suadet»78.

Vi sono, però, anche numerosi casi in cui Calderini cita un codex antiquus lecui lezioni coincidono con quelle della terza famiglia:

I 88,3: «accipe non Phario saxo: Phario: ita codex habet antiquus et ita legendum est»79;III 17,1: «inscripta: dictio hec depravata est in novis codicibus omni ex parte, in

vetustissimis non omnino. Nam vetusti codices sic habent: scribit ita»80;IV 45,5: «uxor: Daphne. Ita codex antiquus habet». E in L in margine al f. 74v Calderini

annota ad l.: «uxor in codicibus vetustis, in aliis arbor male. Placet autem antiqua scriptura»;IV 61,6: «lichnici: […] Codex antiquus habet lichnunque terunctum81, ego autem legendum

puto perunctum hoc est nitidum et maxime splendentem»;IV 66,2: «nil potest esse dulcius: idest nil iocundius. Mendose in recentiore codice est

vilius pro dulcius. Dulcius autem habet codex antiquus»;IV 78,8: «Saturiosque meros: codex antiquus habet Sigeriosque meros. Sed Tranquillus

[cf. Dom. 17,2] scribit Saturium et non Sigerium. Saturius erat decurio cubiculariorumDomiciani, Parthenius cubicularius. Si legis Sigereos emendetur dictio eadem apud Tranquillumut pro Saturio scribat Sigereus; conveniant enim necesse est Tranquillus et Martialis quandode cubiculariis uterque loquitur»82;

la testimonianza dei codici antichi e anche dal punto di vista prosodico non presenta difficoltà.Al contrario – e qui si passa al contrattacco – la lezione Myrinis difesa da Perotti non è avvaloratada nessun codice antico, è in contrasto con le regole grammaticali in quanto «a Myrina Myrineumdici non Mirinum et analogia et usus ipse docuit» (ma vd. Henriksén I 202: «the adjectiveMyrinus (not found elsewhere) is modelled without a suffix directly on the name Myrina, acommon practice in poetry») e oltre tutto, a detta di Calderini, non vi sono passi che testimoninoche la città eolica di Myrina fosse sede di un culto di Apollo (ma vd. ancora Henriksén I 202 epassi ivi citati). In realtà, come osserva Dunston 137, entrambe le lezioni sono ugualmentedifendibili; gli editori moderni, tuttavia, accettano tutti sic Myrinis, sebbene nessuno attribuiscal’emendazione a Perotti. Per la disputa relativa a questo passo vd. anche Schneidewin, Proleg.XXIs.; Dunston 137s.; Sabbadini 1995a, 188s.; Campanelli 2001, 65-67. Per la polemica tra i dueumanisti si vedano Schneidewin, Proleg. XXss.; Gabotto-Badini Confalonieri 89-96; Levi 31ss.;Marchesi 122s.; Malaboti 19-23; Mercati 93-103; Dunston 119-121; Hausmann 1976, 201-206;Della Corte 97-99; Sabbadini 1995a, 184-189; Campanelli 2001, 15-38; Ramminger (il cui arti-colo privilegia l’aspetto semantico della polemica).

78 Su questa base Calderini difende la lezione di BA (ricordata accanto a quella di CA punsula)dall’ennesimo attacco del suo calumniator Perotti, per cui vd. Campanelli 2001, 61s. n. 81.

79 In verità la lezione della terza famiglia è Fario, ma è da ritenere che il Phario di Calderinine sia una semplice variante grafica.

80 A proposito di questo passo vd. infra, p. 426 n. 189.81 Variante grafica di ter unctum.82 Come si nota, la lezione di CA Sigereosque si alterna con Sigeriosque che ne è, però, una

semplice variante grafica e quindi riconducibile sempre alla terza famiglia. A proposito di questopasso del commentario calderiniano, sulla scorta del quale Perotti modificò il proprio testo in Vat.lat. 6848, vd. Campanelli 2001, 59-62.

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VI 47,3: «ab antris: antiquus codex habet ab Anna»;VI 58,6: «plurimus Pudens: ita codex antiquus habet et ita est legendum, non autem

pudor»;VII 86,7: «postulanti: […] Quidam codex antiquus habet argenti postulati et ita est

legendum. Nam argentum postulatum seu pustulatum dicitur purissimum»83;X 48,10: «ructatrix: codex antiquus habet stup(r)atrix mentam […]. Si ructatrix legis

dicitur quia facit ructare, si stup(r)atrix, quod placet ex codice antiquo, alludit ad nomendiminutivum mentula»84;

XIII 69,2: «domino: […]. Mendosi codices habent domine [scil. -ae], sed antiqui do-mino quod placet»85;

XIV 46,1: «mendose igitur scriptum est fenestris cum et antiqui codices sinistris habeantet ita sit legendum»;

XIV 55,2: «menda est in hoc disticho recentiorum codicum. Nam in antiquis purpureolegitur et non pulvereo et est ita legendum»86.

Si può, dunque, concordare con Saggese87, il quale afferma che, tra i cinquecodici antichi di cui si servì Calderini, doveva esserci almeno anche un manoscrittodella terza famiglia. Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile identificar-lo; tuttavia, potrebbe essere uno dei manoscritti con cui Calderini collazionò ilcodice Vat. lat. 282388. Si tratta di un codice contenente gli epigrammi di Marziale,scritto a Roma nell’ottobre 1466 da Oliviero Palladio, cui va anche attribuita lamaggior parte delle note marginali, sebbene alcune siano da riferirsi alla mano diC. Antonio Settimuleio Campano89, che scrisse anche i ff. 1v e 181r. Il testo diMarziale è stato corretto da almeno due mani: una di queste è chiaramente quelladi Calderini, che ha anche aggiunto ai margini – probabilmente in tre momenti

83 Vd. Campanelli 2001, 62s.84 In verità CA ha destup(r)atrix, ma è comunque alla terza famiglia che afferisce la lezione

menzionata da Calderini.85 Domino è anche lezione di AA, ma per i motivi già esposti sopra (vd. p. 404 e n. 16) i

codici antichi cui qui fa riferimento Calderini sono della terza famiglia.86 A proposito di questo emendamento di Calderini vd. Campanelli 2001, 61 n. 81. Oltre ai

passi qui indicati, dove Calderini cita un codex antiquus le cui lezioni coincidono con quelle dellaseconda o della terza famiglia, ve ne sono numerosi altri per i quali purtroppo non siamo riuscitiad identificare con certezza la famiglia d’appartenenza dei codici antichi citati: cf. ad I 41,20(Tectius); II 11; II 27,4 (tacet); II 31; II 59; III 82,33 (vindicare); IV 70; V 16,2 (amice mihi);VIII 46,1 (quanta est infantia formae; si tratta di un’annotazione di Calderini in margine a L, f.150v); X 4,12 (legas Ethea Callimachi); X 24,11 (post hac); XII 59,9 (defioculus); XIII 102,2(fecosum); XIII 116,2 (ne nimium sistant); XIV 3; XIV 27,2 (quo tibi); XIV 32 (lemma paracos);XIV 59; XIV 82,2 (dabunt pretium).

87 Vd. Saggese 1993, 189.88 A proposito di questo manoscritto vd. in particolare Dunston 83-85 e 107-116; e inoltre

Schneidewin, Proleg. XCVI; Simar 203-205; Survie 72, nr. 145.89 Per l’amicizia tra Campano e Calderini, testimoniata anche da un fitto rapporto epistolare,

vd. Levi 23-25; Hausmann 1968, passim; Perosa 1973, 598.

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414 VITI

diversi, l’ultimo dei quali dopo il 1o settembre 147390 – numerose varianti o anno-tazioni al testo91 (alcune delle quali sono state successivamente incorporate nelcommentario), e si è servito dei ff. 1r e 181v-183r, in origine lasciati in bianco, perbrevi appunti in séguito utilizzati nella Vita Martialis92 e nei commentari a Marzialee Giovenale93. Tutto ciò è prova evidente che a un certo punto, presumibilmentesubito dopo il suo arrivo a Roma, Calderini entrò in possesso, forse in séguito a undono del Palladio stesso, cui era legato da intima amicizia94, del codice Vat. lat.2823 e che esso fu uno dei manoscritti consultati dall’umanista per la preparazionedel commento a Marziale.

Come ha notato Dunston95, le varianti aggiunte ai margini riflettono la colla-zione di Vat. lat. 2823 con un altro manoscritto, piuttosto che emendazioni diCalderini stesso, e in molti casi rappresentano la lezione della terza famiglia. Neriportiamo di séguito alcuni esempi tra quelli più significativi96:

5v: I 8,2 talis (salvus); I 10,1 Venustus*; 7v: I 49,17 recens; I 49,22 Laletaniam*; 11r: I 78,8vita (via); 11v: I 82,3 in tanto; 12r: I 88,3 Phario*; I 88,5 faciles*; 12v: I 93,4 inscriptum;13v: I 103,11 iniusto (in ius o)97; 14r: I 18,6 vina; 17r: IV 30,1 recede; 18r: IV 39,6 Graniana*;IV 42,6 iste color; 18v: IV 44,6 numine; IV 45,5 uxor*; 19r: IV 49,2 vocat*98; 20v: IV 61,6

90 Vd. Dunston 112.91 Di particolare importanza sono la nota autografa e firmata «D. Cal.» al f. 169v e le note,

a quanto pare di mano di Palladio, ai ff. 83v, 84r e 118v, alle quali Calderini, riconosciutane lafonte nelle proprie letture su Marziale (cui probabilmente Palladio assistette), ha apposto ilproprio nome: vd. Dunston 115s.

