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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA Percorso didattico sul moto per la scuola primaria RELATORE Prof. Lorenzo Bonechi CANDIDATO Antonella Baldi Anno Accademico 2010-2011

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE

FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA

Percorso didattico sul moto

per la scuola primaria

RELATORE

Prof. Lorenzo Bonechi

CANDIDATO

Antonella Baldi

Anno Accademico 2010-2011

 

1

Introduzione 5

Capitolo 1 - La fisica nella scuola primaria 7

1.1 Fare scienze nella scuola primaria 9

1.2 L’insegnamento scientifico nelle Indicazioni per il curricolo

13

1.3 Conflitti, misconcezioni, ostacoli 16

1.4 I bambini, la fisica e il senso comune 18

1.5 La didattica laboratoriale e la pedagogia attiva 20

1.6 Aristotele e Galileo: due scienziati a confronto 27

1.6.1 “E’ vero perché lo dice Aristotele” 27

1.6.2 Il primo motore immobile 29

1.6.3 Sul concetto di moto e sulle sue cause 29

1.6.4 Galileo e l’inizio della scienza moderna 31

1.7 La meccanica 39

1.8 La descrizione del moto dei corpi 40

1.8.1 Il sistema di riferimento 40

1.8.2 La traiettoria 40

1.8.3 Lo spazio percorso 41

1.8.4 Il tempo e la velocità 41

1.8.5 Il moto rettilineo uniforme e il moto vario 42

1.8.6 Il moto uniformemente accelerato 47

1.8.7 La caduta dei corpi 48

2

Capitolo 2 - Progettazione del percorso didattico 53

2.1 Il contesto 55

2.2 Organizzazione di spazi e tempi 55

2.3 Obiettivi 57

2.4 Scelta dei contenuti 58

2.5 Strategie e tecniche didattiche 60

2.6 Strumenti e materiali 64

2.7 Valutazione 65

Capitolo 3 - Il progetto passo per passo 67

3.1 Il problema del linguaggio 69

3.2 Prima di partire 70

3.2.1 Incontro 1 – Il metodo sperimentale; introduzione alla meccanica

71

3.2.2 Incontro 2 - Il concetto di velocità attraverso un’esperienza in cortile

80

3.2.3 Incontro 3 - Le forze come causa dei cambiamenti di moto: esperienza sulle forze d’attrito

84

3.2.4 Incontro 4 - Approfondimenti sulle forze e introduzione alla prima legge di Newton

97

3.2.5 Incontro 5 - Il moto accelerato e la caduta dei gravi: costruzione di un paracadute artigianale

106

3.2.6 Incontro 6 - Approfondimento sul modo accelerato: l’esperienza galileiana del piano inclinato

122

3

3.2.7 Incontro 7 - Verifica dell’apprendimento 129

Conclusioni 137

Bibliografia 139

4

5

Introduzione

Questa tesi racconta di un percorso didattico sul moto che ha avuto come

destinatari i bambini di una classe IV della scuola primaria.

L’esperienza quotidiana ci porta spesso a vedere ciò che abbiamo intorno

senza però riuscire davvero ad osservare la realtà con sguardo attento e

critico. La scienza ci insegna ad approfondire ogni aspetto dei fenomeni

naturali per poterne comprendere l’intima essenza e per capirne le cause. Per

aiutare i bambini a conoscere e scoprire la fisica implicita presente negli

oggetti e nei fenomeni, ho cercato, con il mio progetto, di partire dalle cose

di tutti i giorni, dalle esperienze dei bambini per riuscire a renderla esplicita e

formalizzarla in modo semplificato ma rigoroso.

L’elaborato si compone di tre capitoli.

Il primo capitolo parla dell’importanza dell’insegnamento delle discipline

scientifiche nella scuola primaria, richiamando anche gli obiettivi esplicitati

dalle Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo

d’istruzione, e tratta delle difficoltà maggiori che si possono incontrare

insegnando tali discipline: conflitti, misconcezioni e senso comune. Ho

analizzato poi l’importanza dell’utilizzo di una didattica laboratoriale che

intreccia il sapere con il fare e permette di partire da una situazione

problematica per far scaturire un processo dinamico e costruttivo in cui

l’alunno viene sollecitato alla scoperta dei percorsi possibili, sostenuto

dall’insegnante nel suo sforzo.

Sono passata poi a parlare di due scienziati di epoche diverse che hanno

dedicato molti dei loro studi e delle loro riflessioni al moto e al movimento

dei corpi: Aristotele e Galileo. Le argomentazioni di Aristotele si basano su un

piano percettivo, sull’esperienza sensibile e sulle dimostrazioni “per analogia”

6

con fenomeni ritenuti simili ed è per questo che in gran parte possono

ricordare le credenze dei bambini. Galileo, invece, si fida soltanto delle teorie

provate sperimentalmente e, grazie alle strumentazioni disponibili nella sua

epoca, dimostrandosi eccezionalmente abile nel raffinarle e nell’inventarne di

nuove, esegue esperimenti e verifica fatti e ipotesi.

A conclusione del primo capitolo ho affrontato qualche aspetto del moto, dal

punto di vista della fisica galileiana.

Ho dedicato il secondo capitolo alla descrizione della progettazione del

percorso didattico analizzando contesto, obiettivi, contenuti e strategie

didattiche utilizzate.

Nel terzo capitolo ho analizzato il percorso fatto in classe, descrivendo gli

incontri uno per uno, cercando di focalizzare i momenti più salienti e

significativi, fino ad arrivare alla prova di verifica che ho fatto fare ai bambini

per valutare il risultato del progetto didattico.

7

Capitolo 1

La fisica nella scuola primaria

8

9

1.1 Fare scienze nella scuola primaria

“Possiamo trasmettere competenze in fisica, chimica, scienze naturali, […]

senza riflettere sul metodo o sui metodi della scienza, sul ruolo delle teorie e

delle osservazioni, sulla volontà di oggettività che la contrassegna, in breve su

tutto quel lavoro epistemologico che è un po’ l’ombra stessa (o la luce) della

scienza?”1. La scienza nasce dalla curiosità e dal desiderio di spiegare i

fenomeni della natura, cioè di capire come avvengono e da che cosa sono

causati. Lo scienziato raccoglie informazioni, le organizza e cerca di trarne

conclusioni utili per rispondere a domande che si è posto. Per fare questo

segue un metodo, cioè un procedimento basato su un preciso insieme di

regole. Il primo passo nel procedimento scientifico è l’osservazione di ciò che

avviene intorno a noi. In questa fase gli scienziati non usano soltanto i sensi,

che talvolta potrebbero ingannare, ma ricorrono anche a strumenti di misura

e di osservazione che permettono di fare osservazioni oggettive. Il secondo

passo del procedimento scientifico è la formulazione di ipotesi, cioè delle

supposizioni, cercando di immaginare come mai sia accaduta quella cosa e

non un’altra. Queste poi vanno messe alla prova dei fatti e verificate

attraverso degli esperimenti. Quando una ipotesi è stata verificata, abbiamo

una spiegazione del fenomeno e possiamo trarre delle conclusioni che

prendono il nome di legge scientifica2. Ma è importante ricordare che la

scienza non raggiunge mai conclusioni definitive. Le leggi e le teorie

scientifiche sono sempre “verità” provvisorie: esse restano vere solo fino a

quando nuove conoscenze o nuovi esperimenti non rilevino in esse delle

imprecisioni che danno impulso alla formulazione di nuove ipotesi e alla loro

verifica. È proprio così, anzi, che la scienza progredisce.

1 F. Cambi, “Criteri per la costruzione curricolare”, in (a cura di), La progettazione curricolare nella

scuola contemporanea, Roma, Carocci Editore, 2002, p. 75. 2 Un’ipotesi più complessa e generale, che abbraccia diversi fenomeni, è detta di solito teoria

scientifica.

10

“Tre sono gli scopi della scienza: comprensione, spiegazione, predizione. La

comprensione si riferisce alla presenza di un'idea generale di come un

fenomeno si verifica, di quali sono le sue cause generali, e quali le sue

relazioni con altre parti del mondo naturale. Essa implica una

demistificazione della parte del mondo naturale cui il fenomeno appartiene.

La spiegazione va oltre; ci dice perché il fenomeno o il processo in

considerazione si svolge in un modo e non in un altro. La predizione,

ovviamente, è ancora più specifica: ci dice che cosa accadrà nel futuro ad un

sistema ben definito quando siano soddisfatte certe condizioni”3.

Sempre lo stesso autore ci ricorda che solo “raramente si effettuano scoperte

scientifiche avendo in mente lo scopo specifico al quale applicarle. Faraday

non pensava ai motori quando studiava la relazione tra elettricità e

magnetismo. Hertz non pensava alle comunicazioni quando scoprì le onde

radio”4. Ma ci sono, oggi, almeno due modi di pensare la scienza: da un lato

c’è quella scritta sui libri in cui sono esposti i risultati ai quali la scienza è

pervenuta, che non lascia dubbi sulla loro validità e che sono condivisi dalla

comunità scientifica; dall’altro lato si può pensare alla scienza come a un

continuo lavoro di ricerca che procede per tentativi ed errori per affrontare

problemi nuovi o per rivedere criticamente ciò che è già stato appreso. Il

primo modo di considerare la scienza è utile per orientare le ricerche,

permettendo approfondimenti e sviluppi a partire da ciò che è già noto, alla

luce di ciò che è già definito e che ci fa pensare ad essa come a un corpo di

conoscenze organizzate e codificate. Nel secondo modo di pensare ci

riferiamo ad una scienza che non ha certezze assolute ma che è capace di

3 V. F. Weisskopf, Il privilegio di essere un fisico, Milano, Jaca Book Editore, 1994, p. 38.

4 Ibidem, p. 31.

11

assumere il dubbio, l’errore, la crisi come fonte di conoscenza, poiché spinge

all’indagine5.

L’idea di scienza che ha prevalso a lungo nella scuola italiana, è

essenzialmente la prima. Fare scienze a scuola ha spesso significato

trasmettere o cercare di trasmettere ai bambini le conoscenze accreditate

dagli scienziati.

Seguendo l’altra visione della scienza, che poi è anche quella delineata nelle

Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo

d’istruzione del settembre 2007, quella che si riferisce al lavoro di indagine,

alla capacità di porsi dei problemi e di procedere per tentativi ed errori nel

cercare delle risposte, si apre un’altra prospettiva per l’educazione scientifica

nella scuola. Del resto, “l’atteggiamento nativo e integro della fanciullezza,

contrassegnato da ardente curiosità, da fertile immaginazione, e dall’amore

della ricerca sperimentale è vicino, molto vicino, all’atteggiamento dello

spirito scientifico”6 e allora perché non partire da esso per trasmettere certi

tipi di contenuti? Perché non riallacciarsi a tale curiosità, non stimolarne di

nuova e cancellare “questa separazione tra il fare e il conoscere e rendere

possibile, anzi esigere, una dottrina nella quale azione e conoscenza siano

intimamente connesse tra loro”7? Del resto la Fisica è una scienza

sperimentale e educare alla fisica significa, perciò, non solo sviluppare

conoscenza e comprensione delle leggi fisiche ma anche capacità osservative

e operative8.

Secondo Bruner se si riescono a trovare e mantenere dei nessi tra la struttura

della conoscenza (il modo di conoscere in possesso della persona che

5 Cfr. C. G. Hoffman, Fare scienze nella scuola di base, Milano, La Nuova Italia, 2000, p. 63.

6 J. Dewey, Come pensiamo, traduzione italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1961, p. 23.

7 J. Dewey, Esperienza e educazione, traduzione italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. 25.

8 Cfr. D. Allasia, V. Montel, G. Rinaudo, La fisica per maestri, Torino, Edizioni Libreria Cortina, 2004. P.

IX.

12

apprende) e la struttura delle discipline, è possibile, praticamente, insegnare

qualsiasi cosa a qualsiasi età. “Ogni idea, ogni problema o insieme di

cognizioni, possono essere presentati in termini sufficientemente semplici da

consentire a ogni scolaro di comprenderli in una forma riconoscibile”9. Egli,

per questo motivo, indica tre criteri che influiscono sulla capacità di

apprendimento: il modo10 in cui viene presentato un certo contenuto, la sua

economia11 e la sua efficacia12. Essi vanno combinati secondo le esigenze

degli alunni per guidarli in un processo graduato che accresca le loro capacità

di “afferrare, trasformare e trasferire ciò che apprendono”13.

A proposito dell’insegnamento scientifico a scuola, mi sembra a questo punto

interessante dedicare un po’ di spazio agli studi e alle ricerche di D’Amore14

che si concentrano sulle differenze esistenti tra le singole e diverse discipline,

la didattica generale e la didattica disciplinare15.

Fino al XX secolo, afferma D’Amore, si può dire che lo sforzo del docente sia

sempre stato quello di ripetere la disciplina, nei modi ritenuti peculiari ad

essa. Invece all’inizio di questo secolo si è sviluppata l’idea di scolarizzare il

sapere, ovvero renderlo insegnabile e sono nati veri e propri studi sulla

didattica intesa come disciplina in sé. Il sapere insegnare una nozione,

9 J. S. Bruner, Verso una teoria dell’istruzione, traduzione italiana, Roma, Armando Editore, 1969, p.

15. 10

Per quanto riguarda il modo egli afferma che ogni campo di conoscenza può essere rappresentato in tre modi: mediante una rappresentazione attiva, cioè una serie di azioni che portano a un certo risultato; mediante una rappresentazione iconica: cioè immagini e grafici che rappresentano un concetto; mediante una rappresentazione simbolica: cioè con proposizioni simboliche o logiche. (Ibidem, p.16). 11

L’aspetto dell’economia si riferisce alla quantità di informazioni che occorre ricordare ed elaborare per arrivare alla comprensione di un contenuto. (Ivi). 12

L’efficacia riguarda quanto il modo di strutturare un campo di conoscenza incida sul modo di ragionare dell’alunno e gli conferisca la capacità di fare collegamenti tra proposizioni o cose. (Ibidem, p. 19). 13

Ibidem, p. 85. 14

Cfr. B. D’amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 3. 15

Egli chiama d la disciplina in sé per come è conosciuta e praticata dagli specialisti, dagli scienziati; chiama �� la didattica disciplinare in sé, che ha tutt’altri parametri, paradigmi e scopo e infine menziona la didattica generale in sé come scienza caratterizzata da asserzioni generali credibili e garantite da riflessioni condotte da esperti del settore.

13

continua l’autore, è diverso dal sapere quella stessa nozione, quindi intorno

al sapere dell’insegnante deve essere organizzata una specifica “conoscenza

per essere insegnata”. D’Amore parla di trasposizione didattica facendo

riferimento al lavoro di adattamento e di trasformazione del sapere, in

oggetto di insegnamento, in funzione dell’ambiente, degli allievi e delle

finalità didattiche. La trasposizione didattica consiste nell’estrarre un

elemento di sapere dal suo contesto (universitario, sociale) per

ricontestualizzarlo nella propria classe: l’insegnante costruisce le sue lezioni

attingendo dalla fonte dei saperi, tenendo conto delle orientazioni fornite

dalle istituzioni e dai programmi, per adattarlo al livello dei propri allievi e agli

obiettivi da perseguire.

1.2 L’insegnamento scientifico nelle Indicazioni per il curricolo

Nelle Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo

d’istruzione, il mosaico delle discipline di insegnamento viene ricondotto ad

unità attraverso il raggruppamento delle discipline in apposite aree che si

configurano come spazio comune di interazione e collaborazione tra saperi e

docenti di diverse materie. Il concetto di area valorizza l’interscambio e il

collegamento tra le discipline che appartengono allo stesso raggruppamento

e quelle che afferiscono ad aree diverse.

Aree disciplinari Discipline

Area linguistico-artistico-

espressiva

� Italiano

� Lingue comunitarie

� Musica

� Arte e immagine

� Corpo movimento sport

14

Area storico-geografica

� Storia

� Geografia

Area matematico-scientifico-

tecnologica

� Matematica

� Scienze naturali e sperimentali

� Tecnologia

Aree disciplinari e discipline nella scuola del primo ciclo.

Le Indicazioni attribuiscono al lavoro disciplinare dell’area matematico-

scientifico-tecnologica il compito di “mettere in stretto rapporto il “pensare”

e il “fare”” e in tal senso promuovono lo sviluppo di apposite funzioni logiche

come il condurre analisi, selezionare, interpretare e collegare tra loro i

fenomeni naturali, concetti, regole, eventi.

“I principi e le pratiche delle scienze, della matematica e delle tecnologie

sviluppano infatti le capacità di critica e di giudizio, la consapevolezza che

occorre motivare le proprie affermazioni, l‘attitudine ad ascoltare,

comprendere e valorizzare argomentazioni e punti di vista diversi dai propri. Lo

sviluppo di un’adeguata competenza scientifica, matematica, tecnologica di

base consente inoltre di leggere e valutare le informazioni che la società di oggi

offre in grande abbondanza. In questo modo consente di esercitare la propria

cittadinanza attraverso decisioni motivate, intessendo relazioni costruttive fra

le tradizioni culturali e i nuovi sviluppi delle conoscenze”16.

Le finalità sopra indicate devono essere perseguite mediante una didattica

laboratoriale poiché all’interno del laboratorio gli alunni imparano a

formulare ipotesi e ad accertarne la validità attraverso la verifica

sperimentale, imparano a progettare percorsi alternativi, arrivano a

16

MPI, Indicazioni, p. 78

15

negoziare significati e chiavi interpretative.17 All’interno del laboratorio le

conoscenze vengono costruite grazie all’interazione con i compagni e gli

apprendimenti sono il risultato di un lavoro partecipato che tiene in

considerazione l’apporto di ognuno. In questo modo l’astrattezza del

pensiero trova un riscontro concreto attraverso il fare.

Le indicazioni sottolineano, inoltre, la centralità che assume la “risoluzione di

problemi”. Questi devono essere presentati come esperienze autentiche e

significative, legate a situazioni reali che gli alunni possono sperimentare

nella loro vita quotidiana.

“Il risolvere problemi offre occasioni per acquisire nuovi concetti e abilità, per

arricchire il significato di concetti già appresi e per verificare l’operatività degli

apprendimenti realizzati in precedenza. Componenti necessarie di questo

comune approccio sono l’impostare e il risolvere problemi, l’utilizzo delle

sensazioni e delle percezioni, la capacità di costruire storie e schemi

interpretativi e di sviluppare argomentazioni, l’affinare il linguaggio naturale e

la capacità di organizzare il discorso”18.

Viene anche enunciata l’importanza di ricorrere ad attività pratiche e

sperimentali e a osservazioni sul campo, con un carattere non episodico e

inserendole in percorsi di conoscenza. La strategia della scoperta deve

guidare le scelte metodologiche e caratterizzare le attività progettate dagli

insegnanti. Ciò che va evitato è il riprodursi di misconcezioni e pregiudizi

legati alle materie scientifiche, promuovendo un atteggiamento corretto

verso di esse e contribuendo allo sviluppo di un’adeguata visione delle

discipline. Le discipline scientifiche, infatti, non devono ridursi ad un insieme

di regole o concetti da memorizzare ed applicare ma devono essere

riconosciute come “strumento di esplorazione e disvelamento di relazioni e

17

Cfr. D. Capperucci, Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare, Milano, Franco Angeli Editore, 2008, p. 206. 18

MPI, Indicazioni, p. 92.

16

strutture che l’uomo è riuscito ad individuare grazie al proprio pensiero”19.

Attraverso questi percorsi di indagine i bambini saranno accompagnati nel

passaggio da forme spontanee di pensiero a forme logiche maggiormente

organizzate di cui gli alunni verificheranno di volta in volta la rigorosità.

“All’inizio si evidenzieranno, in situazioni concretamente accessibili, gli aspetti

comuni alle diverse scienze, come pure i primi elementi caratterizzanti. Negli

anni successivi si guideranno gli alunni all’ appropriazione graduale di

contenuti esemplari e metodi di indagine via via più specifici. Il percorso dovrà

comunque mantenere un costante riferimento ai fenomeni, sia dell’esperienza

quotidiana sia scelti come casi emblematici, nel loro realizzarsi a diverse scale

spaziali, temporali e causali. La necessità del concorso di molteplici modi di

guardare reciprocamente integrati (sguardo da fisico, da biologo, da

chimico...), per interpretare se stessi e il mondo attraverso modelli sempre più

raffinati, condurrà alla consapevolezza metacognitiva della necessità di

procedere sempre per separazioni e ricomposizioni degli aspetti diversi dei

fenomeni”20.

1.3 Conflitti, concezioni difformi e ostacoli

Argomenti di studio nelle discipline scientifiche che stanno emergendo con

estrema forza negli ultimi anni riguardano i conflitti e le misconcezioni, o

concezioni difformi, e gli ostacoli all’apprendimento che da essi derivano. È

chiaro che l’alunno non arriva in classe privo di cultura ma con un bagaglio di

conoscenze che egli ha acquisito durante la crescita.21 I modi di guardare il

mondo e di interpretarlo, vengono acquisiti fin dalla primissima infanzia: ogni

bambino si costruisce i propri “modelli esplicativi”, si dà ragione di ciò che

vede accadere, apprendendo direttamente dall’esperienza o facendo propri i 19

D. Capperucci, Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare, cit., p. 208. 20

MPI, Indicazioni, p. 101. 21

Cfr. A. Giordan, Una didattica per le scienze sperimentali, traduzione italiana, Armando Editore, Roma, 1978, p. 40.

17

modi di pensare degli adulti che lo circondano22. Lo studente ha, pertanto,

un’immagine (intuitiva o appresa) di un certo concetto e questa può essere

validata e rinforzata nell’iter scolastico o può capitare che tale immagine si

riveli inadeguata rispetto a un'altra dello stesso concetto, proposta, per

esempio, dall’insegnante. Si crea così un conflitto tra la precedente

immagine, che lo studente credeva definitiva, e la nuova. Legata a questa

idea, c’è quella di misconcezione, definibile come un concetto errato in

contrasto con la concezione “accreditata”23. Questa, però, non va vista come

una situazione negativa: spesso per poter raggiungere la costruzione di un

concetto è necessario passare attraverso una misconcezione momentanea, in

corso di sistemazione. Essa è un delicato momento cognitivo necessario, di

passaggio, da una prima concezione elementare, ingenua, spontanea a una

più elaborata e vicina a quella corretta. La nuova immagine è una “conquista

culturale”24.

A volte le concezioni difformi sono molto resistenti. “La resistenza delle

concezioni alle loro modificazioni introdotte con l’insegnamento dipende,

almeno in parte, dalla didattica seguita”25. Qualunque forma di insegnamento

che non si basi sulla comprensione personale degli studenti e sull’attivazione

delle loro concezioni nell’interpretare i contenuti trattati, inciderà ben poco

su queste. È partendo dal “fare” e procedendo per tentativi sperimentali che

l’alunno impara a rimettere in discussione la sua opinione e soprattutto a

giustificarne oggettivamente il cambiamento. Giungere a questo traguardo

richiede da parte dell’insegnante un duplice impegno: occorre che egli parli lo

stesso linguaggio dell’alunno, aiutandolo ad appropriarsi di un linguaggio più

adeguato, e che utilizzi lo stesso sistema di riferimenti, cioè che conosca e 22

Cfr. C. G. Hoffmann, Fare scienze nella scuola di base, Milano, La Nuova Italia Editore, 2000, p.9. 23

Cfr. B. d’Amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 51. 24

Ibidem, p. 62. 25

G. Cavallini, La formazione dei concetti scientifici, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1995, p. 144.

18

abbia ben chiare le rappresentazioni degli alunni. “L’insegnante dovrà aiutare

lo studente a destrutturare la sua rappresentazione, con tutti i problemi di

natura affettiva che tutto ciò può comportare, per consentirgli di costruire

una nuova rete di relazioni ”26. Sarebbe bene, infatti, che in una situazione

nuova le esperienze passate e le credenze maturate potessero venire

recuperate e analizzate criticamente per adattarle alle nuove circostanze.

