performance operativa nelle venture backed ipo
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Performance Operativa Nelle Venture Backed IPO.TRANSCRIPT
UNIVERSITÁ COMMERCIALE ‘’LUIGI BOCCONI’’
FACOLTÁ di ECONOMIA
Laurea Specialistica in Amministrazione, Finanza aziendale e Controllo (AFC)
Performance operativa nelle Venture-Backed IPO:
analisi del caso italiano
Relatore:
Prof. Maurizio Dallocchio
Controrelatore:
Prof. Antonio Salvi
Tesi di Laurea Specialistica di: Gennaro Chianese
matricola 1274687
Anno accademico 2008-2009
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Dedico questo lavoro a chi non c’è più e che avrebbe tanto desiderato assistere a questo evento. Cari nonni spero di avervi regalato una grande soddisfazione!
Ringrazio i miei genitori ed i due fratellini per l’amore ed il sostegno incondizionato. Per voi i ringraziamenti non saranno mai abbastanza!
Grazie ai cugini, agli zii e agli amici tutti per l’affetto nonostante la lontananza ed un ringraziamento speciale va a Carmen per l’entusiasmo e la gioia che da qualche anno ha portato nella mia vita.
Infine, ringrazio il Prof. Dallocchio per il suo esempio di professionalità e competenza unite a grandi qualità umane.
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4
INTRODUZIONE...............................................................................................................................7
PARTE I – IL QUADRO TEORICO
CAP I - PRIVATE EQUITY E VENTURE CAPITAL: UNA BREVE OVERVIEW...........................................9
I.1 DEFINIZIONE DI PRIVATE EQUITY E VENTURE CAPITAL.................................................................................9
I.2 RUOLO DEL PRIVATE EQUITY E VENTURE CAPITAL......................................................................................9
I.3 ANALISI DEI TREND...........................................................................................................................10
CAP II - IL PROCESSO DEL DISINVESTIMENTO................................................................................14
II.1 FATTORI CHE INCIDONO SULLA DECISIONE............................................................................................14
II.2 LE MODALITÀ PRINCIPALI DI CESSIONE.................................................................................................16
II.3 ANALISI DEL TREND DEI DISINVESTIMENTI.............................................................................................20
CAP III. IL PROCESSO DI QUOTAZIONE..........................................................................................23
III.1 FASI ED ATTORI COINVOLTI...............................................................................................................26
III.2 LA SCELTA DEL MERCATO ............................................................................................................29
III.3 BORSA ITALIANA............................................................................................................................30
PARTE II - L’ANALISI
CAP IV - PERFORMANCE OPERATIVA DELLE VENTURE BACKED IPO ..............................................35
IV.1 SINTESI DELLA LETTERATURA ED INTRODUZIONE ALL’ANALISI SVOLTA........................................................35
IV.2 IPOTESI DELL’ANALISI......................................................................................................................40
IV.3 DATI E METODO DI ANALISI..............................................................................................................42
IV.4 IL CAMPIONE.................................................................................................................................45
IV.5 I RISULTATI DELL’ANALISI.................................................................................................................50
IV.5.1 LA REDDITIVITÀ....................................................................................................................50
IV.5.2 LA SOLIDITÀ........................................................................................................................55
IV.5.3 L’EFFICIENZA.......................................................................................................................58
IV.5.4 LO SVILUPPO.......................................................................................................................60
IV.5.5 L’UNDERPRICING..................................................................................................................64
IV.6 I LIMITI DELL’ANALISI.......................................................................................................................66
CONCLUSIONI................................................................................................................................68
BIBLIOGRAFIA...............................................................................................................................72
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Introduzione
Questo lavoro si propone di mettere in luce il contributo apportato dalla partecipazione dei
fondi di private equity alle società che decidono di intraprendere la via della quotazione in
Italia. Le funzioni di certificazione, monitoraggio e controllo spesso attribuite agli investitori
istituzionali sono state appurate confrontando la performance operativa conseguita pre e
post IPO dagli emittenti venture backed e dagli emittenti non venture backed. É stata
verificata inoltre l’ipotesi del contributo del private equity alla riduzione dell’underpricing in
sede di collocamento.
Il lavoro è composto di due parti, di cui la prima rappresenta il quadro teorico nel quale si
innesta l’analisi condotta nella seconda parte.
Il primo capitolo introduce l’industria del private equity evidenziando il ruolo sempre più
rilevante ricoperto nell’economia negli ultimi anni, non solamente nel mondo anglosassone,
ma anche nell’Europa continentale e nei mercati emergenti. Nel corso del capitolo si
descrivono i trend che recentemente hanno caratterizzato il fenomeno, evidenziando le
caratteristiche degli operatori, i mercati in cui operano e la tipologia dei loro investimenti.
Il secondo capitolo approfondisce il tema del processo di disinvestimento per un operatore
di private equity. Si individuano i fattori che incidono sulla scelta del canale di dismissione
adoperato da un venture capitalist e si propongono le diverse alternative tra le quali è
possibile optare. Infine, si offre una panoramica dei canali di disinvestimento prediletti nei
diversi mercati europei.
Il terzo capitolo illustra il tema del processo di quotazione, indicando vantaggi e svantaggi
connessi alla scelta di approdare sui mercati regolamentati. Dopo aver esposto le fasi del
processo e gli attori che in esso sono coinvolti, si propone un quadro orientativo per le
aziende intenzionate a quotarsi sui mercati gestiti da Borsa Italiana. In particolare si
descrivono le novità regolamentari definite nel giugno 2009 con il regolamento emittenti
AIM ITALIA e l’introduzione di una fast track per favorire la quotazione di emittenti venture
backed.
Con il quarto capitolo si entra nel vivo dell’analisi empirica, condotta dopo una breve
revisione della letteratura, che sottolinea il ruolo svolto dagli operatori di private equity nel
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mitigare i problemi di agenzia e nel sostenere la crescita e lo sviluppo economico attraverso
l’innovazione e l’attività di R&D. Attenuando i conflitti di agenzia tra azionisti e manager
quando l’impresa è ancora private e tra nuovi sottoscrittori e vecchi azionisti in sede di IPO, il
private equity è riconosciuto per svolgere funzioni di screening, monitoraggio, controllo e
certificazione degli investimenti detenuti in portafoglio.
Coerentemente alla letteratura, le analisi dovrebbero confermare le ipotesi secondo cui gli
emittenti venture backed si caratterizzerebbero per migliori performance operative e minore
underpricing dell’offerta pubblica in sede di collocamento.
Il lavoro ripercorre un filone molto limitato della letteratura in materia, dal momento che i
precedenti studi accademici hanno privilegiato il tema dell’analisi dei prezzi di collocamento
rispetto all’analisi della performance operativa, e nel caso di studi sulla performance
operativa, questi si sono limitati nel periodo pre IPO a considerare al più i dati relativi
all’ultimo bilancio di esercizio pubblicato prima della quotazione. Peculiarità dell’indagine
sono quindi il focus sugli indici di bilancio e l’estensione dell’orizzonte temporale
considerato, un periodo di sette anni, più ampio rispetto alle ricerche affini ed originale
perché comprende oltre ai tre esercizi successivi alla quotazione anche i tre esercizi
preparatori all’IPO.
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PARTE I – Quadro teorico
Cap I - Private Equity e Venture Capital: una breve overview
I.1 - Definizione di private equity e venture capital
Il termine private equity e venture capital (PEVC) denomina un’attività imprenditoriale, che a
partire dagli anni ’80 dal mondo anglosassone, ha conquistato gradualmente rilevanza
globale. Per PEVC si intende l’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio di
imprese, in ottica di medio-lungo termine, al fine di creare valore e realizzare con la cessione
della propria quota azionaria un guadagno in conto capitale. Nell’accezione anglosassone
l’attività di venture capital costituisce un sottoinsieme della più ampia attività di private
equity mentre in Europa si tende a separare le due attività; in realtà non sussiste alcuna
differenza, se non il tipo di investimenti che qualificano il venture capital, come il segmento
devoto a specifiche fasi del ciclo di vita aziendale ovvero il seed financing, lo start-up
financing e l’early stage financing. L’elemento caratteristico di ogni fase dell’attività di
private equity è l’investimento in equity, che costituisce sempre un finanziamento, di medio-
lungo termine, per la società target generalmente non quotata. Il private equity differisce
fondamentalmente dal public equity in termini di liquidità, negoziabilità e meccanismi di
controllo, in quanto ha ad oggetto partecipazioni non liquide, il cui valore non è determinato
dalla continua negoziazione sul mercato ed il controllo non è affidato a sistemi di regole ed
autorità di vigilanza, bensì condizionato dal forte commitment dell’investitore.
I.2 - Ruolo del private equity e venture capital
L’attività di investimento nel capitale di rischio da parte di investitori istituzionali
contribuisce allo sviluppo del sistema industriale e dell’economia nel suo complesso,
supportando con il capitale le iniziative imprenditoriali più meritevoli. Il capitale può essere
impiegato per sviluppare nuovi prodotti, tecnologie o mercati, finanziare l’espansione del
capitale circolante o degli investimenti fissi, risolvere problemi di corporate governance,
finanziare operazioni di finanza straordinaria o di riequilibrio della struttura finanziaria.
Tuttavia, il contributo del PEVC non si limita a soddisfare il fabbisogno di capitale, infatti,
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sono di fondamentale importanza i contributi in termini di certification effect e network
effect. Il socio istituzionale possiede notevole esperienza e professionalità al servizio di
attività di advisory, mentoring e consulting nonché contatti con autorevoli personalità del
sistema finanziario, politico ed industriale. È comprovato che il maggiore contributo
distintivo degli operatori di private equity sia l’attività di lobbying, che essi sono in grado di
esercitare in virtù del network cui appartengono.
I.3 - Analisi dei trend
I dati elaborati dalle associazioni che rappresentano i principali operatori dell’industria del
private equity evidenziano tra il 1998 ed il 2007 una forte crescita dei volumi dell’industria,
sia in termini di risorse finanziarie raccolte (CAGR=14,70%) che di risorse impiegate per gli
investimenti (CAGR=17,44%). In altri termini il PEVC ha quadruplicato il suo volume d’affari
nell’arco di un decennio, con investimenti globali nel 2007 attestati a 297 miliardi di dollari
ovvero lo 0,55% del GDP mondiale.1
Figura 1 - Trend degli investimenti e fund raising a livello globale (1998-2007)
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
133154
262
177
9388
134
277
437459
70123
191
10387
117 112
157
235
297
Funds Raised (US$ billion) Investments (US$ billion)
FONTE: The PricewaterhouseCoopers/Venture Econmics/National Venture Capital Association MoneyTreeTM Survey / Thomson Financial / Buyout Newsletter / Private Equity Analyst / CVCA Annual Statistcal Review / EVCA Yearbook / AVCJ Guide to Venture Capital in Asia / Venture Equity Latin America / LAVCA / SAVCA Private Equity Survey / IVC Online
All’interno di questo framework si evidenzia un contributo diverso a seconda delle aree
geografiche: gli Stati Uniti si confermano il primo Paese per volumi sia in termini di raccolta
del capitale sia come area di destinazione degli investimenti. Infatti, negli USA si realizza più
della metà del fund raising globale, destinando una quota significativa dei capitali raccolti
per investimenti all’estero.
1Fonte World Bank Development Indicators: GDP mondiale pari a $54.347 miliardi.
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Tabella 1 - Volumi del PEVC: confronto 2004-2007 (US$ miliardi)
Paese Investimenti (u) Risorse raccolte (e) Surplus (e-u) Paese Investimenti (u) Risorse raccolte (e)Surplus (e-u)
US 43,76 84,74 40,98 1 US 105,72 302 196,28
UK 22,36 11,78 -10,58 2 UK 40,1 48,52 8,42
Giappone 7,06 5,54 -1,52 3 India 17,51 5,94 -11,57
Francia 6,12 2,82 -3,3 4 Giappone 14,71 4,62 -10,09
Germania 4,41 2,32 -2,09 5 Australia 14,61 6,46 -8,15
Spagna 2,3 1,85 -0,45 6 Francia 14,4 7,68 -6,72
Australia 2,17 1,86 -0,31 7 Cina 10,62 11 0,38
Cina 2,06 0,44 -1,62 8 Germania 8,73 6,63 -2,1
Olanda 1,94 3,76 1,82 9 Malesia 5,4 1,29 -4,11
Svezia 1,9 4,28 2,38 10 Singapore 5,35 4,03 -1,32
Italia 1,73 1,95 0,22 11 Taiwan 4,93 0,11 -4,82
Sud Korea 1,56 0,37 -1,19 12 Svezia 4,89 5,49 0,6
India 1,34 0,66 -0,68 13 Sud Africa 4,65 2,79 -1,86
Singapore 1,29 0,92 -0,37 14 Olanda 4,6 3,68 -0,92
Sud Africa 1,26 0,4 -0,86 15 Sud Korea 4,28 0,85 -3,43
Israele 1,22 0,72 -0,5 16 Spagna 3,58 3,86 0,28
Canada 1,19 1,13 -0,06 17 Hong Kong 2,87 15,52 12,65
Malesia 0,76 0,12 -0,64 18 Nuova Zelanda 2,73 0 -2,73
Danimarca 0,46 0,63 0,17 19 Italia 1,71 2,82 1,11
Pakistan 0,4 0 -0,4 20 Danimarca 1,42 0,42 -1
2004 2007
FONTE: The PricewaterhouseCoopers/Venture Econmics/National Venture Capital Association MoneyTreeTM Survey / Thomson Financial / Buyout Newsletter / Private Equity Analyst / CVCA Annual Statistcal Review / EVCA Yearbook / AVCJ Guide to Venture Capital in Asia / Venture Equity Latin America / LAVCA / SAVCA Private Equity Survey / IVC Online
Come si evince dalla Tabella 1, l’industria del PEVC è notevolmente più sviluppata nei Paesi
di matrice anglosassone ovvero laddove tale fenomeno ha avuto inizio. Il numero di
operatori coinvolti ed il giro d’affari dell’industria testimoniano che è ancora notevole il gap
tra il modello europeo continentale e quello anglosassone. Nei Paesi più maturi il network
del private equity è più esteso e l’industria più efficiente poiché ciascun operatore vanta in
media una taglia superiore che gli consente di gestire un elevato numero di operazioni
all’anno. La maggiore facilità di raccolta di capitale e la possibilità di individuare più
facilmente una way-out dall’investimento, anche all’interno dello stesso mercato del PEVC,
consente agli operatori anglosassoni di effettuare investimenti di dimensione maggiore.
Tabella 2 - Gli operatori di PEVC (2007)
US UK GERMANIA FRANCIA ITALIA SPAGNA
Closed-end Funds 15% (FofF)20% (trusts) 10% (FofF)
25% 58% 68% 70%
Limited Partnerships 58% 45% 45% (KG) - - -Investment Firms - 10% 18% 20% 25% 27%Banks 8% 6% 7% 8% 5% -Public-Private Vehicles 19% 9% 5% 15% 2% 3%
FONTE: Elaborazione dati fonte precedente
La Tabella 2 offre un quadro degli operatori predominanti nell’industria del PEVC nelle
diverse aree geografiche, differenze legate agli specifici contesti legali, fiscali e culturali.
Negli USA l’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio delle imprese è 11
condotta prevalentemente tramite VC funds nella forma legale di Limited Partnerships,
società caratterizzate da due tipi di azionisti: i general partners (GPs) con responsabilità
illimitata ed i limited partners (LPs) a responsabilità limitata. Il successo di tale veicolo è
dovuto al favorevole regime fiscale di cui godono, ovvero di un regime di trasparenza fiscale
che evita la doppia tassazione qualora si realizzino plusvalenze su investimenti tenuti in
portafoglio per più di dieci anni. Molto diffusi sono anche i fondi di fondi (FofF), ovvero
Limited Liabilities Partnerhips, società in cui i general partners non sono individui, bensì
Limited Partnerships. Infine, sono rilevanti le Small Business Investment Companies (SBIC)
con capitale azionario diviso in egual parti tra pubblico e privato.
Anche in Gran Bretagna i principali operatori nel settore sono Limited Partnerships, ma un
ruolo significativo è ricoperto anche dai VC trusts, veicoli speciali che in virtù della
segregazione giuridica piena tra il patrimonio del disponente e del fiduciario (trustee)
offrono una notevole flessibilità di impiego.
Contrariamente al modello anglosassone ispirato al libero mercato, l’attività di PEVC in
Europa è oggetto di regolamentazione e vigilanza, essendo considerata un servizio
finanziario. Ad eccezione della Germania, ove il tipo di veicolo più diffuso è il KG simile alle
partnership anglosassoni, il veicolo prediletto dall’Europa continentale è il fondo chiuso
(closed-end fund). Per quanto concerne il sistema bancario, questo ricopre un ruolo
minoritario dovuto alle forti restrizioni imposte dalle norme di Basilea II, che definiscono
vincoli di concentrazione degli investimenti2 e requisiti di capitale regolamentare.
2 Il singolo investimento in equity ha vincoli del 3%, 6% o 15% in rapporto al capitale regolamentare; l’intero portafoglio di investimenti in equity non può rappresentare più del 15%, 50% o 60% del capitale regolamentare, a seconda del tipo di banca. Ad eccezione di Germania e Francia, le banche non possono detenere più del 15% dell’equity di società non bancarie.
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Figura 2 – Distribuzione degli investimenti per stage (2004 - 2007)
US Europa Asia0%
10%20%30%40%50%60%70%80%90%
100%
11% 7% 2%
22%21%
12%
51%70%
63%
16%2%
23%
Replacement & Other late stages
Buy-out
Expansion
Seed - Start-up - Early stage
Distribuzione per capitale investito
2004US Europa Asia
0%
20%
40%
60%
80%
100%
6% 3% 8%11% 13%
20%
71%79%
48%
12%4%
24%
2007
FONTE: Elaborazione dati fonte precedente
La Figura 2 evidenzia quali sono i cluster in cui si concentrano gli investimenti del PEVC nelle
diverse aree geografiche e quale sia stata la tendenza del mercato negli ultimi cinque anni. È
evidente che la maggior parte delle risorse sono impiegate per finanziare acquisizioni di
pacchetti di controllo delle società target, operazioni che assorbendo ingenti capitali
avvengono tipicamente nella forma di Leveraged Buy-out (LBO), ossia finanziate con debito.