92 Premessa al commento, ci è giunta anche in versione autografa ai ff. 184r-185r del ms. 673della Biblioteca Riccardiana di Firenze, uno zibaldone assemblato – probabilmente verso la finedel sec. XV – da Bartolomeo della Fonte, che verosimilmente venne in possesso della VitaMartialis in occasione del suo incontro con Calderini a Firenze nel 1473: vd. Dunston 81-83 e123. Per i rapporti amichevoli tra Bartolomeo della Fonte e Calderini vd. Marchesi 124s. Per ilsoggiorno fiorentino di Calderini vd. Levi 37ss.; Malaboti 21; Perosa 1973, 599s.

93 Vd. Dunston 85 e 107-111. Per il commentario di Calderini a Giovenale, edito in versionemanoscritta il 1o settembre 1474 (si tratta del codice Laur. plut. 53,2, per cui vd. Bandini cc.578s.) e a stampa a partire dall’anno successivo, vd. Perosa 1955, 33s.; Sanford 218-221; Dunston75-78 e 124-127; Perosa 1973, 600s. e 603.

94 Cf. gli addenda finali in Rom.1 e Ven.1 (queste due edizioni hanno liste di addenda ecorrigenda che precedono e seguono il testo del commento; a partire da Ven.2, invece, essevengono inserite ad ll.): «Palladius Olivifer benivolentia mecum coniunctissimus».

95 Vd. Dunston 112-115.96 Sempre per quanto è dato ricostruire dai termini commentati, da ciò che si deduce dal

commento e dalle citazioni di Marziale disseminate all’interno dell’opera, abbiamo contraddistintocon asterisco le varianti accolte nel commentario; nei casi, invece, in cui Calderini opta per unalezione diversa da quella di CA da lui annotata in Vat. lat. 2823, abbiamo indicato tra parentesi,ogni qual volta è stato possibile, la variante adottata.

97 Cit. ad IV 40,10 (imposuit).98 Il termine non costituisce lemma nel commentario, ma che Calderini segua la lezione di

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415Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

ter unctum (perunctum)99; 21r: IV 64,14 iacet; 21v: IV 66,2 dulcius*; IV 66,3 tibi sumpta*100;IV 67,4 iustus*101; 22r: I 104,5 frenis; I 106,9 dolorem; 22v: I 108,9 te saepius; 23r: I 111,1laborum; I 111,4 iura; 28r: II 41,18 puella; 28v: II 44,11 rogaris; 29r: II 53,1 libera mentiri;29v: II 55,2 colere; II 61,1 dubia; 30r: II 61,6 datur*; II 63,3 amares*; 30v: II 66,4 Plecusa*;32v: II 90,7 rogus; 33r: III 2,12 iudice (vindice); 34r: III 17,1 scribit ita102; 34v: III 18,2exuraris (excussaris)103; III 19,2 pare (ferae); III 19,5 celata; 39r: III 68,4 mares; 39v: III 72,3dependent pectore*104; III 73,2 Galle; 46r: IV 18,2 manet; IV 19,12 cultus*; 47r: IV 73,4pulla*; 47v: IV 78,8 Sigereosque meros*; 49v: V 2,6 vocatur (iocatur); 50v: V 7,5 nostrae*105;51v: V 11,2 portat; V 12,3 Ninus*106; 52r: V 15,3 carmine (nomine)107; 52v: V 17,4 cistibero(cistifero); V 19,5 maior; 55r: V 34,3 parvula; 62v: VI 7,4 Telesilla (Thelesina); 63v: VI 13,4liquor108 (decor); 65r: VI 27,2 ficetias (Ficelias); 67r: VI 42,8 vacat*; 68v: VI 56,5 multis(multa); 69r: VI 58,6 Pudens*; 72v: VI 80,8 textilibus; 73r: VI 85,8 quinque (quinta); 86r:VII 86,7 pustulati*; 109r: IX 47,8 quod est*109; 123v: X 31,6 comes*; 124r: X 33,6 lector;125v: X 45,1 pene; 126v: X 48,10 stupratrix*; X 48,17 frena (perna); 151r: XII epist. 12omnibus*; 166r: XIII 10,1 poteris*; 167v: XIII 46,1 praecoqua; 168v: XIII 66,2 si Gnidiae*;169r: XIII 69,2 domino*; XIII 77,1 defecta*; 171r: XIII 119,1 meum*; 173v: XIV 46,1sinistris*; 174r: XIV 55,2 purpureo*; 175v: XIV 97,2 dicas libras; 176r: XIV 105,1 desit;XIV 106,1 pansa*; 177r: XIV 125,2 multa*; XIV 136(135),2 dictis obferat (o: obserat)auriculas110 (pictis accubuisse toris); 177v: XIV 138(136),1 possunt; 178r: XIV 158,2 vetat111;179r: XIV 187,2 vere*; 179v: XIV 198,2 prima*.

CA e non quella di BA putas si deduce dalla parte introduttiva: «Flaccus a p p e l l a b a t carminaMartialis lusus et iocos».

99 È la lezione che Calderini preferisce a terunctum: vd. supra, p. 412.100 In un primo tempo Calderini aveva annotato bis empta, successivamente cancellato. Nel

commentario il verso si trova citato ad V 41,5 (Idus).101 Il termine non costituisce lemma nel commentario, ma che Calderini segua la lezione di

CA e non quella di BA iussus si deduce dalla parte introduttiva: «Gaurus petierat a pretore ut daretsibi C sestertia ut posset i u s t i census eques comitari Domitianum».

102 Successivamente cancellato a favore di sorptita prima e di scriblita poi. A proposito diquesto passo vd. infra, p. 426 n. 189.

103 Così ci sembra di poter dedurre dalla parte introduttiva: «idem sensus est verborumCatonis in Albinum scribentem historiam [cf. Gell. XI 8,1ss. e Macr. Sat. I praef. 13ss.]. NamAlbinus se e x c u s a v i t quod Grecus homo scriberet Latinam historiam».

104 Cit. ad XI 46,3 (panucea).105 Vd. infra, p. 416.106 Ma nella citazione ad VII 67,6 (iactare pueros alterno brachio) si legge Linus con BA.107 Cit. ad X 3,10 (alba penna).108 Successivamente cancellato.109 Nel commentario, che Calderini segua la lezione di CA e non quella di BA facit si deduce

dalla parte introduttiva: «ait poeta se […] cupere intelligere colere draucos quod dogma sit».110 Successivamente cancellato per ripristinare pictis accubuisse toris (AA BA). Vd. Lindsay

19292, ad l.: «dictis (cett. om. usque ad CXXXVII,2 tuas) CA, unde fit dictis adserat auriculasCA».

111 Successivamente cancellato.

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416 VITI

Risulta evidente che Calderini collazionò il Vat. lat. 2823 con almeno unmanoscritto della terza famiglia. Non solo: non si può infatti non notare la perfettacorrispondenza tra le varianti ai margini di questo codice e tutti i casi, tranne uno112,sopra indicati alle pp. 412s., in cui Calderini nel commentario cita un codex antiquusla cui lezione è quella della terza famiglia. Di conseguenza, sembra lecito supporreche almeno uno dei cinque codici antichi menzionati nella lettera a Lorenzo de’Medici possa essere lo stesso manoscritto afferente alla terza famiglia da cui Calderiniha desunto le varianti in margine al Vat. lat. 2823113.

Comunque sia, l’ipotesi che egli avesse a disposizione codici, antichi o menoche fossero, tanto della seconda quanto della terza famiglia è provata dai passi incui sono riportate le lezioni di ambedue le famiglie. Si vedano ad esempio:

V 7,5: «nostre querele: nonnulli codices habent note [BA] ut dicas: Vulcane, parce etnoli iactare amplius querelam tuam [notam L] omnibus quod scilicet Venus uxor tua concubueritcum Marte autore generis Romani. Si legis nostre [CA] idest noli amplius agitare nostrasquerelas»;

V 41,5: «fibule [CA]: indumenta erant histrionum quibus virilia tegebantur. Hic provestibus theatralibus. Placet legas fabulas [BA], id est actiones scenicas»;

VI 25,8: nella parte introduttiva all’epigramma segue la lezione patris di CA (e di AA),mentre nella nota a tu potes esse miles segue quella di BA patriae;

XI 98,23 (quem nolis): la lezione seguita è nolis di CA, ma in L a margine del f. 217r

Calderini annota: «vel facias amicum basiare quem non vis [BA]»;XIII 98(99),2 (decipit canes): la lezione seguita è decipit di CA, ma in L a margine del

f. 246v Calderini annota: «alii codices habent despicit [AA BA] ut dicas eam ex alto tutamdespicere canes quod placet»;

XIV 124,2: «astra [AA CA]: idest celum […] vel arma [BA] dedit magno patri quoniamDomitianus adhuc puer Capitolium defendit cum Sabino patruo, Tacitus [cf. Hist. III 69,4]et Svetonius [cf. Dom. 1,2] autores. Dedit arma: suppeditavit presidium»;

XIV 187,2: «vere Thais amica fuit: ob illecebras visa est vere amica». In L a marginedel f. 269v Calderini annota: «alii habent pueri [BA] pro vere [CA] quod non placet».

Un’ulteriore conferma viene anche dall’ordinamento e dalla suddivisione degliepigrammi. Ad esempio, Calderini segue BA nel fondere insieme VII 23 con VII 22;

112 Si tratta di VI 47,3. In effetti sopra antris, che è cancellato, è stata apposta la varianteAnna, ma non siamo certi che si tratti della grafia di Calderini.