1.4 I bambini, la fisica e il senso comune

I bambini pensano che, in natura, valgano alcuni principi fisici fondati su ciò

che l’esperienza quotidiana sembra dimostrare. E’ facile notare come molti di

questi principi intuitivi, per quanto concerne la meccanica, siano simili se non

uguali a quelli enunciati da Aristotele circa 300 anni prima di Cristo e ritenuti

validi per moltissimi secoli, fino a che Galileo e altri scienziati non li hanno

confutati. Anche le persone adulte, sostiene Cavallini, hanno molte

convinzioni che divergono dalle concezioni “accreditate” in campo scientifico.

“Le idee che ci facciamo delle cose dipendono da molti contesti di vita diversi.

Alcune sono collegate all’esperienza personale diretta con l’ambiente

materiale, altre rispecchiano le concezioni espresse in famiglia, tra coetanei,

da conoscenti, dai mezzi di comunicazione di massa”27. “La conoscenza non

può essere astratta da un contesto di riferimento, poiché essa viene

elaborata osservando e partecipando alle attività della comunità”28. Anche

Dewey ribadisce che le cose di cui l’uomo ha esperienza gli si presentano

rivestite di significati che hanno la loro origine nel costume e nella tradizione

e che fin dalla nascita un individuo vede attorno a sé persone che trattano le

cose in un certo modo, le assoggettano a certi usi e assegnano a esse certi 26

A. Giordan, Una didattica per le scienze sperimentali, traduzione italiana, Armando Editore, Roma, 1978, p. 43 27

G. Cavallini, La formazione dei concetti scientifici, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1995, p. 1. 28

S. Cacciamani, L. Giannandrea, La classe come comunità di apprendimento, Roma, Carocci Editore, 2004, p. 17.

19

poteri29. Guardando la questione da questa angolatura, possiamo provare ad

interrogarci su che cosa abbiano in comune le concezioni intuitive attuali e

quelle del passato per quanto riguarda, ad esempio, il moto dei corpi. Ciò che

possono avere in comune è la mancanza di riferimenti alle conoscenze

accreditate oggi disponibili. Tale mancanza caratterizza tanto le concezioni di

chi è vissuto prima della definizione di tali conoscenze, quanto le concezioni

di coloro, bambini e adulti, che non le possiedono nonostante siano già state

definite. In mancanza di conoscenze accreditate, le concezioni delle persone

si basano su riferimenti percettivi o comunque molto più vincolati

all’interazione percettiva con i contenuti dell’esperienza. Questi contenuti,

sul piano percettivo immediato, si presentano per i contemporanei profani

più o meno identici a come apparivano ai nostri antenati. Le teorie del

passato sono, però, tutt’altro che intuitive. Possono sembrarci tali alla luce

delle conoscenze e concezioni accreditate attuali. In realtà esse sono

costruzioni razionali massimamente astratte e di valore generale e

sistematico sul piano del pensiero consapevole. Esse apparivano

perfettamente fondate in base ai criteri di conoscenza più evoluti allora

seguiti. “Dal punto di vista concettuale la fisica aristotelica si presenta come

una costruzione imponente e grandiosa”.30 È chiaro che gli studi di Aristotele

sul moto non potevano contare su strumentazioni, conoscenze e misurazioni

che, invece, hanno caratterizzato gli studi, sugli stessi argomenti, di Galileo e

di molti altri scienziati. “Le teorie di ogni epoca sono state sempre formulate

esplicitamente nei termini propri della conoscenza e dei canoni di pensiero

scientifico, o filosofico, o razionale del tempo”31.

29

Cfr. J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, traduzione italiana, Giulio Einaudi Editore, 1949, p. 151. 30

C. Sini, I filosofi e le opere, Milano, Casa Editrice Principato, 1979, p. 172. 31

G. Cavallini, La formazione dei concetti scientifici, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1995, p. 149.

20

In ogni caso, oggi, le idee che divergono da quelle scientifiche, e che in varia

misura rientrano nei modi di pensare delle persone, a volte interferiscono

con l’apprendimento scientifico. Il linguaggio e il senso comune sono, quindi,

di ostacolo al ragionamento nei termini della fisica e della scienza in generale,

e impediscono di accettare impostazioni troppo distanti dalle abitudini

mentali e soprattutto in contrasto reale o apparente con l’esperienza.

L’esperienza quotidiana privilegia il piano percettivo sulla riflessione astratta.

Per quanto si può constatare con la percezione, le proprietà degli oggetti, la

loro natura e i loro comportamenti si presentano molto diversi da come

diventa necessario concepirli sul piano razionale e su quello scientifico: i corpi

in movimento finiscono sempre per fermarsi (nessuno di essi si muove di

moto uniforme), cadono tutti verso il basso e quelli più “pesanti” cadono più

in fretta di quelli più “leggeri”, il legno sembra più caldo del ferro32, i colori

appaiono proprietà intrinseche dei vari oggetti33, dei gas non si ha esperienza

se non in particolari condizioni34, e così via.

1.5 La didattica laboratoriale e la pedagogia attiva

“[…] I discorsi nostri hanno a

essere intorno al mondo

32

Quando tocchiamo un oggetto, la percezione di caldo o di freddo che ne ricaviamo, spesso ingenuamente attribuita (anche negli adulti) esclusivamente ad una proprietà dell’oggetto, in realtà è il risultato di una relazione complessa che coinvolge tutti i sistemi tra loro in contatto ed in particolare l’oggetto stesso, la mano e quindi il corpo umano, l’ambiente. Solo imparando a riconoscere queste interazioni ed a guardarle in termini di flusso di calore scambiato è possibile interpretare situazioni in apparenza tra di loro contraddittorie, come il fatto che normalmente un oggetto di metallo è percepito più freddo di uno in legno, ma se sono esposti ad una sorgente di calore la sensazione termica si capovolge. Il confronto tra sensazione termica e temperatura dell’oggetto va quindi accompagnato da indagini sulla temperatura corporea e la conducibilità termica dei materiali. 33

Senza pensare che la luce giunge ai nostri occhi diffusa o riflessa in maniera diversa dalle superfici illuminate, variamente disposte, di tutti gli oggetti e corpuscoli presenti nell’ambiente. 34

Non avvertiamo, infatti, il peso dell’aria. Al contrario, spesso, le si attribuisce la proprietà di alleggerire gli oggetti di cui venga considerata parte (in particolare i palloncini), anziché contribuire al loro peso totale.

21

sensibile e non sopra un

mondo di carta”35.

Ciò che a mio avviso è fondamentale per l’insegnamento scientifico nella

scuola primaria (anche se in realtà questo vale anche per ordini di scuola

superiori) è una didattica laboratoriale che permetta ai bambini di

sperimentare le cose di cui si parla, di verificare e toccare con mano ciò che

viene insegnato. Tutto ciò è tanto più importante quanto più piccoli sono gli

studenti e non tanto perché crescendo gli studenti non abbiano bisogno di

sperimentare, quanto perché la loro capacità di astrazione è sicuramente

maggiore e quindi riescono con più facilità a dominare i concetti. Il bisogno di

appoggiarsi ad esperienze e a situazioni percettive, e l’accettazione delle

alterazioni concettuali che ne derivano, è tanto maggiore quanto più si

anticipa il momento in cui si presenta il contenuto dell’insegnamento. Detto

questo, nei bambini piccoli, ciò che rimane del concetto scientifico insegnato

mediante l’esperimento, è ben lontano dal relativo concetto astratto ma

contribuisce positivamente alla sua formazione. Il completamento della

concezione scientifica comporta molte altre esperienze e sviluppi cognitivi

progressivi e richiede tempi molto lunghi. Nell’immediato, dunque, ciò che si

realizza non è l’apprendimento del concetto fisico in questione, che sarebbe

impossibile ottenere su tempi brevi, quanto piuttosto la stimolazione dei

bambini a modificare le loro idee in direzione di esso. Del resto anche le

Indicazioni per il Curricolo, affermano che “la costruzione del pensiero

scientifico è un processo lungo e progressivo nel quale concetti, abilità,

competenze e atteggiamenti vengono ritrovati, intrecciati, consolidati e

35 G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632.

22

sviluppati a più riprese”36. L’insegnante deve considerare quello che è già

acquisito non come qualcosa di statico, ma come un mezzo e uno strumento

per aprire nuovi campi, che esigono nuovi sforzi dell’osservazione e

dell’intelligente uso della memoria: “[…]continuità nella crescenza, deve

essere il motto d’ordine costante dell’educatore”37. Anche le Indicazioni

riportano tra i criteri di fondo che fanno della scuola un ambiente di

apprendimento quello di “valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli

alunni, per ancorarvi nuovi contenuti. Nel processo di apprendimento

l’alunno porta la ricchezza di esperienze e conoscenze, mette in gioco

aspettative ed emozioni, si presenta con una dotazione di informazioni,

abilità, modalità di apprendere, che l’azione didattica può opportunamente

richiamare, esplorare, problematizzare. In questo modo l’allievo riesce a dare

senso e significato a quello che va imparando”38.

A questo proposito, mi sembra opportuno ricordare la situazione problema39,

definita da D’Amore come “una situazione di apprendimento che comporta la

risoluzione di un problema, ma concepita in modo tale che gli allievi non

possano risolvere la questione per semplice ripetizione o applicazione di

conoscenze o competenze acquisite ma tale che essa necessiti della

formulazione di ipotesi nuove”40. Egli caratterizza questo modello

d’organizzazione di insegnamento partendo dal presupposto che sia

necessario indurre motivazione, suscitare curiosità per un qualche enigma,

per una domanda, per un problema; che l’allievo sappia di essere in una

situazione nella quale è prevista la costruzione di una conoscenza; che la

36

Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, Roma, settembre 2007. 37

J. Dewey, Esperienza e educazione, traduzione italiana, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1993, p. 61. 38

Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, Roma, settembre 2007, p. 42. 39

Termine coniato da Dewey. 40

B. d’Amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 107.

23

struttura del compito permetta a ciascun allievo di effettuare le operazioni

mentali richieste per raggiungere l’obiettivo dell’apprendimento; che l’allievo

sia valutato in base alle sue acquisizioni personali. Creare situazioni problema

richiede tempo ed energia. Occorre avere un obiettivo ben preciso da

raggiungere, all’interno di un progetto ben delineato e chiaro. L’insegnante

deve anche conoscere molto bene i propri allievi non solo dal punto di vista

delle competenze di ciascuno, ma anche delle possibilità creative, per capire

bene come motivarli. Deve anche avere molto chiare le operazioni mentali

che tale situazione richiederà per poterle riconoscere nelle attività degli

studenti e guidarle41. Si crea una situazione in cui da una parte c’è

l’insegnante che deve aver predefinito in maniera chiara e precisa il contesto,

gli strumenti, i tempi, dall’altra gli allievi che devono sentirsi liberi di pensare,

ipotizzare, di far uso delle proprie risorse mentali. Come afferma Dewey, è

compito dell’educatore predisporre un “piano intelligente e flessibile”42. Egli

deve esaminare le capacità e i bisogni del gruppo dei suoi allievi e disporre le

condizioni che forniscano materia di studio per esperienze che appaghino

questi bisogni e sviluppino queste capacità43. “Io non so a che servirebbe la

maggiore maturità dell’insegnante e la sua più estesa conoscenza del mondo,

delle materie di studio e degli individui, se egli non fosse in grado di disporre

le condizioni che promuovono l’attività della comunità e l’organizzazione che

esercita controllo sugli impulsi individuali per il mero fatto che tutti sono

impegnati in progetti comuni”44. In quest’ottica, quando l’insegnante pone

una questione ai bambini, egli solleva degli interrogativi e dei dubbi ed è

41

Ibidem, p. 108. 42

Il principio dell’interazione di Dewey, che permette di interpretare un’esperienza nella sua funzione ed efficacia educativa (l'organismo riceve gli stimoli dall'ambiente, vi reagisce e, come conseguenza di ciò, si instaura una nuova situazione), ci fa capire che il mancato adattamento del materiale ai bisogni e alle attitudini degli individui può provocare un’esperienza non educativa quanto il mancato adattamento di un individuo al materiale. 43

Cfr. J. Dewey, Esperienza e educazione, traduzione italiana, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1993, p. 42. 44

Ibidem p. 43.

24

proprio da lì, da quei dubbi, che nasce l’indagine. “Indagare e dubitare sono,

fino a un certo punto, termini sinonimi. Noi indaghiamo quando dubitiamo;

ed indaghiamo quando cerchiamo qualcosa che fornisca una risposta alla

formulazione del nostro dubbio. Pertanto è peculiare della natura stessa della

situazione indeterminata che suscita l’indagine, di essere fonte di dubbio45; o

in termini attuali anziché potenziali di essere incerta, disordinata,

disturbata”46. Sono proprio il dubbio e l’interesse la base della pedagogia di

Dewey: non esiste apprendimento se non quello centrato sugli interessi reali

di chi apprende. E l’interesse è legato al fare e all’attività, e con essa muta e si

evolve. Da esso scaturisce la formazione di ipotesi circa un determinato

contenuto conoscitivo, che è un’operazione cognitiva piuttosto complessa.

Essa implica osservazione delle condizioni circostanti, conoscenza di ciò che è

accaduto in passato in situazioni analoghe (ottenuta in parte con il ricordo

delle esperienze anteriori in parte con l’informazione) e giudizio che raccoglie

insieme ciò che è stato osservato e ciò che è stato richiamato con la

memoria47. Quindi la crescita individuale dipende anche dalla presenza di

difficoltà da superare mediante l’esercizio dell’intelligenza. La responsabilità

dell’insegnante è, in questa sfera, duplice: da una parte è bene che egli tenga

presente che il problema proposto si contenga entro il raggio della capacità

degli alunni, entro la “zona di sviluppo prossimale”48 per dirla con Vygotskij,

dall’altra che esso sia tale da stimolarlo a produrre nuove idee. È nel

momento in cui il soggetto agisce socialmente, cercando di risolvere un

problema che non sarebbe in grado di affrontare autonomamente, attraverso

il “sostegno dialogico” di chi tale problema sa già risolverlo, che egli si

appropria di nuovi strumenti cognitivi. Le idee prodotte dal soggetto, poi,

45

In corsivo nel testo. 46

J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, traduzione italiana, Giulio Einaudi Editore, 1949, p. 158. 47

Cfr. B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Roma, Carocci Editore, 2002, p. 91. 48

Definibile come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale.

25

hanno bisogno di essere provate, esperite, viste e comprese. Occorre usare

l’esperienza come mezzo per avviare l’alunno verso un mondo circostante,

fisico e umano, più ampio e meglio organizzato49. Un’attività che non sia

improntata ad osservare quali sono le sue conseguenze, non porta molti

frutti e non conduce al chiarimento e all’espansione delle idee.

Nell’esperienza, la relazione causa-effetto non si presenta in astratto ma nella

forma di relazione tra mezzi impiegati e fini raggiunti ed è importante per i

bambini cogliere tale relazione, anche per i piccolissimi, per avvicinarsi ad una

capacità di discernimento critico che accompagna la capacità di ragionare.

L’attitudine a pensare è altrimenti soffocata dal cumulo delle informazioni

disparate che gli alunni mal digeriscono. Ma dare rilievo al momento

dell’esperienza diretta e significativa, non implica che l’indagine debba

rimanere al livello del “fare”, cioè al livello “pratico”; può, anzi deve, secondo

Dewey svilupparsi in una ricerca teorica , cioè di ripensamento dell’attività

pratica stessa, di ampliamento e approfondimento delle conoscenze che a

essa sono connesse50. Anche le Indicazioni dicono che “i principi e le pratiche

delle scienze, sviluppano le capacità di critica e di giudizio, la consapevolezza

che occorre motivare le proprie affermazioni, l’attitudine ad ascoltare,

comprendere, valorizzare argomentazioni e punti di vista diversi dai propri”.

E sempre nelle Indicazioni, tra i criteri di fondo che fanno della scuola un

contesto idoneo a promuovere apprendimenti significativi e a garantire il

successo formativo per tutti gli alunni, troviamo scritto:

“Favorire l’esplorazione e la scoperta, al fine di promuovere la passione per la

ricerca di nuove conoscenze. In questa prospettiva, la problematizzazione

svolge una funzione insostituibile: sollecita gli alunni a individuare problemi, a

49

Cfr. B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Roma, Carocci Editore, 2002, p. 105. 50

Cfr. C. G. Hoffman, Fare scienze nella scuola di base, Milano, La Nuova Italia, 2000, p. 38.

26

sollevare domande, a mettere in discussione le mappe cognitive già elaborate,

a trovare piste d’indagine adeguate ai problemi, a cercare soluzioni anche

originali attraverso un pensiero divergente e creativo.

Incoraggiare l’apprendimento collaborativo. Imparare non è solo un processo

individuale. La dimensione comunitaria dell’apprendimento svolge un ruolo

significativo. In tal senso, molte sono le forme di interazione e collaborazione

che possono essere introdotte (dall’aiuto reciproco all’apprendimento nel

gruppo cooperativo, all’apprendimento tra pari…), sia all’interno della classe,

sia attraverso la formazione di gruppi di lavoro con alunni di classi e di età

diverse.

[…] Realizzare percorsi in forma di laboratorio, per favorire l’operatività e allo

stesso tempo il dialogo e la riflessione su quello che si fa. Il laboratorio è una

modalità di lavoro che incoraggia la sperimentazione e la progettualità,

coinvolge gli alunni nel pensare-realizzare-valutare attività vissute in modo

condiviso e partecipato con altri, e che può essere attivata sia all’interno sia

all’esterno della scuola, valorizzando il territorio come risorsa per

l’apprendimento”51.

Secondo Dewey le attività manuali, di tipo espressivo o costruttivo, sono il

perno attorno al quale organizzare le attività disciplinari e costituiscono il

“centro di correlazione” di ogni studio. In questa visione, un continuo

confronto tra progetto e risultati condurrà a un approfondimento

intellettuale e a un’indagine continua. L’esperienza, la centralità

dell’interesse e dell’attività, individuale e collettiva, spontanea o guidata,

l’apprendimento attraverso il fare pratico, sono le linee guida della

rivoluzione scolastica di Dewey e di quella “scuola laboratorio” che venne poi

chiamata “scuola attiva”.52

51

Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, Roma, settembre 2007, pp. 46-46. 52

Cfr. B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Roma, Carocci Editore, 2002, p. 90.

27

1.6 Aristotele e Galileo: due scienziati a confronto

1.6.1 “È vero perché lo dice Aristotele”

“Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,

vidi 'l maestro di color che sanno

seder tra filosofica famiglia.

Tutti lo miran, tutti onor li fanno”53

.

Nel Medioevo e nel Rinascimento tra gli uomini di cultura era diffusa

l’opinione che gli antichi avessero già scoperto tutto quanto l’uomo poteva

conoscere e in particolare si pensava che tutto quello che c’era da sapere

sulla natura fosse già stato scoperto da Aristotele, il grande filosofo greco

vissuto nel IV secolo prima di Cristo (384-322 a.C.). Ai testi degli autori classici

si aggiungeva un’unica altra fonte di conoscenza: la Bibbia, che,

nell’interpretazione data dagli ecclesiastici, forniva risposte non solo in

campo religioso ma anche scientifico. Per questa ragione, scienza, religione,

magia, superstizione erano spesso confuse le une con le altre. Specialmente

dopo la riforma di Lutero, la Chiesa cattolica condannava ogni scoperta che

modificava le conoscenze tradizionali, perché credeva che creasse

disorientamento tra i fedeli, spingendoli verso la fede protestante54.

Aristotele era stato un brillante osservatore e classificatore dei fenomeni

naturali e degli esseri viventi, ma non aveva effettuato esperimenti per

mettere alla prova le proprie intuizioni. Nonostante ciò, esse si tramandarono

nei secoli come verità assolute, senza che nessuno osasse metterle in

discussione. Fisica è il titolo di un trattato in otto libri di Aristotele. Come

tutte le altre opere aristoteliche, anche la Fisica è il risultato del lavoro di

53

D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, IV, 130-133. 54

Cfr. G. Delbello, M. Lesanna, I segreti del tempo 2, Torino, Il capitello editore, 2005, p.136.

28

ricostruzione, operato probabilmente da Andronico di Rodi, erudito della

scuola peripatetica, intorno al I secolo a.C., su frammenti sparsi scritti dallo

Stagirita55 in epoche diverse, su argomenti diversi, tutti tuttavia attinenti

alla fisica56. L’oggetto proprio della fisica è, secondo Aristotele, l’essere in

movimento. La fisica di Aristotele è perciò essenzialmente una teoria del

movimento e le sostanze fisiche sono distinte e classificate da Aristotele

secondo la natura del loro movimento57.

Il libro I tratta dei principi del Divenire.

Il libro II è un trattato sulle Quattro cause, che riprende in parte il pensiero

di Empedocle.

I libri III, IV, V, VI costituiscono uno studio organico sul concetto di

mutamento (o movimento) e i concetti connessi di: infinito, luogo, tempo,

continuo.

Il libro VII continua, in modo tuttavia autonomo, l'analisi del Movimento,

introducendo il concetto di Motore.

L'ottavo libro postula l'esistenza di un Primo motore immobile ed eterno.

L’intento generale che sorregge la fisica di Aristotele è quello di spiegare, non

solo come il mondo risulti costituito, ma perché esso risulti costituito proprio

così e non possa essere in altra maniera. Egli si propone di pervenire ad una

spiegazione dell’esperienza nella sua concretezza. Aristotele cioè accetta la

teoria di Empedocle dei quattro elementi (aria, terra, fuoco, acqua) non tanto

come corpi fisici, ma quanto come modi di essere. La terra è l’elemento

freddo e secco, che tende verso il basso; essa deve essere controbilanciata

dal suo elemento contrario, il fuoco, che è caldo e secco, e tende verso l’alto.

55

Di abitante della città di Stagira. Il termine indica per antonomasia il filosofo Aristotele in quanto nato a Stagira. 56

Cfr. www.ips.it/scuola/concorso/Kant/fisar.htm 57

Cfr. N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia Editore, 1989, p. 176.

29

Fra essi devono esistere altri due elementi con funzioni mediatrici: l’acqua,

fredda e umida, e l’aria, calda e secca. Anche l’acqua tende verso il basso,

come ci viene provato dallo scorrere dei fiumi. L’aria invece tende verso

l’alto, come vediamo dalle bolle d’aria contenute nell’acqua che vengono a

galla.

1.6.2 Il Primo Motore immobile

Basandosi sulla teoria generale del movimento, in cui egli sostiene che tutto

ciò che è mosso deve essere mosso da qualcos'altro, Aristotele deduce che ci

deve essere qualcosa di inizialmente fermo da cui si origina il movimento,

cioè un principio primo immobile ma che di per sé è un motore che fa

muovere tutti gli enti verso di lui, causa finale dell'universo58.

Nella successiva interpretazione e acquisizione del pensiero aristotelico da

parte dei filosofi cristiani medioevali, questo Primo Motore è Dio, non

soggetto al divenire che corrompe, immobile, quindi, e nello stesso tempo

forza d'attrazione del mondo che va verso di lui, verso la sua somma

perfezione.

1.6.3 Sul concetto di moto e sulle sue cause

Il concetto di moto in Aristotele riveste una valenza più generale rispetto alla

nostra attuale concezione59. Egli considera moto non solo il mutamento di

luogo (moto locale) ma anche l’alterazione qualitativa, l’aumento o

diminuzione quantitativi e, in taluni casi, la generazione e la corruzione.

Nel mondo sensibile sono possibili tutte e quattro le forme di

mutamento; in particolare il mutamento secondo il luogo avviene con

58

Cfr. N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia editore, 1989, p. 174. 59

Cfr. Losee, Filosofia della scienza, Milano, Il saggiatore, 2009, p. 19.

30

moti di tipo rettilineo (dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso).