Si nota come nell’ultimo quinquennio questo genere di attività sia cresciuto in USA ed
Europa, contrariamente all’Asia ove è cresciuto il peso degli stages caratteristici dell’attività
di venture capital, ovvero Seed, Start-up ed Early Stage, orientati al finanziamento delle
prime fasi del ciclo di vita aziendale. Questi investimenti sono caratterizzati da minor
dimensione degli impieghi, ma anche da più elevato grado di rischio. In tali cluster l’Europa
manifesta un evidente ritardo, soprattutto in Paesi come l’Italia che non vanta alcun
investimento nell’ambito del seed financing, testimoniando un’incapacità del Paese di
sostenere nuove iniziative imprenditoriali, che tuttavia meriterebbero molta attenzione
giacché si focalizzano in settori fortemente innovativi come le biotecnologie, le “green
energies” e le “information&communication technologies” (ICT). Infine, ricopre scarsa
rilevanza in Europa anche l’attività di replacement e vulture financing, soprattutto quando
finalizzata a risollevare attività industriali in crisi o in corso di procedure fallimentari.
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Cap II - Il processo del disinvestimento
II.1 - Fattori che incidono sulla decisione
La fase del disinvestimento è il processo di cessione della partecipazione detenuta in
portafoglio dall’operatore di PEVC. Si tratta di un processo estremamente delicato, che può
impattare notevolmente sul valore creato dall’investimento, in altri termini sul suo Internal
Rate of Return (IRR), ancor più della decisione di investimento e del processo di
managing&monitoring. Il processo di disinvestimento si compone di due scelte
fondamentali: l’individuazione del momento più opportuno per disinvestire (timing) e la
definizione del canale più adeguato per lo smobilizzo (way-out).
Numerosi sono i fattori che influenzano la decisone finale del disinvestimento e che
indirizzano quindi l’operatore di PEVC verso una soluzione di uscita piuttosto che un’altra,
nonostante si cerchi di prevedere la way-out sin dalla fase iniziale dell’investimento. Infatti, il
momento della cessione della partecipazione non può mai essere preventivato con assoluta
certezza perché dipende non solo da fattori endogeni, come gli accordi contrattuali, ma
anche da variabili esogene, come l’andamento dei mercati e dei settori di riferimento.
Tra i fattori endogeni in grado di condizionare la convenienza e la fattibilità della way-out,
ricoprono un ruolo determinante i patti parasociali ed i covenants contrattuali, che incidono
sulla scelta della controparte, il costo ed il timing della decisione. Di seguito si elencano le
principali variabili da considerare3:
Liquidation preference e deemed liquidation: clausole che prevedono la
soddisfazione preferenziale della partecipazione detenuta dall’investitore PEVC, sia
in caso di liquidazione della società sia nell’evento di un’acquisizione, fusione o
vendita di asset rilevanti.
Rights of redemption: accordi che prevedono al verificarsi di determinati eventi, in
genere legati al mancato raggiungimento di obiettivi da parte dell’azienda
partecipata, il diritto di richiedere il buy-back della quota detenuta dall’azionista
PEVC. Nelle giurisdizioni ove tali clausole sono vietate si prevedono puttable rights al
medesimo scopo di limitare la perdita dell’investitore venture capitalist.
3 BVCA, “A guide to venture capital term sheets” .14
Automatic conversion of share class: clausole che prevedono in caso di exit mediante
IPO, l’automatica conversione delle azioni privilegiate detenute dal venture capitalist
in azioni ordinarie, al fine di rendere liquida la partecipazione.
Rights of refusal: accordo tra gli azionisti con il quale si prevede un diritto a rifiutare
l’ingresso di altri azionisti nella compagine proprietaria.
Tag alone right: clausola che prevede che il venture capitalist abbia il diritto di unirsi
al fondatore o manager qualora essi cedano le proprie quote.
Drag along o Bring along: clausola mediante la quale gli azionisti si obbligano a
vendere le proprie quote ad un acquirente potenziale, a seguito di una deliberazione
dell’assemblea con un determinato quorum.
Lock-up: clausola che impedisce agli azionisti ed al venture capitalist di disinvestire
prima di un certo periodo. Adottata per garantire un investimento nel lungo termine,
può a volte rivelarsi un ostacolo alla scelta della exit strategy che massimizza il valore
per l’investitore PEVC (ad esempio impedendo il disinvestimento tramite IPO
durante una fase di hot markets).
In aggiunta agli accordi definiti in sede di investimento, i principali fattori che influiscono sul
processo di disinvestimento dipendono dal tipo di impresa target (dimensione,
caratteristiche dell’organizzazione e degli assetti proprietari, stage del ciclo di vita aziendale
etc.), dal settore di appartenenza, dai risultati ottenuti durante la collaborazione tra
imprenditore ed investitore, da elementi congiunturali (ciclo economico favorevole, fase
“hot” dei mercati finanziari, dinamicità del mercato del M&A etc.) e dal tipo di
partecipazione detenuta (di maggioranza o minoritaria).
Sebbene la complessità delle variabili in gioco sia tale da far dubitare dell’efficacia di modelli
teorici per gestire il processo di exit, uno studio condotto nel 19934 negli Stati Uniti individua
due tipi di approcci strategici per un operatore di PEVC, in funzione del peso della
programmazione del disinvestimento al momento dell’acquisto della partecipazione e del
contributo del management della società partecipata alla definizione della modalità di
disinvestimento.
4 Relander K.E., Syrjanen A.P., (1993), “Analysis of the Trade as a Venture Capital Exit Route”, European Venture Capital Journal, April-May.
15
Nel modello path sketcher (letteralmente “abbozzare il sentiero”) l’investitore PEVC cerca di
aumentare la probabilità di un disinvestimento di successo sin dalla fase dell’investimento
iniziale, individuando i potenziali acquirenti della propria quota o dell’intero capitale della
società target, una volta cessata la propria attività di contributo allo sviluppo dell’azienda.
Tale approccio, quindi, predilige la soluzione del trade sale.
Nel modello opportunist l’investitore PEVC confida nella capacità di valorizzare l’azienda
target, indipendentemente dalla modalità di disinvestimento, il suo interesse primario è
legato principalmente alla selezione delle imprese in cui il suo apporto possa massimizzare le
possibilità di crescita, per cui culmina in genere in un’offerta pubblica iniziale (IPO).
Uno studio successivo pubblicato dall’European Venture Capital Association (EVCA)5,
condotto su un campione di disinvestimenti di successo, ha identificato due tipologie di
investitori istituzionali in funzione dell’approccio al processo di exit.
L’approccio pro-active caratterizza investitori che avendo chiara sin dall’inizio del processo di
investimento la modalità più probabile di disinvestimento, preferiscono acquisire quote di
maggioranza ed incentivano il management della società partecipata tramite piani di stock
option al fine di realizzare il più elevato IRR ottenibile dal canale prescelto.
L’approccio dei passive investors contraddistingue operatori, che effettuando investimenti di
minoranza, sono disposti ad investire per un orizzonte temporale più lungo, realizzando in
genere la vendita mediante il riacquisto della quota da parte del management o
dell’imprenditore. Tale approccio presta meno attenzione alla massimizzazione dell’IRR ed è
tipico dei mercati poco maturi, ove il numero degli operatori è ridotto.
II.2 - Le modalità principali di cessione
Di seguito si elencano i principali canali di cessione della quota di partecipazione detenuta
dall’investitore di PEVC e si evidenziano il peso ed i trend che negli anni tali soluzioni hanno
avuto, nei diversi mercati di riferimento.
Trade sale: è la cessione della partecipazione ad un socio di natura industriale
mediante un’operazione di acquisizione o fusione (M&A). Questo canale di dismissione è
5 J. Wall, J. Smith, (1998), ‘’Better Exits’’, EVCA Special Paper.16
tanto più appropriato quanto maggiori sono le possibili sinergie risultanti dalla creazione di
un unico gruppo industriale. Ovviamente poiché si tratta di una soluzione molto invasiva per
la società target, per effetto dell’interferenza dell’acquirente sulla strategia ed operatività
dell’azienda, è opportuno che i manager e gli altri azionisti siano favorevoli alla controparte
industriale. Per queste ragioni, la soluzione del trade sale generalmente interessa pacchetti
azionari di controllo ed é programmata con anticipo dall’operatore di PEVC, che stabilisce
preventivamente con l’imprenditore gli accordi descritti nel precedente paragrafo. Altra
peculiarità del trade sale è la riservatezza con cui la trattativa è affrontata, ovvero
privatamente senza le pressioni dei mercati finanziari, dei clienti, dei fornitori o di altri
competitors. Tecnicamente la dismissione ad un socio industriale può avvenire attraverso
una trattativa privata o un processo d’asta.
Nel primo caso l’operatore di PEVC, direttamente o indirettamente tramite un advisor
esterno, individua una controparte potenzialmente interessata con cui avvia il contatto in via
esclusiva. Dopo un primo approccio preliminare e la firma di accordi di riservatezza, viene
concessa all’acquirente la possibilità di condurre una due diligence al fine di approfondire le
caratteristiche dell’impresa oggetto di negoziazione. In seguito, se le trattative vanno a buon
fine, la quota é ceduta al partner industriale.
In caso di cessione mediante un processo d’asta, l’operatore PEVC conferisce un mandato ad
un advisor incaricato della gestione dell’intero processo, articolato in cinque step. Nella
prima fase sono individuati i potenziali acquirenti e predisposti i documenti contenenti un
information memorandum ed un business plan, con cui si descrivono le caratteristiche
dell’azienda, del mercato di riferimento, le strategie e le prospettive economico-finanziarie.
Successivamente si procede al contatto dei potenziali acquirenti che, qualora interessati,
firmano un impegno alla riservatezza e ricevono l’information memorandum. Dopo aver
ricevuto una manifestazione di interesse e una bozza di offerta da parte dei candidati,
l’advisor procede a selezionare le proposte ed avvia la fase di due diligence, nella quale viene
data ai potenziali acquirenti la possibilità di approfondire la realtà aziendale, con la
presentazione del management e l’accesso alla dataroom. Infine, se tutto procede
positivamente, il processo termina con il closing della trattativa ovvero l’effettuazione di una
due diligence approfondita, la negoziazione e la firma definitiva del contratto di cessione
17
della partecipazione. Tale processo tendenzialmente richiede un arco temporale compreso
tra quattro e sei mesi.
Secondo la già citata ricerca condotta dall’EVCA, la dismissione della partecipazione
mediante il canale del trade sale offre alcuni vantaggi e conseguenti svantaggi, che si
riportano di seguito. I vantaggi più evidenti sono collegati al prezzo che gli acquirenti
industriali sono disposti a pagare, in genere più elevato in virtù delle sinergie strategiche
esprimibili dal deal. Inoltre, questa soluzione consente la liquidazione dell’intero capitale
della società target, nonché risulta più economica, veloce e semplice rispetto ad un’offerta
sui mercati primari che richiede la compliance di numerose procedure oltre che l’interazione
con un numero elevato di soggetti. A volte, date le ridotte dimensioni aziendali il trade sale si
rivela l’unico canale possibile per dismettere la partecipazione.
Gli svantaggi sono legati alla difficoltà di identificare una controparte e qualora questa ci sia,
potrebbe avere un forte potere contrattuale; talvolta invece, il trade sale non è fattibile per
l’opposizione all’operazione da parte del management della target ed in altre circostanze
per il rifiuto dell’investitore PEVC di offrire le garanzie richieste dal trade buyer.
Buy-back (o Redemption): è il riacquisto della quota detenuta dall’investitore PEVC da
parte dell’imprenditore, socio fondatore. Tale soluzione è generalmente già prevista al
momento dell’ingresso del socio di PEVC nella compagine societaria, per cui si conclude un
patto parasociale che dia all’imprenditore il diritto di riacquisto della quota a determinate
condizioni (call option), piuttosto che un diritto di vendita all’investitore istituzionale (put
option). Dato l’ingente esborso monetario richiesto all’imprenditore, tale soluzione riguarda
quasi esclusivamente il riacquisto di pacchetti azionari di minoranza ed è praticata
specialmente quando l’azienda genera costanti flussi di cassa per sostenere il debito
necessario a liquidare l’investitore istituzionale. È una soluzione che ha il vantaggio evidente
della possibilità per l’investitore PEVC di uscire dall’investimento laddove altri canali di
vendita non sono percorribili e non risulta invasiva per gli azionisti correnti, dal momento
che la compagine proprietaria non assiste a nuovi ingressi; inoltre garantisce riservatezza
delle trattative che sono meno disturbate da pressioni esterne. D’altro canto il buy-back
comporta il limite di ridurre la possibilità di massimizzazione dell’IRR, costituendo un tetto
(cap) nel caso di forte rivalutazione della partecipazione.
18
Management buy-out (o workers buy-out): è il riacquisto della quota detenuta
dall’investitore PEVC da parte dell’attuale management della società. Numerose possono
essere le ragioni che spingono verso un MBO, tra queste le principali sono il desiderio di
autonomia ed indipendenza del gruppo dirigente o la successione all’imprenditore nel caso
di aziende familiari. Vantaggi e svantaggi di un MBO sono assimilabili a quelli connessi al
disinvestimento mediante buy-back.
Secondary buy-out: è la vendita della propria partecipazione ad un altro operatore
PEVC, un canale di dismissione molto diffuso nei Paesi anglosassoni ove l’industria del
private equity è più matura, quindi caratterizzata da un elevato numero di operatori presenti
in ogni stage di investimento ed è una soluzione privilegiata quando sono favorevoli le
condizioni nel mercato dell’M&A.
I secondary buy-out che hanno ad oggetto partecipazioni di minoranza sono detti
replacement, in quanto realizzano un avvicendamento tra operatori PEVC in genere
specializzati in diversi cluster del ciclo di vita aziendale, per cui ad esempio, la quota
detenuta in un’impresa al termine di una fase di start-up viene ceduta ad un operatore
specializzato nello sviluppo di giovani imprese. Altra causa che spesso motiva un’operazione
di replacement è la necessità per l’operatore PEVC di dismettere la partecipazione a causa
della scadenza dei termini legali o contrattuali del fondo. In Italia la legge prevede una
durata massima di trenta anni, più eventuali tre anni dopo la scadenza del fondo (cd. grace
period) per concludere il processo di disinvestimento6. Nella prassi però vige lo standard di
mercato che impone ai fondi una durata massima di dieci anni. I replacement comportano
dei ritorni inferiori rispetto alla dismissione per trade sale, sia per l’assenza di sinergie
strategiche implicite nel deal, sia per la competenza professionale della controparte, che
dovendo a sua volta massimizzare il proprio IRR ha tutto l’interesse a ridurre il prezzo di
ingresso nell’operazione.
Quando un secondary buy-out ha invece ad oggetto una quota di maggioranza o l’intera
partecipazione nel capitale della società target, le caratteristiche del deal sono simili a quelle
di una cessione ad acquirente strategico (trade sale). Sebbene anche in questo caso
l’acquirente non sia in grado di beneficiare di sinergie industriali, il prezzo di cessione di una
partecipazione totalitaria o di maggioranza sarà più elevato rispetto a quello di un
6Si vedano: Regolamento Banca d’Italia, 1o luglio 1998 – Decreto del Ministero del Tesoro n.228, 24 maggio 1999. 19
replacement, poiché viene incorporato anche un premio per il controllo. Come per il trade
sale, anche in termini di soluzioni tecniche, la cessione della quota di maggioranza ad altro
operatore PEVC può avvenire sia mediante una trattativa individuale che mediante un
meccanismo d’asta.
Initial Public Offering (IPO): è la più ambita via di dismissione della quota azionaria
detenuta dall’investitore PEVC, ovvero attraverso la quotazione dei titoli della società su un
mercato regolamentato, ma costituisce anche una soluzione molto costosa ed impegnativa,
non sempre fattibile. La dismissione delle azioni può avvenire sia al momento del
collocamento iniziale sul mercato primario, che in un momento successivo qualora
l’investitore PEVC sia obbligato da una clausola di lock-up a non vendere la propria quota per
un determinato periodo di tempo, in tal caso la cessione avverrà sul mercato secondario.
Write-off: non rappresenta una vera e propria modalità di dismissione della
partecipazione poiché si tratta dell’abbattimento, totale o parziale, del valore della
partecipazione non correlato ad un atto di cessione, poiché conseguente ad una perdita
definitiva di valore nonché a liquidazione o fallimento della società. Le motivazioni che
inducono ad effettuare una svalutazione oltre ad esigenze di rappresentazione più veritiera
e prossima a valori di mercato, riflettono anche specifiche esigenze fiscali dell’investitore.
II.3 - Analisi del trend dei disinvestimenti
La dinamica di forte sviluppo che ha caratterizzato l’industria del PEVC nell’ultimo ventennio
si evidenzia anche nella scelta dei canali di disinvestimento adoperati al termine del ciclo di
investimento di un operatore istituzionale. Conseguentemente alla crescita del numero di
soggetti operanti sul mercato è infatti aumentata l’incidenza delle cessioni ad altri operatori
istituzionali, sempre più specializzati nei vari stage di investimento. Paesi con un mercato
tradizionalmente maturo, come la Gran Bretagna, denotano un quadro in cui é
rappresentata l’intera gamma delle soluzioni al processo di way-out. Altri Paesi con minore
esperienza, come l’Italia e la Spagna, manifestano una focalizzazione delle scelte di
disinvestimento su determinati canali, mentre gli altri sono quasi totalmente assenti. Ad
esempio in Spagna, ove il mercato borsistico è scarsamente sviluppato, l’offerta al pubblico
della partecipazione è un canale di disinvestimento poco praticato, mentre è rilevante
20
l’uscita tramite vendita al management (MBO). In Italia, invece, la dismissione sui mercati
regolamentati è comune, così come il trade sale e la vendita ad altro investitore istituzionale;
sono marginali soluzioni come i buy-back ed i management buy-out.
Dall’analisi della Figura 3 e Tabella 3 si evince che il trade sale rappresenta la modalità di
dismissione prediletta, a prescindere dall’area geografica e dall’anno di riferimento. Seguono
la vendita ad altri investitori istituzionali e le dismissioni in borsa. È interessante notare come
l’andamento dei mercati finanziari condizioni le scelte di exit. La Tabella 3 testimonia come
alcuni canali di disinvestimento siano particolarmente correlati al ciclo del mercato; nella
fattispecie si constata che le IPO e le vendite ad altri operatori PEVC si riducono in fasi di
mercato ‘’orso’’ ed aumentano durante i ‘’bull markets’’. Al contrario canali di
disinvestimento come il trade sale, il buy-back e l’MBO, caratterizzati da una natura più
industriale e meno finanziaria, sono preferiti nelle fasi sfavorevoli del mercato. Infine, si
rileva che l’ingresso nel pieno della crisi finanziaria nel 2008 ha fatto registrare un
incremento drammatico delle svalutazioni, parziali e totali.