113 Pur essendo partiti dalle stesse premesse, ci dissociamo in parte dalle conclusioni diDunston 114s., il quale, non avendo tenuto conto, come sottolinea Saggese 1993, 189 n. 27, delfatto che Calderini con l’espressione codex antiquus non indica sempre lo stesso codice, ma siriferisce di volta in volta a uno dei cinque codici antichi menzionati nella lettera a Lorenzo de’Medici, dopo aver confrontato le lezioni annotate a margine del Vat. lat. 2823 con quelle attri-buite al codex antiquus nel commento a Marziale, conclude che Calderini collazionò il Vat. lat.2823 con almeno un altro manoscritto, il cui testo era essenzialmente quello della terza famiglia,con qualche contaminazione dalla seconda, e che questo manoscritto potrebbe esser stato il codexantiquus citato nel commentario.

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417Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

nel fare di XI 2,7s. un nuovo epigramma; nell’invertire l’ordine di XIII 54s. Segue,invece, CA nel collocare IV 13 dopo IV 14; XIV 18(20) dopo XIV 20(19); XIV216(218) dopo XIV 217(216); nel fare di XIV 2,3s. un nuovo epigramma; nel-l’omettere – ma potrebbe anche semplicemente non averli commentati – XIV 64(63)e XIV 65. E il fatto stesso che Calderini abbia commentato pressoché l’interocorpus dell’opera di Marziale114 testimonia che egli ha potuto integrare con i codicidi una di queste due famiglie laddove quelli dell’altra omettevano115.

Di conseguenza, il testo proposto da Calderini, o meglio quello che del testosi può dedurre dal commentario, presenta tanto lezioni caratteristiche della secondafamiglia quanto lezioni caratteristiche della terza. A dimostrazione di ciò, riportia-mo di séguito un’ampia scelta di varianti peculiari delle due famiglie116 che occor-rono nel commentario.

Tra le lezioni peculiari della seconda famiglia vi sono:

I: 8,2 salvus; 27,2 quincunces; 55,6 Have; 66,8 duro; 67,2 qui dicit; 73,4 [fututorum];103,10 cicer; 106,3 diluti; 113,6 [nugis]; II: 29,8 pingit; 40,5 Opimi; 46,3 prela; 46,3perlucent117 (P Q f); 55,1 volebam; 64,2 [Taure]; 74,2 reducere; III: 2,12 vindice; 5,5primi […] tecti; 17,1 diu mensis […] secundis; 20,15 Titine; 20,16 inpudici; 31,2 urbanique;31,4 mensa; 36,9 meaque; 38,7 pangentur; 41(40),3 [videris]; 44,18 bonus; 48,2 [praedia];58,44 satur minister; 65,4 ovis118; 83,2 potui brevius; IV: 5,1 bonus; 5,10 Philomelus; 8,1

114 Su più di 1500 epigrammi solo una settantina non sono commentati: I: 19; 32; 47; 63;64; 80; 84; 91; 97; 98; 110; 116; 118 (in L vi è qualche appunto di Calderini che, però, non èstato ripreso); II: 8; 20; 49; 62; 67; 73; 82 (è, però, commentato in L); III: 9; 11; 14; 39; 54; 61;71; 76; 79; 86; 89; 94; IV: 7; 24; 34; 36; 38; 48; 58; 65; 68; 69; 71; 81; 87; V: 15; 33; 36; 40;VI: 36; 72; VII: 10; 18; 33; 77; IX: 21; 33; 53; 69; X: 8; 32 (in L vi è qualche appunto diCalderini che, però, non è stato ripreso); 40; 42-43 (in L vi sono alcuni appunti di Calderini che,però, non sono stati ripresi); 91; XI: 67; 92; 105; 106; XIII: 22; 49; XIV: 205 (ma non ècommentato solo in L). Come si può notare, sono epigrammi che sicuramente Calderini aveva neisuoi codici; se non li ha commentati, dunque, non è perché ne ignorasse l’esistenza, bensì perchéevidentemente, come tra l’altro lui stesso in alcuni casi fa sapere (precisando «sequens epigrammaest clarum» o «cetera epigrammata sunt clara»), non li riteneva bisognosi di esegesi, per cui hapreferito tralasciarli limitandosi tutt’al più a riprenderli nel commento ad altri epigrammi.

115 BA omette: I 1s.; I 41,4-I 47; III 3; VII 92,5-8; VIII Epist.; IX 41,5s.; XI 32,1; XI 45,3s.;XI 50(49); XII 55,5s.; XII 59,8; XIII 38; XIV 10; XIV 25; XIV 95s.; XIV 98,2-XIV 99,1; XIV127,1-XIV 128,2. CA omette: I 84,5-I 85,4; I 109,15s.; II Epist.; III 31; IX Epist.; X 56,7-X 72;X 87,20-X 91; XI 15,1; XI 96; XII 4(5)-XII 6,6; XII 11; XII 15; XII 28(29); XII 29(26); XII 36;XII 47(46); XIV 64(63)s.; XIV 136(135),2-XIV 137(142),2.

116 Includiamo anche quelle varianti che, oltre ad essere peculiari della seconda o della terzafamiglia, lo sono anche della prima; dal momento che Calderini non poteva disporre di codicidella prima famiglia, le avrà sicuramente tratte da una delle altre due.

117 Cit. ad XI 8,5 (prela).118 È la lezione che Calderini preferisce ad apis e ad avis, lezioni entrambe testimoniate nei

codici umanistici: «ovis: multi codices habent apis ut de thimo intelligas cuius odor suavissimusest. Avis de phenice potes intelligere que nidos construit ex cynnamomo et cassia. Placet utlegatur ovis; nam frutices verno tempore morsu gregis fracti suavem emittunt odorem».

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418 VITI

continet119; 13,1 Pudenti; 29,8 Marsus; 31,5 fonte; 45,5 rata; 53,1 nostrae120; 56,1 viduisque;57,3 Argivi; 59,3 pingui […] rore; 64,19 patet; 64,29 Alcinoi; 66,8 rubens; 66,14 fluit;75,3 census; 78,1 messis; 79,2 rus; V: 1,8 credimus; 4,1 [Myrtale]; 15,3 honoratus […]nomine121; 17,4 cistifero; 19,12 togae; 21,1 [Marcum]; 22,12 tanti; 37,7 [crine]; 39,9 Iro;41,3 entheae Gallus; 41,5 fabulasque122; 65,9 maiora; VI: 7,1 renata; 7,4 [Thelesina]; 13,4decor; 15,3 manente; 21,10 duos; 25,8 [patriae]123; 28,6 innocens; 32,5 Caesare; 39,19[vilicique]; 47,3 ab antris124; 47,7 meo […] crimine; 58,2 pigra; 86,5 Tagumque; 93,11mille; VII: 2,7 merere; 17,9 dedicata; 20,8 buccis125; 31,2 flavas; 32,9 lento; 39,1 mane;40,6 senas; 46,4 placet; 46,6 pexa; 47,1 [Sura]; 47,6 tristia (P Q); 55,6 puella126; 62,1.5[Amille]; 65,1 lis te bis; 67,5 draucos; 67,16 di mentem; 70,1 tribadum; 73,3 viduae; 78,4[Pamphile]; 80,10 caesus; 84,3 tacentem; 87,8 facit; 87,9 [Labyrtae]; 96,7 serior; 97,8 Turni;VIII: 3,4 teritur; 6,1 [Eucti]; 6,10 columna; 9,2 luscus; 20,2 [Vare]; 26,1 armis; 28,5 Hiberi;32,2 [Aretullae]; 33,20 spuma Batava; 36,9 lumine; 42,3 laveris; 44,6 equos; 52,4 in genas;53(55),8 Nomas; 70,5 frontem; 72,5 Votieni; 76,1 dic; 78,3 [Stella]; 81,4 [Gellia]; IX: 2,14cultris; 5(6),8 cubiculis; 6(7),4 havere; 12(13),2 breve; 17,6 tuta; 22,14 Massyleum; 26,2pallia; 29,6 Serapin; 31,10 ferro; 35,10 destinet; 37,10 lusca; 38,1 ludas; 42,1 murinis127;44,1 Vindicis; 50,3 [bis denis]; 54,7 fringuillarumque; 57,7 Tusca; 77,2 [Prisci]; 84,9 iuncta;88,2 cepisti; 90,13 Paphi; 94,1 Santonica; 94,3 stupidus; 99,3 Tolosae; 101,15 Iuleas […]habenas; 101,16 orbe; X: 1,4 fac; 1,4 ipse; 3,5 poeta; 3,8 Canus ascaules; 3,10 rumor; 6,1urna; 6,5 dulces; 11,8 plura; 12,11 Roma; 13(20),1 oras; 13(20),3 [Mani]; 14(13),1 raeda;14(13),4 tuo; 22,3 [Philaeni]; 26,8 potes; 30,10 Lucrina; 30,14 amantis; 31,1 [trecentis];35,13 Egeriae; 35,14 [Numae]; 37,8 minus; 48,1 turba; 48,17 perna; 59,6 pene128; 66,4igne; 78,1 Salonas; 78,9 Celtas; 87,2 pia; 87,13 infamata; 88,1 [locellos]; 88,2 [ceras]129;

119 Cit. ad VIII 44.120 Si trova nell’edizione manoscritta.121 Cit. ad X 3,10 (alba penna).122 Vd. supra, p. 416.123 Vd. supra, p. 416.124 Vd. supra, p. 413.125 In BA si legge buccis plangentem, in CA, invece, dulcis placenta; gli editori moderni

accolgono la congettura buccis placentae. Come osserva Saggese 1995, 55s., tale iunctura èattribuita a Scriverius, ma è nota sicuramente, oltre che all’editore dell’Aldina del 1517, a Polizianoe forse già a Calderini. Egli infatti così glossa ad l.: «buccis: frustis, supra dixit buccellas [cf.Mart. VI 75,3]». Nonostante non sia citata la seconda parte della congettura, Saggese reputa pocoprobabile che l’umanista avesse considerato accettabile la lezione senza senso buccis plangentemdella seconda famiglia ed è piuttosto incline a ritenere che conoscesse il testo integro, tanto piùche questo era noto anche a Poliziano, il quale, come si è detto supra alle pp. 410s., avevaconsultato due vetustissimi di BA utilizzati anche da Calderini. Se così fosse, allora buccis placentaenon sarebbe una congettura, bensì la lezione di quella parte della tradizione di Marziale per noiperduta, ma sicuramente nota ai due umanisti. Vd. anche il commento ad l. in Galán Vioque 160s.