Per quanto riguarda il mondo celeste, l'unica forma di mutamento

possibile è quella secondo il luogo, e in questo caso si ha un moto circolare a

velocità costante. Ad ogni corpo compete un luogo naturale. Infatti ogni

corpo è, per sua natura, determinato dalla miscela dei quattro elementi che

lo compongono (aria, acqua, terra, fuoco). Nel caso di terra e acqua (elementi

pesanti) il luogo naturale sarà il centro dell’universo, nel caso di aria e fuoco

(elementi leggeri) esso sarà la regione “superiore”. Nel luogo naturale, se non

intervengono cause esterne, i corpi si mantengono in quiete. Essa non

necessita di una causa. Il moto, secondo il filosofo, è qualche cosa che si

“trasferisce” momentaneamente ai corpi, trasformandoli in se stessi e

rispetto agli altri: è il “passaggio” all’atto di ciò che è in potenza. Ogni

movimento, naturale (secondo il quale ogni corpo si muove verso il luogo

naturale) o violento (secondo il quale il corpo si allontana dal luogo naturale,

dunque contro natura), necessita di una causa. La causa del moto naturale è il

ritorno del corpo al suo luogo naturale. La causa del moto violento è

un motore esterno in contatto (non sono ammesse azioni a distanza) con il

mobile. Soppressa la causa, naturale o violenta, il moto cesserà.

Aristotele concepiva l’indagine scientifica come una progressione dalle

osservazioni a princìpi generali, e poi di nuovo un ritorno alle osservazioni.

Asseriva che gli scienziati dovessero indurre i princìpi esplicativi a partire dai

fenomeni che dovevano essere spiegati, e poi dedurre da premesse

comprendenti questi princìpi asserzioni riguardo ai fenomeni (metodo

induttivo-deduttivo)60.

Aristotele riteneva che la scienza fosse un insieme di asserzioni organizzate

deduttivamente. Al più alto livello di generalità vi sono i principi primi di ogni

60

J. Losee, Filosofia della scienza, Milano, Il saggiatore, 2009, p. 18.

31

dimostrazione: i princìpi di identità, di non contraddizione e del terzo escluso

(applicabili a tutti i ragionamenti deduttivi). Al livello immediatamente

inferiore di generalità vi sono le definizioni della scienza particolare. Esse

sono le asserzioni più generali che possono essere fatte riguardo ai predicati

propri di quella scienza. Quelli della fisica, per esempio, comprenderebbero:

Ogni moto è naturale o violento

Ogni moto naturale è moto verso un luogo naturale

Il moto violento è causato dall’azione quantitativa di un agente

Il vuoto è impossibile.

1.6.4 Galileo e l’inizio della scienza moderna61

"E qual maggiore sciocchezza si può

immaginare di quella che chiama cose preziose

le gemme, l’argento e l’oro, e vilissima la terra

e il fango? E come non sovviene a queste tali,

che quando fusse tanta scarsità della terra

quanta è delle gioie o de i metalli più pregiati,

non sarebbe principe alcuno che volentieri non

ispendesse una somma di diamanti e rubini e

quattro carrate di oro per aver solamente

tanta terra quanta bastasse per piantare in un

piccol vaso un gelsomino o seminarvi un

arancino della Cina, per vederlo nascere,

crescere e produrre sì belli frondi, fiori odorosi

e sì gentil frutti?"62

Nonostante gli ostacoli posti dalla Chiesa63, nel Seicento alcuni studiosi

riuscirono a fare nuove scoperte, a diffondere nuove conoscenze e

61

F. Tibone, Facciamo scienze. Altre cose da scoprire, Bologna, Zanichelli editore, 2004, p. S20 62

G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, giornata prima, 1632. 63

Galileo è nato nel periodo della Controriforma, ossia nel periodo di reazione della Chiesa cattolica alla riforma luterana. La Controriforma cattolica si attua attraverso: la riaffermazione e ridefinizione

32

soprattutto ad adottare un nuovo metodo di ricerca scientifica. Questi

scienziati sostenevano che bisognava cominciare a studiare l’universo, la

natura e il corpo umano attraverso l’osservazione diretta. Non rifiutavano a

priori le teorie di Aristotele e degli altri antichi ma erano disposti ad

accettarle soltanto se potevano essere dimostrate con esperimenti.

Ritenevano che non bastasse osservare i fenomeni, analizzandoli in modo

generale, ma che occorresse anche misurarli e descriverli con la maggior

precisione possibile attraverso il linguaggio matematico. Questo

rinnovamento della scienza, fondato sul metodo sperimentale, fu così

importante che gli storici lo chiamano rivoluzione scientifica. Uno dei

fondatori del metodo sperimentale può essere considerato Galileo64, uno

scienziato nel senso moderno del termine, che dette uno scossone alla

visione aristotelica del mondo. Nato a Pisa nel 1564, il giovane Galileo studiò

medicina. Ma il corpo umano non lo interessava molto: la sua passione

segreta era lo studio della geometria. “La geometria, la matematica e la

statica avevano per Galileo il pregio di non basarsi su affermazioni generiche

ma di giungere a delle conclusioni incontrovertibili da sviluppi rigorosi che

portavano a risultati sempre verificabili in natura”65. Pare che un giorno,

durante la Messa nel Duomo di Pisa, Galileo abbia notato un lampadario che

oscillava, messo in movimento da chi aveva acceso le candele. Al passare del

tempo le oscillazioni diventavano sempre più piccole ed egli decise di

controllare come cambiava il loro periodo, ovvero il tempo impiegato per

un’oscillazione completa, avanti e indietro. Con sorpresa scoprì che il periodo

dei dogmi messi in discussione dal protestantesimo; la condanna della riforma protestante come eresia; la persecuzione degli eretici; la censura dei testi e di qualsiasi opinione che non fosse conforme alle idee ecclesiastiche. (Cfr. www.wikipedia.org). 64

Nello stesso periodo anche Keplero (1571-1630) precisò la concezione copernicana dell’Universo, dimostrando che le orbite compiute dai pianeti non sono circolari ma ellittiche e Newton formulò la legge della gravitazione universale, che spiega da che cosa sono determinati i movimenti di tutti i corpi, sia della mela che cade dall’albero, sia della Luna che gira attorno alla Terra. 65

A. Righini, Galileo tra scienza, fede e politica, Bologna, Editrice Compositori, 2008, p.21.

33

non cambiava, nell’ipotesi di piccoli angoli di oscillazione, qualunque fosse

l’ampiezza dell’oscillazione del candeliere (per misurare gli intervalli di tempo

utilizzò le pulsazioni del cuore). Ripeté l’esperimento a casa facendo oscillare

un sasso appeso ad una corda ed ebbe la conferma di ciò che aveva misurato

nel Duomo ma scoprì anche qualcosa di più: il periodo del pendolo non

dipende neppure dal peso del sasso utilizzato. L’unico modo per variare il

periodo di un pendolo è variare la lunghezza della sua corda.

Questo studioso, dunque, vissuto quattrocento anni fa, aveva un modo di

procedere molto “moderno”. Per Galileo, infatti, la spiegazione di un dato

fenomeno, dopo essere stata intuita, doveva essere verificata per mezzo

dell’esperimento. Il metodo sperimentale consiste proprio nel ricostruire il

fenomeno studiandolo quantitativamente, cioè effettuando tutte le possibili

misure delle grandezze che intervengono in esso, e cercando poi di scoprire

le relazioni matematiche che possono spiegare i dati numerici trovati. In una

delle sue opere Galileo fa dire a Simplicio, il personaggio che sostiene le

teorie aristoteliche:

“SIMPLICIO: io resto interamente appagato: e mi credano certo che se io

avessi a ricominciare i miei studii, vorrei seguire il consiglio di Platone e

cominciarmi dalle matematiche, le quali veggo che procedono molto

scrupolosamente, né vogliono ammettere per sicuro fuor che quello che

concludentemente dimostrano”66.

Come abbiamo detto poco sopra, Galileo fin da giovane dimostrò di saper

osservare la natura con occhi nuovi e attenti e non ebbe paura a contestare

quei principi ritenuti “sacri” ai suoi tempi. Attorno al 1609 costruì il

66

G. Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638, giornata prima.

34

cannocchiale67 che gli fornì le prove che molte delle affermazioni degli antichi

circa i corpi celesti erano errate. Grazie ad esso, perfezionato nel 1610, si

spalancarono le porte all’osservazione dell’Universo. Galileo studiò la

superficie lunare, piena di cavità e rilievi, scoprì le macchie solari, i satelliti di

Giove e i loro movimenti, capì che la Via Lattea era un enorme ammasso di

stelle, di cui nessuno sospettava l’esistenza, perché non visibili a occhio nudo.

Le sue osservazioni con il cannocchiale gli fornirono ulteriori prove

dell’ipotesi su cui rifletteva da tempo, basandosi sulla teoria di Copernico:

che la Terra non era al centro dell’Universo, ma che essa ruotava intorno al

Sole con tutti gli altri pianeti. Intanto, la sua fama si diffondeva rapidamente

in tutta Europa68.

Giuseppe Bertini, Galileo Galilei che mostra l’utilizzo del cannocchiale al Doge di Venezia, 1858

67

In realtà, forse, il primo cannocchiale fu costruito tra il XVI e XVII secolo da artigiani italiani e olandesi. Galilei perfezionò l’idea ma anche il suo strumento era all’inizio molto semplice: un tubo alle cui estremità erano applicate due lenti da occhiali, una concava e una convessa. 68

Quando, infatti, presentò a Roma il cannocchiale, fu ricevuto con grande solennità e dimostrazioni di simpatia, anche da parte degli ecclesiastici, ma ben presto si scatenarono le invidie degli altri studiosi, i sospetti, le accuse. Galilei dedicò tutti i suoi sforzi a dimostrare la verità della teoria copernicana della rotazione terrestre e a farla accettare anche dalla Chiesa che continuava a considerare valido l’insegnamento della Bibbia.

35

Da buon cristiano Galileo non voleva contestare nessun principio di fede e

non aveva intenzione di mettersi in contrasto con la Chiesa. Semplicemente

riteneva che scienza e fede fossero due campi diversi e non dovessero

interferire l’uno con l’altro. L’argomento, però, era pericoloso: non solo si

confutava Aristotele ma si entrava anche nell’ambito religioso, coinvolgendo

le Sacre Scritture69. Galileo, affermando “imprudentemente” che il campo

della scienza e quello religioso erano ben distinti e che lo studio dei corpi

celesti e dei loro movimenti era argomento puramente scientifico, si fece

molti nemici tra il clero, tanto che il Santo Uffizio censurò i suoi scritti e gli

proibì di sostenere la teoria eliocentrica di Copernico e di insegnarla70.

Correva l’anno 1616. Galileo dovette promettere obbedienza per non trovarsi

di fronte al Tribunale dell’Inquisizione. Nel 1632, però, pubblicò un’opera che

gli costò una condanna molto dura. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi

del mondo71 Galileo sosteneva sempre la validità della teoria copernicana,

disubbidendo alla promessa fatta tanti anni prima72. L’opera fu messa

all’indice e ne fu proibita la vendita. Davanti al tribunale dell’Inquisizione il

grande scienziato dovette pronunciare l’abiura73 (1633)74 e sconfessare le

dottrine che aveva sostenuto.

69

Secondo la Bibbia, infatti, era il Sole a girare attorno alla Terra. 70

Cfr. R. Bonnes, P. De Re, Progetto natura, Firenze, Bulgarini editore, 1989, p.17 71

I due “sistemi” erano quello tolemaico e quello copernicano: Galileo li metteva a confronto e sosteneva l’esattezza della teoria copernicana (anche se nel sottotitolo dell’opera sosteneva di portare ragioni “tanto per l’una, quanto per l’altra). 72

“L’opera si ispira chiaramente ai dialoghi di Platone, in cui, ricorrendo essenzialmente alla dialettica del discorso, […] si indagano i principi fondamentali dell’Universo che, in questo caso, discendono esclusivamente dall’osservazione dei fenomeni naturali” in A. Righini, Galileo tra scienza, fede e politica, Bologna, Editrice Compositori, 2008, p.118. 73

“L'atto di abiura (dal latino ab jurare, rinnegare un giuramento) è un documento utilizzato in varie epoche con il quale, per diverse ragioni, un soggetto (o un gruppo di persone) formalizza con una dichiarazione la sua abiura, cioè il rigetto di una precedente appartenenza ad una ideologia o, più frequentemente, ad una religione. Il rilascio di un simile documento è in genere richiesto, sollecitato, estorto o proprio imposto a fini politici o di propaganda”, in http://it.wikipedia.org. 74

Questo il testo dell’abiura di Galilei: “Io Galileo, fìg.lo del q. Vinc.o Galileo di Fiorenza, dell'età mia d'anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Emin.mi e Rev.mi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l'eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl'occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto,

Joseph-Nicolas Robert

La condanna al carcere, che gli fu commutata negli arresti domiciliari, fu

scontata a Roma, poi a Siena e infine ad Arcetri

credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la S.a Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Oprecetto dall' istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere ne insegnare in qualsivoglia modo, ne in voce ne in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d'essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istesragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e imobile e che la terra non sia centro e che si muova; Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze V.re e d'ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non fìnta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie,ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più ne asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d'eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò. Giuro anco e prometto d'adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Off.o imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da' sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promuCosì Dio m'aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia ain parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno Io, Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria”, in 75

È una piccola zona collinare a sud del centro dila casa sede del confino di Galileo Galilei

36

Nicolas Robert-Fleury, Galileo di fronte al Sant'Uffizio, 1847

La condanna al carcere, che gli fu commutata negli arresti domiciliari, fu

scontata a Roma, poi a Siena e infine ad Arcetri75 dove Galileo trascorse gli

credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la S.a Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Off.o, per aver io, dopo d'essermi stato con

istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si

on potessi tenere, difendere ne insegnare in qualsivoglia modo, ne in voce ne in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d'essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e

sia centro e che si muova; Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze V.re e d'ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non fìnta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più ne asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione;

ico o che sia sospetto d'eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò. Giuro anco e prometto d'adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o

Off.o imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da' sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio m'aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani. Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.

, Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria”, in http://www.minerva.unito.it.piccola zona collinare a sud del centro di Firenze. Vi si trovano numerosi edifici storici, come

Galileo Galilei (Villa Il Gioiello), la chiesa di San Leonardo in Arcetri

La condanna al carcere, che gli fu commutata negli arresti domiciliari, fu

dove Galileo trascorse gli

credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la

ff.o, per aver io, dopo d'essermi stato con istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che

il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si on potessi tenere, difendere ne insegnare in qualsivoglia modo, ne in voce ne in

scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d'essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra sa dottrina già dannata e apporto

ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e

sia centro e che si muova; Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze V.re e d'ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa,

e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più ne asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione;

ico o che sia sospetto d'eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero

Giuro anco e prometto d'adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o Off.o imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e

giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da' sacri canoni e

Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del biurazione e recitatala di parola

. . Vi si trovano numerosi edifici storici, come

o in Arcetri,

37

ultimi anni della sua vita, dedicandosi alla ricerca nel campo della meccanica,

e dove morì nel 1642. Solo nel 2000 la Chiesa cattolica ha riconosciuto

pubblicamente l’ingiustizia del processo e della condanna subiti da Galileo.

Nelle sue due opere più importanti, Dialogo sopra i due massimi sistemi del

mondo, pubblicato nel 1632, e Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno

a due nuove scienze, pubblicato nel 1638, egli confutò le convinzioni

aristoteliche.

Frontespizio del Dialogo: Aristotele (a sinistra), Tolomeo (al centro) ha in mano un modello costituito

da sfere concentriche, Copernico (a destra) reca un emblema delle proprie teorie eliocentriche

Entrambe le opere sono elaborate sotto forma di dialogo, si svolgono in

quattro giornate e coinvolgono gli stessi personaggi: due sono personaggi

reali, amici di Galileo, all'epoca già defunti, il fiorentino Filippo Salviati e il

il Convento di San Matteo, l'Osservatorio Astrofisico di Arcetri e la villa in cui è morto Francesco Guicciardini.

38

veneziano Gianfrancesco Sagredo, mentre il terzo, Simplicio, richiama nel

nome un noto, antico commentatore di Aristotele, oltre a sottintendere il suo

semplicismo scientifico. Egli è il sostenitore del sistema tolemaico, mentre

l'opposizione copernicana è sostenuta dal Salviati. Sagredo, invece, svolge

una funzione più neutrale ma finisce per simpatizzare per l'ipotesi

copernicana.

Nelle opere di Galileo si evince come egli, tra le varie scoperte, invenzioni e

intuizioni, avesse praticamente enunciato il principio di inerzia secondo il

quale in assenza di una forza, un corpo mantiene il suo stato di quiete o di

moto76. Egli scrive che il moto di un corpo su un piano “che non fusse né

acclive né declive” (cioè fosse orizzontale) al quale “fusse dato impeto verso

qualche parte […] seguirebbe il muoversi verso quella parte”. Inoltre esso

continuerebbe a muoversi con velocità uniforme: “il mobile” scrive Galileo

“durasse a muoversi […] tanto quanto durasse la lunghezza di quella

superficie, né erta né china; […] se tale spazio fusse interminato, il moto in

esso sarebbe parimenti senza termine, cioè perpetuo”77. Ciò contraddiceva le

argomentazioni di Aristotele il quale affermava che “ciò che è mosso cessa di

muoversi nel momento stesso in cui il motore che agisce su di esso smette di

muoverlo”78, ossia che un corpo in moto si ferma, quando la forza che lo

spinge smette di agire.

Altre intuizioni importanti circa il moto dei corpi, le leggiamo nel trattato

Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, pubblicato

76

Galileo (nella Seconda Giornata del Dialogo sopra i Due Massimi Sistemi) considerò il moto di un corpo sopra un piano orizzontale come un caso limite del moto sopra un piano inclinato: la velocità di un corpo che scende lungo un paino inclinato va aumentando, quella di un corpo che risale su di esso va diminuendo; su un piano “che non fusse né acclive né declive” (cioè fosse orizzontale) un corpo al quale viene impressa una certa velocità, in assenza di forze, continua a muoversi per sempre, mantenendo costante la sua velocità. 77

G. Galilei, Dialogo sopra i due massi sistemi del mondo, giornata seconda, 1632. 78

Ciò viene affermato nella Meccanica, Cfr. www.wikibooks.org.

39

nel 1638, in cui Galileo dichiarò che la differenza di comportamento tra due

corpi in caduta era dovuta soltanto alla presenza dell’attrito con l’aria.

Secondo Galileo, se esso non ci fosse, tutti i corpi cadrebbero “verso ‘l comun

centro de i gravi, cioè del nostro globo terrestre, con movimento

continuamente accelerato, ed accelerato sempre egualmente, cioè che in

tempi uguali si fanno aggiunte uguali di nuovi momenti e gradi di velocità”.

Gli studi successivi hanno dimostrato che questa accelerazione è uguale per

tutti i corpi e non dipende né dalla loro massa, né dal particolare materiale di

cui sono fatti. Le argomentazioni di Galileo erano contrarie all’esperienza

comune e con le strumentazioni esistenti non era possibile verificare

direttamente queste ipotesi. La conferma definitiva della loro validità giunse

solo qualche decennio più tardi quando fu inventata la prima macchina da

vuoto. Verso il 1650, infatti, Otto von Guericke79 inventò la sua famosa

pompa da vuoto, cominciando a stupire l’Europa con i suoi esperimenti

pubblici.80 In quegli anni Newton costruì un tubo di vetro dal quale estrasse

l'aria e dimostrò che oggetti leggeri come una piuma, non trovando

resistenza del mezzo, cadevano con la stessa accelerazione di altri corpi più

pesanti81.

1.7 La meccanica

I fenomeni fisici sono numerosi e complessi e altrettanto vasta e complessa è

la fisica. Essa, infatti, viene suddivisa in vari campi, secondo la natura dei

fenomeni considerati. Si tratta di una suddivisione dettata da comodità di

studio in quanto, in realtà, tutti i campi della fisica sono in stretta relazione

79

Otto von Guericke (1602-1686), fisico tedesco, fu in carica come borgomastro a Magdeburgo per sette anni. Approfondì i suoi studi di fisica, fu l'inventore di una macchina pneumatica ed eseguì una serie di esperimenti sul vuoto. Fra le sue pubblicazioni e scritti, Experimenta nova, Magdeburgica, De vacuo spatio. (Cfr. http://www.museoelettrico.com). 80

Cfr. http://fisicaho.wordpress.com. 81

Cfr. www.wikipedia.org.

40

tra loro. Ma non solo, tutta la fisica come scienza è a sua volta in stretta

relazione con le altre scienze, dalla matematica, alla chimica, alla geologia,

alla biologia, all’astronomia. La parte della fisica che si occupa e studia il

movimento dei corpi è la meccanica.

1.8 La descrizione del moto dei corpi

1.8.1 Il sistema di riferimento

La descrizione del moto è sempre relativa, cioè dipende dal sistema di

riferimento da cui lo si osserva. Per renderci conto se siamo in quiete, cioè

fermi, o in moto, dobbiamo fare riferimento a qualcosa che consideriamo

fisso e che, nel linguaggio scientifico, si chiama sistema di riferimento ed è ad

esso che dobbiamo sempre riferire le nostre osservazioni. Dunque possiamo

dire che un corpo è in quiete in un sistema di riferimento se, rispetto a quel

sistema di riferimento, non cambia la sua posizione nel tempo. Viceversa, un

corpo è in moto in un sistema di riferimento se, rispetto a quel sistema di

riferimento, cambia la sua posizione nel tempo.

Quando non ci si riferisce ad un sistema di riferimento particolare, ci si

riferisce, implicitamente, alla Terra, pur sapendo che essa non è ferma.

1.8.2 La traiettoria

Se uniamo tutte le successive posizioni che un corpo occupa nel tempo,

otteniamo la sua traiettoria. Essa è detta rettilinea se segue una linea retta,

curvilinea se segue linee curve. Secondo il tipo di linea curva si può avere il

moto circolare, il moto parabolico, il moto ellittico, eccetera.

41

1.8.3 Lo spazio percorso

Per descrivere il moto di un corpo si deve considerare lo spazio percorso82 tra

il punto di partenza e il punto di arrivo, ossia la lunghezza del tratto di

traiettoria percorsa dal corpo in un certo tempo83. Esso si misura in metri o

nei suoi multipli o sottomultipli.

La distanza percorsa si indica con ∆s e, nel caso di un moto rettilineo, è data

dalla differenza tra le due posizioni finale (��) e iniziale (��) individuate lungo

la retta percorsa: ∆� = �� � ��.

1.8.4 Il tempo e la velocità

Per descrivere il moto di un corpo non è sufficiente conoscere il tipo di

traiettoria che esso ha seguito o quanto spazio ha percorso. È fondamentale

conoscere anche quanto tempo il corpo ha impiegato per compiere quello

spostamento. L’intervallo di tempo (o durata) in cui è avvenuto lo

spostamento si indica con ∆t ed è definito come la differenza tra i due istanti

di tempo finale ( �) e iniziale ( �): ∆t = � � �. Gli intervalli di tempo si

misurano in secondi (s) o nei suoi multipli (minuti, ore, giorni etc.) o

sottomultipli. La grandezza che mette in relazione lo spazio percorso con il

tempo impiegato a percorrerlo è la velocità che si riferisce a quanto

rapidamente un oggetto cambia la sua posizione. La velocità è una grandezza

che può rimanere costante (moto uniforme) oppure può variare (moto

vario).

Supponendo che un oggetto percorra uno spazio ∆� in un intervallo di tempo

∆ , la sua velocità viene definita come:

82

Lo spazio percorso è una quantità scalare che si riferisce a quanto spazio ha percorso un oggetto durante il suo moto; mentre lo spostamento è una quantità vettoriale che si riferisce al cambiamento di posizione. (Cfr. R. Casalbuoni, S. De Curtis, Fondamenti e Didattica della Fisica, lezioni tenute al corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, a.a. 2003-2004, p. 19). 83

Cfr. E. Longoni, Le scienze per temi, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 2000, p.83.