21
Figura 3 - Canali di disinvestimento delle cinque maggiori economie d’Europa 2006-2008 (ammontare disinvestito al costo storico)
Fonte: BVCA / PriceWaterhouseCoopers ; BVK / PEREP Analytics ; Spain / PriceWaterhouseCoopers ; AFIC / Grant Thornton; AIFI / PriceWaterhouseCoopers
Tabella 3- Correlazione tra le scelte di disinvestimento e l’andamento dei mercati finanziari in Europa (2006-2008)
2006 2007 2008
DJ EURO STOXX50 15,12% 6,79% -44,28% Coefficiente di Correlazione
Trade Sa le 27% 33% 32% -0,53
Sale to another PEVC 28% 30% 23% 0,92
IPO & post-IPO 14% 10% 4% 0,96
MBO 9% 3% 11% -0,52
Sale to another institution 4% 6% 4% 0,53
Buy-back 7% 6% 9% -0,94
Write-off 3% 5% 13% -1,00
Other 8% 8% 5% 1,00
100% 100% 100%
Fonte: Elaborazione propria (rendimenti basati su quotazioni di chiusura aggiustati; peso dei canali di disinvestimento calcolato come media delle cinque maggiori economie d’Europa nel periodo 2006-2008)
22
Cap III – Il processo di quotazione
La quotazione è il processo mediante il quale i titoli emessi da una società sono ammessi
ufficialmente alla negoziazione in un mercato mobiliare regolamentato. Le motivazioni che
inducono un’azienda a quotarsi sono molteplici, ad esempio per alcuni la quotazione
rappresenta un attestato di successo, per altri è solo un canale per finanziare la crescita, in
alcuni casi è uno strumento per acquisire notorietà al fine di accedere ad un network di
fornitori, in altri casi è un supporto per realizzare piani di incentivazione del personale. In
realtà a prescindere dalle ragioni, con la quotazione non solo si accede ad un nuovo canale di
finanziamento, ma si compie una scelta di rilevanza strategica che ha impatto sulla gestione
di tutti gli stakeholder aziendali. Data la significatività della decisione è opportuna una
valutazione congiunta dei benefici e dei limiti che tale percorso implica per la realtà
aziendale.
Si enumerano di seguito i principali vantaggi7:
Accesso al capitale: la quotazione consente ad una società di poter beneficiare di un
canale di finanziamento, stabile e di lungo termine, alternativo a quello privato. Una volta
stabilito un track record di successo, l’azienda può godere di una riduzione rilevante del
costo del capitale sia di rischio che di debito, rafforzando la propria struttura finanziaria.
Maggiore capacità di finanziamento della crescita: il canale del mercato borsistico
consente alle imprese di finanziare progetti di crescita più rapidamente e a costi minori
rispetto ai finanziamenti bancari.
Migliore immagine e prestigio aziendale: la quotazione assicura una maggiore
visibilità dell’azienda, delle sue strategie e dei prodotti offerti. Gli obblighi di revisione dei
bilanci e di informativa periodica, il rispetto di norme di corporate governance e l’esistenza di
organi di vigilanza garantiscono una maggiore trasparenza e fiducia nell’azienda, che si
traducono in un incremento del valore aziendale. La superiore credibilità di una società
quotata può facilitare i rapporti con fornitori, clienti e finanziatori nonché aumentare
l’audience presso organismi di governo locali e nazionali.
Valore per gli azionisti e liquidità delle partecipazioni: l’ingresso dei titoli della
società sui listini azionari, in genere, comporta l’adozione di sistemi di amministrazione e 7 Pricewaterhouse Coopers, (1998), ‘’Guide to going public’’.
23
controllo più orientati all’obiettivo della massimizzazione dello shareholder value. Oltre a
godere di una maggiore valorizzazione nel lungo termine delle proprie partecipazioni, in virtù
della quotazione, gli azionisti hanno anche l’opportunità di liquidare più facilmente le
proprie azioni sul mercato, diversificando il proprio portafoglio di investimenti.
Exit strategy: la quotazione può fungere da modalità per smobilizzare un pacchetto
azionario, altrimenti difficilmente liquidabile. È una modalità che può essere impiegata sia da
investitori istituzionali presenti nella compagine proprietaria sia dall’imprenditore-fondatore
intenzionato a monetizzare e diversificare il suo patrimonio o perché giunto ad una fase di
passaggio generazionale.
Incentivare e professionalizzare le risorse umane: la possibilità di negoziare sul
mercato i titoli della società offre alla stessa l’opportunità di incentivare il personale
mediante programmi di stock option e stock granting, strumenti che se ben adoperati
favoriscono la creazione del valore per gli azionisti.
Aumentano le possibilità di espansione: operazioni strategiche di fusione ed
acquisizione sono più agevoli per società i cui titoli sono negoziati su mercati mobiliari,
perché aumentano le alternative di regolamento delle transazioni, che possono concludersi
più facilmente con una contropartita in titoli (“carta contro carta”).
Nonostante i vantaggi potenziali legati alla quotazione siano numerosi, è indubbio che tale
processo sia molto complesso ed oneroso e che una volta concluso renda molto difficile il
ritorno sui propri passi. È dunque opportuno considerare i limiti e gli ostacoli che la
quotazione comporta:
Costo: il processo di preparazione alla quotazione comporta il sostenimento di
numerosi oneri che variano a seconda della dimensione del collocamento e del settore in cui
opera l’emittente. I costi fanno riferimento a spese legali e di revisione, costi di consorzio e
costo del road show, spese di stampa e comunicazione, oltre all’onorario spettante alla
società di gestione del mercato e all’organo competente per la vigilanza, in Italia
rispettivamente Borsa Italiana e Consob.
Tempo: il processo di quotazione richiede tempi molto lunghi che variano a seconda
della dimensione dell’azienda, il settore di appartenenza, la struttura societaria ed
24
organizzativa nonché il grado di complessità del processo di due diligence. Generalmente
occorrono da sei a diciotto mesi per la fase preparatoria, tra due e tre mesi per svolgere la
due diligence e circa due mesi e mezzo tra l’istruttoria ed il collocamento dei titoli sul
mercato. Nell’arco di questa ampia finestra vi è il rischio che le condizioni del mercato
finanziario si possano modificare radicalmente.
Perdita di privacy: con la quotazione l’emittente è tenuto ad adempiere ad obblighi
di trasparenza e comunicazione più severi, ad esempio con riferimento alle strategie
commerciali, agli investimenti, ai sistemi retributivi, che possono avvantaggiare la
concorrenza.
Perdita del controllo: a seguito della quotazione gli azionisti dell’emittente sono
esposti a nuove regole, dettate dal mercato e dalla legge, norme che limitano l’autonomia
tipica dei proprietari di una società private. Essi, ad esempio, sono tenuti ad adempiere ad
obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti e degli accordi parasociali, così come
delle operazioni di insider trading. Hanno obblighi di riservatezza sulle informazioni
privilegiate e sono tenuti a promuovere offerte pubbliche di acquisto sulle azioni in
circolazione, qualora siano superate determinate soglie di partecipazione. Talvolta,
l’autonomia della proprietà può essere anche limitata o addirittura persa a causa del
mercato per il controllo societario, che rende scalabili società mal amministrate se la
proprietà é contendibile.
Volatilità del mercato: gli andamenti dei mercati finanziari, attività speculative ed il
sentiment di mercato possono determinare notevoli fluttuazioni sul prezzo delle azioni,
alterando la quotazione nel breve periodo. Ovviamente nel medio e lungo termine il
mercato esprime un fair value delle azioni, che riflette correttamente i risultati economico-
finanziari, le strategie e le prospettive dell’azienda.
Cambiamento degli assetti di corporate governance: la quotazione impone alle
società di modificare le strutture di direzione e controllo, adeguandole ad esigenze di
trasparenza ed indipendenza in linea con gli standard definiti dalle best practices
internazionali.
III.1 - Fasi ed attori coinvolti
25
Una società intenzionata a quotarsi deve pianificare attentamente ogni fase del processo per
ottenere un buon apprezzamento del titolo da parte del mercato, evitando di sforare i tempi
ed i costi previsti.
Il processo ha inizio con la delibera del Consiglio di Amministrazione che approva la
quotazione e nomina i soggetti che obbligatoriamente o facoltativamente ricoprono un ruolo
per la riuscita della quotazione.
In primo luogo, è opportuna la nomina di un advisor finanziario con visibilità e credibilità
internazionale, che supporti l’emittente nella fase di preparazione alla quotazione. L’advisor
non è obbligatorio e la sua funzione può essere svolta anche da un operatore di PEVC,
purché vanti competenza nell’ambito dei processi di quotazione. Successivamente è buona
prassi contattare i rappresentanti della società di gestione del mercato in via informale ed
esplorativa al fine di ottenere delucidazioni in merito alla procedura da seguire.
Con il supporto dell’advisor, la società nomina lo sponsor8 ovvero un intermediario
finanziario che ha il compito di attestare che l’emittente utilizza procedure contabili ed
amministrative adeguate e che le informazioni ed i dati previsionali sono stati redatti
secondo le migliori prassi. Lo sponsor, inoltre, è tenuto ad informare i manager
dell’emittente delle responsabilità che derivano dalla quotazione, deve pubblicare almeno
due analisi finanziarie all’anno sull’emittente ed organizzare almeno altrettante volte
incontri tra la comunità finanziaria ed i vertici dell’emittente. Infine, lo sponsor garantisce la
sottoscrizione dei titoli eventualmente non collocati in sede di offerta.
Nel caso in cui l’emittente sia di piccola-media dimensione lo sponsor può anche ricoprire
altri ruoli, quali quello del global coordinator e/o del lead manager o co-manager. Il global
coordinator è una banca d’affari o altro intermediario finanziario autorizzato a svolgere
servizi di collocamento, ovvero organizzare il consorzio di intermediari che hanno il compito
di collocare i titoli presso il pubblico. Inoltre, supporta la società nella preparazione dei
documenti necessari alla quotazione, nell'organizzazione dei road show e della fase di
bookbuilding, nell'attuazione dell'offerta pubblica dei titoli e dell'eventuale stabilizzazione
dell'andamento del titolo nel primo mese di negoziazione.
8 Art. 2.3.1 del Regolamento di Borsa Italiana.26
Per la quotazione é obbligatorio il contributo di una società di revisione tenuta ad attestare
la veridicità e la correttezza dei bilanci dell’emittente e l’attendibilità delle informazioni
riportate nel prospetto informativo. Il revisore emette una o più comfort letter, dopo aver
provveduto ad analizzare i budget ed i dati previsionali di cui esprime il livello di affidabilità
ed analizza le procedure di reporting e controllo, giudicando la loro idoneità a comunicare
tempestivamente dati economico-finanziari al management.
Alcuni segmenti del mercato (STAR e AIM) richiedono una ulteriore figura, quella dello
specialist, che ha il compito di sostenere la liquidità del titolo, acquistando e vendendo una
certa quantità di azioni al giorno, in un range di prezzi definito in termini percentuali dal
regolamento di borsa. Lo specialist, come lo sponsor, deve fornire almeno due analisi
finanziarie all’anno ed organizzare altrettanti meeting tra i manager aziendali e la comunità
finanziaria. Tale ruolo può essere ricoperto anche dallo sponsor.
Collaborano alla riuscita del processo di quotazione anche i consulenti legali, che assistono
società, soci ed intermediari in relazione agli aspetti di natura legale, contrattualistica e
normativa della quotazione. Essi si occupano di redigere la documentazione relativa alle
delibere assembleari pertinenti il processo di quotazione, alla due diligence legale e i
documenti relativi alla richiesta di ammissione ed offerta. I legali assistono alla redazione del
prospetto informativo di quotazione, che provvedono a depositare presso la società di
gestione del mercato e l’autorità di vigilanza.
Infine, è prassi avvalersi dei servizi di una società di comunicazione che si occupa
di organizzare tutte le comunicazioni obbligatorie o facoltative nella fase precedente alla
quotazione, così come i road show e le presentazioni alle banche. L'attività di public relation
prosegue anche dopo la quotazione al fine di promuovere l’immagine dell’azienda e dei suoi
prodotti e/o servizi.
Dopo la nomina dei partner nel processo di quotazione, si effettua un kick-off meeting con
cui si avvia l’attività di due diligence approfondita sull’azienda, un’attività complessa che è
volta ad attestare la veridicità e la completezza delle informazioni riportate nel prospetto,
sotto diverse prospettive quali quella economico-finanziaria, fiscale, legale ed ambientale.
Revisori, consulenti, legali e advisor finanziari costituiscono una data room per condividere
tutte le informazioni necessarie per la stesura del prospetto informativo. Nel frattempo la
27
società esegue altre attività propedeutiche alla quotazione, tra cui la convocazione di
assemblee e consigli di amministrazione per modificare statuto, regolamento di assemblea,
struttura e composizione degli organi di corporate governance così da garantire assetti e
procedure adeguate ad una società quotata, in accordo con le best practice ed i codici di
autodisciplina. Al termine della fase di due diligence si redige una serie di documenti da
depositare presso la sede della società di gestione del mercato: il prospetto informativo, il Q-
MAT (Quotation-Management Admission Test) che illustra l’attività della società, le sue
strategie, il posizionamento di mercato ed il progetto di quotazione; si predispongono un
business plan, un documento di valutazione ed un memorandum sul sistema di controllo di
gestione. Seguono il deposito della domanda di ammissione presso la Borsa Italiana, che
entro due mesi delibera l’accettazione o il rigetto della domanda; la delibera di ammissione
ha efficacia di sei mesi ed é subordinata al deposito del prospetto presso la Consob, che ne
provvede all’autorizzazione entro due mesi, oppure sospende la decorrenza dei termini per
richiedere modifiche ed integrazioni al prospetto. Durante questa fase si conduce anche
l’attività di pre-marketing, finalizzata a verificare l’interesse verso il collocamento da parte di
potenziali investitori ed analisti, il cui feedback contribuisce a definire i dettagli dell’offerta.
Una volta approvato il prospetto informativo definitivo e ricevuto il nulla osta dalla Consob,
la società è ammessa alla Borsa ed è possibile avviare le attività di roadshow, ovvero una
serie di incontri brevi, ma molto fitti durante i quali sono presentate le caratteristiche
dell’operazione alla comunità finanziaria, incontri determinanti per definire la “forchetta” in
cui sarà compreso il prezzo di collocamento. Il prezzo di collocamento viene determinato
dopo aver raccolto gli ordini presso gli investitori istituzionali (bookbuilding) all’interno di
una banda di prezzo.
Al termine del processo di definizione del prezzo di collocamento si effettua l’offerta
pubblica volta a creare il flottante sul mercato. Le tecniche di offerta utilizzabili sono tre:
l’offerta pubblica di vendita (OPV), l’offerta pubblica di sottoscrizione (OPS) e una forma
mista, l’offerta pubblica di vendita e sottoscrizione (OPVS). L’OPV consiste nell’offerta al
mercato delle azioni detenute dagli azionisti correnti, per cui non si ha alcun effetto
sull’azienda, bensì solamente sulla composizione della compagine proprietaria. L’OPS
prevede il collocamento di azioni di nuova emissione sul mercato, quindi incide sia
sull’azienda che sulla proprietà. Infine, l’OPVS è l’offerta al mercato di azioni detenute da
parte o tutti gli azionisti correnti e di azioni di nuova emissione. Poiché sia l’OPS sia l’OPVS 28
consentono all’azienda di raccogliere nuovo capitale per intraprendere potenziali iniziative in
grado di creare valore per gli azionisti, il mercato le preferisce alle OPV, volte solamente a
garantire una modalità di realizzo agli azionisti correnti; si tratta di una conclusione coerente
con la teoria dei segnali (signalling theories).
Concluso il collocamento si avviano le negoziazioni ufficiali attraverso cui si forma il prezzo
che il mercato ritiene corretto per i titoli dell’emittente. Durante il primo mese di scambi è
possibile che sia previsto nella struttura dell’offerta un accordo per la stabilizzazione del
corso azionario: il global coordinator o lo specialist assumono una posizione corta sul
mercato, vendendo allo scoperto un certo numero di azioni dell'impresa (overallotment) ad
un prezzo prossimo al prezzo di offerta; per coprire tale posizione sfruttano una greenshoe
option, ovvero la facoltà di acquistare dall'emittente entro una certa data, generalmente
trenta giorni dall’ammissione alla quotazione, un certo ammontare di azioni ad uno strike
price pari al prezzo di collocamento. Lo schema prevede che il global coordinator non eserciti
l’opzione ed acquisti le azioni sul mercato per chiudere la posizione se il prezzo scende,
supportando così la tenuta del prezzo delle azioni di cui è arrestata o rallentata la discesa. Se
invece il prezzo delle azioni sul mercato nei giorni immediatamente successivi alla
realizzazione dell'offerta sale, la greenshoe option viene esercitata, con la conseguenza di
aumentare il flottante ed arrestare o rallentare l'ascesa del prezzo del titolo.
III.2 - La scelta del mercato
L’azienda in procinto di quotazione deve valutare diverse variabili per scegliere il mercato di
quotazione. In primo luogo, si deve determinare la localizzazione fisica del mercato
borsistico in base ai potenziali benefici ottenibili, in termini di maggiore credibilità e visibilità,
sul mercato reale in cui l’azienda opera. In secondo luogo si deve considerare la dimensione
del mercato, ovvero la sua capitalizzazione complessiva ed il numero di società emittenti,
poiché è fondamentale un sistema economico evoluto, capace di attrarre capitali da
investitori istituzionali e privati, locali ed internazionali. Molto importante risulta l’immagine
di efficienza e trasparenza attribuita al mercato perché produce effetti positivi in termini di
immagine sull’emittente. Risulta chiave anche la specializzazione del mercato sia con
riferimento alla dimensione sia al settore di appartenenza delle imprese emittenti; difatti, le
29
maggiori piazze finanziarie accanto ai mercati principali prevedono mercati e segmenti
dedicati a particolari tipologie di imprese. La specializzazione dei mercati oltre a prevedere
dei requisiti e delle procedure di quotazione diverse a seconda della tipologia di impresa
emittente, determina un consolidamento dell’immagine aziendale all’interno del settore di
riferimento.