126 Cit. ad XI 85,2 (lingere).127 Vd. supra, pp. 411s. n. 77.128 Vd. infra, p. 428 n. 198.129 È lezione che si deduce dalla parte introduttiva all’epigramma nell’edizione manoscritta;

nelle edizioni a stampa, invece, il termine è stato – si pensa inavvertitamente – tralasciato.

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419Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

94,3 germinat; 98,11 dolor; XI: 1,2 sindone; 3,3 Geticis; 5,4 Croesos; 7,6 vetus; 8,8 opes;10,2 erat; 18,12 erucam; 25,1 sagax130; 54,4 turpi; 55,3 nolis; 61,2 Summemianis; 72,1pipinnam131; 74,1 [Graecus]; 80,1 litus; 97,2 [Telesina]; XII: 43,3 Didymi; 48,7 damnatae[…] virgae; 48,8 nec; 48,15 magister; 49,3 [Postumilla]; 50,7 cenantibus; 52,6 Tyndaris;52,11 loca laeta; 54,1 crine; 55,9 muta; 57,19 Petilianis; 60,5 meis; 62,2 sub quo; 63,2Histra; 63,3 Galaesi; 65,4 Cosmi; 72,2 compactae; 75,2 Hymnus; 93,2 [Fabulla]; XIII: 3,1Xeniorum; 26,1 durantia; 28,1 menta; 30,2 mille; 31 (lemma) Vestinus; 78,1 [gigantis];78,2 [Porphyrionis]; 83,1 Liris; 88 (lemma) Gobii; 123,1 expugnet; XIV: 3 (lemma) citrei;5 (lemma) eburnei (Q); 26 (lemma) sapo; 26,1 accendit; 31,1 delecta; 39 (lemma) cubicularis;54 (lemma) crepitaculum; 58,2 Graecus es?132; 59 (lemma) opobalsamum; 78,2 Pactius;79,1 [servi]; 92,1 notis; 93,1 gloria caeli; 97,1 [mullo]; 110 (lemma) potoria (Q); 122,1donat133; 124,2 arma134; 127 (lemma) fuscae; 136(135),2 pictis; 140(139),2 Callaicas; 152(lemma) gausape (Q); 160,1 [palus]; 163,1 redde; 176 (lemma) Germani; 180,1 [tauro];197 (lemma) pomiliae; 200 (lemma) vertagus; 201,1 novit; 217(216) (lemma) accipiter;222,2 apis.

Tra le lezioni della terza famiglia, invece, segnaliamo:

I: 10,1 Venustus; 12,5 umbras; 27,3.7 Procille; 27,4 factam; 43,6 mala; 49,5 Catum135; 49,18Nymeam136; 49,22 Laletaniam; 58,3 secum; 61,5 gaudet137; 69,1 Maxime; 76,10 sed perinane138;76,11 [Permessidis unda]; 88,3 accipe; 88,3 Fario139; 88,5 faciles; 92,8 palla; 93,1 [Aquinus];96,2 Materno; 109,1-5 Issa; II: 11,2 seram; 18,8 Postume140; 32,5 Laronia; 34,6 Pontia; 57,7Claudi; 63,3 amares; 65,2 extulit; 79,1 [vocatum]; III: 6,6 ille; 20,12 rursus; 32,1 [Matrinia];58,18 columbarum; 60,4 sumitur; 60,5 suillos; 93,1 [Vetustina]; 93,15 moechas; IV: 8,6extructos; 9,1 [Labulla]; 13,1 Claudia; 13,6 lotos; 19,12 cultus; 22,7 [insilui]; 23,7 sales;

130 È la lezione delle edizioni a stampa; nell’edizione manoscritta si legge, invece, salax.131 È la lezione che Calderini preferisce a bipennem, presente nei codici umanistici e negli

incunaboli e molto probabilmente derivata dalla lezione di CA bipinnam: «in Natam blando etexiguo verbo appellantem mentulam exoleti sui pipinnam. Nam pipere est minorum pullorumvocem emittere […]. Nonnulli codices habent bipennem, hoc est duplicem pennem, sed placetprior sententia licet syllaba mutata sit».

132 Vd. supra, p. 412.133 Cit. ad X 27,2 (accubat).134 Nel commento ad l. Calderini riporta anche come alternativa astra, lezione di AA e di CA,

senza però optare per l’una o per l’altra variante: vd. supra, p. 416.135 Si trova nell’edizione manoscritta.136 In verità nel commentario si legge Nemeam (in k, però, Nemetam), che comunque fa

capo a CA e non a BA, che ha Nutha.137 Cit. ad V 21.138 È la lezione seguita nell’edizione manoscritta (sed per inane) e in Rom.1 (sed per in ane);

a partire da Ven.1, invece, Calderini opta per la lezione di BA semper inane.139 Vd. supra, p. 412 n. 79.140 Così ad V 22,14 (nisi dormieris) dove Calderini cita il verso in questione; nel commento

ad l., invece, parla solo di un certo Maximus, per cui sembrerebbe seguire la lezione Maxime diAA BA (e per il v. 1 anche di CA) tanto per il v. 1 quanto per il v. 8.

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420 VITI

32,3 laborum; 39,6 Graniana; 45,5 uxor141; 64,1 Tulli; 66,2 dulcius142; 66,3 tibi sumpta143;67,8 das144; 73,4 pulla; 83,4 liber; V: 1,1 Palladiae; 7,5 nostrae145; 12,3 [Ninus]146; 22,7mulorum147; 65,13 licet ; 71,5 [Faustine]; VI: 8,6 dignum quid; 13,5 nodo; 19,1 de vi; 21,8Iovem; 25,8 patris148; 28,8 messibus; 41,2 tacere; 42,6 Passeris; 42,8 vacat; 47,4 nona; 47,8sitis; 62,2 [Oppiane]149; 69,2 [Bassi]; 74,2 trifilem; 77,5 [Afer]; 77,7 gibbo150; 82,2 inspectum;

141 Vd. supra, p. 412.142 Vd. supra, p. 412.143 Cit. ad V 41,5 (Idus).144 Cit. ad V 25.145 Nella nota ad l. Calderini cita anche la variante di BA notae: vd. supra, p. 416.146 Ma vd. supra, p. 415 n. 106.147 Vd. supra, p. 411.148 Vd. supra, p. 416.149 A partire da Ven.2, tuttavia, Calderini opta per Apiane, seguendo molto probabilmente i

codici della seconda famiglia che hanno Appiane.150 Il passo, da sempre molto discusso, ha trovato una spiegazione plausibile – seppur non

esente da difficoltà, come l’autore stesso dichiara – solo nel 1951 ad opera di Timpanaro nell’ar-ticolo Atlas cum compare gibbo, grazie anche ad un indizio fornito da Calderini fino ad alloratrascurato. Dopo aver esposto la propria interpretazione del passo (che trova ora ulteriore con-ferma in Salanitro e Grewing 500-502), basata sulla considerazione che anche per la coppia delv. 7, come per quelle dei versi precedenti (Afro e i suoi portatori, il cavaliere e la belua nigra),il ridicolo deve scaturire da un tratto di somiglianza, come anche l’aggettivo compare starebbead indicare, e sulla conseguente rivalutazione della lezione gibbo della terza famiglia rispetto allacongettura ginno (‘muletto’) di Scriverius – che considerava una glossa penetrata nel testo lalezione mulo della seconda famiglia – accettata da tutti gli editori, lo studioso passa a dimostrarecome essa fosse balenata già alla mente di Calderini. Quest’ultimo, infatti, nel commento ad l.,dopo alcune note oscure e contraddittorie, propone un’altra interpretazione: «an alludit ad ludosNeronis, in quibus fuerunt camelorum quadrige et notissimus eques Romanus, ut proposui, elephantoest vectus ut per gibos camelos intelligat qui gibum habent dorsum et quod sequitur de equiteRomano. Non aliter Atlas magnus ridetur cum gibo camelo. compare: idoneo ad eum gestandum».Timpanaro fa notare come il senso complessivo dell’espressione sfugga a Calderini, in quantopensa che si tratti di un contesto ludico e ritiene che il ridicolo abbia origine dal vedere un enormeAtlante su un cammello altrettanto grande e, quindi, in grado di sopportarne il peso e non dal fattoche sono entrambi gobbi (si veda, però, Dionisotti 164s.: lo studioso, pur ammettendo la fonda-mentale ambiguità dell’interpretazione data al passo dall’umanista, ritiene doveroso, dal momen-to che fin da principio Calderini aveva identificato nella gobba la caratteristica di Atlante, con-cedergli il beneficio del dubbio che l’idoneità del cammello cui allude nella parte finale della notagli fosse suggerita non soltanto e non tanto dalla grossezza, ma anche e soprattutto dalla gobba),ma riconosce che comunque il primo e il più importante passo, accettare gibbus nel significatodi cammello, è stato compiuto dal Veronese. Timpanaro, che pure prende in esame le interpre-tazioni date al passo da Merula e da Poliziano, non fa cenno, però, a quella fornita da Perotti, sullaquale hanno invece richiamato l’attenzione Saggese 1993, 185 n. 4 e, in maniera più analitica,Campanelli 1998b. La nota in margine al f. 132r del Vat. lat. 6848 rivela, infatti, che anche Perottiaveva compreso che gibbus allude a un cammello: «Atlas mons est Mauritaniae ubi homines nigrisunt et cameli nascuntur multaeque ferae. Spectaris ab omnibus ut spectari solet Maurus cumcamelo gibboso sibi simili». Il riferimento al cammello scompare, però, nella nota al f. 132v, in