42

�� = ∆�

La velocità così definita è detta velocità media, perché la rapidità con cui la

posizione del corpo cambia può variare durante il tempo ∆ considerato. La

velocità istantanea dà un’indicazione più precisa della velocità di un corpo in

un certo istante e si ottiene con un “procedimento al limite”, facendo

diventare sempre più piccolo l’intervallo di tempo ∆ .

1.8.5 Il moto rettilineo uniforme e il moto vario

Nel moto rettilineo uniforme un corpo percorre spazi uguali a intervalli di

tempo regolari e la velocità è, come abbiamo detto, costante. La relazione

che lega spazio, velocità e tempo prende il nome di legge oraria del moto

rettilineo uniforme:

� = �� + � ∙

con � = posizione all’istante di tempo t, ��= posizione all’istante

iniziale t = 0 e � = velocità.

Nel moto vario, invece, la velocità cambia nel tempo: se un ciclista percorre

300 m in 30 s, diciamo che la sua velocità media, in quel tratto di strada, è di

10 m/s.

Se lo spazio si misura in metri e il tempo in secondi, la velocità si misura

quindi in metri al secondo (m/s).

La legge oraria del moto rettilineo uniforme è una funzione matematica e

possiamo rappresentarla sul piano cartesiano (mettendo in ascissa i tempi e

in ordinata gli spazi)84 ottenendo una retta la cui pendenza ci indica la

velocità del corpo. Immaginiamo un’automobile che si muove con velocità

84

Grafico spazio-tempo

43

costante in verso positivo85, ad esempio � = 10 m/s . Se assegniamo dei

valori a piacere al tempo t (espressi in secondi) possiamo ricavare i

corrispondenti valori di s (espressi in metri) e costruire la seguente tabella:

t (in s) 0 1 2 3

s (in m) 0 10 20 30

Riportiamo questi valori in un piano cartesiano. In ascissa segniamo gli

intervalli di tempo e in ordinata i valori relativi allo spazio percorso.

Il grafico spazio-tempo di un moto rettilineo vario, invece, non sarà una retta

ma una linea curva che rappresenta la posizione di un corpo in funzione del

tempo e la sua lettura descrive con precisione il moto del corpo e ci permette

di calcolare in ogni tratto il valore della sua velocità. Analizziamo per esempio

il moto di una libellula86 che si muove in linea retta da una foglia a un’altra, si

85

Cfr. R. Casalbuoni, S. De Curtis, Fondamenti e Didattica della Fisica, lezioni tenute al corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, a.a. 2003-2004, p. 27. 86

Cfr. U. Amaldi, L’Amaldi. Introduzione alla fisica, Bologna, Zanichelli Editore, 2004, p C8.

44

ferma su quest’ultima e poi torna indietro e costruiamo il grafico di questo

moto:

Nella seguente tabella sono mostrate, al fine di effettuare alcune semplici

valutazioni numeriche, le coordinate di alcuni punti del grafico:

t (in s) 0 1 3 5 6 8 10

s (in m) 0 0,5 5 8 8 5,5 3

Osservando l’andamento del grafico spazio-tempo balzano agli occhi alcune

caratteristiche qualitative del moto:

• I tratti più ripidi sono quelli in cui la velocità media è maggiore. Per

esempio nell’intervallo di 2 secondi tra t = 1s e t = 3s la libellula

percorre 4,5 metri; cioè una distanza maggiore di quella (pari a 3

metri) che percorre in un intervallo di tempo uguale, tra = 3� e

t = 5s.

45

• Nei tratti orizzontali la libellula è ferma. Per esempio tra t = 5s e

t = 6s la posizione della libellula non cambia: si trova sempre a 8 metri

dal punto di partenza.

• Nei tratti inclinati verso il basso la libellula torna indietro (cioè si

muove in verso negativo). Per esempio tra t = 6s e t = 10s la libellula

si avvicina al punto di partenza.

Dunque, in un moto vario la velocità non è costante (un oggetto può partire,

fermarsi, cambiare velocità, tornare indietro). Il rapporto tra la variazione

della velocità e l’intervallo di tempo in cui questa variazione avviene, prende

il nome di accelerazione e questa grandezza si riferisce a quanto rapidamente

un oggetto cambia la sua velocità.

L’accelerazione media viene definita come il rapporto tra la variazione di

velocità ∆� e l’intervallo di tempo ∆ in cui essa avviene:

�� �

∆�

In un grafico velocità-tempo che rappresenta la velocità di un corpo in

funzione del tempo, in un moto vario, è possibile leggere e descrivere con

precisione il moto del corpo e calcolare in ogni tratto il valore

dell’accelerazione. Consideriamo ad esempio un’automobile che viaggia

lungo una strada dritta (moto rettilineo) e supponiamo di conoscere istante

per istante la sua velocità e di riportarla in un grafico velocità- tempo87.

87

Cfr. U. Amaldi, L’Amaldi. Introduzione alla fisica, Bologna, Zanichelli Editore, 2004, p C25.

46

Come già fatto in precedenza, al fine di effettuare alcune semplici valutazioni

numeriche, nella seguente tabella sono riportate le coordinate di alcuni punti

del grafico:

t (in s) 0 4 7 10 14 17 20

v (in m/s) 0 18 28 33 33 27 22

Osservando l’andamento del grafico velocità-tempo, possiamo osservare

alcune caratteristiche qualitative del moto.

• I tratti più ripidi sono quelli in cui l’accelerazione media è maggiore.

Per esempio nell’intervallo di tre secondi tra t = 4s e t = 7s la velocità

47

dell’automobile cresce di 10 m/s; questo aumento di velocità è

maggiore di quello (pari a 5 m/s) che avviene in un intervallo di tempo

uguale tra t = 7s e t = 10s.

• Nei tratti orizzontali la velocità è costante e, quindi, l’accelerazione è

nulla. Per esempio tra t = 10s e t = 14s la velocità della macchina non

cambia.

• Nei tratti inclinati verso il basso la velocità diminuisce e, quindi,

l’accelerazione è negativa. Per esempio tra t = 14s e t = 20s l’auto

rallenta.

1.8.6 Il moto uniformemente accelerato

Se studiassimo il moto di una mela che cade da un albero e riprendessimo la

caduta con una videocamera che scatta diverse foto del moto a intervalli di

tempo ravvicinati, otterremmo un moto vario del tutto particolare.

Potremmo per esempio calcolare le velocità medie su intervalli di tempo di

un secondo e rappresentare questi dati su un grafico velocità-tempo,

ottenendo una retta come quella rappresentata nel grafico sottostante88:

Il grafico ci dice che la velocità della mela aumenta con il passare del tempo e

che, visto che la pendenza della retta è costante, l’accelerazione è sempre la 88

Cfr. U. Amaldi, L’Amaldi. Introduzione alla fisica, Bologna, Zanichelli Editore, 2004, pp. C25-C26.

48

stessa. Il movimento di un corpo che si sposta lungo una retta con

accelerazione costante è detto moto rettilineo uniformemente accelerato. In

un moto di questo genere la velocità varia di quantità uguali in intervalli di

tempo uguali. La legge oraria del moto uniformemente accelerato è:

� = �� + �� + �

� � �

con � = posizione all’istante t, �� = posizione iniziale, �� = velocità iniziale,

� = accelerazione, = istante generico di tempo.

Questa legge, nel caso di moto che parta da fermo (�� = 0), esprime la

proporzionalità tra lo spazio percorso rispetto alla posizione iniziale �� e il

quadrato del tempo impiegato a percorrerlo.

1.8.7 La caduta dei corpi

Aristotele riteneva che un oggetto pesante in caduta libera arrivasse al

suolo, per effetto del proprio peso, più rapidamente di uno leggero lasciato

cadere dalla stessa altezza, basandosi sul presupposto che ogni deduzione

logica dovesse attenersi a ciò che l'esperienza quotidiana mostrava

all'osservatore attento.

Al contrario, Galileo Galilei era dell'opinione che tutti i corpi, pesanti o

leggeri, dovessero impiegare lo stesso tempo per arrivare al suolo,

spiegando le differenze riscontrate sui tempi di caduta con l'azione di

disturbo esercitata sul moto dell'oggetto dall’attrito dell’aria.

Egli cercò quindi, attraverso prove sperimentali e ragionamenti speculativi, di

dimostrare la fondatezza della sua teoria. Il moto di caduta libera era, però,

troppo rapido per poterne osservare i particolari con le strumentazioni allora

disponibili, perciò Galileo ricorse all'artificio di diminuire la velocità di caduta

di una sfera facendola rotolare lungo un piano inclinato e usando un orologio

49

ad acqua89 per misurare i tempi impiegati a percorrere spazi di lunghezza

diversa. Galileo descrive in maniera dettagliata questo esperimento nei

Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze:

“In un regolo, o vogliàn dir corrente, di legno, lungo circa 12 braccia, e

largo per un verso mezo bracio e per l'altro 3 dita, si era in questa minor

larghezza incavato un canaletto, poco più largo d'un dito; tiratolo

drittissimo, e, per averlo ben pulito e liscio, incollatovi dentro una carta

pecora zannata e lustrata al possibile, si faceva in esso scendere una

palla di bronzo durissimo, ben rotondata e pulita; costituito che si era il

detto regolo pendente, elevando sopra il piano orizzontale una delle sue

estremità un braccio o due ad arbitrio, si lasciava (come dico) scendere

per il detto canale la palla, notando, nel modo che appresso dirò, il

tempo che consumava nello scorrerlo tutto, replicando il medesimo atto

molte volte per assicurarsi bene della quantità del tempo, nel quale non

si trovava mai differenza né anco della decima parte d'una battuta di

polso. Fatta e stabilita precisamente tale operazione, facemmo scender

la medesima palla solamente per la quarta parte della lunghezza di esso

canale; e misurato il tempo della sua scesa, si trovava sempre

puntualissimamente esser la metà dell'altro: e facendo poi l'esperienze

di altre parti, esaminando ora il tempo di tutta la lunghezza col tempo

della metà, o con quello delli duo terzi o de i 3/4, o in conclusione con

qualunque altra divisione, per esperienze ben cento volte replicate

sempre s'incontrava, gli spazii passati esser tra di loro come i quadrati e

i tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano, cioè del canale nel

quale si faceva scender la palla; dove osservammo ancora, i tempi delle

scese per diverse inclinazioni mantener esquisitamente tra di loro quella

89

Si tratta di un secchio d’acqua, inizialmente pieno, con un foro sul fondo. Nell’istante in cui si lascia andare la sfera, si apre il foro lasciando libera l’acqua di defluire dal secchio. Se si assume che la velocità di deflusso dell’acqua a foro aperto sia costante, allora la quantità di acqua defluita misura il tempo trascorso t, e l’esperimento permette di studiare come varia il tempo di discesa t in funzione degli altri parametri (inclinazione del piano e spazio percorso dalla sfera). Cfr. http://www.padova.infm.it

50

proporzione che più a basso troveremo essergli assegnata e dimostrata

dall'Autore. Quanto poi alla misura del tempo, si teneva una gran

secchia piena d'acqua, attaccata in alto, la quale per un sottil cannellino,

saldatogli nel fondo, versava un sottil filo d'acqua, che s'andava

ricevendo con un piccol bicchiero per tutto 'l tempo che la palla scendeva

nel canale e nelle sue parti: le particelle poi dell'acqua, in tal guisa

raccolte, s'andavano di volta in volta con esattissima bilancia pesando,

dandoci le differenze e proporzioni de i pesi loro le differenze e

proporzioni de i tempi; e questo con tal giustezza, che, come ho detto,

tali operazioni, molte e molte volte replicate, già mai non differivano

d'un notabil momento”90.

Con tale esperimento Galileo scoprì che qualunque fosse l’inclinazione del

piano, la velocità della sfera aumentava in modo costante. Egli pensò, quindi,

che ciò dovesse valere anche nel caso limite di un piano verticale ossia di una

caduta libera.

L’ipotesi di Galileo è stata ulteriormente verificata nei decenni successivi e gli

esperimenti ci dicono che l’accelerazione con cui cadono tutti i corpi che si

trovano in prossimità della superficie della Terra è la stessa. Questa

accelerazione è indicata con il simbolo g, è chiamata accelerazione di gravità

e il suo valore è approssimativamente91 9,8 �

! .

90

G. Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638, giornata terza. 91

L'effettiva accelerazione che la Terra produce su un corpo in caduta varia al variare del luogo in cui questa è misurata. Il valore dell'accelerazione aumenta con la latitudine per due ragioni: 1) la rotazione della Terra, che produce una forza centrifuga che si oppone all'attrazione gravitazionale; questo effetto da solo fa sì che l'accelerazione di gravità sia 9,823 m/s² ai poli e 9,789 m/s² all'equatore; 2) lo schiacciamento della Terra ai poli, che allontana ulteriormente dal centro della Terra ogni corpo che si trova alle basse latitudini facendo sì che la forza di gravità che agisce su di esso sia leggermente inferiore, dato che la forza di attrazione è inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i baricentri del corpo considerato e della Terra. La combinazione di questi due effetti rende il valore di g misurato ai poli circa lo 0,5% più grande di quello misurato all'equatore. (Cfr. www.wikipedia.org).

51

Dunque, sulla Terra, un oggetto che cade aumenta, ogni secondo, la sua

velocità di quasi 10 m/s (cioè quasi 36 km/h).

52

53

Capitolo 2

Progettazione del percorso didattico

54

55

2.1 Il contesto

La scuola primaria in cui ho svolto il percorso didattico sul moto fa parte

dell’Istituto Comprensivo Montagnola-Gramsci situato nel Quartiere 4, a

Firenze. Si tratta di una scuola e di una classe in cui svolgo la mia attività di

educatrice da diversi anni, per cui conosco molto bene sia i bambini che le

insegnanti della classe. Questo mi ha aiutato molto nell’ideazione e nella

preparazione del progetto didattico. Quando ho annunciato alla maestra

dell’area logico-matematica il mio desiderio di provare a seguire questo

percorso, lei si è dimostrata subito molto entusiasta e si è resa disponibile ad

aiutarmi e sostenermi. La classe, una IV elementare, è composta da 19

bambini. Il percorso proposto era in accordo con il POF dell’Istituto

Comprensivo e rientrava nei contenuti che la maestra aveva deciso di

affrontare durante l’anno anche se in maniera non così dettagliata e analitica.

Il percorso didattico metteva, poi, in campo strumenti e concetti matematici

che la maestra stava affrontando con i bambini nel suo programma didattico

(tabelle, leggi matematiche, grafici) e questo ha permesso l’integrazione

parziale di conoscenze già possedute.

2.2 Organizzazione di spazi e tempi

Per quanto riguarda gli spazi ho ritenuto importante, tranne in

un’occasione92, che i bambini facessero le esperienze e svolgessero le attività

all’interno della loro classe perché mi premeva che capissero che per fare

alcuni tipi di esperimenti non è necessario un luogo “speciale”, che anche la

classe può diventare un laboratorio, magari con qualche piccolo

accorgimento, trasformandola in base alle necessità: spostare i banchi, fare

92

Durante uno degli incontri ci siamo dovuti spostare in un’altra aula, adiacente a quella dei bambini, perché in essa vi era un tavolo con una superficie molto liscia, condizione necessaria per svolgere bene l’esperimento.

56

spazio se necessario, disporsi in cerchio per vedere meglio, disporre e

utilizzare con attenzione gli strumenti necessari portati per l’occasione.

Per i tempi mi sono sempre preparata molto bene a casa: l’attività era

fortemente strutturata e prevista in ogni dettaglio metodologico e

contenutistico. È stato fondamentale provare molte volte gli strumenti e le

esperienze che volevo proporre, per essere certa che i tempi calcolati fossero

sufficienti per l’incontro. In classe, infatti, e questo è il bello della scuola, i

tempi si amplificano, le spiegazioni si allungano, le domande si moltiplicano. È

importante che l’insegnante abbia una buona tenuta, sappia moderare e

dirigere l’attività verso l’obiettivo previsto e ricondurre i bambini al percorso

quando essi tendono a divagare, allontanandosi troppo dai contenuti da

affrontare. Nonostante un’accurata preparazione degli incontri, in ogni

attività accadeva sempre qualcosa di imprevisto: il cronometro che

improvvisamente smetteva di funzionare, il piano inclinato troppo lungo per

maneggiarlo con scioltezza e trovargli una sistemazione adeguata, il barattolo

di colore che si rovesciava per terra... Ma anche queste cose hanno reso tutto

il percorso vitale, giocoso, dinamico perché ogni volta abbiamo cercato e

trovato insieme una soluzione per poter procedere. E, credo, che tutto ciò

faccia parte dell’insegnamento, del lavoro con i bambini e della costruzione

del sapere condiviso. Al di là dell’ingegneria pedagogica legata

all’articolazione in traguardi, obiettivi di apprendimento, attività, strumenti,

prove di verifica, bisogna lasciare spazio all’imprevisto e all’imprevedibile,

essere pronti a ripensare questo o quell’itinerario formativo qualora dovesse

rivelarsi poco funzionale al raggiungimento degli obiettivi stabiliti.93

Gli incontri sono stati complessivamente sette, della durata di due ore

ciascuno.

93

Cfr. D. Capperucci, C. Cartei, Curricolo e intercultura, Milano, franco Angeli Editore, 2010, p. 34.

57

2.3 Obiettivi

Obiettivi generali di apprendimento

• leggere, scrivere, confrontare numeri decimali;

• rappresentare relazioni e dati e utilizzare le rappresentazioni per

ricavare informazioni;

• usare la nozione di media aritmetica;

• rappresentare relazioni e dati con tabelle e schemi;

• conoscere le principali unità di misura per lunghezze e tempi;

• argomentare sui criteri utilizzati per realizzare classificazioni e

ordinamenti;

• osservare, descrivere, definire;

• operare relazioni.

Obiettivi specifici

• formulare ipotesi e verificare ;

• familiarizzare con il linguaggio specifico;

• acquisire esperienza diretta sul concetto di moto, di forza, di attrito,

compiendo esperienze percettive di esplorazione su oggetti e

nell’ambiente, utilizzando anche strumenti semplici;

• usare i sensi per osservare i fenomeni;

• raccogliere e registrare dati;

• osservare e sperimentare sul campo.

Obiettivi trasversali

• matematica: utilizzare formule, tabelle e dati numerici;

• italiano: utilizzare un lessico specifico per trattare gli argomenti e per

descrivere idee e concetti;

58

• storia: inquadrare storicamente due personaggi che hanno influito

nelle conoscenze sul moto.

2.4 Scelta dei contenuti

Tutto il percorso didattico si è incentrato su esperimenti che avevano come

obiettivo quello di condividere e sperimentare con i bambini l’esattezza delle

intuizioni e delle argomentazioni di Galileo sul moto (primo principio della

dinamica, moto uniformemente accelerato e caduta dei gravi), che

contraddicono i fondamenti della fisica di Aristotele e che spesso appaiono

contrari anche quello che l’esperienza quotidiana sembra mostrare.

• Trattandosi di esperienze sul moto, nel primo incontro ho ritenuto

importante introdurre il concetto di quiete, di moto e le grandezze

che lo descrivono.

• Nel secondo incontro i bambini hanno fatto esperienze dirette sul

moto di oggetti e dal confronto di spazi e tempi, è stato introdotto il

concetto di velocità.

• Per arrivare a spiegare il primo principio della dinamica è stato

necessario introdurre il concetto di forza, che innesca il moto di un

corpo, e quello di attrito, la forza che si esercita tra due superfici a

contatto opponendosi al loro moto relativo.

• Nel quarto incontro, per sperimentare il moto di un oggetto in assenza

(sia pure non completa) di attrito, i bambini hanno fatto un’esperienza

con un dischetto d’alluminio che si muove su una superficie liscia,

sopra un cuscinetto d’aria.

59

• Per arrivare a definire il moto dei gravi in caduta libera (che in assenza

di attrito dell’aria, come aveva enunciato Galileo, cadono a terra

contemporaneamente), è stato opportuno introdurre il concetto di

resistenza dell’aria e di come essa vari, secondo la forma e le

dimensioni del corpo che cade. Durante questa attività (quinto

incontro) i bambini hanno fatto esperienza della caduta di diversi

oggetti e hanno costruito un paracadute per sperimentare la

resistenza dell’aria.

• Per studiare il moto di caduta dei gravi, Galileo aveva fatto diversi

esperimenti sul piano inclinato arrivando a definire il moto

uniformemente accelerato. Durante il sesto incontro, in classe

abbiamo ripetuto l’esperienza di Galileo con il piano inclinato e

abbiamo fatto considerazioni su relazioni tra spazio e tempo in questo

tipo di moto.

• L’ultimo incontro è stato dedicato alla verifica conclusiva.

Nella tabella seguente ho riassunto le tematiche che sono state trattate nei

vari incontri e le attività che sono state svolte dai bambini in ognuno di essi.

Incontro Attività Tempo

previsto

1

� Il lavoro scientifico

� Il movimento dei corpi

• il metodo sperimentale

• concetto di quiete e moto

• stabilire un sistema di riferimento

• spazio e tempo

2 h

2 • spazio e tempo in giardino 2 h

60

� Il movimento dei corpi

� La velocità

• Il moto rettilineo uniforme

• il moto vario

• la velocità media

3

� Le forze

• riflessioni sul concetto di forza

• la forza che innesca il moto

• l’attrito

2 h

4

� Le forze

• effetti che la forza produce sul

moto di un corpo

• il moto in assenza di attrito

2 h

5

� La gravità

� La resistenza dell’aria

• ipotesi sulla gravità terrestre

• esperienze sull’attrito dell’aria

• costruzione di un paracadute

2 h

6

� Il moto uniformemente

accelerato

• l’esperienza di Galileo col piano

inclinato

2 h

7

� Verifica scritta

• Verifica

2h

2.5 Strategie e tecniche didattiche

Prima di realizzare ogni esperienza in classe ho presentato ai bambini il

fenomeno che avremmo trattato, ho avviato una discussione per verificare le

conoscenze possedute al riguardo, ho cercato di costruire insieme a loro dei

significati condivisi e alla fine di ogni esperienza c’è stato un momento di

sintesi per concettualizzare le cose di cui avevamo parlato e fatto esperienza.

Ad ogni incontro mi sono concessa anche un po’ di tempo per riallacciare i

contenuti trattati la volta precedente in modo da creare un percorso logico di

costruzione concettuale. Ho sempre cercato di dare molta importanza alla

dimensione partecipativa nella costruzione della conoscenza. “Nella tecnica

che si decide di adottare sta gran parte del messaggio che quella determinata

attività può trasmettere. Un’attività, […] contiene sicuramente almeno due

messaggi: il primo sta nel contenuto che propone, nel tipo di impegno fisico e

61

mentale che sollecita; il secondo sta nelle modalità dell’offerta, nella tecnica

di approccio, che ne possono cambiare completamente la fruibilità e la

godibilità, ma possono giungere a cambiarne, a stravolgerne persino il valore

e il significato”94. Credo che sia molto importante variare le modalità di

presentazione della conoscenza da acquisire, utilizzare una varietà di

strategie che permetta di raggiungere il numero più alto possibile di bambini

e che dia la possibilità a tutti gli alunni di partecipare, in un modo o nell’altro.