III.3 - Borsa Italiana
Borsa Italiana Spa è la società di gestione dei mercati regolamentati italiani privatizzata nel
1998. Nel 2007 il Gruppo Borsa Italiana è confluito nel Gruppo London Stock Exchange
dando vita al principale gestore in Europa di mercati finanziari, fusione che ha dato il via ad
un processo di razionalizzazione dei mercati gestiti, al fine di sfruttare al meglio le diverse
competenze maturate dalla borsa inglese e quella italiana. Attualmente i mercati gestiti da
Borsa Italiana sono9: il Mercato Telematico Azionario (MTA), il mercato after-hour (TAH), il
Mercato Telematico dei veicoli di investimento (MIV), l’MTA International, il mercato italiano
dei derivati (IDEM), il mercato dei certificati e derivati cartoralizzati (SeDeX), il Mercato
Telematico delle obbligazioni e dei Titoli di Stato (MOT), il mercato ETF Plus, il Mercato
Alternativo degli Investimenti (AIM) ed il Mercato Alternativo dei Capitali (MAC).
Allo stato attuale del processo di razionalizzazione dei mercati, un’impresa intenzionata ad
effettuare per la prima volta una IPO può scegliere tra tre opzioni ovvero il mercato
principale dell’MTA, il nuovo mercato alternativo dell’AIM, oppure il mercato alternativo dei
capitali (MAC). Alla luce dello scarso successo oggettivo del MAC è prevedibile che i mercati
azionari gestiti in Italia prossimamente si ridurranno ai soli AIM ed MTA, considerando che
quest’ultimo è un mercato che vanta in Italia una storia consolidata e che l’AIM, introdotto
nel 2008 per replicare l’esperienza di successo conseguita in oltre quattordici anni dalla
versione inglese, si rivolge allo stesso target di società cui è devoto il MAC, ossia alle piccole
e medie imprese. Di seguito, quindi, si descrivono solamente le peculiarità dei mercati MTA
ed AIM.
9 AVVISO n.7596, Borsa Italiana, 04 Maggio 2009.
30
Per accedere al mercato principale (MTA) occorre presentare una corposa documentazione10
che comprende i bilanci regolarmente approvati degli ultimi tre esercizi, il giudizio positivo
del revisore contabile almeno sull’ultimo bilancio d’esercizio, l’elaborazione di un piano
industriale per l’esercizio in corso e i due successivi, una relazione della società di revisione
che giudica la ragionevolezza delle ipotesi su cui si basano i bilanci pro-forma e le valutazioni
contabili. Sono previsti anche requisiti formali relativi alle azioni che riguardano la libera
trasferibilità e la costituzione di un flottante di almeno il venticinque per cento del capitale al
fine di garantire liquidità al titolo. Infine, è previsto un limite di capitalizzazione minima pari
a quaranta milioni di euro, che diventano un miliardo di euro per accedere al segmento Blue
Chips.
All’interno dell’MTA una società emittente può volontariamente optare per l’adesione al
segmento titoli alti requisiti (STAR), segmento che mira a dare maggiore visibilità e liquidità
ad aziende medio-piccole, con capitalizzazione compresa tra quaranta milioni e un miliardo
di euro. Agli emittenti è richiesto di creare un flottante minimo del trentacinque per cento in
sede di IPO e almeno il venticinque successivamente, avvalendosi di uno specialist che
sostiene la liquidità del titolo. Sono altresì richiesti la nomina di un investor relator, la
pubblicazione di almeno due analisi del titolo all’anno e l’organizzazione di altrettanti
meeting e roadshow con la comunità finanziaria. Un emittente aderente al segmento STAR è
anche tenuto a pubblicare bilanci trimestrali e semestrali entro i termini dettati dal
Regolamento Consob e tradurli in lingua inglese. Infine, l’emittente deve incorporare nei
propri sistemi di corporate governance le best practices definite dal codice di autodisciplina,
con particolare riguardo al numero e all’autorevolezza dei consiglieri non esecutivi ed
indipendenti, al comitato per il controllo interno ed ai sistemi retributivi del top
management.
La decisione di Borsa Italiana e della Consob di ammettere una società alla quotazione sul
mercato principale è comunque subordinata alla soddisfazione di requisiti sostanziali che
delineano il successo di un’impresa, ovvero le prospettive di crescita e sviluppo, la capacità
di generare flussi di cassa, la credibilità dei sistemi di pianificazione e controllo, la
trasparenza e la maturità del management.
10 TITOLO 2.2, Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana, 22 Giugno 2009; SEZIONE 1A.1.1 Istruzioni al Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana, 22 Giugno 2009
31
Dal 2008 l’alternativa ad un’IPO sul mercato telematico azionario è rappresentata
dall’ammissione all’AIM Italia11 che offre un approccio regolamentare flessibile ed
equilibrato che concilia le esigenze delle imprese con quelle degli investitori. AIM Italia
riduce gli adempimenti necessari per la quotazione pur mantenendo elevati standard
qualitativi, un trade-off che si concreta in una maggiore snellezza burocratica ottenuta
sostituendo il documento di ammissione al prospetto informativo, eliminando gli obblighi di
pubblicazione dei bilanci trimestrali e la preventiva istruttoria presso la Consob.
All’emittente non sono richiesti i bilanci relativi agli esercizi precedenti, né requisiti minimi di
capitalizzazione e flottante, neppure il rispetto dei codici di autodisciplina per le norme sulla
corporate governance. La quotazione all’AIM prevede anche minori tempi di ammissione,
solo dieci giorni in luogo dei due mesi previsti per il mercato principale.
La maggiore flessibilità dei requisiti di ammissione è controbilanciata dal tipo di platea di
investitori abilitati ad aderire ad un’offerta pubblica iniziale sul mercato AIM, dagli obblighi
di trasparenza e dalla presenza di intermediari specializzati, lo sponsor ed il Nomad. In primo
luogo, almeno in sede di IPO le azioni dell’emittente possono essere sottoscritte solo da
investitori istituzionali e non retail, a meno che non sia stato pubblicato un prospetto
informativo. In secondo luogo, l’emittente ha l’obbligo di comunicare al pubblico le
informazioni price sensitive in linea con quanto previsto dal regolamento Consob, in
particolare si fa riferimento alle operazioni con parti correlate, reverse take-over ed
operazioni che modificano sostanzialmente il business. Inoltre, l’emittente è tenuto a
pubblicare le relazioni semestrali ed il bilancio in conformità ai principi contabili IAS/IFRS,
sottoponendoli a revisione contabile, dotandosi di un sito Internet sul quale fornire
gratuitamente tutte le informazioni riguardanti l’emittente.
La quotazione all’AIM è anche subordinata alla nomina di uno sponsor che segue l’emittente
sia nella fase precedente che in quella successiva all’IPO. Tale ruolo può anche essere svolto
dal Nomad12 (nominated advisor), ovvero un intermediario qualificato, iscritto in un apposito
registro tenuto da Borsa Italiana in seguito ad un processo di ammissione. Il Nomad è
indispensabile per l’accesso e la permanenza di un emittente sul mercato. Per ottenere la
qualifica di Nomad un soggetto deve possedere diversi requisiti: essere un’associazione
professionale o una società di capitali con adeguata professionalità, aver esercitato attività di
11 AIM Italia Regolamento Emittenti – giugno 2009.12 AIM Italia Regolamento Nominated Advisors – settembre 2008.
32
corporate finance per un periodo adeguato (almeno due anni) ed avere esperienza di
precedenti operazioni rilevanti. Il Nomad deve inoltre vantare un numero di dipendenti
sufficiente per svolgere le attività richieste dal regolamento e deve poter contare su key
executives con comprovata professionalità ed esperienza, oltre che soggetti a conoscenza del
quadro regolamentare e legale di riferimento.
Il Nomad è responsabile verso Borsa Italiana dell’attività di assistenza e di guida
dell’emittente negli adempimenti derivanti dal Regolamento Emittenti, sia in occasione
dell’ammissione che successivamente, per tutto il periodo di permanenza dell’emittente sul
mercato. Il nominated advisor deve intrattenere regolari rapporti con Borsa Italiana e fornire
ogni informazione che sia ragionevolmente da essa richiesta, essendo in grado di dimostrare
l’indipendenza propria e dei suoi principali esponenti aziendali rispetto all’emittente. Il
Nomad deve avere un’adeguata conoscenza dell’emittente e della sua attività, valutandone
l’adeguatezza dei membri, delle regole e delle strutture di corporate governance. Il Nomad è
tenuto ad effettuare un approfondito processo di due diligence sull’emittente e a
sovrintendere la preparazione del documento di ammissione, di cui certifica il contenuto.
Infine, verifica preventivamente i comunicati dell’emittente, accertandone la compliance alle
disposizioni dei regolamenti e monitorando la negoziazione dei titoli emessi, soprattutto se
vi sono informazioni price sensitive non pubblicate.
Recentemente un’importante modifica al regolamento dei mercati e alle istruzioni13 ha
introdotto una procedura dedicata agli emittenti quotati sull’AIM per accedere alla
quotazione sul mercato principale (MTA). In primo luogo, é stata ridotta ad un solo mese,
piuttosto che a due, la tempistica inerente la decisione di ammissione da parte di Borsa
Italiana, inoltre per gli emittenti AIM da almeno diciotto mesi non sarà più necessaria la
presentazione del documento QMAT al momento della quotazione. Con riferimento al
sistema di controllo di gestione è sufficiente una dichiarazione del Presidente dell’organo di
controllo dell’emittente, in deroga a quanto previsto per le altre società emittenti che sono
tenute a fornire il memorandum ed una attestazione dello sponsor.
Infine, sempre con riferimento alle modifiche introdotte di recente, si rileva che Borsa
Italiana ha varato una cosiddetta fast track14dedicata agli emittenti private equity backed al
13 AVVISO n.7596, A2 - Borsa Italiana - 04 Maggio 2009
14 AVVISO n.7596, A3 - Borsa Italiana - 04 Maggio 200933
fine di velocizzare il processo di quotazione. In tale contesto, é considerato VB un emittente
nel cui capitale sono presenti uno o più investitori istituzionali, da almeno due anni e con
una partecipazione superiore al trenta per cento. In virtù del contributo apportato in genere
dagli operatori di PEVC, in termini di professionalizzazione ed implementazione di sistemi di
controllo e gestione all’interno delle società partecipate, la fast track ha previsto la riduzione
dei tempi di ammissione alla quotazione, da due ad un solo mese e la semplificazione dei
documenti da presentare, ovvero schemi semplificati in luogo del QMAT ed una
dichiarazione del presidente dell’organo di controllo sul sistema di controllo di gestione, in
luogo dell’attestazione dello sponsor.
Tabella 4 - Sintesi dei requisiti di ammissione ai mercati MTA ed AIM (giugno 2009)
Standard STAR Blue ChipStoria operativa 3 anni 3 anni 3 anni Non richiesta
Flottante ingresso 25% 35% 25% Non richiestoDimensione > € 40 mil tra € 40 e € 1,000 mil > € 1,000 mil Non richiesta
Bilanci con revisione 1 (3 pubblicati) 1 (3 pubblicati) 1 (3 pubblicati) Obbligatori dopo quotazione
Cda con amministratori non esecutivi ed indipendenti
Raccomandato (Codice di Autodisciplina)
Obbligatorio (N0 da regolamento)
Raccomandato (Codice di Autodisciplina)
Non obbligatorio (dipende dalle richieste del Nomad)
Comitato di controllo interno Raccomandato (Codice di Autodisciplina)
Obbligatorio (>50% consiglieri indipendenti)
Raccomandato (Codice di Autodisciplina)
Non obbligatorio (dipende dalle richieste del Nomad)
Incentivi azionari al top management Raccomandato (Codice di Autodisciplina)
Obbligatorio (%significativa correlata agli obietti vi)
Raccomandato (Codice di Autodisciplina)
Non obbligatorio (dipende dalle richieste del Nomad)
Pubblicazione dati trimestrali Obbligatoria Obbligatoria Obbligatoria No (richieste solo semestrali)
Investor Relation manager Raccomandato Obbligatorio Raccomandato Non richiestoSito web Raccomandato Obbligatorio Raccomandato Obbligatorio
Informazioni in lingua italiana/inglese Raccomandato Obbligatoria Raccomandato Non obbligatorioPresenza dello specialist SI SI SI SI
Presenza dello sponsor SI SI SI SI (ma puó esserlo il Nomad)
Presenza del Nomad NO NO NO SIRedazione del modulo Q-MAT SI SI SI NO
Prospetto informativo SI SI SINO
(sufficiente la domanda di ammissione, non per offerte retail)
Lock-in NO NO NONon obbligatorio
(lock-in di un anno se il business non ha storia operativa)
MTA AIM
Fonte: Elaborazione propria
PARTE II – Analisi
34
Cap IV - Performance operativa delle venture backed IPO
IV.1 - Sintesi della letteratura ed introduzione all’analisi svolta
Il mercato del PEVC negli ultimi decenni, parallelamente al suo sviluppo, è stato sempre più
oggetto di attenzione da parte di ricercatori ed accademici che hanno prodotto una vasta
letteratura, focalizzata prevalentemente su due temi ovvero il ruolo che gli operatori di PEVC
giocano nel mitigare i problemi di agenzia tra azionista e manager ed il contributo offerto dal
PEVC nel finanziare la crescita e lo sviluppo economico attraverso innovazione ed attività di
R&D.
Rientra nel primo filone lo studio condotto da Megginson e Weiss (1991)15 su un campione di
640 IPO, estratto tra oltre duemila offerte pubbliche iniziali avvenute negli USA tra il 1983 ed
il 1987, che verifica l’effetto di certificazione degli operatori di PEVC. Si dimostra che la
partecipazione al capitale da parte di operatori di PEVC può essere complementare o
sostitutiva al contributo di certificazione fornito da banche d’affari e prestigiosi revisori
contabili. Altresì viene dimostrato il valore del contributo prestato dal PEVC nella riduzione
del fenomeno dell’underpricing in sede di collocamento, in altri termini lo sconto di
emissione che subiscono le azioni di emittenti VB sarebbe inferiore rispetto a quello
sperimentato da emittenti NVB. Gli autori confermano anche altre importanti conclusioni
come la riduzione dei costi diretti collegati all’emissione, dovuta principalmente alla
riduzione degli spread per servizi di underwriting prestati dalle banche d’affari ed una
maggiore capacità per l’emittente di attrarre auditors prestigiosi.
Il ruolo di certificazione di una parte terza ha valore ogniqualvolta in un mercato esista un
problema di asimmetria informativa tra il venditore ed il compratore, dunque anche in sede
di IPO perché l’emittente è interessato a collocare le proprie azioni presso investitori esterni.
In tale contesto, fintanto che il gap di informazioni di cui beneficiano gli insider non viene
colmato, trasferendo tali informazioni anche agli investitori esterni all’emittente, si crea il
presupposto per il fallimento del mercato, così come descritto da Akerlof (1970)16. Infatti,
investitori razionali comprendendo l’incentivo degli emittenti a fornire solo informazioni
favorevoli, al fine di incrementare il prezzo di emissione, tenderebbero ad offrire un prezzo
più basso del fair value delle azioni collocate, generando un meccanismo di selezione
15 Megginson W. L., Weiss K.A., (1991), ‘’Venture Capitalist Certification in Initial Public Offerings’’, The Journal of Finance 46.16 Akerlof G., (1970), ‘’The market for lemons: Quality, uncertainty and the market mechanism’’, Quarterly Journal of Economics 84.
35
avversa che condurrebbe al fallimento del mercato. Alcuni autori nell’ambito della teoria dei
segnali spiegano l’incentivo degli emittenti a fornire informazioni su base volontaria al fine di
consentire agli investitori un valido apprezzamento delle azioni offerte. Tuttavia, Gale e
Stiglitz (1989) dubitano che gli incentivi declinati dalla teoria dei segnali siano sufficienti a
correggere il comportamento opportunistico dell’emittente, poiché l’emittente non
collocando frequentemente titoli sul mercato e quindi non potendo essere sanzionato
successivamente dal mercato, quanto meno nel breve termine avrà tutto l’interesse a
manipolare le informazioni fornite agli investitori per poter massimizzare il prezzo di
collocamento.
Efficaci meccanismi di segnalazione in sede di IPO possono risultare credibili per gli
investitori esterni solo a patto che siano soddisfatte tre condizioni, ovvero che l’agente
“certificatore” detenga un capitale esposto a rischio in caso di perdita di reputazione, che il
capitale a rischio sia superiore al maggior guadagno possibile ottenibile dalla certificazione
del falso durante un collocamento ed infine, che l’apporto fornito dal certificatore sia molto
costoso per l’emittente e sia proporzionale al grado di asimmetria informativa. Con
riferimento alle predette condizioni, non solo la teoria, ma anche le ricerche empiriche
confermano che il ruolo di agente certificatore possa essere largamente ricoperto dagli
operatori di PEVC.
Infatti, gli operatori di private equity operano su base continuativa, partecipando al capitale
di più aziende, molte delle quali sono condotte a quotazione, per cui l’incentivo a fornire
informazioni manipolate si riduce essendoci il rischio di essere penalizzati in successive IPO.
A supporto della seconda condizione, Sahlman (1990)17 documenta che il ritorno degli
investimenti degli operatori PEVC è correlato all’età e alla crescita reputazionale, poiché essi
operano in un mercato molto ristretto ed esclusivo, in cui la performance è costantemente
monitorata e valutata. Infine, numerosi contributi evidenziano quanto sia costoso e difficile
per gli emittenti avvalersi del supporto di operatori di PEVC, i quali non solo sono interessati
a rendimenti annui compresi tra il 25 ed il 50 percento, a seconda del cluster cui
appartengono le aziende partecipate, ma impongono loro anche stringenti condizioni e
clausole contrattuali. Come descritto da Kaplan e Stromberg (2001)18 i venture capitalists
17 Sahlman, William, (1988), ‘’Aspects of financial contracting in venture capital’’, Journal of Applied Corporate Finance 1.
18 Kaplan S., Stromberg P, (2001), ‘’Venture Capitalists as Principals: contracting, screening and monitoring’’, American Economic Review papers and proceeding.
36
definiscono con le società partecipate accordi di rappresentanza e voto nei consigli di
amministrazione, erogano finanziamenti dilazionati nel tempo e condizionati al
raggiungimento di obiettivi, sottoscrivono azioni privilegiate e convertibili, si arrogano il
diritto di escludere l’imprenditore-azionista laddove determinati target non vengano
conseguiti. Si deduce da queste premesse che solo aziende con elevati requisiti possano
essere in grado di beneficiare dei servizi dei venture capitalists, accettandone la loro
partecipazione al capitale.
Oltre alla scrittura di contratti volti ad allineare i comportamenti delle aziende partecipate e
per evitare fenomeni di moral hazard, gli operatori di PEVC si impegnano in una scrupolosa
attività di screening dei progetti e delle imprese da finanziare prima di impegnarsi
nell’iniziativa imprenditoriale. Gompers e Lerner (1999)19 evidenziano l’impegno nell’attività
di due diligence, condotta tenendo conto sia della qualità ed adeguatezza del management
sia delle caratteristiche dell’azienda target. Tuttavia, il contributo di certificazione da parte
dei venture capitalists non si esaurisce con l’attività di screening, bensì continua dopo
l’investimento iniziale attraverso le attività di controllo e monitoring e attraverso l’apporto di
risorse in termini di relazioni e conoscenze.