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421Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

85,11 amici; 88,2 [Caeciliane]; 93,10 faba; 93,11 tutam; VII: 1,2 deae; 4,2 Oppianus; 44,5magnus; 47,11 rapto; 48,4 habete; 49,1 parva; 51,3 [Auctum] (A); 64,5 inutilis; 65,2 foris;66,1 [Labienum] ex asse; 67,3 vorat; 67,5 et flavescit haphe; 69,2 voce; 72,7 Noviumque;79,1 potavi; 86,7 argenti […] postulati151; 87,5 ichemon152; 94,2 Papilus; VIII: 3,14 paribus;8,3 tura; 16,5 [farinam]; 26,3 [tigres]; 50(51),6 pustula; 50(51),16 onus; 67,3 raucae; 72,4[redire]; 80,6 numen; IX: 2,6 torti; 3,6 decidat; 8(9),1 legavit; 10(5),1 [Prisco]; 20,1 patet;22,1 rogare; 22,2 vulgus; 28,3 potui; 35,7 Phario; 45,6 saxa; 48,1.11 [Gallice]; 57,3 crus;59,1 Mamurra; 70,6.10 [Caeciliane]; 71,2 posuere; 71,6 feram; 71,7 portitor; 86,9 [fatis];87,7 [meus anulus]; 101,4 aurea; 101,22 serta; 101,23 numen; X: 2,4 utrique; 14(13),10[Tucca]; 21,2.5 [Sexte]; 24,4 liba153; 31,6 comes154; 48,6 signa; 48,10 stup(r)atrix155; 93,4suta156; XI: 4,4 tota; 7,11 hictericam; 11,5 potare; 18,9 costi; 24,9 [Labulle]; 49(50),10indixit; 52,10 Massica; 81,4 uterque labor; 84,17 habet cor; 98,1 [Basse]; 98,4 pustulaeve(X); 98,23 nolis157; 99,5 [gemina]; 108,4 solve; XII: 2(3),12 sititor; 12,2 [Postume]; 24,6vector158; 33,1 [hortos]; 40,2 [Pontiliane]; 50,1 cyparissos; 63,8 ferrem; 66,9 minoris; 77,11crepando; 78,1 in te; 85,2 [Fabulle]; XIII: 10,1 poteris; 13,1 fatuae; 13,1 prandia; 15 (lem-ma) acapna; 17 (lemma) fascis coliculi; 23 (lemma) Chia; 28,1 condita; 46 (lemma) praecoqua;66,2 Gnidiae; 68,1 Galbula; 68,2 rudis; 69,2 domino159; 72 (lemma) phasiani; 74,2 deus;77,1 defecta; 88,1 lauta; 95 (lemma) eryx160; 98(99),2 decipit161; 113,1 Opimi; 113,2 mulsum;

cui il Sipontino dà del passo un’interpretazione completamente diversa: «Atlas pomilio quidam fuitgibbosus ita ut latior quam longior videretur: circumferebatur quasi monstrum. Ideo inquit cumcompare gibbo quod altitudo gibbi par esset longitudini corporis». Campanelli 1998b, 174ss. ritie-ne plausibile che entrambe le postille risalgano al periodo in cui Perotti lavorò più intensamentesui testi di Marziale, vale a dire tra gli ultimi mesi del 1469 e i primi del 1470; a sostegno di questaipotesi lo studioso riporta l’interpretazione data al passo nel manoscritto King’s 32 della BritishLibrary, un Marziale copiato e postillato tra la primavera del 1469 e l’estate del 1471 da PomponioLeto, la cui esegesi riprende molto da vicino le due postille di Perotti, ma invertite nell’ordine (eciò fa pensare a Campanelli che, data la stretta collaborazione tra i due umanisti nella correzionee interpretazione del testo di Marziale, ognuno abbia derivato dall’altro la propria seconda propostaesegetica). Alla luce di questa assai probabile anteriorità cronologica, Campanelli ritiene che nonsi possa escludere che la nozione di gibbus come cammello sia derivata a Domizio direttamente daPerotti; tuttavia, grazie alle numerose stampe che divulgarono i suoi Commentarii, il Veroneserimase l’unico a suggerire che con Atlas Marziale alludesse a un uomo gobbo.

151 Vd. supra, p. 413 n. 83.152 Così l’edizione manoscritta e Rom.1; in Ven.1, Ven.2 e k si legge, invece, icheumon.153 Così a partire da Rom.1; in L si legge, invece, libra (BA).154 Si trova solo nell’edizione manoscritta e nell’editio princeps; nelle successive edizioni

a stampa il lemma comes non è più commentato.155 Vd. supra, p. 413 n. 84.156 Cf. Lindsay 19292, ad l.: «culta (cum var. lect. suta) toga CA ut vid. (succ- EAF, c- XV1,

suta CV2 etc.)».157 Vd. supra, p. 416.158 Così nelle edizioni a stampa; nell’edizione manoscritta, invece, si legge rector (BA).159 Vd. supra, p. 413 n. 85.160 Nella parte introduttiva all’epigramma Calderini ricorda anche la lezione di T e della

seconda famiglia oryx: «de istrice necesse est intelligas […]. Orix autem inter capreas numeratur».161 Vd. supra, p. 416.

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422 VITI

114,2 vitis; 115,1 Amyclis; 116,1 morantia; 119,1 Nomentana meum; XIV: 1,5 alternas; 3,2nobile; 4,1 calet; 24,2 tortas162; 29,1 tectus; 30 (lemma) venabulum; 43 (lemma) Corinthium;46 (lemma) trigonalis; 46,1 sinistris163; 48,1 Antaei; 48,1 draucus; 52 (lemma) gutus corneus;55,2 purpureo164; 61,1 dux; 63(64) (lemma) tibiae; 69(68) (lemma) Rhodia; 75,1 incesti;81,2 tetrico; 87,1 signa; 88 (lemma) gustatorium; 90 (lemma) acerna; 94,1 audacis165; 95,2meus iste (X); 106,1 pansa; 119 (lemma) matella; 125,2 multa; 126,2 togula166; 133,2 tinxit;138(136),2 villi; 145,2 messe; 146,1 nardi; 148,1 nudo; 176,2 pater167; 187,2 Glycerae(-ere); 187,2 vere168; 193,2 iuvit; 196,1 fiunt169; 196,2 natabit; 198 (lemma) catellae Gallicanae;198,2 prima; 210,1 stupor; 211,2 meruit; 216(218) (lemma) kalami aucupatori; 221 (lemma)craticula; 222,1 manus ista.

Leggendo il commentario, tuttavia, ci si rende ben presto conto che il testo degliepigrammi proposto da Calderini non riflette solo la collazione di manoscritti dellaseconda e della terza famiglia, ma risente anche dell’influsso del cosiddetto ‘testoumanistico’ di Marziale. Basandoci, oltre che sull’edizione di Lindsay, sull’apparatocritico di Schneidewin – alquanto farraginoso per il gran numero di testimoni di cuilo studioso registra le varianti e spesso oscuro in quanto in genere negativo, mal’unico ricco di informazioni sulle interpolazioni e sulle diverse lezioni che si sonointrodotte nei codici umanistici di Marziale – riportiamo una serie di lezioni, accolteda Calderini, volte ad esemplificare tale influsso, che in alcuni casi ha portato ascelte dimostratesi, anche alla luce degli studi più recenti, come le più probabili:

I: 41,9 tomacla; 87,1 fragres; 103,11 in ius o170; II: 60,2 puerile; III: 47,11 Gallici canis;66,1 Phariis; IV: 64,34 Setiam; V: 2,6 iocatur; 35,1 Patrensibus; VII: 5,3 hosti; 29,1 Victoris171;VIII: 26,1 Eois; 28,5 Tartesiacus; IX: 1,7 numen172; X: 26,1 Latia vite173; 28,3 pervius; XI:

162 Cit. ad II 66,2 (incerta acu).163 Vd. supra, p. 413.164 Vd. supra, p. 413 n. 86.165 Cit. ad XII 74.166 Si trova nell’edizione manoscritta.167 È la lezione che Calderini preferisce a puer (di T e della seconda famiglia), come si

desume dall’annotazione in L a margine del f. 268v: «puer quod nonnulli habent codices nonplacet».

168 Vd. supra, p. 416.169 Così nell’edizione manoscritta; in Rom.1 e Ven.1 si legge, invece, fuerint, in Ven.2 e k

fuerunt.170 Cit. ad IV 40,10 (imposuit).171 Afferma Calderini ad l.: «Victoris: est cognomen poete, sed menda librariorum scriptum

erat victuri [codd.]. Versus autem hoc eodem epygrammate indicat mendam: “carmina Victoridum lego pauca meo” [cf. Mart. VII 29,6: carmina Victori dum lego parva tuo]».

172 Così nel lemma dulce numen, mentre subito prima nel commento a Iulie nomen si seguela lezione nomen (codd.).

173 Nell’edizione manoscritta a margine del f. 185v Calderini annota: «lege Latia vite utemendes depravatos codices»; anche in margine al Vat. lat. 2823 (f. 122v), che in origine aveva

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423Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

3,1 Pimpleide; XII: 5(2),1 Pyrgos; 48,1 si174; 95,1 Musaei; XIII: 109,2 Iuleo; XIV: 87,1lunata.