Elenco qui di seguito le strategie didattiche che ho utilizzato durante la

realizzazione del percorso:

• brainstorming: utile per conoscere i prerequisiti dei bambini e

costruire attraverso l’unione di varie idee, un’idea più completa ed esatta

riguardo un determinato argomento; è importante utilizzarlo in vari momenti

dell’attività senza paura di “perdere tempo “, cercando di non troncare le

domande primitive e le ipotesi strampalate e di non “ignorare pudicamente

le prime rappresentazioni del fanciullo, necessariamente infondate, ma

quadri di riferimento sui quali il bambino stesso si appoggia per elaborare la

sua immagine della realtà“95;

• strategie basate sulla scoperta: questa strategia facilita, grazie

all’attivazione e alla valorizzazione delle risorse dei soggetti, un processo di

apprendimento centrato sullo sviluppo di nuove capacità individuali e

collettive; il bambino ha un ruolo attivo e deve pianificare percorsi di ricerca;

l’insegnante stimola interrogativi, dubbi, predispone percorsi di indagine;

• lezione a carattere dialogico: anziché proporre una lezione frontale o

leggere libri di testo sull’argomento ho preferito porre domande ai ragazzi

per stimolare interrogativi, ipotesi e confronto su alcuni temi, cercando,

94

P. Borin, A scuola con difficoltà. I punti critici della relazione educativa, Roma, Carocci Editore, 2006, p. 88. 95

A. Giordan, Una didattica per le scienze sperimentali, Roma, Armando Editore, 1981, p. 29.

62

attraverso le discussioni di gruppo, di sollevare dubbi e di accompagnare,

senza dirigere, i ragionamenti e i percorsi di ricerca intrapresi dai bambini.

Idee differenti creano vivacità e dinamicità e permettono di lavorare sui

contrasti, sulla competizione e sulla complementarietà delle stesse. Si crea

così un ambiente ricco ed utile per sviluppare le idee emerse in forme nuove

e più raffinate. Il ragionamento che si attiva in una discussione, poi,

contribuisce alla comprensione reciproca, cioè impegna ogni partecipante nel

tentativo di accogliere il punto di vista dell’altro e questi sforzi convergono in

una comprensione collettiva: il risultato di una discussione è patrimonio e

prodotto di un intero gruppo96. Spesso ho anche chiesto ai bambini di

ipotizzare soluzioni di fronte ad un quesito o ad una esperienza da fare,

utilizzando le informazioni ricavate dalle osservazioni e dalla discussione

avvenuta;

• manipolazione di oggetti e costruzione: i bambini hanno avuto modo

non solo di osservare alcuni fenomeni, ma anche di manipolare e utilizzare

tutti gli strumenti che ogni volta ho portato con me e hanno potuto osservare

e sperimentare gli effetti prodotti dal loro utilizzo. Se le risposte a

determinati interrogativi sono presentate come un’evidenza implicita, come

una verità trasmessa dall’insegnante, i bambini non le assimilano affatto. Le

informazioni devono passare attraverso i sensi, il corpo e le esperienze

concrete piuttosto che attraverso la spiegazione. In questo modo vengono

interiorizzate e si fissano a lungo nella mente, consentendo poi in un secondo

momento di compiere astrazioni. Le più convincenti affermazioni, forse, sono

quelle che dimostrano che un’idea è falsa. Solo così l’alunno impara a

rimettere in discussione la sua opinione immediata e soprattutto a

giustificare oggettivamente il cambiamento. Per esempio, durante il quinto

96

Cfr. S. Cacciamani, L. Giannandrea, La classe come comunità di apprendimento, Roma, Carocci Editore, 2004, p. 31.

63

incontro, i bambini hanno costruito un paracadute. Nel lavoro manuale sono

coinvolti corpo e mente. Perché il bambino apprenda, proprio i sensi e il

corpo devono essere coinvolti in tale processo;

• cooperative learning: il lavoro di gruppo è stato utilizzato per compiere

tutte le osservazioni sui vari fenomeni, anche attraverso brainstorming, per la

costruzione di tabelle, cartelloni e per la rielaborazione delle idee discusse

insieme. I bambini che stanno imparando, sono delle risorse: le conoscenze

individuali attivano processi di apprendimento di gruppo per il

raggiungimento di obiettivi comuni, la relazione tra i membri è indispensabile

per conseguire il risultato. Attraverso il confronto, la collaborazione, le

controversie si rielaborano e si aggiustano le esperienze vissute e gli

argomenti trattati, attivando processi di riadattamento delle informazioni

apprese. Anche per la realizzazione del paracadute i bambini si sono aiutati a

vicenda e hanno collaborato per portare a termine il lavoro: chi aveva finito il

proprio, si alzava ed era libero di andare ad aiutare chi ancora non aveva

terminato;

• storia “aneddotica”97: per stimolare la curiosità e l’attenzione dei

bambini verso gli esperimenti che abbiamo realizzato insieme in classe,

spesso, ho introdotto o accompagnato gli incontri con racconti sulla vita di

Galileo, alcuni dei quali forse leggende, e sui suoi esperimenti;

• verifica individuale: alla fine del percorso, per poter valutare le

conoscenze apprese dai bambini, ho preparato un questionario con domande

aperte e chiuse e un cruciverba riguardante il moto.

97

Come dice D’Amore, la storia aneddotica affascina i bambini e ha una funzione non banale: gli scienziati, che dedicano la loro vita a qualche cosa che per i più è misterioso, sono esseri umani che hanno una storia personale e il raccontarla li rende meno estranei agli studenti, creando un fascino curioso attorno ad essi. (Cfr. B. D’amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 8).

64

2.6 Strumenti e materiali

Elenco qui di seguito i materiale che ho utilizzato per il progetto:

� Fogli grandi per cartelloni

� Pennarelli e matite

� Lavagna

� Palla

� Nastro di carta

� Cronometro

� Biglie

� Tempera ad acqua

� Dischetto in alluminio con palloncino gonfiabile per lo studio del moto

in assenza attrito

� Scivolo di legno

� Polistirolo

� Carta vetrata

� Cartoncino bristol

� Panno

� Metro

� Dischetti di plastica

� Pallina morbida di gommapiuma

� Buste di nylon

� Spago

� Mollette di legno

� Pasta da modellare

� Piano inclinato

� Sfere di metallo

� Bottigliette d’acqua

65

� Macchina fotografica

� Schede precompilate

2.7 Valutazione

Qualsiasi percorso progettuale deve fare i conti con la valutazione dei

processi attivati e dei risultati conseguiti. “La valutazione non va concepita

soltanto come un momento finale ma deve essere vista come una misura di

monitoraggio dell’andamento complessivo del progetto, dall’inizio alla fine, in

vista del raggiungimento di obiettivi precedentemente determinati”98.

Durante il mio percorso didattico ho cercato inizialmente di valutare, con

quesiti o brainstorming, le preconoscenze dei bambini riguardo agli

argomenti di volta in volta analizzati. Ad ogni incontro, poi, ho verificato le

conoscenze apprese tramite domande e quesiti che avevano anche lo scopo

di far sedimentare i contenuti trattati e che hanno rappresentato un

collegamento tra un’attività e l’altra. Le discussioni aperte e il dialogo con i

bambini mi hanno permesso di rivedere, ripensare o riadattare certi

contenuti che ho trattato calibrandoli su di loro, sui loro dubbi e sulle loro

acquisizioni. La verifica finale mi ha permesso di valutare il raggiungimento

degli obiettivi.

98

D. Capperucci, Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare, Milano, Franco Angeli Editore, 2008, p. 80

66

67

Capitolo 3

Il progetto passo per passo

68

69

3.1 Il problema del linguaggio

Trattando argomenti scientifici in classe, si pone il problema del linguaggio.

Ogni disciplina scientifica ha un proprio linguaggio tecnico e specialistico, un

“codice semiologico proprio”. Per quanto riguarda la fisica c’è anche un uso

di scritture specifiche (linguaggio matematico), di espressioni simboliche,

come le formule. Tutto questo produce un grande risultato di concisione e di

precisione, ma la “densità” dell’informazione che ne risulta è notevole. Sia il

codice specifico verbale che quello scritto sono inseriti in frasi che, per il

resto, appartengono alla lingua comune. E qui ci troviamo di fonte al

“paradosso del linguaggio specifico”, per dirla con D’Amore: da una parte

l’insegnamento è comunicazione e uno dei suoi scopi è favorire

l’apprendimento degli allievi (per prima cosa, allora, chi comunica deve far sì

che il linguaggio utilizzato non sia esso stesso fonte di ostacoli alla

comprensione), dall’altra la fisica e le scienze hanno un loro linguaggio

specifico e uno degli obiettivi di chi la insegna è quello di aiutare gli allievi a

far proprio quel linguaggio specialistico99. È vero che non possiamo

appesantire i bambini pretendendo l’immediato utilizzo di tale linguaggio, del

quale forse non capiscono affatto il significato (e quindi, magari, lo utilizzano

a discapito del senso), ma è vero anche che forse possiamo avvicinarli ai

nuovi termini e ai concetti ai quali essi rimandano a piccoli passi, cercando di

spiegare con il linguaggio comune le parole nuove proprie di una determinata

scienza anche se i bambini, all’inizio, durano fatica a comprenderle. Una volta

che l’insegnante è sicuro che il significato profondo sia stato compreso e che

il senso al quale rimanda quella parola non sfugga, può utilizzare, durante le

attività in classe, il linguaggio tecnico in modo che gli allievi si abituino a

correlare quella specificità con gli aspetti concettuali generali delle

conoscenze scientifiche oggetto di insegnamento. Credo che tutto questo 99

Cfr. B. D’Amore, Didattica della matematica, Bologna, Pitagora Editrice, 2001, p. 94.

70

debba essere fatto fin dalla scuola primaria. Durante il mio percorso didattico

ho cercato di utilizzare il più possibile i termini tecnici e specifici e mi sono

resa conto che, in itinere, i bambini hanno cominciato a correlare i termini ai

concetti ai quali essi rimandano: quando facevo domande e aprivo discussioni

sulle tematiche trattate, essi comprendevano appieno ciò che chiedevo. La

difficoltà maggiore era quella di riuscire a utilizzare tale linguaggio per

esprimersi, per verbalizzare un concetto. Il ricorso a termini tecnici o a

formule matematiche è tutt’altro che semplice e spontaneo e la tentazione di

ricorrere al linguaggio comune o a esempi concreti, piuttosto che

all’astrazione, ha caratterizzato un po’ tutti gli incontri. Tale difficoltà è

risultata evidente anche nella verifica finale nella quale è stato chiaro che le

domande chiuse, in cui non è necessario definire i concetti ma è sufficiente

riconoscerli, sono state svolte in modo più corretto. Le domande aperte che

richiedevano, invece, una costruzione sintattica e lessicale ad hoc, hanno

creato maggiori difficoltà e, anche se si capisce che i bambini hanno

compreso i concetti, essi hanno avuto difficoltà a rappresentare verbalmente

la propria conoscenza. Credo, però, che questo faccia parte del percorso. Il

primo obiettivo importante da raggiungere è quello dell’acquisizione dei

concetti, facilitato senza dubbio da una didattica laboratoriale, ma

contemporaneamente un determinato “oggetto di conoscenza” può avere di

mira anche finalità di costruzione di prerequisiti linguistici necessari per il

lavoro scientifico. Infatti il “blocco” espositivo è spesso causato da una

ristretta e limitata possibilità verbale, dalla difficoltà di far uso di una

terminologia propria.

3.2 Prima di partire

Prima di raccontare come si sono svolte le attività con i bambini, vorrei

precisare, per semplificare la comprensione e la lettura del testo, alcuni

71

dettagli di scrittura: ho utilizzato il discorso tra virgolette quando ho riportato

per intero frasi pronunciate da me durante gli incontri in classe, mentre ho

utilizzato il corsivo per indicare frasi e interventi dei bambini.

3.2.1 Incontro 1 - ll metodo sperimentale; introduzione alla meccanica

Il primo incontro è iniziato con una breve introduzione ai bambini sui motivi

della mia presenza nella loro classe, con un abito professionale diverso da

quello con cui erano soliti vedermi. Ho spiegato che oltre a fare il lavoro per il

quale mi conoscono, io frequento l’università per poter un giorno diventare

una maestra brava come le loro. Ho raccontato che alla fine del percorso

universitario è necessario realizzare un lavoro scritto piuttosto articolato su

un tema scelto insieme ad un professore che ci sostiene e ci aiuta, e che io

avevo proposto di fare il mio lavoro nella loro classe, proprio con loro. I

bambini si sono mostrati molto soddisfatti e onorati e si sono dichiarati

disposti ad aiutarmi. Ho spiegato che le attività che avevo in mente di fare

riguardavano la scienza, anzi una scienza in particolare, ma che glielo avrei

svelato in seguito. L’obiettivo del primo incontro, infatti, era quello di

sondare le competenze che i bambini avevano riguardo alla conoscenza

scientifica e introdurre l’argomento del moto, delle sue caratteristiche e della

sua descrizione. Mi hanno risposto che la scienza guarda il mondo che è

intorno a noi e insieme siamo arrivati a dire che osserva e scopre dei

fenomeni. Ho chiesto ai bambini di dirmi il nome di alcune scienze che

conoscevano e sono venuti fuori i seguenti nomi che ho trascritto alla

lavagna:

- geologia

- meteorologia

- biologia

72

- geografia

- chimica

- botanica

- etologia

- antropologia

- archeologia

- paleontologia

- astronomia

- meteorologia

- fisica

- astrofisica

Dunque, compariva anche la fisica. Un passo avanti. Ho detto loro che per

fare il lavoro che ci stavamo accingendo a fare insieme, avremmo dovuto

sentirci tutti un po’ scienziati. E, per entrare meglio nella parte, ho distribuito

dei cartoncini segnaposto colorati sui quali loro hanno scritto il nome “da

scienziato” con il quale hanno deciso di partecipare al lavoro. Nel nuovo

habitus ci siamo addentrati nel metodo che la scienza utilizza per le proprie

indagini. Era un argomento che i bambini avevano già trattato in altre

occasioni con l’insegnante di classe.

“Come funziona questo metodo? Ne sapete qualcosa?”

Gli scienziati si fanno delle domande.

Fanno degli esperimenti, cioè fanno delle prove.

Alla fine delle prove se nessuno l’ha già fatta possono fare la legge scientifica.

Lo scienziato non si arrende e riparte fino ad ottenere il risultato di cui è

soddisfatto.

73

“Bene. Quindi gli scienziati osservano dei fenomeni, si fanno delle domande e

fanno delle ipotesi che devono essere verificate”. E insieme abbiamo

tracciato alla lavagna l’iter che uno scienziato segue durante le sue indagini

sulla natura e sui suoi fenomeni.

Poi sono passata a parlare loro della fisica dicendo che essa, al suo interno,

ha molti ambiti di ricerca. Ne abbiamo elencati alcuni alla lavagna.

La fisica studia le cose che si muovono.

“Bene. Questo ambito della fisica si chiama meccanica. Esso studia il

movimento e l’equilibrio dei corpi. Un altro ambito della fisica che voi

bambini conoscete bene è la termologia. Studia i fenomeni legati alla

temperatura e al calore. Un altro campo della fisica è l’acustica. Cosa studia?”

Il rumore.

74

“Forse è meglio dire che studia il suono, le onde sonore, come esse si

propagano“.

Queste onde si propagano attraverso l’aria.

“Bravo. È proprio così. Un altro ambito di ricerca è l’ottica”

Sì, io lo so, studia l’occhio, la vista.

“Più che altro studia le lenti, i fenomeni della luce. Poi c’è il campo

dell’elettromagnetismo. Vi dice qualcosa?”

Sì, elettricità e magnete. Un magnete è una calamita.

Ho detto ai bambini che di molti fenomeni fisici facciamo esperienza ogni

giorno, anche senza saperlo o rendercene conto. Ho proposto loro degli

esempi che essi hanno inserito nei diversi ambiti di studio. “Quando facciamo

bollire l’acqua per fare la pasta, ci stiamo muovendo nell’ambito…?”

In coro:… della termologia.

“Quando rompiamo una noce con lo schiaccianoci o tiriamo un calcio al

pallone…”

Siamo nel campo della meccanica.

“Quando telefoniamo o accendiamo la lavatrice… “

In coro: elettromagnetismo

“Quando ci facciamo fare delle lenti per gli occhiali…”

Ottica.

“Quando ascoltiamo qualcuno che parla…”

Acustica.

75

Ho detto ai bambini che noi ci saremmo concentrati sulla meccanica, che

studia l’equilibrio e il movimento dei corpi.

Ho affrontato il discorso sullo stretto rapporto che c’è tra le scoperte

scientifiche e le invenzioni tecnologiche che sono state possibili grazie ad

esse. Di come, per esempio, l’invenzione della televisione sia stata resa

possibile perché i fisici hanno scoperto gli elettroni (che formano l’immagine

sullo schermo) e le onde elettromagnetiche (che trasportano i segnali

televisivi); e di come nella vita di tutti i giorni vengono utilizzate le scoperte

scientifiche fatte dagli scienziati di tutti i settori.

Poi sono passata ad affrontare l’argomento focale dell’incontro, ossia il moto

dei corpi. Ho scritto su un grande foglio di carta appeso alla lavagna la

seguente domanda: “che cosa significa che un corpo è in movimento (o in

moto)?”, ho distribuito un foglio bianco ad ogni bambino e ho chiesto di

provare a rispondere alla domanda come potevano, con le conoscenze che

avevano.

Primi commenti: sembra una domanda facile ma quando uno si trova a

doverlo spiegare a parole è difficile. Il mio obiettivo era duplice: da una parte

volevo evidenziare le conoscenze pregresse sull’argomento (anche dal punto

di vista lessicale), dall’altra volevo fornire un momento di riflessione

personale che permettesse ai bambini di elaborare e confrontare con i

compagni le proprie concezioni sul tema trattato.

Ho raccolto le definizioni date e, insieme, abbiamo deciso di raggruppare

quelle che ci sono sembrate simili o comunque riconducibili ad una stessa

conclusione. Diversi bambini hanno collegato il moto allo spostamento. Altri

al movimento del corpo umano, alcuni alla caduta degli oggetti. Per prima

cosa ci siamo detti che in fisica quando si usa il termine “corpo” ci si riferisce

non necessariamente al corpo umano ma anche ad un qualsiasi oggetto, del

quale si possono descrivere certe caratteristiche come il peso

del quale siamo in grado di

dopo ho introdotto i termini

che è in moto, se è fermo si dice che è in

perché è una parola la cui pronuncia non è semplice e

Ho chiesto ai bambini se, secondo loro, era facile stabilire se un corpo è in

moto o in quiete (tutti hanno risposto di sì!) e di provare ad immaginare la

seguente scena: “siete in macchina insieme alla vostra mamma che sta

guidando. Vi state muovendo o siete fermi?”.

In molti: ci stiamo muovendo.

In molti: siamo fermi.

100

Ho preferito non introdurre il concetto di massa. In realtà sostanzialmente diverse: mentre la massa di un corpo è una sua proprietàdalla sua posizione nello spazio e da ogni altra grandezza massa dalla presenza di un campo gravitazionalementre il suo peso varia a seconda del luogo in cu

76

al corpo umano ma anche ad un qualsiasi oggetto, del

quale si possono descrivere certe caratteristiche come il peso100 o il volume e

determinare la posizione o la velocità. Subito

termini fisici appropriati: se un corpo si muove si dice

, se è fermo si dice che è in quiete (e l’ho scritto alla lavagna

perché è una parola la cui pronuncia non è semplice e può indurre in errore).

Ho chiesto ai bambini se, secondo loro, era facile stabilire se un corpo è in

moto o in quiete (tutti hanno risposto di sì!) e di provare ad immaginare la

seguente scena: “siete in macchina insieme alla vostra mamma che sta

guidando. Vi state muovendo o siete fermi?”.

Ho preferito non introdurre il concetto di massa. In realtà peso e massa sono grandezze sostanzialmente diverse: mentre la massa di un corpo è una sua proprietà intrinseca, indipendente dalla sua posizione nello spazio e da ogni altra grandezza fisica, il peso è l'effetto prodotto su tale

campo gravitazionale. Ne risulta che la massa di un corpo è costante, mentre il suo peso varia a seconda del luogo in cui viene misurato

al corpo umano ma anche ad un qualsiasi oggetto, del

o il volume e

e la posizione o la velocità. Subito

: se un corpo si muove si dice

(e l’ho scritto alla lavagna

può indurre in errore).

Ho chiesto ai bambini se, secondo loro, era facile stabilire se un corpo è in

moto o in quiete (tutti hanno risposto di sì!) e di provare ad immaginare la

seguente scena: “siete in macchina insieme alla vostra mamma che sta

peso e massa sono grandezze , indipendente

fisica, il peso è l'effetto prodotto su tale Ne risulta che la massa di un corpo è costante,

77

Ho risposto che avevano ragione tutti perché in realtà, nell’esempio fatto,

erano in quiete rispetto alla macchina sulla quale si stavano muovendo

mentre erano in moto rispetto alla strada che stavano percorrendo. In questo

modo ho introdotto il concetto del riferimento, necessario per definire lo

stato di un corpo. E per essere sicura che avessero capito tutti ho fatto alzare

cinque bambini ai quali ho chiesto di interpretare un ruolo: uno doveva fare il

semaforo, uno doveva interpretare un bambino fermo accanto al semaforo e

gli altri tre erano una bici, una moto e una macchina.

Al mio via i tre mezzi si sono messi in movimento e abbiamo definito insieme

che essi si stavano muovendo rispetto al bambino fermo al semaforo e che,

invece, il semaforo era rimasto in quiete, sempre rispetto al bambino.

Dopodiché abbiamo concluso che un corpo è in moto se cambia la sua

posizione rispetto a quella di altri corpi cui si fa riferimento, mentre si

definisce in quiete se mantiene costante (sempre la stessa) la sua posizione

nel tempo rispetto ad altri corpi cui si fa riferimento. Dopodiché ho chiesto ai

78

bambini di provare ad elencare alcune caratteristiche del moto che potevano

essere importanti per una sua descrizione.

Che si muove verso là.

La strada che fa.

Dove va.

Quanto ci mette.

Ho chiesto se conoscessero il significato del termine traiettoria:

inaspettatamente, questa parola li ha messi in difficoltà. Le risposte sono

state segnate alla lavagna.

È uno spostamento.

È dove vai.

È quando ti muovi.

Le loro idee erano maggiormente legate all’idea dello spostamento piuttosto

che all’idea di percorso seguito. Una traiettoria che conoscevano bene, ho

spiegato, era la scia lasciata in cielo da un aereo. Dopo diversi tentativi di

definizione abbiamo concluso che la traiettoria è la linea immaginaria che

unisce le posizioni successive che un corpo occupa nel tempo.

“Ci sono delle traiettorie che sono ben visibili, come la scia di un aereo o i

solchi lasciati dagli sci di uno sciatore che si muove sulla neve fresca o la linea

che una bici lascia sulla spiaggia, ma molto spesso la traiettoria di un corpo

non è visibile. Per esempio, se io prendo questa biglia e la lascio scorrere sul

pavimento, sareste in grado di dirmi con precisione la traiettoria che essa

segue?”.

79

Sììì.Basta che la guardi con attenzione.

No, di preciso, no.

Più o meno, ma non precisamente.

Allora abbiamo provato, con un piccolo esperimento a rendere visibile la

traiettoria della biglia. Abbiamo preso una bacinella d’acqua, vi abbiamo

aggiunto del colore rosso, vi abbiamo immerso una biglia e poi l’abbiamo

spinta su un foglio di carta appoggiato sul pavimento. Essa ha lasciato

un’impronta, traiettoria del suo moto.

Abbiamo parlato di traiettorie rettilinee e curvilinee.

“Ma cos’è che ci permette di descrivere il moto in modo completo e

preciso?”. Silenzio.

Prima di trovare la risposta, abbiamo fatto un’attività in classe. Ho chiesto a

due bambini di tracciare sul pavimento, con del nastro di carta, due segmenti

80

paralleli lunghi tre metri e distanti 30 cm l’uno dall’altro in modo da rendere

visibile un “corridoio” nel quale far scorrere una palla. Poi ho chiesto ad altri

quattro bambini di aiutarmi. I primi tre avevano il compito di tirare, a turno,

la palla dando il via al momento del lancio e imprimendo sulla palla una forza

sempre maggiore, il quarto bambino invece doveva cronometrare il tempo

che la palla impiegava a percorrere il corridoio, dal momento del via fino

all’istante in cui essa toccava il muro. Abbiamo chiamato i tre percorsi della

palla Moto 1, Moto 2 e Moto 3. E insieme abbiamo creato una tabella alla

lavagna che metteva in corrispondenza lo spazio percorso nei tre Moti

(sempre lo stesso, ossia tre metri) con il tempo che la palla aveva impiegato

per percorrere tale spazio.