Il forte interesse nei confronti dell’industria del private equity é manifestato anche da
numerosi studi che analizzano il contributo che lo stesso può avere nel finanziare la crescita
e lo sviluppo economico attraverso i canali dell’innovazione e della ricerca e sviluppo.
Hellman e Puri (2000) 20 evidenziano il ruolo degli operatori di PEVC sull’innovazione in uno
studio condotto sul mercato americano tra il 1983 ed il 1992. Gli autori evidenziano una
maggiore efficacia della spesa in ricerca e sviluppo, misurata come rapporto tra dollari spesi
e brevetti conseguiti, in quanto le aziende venture backed a parità di dollari spesi
risulterebbero in grado di conseguire dai tre ai quattro brevetti in più, rispetto
all’investimento diretto in ricerca e sviluppo. In aggiunta, gli autori sottolineano che negli
USA le aziende venture backed sarebbero in media più rapide nel lancio di nuovi prodotti e
nella professionalizzazione del business, ad esempio assumendo personale qualificato o
adottando piani di stock options. In un’indagine condotta da Kortum e Lerner (2000)21
19 Gompers P., Lerner J., (1999), “The venture capital cycle”, MIT Press.
20 Hellman T., Puri M., (2000), “The interaction between product market and financial strategy: the role of venture capital”, Review of Financial Studies 13.
21 Kortum M., Lerner J., (2000), “Does Venture Capital Spur Innovation?” Rand Journal of Economics.
37
sembrerebbe che le imprese impegnate in strategie volte all’innovazione abbiano una
maggiore probabilità di rivolgersi ad operatori di PEVC, ricevendo capitali per finanziare la
crescita; tali aziende inoltre sarebbero in grado di ridurre sensibilmente i tempi di
commercializzazione di nuovi prodotti. Tuttavia, la correlazione tra PEVC ed investimento in
innovazione resta un argomento di dibattito, infatti, secondo Gompers e Lerner (2001)22
sarebbero le imprese innovative a selezionare i venture capitalists come fonte di
finanziamento piuttosto che essere gli investimenti di tali operatori a stimolare l’innovazione
delle imprese.
La cospicua letteratura in materia si è interessata anche alle modalità di disinvestimento
degli operatori di PEVC ed in particolare alle dismissioni delle partecipazioni mediante
offerte pubbliche iniziali. I primi contributi in quest’area risalgono a Barry, Peavy e
Vetsuypens (1990) che documentano un minore underpricing nelle IPO venture-backed,
giustificando il minor sconto delle emissioni azionarie con l’effetto di certificazione. Come già
citato in precedenza Megginson e Weiss (1991) concordano con questa conclusione,
spiegando che gli emittenti venture backed si avvalgono di underwriters di maggiore
esperienza e beneficiano di minori commissioni. Studi successivi hanno approfondito i temi
della tempistica e della decisione della quotazione, evidenziando la capacità degli operatori
di PEVC di sfruttare le fasi favorevoli dei mercati finanziari per dismettere le proprie
partecipazioni mediante offerte pubbliche e sfruttare quelle sfavorevoli, caratterizzate da
basse quotazioni, per raccogliere il capitale. La capacità dei venture capitalists di saper
cogliere le opportunità offerte dal mercato, sarebbero maggiori nel caso di operatori maturi
ed esperti perché più flessibili in quanto non soggetti alla pressione di dover costruirsi un
track record alle spalle. Secondo Gompers (1996)23 infatti esisterebbe un incentivo per i
giovani venture capitalists ad adottare azioni che segnalano la loro abilità agli investitori,
un’ipotesi nota come “grandstanding” (letteralmente “farsi notare”). I giovani venture
capitalists tenderebbero a detenere minori quote di partecipazione e per una durata
inferiore rispetto ad operatori dotati di maggior esperienza, al fine di chiudere il maggior
numero possibile di operazioni. Per questa ragione però le loro offerte pubbliche
risulterebbero più scontate, un sacrificio che sarebbe giustificato dalla necessità di
22 Gompers P., Lerner J., (2001), ‘’The venture capital revolution’’, The Journal of Economic Perspectives, 145-168.
23 Gompers P., (1996), ‘’Grandstanding in the venture capital industry’’, Journal of Financial Economics, 42, 133-156.
38
capitalizzare gli investimenti in portafoglio ed intraprenderne di nuovi per accrescere la
propria storia e reputazione; al contrario operatori di più lungo corso tenderebbero a
conservare più a lungo le partecipazioni degli emittenti anche dopo la quotazione,
realizzando ritorni superiori sia in sede di collocamento, grazie al minor underpricing, che sul
mercato secondario.
Un filone minore di studi approfondisce il cambiamento nella performance operativa delle
imprese coinvolte nella transizione da private a public. Il primo contributo sul tema risale a
Degeorge e Zeckhauser (1993)24 che esaminano la performance operativa di un particolare
tipo di imprese emittenti, i reverse leveraged buyout, constatando un peggioramento degli
indicatori operativi post quotazione. Successivamente, lo studio di Jain e Kini (1994)25 che
amplia il campione di indagine a 682 IPO, comprese tra il 1976 ed il 1988, conferma le
conclusioni precedenti ovvero il declino delle performance operative delle imprese post IPO,
in un arco temporale esteso fino a cinque anni dopo l’offerta pubblica. Tuttavia, gli autori
rilevano che tale deterioramento viene ridotto nel caso di emittenti in cui l’azionista di
riferimento, nonché imprenditore, conserva quote rilevanti anche dopo la quotazione, una
conclusione questa, coerente sia con la teoria dell’agenzia26 che prevede un innalzamento
dei costi di controllo e monitoraggio dell’agente laddove si acutizzi il conflitto di interessi tra
azionisti e manager sia con la teoria dei segnali27, secondo cui la ritenzione delle azioni
comproverebbe la buona qualità dei titoli emessi.
Oltre all’investimento da parte dei manager in attività che non creano valore, gli autori
individuano altre due possibili ragioni che giustificherebbero l’involuzione dei risultati. In
primis, la tendenza a manipolare i valori di bilancio pre IPO al fine di migliorarne la
valutazione da parte degli investitori, tecnica nota come “window dressing” ed in segundis,
nella tendenza dei manager ad avviare il processo di quotazione all’apice del successo
aziendale, ovvero quando i risultati operativi non possono più essere replicati in futuro.
24 Degeorge F., Zeckhauser R., (1993), “The Reverse LBO decision and firm performance: Theory and evidence”, Journal of Finance 48.
25 Jain B.A., Kini O., (1994), “The post-issue operating performance of IPO firms”, Journal of Finance 49.
26 Jensen M., Meckling W., (1976), “Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs and ownership structure”, Journal of Financial Economics 3.
27 Leland H.E., Pyle D., (1977), “Information asymmetries, financial structure, and financial intermediation”, Journal of Finance 32.
39
In un contributo successivo Jain e Kini (1995)28 testano l’ipotesi del deterioramento delle
performance operative post IPO in un campione di imprese partecipate da operatori di PEVC,
assodato che tali soggetti, per le ragioni evidenziate in precedenza nel paragrafo, avrebbero
un minor incentivo ad adottare comportamenti opportunistici. Lo studio condotto su un
campione costituito da 272 IPO avvenute negli USA tra il 1976 ed il 1988 conferma il trend
generale del declino dei risultati operativi in seguito alla quotazione, tuttavia dimostra che il
deterioramento dei risultati operativi è significativamente inferiore nel campione di imprese
venture backed.
IV.2 - Ipotesi dell’analisi
Il lavoro di ricerca si è posto l’obiettivo di valutare il contributo della partecipazione di
operatori di PEVC nel capitale di società non quotate nel periodo che precede la quotazione
ed in quello immediatamente successivo. L’analisi è stata sviluppata in coerenza con i
contributi della letteratura già citati in precedenza, per cui la questione è stata illustrata da
due diverse prospettive, approfondendo in primo luogo l’impatto della presenza di operatori
di PEVC sulle performance operative delle società partecipate ed in secondo luogo
l’incidenza della loro partecipazione azionaria sul pricing del collocamento in sede di IPO. In
sintesi, quindi, sono state verificate l’ipotesi di una superiore performance operativa e
l’ipotesi di un minor sconto sul prezzo di collocamento delle azioni delle aziende venture
backed.
Nell’ambito della prima prospettiva sono stati selezionati per l’analisi alcuni quozienti di
bilancio, impiegati in letteratura e nella prassi della valutazione aziendale per esprimere
giudizi di economicità sulla gestione di un’azienda. Per ogni quoziente sono stati condotti
test statistici per evidenziare eventuali divergenze significative tra il sottogruppo delle
aziende venture backed e quello delle non venture backed. Nello specifico sono stati
impiegati indicatori riconducibili a quattro aree di analisi: la redditività, la solidità, l’efficienza
e lo sviluppo. Tutti gli indicatori sono stati calcolati rapportando le poste risultanti dai bilanci
di fine esercizio.
28 Jain B.A., Kini O., (1995), “Venture Capitalist Participation and the Post-issue Operating Performance of IPO Firms”, Managerial and Decision Economics, 16.
40
La prima area di studio è stata la redditività, che misura la capacità dell’azienda di produrre
reddito, ovvero di remunerare tutte le condizioni di produzione impiegate dalla gestione. In
questo ambito rientrano quozienti quali il ROE, il ROI ed il ROS. É stato altresì analizzato il
quoziente EBITDA/CIN per misurare approssimativamente la capacità dell’azienda di
produrre flussi di cassa.
A sua volta la redditività è influenzata dalla solidità aziendale, ossia dalla capacità
dell’azienda di far fronte ai propri impegni di medio e lungo termine verso i propri
finanziatori. La verifica della sostenibilità della struttura finanziaria adottata dai singoli
emittenti è stata condotta valutando l’andamento della leva aziendale, misurata con il
quoziente D/PN e l’andamento del rapporto di copertura EBIT/OF.
L’efficienza gestionale è stata analizzata attraverso il quoziente che misura il turnover
dell’attivo.
La dimensione dello sviluppo aziendale è stata esaminata attraverso il tasso di crescita del
fatturato aziendale, misura dell’efficacia competitiva ed il tasso di crescita dei livelli
occupazionali, misura della dimensione organizzativa.
Nonostante il lavoro sia stato incentrato sullo studio degli indici, è stata condotta comunque
un’analisi sui prezzi delle azioni collocate sul mercato, al fine di offrire un metodo di
controllo che confutasse le conclusioni derivanti dall’analisi dei quozienti di bilancio. É stata
quindi verificata un’ipotesi frequentemente caldeggiata dalla letteratura, ovvero l’ipotesi di
un minor underpricing che caratterizzerebbe le offerte pubbliche sostenute da operatori di
PEVC rispetto a quelle in cui la presenza di tali operatori risulta assente.
IV.3 - Dati e metodo di analisi
La ricerca è stata condotta su un campione di aziende quotate nei mercati gestiti da Borsa
Italiana tra il 2000 ed il 2006. Per ciascun emittente sono stati analizzati i dati di bilancio
relativi agli esercizi conclusi nel periodo t-3 e t+3, ovvero in un arco temporale di sette anni
incentrato sull’esercizio T, anno in cui avviene la quotazione. Per ampliare il campione al fine
41
di garantire maggiore significatività all’analisi, sono stati inclusi anche gli emittenti quotati
nel 2006, per i quali tuttavia non è stato possibile includere i dati di bilancio dell’esercizio
2009.
Per la costruzione del database sono state adoperate più fonti informative tra cui la banca
dati AIDA che è stata impiegata per reperire i dati di bilancio riferiti prevalentemente agli
esercizi successivi alla quotazione. I valori relativi ai bilanci chiusi nei tre esercizi precedenti
l’IPO sono stati ricavati dai prospetti di quotazione di ciascun emittente, rinvenuti nei siti
Internet della Consob, di Borsa Italiana e degli stessi emittenti. Per ricostruire la
composizione dell’azionariato pre e post ammissione al mercato, le caratteristiche
dell’emissione e dei soggetti presenti nella compagine proprietaria sono state altresì
integrate informazioni derivate dalla banca dati Zephyr e dall’archivio disponibile sul portale
IPO.it. Infine, i prezzi di chiusura contrattazioni impiegati per calcolare l’underpricing sono
stati estratti dalla banca dati Datastream.
Il lavoro è stato sviluppato importando le principali voci di bilancio relative agli emittenti in
un database, attività cui ha seguito il calcolo degli indici di bilancio oggetto dell’analisi; il
database risultante comprendeva un numero di fogli di lavoro pari al numero delle società
incluse nel campione.
Successivamente per condurre i test di verifica delle ipotesi è stato impiegato il software di
statistica SPSS nel quale sono stati inseriti, per ciascun anno considerato, i valori delle
variabili operative precedentemente calcolati. È stato quindi generato un database che
contenesse un numero di variabili pari al prodotto delle misure di performance oggetto di
studio, per il numero di anni considerati. Tali variabili risultavano composte da un numero di
rilevazioni pari all’ampiezza dell’intero campione ed includevano sia il sottogruppo degli
emittenti venture backed che quello dei non venture backed.
Una volta sviluppato il foglio di lavoro finale, per ciascuna variabile sono stati elaborati
boxplot che consentissero di individuare ed escludere i valori estremi e gli outlier che, se
inclusi, avrebbero distorto le misure di tendenza centrale come la media. Solo a questo
punto è stato possibile effettuare le analisi statistiche necessarie per verificare le ipotesi
formulate.
Per ipotesi statistica si intende una qualunque congettura riguardante una o più
caratteristiche ignote di una variabile casuale assunta per interpretare il fenomeno oggetto
di studio. Tali congetture possono riguardare la forma della distribuzione della variabile,
42
ovvero la sua funzione di ripartizione, così come il valore che deve assumere un ignoto
parametro che caratterizza la variabile (ad esempio la media campionaria); analogamente
costituisce un’ipotesi statistica la congettura secondo cui le componenti di una variabile
casuale bidimensionale (X,Y) sono fra loro indipendenti.
Espressa un’ipotesi statistica si tratta di verificarla e ciò si effettua con un test statistico, ossia
una procedura mediante la quale si perviene, sulla base dei risultati campionari,
all’accettazione o al rifiuto dell’ipotesi emessa. Il meccanismo di funzionamento di un test di
significatività, secondo l’accezione originaria di Fisher, presuppone l’emissione di un’ipotesi
H0, detta ipotesi nulla e di un’ipotesi contrapposta H1, detta ipotesi alternativa. La procedura
consiste nel verificare l’ipotesi nulla, che sulla base delle osservazioni campionarie può
essere rifiutata o accettata; tuttavia, l’accettazione di H0 non significa necessariamente che
l’ipotesi sia vera, così come il rifiuto di H0 non implica necessariamente che l’ipotesi sia falsa.
Infatti, un test statistico non può mai garantire la certezza delle conclusioni in quanto queste
si caratterizzano sempre per un intrinseco grado di incertezza.
Per valutare le conclusioni dei test condotti é stata impiegata la tecnica del p-value, che
consiste nell’accettare l’ipotesi nulla se il p-value risulta maggiore o uguale al livello di
significatività α, oppure nel rifiutarla se il p-value è minore. Il p-value esprime la probabilità
di osservare dei valori della statistica test uguali o superiori a quello calcolato sulla base del
campione, quando l’ipotesi H0 è vera. Il coefficiente α noto come livello di significatività del
test, esprime la probabilità di commettere un errore di primo tipo, ovvero rifiutare l’ipotesi
nulla quando questa é vera. Solitamente α è posto pari a 0,10 o 0,05 o 0,01, per cui è chiaro
che la decisione di rifiuto dell’ipotesi nulla é tanto più plausibile quanto minore risulta il p-
value associato al test, quindi minore la probabilità di commettere errori.
In generale le ipotesi enunciate nell’analisi sono volte a verificare se la partecipazione degli
operatori di PEVC risulta neutrale rispetto alle performance operative e al prezzo di
collocamento registrate dalle imprese venture backed rispetto a quelle non venture backed.
Questo obiettivo si traduce in pratica nel verificare l’uguaglianza delle statistiche dei due
campioni, quelle delle imprese venture backed e quelle delle non venture backed. La
significatività delle conclusioni è valutata eseguendo due test per campioni indipendenti: il
test T di Student ed il test di Wilcoxon-Mann-Whitney.
Il primo rientra nella categoria dei test statistici di tipo parametrico poiché ipotizza nota la
funzione di ripartizione della variabile casuale studiata ed in particolare presuppone una
43
distribuzione normale della stessa. Quindi ponendo X1 e X2, le variabili casuali indipendenti
che rappresentano rispettivamente il campione delle imprese venture backed e quello delle
imprese non venture backed, con distribuzione normale N(µ1,δ1) e N(µ2,δ2), medie µ1, µ2 e
varianze δ12 , δ2
2 ignote, è stata verificata l’ipotesi dell’uguaglianza delle medie: H0: µ1=µ2 per
ogni indicatore oggetto dell’analisi.
Per assicurare maggiore robustezza alle conclusioni è stato altresì condotto il test di
Wilcoxon-Mann-Whitney, che rappresenta l’analogo test non parametrico rispetto al t di
Student. Un test non parametrico non impone alcuna ipotesi sulla forma della distribuzione
della variabile casuale, per cui può rivelarsi più utile in certe circostanze come quando non si
è certi della condizione di normalità oppure quando esistono numerosi outliers e quando il
campione non è sufficientemente numeroso tanto da poter ipotizzare che la variabile si
distribuisca asintoticamente come una normale. Infatti per il teorema del limite centrale si
può supporre che una variabile si distribuisca secondo una normale, consentendo
l’applicazione del test t di Student, quando il campione è sufficientemente ampio, ovvero
composto da almeno 50 elementi. Al contrario i test non parametrici sono più indicati per
campioni di dimensione ridotta e poiché convertono i dati ponderali in ranghi, ovvero in
graduatorie ordinali che prescindono dalla forma della distribuzione, si rivelano più robusti
alle variazioni delle osservazioni che compongono il campione. Quindi, fissando X1 e X2 le
variabili casuali indipendenti che rappresentano rispettivamente il campione delle imprese
venture backed e quello delle imprese non venture backed, aventi la stessa forma funzionale
ignota Φ1(x) e Φ2(x) e diverse eventualmente solo per una traslazione che sposta le due
mediane θ1 e θ2, è stata verificata l’ipotesi dell’uguaglianza delle mediane H0: ∆=(θ2-θ1)=0 per
ogni indicatore oggetto dell’analisi.