In un maggior numero di casi, però, l’influsso del testo umanistico ha portato ascelte deteriori:

I: Epist. 1 secuturum175; 34,7 Laide; 43,7 fiscina; 45,1 charta; 49,6 vada Veronem176; 49,9tepida […] Cogedi vada; 78,8 via; II: Epist. 4s. quare tragoedi […] comoedi; 31,1 Christillam177;36,1 pectere; 46,5 vellera; 61,5 rubigine; 66,4 sectis; 86,5 choliambon; 87,2 [Phoebe]; III:19,5 ore; 43,1 [Licine]; 50,4 origanum; 58,22 lutei; 82,16 suscitator178; 93,20 sarrire179; IV:4,5 bardiacus; 6,3 [Massiliane]; 21,2 [Celius]; 47,2 dipyron; 80,1 [Matho]; V: 24,9 iocariorum180;

latias modo rite (BA), poi corretto in lata modo vite (CA), Calderini ha emendato lata in Latia evi ha aggiunto la propria firma: «Domitius Veronensis». Nella Defensio cum recriminatione,cogliendo l’occasione per polemizzare ulteriormente con Perotti, Calderini racconta di aver avutotra le mani nei giorni precedenti un codice emendato dall’avversario e, mentre leggeva i libri IXe X, di non aver potuto trattenere il riso dopo aver visto che, anziché Latia modo vite, l’avversarioaveva scritto lata modo voce (Calderini allude qui all’edizione romana del 1473; nel Vat. lat.6848, f. 208r, infatti, Perotti ha corretto latias in lata, ma ha lasciato o rimesso – la parola èritoccata – vite e chiosato come Calderini: «quia centuriones vite utebantur»). Riprendendo lanota ad l., egli difende allora la propria (corretta) lezione, suffragata anche dalla «libri antiquiscriptura», e spiega con tanto di citazioni (Plin. NH XIV 19; Lucan. VI 146; Iuv. 8,247; Sil. XII465s.; Dig. XLIX 16,13) che la Latia vitis era il simbolo dei centurioni. Vd. anche Schneidewin,Proleg. XXII e Sabbadini 1995a, 188s., il quale, osservando che in margine al f. CXIIIr del codiceAmbr. B 131 sup. (per cui vd. ibid. 176-189) – riconducibile se non a Perotti stesso, a un umanistaromano della sua cerchia – recante nel testo latias modo rite, è annotata la lezione latia modo vite,seguita da una nota molto simile, anche nelle citazioni, a quella di Calderini, ipotizza una suaderivazione dal commentario dell’umanista veronese.

174 È la lezione che Calderini preferisce a sic (AA BA): «si tanquam vilia: si lege et non sicut mendosi habent codices».

175 È la lezione seguita a partire da Ven.2; l’edizione manoscritta e le precedenti edizioni astampa hanno, invece, secutum.

176 È così che Calderini, in polemica con i suoi avversari, sostiene che si debba leggere:«Vero: […]. Inepti homines legerunt Vadavero coniuncta dictione quom duo sint: vada notasignificatione et Vero fluvius».

177 Calderini ricorda anche che «codex antiquus habet Cristinum» (vd. supra, p. 413 n. 86).178 Cit. ad VI 89,2 (arguto pollice).179 È la lezione che Calderini preferisce a sathire: «prurire quid si sarrire velit saxum?:

sarrire id est aperire ut placet Varroni [cf. LL VII 108 dove, però, si legge: ‘nec satis sardare’(sarrare codd.) ab serare dictum, id est aperire] […]. Sensus est: si forte vir aliquis constitueritanimo sarrire saxum, id est futuere te saxeam, quis posset illum appellare maritum aut te uxorem,cum Philomelus cui paulo ante nupseras senex appellaverit te aviam? Si sathire legis dicatur asathis quod mentulam significat, unde sathiri dicti proni in libidinem Macrobio autore [cf. Sat.I 8,9], ut dicas: quid si aliquis velit sathire, id est arrigere ad saxum? Sed placet prior».

180 È la lezione che Calderini preferisce a locariorum: «locariorum: an locarii dicuntur illiqui locant foros ad spectandum, ut dicat Hermetem divitias esse locariorum cum multi confluantad eum spectandum conductis locis a locatoribus, an locarios eos dicit qui ad ludos instruendos

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424 VITI

VI: 39,20 hybridarum181; 74,2 segmentatus182; VII: 1,2 quo tumet; 30,1 Cattis; 69,7 Parthenis;VIII: 6,12 et bibit ipse; 28,12 albet; 50(51),18 certa; 59,4 piceata; 80,7 renovas; IX: Dedic.1 non te celabis; 23,5 libare183; 66,3 adverso; 82,1.6 [Cinna]; 99,4 amica; 101,7 cervam;101,7 undis; X: 30,28 vinitores; 33,1 [Numati]; XI: 21,7 delphitico; 31,14 libres; 39,1monitor184; 94,4 corripias; 104,8 patet; 104,22 Thaida; XII: 24,4 iuvante; 43,5 novem; 70,2vanus; 70,9 diatheca; 82,11 tropin; XIII: 12 (lemma) triticeum; 54,1 massa; 84,1 obesus;112,1 pampineos; XIV: 26,1 caustica; 40 (lemma) candela185; 41,2 myxas186.

instrumenta aliqua locare solent. Vel iocariorum divitie: qui diligitur ab iis qui ludis delectanturut sequitur de mulieribus, quod magis placet».

181 È la lezione che Calderini preferisce a Niobidarum della seconda famiglia: «hybridarum:hybride autore Porphyrione in Horatium [cf. Porph. in Hor. Sat. I 7,2] dicuntur qui ex imparibusparentibus nascuntur […]. Hybride hi pueri dicuntur qui nati erant e servis hominibus et cive muliere.Alii codices habent Niobidarum ut referas ad numerum filiorum Niobes, sed placet prior scriptura».

182 È la lezione che Calderini sembra preferire a semitatus: «segmenta: dicuntur quisquiliererum sectarum. Segmenta item dicebantur colli ornamenta que senatus Romanus aurea permisitmulieribus in gratiam Volumnie que Coriolanum repressit imminentem patriae. Segmenta pretereafasciole […]. Non nulli codices habent semitatus id est distinctus et expolitus […], at segmentatifasciolis obvoluti dicuntur et per translationem segmentati unguento obliti dicuntur».

183 È una delle due alternative proposte da Calderini: «libare: cedere, vel livere: invidere utalii habent codices [cf. Lindsay 19292, ad l.: «libere (-ae) codd. (i.e. liv-)»]».

184 È la lezione che Calderini preferisce a movitor: «mearum cunarum monitor: quia meinfantem monuisti, vel movitor quia movisti cunas mihi infanti. Placet prior scriptura».

185 Nella nota ad l. Calderini polemizza per l’ennesima volta contro «temerarios quosdamcommentariorum nostrorum calumniatores» che «vernaculam quandam vocem sectantes» e «deletaveteri scriptura» propongono come lemma non candela, bensì cicindela (della seconda e dellaterza famiglia), sostenendo che «cicindelam lampadem esse que ex vitro partim aqua partim oleoimpletur atque ita vulgo nominatur sumpto nomine a lampyridibus que cicindele dicuntur autorePlynio [cf. NH XVIII 250]». Per sconfessare la tesi degli avversari, tacciati ancora una volta ditemeritas, impudentia e stultitia e apostrofati come «homines plebei, vulgares et plane contemnendi»,Calderini sottolinea che il termine cicindela «nusquam extat pro lampade» e chiama in causa,oltre alla testimonianza di tutti i codici in cui, a quanto dice, non si trova mai tale lezione, unpasso di Festo in cui cicindela è spiegata come genus muscarum, quod noctu lucet, videlicet acandela [Calderini dice «a candeo»]; unde etiam candelabra putantur appellata (cf. Fest. p. 37L.) per poi concludere – ma a torto – che «candela […] scribendum est», in quanto «codices etantiqui et recentes ita habent» e in quanto si tratta di un verbum Latinum e non vulgare comequello sostenuto dagli avversari che amano «nimium […] vernaculam linguam et plebeiam». Chedietro ai calumniatores attaccati da Calderini si debba vedere ancora una volta Perotti è dimo-strato dalla nota della Cornucopia relativa al termine cicindela nel commento ad Epigr. 3,3:«lucet ignium modo noctu laterum et clunium colore cicindela, á Graecis Lampyris dicta; quidamnoctilucam, alii nitedulam vocant […]. Huius animalis stellantes volatus maturitatis hordei signumrusticis prebent, mira benignitate naturae. Ab hac lychnus pensilis, quem vulgo lampadem vocant,cicindela appellatur, quae nocte tota servatur accensa et lampyridis instar lucet [segue la citazionedi Mart. XIV 40]». Per il commento a questo lemma di Marziale vd. Leary 94s.

186 Altro passo oggetto di feroce polemica. In L Calderini afferma (f. 254r): «lucerna polymychos:mucov" significat angulum. Lucerna plimychos [sic] dicitur quae habeat multos angulos et totidemflammas funales. Hec, ut proposui, conviviis illustrandis erat destinata», cui di séguito annota di

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425Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

D’altra parte, l’influsso del testo umanistico di Marziale nel lavoro di Calderinisi fa sentire anche per quanto concerne la suddivisione e l’ordinamento degli epigrammi,e anche in questo caso ora ha giocato un ruolo determinante per il miglioramentodel testo, come nell’accoglimento della correzione degli Itali che uniscono ai pre-cedenti i vv. 3ss. di V 34 e i vv. 3s. e 5-8 di V 42; ora, invece, ha generatoconfusione, ad es. nella collocazione di III 31 prima di III 30, di V 20 tra V 13 eV 14, di VI 9 dopo VI 10, di XII 68 tra XII 64 e XII 65, di XIV 43 dopo XIV 44.E riteniamo che anche i lemmi187 dei libri I-XII, sebbene talvolta coincidano conquelli della seconda o della terza famiglia, riflettano in gran parte quelli circolantinei codici del XV secolo e negli incunaboli.