In questo modo ci siamo resi conto che due grandezze cui facciamo

riferimento per descrivere il moto di un corpo sono lo spazio (misurato in

metri, chilometri o centimetri, le unità di misura con le quali i bambini hanno

maggiore dimestichezza) che i corpi percorrono e il tempo (misurato in

secondi, minuti, ore) che essi impiegano per percorrerlo. La misura di queste

due grandezze permette di confrontare i risultati ottenuti.

3.2.2 Incontro 2 - Il concetto di velocità attraverso un’esperienza in cortile

L’obiettivo della seconda attività era quello di approfondire le tematiche

trattate nell’incontro precedente in modo che i bambini prendessero

81

familiarità con i concetti di moto, di spazio, di tempo, di traiettoria e con la

terminologia appropriata per descrivere queste grandezze. Per far compiere

l’esperienza del moto in prima persona, ho proposto ai bambini di andare

fuori nel cortile per fare una corsa lungo un percorso definito (da un muro del

cortile fino al muro opposto e ritorno, ossia 31 metri più 31 metri, misurati

insieme a loro utilizzando un flessometro con portata di 5m). Abbiamo così

osservato che la traiettoria che si accingevano a percorrere era una

traiettoria rettilinea, che avrebbero corso in uno spazio di 62 metri e che per

misurare il tempo era necessario uno strumento, nel nostro caso un

cronometro. Ho chiesto ai bambini che cosa avrebbero fatto per ricordare i

tempi di ognuno.

Dobbiamo fare una tabella, come quella che l’altra volta abbiamo fatto alla

lavagna.

Sì, dobbiamo scrivere i nomi dei bambini e accanto a ogni nome il tempo.

“ E lo spazio non lo segniamo da nessuna parte?”.

Sì, ci scriviamo anche quello, tanto è sempre lo stesso, cioè 62.

“Ma secondo voi potremmo confrontare due tempi diversi se lo spazio non

fosse lo stesso?”

Sì, tanto se uno ci mette meno, ci mette meno.

No, perché uno ci può mettere meno perché il suo spazio è più corto.

Sì, oppure uno ha uno spazio lunghissimo da fare, ci credo che ci mette di più.

“Esatto, per poter confrontare il tempo impiegato dai vari bambini è

necessario che lo spazio percorso sia lo stesso, altrimenti è impossibile fare

una comparazione”.

Così, uno alla volta, i bambini hanno

ognuno sono stati annotati sulla tabella che avevano costruito

sono divertiti molto e attraverso un’attività ludica è stato

primi concetti fisici legati al

compito diverso: c’era chi correva, chi dava il via, chi cronometrava, chi

registrava sulla tabella. Terminata l’attività è emersa la competizione e i

bambini hanno voluto sapere chi avesse impiegato meno tempo e quindi chi

si fosse classificato per primo.

Questi i risultati ottenuti.

La loro domanda sul primo classificato mi ha permesso, una volta rientrati in

classe, di introdurre il concetto di velocità.

“Allora, secondo voi, chi è stato il più veloce?”

F.!

82

Così, uno alla volta, i bambini hanno corso nel cortile e i tempi impiegati da

annotati sulla tabella che avevano costruito. I bambini si

sono divertiti molto e attraverso un’attività ludica è stato possibile trattare i

primi concetti fisici legati al moto. I bambini hanno assunto ogni volta un

compito diverso: c’era chi correva, chi dava il via, chi cronometrava, chi

Terminata l’attività è emersa la competizione e i

hanno voluto sapere chi avesse impiegato meno tempo e quindi chi

La loro domanda sul primo classificato mi ha permesso, una volta rientrati in

classe, di introdurre il concetto di velocità.

Allora, secondo voi, chi è stato il più veloce?”

tempi impiegati da

I bambini si

possibile trattare i

bambini hanno assunto ogni volta un

compito diverso: c’era chi correva, chi dava il via, chi cronometrava, chi

Terminata l’attività è emersa la competizione e i

hanno voluto sapere chi avesse impiegato meno tempo e quindi chi

La loro domanda sul primo classificato mi ha permesso, una volta rientrati in

Sì, tanto vince sempre lui!

Dopo qualche riflessione siamo arrivati a definire la velocità come

con cui un corpo cambia posizione nel tempo rispetto a un punto di

riferimento fisso

spazio al tempo. Abbiamo parlato della legge oraria del moto rettilineo

uniforme, cioè la legge che descrive la posizione di un oggetto che si muove

con velocità costante ad ogni istante di tempo,

corpo si muovesse con velocità costante lungo un

velocità si calcolerebbe così:

Abbiamo notato che

la velocità, data dal rapporto di spazio e tempo,

Nel caso della loro corsa, però, si doveva parlare di velocità media, perché

essa cambiava nel tempo, non rimaneva costante

83

Sì, tanto vince sempre lui!

Dopo qualche riflessione siamo arrivati a definire la velocità come

con cui un corpo cambia posizione nel tempo rispetto a un punto di

riferimento fisso. Per definirla, esiste una legge matematica che lega lo

spazio al tempo. Abbiamo parlato della legge oraria del moto rettilineo

, cioè la legge che descrive la posizione di un oggetto che si muove

con velocità costante ad ogni istante di tempo, e abbiamo detto

corpo si muovesse con velocità costante lungo un percorso, il valore della

si calcolerebbe così:

Abbiamo notato che quando lo spazio si misura in metri e il tempo in secondi,

la velocità, data dal rapporto di spazio e tempo, si misura in m/s.

Nel caso della loro corsa, però, si doveva parlare di velocità media, perché

essa cambiava nel tempo, non rimaneva costante per tutto il tragitto

Dopo qualche riflessione siamo arrivati a definire la velocità come la rapidità

con cui un corpo cambia posizione nel tempo rispetto a un punto di

definirla, esiste una legge matematica che lega lo

spazio al tempo. Abbiamo parlato della legge oraria del moto rettilineo

, cioè la legge che descrive la posizione di un oggetto che si muove

mo detto che, se un

percorso, il valore della

lo spazio si misura in metri e il tempo in secondi,

si misura in m/s.

Nel caso della loro corsa, però, si doveva parlare di velocità media, perché

per tutto il tragitto.

84

A quel punto ho chiesto loro se sapevano qualcosa dell’accelerazione.

Vuol dire andare più veloci.

Vuol dire aumentare la velocità.

Vuol dire arrivare a 300 km/h.

“Ci siamo. L’accelerazione riguarda un cambiamento di velocità in un certo

tempo. E possiamo definire l’accelerazione di un corpo come la rapidità con

cui esso cambia velocità nel tempo. Essa descrive come cambiano la velocità

e il movimento del corpo”. Ho lasciato il discorso un po’ in sospeso perché

sapevo che l’avrei ripreso in un incontro successivo. Prima di concludere

l’incontro abbiamo riparlato tutti insieme di che cosa sia la traiettoria di un

corpo, di quali grandezze occorrano per descrivere il moto di un corpo e di

che cosa si intenda per “sistema di riferimento”. Questo perché credo che sia

necessario riprendere spesso i concetti trattati in modo da far familiarizzare i

bambini sia con il lessico specifico sia con l’astrazione alla quale tali concetti

rimandano.

3.2.3 Incontro 3 - Le forze come causa dei cambiamenti di moto: esperienza

sulle forze d’attrito

Per arrivare a sperimentare, per quanto possibile, il primo principio della

dinamica, è stato necessario introdurre il concetto di forza e quello di attrito.

Visto che gli argomenti collegati all’applicazione delle forze sono impegnativi,

ho cercato di limitare la discussione a pochi aspetti, ben individuati e ben

calibrati su situazioni reali conosciute dai bambini, orientando le scelte

didattiche nella direzione del pensiero convergente101 e analitico e del

101

Guilfort distingue il "pensiero convergente" dal "pensiero divergente". Il pensiero convergente, che tende ad identificarsi con il pensiero logico, viene attivato nelle situazioni che permettono un'unica risposta pertinente. Esso, quindi, rimane circoscritto entro i confini del problema e segue le linee interne al problema stesso, aspettando o utilizzando regole già definite e codificate. Esso è

85

pensiero critico. Dopo aver ripreso velocemente (per evitare l’effetto noia) le

idee viste e analizzate nelle attività precedenti (moto, quiete, traiettoria,

velocità, accelerazione), l’incontro è iniziato con la seguente domanda: “cos’è

che, secondo voi, innesca il moto? Cos’è che fa passare un corpo dallo stato

di quiete allo stato di moto?”

La mente.

Con le mani.

Con il corpo.

Con la spostazione del corpo.

Quando ti muovi, prendi l’astuccio e lo butti per terra.

L’astuccio è in quiete e io lo spingo (e gli dà una spinta sul banco).

“Bene, che cosa è intervenuto”?

Le mani.

Il corpo.

“Ma che cosa ha usato F. per far muovere l’astuccio”?

La forza.

“Bravissimi. Quindi per far passare un corpo dallo stato di quiete allo stato di

moto, occorre una forza. Facciamo un esempio pratico”.

caratterizzato dalla ripetizione del già appreso e attivato nelle vecchie risposte. Il pensiero divergente, il quale comprende in sé le componenti cognitive e della creatività, è invece attivato nelle situazioni che permettono più vie di uscita o di sviluppo. Esso pertanto va al di là di ciò che è contenuto nella situazione di partenza, supera la chiusura dei dati del problema, esplora varie direzioni e produce qualcosa di nuovo e di diverso.

86

Ho fatto alzare una bambina che si è posizionata di fronte al suo banco vuoto

e le ho chiesto che cosa avrebbe fatto per mettere in moto il banco. Mi ha

detto che avrebbe dovuto usare le mani e spingere.

“Dunque se spingo, esso si muove. Quando esercito una spinta, si dice che

sto applicando una forza e il punto in cui esercito la forza si chiama punto di

applicazione”.

“Di che tipo è, secondo voi, la forza che ha esercitato E.?”

La forza delle mani.

La forza del corpo.

La forza delle molecole.

La forza muscolosa.

La forza dei muscoli.

87

“Esatto, in questo caso si tratta di una forza muscolare che ha messo in moto

il banco. E se E. non avesse esercitato nessuna forza, cosa sarebbe successo al

banco?”

Sarebbe rimasto fermo.

“Bene. Ma esiste solo la forza di tipo muscolare, che poi è quella che usate

quando tirate un calcio al pallone o spingete una biglia? Quali altri tipi di

forze vi vengono in mente?”

L’aria.

La forza del vento.

“Ecco sì, la forza del vento si chiama eolica ed è quella che permette ad una

barca a vela di procedere (gonfiando la vela) grazie, appunto, alla spinta che

le impartisce”.

Quando c’è un foglio di carta per terra e arriva un colpo di vento, il foglio si

muove.

“Sì, infatti anche quella è forza eolica che fa passare il foglio da uno stato di

quiete ad uno stato di moto”.

“Secondo voi il tram che passa qui vicino alla vostra scuola come si muove”?

Con la forza dell’elettricità.

“Sì perché si muove grazie alla forza elettrica. Un altro tipo di forza che forse

conoscete è quella che una calamita esercita sugli oggetti di ferro che le

stanno intorno. Questi, infatti, si muovono verso la calamita, che li attrae”.

Sì, è la forza attraente.

La forza attirante.

88

“No, si chiama forza magnetica”.

“Le forze di cui abbiamo parlato sono di natura diversa ma tutte causano un

cambiamento di velocità, quindi un’accelerazione”.

“In tutti gli esempi che abbiamo fatto ci sono sempre due oggetti che

interagiscono: la persona/cosa che fa forza e la persona/cosa su cui si fa

forza. Quindi possiamo dire che la forza caratterizza un’interazione, cioè una

situazione in cui ci sono sempre due oggetti tra i quali c’è una forza in

azione”.

“Dunque, abbiamo detto che se esercitiamo una forza un corpo inizia a

muoversi. Pensate per un attimo di andare in bicicletta. Che tipo di forza

muove la bici, tra tutte quelle che abbiamo menzionato”?

Le ruote.

La forza dei piedi, perché se non uso i piedi per pedalare la bici non va.

La forza muscolare delle gambe.

“Bravi. E che cosa succede, secondo voi, se smettete di pedalare”?

Ci fermiamo.

Prima rallentiamo e poi ci fermiamo.

Se sei in una discesa, no.

“Bene. Facciamo un altro esempio. Pensiamo ad una pallina da golf lanciata

con la mazza. La pallina si muove, rotola ma ad un certo punto che cosa le

succede”?

In coro: si ferma.

89

“Perché questi corpi, la bici o la pallina da golf, ad un certo punto si

fermano”?

Perché non hanno più energia.

Perché non hanno più il corpo che la spinge.

Perché non hanno più una forza che li aiuta a muoversi.

“Vi do un aiuto: in realtà è intervenuta un’altra forza che li ha fatti rallentare

e infine li ha fermati”.

L’aria.

“Bene, una è l’aria, perché essa oppone resistenza al movimento di un corpo.

La sua resistenza, ad esempio, rallenta un paracadute o un foglio di carta che

si lascia cadere dall’alto. Ma ce n’è un’altra”.

L’ossigeno.

Il terreno.

“Esatto, la forza che oppone resistenza e che agisce nel verso opposto a

quello del moto del corpo e che lo fa rallentare e poi fermare, si chiama…”

Attrito.

“Bravissimo F.”!

“L’attrito è la forza che si esercita tra due corpi quando cercano di muoversi

strusciando l’uno rispetto all’altro. Esempi di attrito si possono trovare ogni

volta che degli oggetti scivolano o rotolano.

Si cerca sempre di ridurre l’attrito nei macchinari, affinché funzionino meglio.

Per esempio un oggetto scivola meglio se c’è uno strato liquido tra le

superfici che si sfregano. Ecco perché si lubrificano le macchine (l’olio, per

90

esempio, funziona da lubrificante). Ma un po’ d’attrito in molte circostanze è

necessario. Senza di esso ad esempio non potremmo camminare bene: è

grazie all’attrito tra le suole delle scarpe e il terreno, che possiamo muoverci

senza difficoltà. Pensate per un secondo di camminare con le stesse scarpe

sul ghiaccio: camminereste altrettanto bene? “

In coro: Noooo.

Non riusciremmo nemmeno a stare in piedi.

Le scarpe scivolerebbero via.

“Infatti. Anche i calzini antiscivolo che spesso si utilizzano in casa servono ad

aumentare l’attrito (grazie ai pezzettini di gomma posti sotto la pianta) che ci

permette di non scivolare o di scivolare meno.

Secondo voi tutti i tipi di superficie hanno lo stesso attrito”?

No, secondo me, no.

Anche secondo me. Secondo me sulle superfici lisce le cose scivolano meglio.

“E il contrario di liscio è…” ?

Ruvido!

“Ecco, le superfici ruvide fanno più attrito di quelle lisce”.

L’erba fa attrito perché si attacca. Però se caschi non ti fai male.

Secondo me il tappeto fa un sacco di attrito. Perché se sopra ci si lancia un

beiblade (un gioco, una specie di trottolina di plastica con la quale i ragazzi

fanno diversi tipi di gare), si ferma subito, molto prima che sul pavimento.

“Se il beiblade lo faceste girare sul banco”?

Andrebbe velocissimo.

“E sul ghiaccio”?

EHHHH, ancora più veloce.

“Adesso, cari colleghi scienziati, vorrei fare un esperimento insieme a voi.

portato uno scivolo di legno, sul quale far scorrere

mostrato loro un

portato diversi tipi di superfici

ognuna di esse faremo arrivare il disch

stesso punto di partenza

secondo voi, fare questo esperimento?”.

A vedere dove arriva.

A vedere quando il dischetto si ferma prima.

Vedo che differenza c’è tra scivolare sul cartoncino e sul polist

91

Andrebbe velocissimo.

EHHHH, ancora più veloce.

“Adesso, cari colleghi scienziati, vorrei fare un esperimento insieme a voi.

portato uno scivolo di legno, sul quale far scorrere questo dischetto nero

mostrato loro un dischetto di plastica del diametro di 3 cm circa).

portato diversi tipi di superficie che posizioneremo sotto al

ognuna di esse faremo arrivare il dischetto lasciandolo scivolare sempre

di partenza, che ho segnato con il lapis. A cosa ci può servire,

secondo voi, fare questo esperimento?”.

A vedere dove arriva.

A vedere quando il dischetto si ferma prima.

che differenza c’è tra scivolare sul cartoncino e sul polist

“Adesso, cari colleghi scienziati, vorrei fare un esperimento insieme a voi. Ho

questo dischetto nero” (ho

del diametro di 3 cm circa). “Poi ho

che posizioneremo sotto allo scivolo e su

etto lasciandolo scivolare sempre dallo

. A cosa ci può servire,

che differenza c’è tra scivolare sul cartoncino e sul polistirolo.

92

“Sì, e dopo avere verificato il punto in cui si ferma?”.

Capisco che l’attrito è diverso.

Ho mostrato ai bambini le diverse superfici che avevo portato per fare

l’esperimento: un cartoncino bristol, della carta vetrata, un panno, un asse di

legno, un pezzo di polistirolo; come ultima superficie, avremmo utilizzato la

cattedra. Ho congiunto con un foglio di carta lo scivolo con la superficie posta

sotto di esso in modo da eliminare l’angolo vivo che si creava tra scivolo e

appoggio, per rendere la discesa del dischetto più regolare. Poi ho chiesto ai

bambini di fare delle ipotesi su quali sarebbero state, a loro avviso, le

superfici che avrebbero esercitato un maggiore attrito e quindi su quali

superfici il dischetto si sarebbe fermato prima. Ho ricordato che, da bravi

scienziati, dopo avremmo dovuto verificare le ipotesi pensate. Quasi in

accordo totale la lista è stata la seguente:

- carta vetrata

- polistirolo

- panno

- asse di legno

- cartoncino bristol

- cattedra

Dopodiché siamo partiti con il nostro esperimento. Ho chiamato alla cattedra

tre bambini alla volta e ho dato a ciascuno un piccolo compito: uno doveva

occuparsi di lasciar cadere il dischetto dallo scivolo (su ogni superficie,

abbiamo fatto scendere il dischetto ben otto volte, in modo da poter fare una

media delle distanze percorse fino al punto d’arresto e avere così una stima

più attendibile dell’influenza dell’attrito su ciascuna superficie); il secondo

bambino si è occupato di prendere la distanza in cm dalla fine dello scivolo

fino al punto in cui il dischetto si fermava; il terzo ha annotato le distanze su

un foglio. E così abbiamo fatto per ogni superficie di arrivo. “Sapete che cos’è

la media aritmetica?”

Sì, ma non lo so dire.

No.

Come no? Non ti ricordi? Quando ci sono due misure,

divide per due per trovare un valore che sta nel mezzo.

“Esatto, ma la media si può calcolare anche quando si hanno più di due valori,

anche otto, come nel nostro caso. Viene usata per riassumere con un solo

numero un insieme di valori

misurato più volte”.

93

to in cui il dischetto si fermava; il terzo ha annotato le distanze su

un foglio. E così abbiamo fatto per ogni superficie di arrivo. “Sapete che cos’è

la media aritmetica?”

Sì, ma non lo so dire.

Come no? Non ti ricordi? Quando ci sono due misure, si sommano e poi si

divide per due per trovare un valore che sta nel mezzo.

“Esatto, ma la media si può calcolare anche quando si hanno più di due valori,

anche otto, come nel nostro caso. Viene usata per riassumere con un solo

numero un insieme di valori che riguardano una stessa cosa che abbiamo

misurato più volte”.

to in cui il dischetto si fermava; il terzo ha annotato le distanze su

un foglio. E così abbiamo fatto per ogni superficie di arrivo. “Sapete che cos’è

si sommano e poi si

“Esatto, ma la media si può calcolare anche quando si hanno più di due valori,

anche otto, come nel nostro caso. Viene usata per riassumere con un solo

che riguardano una stessa cosa che abbiamo

L’attività è stata dinamica e molto collaborativa, i

con interesse e attenzione per verificare che le ipotesi da cui eravamo partiti

risultassero esatte.

Per i bambini è stato importante seguire passo passo ciò che veniva fatto e

detto e una volta giunti alla cattedra per il loro turno di esperimento,

controllavano la verità e l’attendibilità di tutte le cose discusse insieme ad

alta voce. Del resto, avevano partec

nell’esperienza da fare potevano riconoscere il proprio contributo e quello

dei compagni.

Le numerose “discese” del dischetto, sulle quali operare la media aritmetica,

hanno permesso a tutti i bambini di partecipare

comunque sono sempre state seguite con attenzione tutte le azioni svolte dai

compagni, suggerendo e collaborando per la migliore riuscita

dell’esperimento.

94

L’attività è stata dinamica e molto collaborativa, i bambini hanno partecipato

con interesse e attenzione per verificare che le ipotesi da cui eravamo partiti

mbini è stato importante seguire passo passo ciò che veniva fatto e

detto e una volta giunti alla cattedra per il loro turno di esperimento,

controllavano la verità e l’attendibilità di tutte le cose discusse insieme ad

Del resto, avevano partecipato alla costruzione di conoscenza e

nell’esperienza da fare potevano riconoscere il proprio contributo e quello

Le numerose “discese” del dischetto, sulle quali operare la media aritmetica,

hanno permesso a tutti i bambini di partecipare in prima persona e

comunque sono sempre state seguite con attenzione tutte le azioni svolte dai

compagni, suggerendo e collaborando per la migliore riuscita

bambini hanno partecipato

con interesse e attenzione per verificare che le ipotesi da cui eravamo partiti

mbini è stato importante seguire passo passo ciò che veniva fatto e

detto e una volta giunti alla cattedra per il loro turno di esperimento,

controllavano la verità e l’attendibilità di tutte le cose discusse insieme ad

ipato alla costruzione di conoscenza e

nell’esperienza da fare potevano riconoscere il proprio contributo e quello

Le numerose “discese” del dischetto, sulle quali operare la media aritmetica,

in prima persona e

comunque sono sempre state seguite con attenzione tutte le azioni svolte dai

compagni, suggerendo e collaborando per la migliore riuscita

Una volta eseguito

fatta la media aritmetica, i risultati ottenuti sono stati i seguenti:

95

eseguito l’esperimento su tutte le superfici, effettuate

fatta la media aritmetica, i risultati ottenuti sono stati i seguenti:

effettuate le misure e

fatta la media aritmetica, i risultati ottenuti sono stati i seguenti:

Insieme ai bambini abbiamo osservato e verificato che le ipotesi da loro

pensate erano per lo più giuste, tranne per il polistirolo che, in realtà, ha

mostrato di avere meno attrito d

Subito dopo abbiamo fatto insieme delle considerazioni su quale fosse stata

la superficie che aveva esercitato maggiore attrito e siamo arrivati alla

conclusione che più ruvide e rugose sono le superfici, maggiore risulta

l’attrito che esse esercitano e dunque più rapidamente un oggetto che si

muove su di esse, perde la sua velocità.

Mi sono soffermata sul fatto che le distanze ottenute fino al punto d’arresto

sarebbero state diverse se avessimo lasciato cadere un altro oggetto, con

un'altra forma e dimensione, e che ad occhio nudo le superfici a volte

sembrano più o meno lisce di come sono in realtà. Ho tirato f

ingrandimento e ho chiamato i bambini alla cattedra per vedere “da vicino”

com’era la trama delle superfici sulle quali avevamo lavorato. E anche il

dischetto nero, che ad occhio nudo sembrava perfettamente liscio, in realtà,

aveva una superficie formata da

facevano più attrito, di quello che poteva sembrare a prima vista, con le

superfici di contatto.