IV.4 - Il campione
Il campione analizzato comprende 83 offerte pubbliche iniziali avvenute tra il 2000 ed il 2006
sui mercati gestiti da Borsa Italiana, IPO che sono state estratte da una popolazione
complessiva di 135 aziende quotate in Italia nello stesso periodo. Per comporre il campione
44
di indagine sono state escluse dall’intera popolazione alcune aziende, per le ragioni illustrate
di seguito.
Gli emittenti di natura finanziaria (20) sono stati esclusi poiché gli operatori di PEVC, in Italia
ed in Europa in genere, sono “veicoli giuridici” costituiti spesso da banche ed istituti
assicurativi, quindi non avrebbe senso valutare l’impatto del private equity su tale segmento
di IPO.
Sono state escluse le aziende (12) che nel periodo T,t+3 hanno subito un delisting a seguito di
offerte pubbliche di acquisto (OPA) finalizzate alla fusione o incorporazione.
Infine sono state escluse le aziende (3) che nei tre anni successivi alla quotazione hanno
avviato un processo di liquidazione e le aziende (17) per le quali mancavano i dati di bilancio
relativi agli esercizi compresi tra t-3,t+3 principalmente perché costituite entro i due anni
precedenti la quotazione.
All’interno del campione di 83 IPO analizzato sono stati individuati due sottogruppi, 53
imprese non venture backed e 30 imprese venture backed, qualificati in base alla presenza
nella compagine azionaria di operatori PEVC che detengono al momento dell’offerta
pubblica iniziale una partecipazione rilevante, pari ad almeno il due per cento del capitale.
L’individuazione degli operatori di PEVC è avvenuta incrociando le informazioni riportate nei
prospetti informativi degli emittenti con quelle ricavate dall’AIFI, l’associazione italiana del
private equity e venture capital, che raggruppa gran parte degli operatori di settore in Italia.
Tabella 5 – Numero di IPO in Italia nel periodo 2000-2006 e composizione del campione
Anno N0 IPO2000 45 28 33,73% 19 35,85% 9 30,00%2001 18 15 18,07% 11 20,75% 4 13,33%2002 10 3 3,61% 2 3,77% 1 3,33%2003 5 3 3,61% 1 1,89% 2 6,67%2004 11 7 8,43% 4 7,55% 3 10,00%2005 20 11 13,25% 7 13,21% 4 13,33%2006 26 16 19,28% 9 16,98% 7 23,33%
135 83 100% 53 100% 30 100%
Campione NVB VB
Fonte: Elaborazione dati AIFI, IPO.IT
La Tabella 5 e la Figura 4 illustrano la distribuzione delle IPO avvenute in Italia tra il 2000 ed il
2006 e descrivono la composizione del campione, scomposto nei due sottogruppi degli
emittenti NVB e VB. Il campione risulta composto prevalentemente da aziende quotate in
due finestre temporali, il periodo 2000-2001 caratterizzato dalla Internet bubble ed il
45
periodo di crescita economica degli anni 2005-2006. Il campione estratto riflette i trend
evidenti nell’intera popolazione, in particolare si denotano tre aspetti interessanti. In primis,
si rileva una evidente correlazione tra l’andamento del ciclo economico ed il numero di IPO,
tale per cui la propensione delle società a quotarsi cresce negli anni di espansione
economica e diminuisce nelle fasi recessive. Un altro aspetto rilevante da evidenziare è il
forte contributo del PEVC allo sviluppo del mercato finanziario italiano dal momento che,
almeno un’offerta pubblica iniziale su tre è promossa da emittenti venture backed. Infine è
interessante osservare il numero delle IPO venture backed rispetto al numero delle non
venture backed negli anni 2003-2004, ovvero negli anni che precedono la ripresa economica.
Questa osservazione è nota nella letteratura, che riconosce agli operatori di PEVC la capacità
di cogliere in anticipo i segnali di ripresa dell’economia.
Figura 4 - Numero di IPO in Italia nel periodo 2000-2006 e composizione del campione
Fonte: Elaborazione dati AIFI, IPO.IT
La tabella seguente illustra l’analisi condotta sulla variabile Età emittenti, calcolata come
differenza tra l’anno di quotazione e l’anno di costituzione della società. Come attestano i p-
value relativi ai test di significatività condotti, non è evidente alcuna differenza sostanziale
tra medie e mediane dei due campioni, deducendosi che in Italia non si rileva alcun
contributo significativo degli operatori di venture capital alla crescita delle aziende “giovani”.
Tale conclusione è coerente con le osservazioni già illustrate nella Figura 2, secondo cui in
Europa rispetto al modello anglosassone il contributo alle aziende in fase di start-up e
crescita iniziale è minore, con una preferenza degli operatori PEVC a partecipare quasi
esclusivamente business consolidati.
Tabella 6 – Analisi della variabile “Età emittenti”
46
Variabile Etá emittenti Campione NVB VB
Media 14,33 13,88 15,19
Mediana 13,44 13,09 15,38
Significativitá T-Student 0,574
T-Wilcoxon 0,614
Nel periodo 2000-2006 hanno scelto di ricorrere alla quotazione aziende con un’età
compresa tra tredici e quindici anni, quindi con un consolidato track record operativo alle
spalle. In tale contesto le aziende venture backed registrano valori più elevati sia in termini di
media che di mediana rispetto alle imprese che non lo sono.
La Figura 5 mostra la distribuzione per settori economici delle IPO componenti il campione. I
settori che maggiormente hanno contribuito al mercato delle IPO e che rappresentano circa
metà del campione sono riconducibili all’industria tradizionale, alla produzione di impianti e
macchinari, alle utilities, al tessile e alla moda; inoltre è notevole il contributo delle aziende
tecnologiche e di software, che hanno sfruttato il boom dei mercati finanziari tra il 2000 ed il
2001. Per quanto concerne le scelte di investimento degli investitori istituzionali, si osserva
che il tecnologico, la distribuzione e la produzione di impianti e macchinari sono i settori in
cui gli operatori di PEVC hanno contribuito maggiormente. Invece si sottolinea l’assenza di
IPO venture backed appartenenti ai settori immobiliare, petrolifero, delle utilities e delle
telecomunicazioni, ovvero in quei settori influenzati direttamente ed indirettamente dallo
Stato.
47
Figura 5 – Distribuzione settoriale del campione di IPO
La Figura 6 illustra le differenti scelte dei campioni VB e NVB in merito alle tecniche di offerta
pubblica iniziale adottate. Coerentemente con quanto esposto nel paragrafo dedicato al
processo di quotazione, l’offerta pubblica di vendita e sottoscrizione rappresenta la tecnica
di offerta privilegiata per entrambi i sottogruppi. Infatti, più di un’IPO su due avviene
secondo offerta pubblica di vendita e sottoscrizione, una proporzione che si accentua nel
campione delle imprese venture backed. Le offerte pubbliche di sola sottoscrizione
costituiscono più di un terzo delle IPO, mentre le offerte pubbliche di vendita ricoprono un
peso molto contenuto. Interessante è il confronto tra i due campioni, da cui si evince che nel
campione VB rispetto al campione NVB la percentuale di OPVS è piú elevata, mentre risulta
inferiore la percentuale delle OPV. Tale osservazione puó suggerire una maggiore sensibilitá
degli operatori di PEVC verso le problematiche poste dalla teoria dei segnali secondo cui
l’offerta pubblica di vendita non sarebbe una tecnica di offerta ottimale poiché sarebbe
penalizzata dal mercato che riconosce i rischi di moral hazard dell’azionista venditore. Per
48
queste ragioni, qualora nella compagine proprietaria ci siano azionisti intenzionati a vendere
le proprie quote per realizzare il proprio investimento tramite IPO, la soluzione dell’OPVS
sembrerebbe preferibile.
Figura 6 – Tecniche di offerta
10.26%
34.62%
55.13%
Campione
OPV OPS OPVS
11.76%37.25%
50.98%
NVB
OPV OPS OPVS
7.41%
29.63%6
2.96%
VB
OPV OPS OPVS
Per concludere l’analisi descrittiva del campione si riportano le misure di sintesi, media e
mediana, relative alle quote di partecipazione detenute dagli operatori di private equity nel
capitale delle società emittenti. Il campione di analisi attesta che in media le partecipazioni
dei venture capitalist ammontano a circa il 30% del capitale, quote che in seguito alla
quotazione si riducono a circa 12,52% in media sia per l’effetto diluitivo dell’aumento di
capitale spesso connesso alle IPO, che per la vendita delle azioni detenute in sede di
collocamento. I valori esposti ipotizzano l’esclusione della Greenshoe per cui tengono conto
solo delle azioni cedute direttamente nel processo di collocamento, É verosimile ipotizzare
che la quota detenuta dagli operatori PEVC si riduca ulteriormente a seguito dell’esercizio
della Greenshoe option e successivamente anche per le vendite effettuate sul mercato al
termine del lock-up period.
Tabella 7 – Retention delle partecipazioni detenute dagli operatori PEVC
Quota PEVC pre-IPO post-IPO
media 30,35% 12,52%mediana 25,09% 8,68%
49
IV.5 - I risultati dell’analisi
IV.5.1 - La redditività
Il ROE (return on equity) é l’indicatore di massima sintesi delle performance della gestione di
impresa, che misura il risultato economico al netto degli oneri finanziari e delle imposte,
destinato alla remunerazione del capitale apportato dagli azionisti. Calcolato come rapporto
tra utili e patrimonio netto della società, risulta un indice in grado di riflettere tutte le scelte
aziendali ed i fenomeni di mercato relativi ad ogni area di gestione. Sul numeratore incidono
la gestione operativa, quella degli investimenti, dei finanziamenti e quella tributaria; il
denominatore riflette in particolare le scelte di leva finanziaria e la politica dei dividendi.
Il ROE, esprimendo il rendimento contabile di periodo del capitale di rischio, è anche un
indicatore importante per stimare il valore fondamentale di un’azienda dalla prospettiva
equity side; infatti, moltiplicando il ROE per il valore di libro per azione (BookValue per share)
si ottiene l’utile per azione (EPS), impiegato per calcolare un importante multiplo di mercato,
il Price to Earnings (PE
).
Figura 7 – Analisi del ROE
ROE media T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 9,04% 10,12% 16,50% 5,76% 5,77% 3,47% 4,22%VB 2,19% 9,82% 16,03% 5,86% 5,59% -0,16% -2,78%
Significativitá T-Student 0,1541 0,9074 0,9091 0,9650 0,9484 0,3331 0,2218
ROE mediana T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 3,00% 6,18% 6,52% 4,44% 5,79% 5,30% 4,65%VB 8,47% 12,86% 20,80% 4,75% 6,49% 5,91% 1,41%
Significativitá T-Wilcoxon 0,5237 0,8898 0,8265 0,9163 0,6194 0,8370 0,4622
50
La Figura 7 illustra i risultati dell’analisi condotta sul ROE. Coerentemente con gli studi
condotti in precedenza, l’analisi evidenzia un trend crescente della redditività per gli azionisti
nel triennio che precede la quotazione ed un trend decrescente nel periodo seguente.
Il declino post quotazione del ROE è ovviamente condizionato dall’incremento del PN
conseguente agli aumenti di capitale che spesso accompagnano un’IPO, tuttavia il calo del
ROE non si spiega solo per tale ragione tecnica, ma anche per una crescita degli utili inferiore
ai ritmi di crescita del denominatore del quoziente.
I dati rilevati mostrano un declino da livelli in media superiori al 10% fino ad un ROE medio di
circa il 3%. Focalizzandosi sulla mediana si confermano i livelli del ROE superiori al 10% nel
periodo pre quotazione per il campione VB, mentre negli anni seguenti la mediana è di circa
il 3%; nel campione NVB il valore della mediana non mostra cambiamenti rilevanti dovuti alla
transizione verso i mercati regolamentati.
L’aspetto più importante emerso dall’analisi sono i p-value corrispondenti ai test di
significatività che testimoniano l’assenza di differenze statisticamente significative tra le
medie e mediane dei campioni, nonostante nel periodo pre quotazione le mediane delle
imprese VB risultino nettamente superiori a quelle del campione NVB. Quindi, in conclusione
l’analisi condotta evidenzia solamente un netto declino post quotazione della performance
relativa al ROE, prescindendo dal campione di provenienza dell’emittente.
Per una maggiore comprensione della redditività per gli azionisti, l’indice può essere
scomposto come segue: ROE=⌊ROI+ (ROI−c )∗Leverage ⌋∗(1−d)∗(1−t ). Come
evidenziato dalla formula, il ROE dipende dalla redditività operativa (ROI), da “c” che
esprime il costo del debito, dalla leva che riflette la struttura finanziaria, dalla gestione non
operativa (d) e dall’incidenza delle imposte (t). Tale scomposizione evidenzia l’effetto
moltiplicativo del debito, che può esaltare la redditività per gli azionisti così come
deprimerla, a seconda che la gestione operativa sia o no in grado di remunerare il capitale,
più di quanto all’azienda costi il debito.
Il ROI (return on investment) é una misura della capacità dell’azienda di produrre reddito con
la gestione operativa. Calcolato come rapporto tra il reddito operativo (RO) ed il capitale
investito netto (CIN), il ROI esprime la redditività del capitale investito, indipendentemente
dalle fonti utilizzate. Questo indice, dopo aver apportato opportune modifiche, consente di
51
misurare un importante indicatore, l’EVA (economic value added) che misura la capacità di
un’azienda di creare o distruggere valore per tutti i finanziatori.
Figura 8 – Analisi del ROI
ROI media T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 4,84% 6,05% 6,01% 5,99% 5,65% 3,15% 2,01%VB 7,34% 8,11% 8,34% 6,56% 4,93% 5,67% 2,81%
Significativitá T-Student 0,0918* 0,0980* 0,0908* 0,6388 0,5864 0,0954* 0,6596
ROI mediana T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 3,05% 4,67% 5,41% 4,73% 4,25% 4,06% 4,63%VB 7,83% 8,06% 9,82% 6,39% 6,84% 7,74% 4,81%
Significativitá T-Wilcoxon 0,0664* 0,0933* 0,2347 0,4905 0,7896 0,1135 0,9142
L’analisi esposta nella Figura 8 rivela dati molto interessanti. Come il ROE anche il ROI si
caratterizza per un trend crescente nel triennio precedente la quotazione ed un
peggioramento nel periodo successivo; lo confermano sia l’andamento della media che
quello della mediana a prescindere dal sottogruppo considerato. Il declino del ROI è dovuto
all’incremento degli asset aziendali, ovvero il denominatore dell’indice, generalmente in
crescita dopo gli apporti di capitale associati alle IPO. Poiché non sempre il management è in
grado di gestire in modo efficiente le risorse acquisite, cedendo spesso alla tentazione di
impiegarle in attività che non generano un rendimento adeguato a creare valore per gli
azionisti, il reddito operativo non cresce al ritmo degli investimenti.
Consistenti sono i risultati dei test statistici che attestano una performance
significativamente superiore del campione VB rispetto a quello NVB, sia in termini di media
che di mediana. Su sette anni analizzati, in ben quattro anni i livelli di confidenza risultano
superiori al 90% per la media e due volte per la mediana. In particolare si nota che nel
periodo t-3-T, ovvero nel periodo in cui gli operatori PEVC in qualità di azionisti esercitano più
marcatamente l’attività di controllo e monitoraggio, la sovra performance delle imprese
venture backed è evidente.
52
Infatti, il campione VB nel primo triennio vanta un ROI di circa l’8-9% a fronte del circa 4-5%
che caratterizza le aziende NVB. Per quanto concerne invece il periodo post IPO, le
differenze tra i campioni si attenuano ed i livelli declinano, attestandosi al 4-5% per il
campione VB fino al 3-4% del campione NVB.
Lo studio della redditività prosegue approfondendo la scomposizione
ROI=
ROVendite
∗Vendite
CIN da cui si evidenziano le componenti della redditività operativa: il
ROS (return on sales), il primo fattore che esprime la redditività delle vendite ed il secondo
fattore, il turnover dell’attivo che esprime quante volte il capitale investito in un anno gira
per effetto delle vendite.
Figura 9 – Analisi del ROS
ROS media T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 5,69% 8,18% 9,40% 9,94% 9,27% 5,96% 4,26%VB 7,14% 8,74% 9,17% 9,06% 6,05% 3,90% 4,89%
Significativitá T-Student 0,4052 0,7078 0,8704 0,6180 0,1226 0,4006 0,7888
ROS mediana T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 3,17% 5,96% 7,27% 6,88% 5,75% 6,66% 5,26%VB 6,53% 6,88% 8,89% 7,95% 7,71% 7,38% 4,97%
Significativitá T-Wilcoxon 0,3854 0,5282 0,9034 0,7467 0,2708 0,6509 0,8019
L’andamento del ROS evidenziato in Figura 9 non mostra differenze significative tra il
campione VB e quello non VB. Un’analisi dinamica conferma, in linea con quanto mostrato
dagli altri indici di redditività, un costante miglioramento negli anni che precedono la
quotazione ed un altrettanto costante declino negli anni avvenire. Numerose possono essere
le cause di tale andamento, ad esempio il calo del ROS può essere sintomatico di una
compressione dei margini operativi dovuta alla maggiore concorrenza dei competitors,
oppure può essere dovuta alle maggiori quote di ammortamento dei nuovi investimenti fissi,
che abbattono l’EBIT. Tuttavia, come dimostra la crescita del fatturato di seguito riportata, la 53
principale spiegazione del calo riportato dal ROS può essere ricondotta ad una crescita meno
che proporzionale del reddito operativo rispetto ai tassi di sviluppo delle vendite
estremamente elevati nel periodo T-T+3.
Per concludere lo studio della redditività si analizza il quadro di analisi riferito al quoziente
EBITDACIN
; tale indicatore può essere impiegato per misurare approssimativamente la
capacità dell’azienda di produrre flussi finanziari. L’EBITDA (earnings before interests, taxes,
depreciation and amortization) è il saldo risultante dalla differenza tra ricavi netti e costi
operativi e non include costi non monetari come ammortamenti e svalutazioni, oneri
finanziari né tasse. L’EBITDA è impiegato come base di partenza per la stima del free cash
flow aziendale (FCF), misura che considera anche l’ammontare degli investimenti in capitale
circolante ed immobilizzato, oltre che l’effetto fiscale.