Vanno inoltre segnalate anche alcune lezioni che, stando almeno all’apparatocritico di Schneidewin, sembrano essere peculiari di Calderini o comunque compa-rire per la prima volta nel suo commentario. Ne riportiamo alcune tra le più signi-ficative, contrassegnando con un asterisco quelle che si trovano già annotate dallamano di Calderini stesso nel Vat. lat. 2823188:

sua mano: «tot mychos: id est tot angulos flamares». Nella lettera a Pomponio Leto (edita daSabbadini 1995a, 184-186), Perotti irride pesantemente a questo emendamento, riferitogli dal-l’amico Rufo, di cui Calderini s’andava vantando di contro alla lezione dei codici polymyxos /myxos. In risposta, riporta la sua (corretta) interpretazione, stralciata da un proprio commento aMarziale allora in corso di stampa (per la cui identificazione vd. Stok 28s.; il testo della nota adl. citato nella lettera a Pomponio Leto è comunque presupposto dal commento a polymyxosriportato nella Cornucopia nella trattazione relativa ad Epigr. 24,2), in cui, dopo aver precisato«ellychnium dicimus quod lucernis adhibetur ad lumen prestandum», spiega, sicuramente sullabase di Poll. VI 103 (annotato ad l. in margine al Vat. lat. 6848, f. 279r) e Suda m 1418 e 1496A., che una lucerna è poluvmuxo" quando è apta ad plura ellychnia ferenda, in quanto «muvxa apudGraecos humorem significat e naribus fluentem» e «ex hoc muvxa etiam et muvxo" pars lucerneprominens vocatur ex qua profertur ellychnium, veluti ex naribus mucus». A questo attacco diPerotti, Calderini risponde nella singolare nota ad l. nell’edizione a stampa del suo commentario.Egli inizia con le medesime parole della vecchia nota in L, mutando però opportunamente polymychose mychos in polymyxos e myxos e omettendo la parola funales che era stata criticata dall’avver-sario, e poi prosegue citando a sostegno quelle stesse fonti, Polluce e Suda, che Perotti avevautilizzato e silentio, dopodiché si lascia andare ad un’ampia digressione in cui accusa il propriocalumniator, che a torto «quasi polymychon et non polymyxon legerimus hoc loco clamat etobiurgat» e perciò «in hoc sine adversario litigat», di aver corrotto un passo di Plinio (si trattadi NH XXXIV 11) scrivendo salinis al posto di salariis e di non avere un’adeguata conoscenzadel greco, per finire con le stesse parole, sempre con le dovute modifiche, della versione mano-scritta: «hec, ut proposui, conviviis illustrandis erat destinata. Tot myxas: id est tot angulos inspeciem narium». Stando così le cose, è facile concludere con Dunston 136 che Calderini, unavolta venuto in qualche modo a conoscenza dell’attacco di Perotti e accortosi della fondatezzadell’interpretazione fornita dall’avversario, abbia deciso di emendare la propria nota, cercandoperò abilmente di mascherare il più possibile il proprio fraintendimento. Vd. Dunston 134-137;Stok 27-30; Sabbadini 1995a, 184-188. Per il commento all’epigramma vd. Leary 95s.

187 Per i lemmi che precedono gli epigrammi di Marziale si vedano Friedlaender, Einl. 71n. 1, 78 n. 1, 86 n. 1, e soprattutto Lindsay 1903, 34-55.

188 È doveroso, dunque, in questi casi tener presente l’eventualità che Calderini abbia tro-

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426 VITI

I: 12,5 antiquas*; 49,17 Ilece*; III: 17,1 scribitilla / scriblita*189; 47,1 fluit; 93,24 Acoride;IV: 55,20 Suelos; 78,8 Saturiosque190; VII: 86,11 vorator191; IX: 31,2 [Vibius]; 35,5 Cattis;39,3 Sanctonici; 87,5 Dyodorum; 103,3 [Piero]; X: 14(13),3 Nolanas; 48,20 plena; 83,8Almyrotem*; XI: 99,6 Minyas192; XII: 21,8 ducat; XIII: 24 (lemma) poma Cidonia; XIV:24,1 tennia*; 140(139) (lemma) Liburnica*; 184 (lemma) Ilias Homeri et Odissea; 192(lemma) Ovidius.

vato tali varianti in uno dei codici con cui ha confrontato il Vat. lat. 2823; d’altra parte potrebbebenissimo trattarsi di congetture di Calderini stesso o risalenti ad un periodo antecedente l’uscitadel commentario e poi in esso riprese, o, com’è sicuro per scriblita (vd. la nota successiva),posteriori al 1o settembre 1473 e annotate nel Vat. lat. 2823 nella terza delle tre fasi di cui si èparlato sopra (vd. pp. 413s.).

189 Scribitilla, che sulla base della testimonianza di Varrone (cf. LL VII 65, citato peraltroin maniera errata) starebbe ad indicare per Calderini un «genus cibi liquidioris», è la lezione percui il Veronese opta, di contro tanto ad inscripta dei novi codices (della prima e della secondafamiglia) e a scribit ita dei vetusti (appartenenti, come si è visto supra, p. 415, alla terza fami-glia), quanto ad intrita e sorptita (sostenute rispettivamente da Merula e da Perotti nel Marzialeda lui edito a Roma il 30 aprile 1473), nel commento ad l. in L (dove i termini scribitilla escribitillare sono anche annotati di suo pugno in margine al f. 53v), Rom.1 e Ven.1. Negli addendae corrigenda stampati alla fine del commento in Rom.1 e Ven.1, invece, in una nota che si trovavain margine e che era stata tralasciata dai librarii, dopo aver ancora una volta polemizzato controi propri detrattori, egli afferma: «scriblita legendum existimo. Nam scriblita, quod ex antiquiscodicibus facile apparet, est placente genus, quod docet Cato his verbis in re rustica: “scriblitamsic facito: in balteo, tractes, caseum ad eundem modum facito uti placentam, sine melle, coquitoque”[cf. Cato Agr. 78]. Itaque leges: “circumlata diu mensis scriblita secundis”». E a partire da Ven.2

la lezione scriblita sostituisce scribitilla anche nella nota ad l. Se dunque il 1o settembre 1473Calderini poteva proporre la congettura scribitilla, ma non aveva alcuna prova effettiva a riguar-do, il 22 marzo 1474 egli sapeva come scrivere correttamente la parola (scriblita) ed era in gradodi addurre a sostegno la testimonianza di Cato Agr. 78. Tutto ciò induce Dunston 127-133 asospettare che la paternità di tale emendazione non si debba ascrivere tanto a Calderini, quantoa Perotti, che in margine al Vat. lat. 6848 (f. 72r) annota: «scriblita [correzione di un precedentescribilita]: genus edulii est instar placente. Vide Catonem». Calderini dunque, sostiene lo studio-so, venuto a conoscenza di tale emendazione, se ne sarebbe appropriato esibendola poi come sua;ad ulteriore riprova della propria tesi Dunston chiama in causa le annotazioni ad l. in margine alVat. lat. 2823 (f. 34r): Calderini prima annota scribit ita, che dovrebbe rappresentare la suacollazione con il codex antiquus, poi annota l’emendazione di Perotti sorptita e infine, in unaterza fase molto probabilmente posteriore al 1o settembre 1473, cancella entrambe le precedenticongetture e annota scriblita. A favore della paternità calderiniana della congettura scriblita sischierano, invece, Charlet 220-222 e Sabbadini 1995a, 189.

190 È la lezione menzionata da Calderini in alternativa a Sigeriosque / Sigereosque del codexantiquus (vd. supra, p. 412 n. 82).

191 È una delle due alternative proposte da Calderini: «vapulet vorator: id est Martialis noninvitabis amplius, sed tanquam edacem repelles quia iam te novi; vel vapulet vocator: namvocator dicitur qui invitat et vocatio invitatio. Hoc verbo antique usus Catullus: “Mei sodalesconquerunt in trivio vocationes” [cf. 47,6s.: mei sodales / quaerunt in trivio vocationes?]».

192 Questa congettura, generalmente attribuita all’editore dell’Aldina del 1501, risale, anchese con la grafia Minias, almeno a Calderini. Egli infatti così commenta i vv. 5s.: «Simplegades:

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427Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

Prima di concludere, un’ultima osservazione. Calderini, come si è detto, nonpoteva avere codici della prima famiglia e quindi si è dato per scontato che nei casiin cui una lezione è peculiare della prima e di una delle altre due famiglie eglil’abbia attinta da queste ultime. Eppure nel commentario ricorrono – anche se sitratta, fatta forse eccezione solo per X 48,23193, di casi scarsamente significativi –alcune lezioni che sembrano essere esclusive della prima famiglia:

scopuli qui inter se concurrere videntur. Idem dicuntur Cianee et Minie a Martiale ob cursumquem illac Minie, id est Argonaute, tenuerunt. Nates appositas appellavit geminam Simplegadem.Vel nimias, id est prepingues, sed magis placet ut legas Minias». Anche se in studi recenti talecongettura è stata respinta a favore della lezione dei codici nimias, per cui in genere optano glieditori del XX secolo – cf. Ker, Heraeus 1925a, Giarratano, Izaac, Kay (vd. anche nota ad l., p.269), Shackleton Bailey 1990 – la si può ancora leggere in edizioni del XIX – cf. Schneidewin,Friedlaender (come Calderini, ritiene che Marziale abbia chiamato le Simplegadi con un appel-lativo degli Argonauti), Gilbert – e in quella di Lindsay. E inoltre, come giustamente osservaSaggese 1995, 53, anche se la proposta congetturale di Calderini non ristabilisce il testo corretto,si deve riconoscere che «spetta all’umanista veronese il merito di aver individuato il problemache la scelta nimias Cyaneasque pone e di aver stimolato la ricerca».