96

Insieme ai bambini abbiamo osservato e verificato che le ipotesi da loro

pensate erano per lo più giuste, tranne per il polistirolo che, in realtà, ha

mostrato di avere meno attrito del previsto.

Subito dopo abbiamo fatto insieme delle considerazioni su quale fosse stata

la superficie che aveva esercitato maggiore attrito e siamo arrivati alla

più ruvide e rugose sono le superfici, maggiore risulta

ercitano e dunque più rapidamente un oggetto che si

muove su di esse, perde la sua velocità.

che le distanze ottenute fino al punto d’arresto

sarebbero state diverse se avessimo lasciato cadere un altro oggetto, con

un'altra forma e dimensione, e che ad occhio nudo le superfici a volte

sembrano più o meno lisce di come sono in realtà. Ho tirato fuori una lente di

ingrandimento e ho chiamato i bambini alla cattedra per vedere “da vicino”

com’era la trama delle superfici sulle quali avevamo lavorato. E anche il

che ad occhio nudo sembrava perfettamente liscio, in realtà,

perficie formata da tanti cerchi concentrici che sicuramente

facevano più attrito, di quello che poteva sembrare a prima vista, con le

Insieme ai bambini abbiamo osservato e verificato che le ipotesi da loro

pensate erano per lo più giuste, tranne per il polistirolo che, in realtà, ha

Subito dopo abbiamo fatto insieme delle considerazioni su quale fosse stata

la superficie che aveva esercitato maggiore attrito e siamo arrivati alla

più ruvide e rugose sono le superfici, maggiore risulta

ercitano e dunque più rapidamente un oggetto che si

che le distanze ottenute fino al punto d’arresto

sarebbero state diverse se avessimo lasciato cadere un altro oggetto, con

un'altra forma e dimensione, e che ad occhio nudo le superfici a volte

uori una lente di

ingrandimento e ho chiamato i bambini alla cattedra per vedere “da vicino”

com’era la trama delle superfici sulle quali avevamo lavorato. E anche il

che ad occhio nudo sembrava perfettamente liscio, in realtà,

cerchi concentrici che sicuramente

facevano più attrito, di quello che poteva sembrare a prima vista, con le

97

3.2.4 Incontro 4 - Approfondimenti sulle forze e introduzione alla prima

legge di Newton

In questa attività abbiamo approfondito il concetto di forza, toccando altri

aspetti che non avevamo considerato nel precedente incontro, per arrivare a

definire quale potrebbe essere il moto di un corpo se non intervenissero su di

esso delle forze.

“ Vi ricordate che l’ultima volta abbiamo parlato di ciò che mette in moto un

corpo?”

Sì, la forza dei muscoli.

“Non solo.”

La forza del vento, quella elettrica.

“Sì, e poi altri tipi di forze ancora. Ma proviamo a definire una forza. Cosa

faceva l’altra volta E. per far muovere il banco?”

In coro: lo spingeva

“Bene. Quindi una forza può essere una spinta. Ma come avrebbe potuto

anche farlo muovere?”

Tirandolo.

“Infatti. È una spinta o una trazione che mette un corpo in movimento. E

basta? Può avere solo questi effetti?”

No, lo può anche lanciare.

“Sì, ma anche in quel caso lo mette in moto. Dalla quiete lo porta in uno stato

di moto”.

Può anche fermarlo. Se io stoppo il pallone da calcio.

98

“Ok, bravo L.! Mancano ancora un paio di cose. La forza può anche cambiare

la direzione del movimento di un corpo”.

Sì, come quando il portiere cerca di deviare la palla per non far fare un goal.

O quando l’altro giorno in giardino mentre giocavamo a palla avvelenata, il

vento faceva cambiare la direzione della palla.

“Bravi. Ma una forza può anche cambiare la forma di un corpo. Adesso

facciamo delle prove per vedere insieme tutti gli effetti che una forza può

avere su di esso”.

Ho chiamato a turno dei bambini per verificare, con una pallina di

gommapiuma, le cose di cui avevamo parlato fino a quel momento. Abbiamo

verificato che una forza, mediante una spinta, mette in moto un corpo,

può fermarlo,

può far cambiare la direzione del suo moto,

99

può far cambiare la direzione del suo moto,

100

può cambiare la sua forma.

“Poi, però, la volta scorsa, abbiamo detto che quando un corpo è in

movimento ad un certo punto si ferma. Perché? Chi è intervenuto?”

L’attrito.

“Bene. E che cosa avevamo detto dell’attrito?”

Che se un corpo si muove su una superficie più liscia, l’attrito è meno.

E che se c’è meno attrito il corpo va più avanti.

“Esatto. Minore è l’attrito, maggiore sarà lo spazio percorso dal corpo prima

che esso si fermi”.

Abbiamo ripensato insieme a quello che avevamo detto circa un corpo che si

muove sul ghiaccio, ossia che esso troverà poco attrito perché la superficie è

molto liscia. A questo proposito, ho parlato loro di un gioco che si trova

spesso al luna-park: si svolge su un tavolo e lo scopo è quello di fare goal

nella rete dell’avversario, che si trova sul lato opposto, spingendo un

dischetto che si muove sulla superficie del tavolo.

101

Ah, sì, quello che scorre sull’aria?

Sull’aria?

Sì, ci sono dei buchini sul tavolo, dai quali esce l’aria e il dischetto si muove

sull’aria.

E il dischetto va velocissimo.

“Sì, proprio quelli. E sapete perché il dischetto scorre così bene?”

Perché sotto c’è l’aria.

“Sì, l’aria sulla quale il dischetto si muove elimina l’attrito che si crea tra il

dischetto e la superficie di appoggio. Se voi immaginate un tavolo di questo

tipo molto molto lungo e pensate di dare una spinta al dischetto, esso si

muoverebbe senza strusciare sul tavolo (venendo cioè frenato soltanto dalla

resistenza dell’aria) e vedreste che continuerebbe il suo moto per molto

tempo, sempre con la stessa velocità”. Ho detto loro che se fosse possibile far

muovere un corpo in totale assenza di attrito, esso si muoverebbe di moto

rettilineo uniforme, cioè su di una retta, mantenendo sempre la stessa

velocità.

Gli occhi erano increduli. E il silenzio parlava chiaro.

Cioè non si fermerebbe?

Mai mai mai?

“No, non si fermerebbe. Basterebbe una piccola spinta per farlo procedere in

avanti sempre con la stessa velocità e non si fermerebbe mai. Facciamo una

prova?”.

Sìììììììììì.

E come si fa?

Mica abbiamo il gioco del luna

Ho detto loro che avevo prepar

accanto perché in essa si trovava una cattedra senza scalfitture e incisioni,

molto meno danneggiata di quella presente in classe.

borsa gli oggetti che mi servivano per fare l’esperiment

sulla cattedra.

Ho chiesto a che cosa, secondo loro, potevano servire.

Allora, tu gonfi il palloncino e lo metti nel cilindro

“Sì, e poi?”

Poi, boh…

Intanto toccavano e guardavano tutti i pezzi.

102

Mica abbiamo il gioco del luna-park…

Ho detto loro che avevo preparato una sorpresa. Ci siamo spostati nell’aula

accanto perché in essa si trovava una cattedra senza scalfitture e incisioni,

molto meno danneggiata di quella presente in classe. Ho tirato fuori dalla

borsa gli oggetti che mi servivano per fare l’esperimento e li ho appoggiati

Ho chiesto a che cosa, secondo loro, potevano servire.

Allora, tu gonfi il palloncino e lo metti nel cilindro.

Intanto toccavano e guardavano tutti i pezzi.

Ci siamo spostati nell’aula

accanto perché in essa si trovava una cattedra senza scalfitture e incisioni,

Ho tirato fuori dalla

o e li ho appoggiati

103

Poi fai uscire l’aria.

“Sì, e a che cosa servirebbe questo dischetto di metallo?”

Io lo so. Tu attacchi il palloncino al cilindro e poi alla base rotonda e poi esce

l’aria dal palloncino.

“E da dove esce?”

Ci fai domande troppo difficili.

Un bambino ha alzato il dischetto di metallo e si è accorto che alla base c’era

un piccolo foro dal quale sarebbe potuta uscire l’aria.

Da qui.

Sì, è vero, c’è un buchino.

“E questo per fare cosa?”

104

Per non fare toccare la cattedra.

Per far scorrere il dischetto sull’aria, così come nel giochino del luna-park.

Ho detto loro che erano stati molto bravi ed intuitivi e che avremmo fatto

l’esperimento per vedere come sarebbe stato il moto del dischetto sulla

superficie della cattedra una volta che il dischetto si fosse mosso su un

cuscinetto d’aria invece che appoggiato direttamente sulla superficie. Ho

ribadito che non era possibile farlo in assenza totale di attrito perché

comunque l’aria esercitava resistenza contro il moto del corpo e che per farlo

in maniera perfetta avremmo dovuto farlo nel vuoto, cosa per noi

impossibile. Per prima cosa abbiamo lasciato scorrere il dischetto (senza il

cuscinetto d’aria) sulla superficie della cattedra, imprimendogli delle piccole

spinte. Esso si è mosso a stento e con difficoltà e si è fermato quasi subito.

Poi ho chiesto ai bambini di sistemarsi intorno alla cattedra spiegando che

avrebbero dovuto di nuovo esercitare una piccola spinta sul dischetto quando

si fosse avvicinato, in modo da non farlo cadere dalla cattedra ed aiutarlo a

continuare il suo moto. Poi ho gonfiato il palloncino e sotto gli occhi stupiti di

tutti ho esercitato una piccola spinta e il dischetto ha cominciato a muoversi

lentamente ma con velocità costante, senza fermarsi. I bambini hanno voluto

provare più e più volte, impressionati dalla diversità di conseguenze (il moto

senza impedimenti rispetto a quello difficoltoso e frenato) che una stessa

causa (una piccola spinta) poteva provocare.

105

106

I bambini hanno voluto provare a gonfiare i palloncini per rifare

l’esperimento e ne ho distribuiti alcuni che avevo portato apposta per loro.

L’esperimento è riuscito molto bene e i bambini hanno continuato a mostrare

stupore nel vedere quale potesse essere il moto di un corpo in assenza,

anche se non totale, di attrito e nell’immaginare quel moto all’infinito. Hanno

voluto provare tutti a imprimere delle spinte, diverse volte. Erano contenti e

mi hanno chiesto se avrei fatto provare loro altre cose, se avremmo fatto

insieme altri esperimenti.

3.2.5 Incontro 5 - Il moto accelerato e la caduta dei gravi: costruzione di un

paracadute artigianale

L’obiettivo del quinto incontro era quello di parlare della gravità e della

resistenza dell’aria sulla caduta dei corpi, per arrivare successivamente a

definire il moto dei gravi in caduta libera. L’incontro è iniziato, come sempre,

con una domanda che collegava la conoscenza da acquisire con gli argomenti

affrontati nelle volte precedenti. Ho chiesto ai bambini cosa sarebbe

accaduto ad un oggetto che tenevano in mano, se lo avessero lasciato. Sono

stati tutti concordi nel dire che sarebbe caduto a terra.

“Giusto. Ma allora esso passa dalla quiete (perché lo tenete voi fermo in

mano) al moto (perché per arrivare a terra si muove). E cos’è che, abbiamo

107

detto, fa cambiare lo stato di un corpo? Cos’è che lo fa passare dalla quiete al

moto?”

Un piccolo gruppo: una forza.

“Bene. Quindi vuol dire che è intervenuta una forza. Che tipo di forza

interviene, secondo voi?”

L’aria.

La forza dei muscoli perché lo faccio cascare.

La gravità.

“Sul corpo è intervenuta la forza di attrazione che la Terra esercita su di esso

e si chiama forza peso. Più in generale possiamo dire che la forza peso è la

forza di attrazione esercitata dalla Terra su tutti i corpi che si trovano nelle

sue vicinanze. Vi ricordate che abbiamo detto che la forza caratterizza

l’interazione tra due oggetti? Ecco, la forza-peso caratterizza l’interazione tra

la Terra e gli oggetti che le stanno vicino”.

Sennò anche noi si volerebbe per l’aria.

“Sì, se non ci fosse non saremmo attratti sulla Terra, ben saldi al suolo”.

A questo punto ho disegnato alla lavagna tre cerchi che, ho detto,

rappresentavano la Terra. Ho chiamato una bambina alla lavagna e le ho

chiesto di indicare su di essi la posizione che avrebbero avuto, a suo avviso,

tre bambini che vivevano rispettivamente al Polo Nord, al Polo Sud e

all’equatore. Il disegno fatto ha mostrato che le cose non erano chiare per

tutti.

Ho chiesto al resto della classe se fosse

non si sono espressi, chiaramente conf

disaccordo perché V. aveva disegnato un bambino con il corpo all’inte

della Terra. Un compagno ha chiesto di poter venire alla lavagna a correggere

quanto fatto. E il disegno che è venuto fuori

apportata una modifica soltanto al bambino

108

al resto della classe se fosse d’accordo con il disegno fatto e, molti

no espressi, chiaramente confusi; molti si sono mostrati in

disaccordo perché V. aveva disegnato un bambino con il corpo all’inte

. Un compagno ha chiesto di poter venire alla lavagna a correggere

quanto fatto. E il disegno che è venuto fuori è quello sottostante. È stata

apportata una modifica soltanto al bambino situato al Polo Sud.

d’accordo con il disegno fatto e, molti

molti si sono mostrati in

disaccordo perché V. aveva disegnato un bambino con il corpo all’interno

. Un compagno ha chiesto di poter venire alla lavagna a correggere

È stata

109

“Qualcuno ha qualcosa da aggiungere o da correggere?”.

Solo tre bambini hanno affermato che loro avrebbero disegnato il bambino

all’equatore in un altro modo e si sono alzati per andare alla lavagna a

modificare il disegno.

“Adesso ci siamo. Avete capito tutti? Vi torna?”

Ma se quell’omino al Polo Sud parte e fa il giro?

“Farà il giro del globo terrestre ma sempre con i piedi ancorati al suolo”.

Ma al Polo Nord si trova meglio che al Polo Sud e all’equatore, perché il

sangue non gli va alla testa.

“Lui sta sempre bene, come noi adesso. Sta sempre nello stesso modo, con i

piedi in basso e la testa in alto. Perché noi siamo vincolati, come dicevamo

prima, alla superficie terrestre a meno di non essere sottoposti ad una forza

che ci permetta di sfuggire all’influenza del nostro pianeta”.

110

Infine ho chiamato un altro bambino e gli ho chiesto di disegnare con una

freccia in quale modo sarebbe caduto un sasso (in rosso nel disegno) dalle

mani dei tre bambini. Il primo disegno è stato questo:

Ma in molti hanno chiesto di poterlo correggere e quindi insieme abbiamo

concluso che la direzione della forza peso è sempre una retta che unisce

l’oggetto al centro della Terra e il verso della forza punta al centro della Terra

perché la forza con cui lo attrae è verso di essa.

111

E che quindi la stessa sensazione di stare in piedi, ben saldo al suolo, ce l’ha

chiunque viva nel globo terrestre. Anche chi si trova nell’emisfero opposto al

nostro, quello australe, non ha la sensazione di stare a testa in giù. I suoi piedi

sono appoggiati al suolo, come i nostri.

“E questo perché tutto l’universo è regolato da una forza, che agisce tra tutti i

corpi, detta forza gravitazionale”. Ma allora perché, ci siamo chiesti, non si

vede l’attrazione esercitata da un quaderno o da un essere umano? E insieme

siamo arrivati a dire che la forza di gravità esercitata dalla Terra è molte volte

più grande di quella esercitata da un quaderno o da una persona e pertanto

queste ultime sono assolutamente trascurabili. Il concetto non era semplice

ma, in linea di massima, mi è sembrato che i bambini fossero riusciti a

seguirlo.

Abbiamo quindi deciso di provare ad eseguire un esperimento per descrivere

e cercare di capire ciò che avviene ad un oggetto che cade. Ho fatto alzare un

bambino e gli ho chiesto di lasciar cadere dalla stessa altezza un foglio di

carta e una gomma per cancellare, tenuti rispettivamente nelle mani destra e

sinistra.

“Quale oggetto, secondo voi, cadrà a terra per primo?”.

In coro: la gomma!

“E perché?”.

Perché pesa di più.

“Ok, vediamo”.

J. ha lasciato cadere i due oggetti e, in effetti, la gomma è caduta a terra per

prima.

Poi ho preso due fogli, ho chiesto loro

stesso peso. Tutti hanno risposto affermativamente. Allora ne ho

accartocciato uno e ho chiesto ad un altro bambino di lasciar cadere dalla

stessa altezza i due fogli, uno aperto e l’altro accartocciato.

“E adesso quale cadrà a terra per primo?”.

In coro: quello accartocciatooo.

“E come mai?”.

Erano tutti concordi nel dire che sarebbe arrivato prima a terra il foglio

accartocciato ma le ragioni di ciò non erano in grado di trovarle.

Qualche timida voce: perché pesa di p

Ma mentre lo dicevano si rendevano conto che il peso era lo stesso, come

loro stessi avevano affermato pochi attimi prima.

112

Poi ho preso due fogli, ho chiesto loro se fossero identici e se avessero lo

stesso peso. Tutti hanno risposto affermativamente. Allora ne ho

accartocciato uno e ho chiesto ad un altro bambino di lasciar cadere dalla

stessa altezza i due fogli, uno aperto e l’altro accartocciato.

cadrà a terra per primo?”.

oo.

Erano tutti concordi nel dire che sarebbe arrivato prima a terra il foglio

accartocciato ma le ragioni di ciò non erano in grado di trovarle.

perché pesa di più.

a mentre lo dicevano si rendevano conto che il peso era lo stesso, come

loro stessi avevano affermato pochi attimi prima.

se fossero identici e se avessero lo

stesso peso. Tutti hanno risposto affermativamente. Allora ne ho

accartocciato uno e ho chiesto ad un altro bambino di lasciar cadere dalla

Erano tutti concordi nel dire che sarebbe arrivato prima a terra il foglio

a mentre lo dicevano si rendevano conto che il peso era lo stesso, come

113

In effetti quello accartocciato non può pesare di più perché è lo stesso foglio!

È vero.

Sì, hai ragione.

Poi hanno iniziato ad ipotizzare le cause dell’attrito ma senza saper bene

spiegare come mai su un corpo l’aria facesse maggiore attrito che sull’altro

corpo.

Alla fine sono arrivate le soluzioni adeguate:

Dipende dal contorno.

Dipende dal fatto che il foglio aperto è più grande.

Dipende dalla forma.

“Quindi a seconda della forma e delle dimensioni del corpo che cade, la

resistenza dell’aria sarà diversa. Cioè più grande e ampia è la superficie a

contatto con l’aria, maggiore sarà la forza di attrito che essa esercita

sull’oggetto”.

Quindi ho appoggiato lo stesso foglio aperto su un libro e ho chiesto ai

bambini come, secondo loro, sarebbero caduti il libro e il foglio.

Il libro cade velocemente, il foglio si stacca e cade lentamente.

Sì, anche secondo me.

Il foglio cade più piano. Se il foglio stava sotto, cadeva insieme al quaderno.

Il foglio si stacca, rimane indietro e cade lentamente.

Il foglio vola via, ci resta poco sopra al quaderno.

114

Il libro cade velocemente, il foglio si stacca e cade lentamente.

Il foglio cade più piano. Se il foglio stava sotto, cadeva insieme al quaderno.

Il foglio si stacca, rimane indietro e cade lentamente.

Il foglio vola via, ci resta poco sopra al quaderno.

Il foglio cade più piano. Se il foglio stava sotto, cadeva insieme al quaderno.

Il libro cade molto prima.

Ma, una volta lasciati

stavano così.

Sono caduti insieme!!

Non si è staccato!!!

Ci credo, sul libro c’era la copertina di plastica trasparente e il foglio è rimasto

appiccicato!

Proviamo con questo quaderno.

115

Il libro cade molto prima.

Ma, una volta lasciati cadere i due oggetti, si sono resi conto che le cose non

Sono caduti insieme!!

Non si è staccato!!!

sul libro c’era la copertina di plastica trasparente e il foglio è rimasto

Proviamo con questo quaderno.

, si sono resi conto che le cose non

sul libro c’era la copertina di plastica trasparente e il foglio è rimasto

116

Abbiamo fatto la prova con un altro quaderno, senza copertina di plastica.

Era buffo come i bambini non credessero a quello che avevano visto. Erano

talmente convinti che sarebbe successa un’altra cosa, che non si arrendevano

all’evidenza.

In realtà il foglio rimane attaccato al libro e cadono a terra nello stesso

istante. I bambini sono rimasti sorpresi. Poi è stato il momento delle

spiegazioni.

“Perché secondo voi è successo questo? Perché il foglio non è caduto a terra

lentamente come è successo prima?”

Qualche tentativo sbagliato: per la forza di gravità.

Perché l’aria ha esercitato la forza peso.

“Cos’è che faceva cadere lentamente il foglio, prima?”

L’aria.

“Esatto. E adesso c’era l’aria sotto al foglio?”

Qualche attimo di silenzio.

“Voglio dire, il foglio nel suo lato inferiore, era a contatto con l’aria, come

prima?”.

No, perché c’era il libro sotto.

“Appunto. Quindi l’aria non ha potuto esercitare resistenza sul foglio. L’ha

esercitata sul libro, con il quale era a contatto diretto ma non sul foglio.

Pertanto il foglio è caduto con lo stesso moto del corpo sul quale si trovava”.

“Vi viene in mente un esempio di un oggetto, che avete visto tante volte, che

cade dall’alto, sul quale l’aria fa molta resistenza?”

117

L’aquilone.

Il paracadute!

“Bene. Avete voglia di costruire un paracadute, così sperimentiamo la

resistenza che l’aria esercita su di esso?”

Sììììììììììììììììì!

Facendomi aiutare da alcuni bambini ho distribuito il materiale (ad ognuno il

proprio) che avevo portato per la costruzione del paracadute. Un pezzo di

nylon sul quale i bambini hanno disegnato e poi ritagliato un quadrato di lato

30 cm;

un pezzo di spago lungo un metro che i bambini hanno tagliato in quattro

pezzi uguali da 25 cm l’uno; la metà di una molletta da panni, di legno, che i

bambini hanno decorato a piacimento e che rappresentava il paracadutista;

della pasta da modellare color

casco del paracadutista ma che in realtà serviva per tenere uniti i 4 pezzi di

spago con la molletta. E poi, al lavoro!

Una volta tagliato il quadrato di nylon e i quattro pezzetti di spago, i bambini

dovevano attaccare un pezzetto di spago ad ogni angolo del quadrato.

con la pasta da modellare dovevano attaccare i

rimasti liberi, uniti tra loro, alla molletta decorata.

118

della pasta da modellare colorata che, simbolicamente, rappresentava il

casco del paracadutista ma che in realtà serviva per tenere uniti i 4 pezzi di

spago con la molletta. E poi, al lavoro!

Una volta tagliato il quadrato di nylon e i quattro pezzetti di spago, i bambini

taccare un pezzetto di spago ad ogni angolo del quadrato.

modellare dovevano attaccare i quattro lembi dello spago

, uniti tra loro, alla molletta decorata.

ata che, simbolicamente, rappresentava il

casco del paracadutista ma che in realtà serviva per tenere uniti i 4 pezzi di

Una volta tagliato il quadrato di nylon e i quattro pezzetti di spago, i bambini

taccare un pezzetto di spago ad ogni angolo del quadrato. Infine

lembi dello spago

119

E poi, per la gioia di tutti, il risultato finale! Grandi lanci e anche un po’ di

confusione, di quella sana, però…

A questo punto è stato chiaro a tutti il significato di “resistenza dell’aria”.