L’importanza di questa analisi deriva dal fatto che il FCF, di cui l’EBITDA è determinante,
costituisce una misura imprescindibile per gli analisti intenti a stimare il valore intrinseco di
un’azienda, valore fondamentale che a sua volta rappresenta un parametro di controllo per
chi cerca di attribuire un fair value alle azioni di una società destinata a quotarsi su mercati
regolamentati.
Figura 9 – Analisi del quoziente EBITDA
CI
EBITDA/IC media T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 10,15% 11,06% 13,17% 9,61% 9,96% 8,73% 8,49%VB 13,74% 14,15% 15,03% 10,37% 9,43% 9,02% 7,59%
Significativitá T-Student 0,0847* 0,0898* 0,3569 0,5518 0,6977 0,8082 0,4517
EBITDA/IC mediana T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 7,85% 9,26% 9,97% 7,47% 8,58% 8,06% 9,36%VB 11,77% 13,04% 13,04% 9,76% 9,09% 10,05% 6,95%
Significativitá T-Wilcoxon 0,1321 0,0850* 0,2510 0,4544 0,9456 0,5112 0,3973
54
L’andamento evidenziato nella Figura 9 conferma le osservazioni dedotte dalla precedente
analisi del ROI. L’indicatore mostra per entrambi i campioni un miglioramento nel periodo
precedente l’IPO, sia in termini di media che di mediana, tuttavia ad eccezione dell’esercizio
in cui avviene l’IPO non si registra un declino significativo nel periodo post quotazione così
come avviene per il ROI. Questo dato può suggerire effettivamente che il calo del ROI dopo
la quotazione sia da imputare in buona parte all’incremento dell’incidenza degli
ammortamenti dei nuovi investimenti sul reddito operativo.
Con un livello di confidenza superiore al 90% i test statistici condotti evidenziano per le
aziende venture backed una migliore performance dell’indice solo nel periodo pre IPO.
Le evidenze dell’analisi suggerirebbero una maggiore valorizzazione delle aziende VB rispetto
alle aziende NVB in sede di IPO, dovuta ad una superiore capacità di generazione di flussi di
cassa. Ovviamente per stimare correttamente il valore di un’azienda sarebbe necessario
calcolare il costo del capitale aziendale, espressione del profilo di rischio correlato ai flussi di
cassa aziendali.
IV.5.2 - La solidità
La solidità patrimoniale evoca il concetto di grado di dipendenza verso i terzi finanziatori
poiché un’azienda non in grado di autofinanziare i propri investimenti e la propria gestione
deve necessariamente ricorrere a nuovo debito oppure richiedere l’intervento degli azionisti.
La letteratura ha formalizzato in un’equazione il fabbisogno finanziario esterno necessario a
garantire continuità di gestione ad un’azienda:
FFEt=V t−1∗{⌊( ∆VV t−1
∗WC
V )+∆OFAV t−1
⌋−FCF t
V t−1}
L’espressione evidenzia come il deficit/surplus finanziario in un esercizio dipenda dalla
differenza tra impieghi e fonti; i tre fattori da considerare sono la crescita del fatturato, che
può assorbire o liberare risorse finanziarie mediante il capitale circolante, la politica degli
investimenti in struttura ed il flusso di cassa della gestione. Il flusso di cassa della gestione
può essere espresso analiticamente con la formula:
55
FCF t
V t−1
=PNV 0
∗{⌊CCF at
CIOP+(CCFat
CIOP−Gest finat
MT )∗D
PN⌋∗(1−s )∗(1−d )}
L’equazione rappresenta un’espressione più articolata ed in termini finanziari della
scomposizione del ROE illustrata in precedenza. Infatti, sono evidenziati la capacità del
business di produrre flussi di cassa correnti al netto delle tasse (CCFat), il contributo della
leva finanziaria mostrato dallo spread tra flusso di cassa corrente e flusso della gestione
finanziaria, l’effetto della gestione non operativa (1-s) e l’effetto della politica dei dividendi
(1-d).
Per apprezzare la solidità patrimoniale di un’azienda può essere impiegato l’indice di
indebitamento (DPN
), che esprime il rapporto tra passività totali e capitale proprio.
L’indebitamento può incrementare la redditività per gli azionisti, offrendo inoltre rispetto
all’equity il vantaggio della deducibilità degli oneri finanziari, un vantaggio noto in letteratura
come ‘’tax shield’’ che contribuisce a creare valore per gli azionisti. Tuttavia, un debito
elevato può comportare anche l’incremento del rischio finanziario incrementando il rischio
di default, quindi è necessario monitorare il livello dell’indice nel tempo.
Figura 10 – Analisi del Leverage
Leverage=D/PN media T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 3,37 4,16 4,03 1,38 1,69 1,65 1,41VB 3,91 4,02 3,10 1,41 1,52 1,78 2,31
Significativitá T-Student 0,4629 0,8500 0,0944* 0,8925 0,5610 0,5715 0,0107**
Leverage=D/PN mediana T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 2,18 2,22 2,09 0,81 0,87 1,09 1,11VB 2,48 2,78 2,57 0,84 1,02 1,45 1,84
Significativitá T-Wilcoxon 0,3233 0,5386 0,6520 0,1649 0,6499 0,2151 0,0126**
56
La Figura 10 illustra l’andamento del rapporto di indebitamento. Nel periodo t -3 – T il debito
si attesta in media su livelli compresi tra tre e quattro volte il patrimonio netto, rapporto che
si riduce a due considerando la mediana. In seguito alla quotazione la struttura finanziaria si
riequilibra ed il debito si riduce drasticamente, riportandosi a circa una volta e mezza
l’equity. Le analisi di significatività condotte non evidenziano differenze rilevanti tra medie e
mediane dei due campioni ad eccezione di due anni in particolare.
Nell’esercizio T-1 la media del campione VB risulta inferiore rispetto a quella del campione
NVB con un livello di confidenza superiore al 90%. Il dato è coerente con la superiore
capacità delle aziende venture backed di generare redditi e flussi di cassa, che sembra
vengano impiegati per rimborsare il debito e presentarsi al mercato con una struttura
finanziaria più equilibrata. Osservando l’analisi della mediana sembrerebbe che le aziende
VB adottino una struttura finanziaria più aggressiva rispetto alle aziende NVB, ma siano in
grado di presentarsi alla quotazione con un rapporto di indebitamento più basso.
Sorprendente è invece il dato riferito all’esercizio T+3 nel quale entrambi i test statistici
condotti suggeriscono un superiore livello di indebitamento per le aziende VB, confermato
da livelli di confidenza superiori al 95%. L’incremento rilevante del debito nel campione VB
riflette il marcato declino della redditività post quotazione già evidenziato da tutte le misure
analizzate in precedenza. La ragione di questo fenomeno potrebbe essere imputata alla
necessità per le aziende VB di finanziare nuovi investimenti che sarebbero stati rinviati prima
della quotazione per non intaccare i livelli di redditività. Tale conclusione, se corretta, induce
a ritenere che l’IPO costituisca per le aziende VB più una modalità di uscita dall’investimento
degli azionisti PEVC, che una vera e propria opportunità di finanziamento della crescita
aziendale.
Per valutare la sostenibilità finanziaria di un’azienda è utile impiegare indicatori come i cover
ratios, che misurano la capacità di un’azienda di servire puntualmente il debito, ovvero
remunerare e rimborsare i creditori attraverso i flussi di cassa operativi generati dalla
gestione. A tal fine si è utilizzato un indicatore uniperiodale, che permette di valutare la
compatibilità tra flussi in entrata e flussi in uscita. Il rapporto di copertura, calcolato come
EBITOF
, è tanto più favorevole quanto più elevato perché sintomatico di una struttura
finanziaria non stressata dal debito. Tuttavia il livello ottimale dell’indice, così come per il
57
rapporto debito/equity, dipende dalla composizione dell’attivo ed dal settore di
appartenenza di un’azienda.
Figura 11 – Analisi dell’ Interest Cover ratio
Interest Coverage Ratio media T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
EBIT/OF NVB 3,0500 3,6107 2,7462 2,8332 2,0998 3,5832 4,4188VB 4,4088 4,6669 3,8069 3,1404 2,9183 2,7693 2,6682
Significativitá T-Student 0,1449 0,3576 0,1534 0,6108 0,0682* 0,5088 0,2853
Interest Coverage Ratio mediana T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
EBIT/OF NVB 1,8316 2,1379 1,7551 1,8066 1,4076 1,1504 1,2933VB 2,9464 2,5522 2,6796 2,2628 2,5063 1,1953 2,0043
Significativitá T-Wilcoxon 0,0902* 0,0525* 0,0998* 0,3708 0,0620* 0,3579 0,3968
L’analisi illustrata in Figura 11 evidenzia livelli di copertura degli oneri finanziari che risultano
più elevati per le aziende venture backed rispetto al campione di controllo. Sia medie che
mediane confermano l’osservazione con un livello di confidenza superiori al 90%, in
particolare nel periodo che precede la quotazione.
Il dato ribadisce il contributo che gli operatori PEVC ricoprono in termini di monitoraggio e
controllo delle performance delle aziende partecipate. Il rapporto di copertura delle imprese
VB superiore a quello delle NVB, così come il minor rapporto di indebitamento nell’anno che
precede l’IPO, dimostra l’attenzione che gli operatori PEVC ripongono all’equilibrio della
struttura finanziaria affinché l’offerta pubblica sia apprezzata positivamente dal mercato.
IV.5.3 - L’efficienza
La terza dimensione considerata nell’analisi è l’efficienza, ovvero la capacità di un’azienda di
massimizzare il risultato avendo a disposizione una dotazione limitata di risorse. Questa area
è stata analizzata impiegando un quoziente che misura il turnover dell’attivo, VenditeCIN
, che
58
rappresenta il numero di volte che il management è in grado di far ruotare il totale degli
investimenti mediante il fatturato.
Figura 12 – Analisi dell’ Asset Turnover
Asset Turnover media T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 3,05 3,61 2,96 2,83 2,50 2,51 2,54VB 4,41 4,67 4,56 3,14 2,83 2,20 3,07
Significativitá T-Student 0,1449 0,3576 0,1385 0,6108 0,5785 0,5476 0,4555
Asset Turnover mediana T-3 T-2 T-1 T T+1 T+2 T+3
NVB 1,83 2,14 1,76 1,81 1,41 1,15 1,29VB 2,97 2,61 2,81 2,28 2,52 1,71 1,99
Significativitá T-Wilcoxon 0,0902* 0,0525* 0,0895* 0,3708 0,1553 0,6850 0,0732*
La Figura 12 evidenzia l’andamento dell’indice Asset Turnover. Una prima nota interessante
da notare è il costante declino dell’indice nel corso degli anni, nonostante non si tratti di un
calo molto marcato. Le ragioni di questo trend possono essere imputate ai nuovi
investimenti effettuati con il capitale raccolto in sede di collocamento, investimenti che
determinano la crescita dell’attivo a ritmi superiori rispetto al fatturato. Altro dato evidente
è la costante sovra performance delle aziende venture backed, che vantano
sistematicamente livelli di turnover dell’attivo superiori alle aziende non venture backed. Il
dato è confermato dal test di Wilcoxon-Mann-Whitney, che mostra per quattro anni su sette,
una differenza significativa delle mediane dei campioni con livelli di confidenza superiori al
90%.
Quindi, il management delle aziende VB risulterebbe più efficiente nella gestione di tutte le
risorse aziendali, essendo capace a parità di attivo impiegato di generare un fatturato
superiore. Tale osservazione conferma le conclusioni relative alla scomposizione della
redditività operativa precedentemente svolta, poiché rivela che la migliore performance
registrata dal campione VB in termini di ROI sia imputabile al solo andamento dell’indice
Asset Turnover e non all’andamento del ROS.
59
IV.5.4 - Lo sviluppo
La dimensione della crescita aziendale è stata analizzata da due prospettive: la crescita
competitiva e la crescita organizzativa.
L’efficacia competitiva di un’azienda è sintetizzata dalla crescita del fatturato che esprime la
coerenza tra l’offerta prodotta dall’azienda ed il fabbisogno atteso da chi domanda i prodotti
e servizi aziendali. La crescita del fatturato si manifesta sia in seguito all’aumento dei volumi
di prodotti venduti o di servizi erogati, sia come conseguenza dell’incremento dei prezzi o
tariffe praticati dall’azienda. L’incremento delle vendite costituisce un driver di valore
importante, soprattutto quando avviene ampliando la quota di mercato aziendale
relativamente ai concorrenti ed è sostenibile nel tempo se l’azienda non rinuncia ad una
equilibrata gestione del circolante, pur di incrementare il venduto.
Il volume d’affari aziendale oltre ad essere correlato all’andamento del mercato in generale,
risente anche di specifiche dinamiche che caratterizzano l’ambiente competitivo. Le vendite
sono condizionate dal ciclo di vita dei settori e dei prodotti che le aziende offrono, nonché
dal ciclo di vita dell’azienda stessa. Generalmente la dinamica descritta dai modelli del ciclo
di vita attraversa quattro stadi evolutivi: la nascita, lo sviluppo, la maturità ed il declino.
Tipicamente la scelta di approdare sui mercati regolamentati mediante IPO avviene nelle fasi
di sviluppo e maturità dell’azienda.
La crescita aziendale può essere realizzata optando per vie interne all’azienda, per vie
esterne ovvero mediante acquisizioni e fusioni (M&A), oppure attraverso collaborazioni ed
accordi contrattuali. Trasversalmente alle tipologie di crescita aziendale, le strategie di
sviluppo possono seguire diverse direttrici a seconda che avvengano nei settori/mercati in
cui l’azienda è già operante. Si distinguono quindi le strategie di crescita orizzontale che
avvengono nei mercati e settori in cui l’azienda opera, le strategie di crescita verticale
realizzate attraverso diversificazione correlata e conglomerale ed infine le strategie di
internazionalizzazione.
Tipicamente il processo di quotazione offre stimoli consistenti alla crescita per vie esterne e
collaborative, crescita realizzata in nuovi mercati nei quali si ottiene maggiore visibilità.
60
Per valutare la dimensione dello sviluppo competitivo delle aziende VB rispetto a quelle NVB
è stato impiegato un indicatore costruito come tasso di crescita cumulata del fatturato
rispetto all’anno t-3. L’indicatore così calcolato, (Vendite¿¿n−Vendite t−3)
Venditet−3,¿ avendo sempre al
denominatore un valore costante, permette di valutare il contributo che ciascun esercizio
apporta alla crescita del fatturato.
E’ importante sottolineare che il quoziente è stato calcolato sulle vendite espresse in termini
nominali e non reali, perché non si è ritenuto l’effetto dell’inflazione particolarmente
influente sulla qualità delle conclusioni dell’analisi.
Figura 13 – Analisi dello Sviluppo del Fatturato
∆ Fatt urato media T-3 - T-2 T-3 - T-1 T-3 - T T-3 - T+1 T-3 - T+2 T-3 - T+3
NVB 0,2826 0,6264 1,2822 1,7933 2,4268 3,5962VB 0,1546 0,4706 0,9109 1,1592 1,2959 1,4249
Significativitá T-Student 0,0063*** 0,1487 0,0781* 0,0301** 0,0060*** 0,0006***
∆ Fatt urato mediana T-3 - T-2 T-3 - T-1 T-3 - T T-3 - T+1 T-3 - T+2 T-3 - T+3
NVB 0,2522 0,5295 1,1328 1,3550 1,6711 2,1356VB 0,1558 0,3821 0,5422 1,0962 1,3309 1,3190
Significativitá T-Wilcoxon 0,0493** 0,3190 0,1891 0,2318 0,0547* 0,0154**
La Figura 13 evidenzia in modo inequivocabile il forte ritmo di crescita del fatturato che
contraddistingue entrambi i campioni di imprese considerate. Nell’arco di sette anni il
fatturato delle aziende NVB è cresciuto mediamente oltre tre volte e mezza, mentre nello
stesso periodo le aziende VB hanno registrato un incremento più contenuto, pari a circa una
volta e mezza, ovvero meno della metà. Considerando l’analisi delle mediane le conclusioni
sono confermate, nonostante il margine tra i campioni si riduca, infatti le aziende NVB
vantano una crescita di 2,14 a fronte dell’1,32 delle aziende VB.
I risultati dei test di significatività rivelano con forza che il campione NVB sarebbe
caratterizzato da un più consistente tasso di sviluppo del fatturato rispetto a quello delle 61
aziende VB; i p-value ottenuti dal test T di Student e dal test di Wilcoxon-Mann-Whitney
forniscono livelli di confidenza talvolta superiori al 99%.
Dal momento che i due campioni non mostrano differenze significative nell’età delle aziende
e nella composizione settoriale, tali da ipotizzare differenti stadi del ciclo di vita delle aziende
o dei settori componenti i campioni, è necessario valutare possibili chiavi alternative di
lettura dei risultati.
Il risultato potrebbe essere interpretato come una maggiore focalizzazione delle aziende
NVB sulle dinamiche commerciali, che vedono nell’incremento delle vendite un driver
fondamentale di creazione del valore. D’altro canto invece, coerentemente ai risultati
ottenuti in precedenza nell’analisi, si potrebbe ipotizzare che le aziende VB siano più
propense ad uno sviluppo graduale ed organico del volume d’affari, concentrando i propri
sforzi sul mantenimento di elevati livelli di redditività e di efficienza nell’utilizzo delle risorse
aziendali. Anche i minori investimenti sostenuti dalle aziende VB potrebbero essere una
causa del minor tasso di crescita del fatturato.
Al fine di valutare la prospettiva dello sviluppo, oltre alla dimensione competitiva è stata
analizzata la dimensione della struttura aziendale, ovvero lo sviluppo inteso come crescita
dell’organico aziendale. A tal fine è stato impiegato un indicatore costruito in modo affine a
quello impiegato per le vendite, ossia (Numerodipendenti¿¿n−Numerodipendentit−3)
Numerodipendentit−3.¿
A proposito dei livelli occupazionali, la letteratura sostiene che il private equity abbia
contribuito e contribuisca sempre più in maniera rilevante alla creazione di nuovi posti di
lavoro. Numerose ricerche empiriche hanno effettivamente dimostrato una superiore
capacità delle aziende VB di sostenere i livelli occupazionali, tuttavia gran parte di questi
contributi si concentrano sui mercati inglesi ed americani, mercati ove gli operatori PEVC
sono molto attivi nel finanziamento di imprese in fasi di start-up e crescita iniziale,
appartenenti a settori innovativi con elevate prospettive di crescita.