193 Si tratta di uno dei passi di Marziale più discussi. Lindsay 1903, 14 ritiene che le lezioniprive di senso scutoque e scipioque, rispettivamente di BA e CA, siano una corruzione dell’ori-ginario Scorpoque (congettura che fu già di Gruterus) che rispecchierebbe la prima redazione dellibro X, mentre la lezione di AA venetoque, cui va la sua preferenza, rappresenterebbe la versioneemendata della seconda redazione, pubblicata dopo la morte di Scorpo. Heraeus 1925b, 319,invece, sulla base del veneto prasinove di XIV 131,1 e del de Scorpo… et Incitato di XI 1,16,osserva che prasino non fa coppia con Scorpo ed è convinto che solo la lezione di AA derivi daMarziale e che le lezioni delle altre due famiglie risalgano ad un’antica corruzione di venetoque.Pasquali 420 giudica la spiegazione di Heraeus «insieme troppo complicata e troppo vaga perpersuadere» e si pone sulla scia di Lindsay, pur sottolineando il carattere meno ardito, ma anchepiù triviale della giuntura del rifacimento de prasino… venetoque. Anche Shackleton Bailey1989, 143 muove obiezioni alla tesi di Heraeus, notando che in realtà prasino può far coppia conScorpo qualora quest’ultimo fosse un auriga dei Verdi; diversamente da Lindsay e da Pasquali,tuttavia, egli sostiene che la verità vada ricercata nelle lezioni di BA e CA, da cui Gruterus hacongetturato Scorpoque e che la lezione di AA venetoque debba essere invece accantonata comeun’interpolazione basata su XIV 131,1. A favore delle lezioni della seconda e della terza fami-glia, e contro la tesi della variante d’autore sostenuta da Lindsay e da Pasquali, si schiera ancheSchmid 406-412, il quale sostiene che qui Marziale voglia alludere non solo a una squadra diaurighi, ma anche, attraverso l’uso metonimico di scutum, a una di gladiatori; pertanto il testocorretto sarebbe lo scutoque tramandatoci da BA, di cui lo scipioque di CA, che peraltro conser-verebbe l’originaria collocazione del termine, costituirebbe una corruzione, mentre il venetoquedi AA sarebbe il frutto di una normalizzazione della lectio difficilior scutoque. In tempi piùrecenti, Di Giovine 460-466, dopo un’attenta disamina delle soluzioni proposte, conclude che «èforse questo uno dei casi in cui converrà ripiegare su una soluzione poco ‘rivoluzionaria’ e moltomodesta», vale a dire stampare il testo di AA e in apparato presentare le lezioni di BA e CA comepossibili corruzioni di Scorpoque, attribuibile o a Marziale stesso o a un’antica interpolazione.Comunque sia, sta di fatto che qui Calderini, che non poteva disporre dei codici di AA, legge conla prima famiglia venetoque, senza accennare minimamente ad un eventuale problema testuale.D’altra parte tale lezione sembra esser stata di comune diffusione tra gli umanisti, come risulta

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428 VITI

II: 37,11 vocabo194; IV: 62,1 Tibur in Herculeum195; VI: 32,1 Enyo; 45,4 turpior; 85,8quinta; VII: 64,3 Aetnaea196; X: 5,3 clivos; 14(13),7 lumina; 48,23 de prasino197 convivameus venetoque loquatur; 59,6 pane198; XI: 84,14 picta199; XII: 7,2 [Ligia]; XIII: 29 (lem-ma) Damascenorum; 39 (lemma) haedus; 88,1 Venetis; 109,1 mitis; XIV: 12 (lemma) eburnei;31 (lemma) culter venatorius; 111,1 peccant; 118,2 aqua200; 138(136),1 lenia; 145,1 tanta201;185,2 nucibus; 193,2 domo; 201,1 vincat202; 209,2 fiat203.

La spiegazione sarà da individuare nel fenomeno della contaminazione. Seall’inizio del secolo Lindsay sosteneva che fino all’età umanistica non si sonoverificati contatti fra le tre famiglie di Marziale204, oggi, alla luce dei recenti studi

da un esame autoptico di molti manoscritti e incunaboli di Marziale del secolo XV. Essa si trova,infatti, nel cod. Ambr. B 131 sup., nel Vat. lat. 2823, nel Vat. lat. 6848, nelle edizioni romana del1470 ca. (cf. Hain 10805; I.G.I. 6215), ferrarese del 1471 (cf. Hain 10810; I.G.I. 6216), venetadel 1472 ca. (cf. Hain *10809; I.G.I. 6217), romana del 1473 (cf. Hain 10811; I.G.I. 6218), venetadel 1475 (cf. Hain 10812; I.G.I. 6219), bolognese del 1477 ca. (cf. Hain 10806?; I.G.I. 6220),milanese del 1478 (cf. Hain 10813; I.G.I. 6221), parmense del 1481 ca. (cf. Hain 10807; I.G.I.6223). E in V (sec. X), appartenente alla terza famiglia, sopra a scipioque è annotata in inchiostrorosso da una mano umanistica (vd. Simar 186, che la identifica con quella di Pomponio Leto, eCitroni, Introd. LVIIIs.) la lezione di AA venetoque. Difficile stabilire con certezza da dove gliumanisti abbiano desunto questa lezione. Potrebbe trattarsi di un caso di contaminazione cosìcome di una loro congettura, magari proprio sulla base dell’analogo nesso di XIV 131,1, accoltapoi senza dubbi da Calderini (e da Perotti e Merula).

194 È la lezione che Calderini scarta a favore di vocavi (BA CA): «non vocavi te cras: id estnolo te convivam cras, sed hodie. Cave verbum invertas et scribas vocabo pro vocavi; nam ex hocexistit epigrammatis iocus quod ait non vocavi te cras id est cenam paravi ut edas hic, non utserves in crastinum».

195 Il verso è citato per intero ad VII 13.196 Nel commentario vi è la variante grafica Aetnaeia.197 Nel commentario vi è la variante grafica prassino. Il verso è citato per intero ad VI 46.

Vd. supra, p. 427 n. 193.198 Tale lezione è citata come alternativa a quella della seconda famiglia pene, che Calderini

predilige: «qui sine pene: non nulli codices habent pane. Penem antiqui caudam dixerunt, hoc esteum volo qui non modo delicatiores partes appositi animalis commedat, sed et qui caudam nonnunquam summat, quasi dicat: volo lectorem qui totum opus legat et ad penem, hoc est adcaudam, perveniat; haec placet. Alii codices habent pane ut hoc sit dictum in gulosum et Martialisvelit lectorem qui non tantum matteis, sed et pane una vescatur quem gulosiores aspernantur».

199 È anche la lezione delle edizioni a stampa. Osserva, infatti, Saggese 1993, 191 n. 37: «Inquesto caso il Calderini, pur avendo la possibilità di attingere ad una tradizione migliore di quellarappresentata dalle edizioni a stampa, accoglieva il picta di queste ultime senza confrontarlo conle lezioni dei vetustissimi».

200 Si trova nell’edizione manoscritta, annotato da Calderini in margine al f. 262v.201 Il verso è citato per intero ad VI 59,7 (quanto).202 Così nelle edizioni a stampa; nell’edizione manoscritta, invece, si legge, annotato da

Calderini in margine al f. 270v, vincit con BA e CA.203 Si trova nell’edizione manoscritta, annotato da Calderini a margine del f. 271v.204 Vd. Lindsay 1903, 33.

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429Per la storia del testo di Marziale nel secolo XV

condotti sui discendenti di K e sui florilegi p n e a, in cui è avvenuta una conta-minazione tra la terza e la prima famiglia – contaminazione che si manifesta soprat-tutto, ma non esclusivamente, nell’aggiunta dell’Epigrammaton liber – si ritieneinvece che questi contatti ci siano stati già a partire dal XII-XIII secolo205 perdiventare poi sistematici nei manoscritti umanistici. Ed è proprio in codici del XVsecolo e negli incunaboli che ricorre gran parte delle varianti sopra elencate e moltoprobabilmente da qui, perciò, le ha desunte Calderini.

Calderini, dunque, oltre a documentare alcune delle interpolazioni e delleemendazioni introdottesi nel testo di Marziale nei codici umanistici – che, come siè visto, hanno lasciato nel commentario la loro inevitabile traccia, talvolta in sensopositivo, più spesso in senso negativo – disponendo, oltre che di recentiores, dicodici della seconda e della terza famiglia, cinque dei quali vetustissimi e admodumemendati, poté in più punti migliorare il cosiddetto ‘testo umanistico’. Non va inoltredimenticato che, come afferma Carratello206, «per ricostruire il testo degli spectaculatrasmesso da K dobbiamo rifarci ai codici di b g del secolo XV, che lo contengano,ed agli incunaboli di Marziale, senza trascurare i Commentarii di Domizio Calderinie l’aldina del 1501». E si è anche visto quale personale contributo Calderini abbiadato all’emendazione di alcuni dei passi più discussi e a quel tempo oggetto di accesepolemiche. Se ne conclude che, a dispetto delle difficoltà derivanti dalla mancanzadel testo, i Commentarii in M. Valerium Martialem di Domizio Calderini rivestonocomunque un ruolo importante nella storia del testo dell’epigrammista spagnolo.

Parma A N A S T A S I A V I T I

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