Poi ho parlato ai bambini dell’esperimento che Galileo fece lasciando cadere

dalla torre di Pisa due sfere di metallo, una piena e una vuota, lasciando

120

attoniti tutti i presenti. Prima di andare avanti nel racconto ho proposto di

fare un altro esperimento. Avevo portato a scuola due bottigliette d’acqua da

mezzo litro, identiche. Una, però, era vuota, l’altra quasi completamente

piena. Le ho fatte girare tra i banchi per essere certa che tutti potessero

verificare quanto avevo detto. Sono salita su una sedia e ho chiesto ai

bambini quale delle due bottigliette, secondo loro, sarebbe arrivata a terra

per prima una volta che le avessi lasciate andare.

In coro hanno risposto che sarebbe arrivata prima quella piena, perché più

pesante. Le ho lasciate andare e il fatto che le due bottigliette toccassero

terra esattamente nello stesso momento ha lasciato tutti a bocca aperta.

121

Rifacciamolo!

Sì, dai, facciamo un’altra prova.

Ancora non ci credo.

Ma com’è possibile?

Tu hai un trucco.

Abbiamo ripetuto l’esperimento per tre o quattro volte perché sembrava che

i bambini non volessero arrendersi all’evidenza. Poi siamo passati alle

spiegazioni. Abbiamo ricordato tutti insieme che nella caduta di un corpo

intervengono alcuni fattori, come la resistenza dell’aria, e abbiamo ricordato

come questa resistenza fosse diversa sulla superficie del foglio aperto e su

quella del foglio appallottolato. Abbiamo detto nuovamente che la resistenza

dell’aria dipende dalla forma del corpo che cade ed era per quel motivo che

avevo portato due bottigliette identiche, in modo che la resistenza fosse la

stessa su entrambi i corpi in caduta. Poi ho precisato che tutti gli oggetti che

vengono lasciati liberi di cadere a terra, come ha scoperto Galileo circa

quattrocento anni fa, sono sottoposti ad un aumento costante di velocità,

cioè ad un’accelerazione costante. Gli scienziati hanno così misurato questa

accelerazione e hanno compreso che la velocità dei corpi che cadono

aumenta di circa 36 km/h per ogni secondo che trascorre,

indipendentemente dal loro peso. Se quindi due oggetti iniziano a cadere con

la stessa velocità (che nel nostro caso è nulla perché sono inizialmente fermi)

e la loro velocità aumenta della stessa quantità ad intervalli di tempo

regolari, essi cadranno a terra contemporaneamente, ammesso che non ci

siano altri effetti diversi dalla forza di gravità terrestre che agiscano in modo

diverso sui due oggetti.

“Che cosa significa, secondo voi, creare il vuoto in questa stanza?”

122

Che si svuota la stanza.

Che togliamo tutto.

Che non rimane niente.

“Creare il vuoto in un contenitore, ad esempio, significa riuscire a togliere

tutta l’aria che esso contiene. Allo stesso modo, creare il vuoto in questa

stanza significherebbe togliere tutta l’aria che essa contiene”.

Ma poi muoriamo.

“Sì, in effetti se ci riuscissimo, non potremmo stare più qui dentro perché noi

abbiamo bisogno dell’ossigeno, che è contenuto nell’aria. Ma prendiamo

l’esempio di un contenitore: se noi riuscissimo a togliere l’aria, e gli scienziati

per i loro esperimenti sono in grado di farlo, e lasciassimo cadere una piuma

e una sfera di metallo, esse cadrebbero contemporaneamente perché l’aria

su questi due corpi non potrebbe esercitare nessuna resistenza (non c’è aria

nel contenitore!). Per questo motivo i due corpi arriverebbero a terra nello

stesso istante. Questi esperimenti hanno confermato le ipotesi di Galileo sulla

caduta dei corpi”.

3.2.6 Incontro 6 - Approfondimento sul moto accelerato: l’esperienza

galileiana del piano inclinato

L’obiettivo dell’incontro era di far capire ai bambini come Galileo fosse

arrivato a studiare il moto dei corpi in caduta libera: avendo difficoltà a

esaminarlo e misurarlo (perché troppo veloce), egli fece degli esperimenti su

un piano inclinato e scoprì il moto accelerato.

L’incontro è iniziato riprendendo il concetto di moto rettilineo uniforme del

quale avevamo già discusso durante le attività all’inizio del percorso

didattico. I bambini, però, non erano in grado di darne una definizione. Allora

123

abbiamo analizzato insieme parola per parola. Moto: significa corpo in

movimento, rettilineo: che si muove su una retta, uniforme: ha destato

diverse perplessità. Qualcuno, scomponendo la parola, ha detto che si

trattava di una forma. Piano piano siamo arrivati a spiegare che questa parola

si riferiva a qualcosa di costante, sempre uguale.

“Cos’è che è costante nel moto rettilineo uniforme? Ve lo ricordate”?

La velocità.

Sì, è vero, la velocità.

Sì, è sempre la stessa.

Abbiamo disegnato alla lavagna una macchina che si muoveva, di moto

rettilineo uniforme, su una retta e che percorreva la strada a 30 km/h. E ci

siamo soffermati sul fatto che in qualsiasi punto la considerassimo (A, B, C,

nel disegno), essa si muoveva sempre con la stessa velocità. Poi ho posto loro

un quesito: “Se per arrivare da un punto A ad un punto B una macchina, che

si muove di moto rettilineo uniforme, impiega 4 ore, quanto tempo

impiegherà per arrivare da A a C (con C posto a metà della distanza

precedente)?”

124

Tutti in coro hanno riposto che avrebbe impiegato 2 ore.

“E per arrivare da A a D (con D posto a un quarto della distanza iniziale)?”

Di nuovo coralmente hanno risposto che avrebbe impiegato un’ora.

Il concetto perciò era chiaro. A quel punto ho detto loro che avremmo fatto

un esperimento, lo stesso che Galileo aveva fatto molti anni prima e che gli

aveva permesso di scoprire delle cose molto interessanti sul moto dei corpi.

Avevo portato in classe, non senza qualche difficoltà, un piano inclinato

costituito da una canaletta metallica con sezione a U di lunghezza " = 3m,

una sfera di metallo da far rotolare lungo il piano, un cronometro, un metro.

Le dimensioni della sfera erano un po’ maggiori della larghezza della

canaletta e quindi la sfera poteva rotolare appoggiandosi sui bordi della guida

metallica. Ho chiamato tre bambini ad aiutarmi, stando attenta a rispettare

una certa omogeneità e un certo ordine nello scegliere gli aiutanti per le varie

attività, visto che tutti hanno sempre mostrato il desiderio di partecipare in

prima persona con molto entusiasmo, e abbiamo iniziato il nostro

esperimento. La prima volta abbiamo posto il piano con un’estremità a terra

l’altra ad un’altezza di 22 cm, appoggiata su alcune scatole.

125

Un bambino aveva il compito di misurare tale altezza, un altro di lasciar

rotolare la sfera, un altro di prendere il tempo che la sfera impiegava a

percorrere la distanza per intero, ossia 3 metri. Poi, cambiando gli aiutanti,

abbiamo ripetuto l’esperimento lasciando rotolare la sfera a partire dalla

metà del piano inclinato, in modo che percorresse una distanza di 1,5 metri.

Prima di lasciare andare la sfera, ho chiesto ai bambini quanto tempo,

secondo loro, avrebbe impiegato per percorrere tale distanza. Erano tutti

concordi nel dire che avrebbe impiegato la metà del tempo

prova precedente, quando la sferetta doveva percorrere una distanza di

metri. Il risultato li ha lasciati stupiti

andati avanti e abbiamo ripetuto la prova lasciando

volta, per un tratto di 0,75 metri, ossia un quarto della distanza iniziale.

Abbiamo trascritto i risultati su una tabella e abbiamo fatto le nostre

considerazioni. Per impiegare

percorre un quarto della distanza e non la metà, come

rettilineo uniforme.

126

secondo loro, avrebbe impiegato per percorrere tale distanza. Erano tutti

concordi nel dire che avrebbe impiegato la metà del tempo richiesto per

quando la sferetta doveva percorrere una distanza di

metri. Il risultato li ha lasciati stupiti, perché non è stato così. Ma siamo

andati avanti e abbiamo ripetuto la prova lasciando scendere la sfera, questa

0,75 metri, ossia un quarto della distanza iniziale.

Abbiamo trascritto i risultati su una tabella e abbiamo fatto le nostre

impiegare circa la metà del tempo, la sfera doveva

percorre un quarto della distanza e non la metà, come accade nel moto

secondo loro, avrebbe impiegato per percorrere tale distanza. Erano tutti

richiesto per la

quando la sferetta doveva percorrere una distanza di tre

. Ma siamo

la sfera, questa

0,75 metri, ossia un quarto della distanza iniziale.

Abbiamo trascritto i risultati su una tabella e abbiamo fatto le nostre

circa la metà del tempo, la sfera doveva

accade nel moto

127

Questo nuovo tipo di moto avviene con accelerazione costante e viene

chiamato moto uniformemente accelerato; la velocità della sfera non è

sempre la stessa durante il tragitto lungo il piano inclinato, ma aumenta in

modo costante; la legge matematica che descrive questo moto è complessa e

ho ritenuto che non fosse il caso di affrontarla con i bambini. Abbiamo

ripetuto che l’accelerazione di un oggetto si riferisce alla rapidità con la quale

l’oggetto cambia la sua velocità.

Ho raccontato ai bambini che fino a che Galileo non aveva effettuato i suoi

esperimenti ed era arrivato a conclusioni rilevanti e innovative (come la

definizione e lo studio di questo tipo di moto), gli scienziati ritenevano che

fosse vero tutto ciò che aveva detto e scritto Aristotele nel 300 a. C..

Ho raccontato ai bambini che con l’esperimento del piano inclinato Galileo

aveva concentrato l’attenzione, appunto, sull’accelerazione, un livello del

moto ignorato da Aristotele: il moto di un corpo che scende su un piano

128

inclinato accelera, cioè varia la sua velocità. Ma Galileo con i suoi esperimenti

si accorse che la sfera accelerava in modo costante a ogni unità di tempo

qualunque fosse l’inclinazione del piano e ho detto ai bambini che questo

moto prende il nome di moto uniformemente accelerato. Di nuovo ho

disegnato un’automobile alla lavagna che si muoveva su un tratto rettilineo di

moto uniformemente accelerato e abbiamo indicato le varie velocità ai tempi

�, �, #, $ considerando un’accelerazione costante di 15 km/(h·s),

corrispondente all’accelerazione di un’automobile che ad ogni secondo

trascorso aumenta la sua velocità di 15 km/h. Abbiamo fatto i calcoli insieme,

a voce.

C’era qualcuno che non aveva capito del tutto.

Ma come fate a calcolarlo?

E’ facile. Se l’accelerazione è sempre la stessa e la macchina parte da ferma

devi fare 0 (la velocità iniziale )+15 (la variazione di velocità dopo un certo

intervallo di tempo) e poi 15+15=30 e poi 30+15=45 e poi di nuovo 45+15=60

e scopri ogni volta a che velocità va la macchina.

Cioè aumenta sempre dello stesso numero.

Ma alla fine va molto più veloce.

Sì perché è partita da 0 e arriva fino a 60 km/h. Con mio stupore, perché il

concetto di aumento costante non è dei più banali, sembravano aver capito

quasi tutti. Per soffermarmi ancora sull’idea analizzata, ho raccontato loro la

storiella di una signora che, durante un periodo di forte inflazione, un giorno

si reca al panificio a comprare un filone da ½ kg di pane e che il negoziante, al

momento del pagamento, le dice che il prezzo è di 1€. Una settimana dopo la

signora va nuovamente al negozio per acquistare il solito filone ma questa

volta il negoziante le dice che il prezzo è di 1, 20 €. Passa ancora una

129

settimana e per il filone il prezzo è di 1,40 €. La signora, un po’ indignata, dice

al negoziante: “Ma insomma, il pane aumenta sempre di più!”. E il negoziante

le risponde: “No, signora, l’aumento è sempre lo stesso (in effetti è di 20

centesimi alla settimana), ma è vero che il pane costa sempre di più”. In

questa semplice storiella l’aumento del prezzo rappresenta l’accelerazione,

per l’appunto costante, e il costo finale rappresenta la velocità, che in effetti

aumenta.

Abbiamo ripetuto l’esperimento con il piano inclinato alzandolo fino a 39 cm

da terra e abbiamo notato che, in effetti, le cose si ripetevano come prima.

La sfera impiegava cioè metà del tempo per percorrere un quarto della

distanza.

3.2.7 Incontro 7 – Verifica dell’apprendimento

Durante l’ultimo incontro si è svolta la verifica finale del percorso didattico,

composta da 20 quesiti, alcuni dei quali contenevano domande aperte e altri

domande chiuse. La logica con la quale ho ideato la prova è stata quella di

ripercorrere l’iter delle attività fatte con i bambini per far emergere i risultati

130

delle nuove acquisizioni o le zone problematiche ancora da approfondire. In

più, una volta terminata la compilazione dei quesiti, ho distribuito un

cruciverba che i bambini hanno mostrato di apprezzare molto. Ho espresso il

giudizio tramite un punteggio che segue il seguente criterio: 2 punti per le

risposte corrette, 1 punto per le risposte parziali, 0 punti per le risposte

errate. Prima dell’inizio della prova i bambini erano emozionati e anche un

po’ impauriti. Ma, una volta lette insieme le domande e chiariti i dubbi, sono

stati tranquilli e in silenzio durante tutto lo svolgimento della prova. Il

cruciverba li ha particolarmente divertiti.

Elenco qui di seguito le domande della verifica e indico i risultati e i punteggi

ottenuti ai vari quesiti. Per facilitare la lettura ed avere una visione più

immediata, ho riportato i risultati su un istogramma e su una tabella

riassuntiva.

Domande:

1) Metti in ordine cronologico le tappe che vengono seguite nel metodo

sperimentale: verifica dell’ipotesi - problema/domanda – ipotesi –

osservazione della natura – risposta/teoria.

2) Cosa significa che un corpo è in quiete?

3) Cosa significa che un corpo è in moto?

4) Lo spazio e il tempo sono due grandezze che ci servono per descrivere il

moto di un corpo. Indica se vero o falso.

o vero

o falso

5) La grandezza che indica la rapidità con la quale un corpo cambia posizione

nel tempo rispetto a un punto fisso è:

o la velocità

o l’accelerazione

131

o la traiettoria

6) La traiettoria è la linea immaginaria che unisce tutte le successive posizioni

che un corpo occupa nel tempo. Indica se vero o falso.

o vero

o falso

Fai qualche esempio di una traiettoria che ti è capitato di vedere:

7) Che cos’è una forza? Indica se vero o falso

V F

è una spinta che si esercita su un corpo O O

è una trazione che si esercita su un corpo O O

Fai qualche esempio di forze che conosci:

8) Quali tipi di azione può esercitare una forza su un corpo che si muove?

9) Secondo la tua esperienza, cosa succede in genere quando un oggetto viene

lasciato libero di muoversi su un piano orizzontale? Pensa ad una pallina da

golf che rotola sul prato.

10) L’attrito è una forza che si esercita tra due corpi in contatto tra loro quando

questi cerchino di muoversi strusciando l’uno sull’altro. Indica se è vero o

falso.

o vero

o falso

11) Se non intervenisse l’attrito, che cosa succederebbe ad un corpo che si

muove?

12) Quale tipo di forza agisce su un corpo che cade? Indica accanto alle risposte

se vero o falso.

V F

La forza di attrito O O

La forza di gravità O O

La forza di attrito dell’aria O O

13) I tre cerchi sottostanti rappresentano il globo terrestre. Indica nel primo la

posizione di un uomo che vive al Polo nord, nel secondo la posizione di un

132

uomo che vive al Polo Sud e nel terzo la posizione di un uomo che vive

all’equatore.

Polo Nord Polo Nord Polo Nord

Equatore Equatore

Polo Sud Polo Sud Polo Sud

14) Se lascio cadere a terra dalla stessa altezza due fogli di carta, uno

accartocciato e l’altro aperto, quale cadrà a terra per primo? Perché?

15) Se appoggio un foglio di carta aperto su un libro e li lascio cadere dall’alto,

cosa accadrà ai due oggetti?

16) Nel moto rettilineo uniforme cos’è che rimane costante?

La velocità O

Lo spazio O

17) Per quale tipo di esperimento Galileo ha utilizzato il piano inclinato?

18) A cosa è legata l’accelerazione?

Alla variazione di velocità O

Alla variazione di tempo O

Alla variazione di spazio O

19) Qual è la caratteristica del moto uniformemente accelerato?

20) Cosa accade, secondo te, a due bottigliette d’acqua (una vuota e una piena)

che cadono dalla stessa altezza? Quale arriva a terra per prima? Perché?

133

Questo il cruciverba che ho fatto completare ai bambini:

1 2

3 4

5

6 7

8

9

10

11 12 13

14

15

16

ORIZZONTALI

1 Viene percorso da un corpo che si muove (spazio) 3 Viene misurato con il cronometro (tempo) 5 Le formula lo scienziato dopo aver osservato un fenomeno (ipotesi) 6 Esiste quella elettrica e quella di gravità (forza) 9 È la forza che fa muovere la barca a vela (eolica) 10 Si trova utilizzando la formula spazio / tempo (velocità) 12 È la forza che attrae i corpi verso il centro della Terra (gravità) 14 La oppone l’aria sulla superficie di un corpo che cade (resistenza) 15 Anche così si può chiamare il movimento di un corpo (moto) 16 Il contrario di movimento (quiete) VERTICALI 2 La forza che fa fermare una pallina che rotola per terra (attrito)

134

4 La forza che fa muovere il ferro verso una calamita (magnetica) 7 La variazione di velocità in un certo intervallo di tempo (accelerazione) 8 È necessario eseguirlo per verificare un’ipotesi scientifica (esperimento) 11 Una tra le unità di misura dello spazio (metro) 13 Oppone resistenza su un corpo che cade (aria) Nel seguente grafico sono riassunti i risultati della prova di verifica. Sull’asse delle ascisse è riportato l’indice identificativo della domanda, mentre sull’asse delle ordinate è riportato il numero di volte in cui alla domanda sono state date risposte corrette (blu), semi-corrette o incomplete (rosso bordeaux), errate (verde).

Come si evince dalla lettura dell’istogramma i risultati della verifica sono stati

piuttosto buoni. È diverso tempo, ormai, che conosco i bambini di questa

classe, ma sono rimasta stupita di fronte alle prestazioni di certi alunni posti

in situazioni di scoperta e di collaborazione: l’attivazione di strategie

didattiche attive e partecipative ha permesso anche agli studenti di solito

meno brillanti e vivaci, di tirare fuori capacità intuitive e ideative che sono

state un’importante risorsa per l’intera classe e per la costruzione condivisa

di significati. A questo proposito vorrei ricordare la possibilità di promuovere

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

Nu

mer

o d

i ris

po

ste

Numero della domanda

2 punti

1 punto

0 punti

135

lo sviluppo di quello che alcuni autori chiamano un “pensiero esperto” entro

un ambiente di apprendimento, superando la visione della conoscenza come

oggetto “statico”, che deve semplicemente essere memorizzato: “l’esperto

viene caratterizzato non tanto dal possesso di generiche abilità cognitive di

alto livello, cioè di tipo astratto e generalizzato, quanto dalla conoscenza

specifica e contestualizzata rispetto al proprio ambito di azione che può

essere continuamente sviluppata”.102 E proprio i bambini che hanno trovato

nel laboratorio o nella discussione condivisa un ambiente appropriato e

accogliente nel quale apportare nuove idee o intuizioni, hanno dimostrato,

anche nella verifica, di aver acquisito conoscenze e concetti nuovi. Questo

conferma che le attività pratiche facilitano l’acquisizione di conoscenze anche

da parte di bambini per i quali i contenuti non sono sempre così scontati.

Credo che sia stato molto importante far esplicitare ai bambini le proprie

concezioni sollecitando interpretazioni di un determinato fenomeno e aiutarli

ad affinare la consapevolezza delle proprie rappresentazioni e di quelle altrui,

attraverso discussioni. Per molti questo processo ha funzionato e il conflitto

concettuale ha indotto i bambini a rivedere le concezioni possedute alla luce

delle nuove informazioni. Ma la strategia del conflitto concettuale si è

mostrata non per tutti efficace perché non è risultato automatico il

riconoscimento di una divergenza tra le proprie idee e un’evidenza empirica

anche palesemente contraria. Come è accaduto per esempio con la domanda

20 (quella che si riferiva alla caduta delle due bottigliette d’acqua, una vuota

e una piena), per rispondere alla quale tre bambini hanno affermato che

sarebbe caduta prima a terra la bottiglietta piena. Nella domanda 14 (quella

che chiedeva di motivare la caduta anticipata del foglio accartocciato) ci sono

stati cinque bambini che hanno asserito che era per via del peso maggiore.

102

S. Cacciamani, L. Giannandrea, La classe come comunità di apprendimento, Roma, Carocci Editore, 2004, p. 11.

136

Anche nella domanda 13 (quella sulla posizione dei bambini ai Poli e

all’equatore) c’è stato chi si è trovato in difficoltà nonostante i numerosi

esempi alla lavagna e le discussioni intorno al tema. Il cambiamento di una

“teoria cornice”103 proprio perché implica che mutino presupposizioni e

credenze radicate da tempo, si presenta, per alcuni, lungo e difficile. Ed è per

questo che è importante che l’insegnante ne sia consapevole e che certi

argomenti e concetti vengano ripresi più volte, a distanza di tempo, rivisti e

ridiscussi.

Un’altra importante considerazione da fare è sul linguaggio. Alcuni bambini

hanno mostrato di avere notevoli difficoltà nell’utilizzo dei termini tecnici, sia

nel questionario finale, sia nel suo impiego durante le discussioni in classe.

Nella correzione della verifica, ho considerato corrette le risposte nelle quali

era evidente la comprensione del concetto, nonostante la difficoltà e il

disordine nella verbalizzazione di esso.

Il cruciverba è stato completato da tutti in poco tempo e in modo corretto!!

103

Pontecorvo C. (a cura di), Manuale di psicologia dell’educazione, Bologna, Il Mulino Editore, 1999, p. 254.

137

Conclusioni

Sono stata molto contenta del progetto. È stato impegnativo e laborioso ma

mi sono anche divertita moltissimo, sia a preparare a casa gli esperimenti, sia

ad eseguirli con i bambini in classe. Le attività sono state dinamiche e vitali e

hanno raccolto gli apporti di tutti gli alunni, in un modo o nell’altro. Credo

fortemente nella didattica laboratoriale e in tutte quelle strategie che vedono

l’alunno attivo e partecipe in prima persona. I concetti scientifici sono spesso

molto complessi per i bambini perché richiedono un livello di astrazione che

gli alunni della scuola primaria ancora non possiedono. La difficoltà maggiore

nell’insegnare tali discipline credo che sia quella di scomporre questa

complessità in pochi aspetti salienti e significativi, da acquisire in maniera

esperienziale e diretta in modo da risultare meno lontani dai sistemi di

apprendimento dell’infanzia. Soltanto dopo che si sono create delle concrete

basi concettuali, almeno sotto l’aspetto della comprensione, si può procedere

per ampliare le conoscenze. Lavorando a questo progetto ho compreso

quanto sia indispensabile che l’insegnamento, se si vuole che abbia un senso,

rispetti, aspetti e si adegui ai ritmi dell’apprendimento infantile. I concetti sui

quali abbiamo lavorato in classe sono stati per lo più e dai più compresi ma

avrebbero bisogno di essere ripresi, rivisti e ridiscussi ancora molte volte, tra

passi avanti e passi indietro. I bambini hanno sicuramente sviluppato

un’attenzione per l’aspetto dell’osservazione e dell’elaborazione di ipotesi e

hanno acquisito anche capacità di manipolazione e di gestione di spazi e

strumenti, collegando cause ad effetti misurabili.

138

139

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