62
Figura 14 – Analisi dello Sviluppo del Personale
∆ Personale media T-3 - T-2 T-3 - T-1 T-3 - T T-3 - T+1 T-3 - T+2 T-3 - T+3
NVB 0,1895 0,3915 0,6869 1,4595 1,9689 2,8842VB 0,0863 0,2324 0,4186 0,6537 1,5297 1,1092
Significativitá T-Student 0,0303** 0,0492** 0,0709* 0,0055*** 0,3390 0,0218**
∆ Personale mediana T-3 - T-2 T-3 - T-1 T-3 - T T-3 - T+1 T-3 - T+2 T-3 - T+3
NVB 0,0929 0,2844 0,4692 0,6341 0,9990 0,8513VB 0,0390 0,1397 0,4022 0,5751 0,5628 0,3237
Significativitá T-Wilcoxon 0,1165 0,1580 0,3743 0,1941 0,6816 0,1602
La Figura 14 illustra l’analisi condotta sul tasso di crescita dell’occupazione nei due campioni.
Così come per la dimensione dello sviluppo del fatturato, anche per la dimensione dello
sviluppo occupazionale il campione NVB mostra una performance superiore a quello VB. Sia
media che mediana evidenziano tassi di crescita del personale per le aziende NVB che
nell’arco di sette anni incrementano il numero di dipendenti in media del 2,88 a fronte di
una crescita dell’1,11 registrata dalle aziende VB, differenze significative a livelli anche
superiori al 99%. Tuttavia, non risulta statisticamente significativa l’analisi condotta sulle
mediane che comunque conferma le conclusioni precedenti, con differenze tra i campioni
che si attenuano ed i tassi di crescita dei dipendenti che si riducono rispettivamente a 0,85
per il campione NVB e a 0,32 per il campione VB.
Il risultato dell’analisi quindi contraddice gli studi prodotti in passato dalla letteratura
anglosassone, ma come già accennato la ragione di queste divergenze potrebbe essere
imputata principalmente alle differenti composizioni settoriali dei campioni costituiti dalle
aziende venture backed.
Il dato può essere interpretato come la conseguenza di una forte politica espansiva adottata
delle aziende NVB, che sfruttano la discontinuità nella gestione prodotta dalla quotazione
per dare un forte impulso alla crescita aziendale e sul fronte esterno ampliando il giro
d’affari e sul fronte interno investendo in capitale umano. Tuttavia, questo risultato può
63
anche suggerire un’interpretazione alternativa, ovvero che le aziende VB siano in grado di
gestire meglio in termini organizzativi il processo di quotazione, anticipando di gran lunga
l’adeguamento organizzativo richiesto ad una public company.
È noto che la quotazione comporti l’insorgere di nuovi costi legati soprattutto
all’introduzione di sistemi di governance più idonei a gestire le relazioni con i mercati
finanziari. In questo senso il risultato sarebbe interpretabile come conseguenza di una più
scrupolosa pianificazione dell’iter di quotazione, implementata dalle aziende VB.
La crescita del personale a ritmi più contenuti registrata dalle aziende VB potrebbe altresì
suggerire una più attenta politica di sviluppo delle risorse umane, dal momento che le
attività di ricerca, selezione, inserimento e formazione del personale sono attività tanto
dispendiose di risorse e di tempo quanto importanti per disporre nel lungo termine di un
capitale umano valido e motivato.
IV.5.5 - L’underpricing
L’underpricing è un fenomeno che caratterizza le offerte pubbliche iniziali nei mercati
finanziari di tutto il mondo e per tale ragione è stato oggetto di numerosi studi volti ad
individuarne le cause. Per underpricing si intende la differenza tra il prezzo al quale le azioni
sono scambiate sul mercato ed il prezzo di collocamento, una differenza che rappresenta lo
sconto con il quale sono state offerte le azioni, appunto per questo underpriced rispetto al
fair value indicato dal mercato. Il collocamento a prezzi scontati costituisce una forma di
compensazione per il rischio sopportato dagli investitori sottoscrittori, un rischio la cui genesi
è stata oggetto di molteplici studi. Innanzitutto, l’underpricing è spiegato in letteratura come
una conseguenza dell’asimmetria informativa tra emittenti ed investitori, quindi determinato
dal lato della domanda per effetto del maggior rischio percepito. Un altro filone di studi
attribuisce al lato dell’offerta la causa del fenomeno, secondo Bodnaruk, Kandel, Massa e
Simonov (2004)29lo sconto offerto in sede di collocamento sarebbe funzionale agli azionisti
interessati a ridurre la propria presenza nel capitale per diversificare il proprio portafoglio di
29 Bodnaruk A., Kandel E., Massa M., Simonov A., (2005), ‘’Shareholder diversification and the decision to go public’’, European Finance Association conference.
64
investimenti. Il contributo di Habib e Ljungqvist (2001)30 suggerirebbe che l’underpricing
possa fungere da tecnica sostitutiva delle attività di promozione e marketing del titolo.
Un’altra chiave di lettura del fenomeno è proposta da Booth e Chua (1996)31 secondo cui le
azioni degli emittenti sarebbero intenzionalmente collocate ad un prezzo inferiore al fine di
ottenere una compagine azionaria frammentata in seguito all’IPO. La frammentazione
sarebbe ricercata per evitare l’ingresso di pochi soci rilevanti in grado di ingerire
notevolmente sulla gestione e per incrementare la liquidità del titolo sul mercato
secondario. Quindi la liquidità attesa ed il rischio di illiquidità sarebbero alcune delle più
importanti determinanti dell’underpricing poiché influenzerebbero il premio per il rischio
sopportato dal sottoscrittore.
In letteratura sono diversi i procedimenti adoperati per il calcolo dell’underpricing così come
l’arco temporale su cui viene calcolato. Nell’analisi condotta sono state impiegate due
accezioni di underpricing, la prima è la seguente:Underpricing=Pchiusura−Pcollocamento
Pcollocamento.
Tuttavia poiché questa espressione riflette anche l’effetto dell’andamento del mercato sul
prezzo di chiusura del titolo, l’analisi è stata condotta adottando anche una formula
aggiustata per il rendimento del mercato, modificando l’equazione precedente come segue:
Market AdjustedUnderpricing=Pchiusura−Pcollocamento
Pcollocamento
- Mt−M t−1
M t−1
Nelle formule precedenti Pchiusura rappresenta il prezzo di chiusura del primo giorno di
negoziazione del titolo sul mercato, Pcollocamento rappresenta il prezzo di emissione dell’offerta
pubblica, Mt costituisce il livello di chiusura dell’indice MIB30 nel giorno della quotazione ed
Mt-1 costituisce il livello di chiusura dell’indice MIB30 nel giorno che precede la quotazione.
30 Habib M., Ljungqvist A., (2001), ‘’Underpricing and entrepreneurial wealth losses in IPOs: theory and evidence’’, Review of Financial Studies 14.
31 Booth J., Chua, L., (1996), ‘’Ownership dispersion, costly information, and IPO underpricing’’, Journal of Financial Economics 41.
65
Figura 15 – Underpricing e Market-Adjusted Underpricing
Underpricing Campione NVB VB
Media 5,08% 7,30% 1,15% T-Student 0,0160**
Mediana 0,11% 2,86% 0,00% T-Wilcoxon 0,0800*
Market-Adjusted Underpricing Campione NVB VB
Media 5,06% 7,38% 0,78% T-Student 0,0070***
Mediana 0,74% 2,78% -0,24% T-Wilcoxon 0,0560*
Significativitá
Significativitá
La Figura 15 mostra i dati relativi all’underpricing rilevati nel campione di studio. L’analisi
conferma la tesi secondo cui il prezzo di collocamento in sede di IPO sarebbe inferiore in
media del 5% al prezzo espresso dal mercato nel primo giorno di negoziazione, per cui
l’ipotesi dell’underpricing risulterebbe confermata dal campione di studio. L’indagine
conferma altresì l’ipotesi che l’incidenza di tale fenomeno sarebbe inferiore nel campione
costituito da emittenti VB, che difatti registra un underpricing aggiustato dello 0,78% a fronte
del 7,38% rilevato nel campione NVB. Il risultato ottenuto è supportato da un livello di
significatività statistica superiore al 99% ed è rafforzato dall’analisi condotta sulle mediane,
che attesta le medesime conclusioni confortate anche in tal caso da elevati livelli di
significatività statistica.
IV.6 - I limiti dell’analisi
Come ogni lavoro empirico l’analisi svolta lamenta limiti e lacune di varia natura. Si premette
che la valutazione del contributo apportato dagli operatori PEVC non può essere
esclusivamente demandata ai quozienti di bilancio, poiché una accurata stima del valore
aziendale richiederebbe l’impiego anche di altre tecniche di valutazione come l’utilizzo dei
multipli di mercato e della Discount Cash Flow Analysis.
Gli indici di bilancio oltre ad avere il forte limite di rappresentare la realtà aziendale su base
storica, poiché sintetizzano accadimenti economici che hanno già avuto impatto sul sistema
del bilancio, si contraddistinguono per ulteriori difetti. Innanzitutto, gli indici possono essere
manipolati agevolmente dai manager aziendali attraverso tecniche di window-dressing che
hanno l’obiettivo di alterare le voci di bilancio al fine di migliorarne la presentazione.
Innumerevoli sono le vie attraverso cui si possono migliorare gli indici, basti pensare a quanti
66
siano i valori che confluiscono nel bilancio come frutto di procedimenti di stima e congettura
(ad esempio le svalutazioni, gli accantonamenti, gli ammortamenti).
Oltre al problema dell’alterazione volontaria dei valori di bilancio, gli indicatori riflettono
anche discontinuità nell’applicazione dei principi contabili: le poste di bilancio considerate
nell’arco dei sette anni di analisi non aderiscono sempre agli stessi framework contabili,
infatti come accade nell’analisi a partire dal 2005 i bilanci consolidati sono redatti secondo
principi diversi, conformandosi all’applicazione degli IAS-IFRS, che hanno un impatto non
trascurabile su alcune poste patrimoniali come l’avviamento e l’attivo immobilizzato.
Un’analisi fondata sull’applicazione delle stesse politiche e principi di contabilizzazione
avrebbe richiesto accurate riclassificazioni dei bilanci, una soluzione non praticabile per un
outsider aziendale.
Un ulteriore vincolo all’analisi è riconducibile all’ampiezza e alla composizione del campione
di analisi. La ricerca avendo ad oggetto il mercato italiano non è supportata da un campione
molto numeroso, per cui talvolta la significatività statistica delle analisi è condizionata dalla
esiguità delle rilevazioni. Per ovviare a tale vincolo è stato adoperato un campione più ampio
possibile che consentisse un’analisi del periodo t-3 – t+3, per cui sono state considerate anche
le IPO relative al 2006 pur non avendo in tal caso i dati relativi all’anno t+3.
Nel lavoro sono state adoperate delle semplificazioni che tuttavia non sono state ritenute
tanto rilevanti da alterare i risultati dell’analisi, tanto più perché il tentativo di correggere tali
difetti avrebbe comunque comportato ulteriori semplificazioni. In particolare si fa
riferimento ai valori di bilancio che non sono stati riespressi in termini reali per tener conto
dell’effetto dell’inflazione, sia perché per esprimere correttamente il bilancio in termini reali
si dovrebbe considerare un impatto diverso dell’inflazione a seconda delle specifiche poste
di bilancio, sia perché l’inflazione avrebbe effetti diversi sui bilanci degli emittenti a seconda
dei settori di appartenenza delle società.
Infine, sempre a causa della dimensione ridotta del mercato finanziario italiano
relativamente a quelli statunitense e britannico sui quali è stata prodotta gran parte della
letteratura, non è stato possibile effettuare un’analisi che valutasse il contributo del PEVC
misurato confrontando i peers, ovvero aziende VB e NVB operanti negli stessi settori e per
questo maggiormente comparabili.
67
Conclusioni
Le analisi svolte sulle aziende quotate dal 2000 al 2006 in Italia, in un periodo di sette esercizi
che comprende il triennio che precede la quotazione ed il triennio successivo, hanno fornito
in parte conferma delle conclusioni cui sono pervenuti altri lavori condotti su mercati diversi
da quello italiano.
La statistica descrittiva ha confermato la correlazione esistente tra numero di IPO ed
andamento dell’economia e dei mercati finanziari, per cui in condizioni di mercato favorevoli
il numero di IPO crescerebbe. In particolare, si evidenzia il forte contributo del private equity
allo sviluppo dei mercati finanziari, dato che circa un’offerta pubblica iniziale su tre in Italia è
promossa da aziende VB. Dall’analisi si evince altresì una caratteristica già riconosciuta dalla
letteratura agli operatori di PEVC, ovvero la capacità di anticipare la ripresa del ciclo
economico.
Osservando l’età delle aziende incluse nei due campioni é risultato un prototipo di emittente
con in media quindici anni di storia operativa alle spalle, senza particolari differenze dovute
all’appartenenza al campione VB piuttosto che a quello NVB. Quindi, è stato confermato che
risulta molto circoscritto in Italia il contributo del PEVC alla crescita di realtà aziendali giovani
in fase di start-up ed early-growth.
Gran parte degli emittenti VB opera nel settore tecnologico, della distribuzione e
dell’industria di produzione di impianti e macchinari, mentre sono assenti IPO venture
backed appartenenti a settori maggiormente condizionati dalla pubblica amministrazione.
Per quanto concerne le tecniche di offerta adoperate, si è rilevata una tendenza più marcata
per gli emittenti VB ad adottare le soluzioni che meglio segnalano la qualità dell’offerta,
ovvero le offerte pubbliche di sottoscrizione e quelle miste di vendita e sottoscrizione.
Le analisi di statistica inferenziale condotte sul campione hanno evidenziato per gli indici di
bilancio alcuni risultati altamente significativi. Innanzitutto è stato rilevato un evidente trend
crescente degli indicatori di redditività nel periodo che precede la quotazione ed un graduale
deterioramento nel periodo successivo. Tale fenomeno è riconducibile sicuramente
all’incremento dei capitali impiegati dall’emittente in seguito all’IPO, il che determina
l’incremento del denominatore degli indici e di conseguenza il loro declino. Oltre a questa
ragione tecnica, il declino della redditività post IPO può essere interpretabile come la 68
conseguenza dell’impiego da parte del management delle risorse raccolte in attività che
creano scarso valore. In seguito alla quotazione, infatti, si acuisce il problema di agenzia
poiché diminuisce l’incentivo per l’azionista-imprenditore a controllare e monitorare la
gestione, dato che parte del rischio è trasferito all’esterno, avendo ridotto la propria quota
di partecipazione.
Il declino della redditività può anche essere in parte dovuto al ripercuotersi sui conti delle
tecniche di ‘’window dressing’’ adottate per rendere più attraenti i bilanci aziendali prima
della quotazione e perché i manager spesso tendono ad avviare il processo di quotazione
all’apice del successo aziendale, ovvero quando i risultati non sono più replicabili in futuro.
In questo contesto le aziende VB evidenziano una performance operativa superiore rispetto
agli emittenti NVB, amplificando il trend crescente negli anni anteriori all’IPO e contenendo il
declino successivamente. In particolare, le aziende partecipate da fondi di private equity
dimostrano una superiore redditività della gestione operativa, che non si traduce tuttavia in
altrettanto superiori livelli della redditività per gli azionisti.
Nell’ambito dell’equilibrio finanziario le aziende VB mostrano un’elevata capacità di gestione
e monitoraggio del debito. Infatti, pur avendo nei sette anni di analisi una struttura
finanziaria talvolta più aggressiva, il campione VB vanta livelli più elevati degli indici di
copertura degli oneri finanziari rispetto alle aziende NVB ed un minor indebitamento
nell’anno che precede l’IPO. È plausibile che la partecipazione di operatori PEVC rappresenti
per gli istituti finanziari un ulteriore garanzia che consente alle aziende VB di sfruttare un
accesso al credito più vantaggioso. Anche in termini di efficienza, le aziende VB registrano
più elevati livelli di rotazione del capitale investito, il che spiega anche la ragione della
migliore performance in termini di redditività.
Con riguardo alla dimensione dello sviluppo aziendale, i risultati rilevati sono in
controtendenza rispetto ai contributi precedenti, evidenziando una maggiore crescita
cumulata del fatturato e del numero degli occupati nelle aziende NVB. I dati particolarmente
significativi secondo i test statistici sono interpretabili come una maggiore propensione delle
aziende NVB a focalizzarsi sulle leve competitive e sulla crescita strutturale, a differenza delle
aziende VB che opterebbero per un percorso di crescita più graduale ed organico.
69
Sintetizzando, quindi, l’analisi di bilancio conferma il contributo degli operatori di private
equity a favore delle società emittenti, in particolare nel periodo che precede la quotazione
ovvero quando tali investitori hanno ancora un forte commitment nei confronti
dell’investimento. Tale contributo sarebbe apprezzato dal mercato, premiando i
collocamenti di aziende VB con un minore underpricing, in altri termini il divario tra il prezzo
di offerta ed il prezzo negoziato sul mercato sarebbe minore, perché riconosciuta la qualità
dell’apporto dei venture capitalists.
Per concludere, si ritiene opportuno sottolineare alcune perplessità che fanno emergere
parametri come la crescita del fatturato, nettamente superiore nelle aziende NVB, il
notevole incremento del debito delle aziende VB nell’anno t+3, insieme alla considerazione
dei limiti dei quozienti di bilancio che si caratterizzano per una limitata visione prospettica.
Interpretando i risultati in un’ottica alternativa alla precedente, infatti, si potrebbe ipotizzare
che gli indici di redditività, così come il turnover dell’attivo, siano più elevati per le aziende
VB rispetto alle aziende NVB perché gli emittenti private equity backed tenderebbero a
ridurre gli investimenti in circolante ed in attivo immobilizzato, finanziando minore crescita
futura del fatturato.
In quest’ottica gli operatori di private equity, sfruttando le proprie competenze professionali,
pianificherebbero attentamente il processo di way-out mediante IPO al solo fine di
massimizzare il proprio rendimento. Il loro interesse ad ottimizzare l’apprezzamento
dell’offerta da parte del mercato e ad uscire dall’investimento in modo profittevole sarebbe
perseguito a scapito dell’azienda partecipata, di cui sarebbero sacrificate le prospettive di
crescita futura.
Questa diversa chiave di lettura, tuttavia, sembrerebbe meno probabile dal momento che gli
operatori di PEVC, operando frequentemente sul mercato delle IPO, sono monitorati ed
eventuali loro comportamenti opportunistici sono successivamente sanzionati dal mercato.
Per queste ragioni sembra più plausibile la tesi secondo cui il private equity effettivamente
apporta un contributo significativo alle aziende che avviano un processo di quotazione, un
contributo che si traduce sia in migliori performance operative, che in minor deprezzamento
del titolo in sede di collocamento.
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71
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